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Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo., Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto breve del manuale "Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo" a cura di Alberto Beniscelli. Il riassunto si concentra sui capitoli discorsivi e analizza solo alcuni degli esempi di autori e testi o temi del XVII e XVIII secolo.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 18/11/2023

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Scarica Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo. e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo. INTRODUZIONE Geografia della cultura anticonformista Riflessione sul significato di essere “libertino” a inizio Seicento. Gherard Schneider, nello studio ormai “storico”, Il libertinismo, ricostruisce la storia della parola, delle sue origini classiche – come derivazione aggettivale da libertus, “colui che è stato reso libero” – all’accezione del termine usata da Calvino: “questa setta si chiama dei libertini, ad essi contraffanno le cose spirituali in modo tale da non tener conto della parola di Dio più che delle favole”. A inizio 600 il gesuita François Garasse definisce i libertini como coloro che identificano Dio con la natura, rinnegano l’intervento divino nelle vicende umane, rifiutano ogni forma di trascendenza e mostrano infine un’intenzione irridente e dissacratoria nei confronti dei dogmi e dei riti ecclesiastici. Per ciò che concerne invece il significato più consueto del libertino come dissoluto violatore dei costumi, già Calvino aveva presentato la distinzione tra libertins d’esprit e libertins des moeurs, tra gli appartenenti alla setta che erano preda di una malsana curiosità intellettuale e altri che risultavano attratti dalla spregiudicatezza sessuale. Quest’ambivalenza del termine durerà nel tempo, assumendo nel primo caso una specificazione etico-filosofica e nel secondo comportamentale. Quando Gabriel Naudé giunge a Roma nel 1631 per assumere l’incarico di bibliotecario di Francesco Barberini, possiede una sicura coscienza anticonformista ed è da poco membro della Tétrade, un sodalizio. Naudé non trova in Italia proprio i sodalizi che si riconoscono e si legittimano come oppositori in chiave libertineggiante dei sistemi consolidati del pensiero. Dove si celano allora i libertini italiani? Un luogo in cui avrebbero potuto nascondersi e camuffarsi è la biblioteca. Il fatto che Naudé avesse avuto l’incarico di sistemare i libri barberiniani ne è un indizio. Se si sposta l’attenzione a Milano, ci si accorge che a realizzare il grande progetto della nuova collezione borromaica è stato chiamato il giovane allievo di Giusto Lipsio, Ericio Puteano. Puteano sarà attivo anche nella biblioteca padovana. Un altro luogo in cui il pensiero anticonformista poteva lievitare sotto copertura è l’accademia. Naudé, insieme a Peiresc, venne ascritto a quella romana degli Umoristi. In uno dei resoconti manoscritti delle sedute l’argomento prescelto è il “riso”: meno innocuo di quanto appaia, perché la fisionomia del volto mette in moto il discorso sull’origine delle passioni in rapporto agli umori corporei. 2 L’unico sodalizio riconoscibile per una precisa ma variegata strategia anticonformista è la veneziana Accademia degli Incogniti. Controllando i discorsi e le bizzarie dei letterati accademici troviamo alcuni scritti che riguardano l’istintualità della natura d’amore o le registrazioni pessimistiche della realtà umana, spesso di stampo materialista. Spesso sono gli stessi percorsi biografici dei singoli intellettuali a delineare la “geografia” della cultura anticonformista. Se Roma è il punto di riferimento ineludibile, c’è anche Padova in cui è vitale l’insegnamento di Cesare Cremonini e in cui è insediata la scuola biomedica di Girolamo d’Acquapendente. Padova è anche la città in cui arriva Galileo. Padova indica anche Venezia, la repubblica che difende le sue libere prerogative contro quelle romane e genera una linea di riflessione politico-storiografica di convinta autonomia metodologica e interpretativa che si riconosce al magistero sarpiano. Tra gli altri aspetti che vanno affrontati abbiamo quello che concerne gli auctores, antichi e moderni, che i libertini o comunque i letterati anticonformisti usano per comporre i loro testi e quello che riguarda il grado di autonomia che il libertinismo di marca più marcatamente letteraria ha nei confronti del libertinismo erudito. La messa in mora dell’antropocentrismo, la relativizzazione del reale, la spiegazione dei moti dell’universo e dell’anima-corpo degli uomini, l’appartenenza a un’unica forma generativa degli esseri viventi: tutto ciò si trasforma anche in forme narrative autonome. Nella letteratura libertina e anticonformista l’autonomia non è assoluta; tanto meno nella situazione italiana del 600. Uno dei testi letterari di maggior caratura libertina e di migliore riuscita come La Lucerna di Francesco Pona, risulta difficile da comprendere se non si cala nel dibattito laico sull’anima e le sue trasformazioni. Si sa che dietro La Lucerna ci sono le Metamorfosi di Apuleio ma più vicino ancora c’è la convinzione che possa esistere una pluralità di anime così come può esistere una molteplicità delle vite. Francesco Pona è medico di scuola padovana, da ciò si deduce anche che nella realtà magmatica e frastagliata della geografia italiana, ogni opera va esaminata alla luce del suo grado di prossimità con le provocazioni scientifiche, politico-sociali e morali della realtà oppressiva e convenzionale da cui l’autore intende scartare. La biblioteca dei libertini Quali erano i maestri riconosciuti del pensiero anticonformista e libertino, quali i libri prediletti? All’origine delle riflessioni correnti ci sono i “classici” della cultura 5 l’anima è mortale, quelli che usano pratiche sessuali senza freno, quelli che rovesciano linguaggi e simboli in chiave blasfema. Ma nella considerazione più larga del termine libertinismo, è sufficiente allontanare Dio, farne a meno, assegnare uno spazio separato alla religione “rivelata” e occuparsi delle realtà terrene. L’approccio relativistico alla vita è continuo, nell’atteggiamento anticonformista. Se si va vanti nel tempo e si scelgono alcune testimonianze degli Incogniti si avverte però una diversa posizione. Gli anni che corrispondono al passaggio dalla prima alla seconda generazione veneziana, quelli che separano gli scritti di Sarpi all’attività di Loredano, Michiel, Lampugnani, segnano la differenza tra l’intellettuale in cerca di un equilibrio ancorchè precario, fattuale, che per la novità della sua ricerca aveva preso la via verso l’Europa moderna, e altri intellettuali che nell’ambito dell’accademia si dilettano a registrare il proprio essere indifesi in mano alla natura che circonda l’uomo. Rispetto alla sottile investigazione dei Pensieri sarpiani, gli Incogniti arretrano ma le loro pagine non sono neutre. All’interno di una visione sostanzialmente pessimistica, la vecchiaia incide pesantemente nel corpo e nella mente. A Michiel interessa il deperimento psicofisico del nostro essere. È la natura che manovra il tempo. Il ritratto della senescenza coincide col moto di trasformazione dell’universo naturale, turbolento come il destino dei singoli. I sodali “incogniti” contribuiscono a delineare un percorso che intende stupire ma anche scardinare le sicurezze. Casoni mostra le cose labili e mutevoli, Lampugnani parla della loro “incertezza”. A sua volta Michiel descrive la vecchiaia come un itinerario regressivo, che porta all’annullamento di sé, al rimbambimento di cui aveva parlato Erasmo. Nel 700 molte cose risulteranno mutate. Il relativista italiano più significativo dell’età die lumi è Ferdinando Galiani. Lo scarto è tanto evidente quanto lo è la differenza tra una disposizione disforica dell’anima-corpo e una euforica. Se la magrezza, l’inappetenza, l’irregolarità dei tratti, i vestiti dimessi sono la caratteristica distintiva dei seicentisti, Galiani teorizza e pratica al contrario il lusso, l’opulenza, la comodità, legate alla nuova estetica libertina del piacere e della felicità. Restano attive le derivazioni scettiche. Il depotenziamento di ogni attitudine eroica va di pari passo con la concezione non agonistica ma fatalistica della condizione umana. I segnali di mutamento sono sintetizzabili in nuove adozioni di termini, o in nuove sfumature, come per l’“incredulità” che sostiene l’“incertezza” o come per la “curiosità”, non più solo applicata al campo del sapere ma spia alleggerita dall’attenzione alla socialità. Inoltre la tendenza a scrutare il microcosmo come altro aspetto del macrocosmo si rinforzerà sempre più, a valle delle scoperte galileiane. 6 Non c’è dubbio che uno dei nodi essenziali su cui si misura l’essenza libertina sia, per via istintuale, l’eros. Uno dei temi che maggiormente ricompatta la compagine degli accademici Incogniti riguarda l’ambito amoroso. Nelle trattazioni accademiche, l’argomento è assunto prevalentemente in chiave di paradosso e i quesiti sono presentati come dubbi bizzarri: è possibile amare senza speranza di corrispondenza? Ci si può innamorare di una persona sconosciuta? Uomini e donne possono amarsi pudicamente? L’amore come espressione strema del senso esce dal chiuso delle riunioni accademiche e diventa motivo trascinatore della letteratura romanzesca. Francesco Pona, che negli inserti novellistici della Lucerna introduce a piene mani avventure ad alta intensità erotica – fanciulle incinte, mogli adultere, cortigiane sfrenate, vedove impenitenti, stimolate tutte “dal naturale appetito e dalla lascivia del sesso” – propone anche romanzi storici come Messalina, dove l’imperatrice romana organizza incontri orgiastici e gareggia con le cortigiane nell’ars amatoria. I generi letterari gareggiano nella rappresentazione dell’eccedenza amorosa. Alcuni di essi sono privilegiati: la trattatistica, il dialogo, la novella… Cento novelle amorose costituiscono il nuovo Decameron proposto dagli accademici Incogniti. Linea ininterrotta della letteratura libertina, l’amore-senso conoscerà durata e metamorfosi verso il 700. Tra un secolo e l’altro: le svolte È possibile trovare una continuità tra le esperienze secentesche e quelle settecentesche, non solo sui grandi temi della miscredenza nei dogmi, della messa in forse della “rivelazione”, degli epistemi naturalistici alla base delle scienze macro- microscopiche, ma anche nelle stesse attitudini mentali e psichiche. Un lungo filo resistente è certamente rintracciabile nella disposizione scettica con le sue mille varianti. Ma per delineare il passaggio alla nuova condizione mondano-letteraria si devono considerare alcuni cambiamenti, che sono nei fatti. Uno di essi è il netto ribaltamento rispetto all’immagine del libertino secentesco, la presa di distanza cioè dall’ipoteca moralistica che ancora si esercitava nel disegno di alcuni profili dei libertini maudits. Ma la svolta decisiva passa principalmente per una nuova immersione nella cultura francese. 1. Tra antichi e moderni: la natura e l’agire dell’uomo 7 Paolo Sarpi, grande oppositore al potere papale e importante all’interno della letteratura anticonformista per i suoi precoci Pensieri filosofico-scientifici, medico- morali e sulla religione editi per la prima volta nel 1969. Nei Pensieri si rilevano alcuni elementi di novità. Intanto, la sfera comportamentale del paradigmatico “io” viene ricollocata alle dirette dipendenze della fisicità, secondo una rilettura postgalenica degli umori costitutivi e delle passioni, ma che, si era indirizzata anche a esaminare i problemi cruciali della “malattia” e della “salute” dell’anima-corpo. Per questa inclinazione le fonti si ritrovano in Montaigne (“Essais”) e Seneca con le Epistulae ad Lucilium. Gli Essais costituiscono il grande serbatoio della nuova cultura scettica e relativistica. La morale non si fonda su norme universali ma si costituisce sulla storia delle singole esperienze, sulla varietà e molteplicità delle opinioni. Giulio Cesare Vanini fu molto sensibile alla lezione storiografica sarpiana, filosofo e frate errabondo, seguì percorsi tormentati che lo portarono alla morte sul rogo a Tolosa. Affronta i temi del grande “libro” naturale, giungendo a parlare degli “affetti dell’uomo” con una radicalità inedita. Parla ad esempio delle cause fisiche del riso e del pianto. Utilizza poi una tecnica che consiste nel camuffare le proprie tesi con proiezioni di varia specie o spesso nel celarle all’interno di un’argomentazione che in partenza sembra difendere le ragioni opposte alle sue. Giulio Cesare Vanini Da I meravigliosi segreti della natura Gli affetti dell’uomo. Dialogo tra Alessandro e Giulio Cesare. Il primo chiede, in merito agli affetti dell’uomo, perché per la gioia talvolta piangiamo. Giulio Cesare dice che ciò avviene perché gli spiriti irrompono con gran forza e così liquefanno gli umori. Perché taluni perirono a causa della gioia? Perché gli spiriti, portandosi alla membrana cerebrale, spremono da essa a viva forza l’umore liquido. O forse taluni perirono perché la gioia eccessiva spinge con tale violenza lo spirito e il calore dal cuore verso la parte superiore del corpo e li disperde così che il corpo, privato del calore, è colto da una sincope o da morte improvvisa. Perché nella gioia gli spiriti irrompono? Le cose simili desiderano fortemente unirsi. Perché nella gioia ridiamo? Forse perché gli spiriti si propagano in larghezza e così si dilatano i muscoli che si trovano ai lati della bocca. Perché quando siamo tristi piangiamo? Forse perché gli spiriti si contraggono e così la pelle diventa densa, l’umore viene spremuto e le lacrime scorrono. Perché quando siamo tristi non riusciamo a dormire? Perché la contrazione del calore causa l’insonnia. Perché quando ci assale la paura gli spiriti si contraggono? Forse perché prevedendo un male futuro si rifugiano nel cuore come in una rocca sicurissima. 10 soggetto alla divina sostanza che si chiama intelletto, non è meno nobile di quello celeste. Quest’ultimo non è informato dall’Intelligenza mentre il primo è informato dall’intelletto. Tuttavia, la materia dell’uomo non è diversa da quella dello sterco dell’asino. Alessandro successivamente chiede se la materia del cielo è la medesima in tutte le sue parti e Giulio Cesare dice che Girolamo Cardano lo nega decisamente perché non tutti gli astri brillano allo stesso modo. Per lui si deve credere nel cielo non vi siano più materie ma vi sia più materia in una parte che in un’altra, per cui le parti del cielo differiscono per densità e rarità della materia e non per diversità della stessa. Infatti, la stella è il cielo stesso fattosi più denso e il cielo è la stella rarefattasi. Francesco Pona da La maschera iatropolitica (overo Cervello e Cuore Principi Rivali) L’operetta, medico-politica di chiara impronta satirica, narra della rivalità che intercorre tra il Cervello e il Cuore e ciò avviene attraverso la descrizione di una battaglia tra gli organi corporali. Quindi ci vengono descritti degli eserciti, il primo de quali con a capo il Baron Polmone con il titolo di luogotenente generale, il secondo condotto dall’Illustrissimo Fegato… essi sono formati da guerriere fortissime che sono le Coste Intere, innumerevoli Vene, Arterie, Nervetti, l’Ombellico, la Cuticola, i Muscoli Retti… Gli influssi celati: la virtù delle pietre, la metempsicosi, la cabala, l’alchimia Francesco Pona da La Lucerna Dialogo tra la Lucerna ed Eureta Misoscolo, studente universitario (e pseudonimo di Pona). La Lucerna è sicuramente tra le opere più interessanti e provocatorie del 600 italiano; usa come spinta per il racconto l’idea eterodossa della trasmigrazione delle anime, sulla linea delle speculazioni intorno ai fenomeni di metempsicosi che Giordano Bruno aveva proposto come chiave di conoscenza e interpretazione del reale. Alla base dell’invenzione di Pona sta il modello satirico di Luciano di Samosata che gioca con la credenza esoterica. 11 Sera prima. La Lucerna dice che l’uomo è composto di materia e forma, o meglio, corpo e anima coma essa è composta del metallo che si vede e dell’anima che la fa parlare come può sentire; inoltre essa è stata fabbricata a Milano da peritissimo artefice, conforme al capriccio di un certo Girolamo Cardano (il mito di Cardano come scienziato-alchimista trova ancora un’autorevole attestazione). Eureta ricorda la lucerna raffigurata dei libri Delle Sottigliezze di Cardano e le chiede di passare al racconto delle cose che ha passato. La Lucerna dice che la sua prima forma fu terribile, perché lasciato il cielo, la sorte la incarcerò in una fierissima leonessa finché fu da lacerata e uccisa da uno spaventoso dragone in una sanguinosa battaglia. Successivamente passò nelle membra di una bellissima ninfa dedita agli affetti amorosi e poi in quelle di Lucio Cornelio Silla. Sera terza. Passando di corpo in corpo fu lì dentro costretta finché non fu comprata da un pizzicagnolo che aveva un botteghino sulla piazza di Roma ma faceva così tante faccende che si arricchì fino a comprare uno dei più belli e sontuosi palazzi di Roma e tutti lo chiamavano “Signore” o “Illustrissimo”. 5. Narrazione e messinscena dell’eros La ridefinizione degli umori, delle passioni, della natura dell’uomo inserito come parte tra le parti in un universo privato delle gerarchie e delle prospettive finalistiche, non poteva non contemplare come argomento decisivo la questione dell’amore nella sua radice istintuale. Se Aristotele era il dominus per ciò che riguardava gli ambiti della natura, Platone lo è nei riguardi delle tematiche amorose. L’eros viene esibito e discusso nelle sedute d’accademia, esso viene rappresentato dai nuovi generi del romanzo e del teatro, ormai in procinto di farsi egemoni. Ma la letteratura libertina si caratterizza per il contesto polemico e corrosivo all’interno del quale gli eccessi amorosi, giustificati in nome dell’eccedenza naturale della passione, vengono riletti e sceneggiati. Un banco di prova consiste nella gara con le offerte della tradizione letteraria. Nella Lucerna, Francesco Pona introduce numerosi inserti che trattano di amori eccessivi, al centro dei quali troviamo fanciulle incinte, mogli adultere, cortigiane sfrenate, vedove impenitenti, stimolate tutte “dal naturale appetito e dalla lascivia del sesso”, le cui trame sono molto spesso di derivazione boccacciana o pastorale, sulle quali agisce comunque il modello dell’Argenis di John Barclay (1621). Egli era lo scrittore che nel suo romanzo aveva girato in chiave critico-allusiva il materiale “favoloso” dell’antichità e nella cui 12 “anima” trasmigra la Lucerna. In ogni caso la cifra peculiare delle storie amorose poniane sta nel loro sprofondamento tragico per la forza stessa dell’eros smisurato. In un altro romanzo, Pona racconta la storia di Messalina – nella Lucerna peraltro si era rivissuta la vita di Cleopatra. L’eccesso dei sensi. Francesco Pona da La Messalina Sulla scorta degli Annali di Tacito e dei recuperi storiografici cari alla letteratura e al teatro 500/600esco, anche di taglio libertino, Pona stampa La Messalina nel 1625. Seguirà una seconda edizione del romanzo nel 1627 unita in volume alla Lucerna. Valeria Messalina, figlia di Marco Valerio Messalla Barbato, console, e Domizia Lepida, per capriccio dell’imperatore Caligola fu costretta, appena 15enne, a sposare il 50enne cugino della madre, Claudio. Da qui ha inizio la sua vita dissoluta. Messalina gareggia con una meretrice (“Licisca, di vilissima nascita, di sviatissimo ingegno, di laidissimi costumi ma di bellissimo e delicatissimo corpo”) e vince, prendendone il nome e collezionando 25 amanti in un solo giorno. 6. Il rovescio d’amore: natura, istinti, infelicità, “niente” L’amore come spinta dell’istinto naturale non conduce necessariamente alla felicità. I libertini ne sono perfettamente consapevoli e lo sono anche gli accademici Incogniti. La bruttezza, le deformità, le devianze Francesco Pona da La Lucerna La Lucerna quasi si rallegra trovandosi ad animare un cavallo, l’animale più nobile dopo l’uomo. Il suo signore non aveva altro di così caro come quel cavallo. La moglie era molto bella e si vantava di essere la più casta donna del regno. Ma successe che ella si invaghì proprio del cavallo, se ne comprò la grazia e arrivò con lui all’adempimento dei suoi appetiti. Ma uno dei famigliari la scoprì, la vide e andò a dirlo al signore. Egli lo uccise. 7. La dissacrazione del riso 15 dall’Inquisizione e successivamente fu condannato a morte per volere di Pio V e giustiziato a Roma. È da un suo scritto, la Risposta de la lucerna, dedicata a smascherare le ipocrisie sociali e professionali e monologo inserito nel terzo libro delle Pistole volgari, che Pona prende avvio per costruire il proprio romanzo). Niccolò Franco, una sera in cui non aveva materiale da scrivere, decise quindi, guardando la lucerna, di scrivere di lei, immaginando che dopo esser stata sollecitata finalmente rispondesse. Francesco Pona da La maschera iatropolitica Il racconto di impianto medico-politico, se ha un suo rilievo in quanto individua come scena il “microcosmo” corporale, poggia sul rapporto tra l’organizzazione anatomico-fisiologica degli organi e delle loro personificazioni e quella politico- statuale. Attraverso l’espediente narrativo delle lotte intestine del corpo umano la satira prende di mira il “macrocosmo” della società contemporanea. Narra delle sanguinose stragi avvenute nel Microcosmo, per competenza di monarchia, tra due potenti principi: Cervello e Cuore. La bellissima provincia chiamata Microcosmo è composta dalle principali città dette Capo, Torace e Ventre, sotto le quali sorgono numerosi castelli, villaggi e isolette. Il principe Don Cervello teneva la sua corte nella metropoli del Capo e il Serenissimo Cuore in quella del Torace. In questo primo brano è inserito un capitolo del primo libro in cui ci troviamo ancora nella fase che precede la battaglia tra gli eserciti dei principi Cervello e Cuore. Il secondo passo (categoria: scherno degli dei) appartiene invece al capitolo secondo del secondo libro quando gli dei, come esige la formula eroicomica, sono chiamati a schierarsi mentre non cessano le risse tra loro. 8. Vite e autobiografie I letterati che perlustrano la sostanza corporea dell’anima, che registrano i flussi appena percepiti degli umori interni per regolare empiricamente la disposizione morale, che sanno di doversi immergere nella malattia per intravedere la “salute”, quale aspetto hanno? Al mondo analitico dell’indagine corrisponde quello dell’autorappresentazione. 16 I Pensieri medico-morali di Sarpi sono forse un primo abbozzo di biografia. Scritta dall’allievo che gli aveva vissuto accanto, Fulgenzio Micanzio, La vita di padre Paolo resta un modello di ritrattistica. Il dato che accomuna le Vite di questi medici di se stessi è la disforia. Magri, malconci, afflitti da “infirmitadi” di cui si danno minute descrizioni: la stitichezza, l’impotenza, le palpitazioni al cuore. Il rapporto con il cibo è problematico e la cura nel vestire è ridotta al minimo, fatta salva per l’igiene. Alcuni casi forzano maggiormente il cliché disforico. Un testo che merita attenzione è il De propria vita liber di Cardano, scritto negli ultimi decenni del 500 ma edito e diffuso nel secolo successivo. “Di statura mediocre, con i piedi piccoli, petto piuttosto angusto, le braccia sottili e la mano destra più carnosa, con le dita tozze, tanto che secondo i necromanti avrei dovuto riuscire rozzo e stupido […] la linea della vita è breve, lunga e profonda quella detta saturnina”. L’esperto in fisiognomica e metoposcopia si esercita sul suo corpo. Un disegno del proprio volto lo farà Secondo Lancellotti nell’autobiografia in terza persona, calcando sulle deformazioni: “gli occhi aveva grandi e vivaci e ancora terribili quando particolarmente adiravasi. Il naso non era molto bello o profilato. Le ciglia unite. Nel fronte si scorgeva quasi del continuo, massimamente quando, punto, si commoveva a sdegno, una vena che divisa in due parti tendeva verso la testa”.
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