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libro 11 trono di spade, Dispense di Letteratura Inglese

libro undicesimo trono di spade

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 05/07/2019

SimonaMaff
SimonaMaff 🇮🇹

5

(1)

8 documenti

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Scarica libro 11 trono di spade e più Dispense in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! (AI CALI VU TRI LA COMPAGNIA DEL VENTO La voce percorse il campo come un vento caldo. "Lei sta arrivando. Il suo esercito è in marcia. Adesso punta a sud, verso Yunkai, per mettere a ferro e fuoco la città e passare a fil di spada la popolazione. Noi intanto andiamo a nord per incontrarla." Ranocchio l'aveva saputo da Dick Paglia che l'aveva saputo dal vecchio Bill Osso che l'aveva saputo da un uomo di Pentos chiamato Myrio Myrakis che aveva un cugino che faceva il coppiere dal principe Straccione. «L'ho sentito nella tenda di comando, dalle labbra di Caggo in persona» insistè Dick Paglia. «Ci metteremo in marcia prima che il giorno sia finito, vedrai se non è così.» Questo almeno si rivelò vero. L'ordine del principe Straccione venne trasmesso dai suoi capitani e dai suoi sergenti: togliere le tende, caricare i muli, sellare i cavalli, al sorgere del sole marciamo verso Yunkai. «Non che quegli yunkai bastardi ci vogliano nella loro città gialla a girare intorno alle loro figlie» predisse Baqq, il balestriere strabico di Myr, il cui nome significava "fagioli". «A Yunkai faremo provviste, forse prenderemo dei cavalli freschi, e poi andremo a Meereen a danzare con la regina dei draghi. Perciò salta veloce, Ranocchio, e affila bene la spada del tuo padrone. Gli potrebbe servire presto.» A Dome, Quentyn Martell era stato un principe, a Volantis il servitore di un mercante, ma sulla riva della Baia degli Schiavisti era soltanto Ranocchio, scudiero del grande cavaliere calvo dormano che i mercenari chiamavano Frattaglie Verdi. Gli uomini della Compagnia del Vento usavano i nomi che volevano e li cambiavano a seconda dell'estro. A lui avevano affibbiato "Ranocchio" perché ogni volta che il bestione gridava un ordine, lui saltava svelto come una rana. Anche il comandante della Compagnia del Vento teneva il suo vero nome per sé. Alcune compagnie libere erano nate durante il secolo di sangue e disordini seguito al Disastro di Valyria. Altre si erano formate ieri, e sarebbero scomparse domani. La Compagnia del Vento esisteva da trent'anni e aveva avuto un solo comandante: il nobile di Pentos dalla voce dolce e gli occhi tristi chiamato il principe Straccione. Aveva capelli e cotta di maglia color grigio ferro, ma il suo lacero mantello era fatto di pezzi di stoffa variopinta, blu e grigio e viola, rosso e oro e verde, magenta e vermiglio e ceruleo, tutti sbiaditi dal sole. Quando il principe Straccione aveva ventitré anni, secondo la storia raccontata da Dick Paglia, i magistri di Pentos lo avevano scelto come nuovo principe solo qualche ora dopo aver decapitato il vecchio principe. Lui invece aveva cinto la spada, era montato sul suo cavallo preferito ed era fuggito nelle Terre Contese per non fare più ritorno. Aveva cavalcato con i Secondi Figli, con gli Scudi di Ferro e con gli Uomini della I tre dorniani applaudirono insieme agli altri. Il contrario avrebbe attirato l'attenzione. Ma mentre la Compagnia del Vento cavalcava a nord lungo la strada costiera, alle calcagna di Barba Insanguinata e della Compagnia del Gatto, Ranocchio si accostò al Gerrold dormano. «Presto» disse nella lingua comune dell'Occidente. Nella Compagnia c'erano altri uomini occidentali, ma non tanti e non a portata d'orecchio. «Dobbiamo farlo presto.» «Non qui» lo avvertì Gerris, con un vacuo sorriso da guitto. «Ne parleremo stasera, quando ci accamperemo.» C'erano un centinaio di leghe tra Astapor e Yunkai lungo la vecchia strada costiera di Ghis, e altre cinquanta da Yunkai a Meereen. Le compagnie libere, con delle buone cavalcature, avrebbero potuto raggiungere Yunkai in sei giorni ad andatura spedita, in otto a passo più moderato. Le legioni provenienti da Antica Ghis avrebbero impiegato una volta e mezzo quel tempo, marciando a piedi, quanto agli yunkai e ai loro schiavi soldato... «Con i loro generali c'è da stupirsi che non finiscano dritti in mare» fu il commento di Fagioli. Gli yunkai non difettavano di comandanti. Un vecchio eroe di nome Yurkhaz zo Yunzak aveva il comando supremo, anche se gli uomini della Compagnia del Vento lo avevano scorto di sfuggita solo da lontano, andare e venire su un palanchino talmente gigantesco che ci volevano quaranta schiavi per sollevarlo. Non potevano però fare a meno di vedere i suoi subalterni. I signorotti yunkai correvano da tutte le parti, come scarafaggi. Metà di loro pareva chiamarsi Ghazdan, Grazdan, Mazdhan o Ghaznak. Distinguere un nome ghiscariano da un altro era un'arte che pochi nella Compagnia del Vento sapevano padroneggiare, perciò avevano attribuito loro dei soprannomi. II più notevole era Balena Gialla, un uomo oscenamente grasso che indossava sempre un tokar di seta gialla con frange dorate. Troppo pesante anche solo per stare in piedi senza aiuto, non riusciva a controllare la vescica, perciò puzzava sempre di piscio; un lezzo così forte che neanche i profumi più intensi riuscivano a nasconderlo. Ma si diceva fosse l'uomo più ricco di Yunkai e che avesse una passione per il grottesco; i suoi schiavi includevano un ragazzo con gambe e piedi di capra, una donna barbuta, un mostro a due teste di Mantarys e un ermafrodita che gli scaldava il letto di notte. «Cazzo e fica insieme» disse loro Dick Paglia. «La Balena aveva anche un gigante, e lo guardava scopare le sue giovani schiave. Poi è morto. Ho sentito dire che la Balena sarebbe pronto a pagare una sacca d'oro per averne un altro.» Poi c'era la Ragazza Generale, che montava un cavallo bianco dalla criniera rossa e comandava un centinaio di robusti schiavi soldato da lei stessa allevati e addestrati: tutti giovani, snelli, con i muscoli ben definiti, nudi a parte un perizoma e un mantello giallo e un lungo scudo di bronzo con intarsi erotici. La loro padrona non pareva avere più di sedici anni, e si riteneva la Daenerys Targaryen degli yunkai. Il Piccolo Piccione non era proprio un nano, ma nella penombra poteva essere preso per tale. Eppure camminava tutto impettito come un gigante, con le sue gambe corte e grassocce larghe e il piccolo petto in fuori. I suoi soldati erano i più alti che la Compagnia del Vento avesse mai visto: il più basso misurava sette piedi, il più alto quasi otto. Avevano tutti facce e gambe lunghe, che i trampoli incorporati nell'ornata corazza slanciavano ulteriormente. Lamine di smalto rosa ricoprivano loro il busto e sulla testa portavano un elmo allungato, completo di becco d'acciaio a punta e di una cresta di piume rosa ballonzolante. Ognuno di loro aveva al fianco una lunga spada ricurva e impugnava una lancia della propria altezza, con la lama sagomata a foglia su entrambe le estremità. «Il Piccolo Piccione li alleva appositamente» spiegò Dick Paglia. «Compra degli schiavi alti in tutto il mondo, li fa accoppiare e i figli più alti li tiene per gli Aironi. Spera, un giorno, di poter fare a meno dei trampoli.» «Qualche seduta nelle stanze di tortura potrebbe accelerare i tempi» suggerì il bestione. Gerris Drinkwater rise. «Un gruppo che incute paura. Niente mi terrorizza più di qualcuno sui trampoli, ricoperto di lamine rosa e piume. Se uno di loro m'inseguisse, riderei talmente forte da non trattenere più la vescica.» «Alcuni sostengono che gli aironi sono maestosi» disse il vecchio Bill Osso. «Solo se il tuo re mangia rane reggendosi su una gamba sola.» «Gli aironi sono codardi» intervenne il bestione. «Una volta io, Drink e Cletus eravamo a caccia e abbiamo sorpreso degli aironi nelle secche che si ingozzavano di rospi e pesciolini. Erano un bello spettacolo, aye, ma poi in alto è passato un falco e quelli si sono alzati in volo in fretta e furia come se avessero visto un drago. Hanno sollevato così tanta aria da farmi cadere da cavallo, ma Cletus ha tirato una freccia e ne ha abbattuto uno. Sapeva di anatra, ma era meno grasso.» Eppure, perfino il Piccolo Piccione e i suoi Aironi impallidivano davanti alla follia dei fratelli che i mercenari chiamavano i Lord sferraglianti. L'ultima volta che gli schiavi soldato yunkai avevano affrontato gli Immacolati della regina dei draghi si erano dati alla fuga. I Lord sferraglianti allora hanno concepito uno stratagemma per impedire che ciò accadesse di nuovo. Hanno incatenato i soldati a gruppi di dieci, polso con polso, caviglia con caviglia. «Nessuno di quei poveri bastardi può correre, a meno che non lo facciano tutti» spiegò Dick Paglia, ridendo. «E se corrono tutti insieme, non possono correre molto veloci.» «Neppure marciare molto veloci» osservò Fagioli. «Li senti sferragliare da dieci leghe di distanza.» Ce n'erano anche altri, tanti altri, quasi altrettanto folli o peggio. Lord Guance cascanti, il Conquistatore sbronzo, il Padrone di animali, Faccia di budino, il Coniglio, l'Auriga, l'Eroe profumato. Alcuni avevano venti soldati, altri duecento, altri ancora duemila, tutti schiavi da loro stessi addestrati ed equipaggiati. Ognuno era ricco, ognuno era arrogante, ognuno era un capitano e un comandante che non rispondeva a nessuno se non a Yurkhaz zo Yunzak, sdegnoso dei semplici mercenari e incline a liti su questioni di priorità che erano continue e incomprensibili. Nel tempo che la Compagnia del Vento impiegò per percorrere tre miglia a cavallo, gli yunkai erano rimasti indietro di due miglia e mezzo. «Un branco di stupidi gialli puzzolenti» si lamentò Fagioli. «Non sono ancora riusciti a capire perché i Corvi della Tempesta e i Secondi Figli sono passati alla regina dei draghi.» «Credono sia per l'oro» disse Libri. «Perché pensi che ci paghino così bene?» «L'oro è dolce, ma la vita è più dolce ancora» replicò Fagioli. «Ad Astapor ballavamo con gli storpi. Vorresti affrontare dei veri Immacolati con quegli inetti al tuo fianco?» «Ad Astapor abbiamo combattuto contro gli Immacolati» rilevò il bestione. «Parlavo di Immacolati veri. Mozzare le palle a un ragazzo con una mannaia da macellaio e dargli un copricapo chiodato non lo rende un Immacolato. La regina dei draghi ha quelli veri, quelli che non si danno alla fuga quando scoreggi più o meno nella loro direzione.» «Ha gli Immacolati e anche i draghi.» Dick Paglia diede un'occhiata al cielo, come se la semplice menzione dei draghi bastasse a farli piombare addosso alla Compagnia. «Tenete le spade affilate, ragazzi, che presto avremo una vera battaglia.» "Una vera battaglia" ripetè tra sé e sé Ranocchio. Quelle parole gli rimasero sullo stomaco. La battaglia sotto le mura di Astapor gli era sembrata già abbastanza vera, pur sapendo che i mercenari la pensavano diversamente. «Quella è stata una mattanza non una battaglia» dichiarò in seguito il bardo guerriero Denzo D'han. Denzo era un capitano, un veterano di cento battaglie. L'esperienza di Ranocchio era limitata al campo d'allenamento e ai tornei, perciò non pensava che toccasse a lui mettere in discussione il verdetto di un guerriero così esperto. "Però, quando è cominciata, sembrava una battaglia." Ricordò come gli si era contratto lo stomaco quando era stato svegliato a calci all'alba con il bestione che incombeva su di lui. «Il re Macellaio viene a darci battaglia» aveva tuonato. «Alzati, dormiglione, se non vuoi diventare la prossima carne da macello.» «Il re Macellaio è morto» aveva protestato Ranocchio, assonnato. Era la storia che tutti avevano sentito ripetere, quando erano sbarcati dalle navi che li avevano portati lì da Vecchia Volantis. Un secondo re Cleon aveva preso la corona ed era morto a sua volta, presumibilmente, e ora Astapor era governata da una puttana e da un cerusico folle, i cui seguaci combattevano fra loro per il controllo della città. «Forse hanno mentito» aveva replicato il bestione. «Oppure è un altro macellaio. Potrebbe essere il primo, tornato urlando «Daenerys potrebbe già essere a metà strada per Yunkai, con un esercito alle spalle» commentò Quentyn, mentre camminavano fra i cavalli. «Potrebbe, ma non lo è» replicò Gerris. «Abbiamo già sentito discorsi del genere. Quelli di Astapor erano convinti che Daenerys stesse arrivando a sud con i draghi per spezzare l'assedio. Non arrivò allora e non sta arrivando adesso.» «Non possiamo saperlo, non per certo. Dobbiamo battercela prima di finire a combattere proprio contro la donna che sono stato mandato a corteggiare.» «Aspetta fino a Yunkai» disse Gerris, indicando le montagne. «Queste sono le loro terre. Verosimilmente, nessuno darebbe cibo e riparo a tre disertori. A nord di Yunkai è terra di nessuno.» Non si sbagliava. Eppure, Quentyn si sentiva a disagio. «Il ^tiene si è fatto troppi amici. Sapeva che il piano era di andare Vla di soppiatto e raggiungere Daenerys, ma adesso lui non se la sente di abbandonare gli uomini con cui ha combattuto. Se aspettiamo ancora, finirà per sentirsi come se li abbandonassimo alla vigilia dello scontro. Non lo farà più. Lo conosci bene come me.» «È comunque diserzione» replicò Gerris. «E il principe Straccione non vede di buon occhio i disertori. Ci farà dare la caccia e i Sette Dèi ci salvino se dovessero prenderci. Se siamo fortunati, ci mozzeranno un piede per assicurarsi che non scapperemo di nuovo. Se siamo sfortunati, ci daranno a Meris la Bella.» A quell'ultima frase, Quentyn esitò. Era terrorizzato da Meris la Bella. Una donna del continente occidentale più alta di lui, poco meno di sei piedi. Dopo vent'anni fra le compagnie libere, di bello in lei non era rimasto proprio niente, né dentro né fuori. Gerris lo prese per un braccio. «Aspettiamo ancora qualche giorno, tutto qui. Abbiamo fatto tanta strada, pazienta ancora per qualche lega. Da qualche parte a nord di Yunkai l'occasione giusta si presenterà, vedrai.» «Se lo dici tu» ribatté Ranocchio, dubbioso... ... ma per una volta tanto, gli dèi stavano ascoltando e l'occasione giusta si presentò prima del previsto. Successe due giorni più tardi. Hugh Hungerford fermò il cavallo accanto al loro fuoco di cottura e disse: «Dorniano, ti vogliono nella tenda di comando». «Chi di noi?» chiese Gerris. «Siamo tutti dorniani.» «Allora tutti e tre» concluse Hungerford. Scontroso e tetro, con una mano menomata, per un po' era stato l'ufficiale pagatore della Compagnia, fino al giórno in cui il principe Straccione non l'aveva sorpreso a rubare dai forzieri e gli aveva mozzato tre dita. Adesso era un semplice sergente. "Di che cosa potrà trattarsi?" Ranocchio nemmeno immaginava che il comandante fosse a conoscenza della sua esistenza. Comunque Hungerford se n'era già andato, per cui non c'era tempo per delle domande. Potevano solo andare a prendere il bestione e presentarsi a rapporto come ordinato. «Non ammettete niente e siate pronti a combattere» disse Quentyn ai suoi amici. «Io sono sempre pronto a combattere» ribatté il bestione. Quando i dorniani arrivarono, il grande padiglione di tela da vele grigio che il principe Straccione amava chiamare il suo castello di stoffa era gremito. A Quentyn bastò un momento per capire che tutti quelli lì riuniti erano dei Sette Regni o si vantavano di avere sangue occidentale. "Esuli o figli di esuli." Dick Paglia sosteneva che nella Compagnia c'erano almeno sessanta uomini dell'Occidente; un terzo di loro era presente, compresi lo stesso Dick, Hugh Hungerford, Meris la Bella e Lewis Lanster dai capelli d'oro, il miglior arciere della Compagnia. C'era anche Denzo D'han, con l'enorme Caggo seduto accanto a lui. "Caggo l'Ammazzacadavere" lo chiamavano adesso, ma non glielo dicevano in faccia. S'infiammava facilmente e la spada nera ricurva che portava al fianco era cattiva quanto il suo possessore. Al mondo, c'erano centinaia di spade lunghe valyriane, ma solo una manciata di arakh valyriani. Né Caggo né Nestaris erano dell'Occidente, ma erano entrambi capitani e molto stimati dal principe Straccione. "Quei due sono il suo braccio destro e il suo braccio sinistro. C'è in ballo qualcosa di grosso." «Sono arrivati ordini da Yurkhaz» fu lo stesso principe Straccione a prendere la parola. «A quanto pare, i superstiti di Astapor sono strisciati fuori dai buchi dove si erano rintanati. Ad Astapor non rimane più niente, se non cadaveri, per cui la gente adesso si riversa nelle campagne. Sono centinaia, forse migliaia, tutti affamati e ammalati. Gli yunkai non li vogliono vicino alla loro città gialla. Abbiamo l'ordine di inseguirli e spingerli di nuovo ad Astapor, oppure a nord, verso Meereen. Se la regina dei draghi vuole accoglierli, faccia pure. Metà hanno la dissenteria e quelli in buona salute sono comunque bocche da sfamare.» «Yunkai è più vicino di Meereen» obiettò Hugh Hungerford. «E se non tornano indietro, mio lord?» «Per questo abbiamo spade e lance, Hugh. Per quanto gli archi sarebbero più utili. State lontano da quelli che mostrano segni di dissenteria. Manderò metà delle nostre forze nelle montagne. Cinquanta pattuglie, ciascuna di venti cavalieri. Barba Insanguinata ha avuto gli stessi ordini, perciò scenderanno in campo anche i Gatti.» Gli uomini si scambiarono delle occhiate, alcuni borbottarono sottovoce. La Compagnia del Vento e la Compagnia del ^>atto erano entrambe sotto ingaggio con Yunkai, ma un anno prima, nelle Terre Contese, si erano ritrovati su fronti opposti della linea di battaglia e fra loro correva ancora cattivo sangue. Barba Insanguinata, il selvaggio comandante dei Gatti, era un florido gigante con un feroce appetito per i massacri, che non nascondeva il proprio disprezzo per i "vecchi barbagrigia ricoperti di stracci". Dick Paglia si schiarì la gola. «Chiedo perdono, ma qui siamo tutti nati nei Sette Regni. Il mio lord non ha mai diviso la Compagnia in base al sangue o alla lingua. Perché mandarci tutti insieme?» «Buona domanda. Dovrete cavalcare a est, nel cuore delle montagne, poi fare un largo giro intorno a Yunkai e puntare su Meereen. Se incontrate uomini di Astapor, spingeteli a nord o uccideteli... ma sappiate che non è questo lo scopo della vostra missione. Al di là della città gialla, è quasi certo che vi imbatterete nelle pattuglie della regina dei draghi. Secondi Figli o Corvi della Tempesta. Gli uni o gli altri è lo stesso. Passate dalla loro parte.» «Passare dalla loro parte?» chiese il cavaliere bastardo, ser Orson Stone della Valle di Arryn. «Vorresti che voltassimo gabbana?» «Esattamente» confermò il principe Straccione. Quentyn Martell quasi scoppiò a ridere. "Gli dèi sono impazziti!" Gli uomini dell'Occidente erano chiaramente a disagio. Alcuni fissarono il vino che avevano nella coppa, come se sperassero di trovarvi un po' di senno. Hugh Hungerford corrugò la fronte. «Pensi che la regina Daenerys ci farà entrare...» «Penso di sì.» «... ma se lo fa, poi che cosa succede? Siamo spie? Assassini? Emissari? Hai forse intenzione di cambiare schieramento?» Caggo si accigliò. «Tocca al principe deciderlo, Hungerford. Tu devi solo fare come ti si dice.» «Sempre.» Hungerford alzò la mano con le due sole dita. «Siamo franchi» disse IDenzo D'han, il bardo guerriero. «Gli yunkai non ispirano nessuna fiducia. Quale che sia il risultato di questa guerra, la Compagnia del Vento dovrebbe condividere le spoglie della vittoria. Il nostro principe è saggio a tenere aperte tutte le strade.» «Meris avrà il comando» riprese il principe Straccione. «Conosce le mie intenzioni in questa faccenda... e Daenerys Targaryen potrebbe accettare meglio un'altra donna.» Quentyn lanciò un'occhiata a Meris la Bella. Quando i suoi gelidi occhi senza vita incrociarono i suoi, ebbe un brivido. "Non mi piace." Anche Dick Paglia aveva ancora dei dubbi. «La ragazza sarebbe sciocca a fidarsi di noi. Anche con Meris. Soprattutto con Meris. Io per primo non mi fido di lei e l'ho anche scopata un paio di volte.» Sogghignò, ma nessuno rise. Meri che meno Meris la Bella. «Credo che ti sbagli, Dick» disse il principe Straccione. «Voi venite tutti dall'Occidente. Parlate la stessa lingua, adorate gli stessi dèi. Quanto alle motivazioni, avete tutti subito dei torti da parte mia. Dick, te ti ho frustato più di ogni altro uomo della Compagnia e la tua schiena può dimostrarlo. Hugh ha perso tre dita per via della mia disciplina. Meris è stata stuprata da metà della Compagnia. Non da questa, è vero, ma non è necessario precisarlo. Will dei Boschi, be', tu sei solo lurido. Ser Orson mi biasima perché ho marito. "Altre preghiere che probabilmente rimarranno senza risposta. Il suo albero del cuore è sordo e cieco come il nostro Dio abissale." Robett Glover e suo fratello Galbart erano andati a sud con il Giovane Lupo. Se anche solo la metà delle storie che avevano sentito sulle Nozze Rosse erano vere, c'erano poche possibilità che tornasse a nord. "I suoi figli almeno sono vivi, grazie a me." Asha li aveva lasciati alle Dieci Torri, affidati alle sue zie. La figlia infante di lady Sybelle era ancora al seno, e l'aveva ritenuta troppo delicata per esporla ai rigori di un'altra traversata tempestosa. Spinse la lettera in mano al maestro. «Prendila. Lascia che lei trovi qualche conforto qui, se ci riesce. Hai il mio permesso di ritirarti.» Il maestro chinò la testa e se ne andò. Dopo che si fu allontanato, Tris Botley si rivolse ad Asha. «Se il Moat Cailin è caduto, Piazza di Torrhen seguirà presto. Poi sarà il nostro turno.» «Non ancora, per un po'. Mascella Spaccata li farà sanguinare.» piazza di Torrhen non era una rovina come il Moat Cailin, e Dagrnar era un uomo di ferro fino al midollo. Sarebbe morto piuttosto che arrendersi. "Se mio padre fosse stato ancora vivo, il Moat Cailin non sarebbe mai caduto." Balon Greyjoy sapeva che il Moat era la chiave per difendere il Nord. Anche Euron lo sapeva, ma semplicemente se ne fregava. Così come non si curava di quanto sarebbe accaduto a Deepwood Motte o a Piazza di Torrhen. «A Euron non interessano le conquiste di Balon. Mio zio è lontano, a caccia di draghi.» Occhio di Corvo aveva radunato tutte le forze delle Isole di Ferro a Vecchia Wyk ed era salpato verso il vasto mare del tramonto, con suo fratello Victarion che lo seguiva come un cane bastonato. A Pyke non era rimasto nessuno cui fare appello, a parte il suo stesso lord marito. «Siamo soli.» «Dagmar li schiaccerà» insistè Cromm, che non aveva mai amato nessuna donna metà di quanto amava una battaglia. «Sono solo lupi.» «I lupi sono stati uccisi tutti» disse Asha tormentando con l'unghia del pollice la ceralacca rosa. «Questi sono gli scuoiatori che li hanno trucidati.» «Dovremmo andare a Piazza di Torrhen e unirci alla lotta» propose Quenton Greyjoy, un suo lontano cugino e capitano della Ragazza mordace. «.Aye» concordò Dagon Greyjoy, un suo cugino ancora più lontano. Gli uomini lo chiamavano Dagon l'Ubriacone. Ma ubriaco o sobrio, amava combattere. «Perché Mascella Spaccata dovrebbe avere tutta la gloria per sé?» Due servitori di Galbart Glover portarono l'arrosto, ma quel brandello di pelle aveva fatto passare l'appetito ad Asha. "I miei uomini hanno abbandonato ogni speranza di vittoria" capì tristemente. "Ora tutto ciò che cercano è una buona morte." I lupi li avrebbero accontentati, non aveva dubbi. "Prima o poi verranno a riprendersi questo castello." Quando lasciò la sala di Galbart Glover, prese con sé la lettera. A sole stava calando dietro gli alti pini della Foresta del Lupo mentre Asha saliva gli scalini di legno per andare nella camera a letto che un tempo era stata di Galbart Glover. Aveva bevuto troppo e si sentiva la testa martellare. Asha Greyjoy voleva bene ai suoi uomini, sia ai capitani sia agli equipaggi, ma metà di loro erano degli stupidi. "Stupidi coraggiosi, ma comunque stupidi. Andare da Mascella Spaccata, certo, come se fosse facile..." Fra Deepwood e Dagmar c'erano molte leghe di distanza, aspre montagne, fitti boschi, fiumi impetuosi e più uomini del Nord di quelli che lei aveva voglia di contare. Asha disponeva di quattro navi lunghe e neppure duecento uomini... compreso Tristifer Botley, sul quale non poteva fare affidamento. Con tutti i suoi discorsi d'amore, non riusciva a immaginare Tris che si precipitava a Piazza di Torrhen per morire al fianco di Dagmar Mascella Spaccata. Qarl la seguì nella camera da letto di Galbart Glover. «Esci» gli disse. «Voglio stare da sola.» «No, tu vuoi stare con me.» Cercò di baciarla. Asha lo respinse. «Toccami di nuovo e...» «E che cosa?» Qarl estrasse il pugnale. «Spogliati, ragazza.» «Fottiti, cane imberbe.» «Preferisco fottere te.» Un rapido fendente le slacciò il farsetto. Asha prese l'ascia, ma Qarl lasciò cadere il pugnale, le afferrò il polso e glielo torse dietro la schiena fino a farle cadere l'arma dalle dita. La spinse indietro, sul letto di Glover, la baciò con violenza e le strappò la veste facendo sbottare fuori i seni. Quando lei cercò di dargli un calcio all'inguine, Qarl si scansò e con le ginocchia la costrinse ad allargare le gambe. «Io ti prendo ora.» «Provaci» sputò lei «e ti sgozzo mentre dormi.» Asha era bagnata fradicia quando lui la penetrò. «Maledetto» gli disse. «Maledetto maledetto maledetto.» Qarl le succhiò i capezzoli finché lei non si mise a piangere, metà di dolore, metà di piacere. La sua fica diventò il mondo. Lei dimenticò il Moat Cailin, Ramsay Bolton e il piccolo pezzo di pelle umana scritto con il sangue, dimenticò il Concilio, il suo fallimento, l'esilio, i nemici e suo marito. Contavano solo le mani di Qarl, la sua bocca, le sue braccia intorno a lei, il suo cazzo dentro di lei. Qarl la scopò fino a farla gridare e poi di nuovo fino a farla piangere, prima di spargerle infine il seme nel ventre. «Sono maritata» gli ricordò lei dopo. «Mi hai saccheggiato, cane imberbe. Il lord mio marito ti taglierà le palle e ti vestirà da donna.» Qarl rotolò di lato. «Solo se riuscirà a lasciare lo scranno.» La stanza era fredda. Asha si alzò dal letto di Galbart Glover e si tolse gli abiti strappati. Per il farsetto sarebbero bastati dei lacci nuovi, ma la tunica era rovinata. "Tanto non mi è mai piaciuta." La gettò nelle fiamme. Il resto lo lasciò in un mucchio vicino al letto. Le facevano male i seni, e il seme di Qarl le colava sulla coscia. Avrebbe dovuto prepararsi un po' di tè di luna o rischiare di mettere al mondo un altro kraken. "Che importa? Mio padre è morto, mia madre sta morendo, mio fratello lo stanno scuoiando e io non posso fare niente per loro. Sono maritata e portata a letto... ma non dallo stesso uomo." Quando s'infilò di nuovo sotto le pellicce, Qarl era addormentato. «Ora la tua vita è mia. Dove ho messo il pugnale?» Si strinse contro la schiena di lui e lo circondò con le braccia. Nelle isole era conosciuto come Qarl la Fanciulla, in parte per distinguerlo da Qarl il Pastore, Qarl Kenning il Bizzarro, Qarl Ascia-veloce e Qarl lo Schiavo, ma soprattutto per le sue guance lisce. La prima volta che Asha l'aveva incontrato, Qarl stava cercando di farsi crescere la barba. "Peluria di pesca" l'aveva definita lei, ridendo. Qarl aveva confessato di non avere mai visto una pesca, così lei gli aveva proposto di accompagnarla nel suo prossimo viaggio a sud. Allora era ancora estate, Robert Baratheon sedeva sul Trono di Spade, Balon Greyjoy rimuginava sul Trono del Mare, e i Sette Regni erano in pace. Asha veleggiava sulla Vento nero lungo costa e commerciava. Fecero scalo a Isola Bella e a Lannisport e in una ventina di porti più piccoli prima di raggiungere Arbor, dove le pesche erano sempre grosse e dolci. «Vedi» gli aveva "'etto, la prima volta che aveva avvicinato una pesca alla guancia di Qarl. Quando gli aveva fatto dare un morso, il succo gli era colato sul mento e lei l'aveva baciato tutto per pulirlo. Avevano trascorso la notte a mangiare pesche e a divorarsi a vicenda, e il giorno dopo Asha era sazia e appiccicosa, e felice come mai prima. "È stato sei o sette anni fa?" L'estate era un ricordo che sbiadiva ed erano passati tre anni dall'ultima volta e aveva gustato una pesca. Però si godeva ancora Qarl. Capi-ani e re potevano anche non desiderarla, ma lui sì. Asha aveva avuto altri amanti: alcuni avevano diviso il letto con lei per metà anno, altri per metà notte. Qarl le piaceva più di tutti gli altri messi insieme. Poteva anche radersi una volta ogni quindici giorni, ma una barba ispida non fa l'uomo. Le piaceva la sensazione della sua pelle morbida sotto le dita. Le piaceva il modo in cui i suoi capelli lunghi e lisci sfioravano le spalle. Le piaceva come baciava. Le piaceva come sogghignava quando lei gli passava i pollici sui capezzoli. I peli fra le sue gambe erano del colore della sabbia, più scuri dei capelli, ma sottili come lanugine a confronto del ruvido cespuglio nero che lei aveva intorno al sesso. Le piaceva anche quello. Lui aveva un corpo da nuotatore, lungo e flessuoso, senza cicatrici. "Un sorriso dolce, braccia forti, dita abili e due spade sicure. Che cosa può desiderare di più una donna?" L'avrebbe sposato volentieri, ma era la figlia di lord Balon e lui un uomo del popolo, nipote di uno schiavo. "Di rango troppo basso perché io lo sposi, ma non troppo basso perché non debba succhiargli il cazzo." Ebbra, sorridente, strisciò sotto le pellicce e glielo prese in bocca. Qarl si agitò nel sonno e, dopo un momento, cominciò a indurirsi. Quando fu di nuovo duro, lui era sveglio e lei bagnata. Asha era ancora a Dieci Torri a fare provviste, quando le era eiunta notizia del suo matrimonio. «La mia nipote testarda ha bisogno di essere domata» correva voce che Occhio di Corvo avesse detto «e io conosco l'uomo adatto.» L'aveva data in moglie a Erik il Fabbro, incaricando lo stesso Distruttore di incudini di governare le Isole di Ferro mentre lui andava a caccia di draghi. Ai suoi tempi, Erik era stato un grande uomo, un intrepido predone che poteva vantarsi di aver navigato con il nonno del nonno di Asha, quello stesso Dagon Greyjoy da cui Dagon l'Ubriacone aveva preso il nome. Le vecchie di Isola Bella ancora spaventavano i nipotini con le storie di lord Dagon e dei suoi uomini. "Ho ferito l'orgoglio di Erik al Concilio" rifletté Asha. "Non è tipo da dimenticarlo." Eppure, doveva riconoscere a suo zio quanto gli era dovuto. Con un colpo solo, Euron aveva tramutato un rivale in un sostenitore, messo al sicuro le isole durante la sua assenza e tolto di mezzo la minaccia rappresentata da Asha. "E si è anche spanciato dalle risate." Tris Botley aveva detto che Occhio di Corvo aveva usato una foca al posto di Asha durante le nozze. «Mi auguro che Erik non abbia insistito per consumare il matrimonio» aveva risposto lei. "Non posso andare a casa" pensò "ma non oso trattenermi ancora qui." La quiete della foresta la innervosiva. Asha aveva passato la vita sulle isole e a bordo di navi. Il mare non era mai silenzioso. Lei aveva nel sangue il rumore delle onde contro gli scogli, ma a Deepwood Motte non c'erano onde... solo alberi, alberi infiniti, pini-soldato e alberi-sentinella, faggi, frassini e querce antiche, castagni, carpini e abeti. Il loro rumore era più delicato di quello del mare e Asha lo sentiva solo quando soffiava il vento. Un mormorio che pareva giungere da tutte le Parti intorno a lei, come se gli alberi bisbigliassero in una lingua a lei incomprensibile. Quella notte, il mormorio pareva più forte del solito. "Un trambusto di morte foglie marroni" pensò Asha. "Rami spogli che scricchiolano nel vento." Voltò le spalle alla finestra, alla resta. "Ho bisogno di sentire di nuovo una tolda sotto i piedi, altrimenti di un po' di cibo nello stomaco." Quella sera aveva mandato giù troppo vino, ma troppo poco pane e neanche un boccone di quel grande arrosto al sangue. Il chiarore della luna era abbastanza vivido da permetterle di trovare i suoi vestiti. Indossò un paio di spesse brache nere, una tunica imbottita e un farsetto di pelle verde con lamine d'acciaio parzialmente sovrapposte. Lasciando Qarl ai suoi sogni, scese la scala esterna del mastio, i gradini scricchiolavano sotto i piedi scalzi. Un uomo di sentinella sui bastioni la vide scendere e alzò la lancia. Asha gli rispose con un fischio. Mentre attraversava la corte interna per recarsi nelle cucine, i cani di Galbart Glover si misero ad abbaiare. "Meglio" pensò Asha. "Almeno coprono il rumore degli alberi." Stava tagliando un pezzo di formaggio giallo da una forma grande come la ruota di carro, quando Tris Botley entrò nella cucina, avvolto in un mantello di folta pelliccia. «Mia regina» la salutò. «Non prendermi in giro.» «Regnerai sempre sul mio cuore. Nessun coro di stupide grida in un Concilio può cambiare la realtà.» "Che cosa devo fare con questo bamboccio?" Asha non dubitava della sua devozione. Non solo era stato il suo campione sulla collina di Nagga e gridato il suo nome, ma aveva anche attraversato il mare per unirsi a lei, abbandonando il re, i suoi consanguinei e la sua casa. "Ma non ha osato sfidare Euron faccia a faccia." Quando Occhio di Corvo aveva riportato la flotta di Ferro in mare, Tris si era limitato a restare indietro, cambiando andatura solo quando le altre navi sparivano dalla vista. Anche quello però richiedeva un certo coraggio. Neppure lùi sarebbe mai potuto tornare alle isole. «Formaggio?» gli chiese Asha. «C'è anche prosciutto, e senape.» «Non è cibo che voglio, milady. Lo sai.» A Deepwood Motte Tris si era fatto crescere una folta barba castana. Sosteneva che gli tenesse la faccia al caldo. «Ti ho visto dalla torre di guardia.» «Se sei di guardia, che cosa ci fai qui?» «Lassù c'è Cromm. E anche Hagen del Corno. Di quanti occhi abbiamo bisogno per guardare le foglie stormire al chiaro di luna? Dobbiamo parlare.» «Di nuovo?» sospirò Asha. «Conosci la figlia di Hagen, quella con i capelli rossi. Regge il timone di una nave come un uomo, e di viso non è certo brutta. Ha diciassette anni e l'ho vista che ti guardava.» «Non voglio la figlia di Hagen.» Mosse la mano per toccarla, noi ci ripensò. «Asha, è ora di partire. Il Moat Cailin era l'unica cosa cha tratteneva ancora la marea. Se restiamo qui, gli uomini del Nord ci uccideranno tutti, lo sai.» «Vorresti che fuggissi?» «Vorrei che tu continuassi a vivere, li amo.» "No" pensò lei "tu ami una fanciulla innocente che vive solo nella tua testa, una bambina spaventata che ha bisogno della tua protezione." «Io invece non ti amo» replicò aspramente Asha «e non scappo.» «A parte i pini, il fango e i nemici, che cosa c'è che ti trattiene qui con tanta forza? Abbiamo le nostre navi. Salpa con me, e ci faremo una nuova vita in mare.» «Come pirati?» L'idea era quasi allettante. "Lascia ai lupi le loro buie foreste, e riprendi il mare aperto." «Come mercanti» insistè Tris. «Andremo a est, la stessa rotta di Occhio di Corvo, ma torneremo con sete e spezie al posto di un corno di drago. Un solo viaggio nel Mare di Giada e saremo ricchi come dèi. Potremo avere una casa a Vecchia Città, o in una delle città libere.» «Tu, io e Qarl?» Al nome di Qarl, lo vide trasalire. «Alla figlia di Hagen potrebbe piacere l'idea di salpare con te per il Mare di Giada. Io sono ancora la figlia del kraken. Il mio posto è...» «... dove? Non puoi tornare alle isole. A meno di sottometterti al lord tuo marito.» Asha cercò d'immaginarsi a letto con Erik il Fabbro, schiacciata sotto il suo peso, a patire i suoi abbracci. "Meglio lui che il Rematore Rosso o Lucas Codd il Mancino." Un tempo il Distruttore di incudini era stato un brutale gigante, spaventosamente forte, assolutamente fedele e indomito. "Forse non sarebbe poi male. È Probabile che muoia la prima volta che cerca di assolvere al suo dovere di marito." Se fosse accaduto, anziché la moglie di Erik, ei sarebbe stata la vedova di Erik. Il che poteva essere meglio ° molto peggio, a seconda dei suoi nipoti. "E di mio zio. Alla me, ogni vento mi spinge di nuovo verso Euron." «Ho degli ostaggi, a Harlaw» Asha ricordò a Tris. «E c'è sem- pre Punta del Drago marino... Se non posso avere il reame di mio padre, perché non farmene uno tutto mio?» Punta del Drago marino non era sempre stata scarsamente popolata come adesso. Tra le montagne e gli acquitrini si trovavano ancora delle vecchie rovine, i resti di antiche fortezze dei primi uomini. Nei luoghi più alti c'erano dei cerchi di alberi-diga lasciati dai figli della foresta. «Ti aggrappi a Punta del Drago marino come chi annegando si aggrappa a un relitto. Che cos'ha di desiderabile Punta del Drago marino? Non ci sono miniere, non c'è oro, argento, né stagno o ferro. La terra è troppo umida per coltivare mais o frumento.» "Non ho intenzione di piantare mais o frumento." «Vuoi sapere che cosa c'è lì? Te lo dico subito. Due lunghe linee costiere, centinaia di calette nascoste, lontre nei laghi, salmoni nei fiumi, molluschi lungo la riva, colonie di foche al largo, alti pini per costruire navi.» «E chi costruirà quelle navi, mia regina? Dove vostra grazia troverà i sudditi per il suo regno, se gli uomini del Nord ti consentiranno di averlo? O conti forse di governare un regno di lontre e foche?» Asha rise mestamente. «È più facile governare le lontre che non gli uomini, te l'assicuro. E le foche sono più intelligenti. No, forse hai ragione. La rotta migliore per me potrebbe ancora essere tornare a Pyke. A Harlaw c'è ancora chi mi accoglierebbe con piacere. Anche a Pyke. Ed Euron quando ha ucciso lord Baelor non si è di certo fatto degli amici a Blacktyde. Potrei cercare mio zio Aeron, far sollevare le isole.» Dopo il Concilio sulla collina di Nagga, nessuno aveva più visto Capelli bagnati, ma i suoi seguaci, gli Annegati, sostenevano che si nascondesse a Grande Wyk e che presto sarebbe tornato allo scoperto, a evocare lo sdegno del Dio abissale contro Occhio di Corvo e i suoi tirapiedi. «Anche il Distruttore di incudini è alla ricerca di Capelli bagnati. Dà la caccia agli Annegati. Beron Blacktyde il Cieco è stato preso e interrogato. Perfino il La corte intermedia di Deepwood Motte era piena di persone spaventate. I suoi uomini si affannavano a indossare l'armatura o salivano sui camminamenti. La gente di Galbart Glover guardava con faccia atterrita e si scambiava bisbigli. L'attendente di Glover dovette essere portato su dallo scantinato, avendo perso una gamba quando Asha aveva preso il castello. Il maestro protestò rumorosamente finché Lorren non gli piantò un pugno coperto di maglia di ferro in mezzo alla faccia. Lady Glover uscì dal parco degli dèi sotto braccio della sua serva scaldaletto. «Ti avevo avvertito che questo giorno sarebbe arrivato, milady» disse vedendo i cadaveri sul terreno. Il maestro venne avanti, con il sangue che gli gocciolava dal naso fratturato. «Lady Asha, ti supplico, ammaina i vessilli e lascia che sia io a negoziare per la tua vita. Ci hai trattati in modo giusto e onorevole. Lo farò loro presente.» «H scambieremo con i bambini» disse Sybelle Glover. Aveva gli occhi rossi per le lacrime e le notti insonni. «Gawen adesso a quattro anni. Non abbiamo potuto festeggiare il giorno del suo compleanno. E la mia dolce bambina... rendimi i figli e non 1 sarà fatto alcun male. Né a te né ai tuoi uomini.» L ultima parte era una menzogna, Asha lo sapeva. Lei sareb- be stata scambiata, forse, e rispedita nelle Isole di Ferro, fra le amorevoli braccia di suo marito. Anche i suoi cugini sarebbero stati riscattati, al pari di Tris Botley e forse qualche altro della sua compagnia, quelli i cui consanguinei avevano conio sufficiente per ricomprarli. Per tutti gli altri ci sarebbero stati l'ascia, il cappio o la Barriera. "Tuttavia hanno il diritto di scegliere" pensò Asha. Salì su un barile in modo che tutti la potessero vedere. «I lupi stanno arrivando su di noi con le zanne snudate. Saranno alle nostre porte prima che spunti il sole. Getteremo a terra lance e asce, e supplicheremo che ci risparmino?» «No» gridò Qarl la Fanciulla estraendo la spada. «No» lo imitò Lorren Lunga Ascia. «No» tuonò Rolfe il Nano, un orso d'uomo che superava di una testa ogni altro membro del suo equipaggio. «Mai.» E dall'alto risuonò ancora il corno di Hagen, riecheggiando nella corte intermedia. AHooooooooooooooooooooooo, gridò il corno di guerra, un suono lungo e profondo da far cagliare il sangue. Asha aveva cominciato a odiare il suono dei corni. A Vecchia Wyk l'infernale corno di suo zio aveva suonato un presagio di morte per i suoi sogni. E ora Hagen stava suonando quella che forse sarebbe stata la sua ultima ora sulla terra. "Se devo morire, morirò con un'ascia in pugno e una maledizione sulle labbra." «Alle mura!» ordinò Asha Greyjoy ai suoi uomini. Si diresse verso la torre di guardia, con Tris Botley a un passo dietro di lei. La torre di legno era la struttura più alta da quel lato delle montagne: superava di venti piedi gli svettanti pini-soldato e alberi-sentinella dei boschi intorno. «Là, capitano» indicò Cromm, quando lei arrivò sulla piattaforma. Asha vide solo alberi e ombre, le alture illuminate dalla luna e dietro i picchi innevati. Poi si accorse che gli alberi, lentamente, si stavano avvicinando. «Ah, ah» rise. «Le capre di montagna si sono ammantate con rami di pino.» I boschi erano in movimento, strisciavano verso il castello come una lenta marea verde. Asha ripensò a una storia sentita da bambina, sui figli della foresta e le loro battaglie con i primi uomini, quando i figli della foresta avevano trasformato gli alberi in guerrieri. «Non possiamo combattere con così tanti nemici» disse Tris Botley. «Possiamo combattere con tutti quelli che si fanno avanti, bamboccio» replicò Cromm in tono deciso. «Più ce ne sono, più c'è gloria. Gli uomini canteranno di noi.» "Aye, ma canteranno del vostro coraggio o della mia follia?" Il mare era lontano cinque leghe buone. Non avrebbero fatto meglio a resistere e combattere dietro i profondi fossati e le mura di legno di Deepwood Motte? "Ai Glover, queste stesse mura di legno sono servite a ben poco, quando ho preso il loro castello" rammentò Asha a se stessa. "Perché dovrebbero aiutarmi di più?" «Domani banchetteremo sotto il mare» disse Cromm, lisciando la scure, quasi non potesse più aspettare. Hagen abbassò il corno. «Se moriamo con i piedi asciutti, come troveremo la strada per le magioni sommerse del Dio abissale?» «Quei boschi sono pieni di torrenti» gli assicurò Cromm. «Tutti portano a dei fiumi, e tutti i fiumi portano al mare.» Asha non era pronta a morire, non lì, non ancora. «Un uomo vivo può trovare il mare più facilmente di un uomo morto. Che i lupi si tengano i loro boschi lugubri. Noi andiamo alle nostre navi.» Si domandò chi fosse al comando dei nemici. "Se fossi io, prima di dare l'assalto a Deepwood, occuperei la riva e darei fuoco alle nostre navi lunghe." Ma per i lupi non sarebbe stata un'impresa facile, soprattutto non avendo navi proprie. Asha non portava mai a riva più di metà della flotta. Il resto restava al sicuro in mare aperto, con l'ordine di alzare le vele e dirigersi a Punta del Drago marino se gli uomini del Nord avessero preso la riva. «Hagen, suona il corno e fa' tremare la foresta. Tris, mettiti una cotta di maglia, è ora di collaudare la tua splendida spada.» Quando vide com'era pallido gli pizzicò la guancia. «Fa' schizzare insieme a me un po' di sangue sulla luna, e ti prometto un bacio per ogni uomo che ucciderai.» «Mia regina» disse Tristifer «qui ci sono le mura, ma se arriviamo al mare e scopriamo che i lupi si sono presi le nostre navi o le hanno fatte allontanare...» «... moriremo» completò lei allegramente. «Ma almeno mo-m° c°n i piedi bagnati. Gli uomini di ferro combattono meglio con gli spruzzi salmastri nelle narici e il rumore delle onde alle spalle.» Hagen suonò il corno, tre suoni brevi in rapida successsione, il segnale che avrebbe richiamato gli uomini di ferro alle navi. Dal basso giunsero delle grida, sferragliare di lance e spade, nitriti di cavalli. "Troppi pochi cavalli e troppi pochi cavalieri" pensò Asha. Si diresse verso le scale. Nella corte intermedia trovò Qarl la Fanciulla in attesa: le aveva portato la sua giumenta saura, l'elmo da guerra e le asce da lancio. Gli uomini di ferro stavano facendo uscire i cavalli dalle stalle di Galbart Glover. «Un ariete!» gridò una voce dalle mura. «Hanno un ariete!» «A quale porta?» chiese Asha, montando in sella. «La nord!» Da lontano, oltre le muschiose mura di legno di Deepwood Motte, giunse un improvviso squillo di trombe. "Trombe?" pensò Asha. "Lupi con le trombe?" C'era qualcosa che non andava, ma non aveva il tempo di pensarci. «Aprite la porta sud» ordinò, mentre quella nord veniva scossa dall'impatto con l'ariete. Dalla cinghia di traverso sulla spalla, Asha staccò un'ascia da lancio con il manico corto. «L'ora del gufo è passata, fratello mio. Adesso arriva l'ora della lancia, della spada, dell'ascia. Tutti schierati. Torniamo a casa.» Da un centinaio di gole provenne un ruggito. «Casal» e «Asha!» Tris Botley la raggiunse al galoppo su un destriero roano. Nella corte intermedia, i suoi uomini serrarono le fila, tenendo alti gli scudi e le lance. Qarl la Fanciulla, senza cavallo, prese posto fra Linguatetra e Lorren Lunga Ascia. Mentre Hagen scendeva di corsa gli scalini della torre da guardia, una freccia scagliata dai lupi lo colpì al ventre facendolo sfracellare a terra. Sua figlia corse da lui, gemendo. «Trascinatela via» ordinò Asha. Non era tempo per piangere i morti. Rolfe il Nano trascinò la ragazza in sella, i capelli di lei come una nube rossa nel vento. Asha sentì la porta nord cigolare sotto un altro colpo di ariete. "Forse dovremo aprirci la strada in mezzo a loro" pensò, mentre la porta sud si spalancava. Invece la via era sgombra. "Ma per quanto?" «Fuori!» Asha cacciò i talloni nei fianchi della giumenta. Uomini e cavalli trottavano insieme quando raggiunsero gli alberi, sul lato più lontano del campo fradicio dove germogli morti di frumento invernale marcivano sotto la luna. Asha tenne i suoi cavalieri di retroguardia, per far avanzare gli sbandati e non abbandonare indietro nessuno. Alti pini- soldato e vecchie querce nodose si chiusero intorno a loro. Deepwood, bosco profondo, era il nome giusto. Gli alberi erano enormi e scuri, in qualche modo minacciosi. I rami s'intrecciavano e scricchiolavano a ogni alito di vento. Quelli più alti graffiavano la faccia della luna. "Prima saremo fuori di qui e meglio mi sentirò" pensò Asha. "Gli alberi odiano tutti noi, nel profondo del loro cuore di legno." Si diressero rapidamente a sud e poi a sudovest, finché le torri di legno di Deepwood Motte non sparirono alla vista e gli squilli delle trombe non furono Linguatetra stava contando gli uomini del Nord man mano c e li uccideva. Gridò: «Quattro» mentre uno crollava a terra. inque» un attimo dopo. I cavalli nitrivano, scalciavano e roteavano gli occhi, atterriti, impazziti per il massacro e per l'odore di sangue... Tutti tranne il grande destriero roano di Tris Botley. Tris era riuscito a montare in sella. Il roano s'impennò, torcendosi su se stesso, mentre Tris menava colpi di spada. "Gli dovrò qualche bacio prima che la notte finisca" pensò Asha. «Sette» gridò Linguatetra, ma accanto a lui Lorren Lunga Ascia crollò in modo scomposto, con una gamba distorta sotto di sé. E dalla foresta, le ombre continuavano ad arrivare, gridando e frusciando. "Stiamo combattendo contro delle piante" pensò Asha, mentre apriva il ventre di un uomo che aveva addosso più foglie di molti degli alberi lì intorno. A quel pensiero scoppiò a ridere. Quella risata le attirò addosso altri lupi, che lei sterminò l'uno dopo l'altro. Si domandò se non dovesse cominciare a contarli anche lei. "Sono una donna sposata e qui c'è il mio poppante." Spinse la daga nel petto di un uomo del Nord, trapassando pelliccia, lana e cuoio bollito. La faccia dell'uomo era talmente vicino alla sua che sentì il fetore acre del suo alito. La sua mano le stringeva la gola. Asha sentì il ferro raschiare contro l'osso, quando la punta della sua daga scivolò su una costola. L'uomo ebbe uno spasmo e morì. Nel lasciare andare il corpo, Asha si sentì così debole che rischiò di cadérgli addosso. Più tardi si trovò schiena contro schiena con Qarl, ascoltando i grugniti e le imprecazioni tutt'intorno a loro: uomini coraggiosi che strisciavano fra le ombre piangendo per la propria madre. Un cespuglio l'assalì con una lancia abbastanza lunga da perforare il ventre a lei e la schiena a Qarl, trafiggendoli insieme. "Meglio che morire da sola" pensò, ma suo cugino Quenton uccise l'uomo con la lancia prima che li raggiungesse. Un attimo più tardi, un altro cespuglio uccise Quenton alle spalle, con un colpo d'ascia alla base del cranio. Dietro di lei Linguatetra gridò: «Nove, maledetti tutti». La figlia di Hagen sbucò, nuda, da sotto gli alberi, con due lupi alle calcagna. Asha afferrò un'ascia da lancio e la scagliò colpendo uno dei due alla schiena. Quando l'uomo schiantò a terra, la figlia di Hagen si lasciò cadere sulle ginocchia, afferrò la spada del morto, trafisse il secondo uomo, poi si rialzò, sporca di sangue e di fango, con i lunghi capelli rossi al vento, e si rituffò nella mischia. A un certo punto, nel flusso e riflusso della battaglia, Asha perse di vista Qarl, Tris, tutti quanti. Erano sparite anche la sua daga e tutte le asce da lancio; adesso impugnava una spada, una spada corta dalla lama larga e spessa, una specie di mannaia. Neanche a costo della vita avrebbe saputo dire come le fosse capitata in mano. Aveva il braccio indolenzito, il sapore del sangue in bocca e le tremavano le gambe. Strali della pallida luce dell'alba penetravano di sbieco fra gli alberi. "È da così tanto che stiamo combattendo?" Il suo ultimo nemico era un uomo del Nord armato d'ascia, un bruto calvo e barbuto, con addosso un usbergo di maglia rattoppata e arrugginita che poteva indicare solo che era un capo o un campione. Non fu contento di trovarsi a combattere contro una donna. «Fica di merda!» ruggiva a ogni fendente, schizzandole le guance di saliva. «Fica di merda! Fica di merda!» Asha avrebbe voluto inveire contro di lui, ma aveva la gola talmente secca che riusciva appena a grugnire. L'ascia del nemico le stava facendo a pezzi lo scudo, scheggiando il legno a ogni fendente e strappando lunghe schegge chiare quando poi risaliva. Presto Asha avrebbe avuto solo un intrico di stuzzicadenti al braccio. Arretrò, si sbarazzò dello scudo devastato, poi arretrò ancora un po' e danzò a sinistra e a destra e di nuovo a sinistra per evitare il fendente dell'ascia. E poi si trovò a picchiare la schiena contro un albero. Fine delle danze: non avrebbe più potuto schivare i colpì. Il lupo alzò l'ascia sopra la testa per spaccare in due quella di lei. Asha cercò di schivare alla sua destra, ma aveva i piedi impigliati nelle radici, era in trappola. Si contorse, perse l'appoggio e l'ascia le sbatté contro la tempia, con uno stridore di acciaio sull'acciaio. Il mondo diventò rosso e nero e di nuovo rosso. Sentì il dolore risalirle la gamba come una folgore, e da molto lontano udì 1 uomo del Nord latrare: «Maledetta fica di merda!», mentre alzava l'ascia per il colpo conclusivo. Uno squillo di tromba. C'è qualcosa che non va" pensò Asha. "Non ci sono trombe nelle magioni sommerse del Dio abissale. Sotto le onde, le lance sommerse salutano il loro lord soffiando nelle conchiglie." Sognò cuori rossi in fiamme e un cervo nero in un bosco dorato, con delle fiamme che fuoriuscivano dalle corna ramificate. TYRION Mentre stavano per raggiungere Volantis, il cielo era violaceo a ovest e nero a est, e cominciavano a spuntare le stelle. "Le medesime stelle che brillano in Occidente" rifletté Tyrion Lannister. Avrebbe potuto trarre un po' di conforto da questa considerazione, se non fosse stato legato come un pollo e agganciato a una sella. Aveva rinunciato a contorcersi. I nodi erano troppo stretti. Per cui si era afflosciato come un sacco di farina. "Così conservo le forze" aveva pensato, ma non avrebbe saputo dire in vista di che cosa. Volantis chiudeva le porte al calare del buio e le guardie alla porta nord stavano mugugnando, irritate con i ritardatari. Si misero in coda dietro a un carro carico di arance e limoni. Le guardie mossero le torce per far passare il carro, ma scrutarono attentamente il grosso andalo sul destriero, cón la spada lunga e la cotta di maglia. Chiamarono il capitano. Mentre lui e il cavaliere scambiavano qualche parola nella lingua di Volantis, una guardia si tolse il guanto munito di artigli e lisciò la testa a Tyrion. «Porto tantissima fortuna, io» gli disse Tyrion. «Taglia queste corde, amico, e sarai ricompensato.» L'uomo che lo aveva catturato lo udì. «Conserva le menzogne per quelli che parlano la tua lingua, Folletto» disse quando le guardie gli fecero segno di procedere. Allora avanzarono, attraverso la porta e oltre le mura massicce della città. «Tu parli la mia lingua. Posso smuoverti con delle promesse o sei deciso a comprarti un titolo di lord... con la mia testa?» «Ero un lord, per diritto di nascita. Non sono interessato a titoli vuoti.» «Saranno tutto ciò che otterrai dalla mia dolce sorella.» «Ho sentito dire che un Lannister ripaga sempre i propri debiti.» «Oh, certo, fino all'ultimo conio... però mai una moneta d'argento di più, mio lord. Avrai il pasto per cui hai mercanteggiato, ma non sarà insaporito da nessuna gratitudine, e alla fine non ti nutrirà.» «Forse quello che voglio è solo che tu paghi per i tuoi crimini. Un assassino di consanguinei è maledetto agli occhi degli dèi e degli uomini.» «Gli dèi sono ciechi e gli uomini vedono solo quello che vogliono vedere.» «Io ti vedo abbastanza chiaramente, Folletto.» Qualcosa di tenebroso si era insinuato nel tono del cavaliere. «Ho fatto cose di cui non mi vanto, cose che hanno portato vergogna alla mia casa e al nome di mio padre... ma uccidere il proprio padre? Come può un uomo fare questo?» «Dammi una balestra e tirati giù le brache, che te lo dimostro.» "Con gioia." «Pensi che sia tutto uno scherzo?» «La vita è uno scherzo. La tua, la mia, quella di ognuno.» Dentro le mura della città oltrepassarono sedi di gilde, mercati e bagni pubblici. Fontane spruzzavano e gorgogliavano al centro di ampie piazze dove gli uomini sedevano ai tavolini di pietra, muovendo i pezzi della cyvasse e sorseggiando vino da calici di vetro mentre gli schiavi accendevano eleganti lanterne per scacciare le tenebre. Palme e cedri crescevano lungo le strade acciottolate e a ogni incrocio monumenti si ergevano. Gran parte delle statue era senza testa, notò il Folletto, eppure anche decapitate riuscivano ad apparire imponenti nel viola del crepuscolo. Man mano che il destriero costeggiava il fiume verso sud, * botteghe diventarono più piccole e misere, gli alberi lungo strade lasciarono il posto a una fila di ceppi. I ciottoli sotto 1 zoccoli del cavallo furono sostituiti dalla gramigna, poi da fango molle color merda di infante. I ponticelli sopra i torrenti che alimentavano la Rhoyne emettevano allarmanti cigolii sotto il loro peso. Dove un tempo si ergeva un forte a sovrastare il fiume, adesso c'era un portale distrutto, spalancato come la bocca sdentata di una vecchia. Si vedevano delle capre che scrutavano dai parapetti. ardevano accanto alle gradinate del tempio ed era lì che il gran sacerdote aveva iniziato a parlare. "Benerro." Il sacerdote era in cima a un pilastro di pietra rossa, collegato da un esile ponte di pietra all'alta terrazza dove stavano i sacerdoti di rango inferiore e gli accoliti. Questi ultimi indossavano tuniche giallo chiaro e arancione brillante, mentre i sacerdoti e le sacerdotesse vestivano di rosso. La folla nella grande piazza era compatta come un muro-Molti fedeli portavano un brandello di stoffa rossa appuntato sulla manica o stretto intorno alla fronte. Tutti gli occhi erano puntati sul gran sacerdote. «Fate passare» ringhiò il cavaliere, mentre il cavallo fendeva la folla. «Fate largo.» La gente si spostava, risentita, con brontolìi di protesta e occhiate torve. La voce tonante di Benerro arrivava lontano. Alto e magro, il sacerdote aveva il visto tirato e la pelle bianca come latte. Le fiamme tatuate sulle guance, sul mento e sulla testa rasata formavano una vivida maschera rossa con un'apertura intorno agli occhi e che avvolgeva la bocca quasi priva di labbra. «È un tatuaggio da schiavo?» chiese Tyrion. Il cavaliere annuì. «Il Tempio Rosso li compra bambini e li fa sacerdoti o prostitute del tempio, oppure guerrieri. Guarda là.» Indicò la gradinata, dove una fila di uomini in un'elaborata armatura e cappa arancione era schierata davanti al portale del tempio, reggendo lance dalla punta simile a fiamme guizzanti. «La Mano di Fuoco. Le sacre milizie del Signore della luce, difensori del tempio.» "Cavalieri di fuoco." «E, di grazia, quante dita ha questa mano?» «Mille. Mai una di più, mai una di meno. Una nuova fiamma viene attizzata ogni volta che una si estingue.» Benerro puntò con un dito la luna, strinse il pugno, allargò le braccia. Quando la sua voce si alzò in un crescendo, le fiamme gli scaturirono dalle dita con un sibilo improvviso. La folla restò senza fiato. Il sacerdote tracciò anche delle lettere infuocate nell'aria. "Geroglifici di Valyria" pensò Tyrion. Ne riconobbe due su dieci circa. Uno significava distruzione, l'altro tenebre. Alte grida si levarono dalla folla. Le donne piangevano, gli uomini agitavano il pugno. "Ho dei brutti presagi" pensò il nano. Ripensò al giorno in cui Myrcella era salpata per Dome e mentre loro tornavano alla Fortezza Rossa erano scoppiate le sommosse. Haldon il Mezzo-maestro aveva parlato di usare il sacerdote rosso a vantaggio di Griff il Giovane, ricordò Tyrion. Ora che aveva visto e ascoltato quell'uomo, gli parve una pessima idea. augurò che Griff avesse più buonsenso. "Alcuni alleati sono q Pericolosi dei nemici. Ma lord Connington lo capirà da solo, anto a me, sarò solo una testa su una picca." Il sacerdote stava indicando la Muraglia Nera dietro al tempio, e i parapetti da dove una manciata di guardie in armatura guardava verso il basso. «Che cosa sta dicendo?» chiese Tyrion al cavaliere. «Che Daenerys è in pericolo. L'occhio tenebroso è caduto su di lei e i servi della notte complottano per distruggerla, pregando i loro falsi dèi in templi dell'inganno... cospirando il tradimento con forestieri senza dio...» Tyrion si sentì rizzare i capelli sulla nuca. "Qui il principe Aegon non troverà dei sostenitori." Il sacerdote rosso parlava di un'antica profezia, che annunciava l'arrivo di un eroe per liberare il mondo dalle tenebre. "Un eroe, non due. Daenerys ha i draghi, Aegon no." Non bisognava essere lui dei profeti per prevedere come Benerro e i suoi seguaci avrebbero reagito a un secondo Targaryen. "Di sicuro anche Griff lo capirà" pensò, sorpreso di scoprire quanto gli importasse. Il cavaliere si era aperto a forza la strada tra la folla in fondo alla piazza, senza badare alle imprecazioni lanciate al loro passaggio. Un uomo si mise davanti al destriero, ma il cavaliere impugnò l'elsa della spada lunga e la estrasse quanto bastava per mostrare un piede d'acciaio. L'uomo si dileguò e, tutto a un tratto, davanti a loro si aprì un viale. Il cavaliere spinse il destriero al trotto e si lasciarono la ressa alle spalle. Per un po' Tyrion sentì ancora la voce di Benerro, sempre più debole, e i rombi provocati dalle sue parole, come tuoni improvvisi. Arrivarono a una stalla. Il cavaliere smontò e bussò alla porta finché uno schiavo macilento con una testa di cavallo tatuata sulla guancia non arrivò di corsa. Il nano fu tirato giù dalla sella senza tanti complimenti e legato a un palo. Il cavaliere svegliò il padrone della stalla e contrattò sul prezzo del destriero e della sella. "Costa meno vendere un cavallo che trasportarlo in nave a mille leghe di distanza." Tyrion sentì che nel suo immediato futuro c'era una nave. Forse, alla fin fine, era davvero un profeta. Terminata la contrattazione, il cavaliere si mise in spalla armi, scudo e bisaccia da sella e chiese indicazioni per il fabbro più vicino. Anche quella bottega risultò chiusa, ma al richiamo del cavaliere si aprì abbastanza in fretta. Il fabbro diede una rapida occhiata a Tyrion, annuì e accettò un pugno di conio. «Vieni qui» disse il cavaliere al prigioniero. Estrasse il pugnale e tagliò le funi. «Grazie» disse Tyrion, massaggiandosi i polsi. Il cavaliere rise. «Risparmia i ringraziamenti per chi se li merita, Folletto. Il prossimo passo non ti piacerà.» Non si sbagliava. Le manette erano di ferro nero, spesse e pesanti: almeno due libbre ciascuna, stimò il nano. La catena aggiungeva dell'altro peso. «Devo essere più temibile di quello che pensavo» confessò Tyrion, quando l'ultimo anello fu chiuso a martellate e ogni colpo gli mandò una scossa su per il braccio fino alla spalla. «O forse temevi che corressi via sulle mie gambette rachitiche?» Il fabbro non alzò nemmeno gli occhi dal lavoro, ma il cavaliere ridacchiò in modo sinistro. «Quello che mi preoccupa è la tua bocca, non le tue gambe. In ceppi sei uno schiavo: nessuno ascolterà una parola di quello che dici, neanche chi parla la lingua dell'Occidente.» «Non c'è bisogno di tutti questi ferri» protestò Tyrion. «Sarò un bravo prigioniero, promesso, promesso.» «Allora dimostralo, tenendo la bocca chiusa.» Così il nano chinò la testa e si morsicò la lingua, mentre le catene venivano fissate, da polso a polso, da polso a caviglia, da caviglia a caviglia. "Questi maledetti affari pesano più di me." Ma almeno respirava ancora. Il cavaliere avrebbe potuto mozzargli la testa altrettanto facilmente. In fin dei conti Cersei chiedeva quella. Non averla mozzata all'istante era stato il primo errore del cavaliere. "Tra Volantis e Approdo del Re c'è ancora tanta strada. E lungo il cammino, ser, molte cose possono accadere." Da lì in poi proseguirono a piedi, con Tyrion che sferragliava nello sforzo di tenere il passo delle lunghe, impazienti falcate del cavaliere. Ogni volta che il nano restava indietro, il cavaliere afferrava le catene e lo strattonava con forza, costringendo Tyrion a zoppicare e saltellare al suo fianco. "Potrebbe anche andare Peggio. Potrebbe incitarmi a colpi di frusta." Volantis si trovava a cavallo di una delle foci della Rhoyne, Ve il fiume baciava il mare, e le sue due metà erano collegate a Lungo Ponte. La parte più antica e ricca della città era a est del fiume, ma lì mercenari, barbari e altri forestieri incivili non erano i benvenuti, perciò Tyrion e il cavaliere avrebbero dovuto varcare il ponte verso ovest. L'accesso al Lungo Ponte era segnato da un'arcata di pietra nera scolpita con sfingi, manticore, draghi e creature ancora più strane. Sotto quell'arco si estendeva la grande campata che Valyria aveva costruito all'apice della sua gloria, una strada di pietra fusa sostenuta da piloni massicci. La strada aveva giusto la larghezza necessaria per permettere il passaggio di due carri affiancati, per cui quando un carro diretto a ovest ne incrociava uno diretto a est, entrambi dovevano procedere molto lentamente. Per fortuna, loro andavano a piedi. A un terzo del ponte, un carro carico di meloni aveva agganciato le ruote di un altro che trasportava alte pile di tappeti di seta, provocando l'arresto di tutto il traffico su ruote. Anche il traffico a piedi si era in gran parte fermato, con tutti che guardavano i conducenti imprecare e scambiarsi grida. Il cavaliere non aveva tempo da perdere: afferrò la catena di Tyrion e aprì per entrambi un varco tra la folla. In una sua creatura quanto lo sei tu. Ser Jorah, non dovremmo essere uno contro l'altro.» Ser Jorah Mormoni non gradì affatto quel discorso. «Ho preso il conio del Ragno, non lo nego, ma non sono mai stato una sua creatura. E ora la mia fedeltà è altrove.» «Cersei? Allora sei ancora più stupido. Tutto quello che mia sorella chiede è la mia testa e tu hai una buona spada affilata. Perché non finisci questa farsa e togli il fastidio a entrambi?» Il cavaliere rise. «Un trucco da nano? Implori la morte nella speranza che ti lasci vivere?» Andò alla porta. «Ti porterò qualcosa dalle cucine.» «Gentile da parte tua. Aspetterò qui.» «Non lo dubito.» Ma quando ser Jorah uscì chiuse la porta con una pesante chiave di ferro. La Casa del Mercante era famosa per le sue serrature. "Sicura come una prigione" pensò il nano amaramente "ma almeno ci sono le finestre." Sapeva che c'erano ben poche possibilità di liberarsi dalle catene, ma si sentiva comunque obbligato a tentare. Gli sforzi di far scivolare una mano fuori dalla manetta servirono solo a lasciare altra pelle sul ferro e ritrovarsi con il polso viscido di sangue, e nonostante tutti i tentativi non riuscì a estrarre l'anello di ferro dalla parete. "In culo" pensò, lasciandosi scivolare all'indietro, per il massimo consentito dalle catene. Cominciava ad avere i crampi alle gambe. Sarebbe stata una notte infernalmente scomoda. "La prima di tante, non ho dubbi." La stanza era soffocante e il cavaliere aveva aperto gli scuri per lasciar entrare un filo d'aria. Compressa in un angolo dell'edificio sotto le grondaie, andava già bene che la camera avesse delle mestre. Una si affacciava sul Lungo Ponte e la Muraglia Nera, nel cuore stesso di Vecchia Volantis al di là del fiume. L'altra dava Sulla piazza sottostante. Piazza della Pescheria l'aveva chiamata Ser Jorah. Per quanto strette fossero le catene, Tyrion scoprì di poter guardare fuori da quest'ultima finestra piegandosi sul e usando l'anello di ferro come punto d'appoggio. "Non c- be uria caduta come dalle celle di Lysa Arryn" pensò "ma Asterei comunque secco. Forse, se fossi ubriaco..." La piazza era affollata anche a quell'ora di marinai schiamazzanti, puttane in cerca di clienti e mercanti impegnati a concludere affari. Una sacerdotessa rossa passò in fretta, accompagnata da una decina di accoliti muniti di torce, con le vesti che vorti-cavano intorno alle caviglie. Altrove due giocatori di cyvasse si sfidavano davanti a una taverna. Uno schiavo accanto a loro reggeva una lanterna per illuminare il tavolo. Tyrion sentì una donna cantare. Parole strane, una musica delicata e triste. "Se sapessi che cosa canta, forse piangerei." Più vicino, una folla si stava radunando intorno a due giocolieri che si lanciavano delle torce ardenti. Il suo carceriere tornò presto, portando due boccali e un'anatra arrosto. Richiuse la porta con un calcio, tagliò l'anatra in due e ne gettò metà a Tyrion. Il nano l'avrebbe presa al volo, ma le catene gli impedirono di alzare le mani. La mezza anatra gli finì sulla testa e scivolò, calda e unta, sul suo viso. Tyrion fu costretto ad accucciarsi e allungarsi con uno sferragliamento di catene. Al terzo tentativo l'afferrò e vi affondò i denti con gusto. «Un po' di birra per mandarla giù?» Mormont gli passò un boccale. «Gran parte di Volantis si sta ubriacando, puoi farlo anche tu.» Anche la birra era buona. Sapeva di frutta. Tyrion bevve una lunga sorsata e ruttò sonoramente. Il boccale era di peltro, pesava parecchio. "Svuotalo e poi spaccaglielo in testa" pensò Tyrion. "Se sono fortunato, potrei rompergli il cranio. Se sono ancora più fortunato, lo manco e lui mi bastona a morte." Bevve un'altra sorsata. «È un giorno di festa?» «Il terzo giorno delle elezioni. Durano dieci giorni. Dieci giorni di follia. Marce a lume di torcia, discorsi, guitti e menestrelli e danzatrici, bravacci che si affrontano in duelli all'ultimo sangue in onore dei propri candidati, elefanti con il nome dei futuri triarchi dipinti sui fianchi. Quei giocolieri in piazza si esibiscono per Methyso.» «Ricordami allora di votare qualcun altro.» Tyrion si leccò l'unto dalle dita. In basso, la folla tirava monetine ai giocolieri-«Tutti i candidati offrono spettacoli di guitti?» «Offrono quello che pensano faccia ottenere voti» rispose Mormont. «Cibi, bevande, spettacoli... Alios ha mandato per le strade cento graziose schiavette a giacere con i votanti.» «Allora voto per lui» decise Tyrion. «Portami una di quelle schiavette.» «Quelle sono per gli uomini liberi nati a Volantis e con ricchezze sufficienti per votare. A ovest del fiume, i votanti sono pochissimi.» «E va avanti così per dieci giorni?» Tyrion rise. «Questo sistema politico potrebbe piacermi, anche se, con tre re, due sono di troppo- M'immagino governare i Sette Regni insieme alla mia dolce sorella e al mio prode fratello. Uno di noi ucciderebbe gli altri due nel giro di un anno. Sono sorpreso che i triarchi non facciano lo stesso.» «Alcuni ci hanno provato. Può darsi che i furbi siano loro p noi gli stupidi. Volantis ha conosciuto la sua parte di follie, ma non ha mai dovuto sopportare un triarca bambino. Quando viene eletto un pazzo, i suoi colleghi lo rinchiudono finché il suo anno non è terminato. Pensa ai morti che potrebbero essere ancora vivi se solo Aerys il Folle avesse avuto due re con cui condividere il governo.» "Invece aveva il mio caro padre" pensò Tyrion. «Nelle città libere, alcuni pensano che sul nostro lato del Mare Stretto siamo tutti selvaggi» continuò ser Jorah. «Quelli che non ci ritengono dei bambini che piangono alla ricerca di una forte guida paterna.» «O materna?» "ACersei l'idea piacerà. Specialmente quando lui le farà dono della mia testa." «Si direbbe che conosci bene questa città.» «Ho trascorso qui quasi un anno» ser Jorah agitò il fondo di birra nel suo boccale. «Quando Stark mi cacciò in esilio, fuggii a Lys, con la mia seconda moglie. Braavos sarebbe stata meglio, ma Lynesse voleva un posto caldo. Anziché servire quelli di Braavos, li combattei sulla Rhoyne, ma per ogni moneta d'argento che guadagnavo, mia moglie ne spendeva dieci. Quando tornai a Lys, lei si era trovata un amante, il quale molto gentilmente mi comunicò che se non avessi rinunciato a lei e lasciato la città sarei finito in schiavitù per debiti. Così venni a Volantis... a un Passo dalla schiavitù, con soltanto la mia spada e i vestiti che avev° addosso.» adesso non vedi l'ora di tornare a casa.» r Jorah bevve le ultime gocce di birra. «Domani cercherò una nave. Il letto è mio. Tu puoi prenderti qualsiasi pezzo di pavimento le catene ti permetteranno di raggiungere. Dormi, se ci riesci. Altrimenti, conta i tuoi crimini. Dovrebbe bastarti fino al mattino.» "Anche tu hai dei crimini di cui rispondere, Jorah Mormont" pensò il nano, ma ritenne più saggio tenerselo per sé. Ser Jorah appese il cinturone con la spada a una colonna del letto, si tolse gli stivali, la cotta di maglia, gli abiti di lana e di pelle e la sottotunica macchiata di sudore. Aveva un torace muscoloso, segnato di cicatrici e ricoperto di peli neri. "Se lo potessi scuoiare, potrei vendere la sua pelle per una cappa di pelliccia" pensò Tyrion, mentre Mormont si lasciava cadere sul letto di piume, comodo anche se mezzo sfondato e un po' puzzolente. Dopo qualche minuto già russava, lasciando la preda da sola con le sue catene. Dalle finestre aperte della stanza entravano i deboli raggi della luna, mentre dalla piazza arrivavano i canti degli ubriachi, il miagolio di una gatta in calore e il lontano tintinnio dell'acciaio contro l'acciaio. "Qualcuno sta per morire" pensò Tyrion Lannister. Aveva un dolore pulsante al polso scorticato e le catene gli impedivano di mettersi seduto, per cui poteva solo sdraiarsi. Il meglio che riuscì a fare fu torcersi di lato contro la parete, e in breve cominciò a perdere sensibilità alle mani. Quando si spostò per alleviare la tensione, la sentì ritornare, sotto forma di sofferenza. Strinse i denti per non gridare. Si domandò quanto avesse sofferto suo padre quando il dardo gli aveva trapassato le viscere, che cosa avesse provato Shae quando lui le aveva stretto intorno al collo la catena da Primo Cavaliere, che cosa avesse sentito Tysha mentre quei soldati la stupravano a turno. La sua sofferenza non era niente a confronto delle loro, ma quel pensiero non lo faceva sentire meglio. "Fatelo smettere." Ser Jorah si era girato sul fianco, per cui Tyrion poteva vedere solo la sua schiena irsuta e muscolosa. "Anche se riuscissi a liberarmi delle catene, dovrei arrampicarmi su di lui per arrivare al cinturone. Forse, se potessi Tornò la ragazza che serviva ai tavoli. «Sei tu il prossimo a incontrare la vedova, nobile ser. Hai portato un regalo per lei?» «Sì, grazie» ser Jorah le mise in mano una moneta e la mandò via. Tyrion corrugò la fronte. «La vedova di chi?» «La vedova del lungofiume. A est della Rhoyne la chiamano ancora la puttana di Vogarro, ma non in sua presenza.» Il nano ne sapeva tanto quanto prima. «E Vogarro era...?» «Un elefante, sette volte triarca, ricchissimo, una potenza dei moli. Mentre altri costruivano navi e salpavano, lui costruiva moli di pietra e magazzini, faceva il mediatore di carichi, cambiava conio, assicurava i padroni delle navi contri i pericoli del mare. Commerciava anche in schiavi. Quando si infatuò di una di loro, una schiava da letto addestrata a Yunkai nell'arte aei sette sospiri, ci fu un grande scandalo... e uno scandalo ancora maggiore quando la liberò e la prese in moglie. Dopo la Sua morte, fu lei a condurre le sue imprese. Nessun liberto può risiedere all'interno della Muraglia Nera, per cui lei fu costretta Vendere la magione di Vogarro. Si stabilì nella Casa del Mer-e- Avvenne trentadue anni fa, ma ancora oggi risiede qui. letro di te, nel cortile, e tiene corte al solito tavolo. No, non voltarti a guardare. Adesso c'è qualcuno con lei. Quando avrà finito, sarà il nostro turno.» «E in che modo ti aiuterà quella vecchiaccia?» «Guarda e vedrai» ser Jorah si alzò. «Quell'individuo se ne sta andando.» Con uno sferragliare di catene Tyrion saltò giù dallo scranno. "Penso che sarà illuminante." C'era qualcosa di volpino nel modo in cui la donna sedeva nel suo angolo di cortile e qualcosa di rettiliano nello sguardo. I suoi capelli bianchi erano talmente radi da lasciar intravedere il rosa del cuoio capelluto. Sotto un occhio aveva ancora delle leggere cicatrici lasciate dal coltello che le aveva asportato le lacrime tatuate. Sul tavolo erano rimasti i resti del suo pasto del . mattino: teste di sardine, noccioli di olive, briciole di focacce. Tyrion non mancò di notare la bella posizione del "solito tavolo" della donna: solida pietra alle spalle, una nicchia ornata di rampicanti su un lato per le entrate e le uscite, ottima visuale della porta della locanda, eppure così in ombra che lei stessa risultava quasi invisibile. Nel vedere Tyrion la vecchia sorrise. «Un nano» gorgogliò, con voce sinistra ma vellutata. Parlava la lingua comune, con appena un leggero accento. «Ultimamente, a quanto pare, Vo-lantis è stata invasa dai nani. Questo fa dei trucchi?» "Sì" avrebbe voluto risponderle Tyrion. "Dammi una balestra, che ti mostro il mio trucco preferito." «No» rispose ser Jorah. «Peccato. Un tempo avevo una scimmietta che sapeva fare giochi di tutti i tipi. Il tuo nano un po' ci assomiglia. È un regalo?» «No. A te ho portato questi» ser Jorah tirò fuori i guanti che aveva appena preso e li mise sul tavolo, accanto agli altri regali che la vedova aveva ricevuto quel mattino: un calice d'argento, un ventaglio intagliato in foglie di giada talmente sottili da essere trasparenti, un'antica daga di bronzo con incise delle rune. Rispetto a simili tesori, quei guanti parevano miseri e pacchiani- «Guanti per le mie povere vecchie mani rugose. Che bellezza.» La vedova non fece neanche il gesto di toccarli. «Li ho comprati sul Lungo Ponte.» «Sul Lungo Ponte si può comprare quasi tutto: guanti, schiavi, scimmie.» Gli anni le avevano incurvato la spina dorsale, facendole spuntare una gobba da vecchia sulla schiena, ma gli occhi erano luminosi e neri. «Ora, cavaliere, di' pure a questa anziana vedova in che modo può esserti utile.» «Ci serve un passaggio veloce a est, verso Meereen.» Una sola parola. Il mondo di Tyrion Lannister si capovolse. Una sola parola. "Meereen." O aveva capito male? Una sola parola. "Meereen, ha detto Meereen, mi sta portando a Meereen." Meereen significava vita. O almeno speranza di vita. «Perché ti rivolgi a me?» chiese la vedova. «Io non ho navi.» «Ma molti capitani sono in debito con te.» "Dice che mi consegna alla regina. Aye, ma quale regina? Non mi sta vendendo a Cersei... Mi vuole consegnare a Daenerys Targaryen. Per questo non mi ha mozzato la testa. Stiamo andando a est, e Grifi e il suo principe stanno andando a ovest, quegli idioti." Oh, era davvero troppo. "Intrighi su intrighi, ma tutte le strade finiscono per portare nella gola del drago." Una risata gli salì alle labbra, e a un tratto Tyrion Lannister non riuscì più a smettere di ridere. «Il tuo nano ha una crisi» osservò la vedova. «Il mio nano farà silenzio, altrimenti gli metto un bavaglio.» Tyrion si mise le mani sulla bocca. "Meereen!" La vedova del lungofiume decise di non prestargli attenzione. «Beviamo una coppa?» chiese. Particelle di polvere galleggiavano nell'aria mentre la serva riempiva due coppe di vetro verde per ser Jorah e la vedova. Tyrion aveva la gola secca, ma non ci fu nessuna coppa per lui. La vedova prese un sorso, rigirò il vino in bocca, deglutì. «Tutti gli altri esuli stanno salpando verso ovest, così almeno hanno sentito le mie vecchie orecchie. E tutti i capitani che uanno debiti con me si azzuffano per portarli laggiù e spillare un po' d'oro dai forzieri della Compagnia dorata. I nostri nobili toarchi hanno impegnato per la causa una decina di navi da guerra, così da assicurarsi che la flotta arrivi sana e salva fino e Stepstones. Perfino il vecchio Doniphos ha dato il proprio assenso. Un'avventura così gloriosa. E tu invece, ser, vorresti uare nella direzione opposta.» «I miei affari sono a oriente.» * chissà quali potrebbero essere, mi chiedo. Non certo gli schiavi. L'argentea regina ha posto fine al traffico di schiavi. Ha chiuso anche le fosse da combattimento, perciò non si tratta del gusto per il sangue. Cos'altro Meereen potrebbe offrire a un cavaliere dell'Occidente? Mattoni? Olive? Draghi? Ah, ecco.» Il sorriso della megera diventò funereo. «Ho sentito dire che l'argentea regina li nutre con carne d'infante, mentre lei stessa si bagna nel sangue di vergini e prende un amante diverso ogni notte.» La bocca di ser Jorah assunse una piega dura. «Gli yunkai ti versano veleno nelle orecchie, mia signora. Non dovresti dare credito a simile nefandezze.» «Non sono una signora, ma anche la puttana di Vogarro conosce il sapore della falsità. Però questo è vero... la regina dei draghi ha dei nemici... Yunkai, Nuova Ghis, Tolos, Qarth... aye, e ben presto anche Volantis. Vorresti andare a Meereen? Basta che aspetti un po', ser. Fra non molto ci sarà richiesta di spade, quando le navi da guerra punteranno la prua a oriente per deporre l'argentea regina. Le tigri amano tirar fuori gli artigli e, se minacciati, anche gli elefanti uccidono. Malaquo ha sete di gloria e Nyessos deve gran parte della sua ricchezza al commercio di schiavi. Lascia che Alios, Parquello o Belicho diventino triarchi e le flotte salperanno.» Ser Jorah si accigliò. «Se Doniphos viene rieletto...» «Prima di lui verrebbe rieletto Vogarro, e il mio caro lord è morto da trent'anni.» Dietro di loro, un marinaio sbraitava forte. «E questa la chiamano birra? Cazzo. Il piscio di una scimmia sarebbe meglio.» «E tu lo berresti» replicò un altro. Tyrion si guardò intorno, augurandosi contro ogni speranza che a replicare fossero stati Papero e Haldon. Invece vide due stranieri... e il nano, fermo qualche piede più in là, che lo stava fissando di proposito. C'era qualcosa di familiare, in lui. La vedova sorseggiò il vino con grazia. «Alcuni dei primi elefanti erano donne» disse «quelle che destituirono le tigri e posero fine alle vecchie guerre. Trianna venne rieletta quattro volte. Questo, purtroppo, accadeva trecento anni fa. Da allora Volantis non ha più avuto donne fra i triarchi, anche se alcune hanno il diritto di voto. Donne di nobile nascita che abitano antichi palazzi all'interno della Muraglia Nera, non creature come me. L'antico sangue farebbe votare cani e bambini, piuttosto che un liberto. No, verrà eletto Belicho, o forse Alios, ma in entrambi i casi sarà guerra. O almeno così pensano.» «E tu che cosa pensi?» chiese ser Jorah. "Bravo" approvò Tyrion tra sé. "Bella domanda." «Oh, anch'io penso che sarà guerra, ma non quella che vogliono loro.» La vedova si sporse in avanti, con un luccichio negli occhi. «Penso che in questa città il rosso R'hllor abbia più adoratori di tutti gli altri dèi insieme. Hai sentito Benerro predicare?» «Chi l'ha ucciso?» chiese Mormont. chi * mar'na'' Marinai dei Sette Regni. Erano in cinque, ubria-Ci hanno visto giostrare nella piazza e ci hanno seguito, anrf ° hanno «Pito che ero una femmina, mi hanno lasciato dre' ma hanno preso mio fratello e l'hanno ucciso. Gli hanno Mozzato la testa.» Tyrion ebbe un improvviso sussulto. "Ci hanno visto giostrare nella piazza." Capì allora chi era la ragazza. «Tu cavalcavi il maiale?» le chiese. «O il cane?» «Il cane» singhiozzò lei. «Oppo cavalcava sempre il maiale.» "I nani del matrimonio di Joffrey." Era stato il loro spettacolo che aveva dato inizio a tutti i guai quella notte. "Che strano, incontrarli di nuovo a mille leghe di distanza." Ma forse non era poi così strano. "Se avevano la metà della furbizia del loro maiale, erano fuggiti da Approdo del Re la notte in cui Joff era morto, prima che Cersei affibbiasse loro una parte di colpa per la morte di suo figlio." «Mettila giù, ser» disse a Mormoni. «Non ci farà più male.» Ser Jorah la lasciò cadere a terra. «Mi dispiace per tuo fratello, ma noi non c'entriamo niente con il suo assassinio.» «Lui sì.» La ragazza si mise in ginocchio, coprendosi con la tunica strappata i seni piccoli e chiari. «Volevano lui. Pensavano che Oppo fosse lui.» Adesso stava piangendo, supplicando aiuto da chiunque la stesse a sentire. «Dovrebbe morire com'è morto il mio povero fratello. Vi prego. Qualcuno mi aiuti. Qualcuno 10 uccida.» Il padrone della locanda la prese brutalmente per 11 braccio e la tirò in piedi, gridando nella lingua di Volantis, chiedendo chi avrebbe pagato i danni. La vedova del lungofiume rivolse a Mormont un'occhiata glaciale. «I cavalieri difendono i deboli e proteggono gli innocenti, si dice. E io sono la fanciulla più bella di tutta Volantis.» La sua risata era piena di disprezzo. «Come ti chiami, bambina?» «Penny.» La vecchia chiamò il padrone, parlando nella lingua di Volantis. Tyrion riuscì a capire che gli stava dicendo di portare la nana nelle sue stanze, di darle del vino e di trovarle qualche abito che le andasse bene. Quando si furono allontanati, la vedova scrutò Tyrion, con i suoi occhi neri e scintillanti. «I mostri dovrebbe essere piu grandi, secondo me. Nell'Occidente, tu vali un titolo di lord, ometto. Qui, purtroppo, il tuo valore è un po' minore. Ma, in fin dei conti, penso che sia meglio aiutarti. Volantis non è un posto sicuro per i nani, a quanto pare.» «Sei troppo cortese.» Tyrion le rivolse il suo sorriso più soave-«Forse saresti così cortese da farmi togliere anche questi incar*' tevoli braccialetti di ferro? Il mostro ha solo mezzo naso e gli prude terribilmente. Le catene sono troppo corte per grattarmelo. Te ne farò dono volentieri.» «Davvero gentile. Ma io stessa ho portato il ferro ai miei tempi e ora ho scoperto di preferire l'oro e l'argento. E poi, triste a dirsi, questa è Volantis, dove ceppi e catene costano meno del pane vecchio di un giorno. Ed è proibito aiutare uno schiavo a fuggire.» «Io non sono uno schiavo.» «Ogni uomo caduto in mano agli schiavisti canta sempre la stessa triste canzone. Non oso aiutarti... qui.» Si sporse verso di lui. «Fra due giorni, la cocca Selaesori Qhoran farà vela per Qarth, via Nuova Ghis, con un carico di stagno, ferro, balle di lana e merletti, cinquanta tappeti di Myr, un cadavere conservato nel ghiaccio, venti giare di peperoncini piccanti e un prete rosso. Trovatevi a bordo, quando salpa.» «Ci saremo» disse Tyrion. «E grazie.» Ser Jorah si accigliò. «Qarth non è la nostra destinazione.» «Non arriverà mai a Qarth, Benerro l'ha visto nei suoi fuochi.» La vedova sorrise, con espressione volpina. «Come tu dici» sogghignò Tyrion. «Se fossi di Volantis e libero, e avessi il sangue, voterei te come triarca, mia signora.» «Non sono una signora» replicò la vedova «solo la puttana di Vogarro. Quanto a voi due, farete bene a essere lontano da qui prima che arrivino le tigri. Se per caso raggiungerai la tua regina, dalle un messaggio da parte degli schiavi di Vecchia Volantis.» La vedova si toccò la sbiadita cicatrice sulla guancia rugosa, dove erano state raschiate via le lacrime. «Dille che la stiamo aspettando. Dille di arrivare presto.» JON All'udire l'ordine, ser Alliser Thorne distorse la bocca in una parvenza di sorriso, ma i suoi occhi rimasero freddi e duri come selce. «Così il ragazzo bastardo ha deciso di mandarmi fuori a morire.» «Morire» gracchiò il corvo di Mormont. «Morire, morire, morire.» "Non sei di nessun aiuto." Jon Snow con una manata allontanò l'uccello. «Il ragazzo bastardo ha deciso di mandarti fuori a esplorare. A cercare i nostri nemici e a ucciderli, se occorre. Sei abile con una lama in pugno, ser. Sei stato maestro d'arme, qui e al Forte Orientale.» Thorne toccò l'elsa della sua spada lunga. «Aye. Ho sprecato un terzo della vita nel tentativo di insegnare i rudimenti della scherma a zappaterra, teste di rapa e infami. Mi sarà di scarso vantaggio in queste foreste.» «Dywen verrà con te, insieme a un altro ranger esperto.» «Ti insegneremo noi quello che c'è da sapere, ser» disse Dywen a Thorne, ridacchiando. «Ti insegneremo a pulirti il nobile culo con le foglie, proprio come un vero ranger.» Kedge Occhiobianco rise alla battuta, Jack Bulwer il Nero sputò. Ser Alliser si limitò a dire: «Tu vorresti che rifiutassi. Così potresti tagliarmi la testa, come hai fatto con Slynt. Ma da me non avrai questo piacere, bastardo. Ti conviene pregare che a uccidermi sia la spada di un bruto, però. Quelli uccisi dagl1 Estranei non restano morti e... ricordano. Ritornerò, lord SnoW»- «Pregherò che tu ritorni» rispose Jon. Non avrebbe mai considerato ser Alliser Thorne un ami co, ma era Pur semPre un confratello dei Guardiani della notte. "E nessuno ha mai detto che devi provare simpatia per i tuoi confratelli." Non era facile mandare degli uomini in quelle terre selvagge: c'erano buone probabilità che non tornassero più. "Sono tutti uomini esperti" Jon ripetè a se stesso... ma suo zio Benjen e i suoi ranger erano altrettanto esperti e la Foresta Stregata li ha inghiottiti senza lasciare traccia. Quando alla fine, due di loro sono tornati alla Barriera barcollando, erano ridotti a orridi esseri non- morti. Non era la prima volta né l'ultima che Jon Snow si ritrovava a chiedersi che cosa ne fosse stato di Benjen Stark. "Forse i ranger si imbatteranno in qualche segno di lui" cercava di convincersi, senza crederci realmente. Dywen avrebbe guidato un gruppo di esploratori, Jack Bulwer il Nero e Kedge Occhiobianco gli altri due. Loro almeno erano ansiosi di fare il loro dovere. «Farà un bell'effetto avere di nuovo un cavallo tra le gambe» disse Dywen sulla soglia, succhiandosi i denti di legno. «Chiedo scusa, mio lord, ma tutti noi avevamo le schegge nelle natiche a furia di stare seduti.» resterà un livido." Jon parò il colpo successivo con lo scudo, si rialzò e spinse Arron verso il centro del cortile. "È rapido" pensò, mentre le spade lunghe si toccavano una, due, tre volte "ma deve diventare più robusto." Quando percepì un lampo di sollievo negli occhi di Arron, capì di avere Emrick alle spalle. Jon si girò e gli vibrò un fendente sulla schiena che lo mandò a sbattere contro il fratello. Jace si era rimesso in piedi, ma Jon lo atterrò di nuovo. «Detesto i cadaveri che si rialzano. Capirai che cosa voglio dire, il giorno che affronterai un non- morto.» Arretrò e abbassò la spada. «Il corvo grosso può beccare i corvi piccoli» ringhiò una voce alle sue spalle «ma ha abbastanza coraggio da affrontare un uomo?» Rattleshirt se ne stava appoggiato al muro. Una barba corta e ispida gli copriva le guance smunte, e il vento gli spingeva un ciuffo di sottili capelli castani sugli occhi, piccoli e gialli. «Non montarti la testa» rispose Jon. «Aye, ma potrei smontare te.» «Stannis ha bruciato l'uomo sbagliato.» «No» il bruto sogghignò, mettendo in mostra i denti scuri e spezzati. «Ha bruciato l'uomo che doveva bruciare, perché tutti vedano. Facciamo quello che dobbiamo fare, Snow. Anche i re.» «Emmett, trovagli una corazza. Lo voglio vestito d'acciaio, non di vecchie ossa.» Una volta indossate cotta di maglia e piastre, il Lord delle Ossa parve avere un portamento un po' più eretto. Sembrava anche più alto, con le spalle più robuste e più forti di quanto non si sarebbe detto. "È l'armatura, non l'uomo" pensò Jon. "Perfino Sam sembrerebbe imponente, vestito dalla testa ai piedi dell'acciaio di Donai Noye." Il bruto allontanò lo scudo che Cavallo gli offriva. Chiese invece una grande spada a due mani. «Ha un bel suono» disse/ ( rendo sibilare la lama nell'aria. «Starnazza più vicino, corvo Snovv. Voglio farti volare via le penne.» jon si scagliò con forza contro di lui. Rattleshirt arretrò di un passo, rispose all'assalto e assestò un fendente a due mani. Se Jon non avesse frapposto lo scudo, forse il colpo gli avrebbe ammaccato la piastra pettorale e rotto metà delle costole. L'urto lo fece barcollare per un momento, e sentì una forte scossa salire su per il braccio. "Colpisce più duramente di quanto non pensassi." Anche la rapidità del Lord delle Ossa fu una spiacevole sorpresa. Girarono l'uno intorno all'altro, scambiandosi colpo su colpo. Il Lord delle Ossa restituiva quello che riceveva. A rigor di logica, la grande spada a due mani avrebbe dovuto essere molto più ingombrante della spada lunga di Jon, ma il bruto la maneggiava con incredibile destrezza. All'inizio, le reclute di Emmett il Ferrigno incoraggiavano con le grida il loro lord comandante, ma l'implacabile velocità dell'attacco di Rattleshirt li costrinse presto al silenzio. "Non può mantenere a lungo questo ritmo" si consolò Jon, bloccando un altro colpo talmente forte da strappargli un grugnito. Anche se smussata, la grande spada gli incrinò lo scudo di legno di pino e piegò il bordo di ferro. "Presto si stancherà. Non può reggere." Jon puntò alla faccia del bruto, ma Rattleshirt tirò indietro la testa. Allora tentò un colpo al polpaccio, Rattleshirt evitò la lama con un salto. La grande spada piombò sulla spalla di Jon, così forte da far risuonare lo spallaccio e intorpidirgli il braccio. Jon arretrò. Il Lord delle Ossa lo pressò, ridacchiando. "Non ha scudo, e quella spada gigante è troppo goffa per le parate. Dovrei mettere a segno due colpi per ognuno dei suoi." Ma per qualche ragione non ci riusciva, e i colpi che metteva a segno non erano efficaci. Il bruto pareva muoversi sempre o mdietro o di lato. La spada lunga di Jon finiva ogni volta per colpire di striscio una spalla o un braccio. _ri breve Jon si ritrovò a cedere terreno nel tentativo di evitare i Fuoerosi colpi dell'avversario, per metà del tempo senza riuscirci, toleVa ^u^0 ormai ridotto a un ammasso di schegge. Se lo oc Vi • cc*°- Sentiva il sudore colargli sul viso e bruciargli gli "e 1 Sott:0 l'elmo. "È troppo forte e troppo veloce" si rese conto av^n quell° spadone ha peso e allungo superiori." Se avesse ° Lungo artiglio, sarebbe stato tutto molto diverso ma... L'occasione si presentò nel successivo colpo di rovescio di Rattleshirt. Jon si lanciò avanti e addosso all'avversario. Caddero insieme, con le gambe intrecciate. L'acciaio cozzò sull'acciaio. Entrambi persero la spada, rotolando sul terreno. Il bruto lo colpì con il ginocchio fra le gambe. Jon rispose pestando con il pugno coperto di maglia di ferro. In tutti quei movimenti furibondi, Rattleshirt finì sopra di lui, con la testa di Jon serrata fra le mani. La sbatté con forza contro il terreno, poi si aprì la visiera. «Se avessi un pugnale, ora avresti un occhio in meno» ringhiò, prima che Cavallo e Emmett il Ferrigno lo tirassero via dal lord comandante. «Lasciatemi, maledetti corvi» ruggì il Lord delle Ossa. Jon si tirò a fatica in ginocchio. Sentiva la testa ronzargli, aveva la bocca piena di sangue. Lo sputò nel ghiaccio. «Bel combattimento.» «Non montarti la testa, corvo. Non ho versato neanche una goccia di sudore.» «La prossima volta lo farai.» Edd l'Addolorato aiutò Jon a rimettersi in piedi e gli sganciò l'elmo. Jon notò diverse ammaccature che non c'erano quando l'aveva indossato. «Lasciatelo andare.» Jon lanciò l'elmo a Hop-Robin, che mancò la presa. «Mio lord» disse Emmett il Ferrigno «ha minacciato la tua vita, abbiamo sentito tutti. Ha detto che se avesse avuto un pugnale...» «Ha un pugnale. Nella cintura.» "C'è sempre qualcuno più svelto e più forte" ser Rodrik aveva detto una volta a Jon e a Robb. "Ed è quello l'avversario che vuoi affrontare nel cortile d'addestramento, prima di vedertela con uno come lui su un campo di battaglia." «Lord Snow?» disse una voce mite. Si girò, e c'era Clydas sotto l'arcata in rovina. Aveva in mano una pergamena. «Da Stannis?» chiese Jon. Sperava di avere notizie dal re. I Guardiani della notte si mantenevano neutrali/ lo sapeva, e a lui non sarebbe dovuto importare quale re avesse riportato il trionfo. In qualche modo però gli importava. «Viene da Deepwood?» «No, mio lord» Clydas gli tese la pergamena, strettamente arrotolata e sigillata, con una goccia di ceralacca rosa. "Solo Forte Terrore usa la ceralacca rosa" pensò Jon. Si tolse il guanto, prese la lettera e spezzò il sigillo. Quando vide la firma, dimenticò i colpi ricevuti da Rattleshirt. "Ramsay Bolton, lord di Hornwood" era scritto con una grafia grande e spigolosa. L'inchiostro marrone venne via a scaglie, quando Jon lo toccò con il pollice. Sotto la firma di Bolton, anche lord Dustin, lady Cerwyn e quattro Ryswell avevano apposto il proprio marchio e sigillo. Una mano più rozza aveva disegnato il gigante della Casa Umber. «Potremmo sapere cosa dice, mio lord?» chiese Emmett il Ferrigno. Jon non vide motivo per non dirglielo. «Il Moat Cailin è caduto. I cadaveri scuoiati degli uomini di ferro sono stati inchiodati a dei pali lungo la Strada del Re. Roose Bolton convoca a Barrowton i lord per confermare fedeltà al Trono di Spade e celebrare il matrimonio del figlio con...» Sentì il cuore fermarsi per un momento. "No, è impossibile. È morta ad Approdo del Re, con nostro padre." «Lord Snow?» Clydas lo scrutò attentamente, con i suoi occhi rosa velati. «Non... non ti senti bene? Sembri...» «Sta per sposare Arya Stark. La mia sorellina.» Quasi se la vedeva davanti, il viso allungato e l'aria goffa, tutta ginocchia e gomiti appuntiti, la faccia sporca e i capelli arruffati. L'avrebbero lavata e pettinata, non aveva dubbi, ma non riusciva a immaginare Arya in abito da sposa, men che meno nel talamo di Ramsay Bolton. "Non importa quanta paura abbia, non la farà vedere mai. Se proverà a metterle una mano addosso, Arya si batterà." «Tua sorella» disse Emmett il Ferrigno «quanti anni ha...» "Ora ne avrebbe undici. Ancora una bambina." «Non ho nessuna sorella» dichiarò. Solamente confratelli. Solamente voi.» Lady Catelyn si sarebbe rallegrata a sentire quelle parole, lo sapeva. Questo non rendeva più facile dirle. J°n strinse le dita intorno alla pergamena. Magari queste dita potessero stringere con altrettanta facilità la gola di Ramsay Bolton." Clydas si schiarì la gola. «C'è una risposta?» Jon scosse la testa e si allontanò. terzo occhio più scintillante degli altri. Jon aveva visto gli occhi di Spettro brillare di rosso allo stesso modo, quando erano colpiti dalla giusta luce. «Spettro» chiamò. «Qua!» Il meta-lupo lo guardò come se fosse un estraneo. Jon corrugò la fronte, incredulo. «Questo è... strano.» «Pensi?» Melisandre si inginocchiò, e grattò Spettro dietro l'orecchio. «La tua Barriera è uno strano palazzo, Jon Snow. Ma qui c'è potere, se tu sarai disposto a usarlo.-Potere in te e in questo animale. Tu opponi resistenza, ecco il tuo errore. Abbraccia il potere. Usalo.» "Non sono un lupo" pensò Jon. «E come dovrei fare?» «Posso mostrartelo.» Melisandre passò il braccio intorno al collo di Spettro e il meta-lupo le leccò il viso. «Il Signore della luce nella sua saggezza ci ha fatti maschio e femmina, due parti di un'unica, grande entità. Nel nostro congiungimento c'è potere. Potere di creare vita. Potere di creare luce. Potere di proiettare ombre.» «Ombre.» Il mondo parve di colpo più scuro, quando J°n ripetè la parola. «Ogni uomo che cammina sulla terra getta un'ombra sul mondo. Alcune sono deboli e sottili, altre sono lunghe e scure. Guarda dietro di te, lord Snow. La luna ti bacia, e ha inciso sul ghiaccio la tua ombra alta venti piedi.» Jon lanciò un'occhiata alle sue spalle. L'ombra era lì, proprio come lei aveva detto, incisa dal chiaro di luna sulla Barriera. "Una bambina in grigio su un cavallo morente" pensò Jon. "Che viene qui, da te. Arya." Si girò di nuovo verso la sacerdotessa. Poteva sentire il suo calore. "Ha potere." Il pensiero gli giunse spontaneo, afferrandolo con denti di ferro, ma quella non era una donna con cui volesse trovarsi in debito, nemmeno per la sua sorellina. «Una volta Dalla mi disse una cosa. Sorella di Val, moglie di Mance Rayder. Mi disse che la stregoneria è come una spada senza impugnatura, non c'è un modo sicuro di brandirla.» «Una donna saggia.» Melisandre si rialzò, le sue vesti rosse furono agitate dal vento. «Però una spada senza impugnatura rimane pur sempre una spada. E una spada è una buona cosa da avere quando si hanno intorno dei nemici. Adesso ascoltami, Jon Snow. Nove corvi sono volati nel bosco bianco a cercare per te i tuoi nemici. Tre sono morti. Non sono ancora morti, ma la loro morte è la fuori ad aspettarli e stanno cavalcando a incontrarla. Li hai mandati avanti perché fossero i tuoi occhi nelle tenebre, ma quando torneranno da te non avranno più occhi. Ho visto nelle fiamme la loro faccia pallida e morta: orbite vuote che piangono sangue.» Si spinse indietro i capelli rossi, e i suoi occhi rossi luccicavano. «Tu non mi credi. Be', mi crederai. Il costo per credermi saranno tre vite. Un prezzo modesto per avere la saggezza, potrebbe dire qualcuno... ma "n prezzo che non dovevi pagare. Ricordalo quando vedrai la taccia cieca e devastata dei tuoi morti. E arrivato quel giorno, Prendi la mia mano.» La bruma si levò dalla sua pallida carne e per un momento Parve che delle pallide fiamme stregate le danzassero intorno alle dita. «Prendi la mia mano» ripetè Melisandre «e lascia che io salvi tua sorella.» DAVOS Anche se la Tana del Lupo era avvolta dalle tenebre, quel mattino Davos Seaworth percepì che qualcosa non andava. Fu svegliato da un suono di voci e cercò di origliare attraverso la porta della cella, ma il legno era così spesso che non riuscì a distinguere le parole. L'alba era arrivata, a differenza del porridge che ogni mattina Garth gli portava per colazione. Questo già lo rendeva ansioso. Nella Tana del Lupo, tutti i giorni scorrevano uguali, e qualsiasi cambiamento generalmente era in peggio. "Oggi potrebbe essere l'ultimo giorno della mia vita. Proprio ora Garth starà usando la cote per affilare Lady Lu." Il Cavaliere delle Cipolle non aveva dimenticato le ultime parole di Wyman Manderly. «Cugino, porta quest'essere alla Tana del Lupo e mozzagli la testa e le mani» così aveva ordinato il lord Anguilla, troppo grasso per stare in sella. «Non riuscirò a mangiare un boccone finché non vedrò su una picca la testa di quel contrabbandiere, con una cipolla fra i suoi denti di mentitore.» Ogni sera Davos andava a dormire con quelle parole in testa e ogni mattina si svegliava ossessionato dal loro ricordo. E se mai se ne fosse dimenticato, c'era sempre Garth pronto a ricordargliele: per lui era "il Morto". «Ecco qui il porridge per il Morto» diceva quando entrava la mattina, e: «Spegni la candela, Morto» concludeva la sera. Una volta, Garth aveva portato con sé le sue dame, da pr^ sentare al Morto. «La Baldracca non è proprio una bellezza» aveva detto, accarezzando una sbarra di ferro nero e freddo-«Ma quando l'arroventerò e le farò baciare il tuo cazzo, chiarie rai la mamma. E questa è la mia Lady Lu. Sarà lei a mozzarti la testa e le mani, quando lord Wyman darà l'ordine.» Davos non aveva mai visto un'ascia così grande né altrettanto affilata. Garth passava la giornata a passarla sulla cote, dicevano le altre guardie. "No, non implorerò la loro misericordia" decise Davos geaworth. Sarebbe morto da cavaliere, avrebbe chiesto solo che gli tagliassero la testa prima delle mani. Neanche Garth sarebbe stato così crudele da negargli quel favore, sperava. I rumori che arrivavano dalla porta erano deboli, soffocati. Davos si alzò, e iniziò a passeggiare avanti e indietro. Come prigione, la cella era spaziosa e stranamente comoda. Forse, sospettava Davos, era stata la camera da letto di un signorotto; era grande il triplo della sua cabina di capitano sulla Bessa nera, e perfino più ampia di quella di Salladhor Saan sulla Valyrian. L'unica finestra era stata murata anni prima con dei mattoni, ma una parete ospitava ancora un focolare abbastanza grande per contenere un caldaio, e in un angolo era stata costruita una vera e propria latrina. Il pavimento era di assi imbarcate e scheggiate, il giaciglio puzzava di muffa, ma quei disagi erano nulla rispetto a quello che Davos si era aspettato di trovare in una segreta. Anche il vitto era stato una sorpresa. Anziché brodaglia d'avena, pane secco e carne putrida, il consueto cibo delle prigioni, le guardie gli portavano pesce Lupo, denudò gli schiavisti e li consegnò agli schiavi trovati in catene nelle segrete. Si racconta che abbiano appeso le loro viscere ai rami dell'albero del cuore, come offerta agli dèi. Gli antichi dèi, quelli venerati anche dai figli della foresta, non i nuovi dèi arrivati dal Sud. «I vostri Sette Dèi non conoscono l'inverno, e l'inverno non conosce loro.» Davos non aveva argomenti per controbattere la verità di quelle parole. E da quanto aveva visto al Forte Orientale, non aveva alcuna voglia di conoscere il lungo inverno. «E tu, ser» chiese il cavaliere con una gamba sola «a quali dèi t'inchini?» «A quelli antichi.» Quando ser Bartimus sogghignò, il suo volto deturpato sembrava proprio un teschio. «Io e i miei antenati eravamo qui prima dei Manderly. È possibile che i miei predecessori abbiano appeso all'albero le viscere degli schiavisti.» «Non sapevo che gli uomini del Nord facessero sacrifici di sangue ai loro alberi del cuore.» «Sono molte le cose del Nord che voi meridionali non conoscete» replicò ser Bartimus. Non si sbagliava. Davos era seduto vicino alla candela, e guardava le lettere che aveva vergato, parola dopo parola, nelle giornate di prigionia. "Ero meglio come contrabbandiere che come cavaliere" aveva scritto a sua moglie "meglio come cavaliere che come Primo Cavaliere del re, meglio come Primo Cavaliere del re che come marito. Mi dispiace molto. Marya, io ti ho amato. Perdona, ti prego, i torti che ti ho fatto. Se Stannis dovesse perdere la guerra, anche noi perderemo le nostre terre. Salpa attraverso il Mare Stretto, porta i bambini a Braavos, insegna loro a pensare bene di me, se così vorrai. Se invece Stannis dovesse conquistare il Trono di Spade, Casa Seavvorth sopravviverà e Devan resterà a corte. H aiuterà a sistemare g11 altri ragazzi presso nobili lord, dove potranno servire come paggi e scudieri e diventare cavalieri." Era il miglior consiglio che le potesse dare, anche se gli sarebbe piaciuto che potesse suonare più saggio. Aveva anche scritto a ognuno dei tre figli superstiti, perché si ricordassero del padre che aveva comprato loro un nome alandolo con le falangi delle sue dita. Le lettere per Steffon e per il giovane Stannis erano brevi, impacciate; a dire il vero, non li conosceva bene come i suoi primi figli, quelli che erano morti bruciati o annegati nella battaglia nel fiume dalle Acque Nere. A Devan scrisse una lettera più lunga, dicendogli quanto fosse orgoglioso di saperlo scudiero del re e ricordandogli che, come figlio maggiore, aveva il dovere di proteggere la madre e i fratelli più piccoli. "Riferisci a sua grazia che ho fatto del mio meglio" concluse. "Mi dispiace averlo deluso. La mia sfortuna è iniziata quando ho perso la piccola sacca di cuoio con dentro le ossa delle mie dita, il giorno in cui il fiume andò in fiamme sotto Approdo del Re." Davos sfogliava lentamente le lettere che aveva scritto, rileggendo ciascuna diverse volte, domandandosi se non fosse il caso di cambiare una parola qui, di aggiungerne un'altra là. Si dovrebbe avere di più da dire, quando si guarda la fine della propria vita, pensò. Ma le parole gli venivano con difficoltà. "Non me la sono poi cavata tanto male" cercò di convincersi. "Dai putridi bassifondi di Approdo del Re sono riuscito a diventare Primo Cavaliere del re, e ho imparato a leggere e scrivere." Mentre era ancora chino sulle lettere, udì le chiavi di ferro tintinnare dentro un anello. Un attimo dopo, la porta della cella si aprì. L'uomo che entrò non era uno dei carcerieri. Alto e dinoccolato, aveva il viso solcato da rughe profonde, una massa di capelli brizzolati. Portava una spada lunga al fianco e indossava un mantello rosso scarlatto scuro, fissato alla spalla da una pesante tobia d'argento a forma di pugno rivestito di maglia. «Lord Seaworth, non abbiamo molto tempo» disse. «Seguimi, Per favore.» Davos guardò lo sconosciuto con diffidenza. Rimase un po' te USO "Per favore". Chi era in procinto di perdere la a e le mani di solito non veniva trattato con tanta gentilezza. G ^ chi sei?» «Robett Glover, se ti compiace, mio lord.» «Glover. La tua sede era Deepwood Motte.» «Quella era la sede di mio fratello Galbart; lo era e lo è grazie al tuo re Stannis. Ha ripreso Deepwood alla cagna che se n'era impossessata e intende restituirlo ai suoi legittimi proprietari. Molte cose sono successe mentre eri confinato fra queste mura, lord Davos. Moat Cailin è caduto e Roose Bolton è tornato al Nord insieme alla figlia minore di Ned Stark. Un esercito di Frey è con lui. Bolton ha mandato avanti i corvi, per convocare a Barrowton tutti i lord del Nord. Pretende che gli si faccia atto di sottomissione, vuole degli ostaggi... e dei testimoni per il matrimonio di Arya Stark con il suo figlio bastardo Ramsay Snow, un matrimonio attraverso cui i Bolton intendono avanzare pretese su Grande Inverno. Ora, vieni con me, oppure no?» «Quale scelta ho, mio lord? Venire con te o restare con Garth e Lady Lu?» «Chi è Lady Lu?» chiese Glover. «Una delle lavandaie?» Cominciava a spazientirsi. «Tutto ti sarà spiegato, basta che tu mi segua.» Davos si alzò. «Se dovessi morire, mio lord, ti supplico di far consegnare le mie lettere.» «Hai la mia parola... ma se morirai non sarà per mano di Glover o di lord Wyman. Presto, ora: seguimi.» Lo guidò in un corridoio poco illuminato, poi giù per una rampa di scalini consunti. Attraversarono il parco degli dèi del castello, dove l'albero del cuore era cresciuto così tanto da soffocare tutte le querce, gli olmi e le betulle, e i suoi grossi rami pallidi premevano contro le pareti e le finestre che si aprivano sul bosco sacro. Le radici erano spesse come il girovita di un uomo, il tronco talmente largo che il volto in esso scolpi10 appariva grasso e feroce. Superato l'albero-diga, Glover aprl un cancello di ferro arrugginito, e si fermò ad accendere una torcia. Quando la fiamma fu calda e vivida, condusse Davos giù per altri scalini, fino a un sotterraneo con il soffitto a volt e le pareti umide incrostate di sale, con l'acqua di mare che sciabordava a ogni passo sotto i loro piedi. Oltrepassarono varl sotterranei, file di celle umide, piccole, fetide, molto diverse d quella dove Davos era stato rinchiuso. Arrivarono davanti a muro di pietra liscia che, quando Glover allungò una mano spinse, ruotò su stesso. Al di là c'era un tunnel lungo e stretto, e in fondo un'altra rampa di scalini. Questa volta verso l'alto. «Dove ci troviamo?» chiese Davos mentre salivano. Nel buio appena rischiarato dalla torcia, le sue parole rimbalzarono in deboli echi. «Dei gradini sotto i gradini. Questo tunnel corre sotto la scala del castello e porta in alto, al Castello Nuovo. È un passaggio segreto. Non devono vederti, mio lord. A tutti gli effetti, tu sei morto.» "Porridge per il morto." Davos continuò a salire. Oltrepassarono un altro muro girevole, che però dall'altra parte era rivestito di assi e intonaco. Entrarono in una stanza confortevole, calda e ben arredata, con un tappeto di Myr sul pavimento e candele di cera d'api accese su un tavolo. Davos udiva a poca distanza una musica di flauti e violini. Su una parete era appesa una pelle di pecora, con disegnata la mappa del Nord, dipinta a colori sbiaditi. Sotto la mappa sedeva Wyman Manderly, il gigantesco lord di Porto Bianco. «Prego, siediti.» Lord Manderly era riccamente vestito: farsetto di morbido velluto verde blu, con ricami in filo d'oro al bordo, alle maniche e al colletto; mantello d'ermellino, fissato sulla spalla da un fermaglio d'oro a forma di tridente. «Hai fame?» «No, mio lord. I tuoi carcerieri mi hanno nutrito bene.» «C'è del vino, se hai sete.» «Parlerò con te, mio lord, come il mio re mi ha ordinato. Non sono obbligato a bere con te.» Lord Wyman sospirò. «Ti ho trattato in modo ignobile, ne sono consapevole. Avevo le mie ragioni, ma ora... per favore, siediti e bevi. Bevi al ritorno di mio figlio Wylis, il mio primogenito ed erede. Adesso è a casa. Quella che senti è la festa per il suo •storno. Nella Corte del Tritone stanno mangiando pasticcio di ampreda e carne di cervo con castagne arrostite. Wynafryd sta ganzando con il Frey che sposerà. Gli altri Frey alzano coppe 1 vino e brindano alla nostra amicizia.» Sotto la musica, Davos udiva il brusio di molte voci, il cozzare di coppe e vassoi di metallo. Non disse niente. «ho appena lasciato la tavola alta» continuò lord Wyman. ho mangiato troppo, come sempre, e tutti a Porto Bianco sanno che le mie budella sono malandate. I miei amici Frey non si lord Davos. Il Nord ricorda e ormai la farsa di guitti è quasi conclusa. Mio figlio è a casa.» Qualcosa, nel tono di lord Wyman, raggelò Davos fino al midollo. «Se ciò che vuoi è giustizia, mio lord, fa appello a re Stannis. Nessuno è più giusto di lui.» «La tua fedeltà ti rende onore, mio lord» intervenne Robett Glover «ma Stannis Baratheon resta il tuo sovrano, non il nostro.» «Il vostro sovrano è morto» gli ricordò Davos. «Assassinato alle Nozze Rosse, al fianco del figlio di lord Wyman.» «Il Giovane Lupo è morto» concesse Manderly «ma q11^ coraggioso giovanotto non era l'unico figlio di lord Eddar<> Robett, porta qui il ragazzo.» «Come tu comandi, mio lord» Glover uscì. "Il ragazzo?" Era possibile che un fratello di Robb Stark fosse sopravvissuto alla distruzione di Grande Inverno? E che Manderly avesse un erede di Stark nascosto nel suo castello? "Un ragazzo ritrovato o un finto ragazzo?" Il Nord si sarebbe sollevato tanto per l'uno quanto per l'altro, sospettava Davos... ma Stannis Baratheon non avrebbe mai fatto causa comune con un impostore. Il ragazzo che entrò dalla porta dopo Robett Glover non era uno Stark, non sarebbe mai potuto passare per uno Stark. Era più vecchio dei fratelli assassinati del Giovane Lupo, sui quattordici o quindici anni a giudicare dall'aspetto, e i suoi occhi erano ancora più vecchi. Sotto una massa di capelli castano scuro, c'era una faccia quasi ferina, con la bocca larga, il naso affilato e il mento aguzzo. «Chi sei?» chiese Davos. Il ragazzo guardò Robett Glover. «È muto, ma gli stiamo insegnando a leggere e scrivere» disse Glover. «Impara in fretta.» Tolse dalla cintura un pugnale e lo diede al ragazzo. «Scrivi il tuo nome per lord Seaworth.» Nella stanza non c'era della pergamena. Il ragazzo incise le lettere su una trave di legno della parete. W... E... X. Calcò a fondo sulla X. Poi lanciò il pugnale in aria, lo afferrò al volo e rimase ad ammirare il proprio lavoro. «Wex è un uomo di ferro per nascita. Era scudiero di Theon Greyjoy a Grande Inverno.» Glover si sedette. «Quanto sa, lord Stannis, di ciò che è accaduto a Grande Inverno?» Davos ripensò alle voci che erano circolate in quei giorni. «Theon Greyjoy, un tempo protetto di lord Stark, si è impadronito della fortezza; ha messo a morte Brandon e Rickon, i due figli minori di Stark, e ha esposto le loro teste sulle mura. Quando gli uomini del Nord giunsero per scacciarlo, passò a fil di spada 1 intero castello, fino all'ultimo bambino, prima di essere a sua v°lta ucciso dal bastardo di lord Bolton.» «Non ucciso» lo corresse Glover. «Preso prigioniero e riportato a Forte Terrore. Il Bastardo l'ha scuoiato vivo.» Lord Wyman annuì. «La storia che racconti l'abbiamo sentita luui, ed è piena di menzogne come un pudding è pieno d'uva P^ssa. È stato il Bastardo di Bolton a passare a fil di spada Grande c>o... Ramsay Snow, veniva chiamato a quel tempo, prima e il re bambino lo rendesse un Bolton. Ma Snow non uccise tutti. Risparmiò le donne, le legò insieme e le portò a Forte Terrore per fare un po' di movimento.» «Di movimento?» «Ramsay è un grande cacciatore» continuò Wyman Manderly «e le donne sono la sua preda preferita. Le spoglia e le lascia libere nei boschi. Concede loro mezza giornata di vantaggio, poi si mette a caccia, con corni e segugi. Di tanto in tanto una di loro riesce a scappare e lo può raccontare. La maggioranza è meno fortunata. Quando Ramsay le cattura, le stupra, le scuoia, getta i cadaveri in pasto ai suoi cani e riporta la pelle a Forte Terrore come trofeo. Se le ragazze lo hanno fatto divertire, prima di scuoiarle taglia loro la gola. Altrimenti fa il contrario.» Davos impallidì. «Sacri dèi, come può un uomo...» «La malvagità gli scorre nel sangue» dichiarò Robett Glover. «È un bastardo nato da uno stupro: uno Snow, checché ne dica il re bambino.» «La neve è mai stata così nera?» chiese lord Wyman. «Ramsay si è impadronito delle terre di lord Hornwood sposando a forza la sua vedova, poi l'ha rinchiusa in una torre e si è dimenticato di lei. Si dice che la poveretta sia arrivata al punto di mangiarsi le dita... e il concetto che i Lannister hanno della giustizia del re è di ricompensare il suo assassino dandogli in moglie la figlia minore di Ned Stark.» «I Bolton sono sempre stati tanto crudeli quanto astuti» intervenne Glover «ma costui sembra una belva in pelle umana». Il lord di Porto Bianco si protese in avanti. «I Frey non sono migliori. Parlano di lupi delle tenebre, di metamorfi, dicono che è stato Robb Stark a uccidere il mio Wendel. Quanta arroganza! In realtà non si aspettano che il Nord creda alle loro menzogne, ma pensano che dobbiamo comunque fingere di farlo, o morire. Roose Bolton mente sulla parte da lui sostenuta nelle Nozze Rosse e il suo bastardo mente sulla caduta di Grande Inverno. Ma finché tenevano Wylis in ostaggio, non ho avuto altra scelta se non mandare giù tutta questa merda e decantarne il sapore.» «E adesso, mio lord?» chiese Davos. Aveva sperato che lord Wyman dicesse: "Adesso mi dichiarerò per re Stannis". Invece il grassone sorrise, con uno strano luccichio negli occhi: «Adesso devo presenziare a un matrimonio. Sono troppo grasso per montare in sella a un cavallo, come chiunque abbia occhi può vedere. Da bambino adoravo cavalcare, e da giovane conducevo i cavalli abbastanza bene da ottenere qualche piccola acclamazione nei tornei, ma quei giorni gono passati. Il mio corpo è diventato una prigione più dura della Tana del Lupo. Tuttavia devo andare a Grande Inverno. Roose Bolton mi vuole in ginocchio al suo cospetto, e sotto il guanto di velluto nasconde il pugno di ferro. Farò il viaggio in chiatta e portantina, scortato da un centinaio di cavalieri e dai miei buoni amici delle Torri Gemelle. I Frey sono arrivati qui via mare. Non hanno cavalli con sé, perciò fornirò a ciascuno di loro un palafreno come dono d'ospitalità. Usa ancora nel Sud fare un regalo agli ospiti?». «Alcuni lo fanno, mio lord. Il giorno in cui l'ospite parte.» «Allora forse capisci.» Wyman Manderly si mise faticosamente in piedi. «È più di un anno che costruisco navi da guerra. Alcune le hai viste, ma ce ne sono molte altre nascoste nel Coltello Bianco. Malgrado le perdite subite, ho ancora più cavalleria pesante di qualsiasi altro lord a nord dell'Incollatura. Le mie mura sono solide, e i miei forzieri sono pieni d'argento. Antico Castello e Capo della Vedova seguiranno la mia guida. Tra i miei alfieri ci sono una decina di piccoli lord e un centinaio di cavalieri con terre. Posso portare a re Stannis la fedeltà di tutte le terre a est del Coltello Bianco, da Capo della Vedova e da Porta dell'Ariete fino alle Colline Testa d'Agnello e alle sorgenti del Ramo Spezzato. Io sono disposto a fare tutto questo, se tu accetterai il mio prezzo.» «Posso presentare al re le tue condizioni, ma...» Lord Wyman lo interruppe. «Se tu accetterai il mio prezzo, ho detto, non Stannis. Non mi serve un re, ma un contrabbandiere.» Robett Glover proseguì: «Forse non sapremo mai che cosa accadde a Grande Inverno, quando ser Rodrik Cassel cercò di riprendere il castello occupato dagli uomini di ferro di Theon Greyjoy. Il Bastardo di Bolton sostiene che Greyjoy abbia ucciso Ser Rodrik durante un abboccamento. Wex dice di no, e fino al §1Qrno in cui non avrà imparato a scrivere altre lettere non po-tremo sapere la verità... ma il ragazzo è arrivato da noi che già c°nosceva il sì e il no, e con queste due parole si può fare tanta strada, se uno riesce a trovare le domande giuste». «E stato il Bastardo ad assassinare ser Rodrik e gli uomini di Grande Inverno» disse lord Wyman. «Trucidò anche gli uomini di ferro di Greyjoy. Wex ha visto uccidere uomini che cercavano di arrendersi. Quando gli abbiamo chiesto come era riuscito a scappare, ha preso un pezzetto di gesso e ha disegnato un albero con una faccia.» Davos rifletté su quelle parole. «Gli antichi dèi lo hanno salvato?» «In un certo senso. Il ragazzo si è arrampicato sull'albero del cuore e si è nascosto in mezzo alle fronde. Gli uomini di Bolton hanno frugato due volte il parco degli dèi, uccidendo tutti quelli che trovavano, ma nessuno ha pensato di arrampicarsi sugli alberi. È andata così, Wex?» Il ragazzo lanciò in aria il pugnale di Glover, lo riprese al volo e annuì. «È rimasto parecchio tempo sull'albero» riprese Glover. «Ha dormito sui rami, senza osare scendere. Alla fine ha udito delle voci in basso.» «Le voci dei morti» aggiunse Wyman Manderly. Wex aprì la mano, toccò i cinque polpastrelli col pugnale, poi piegò quattro dita e toccò di nuovo la punta dell'ultimo. «Erano sei?» chiese Davos. «Sei.» «Non voglio più sentir nominare i miei draghi. Puoi andare. Prega i tuoi dèi di Pentos che una tempesta mandi a fondo i nostri nemici.» «Nessun uomo di mare invoca delle tempeste, vostra grazia.» «Sono stanca di ascoltare quello che non farai, Groleo. Ora vattene.» Ser Barristan rimase. «Per il momento, le nostre provviste sono abbondanti» le ricordò l'anziano guerriero «e vostra grazia ha fatto piantare fagioli, vigne, frumento. I tuoi dothraki hanno scacciato gli schiavisti dalle montagne e liberato dai ceppi i loro schiavi. Adesso anch'essi coltivano la terra, e porteranno a Meereen i raccolti per il mercato. E tu avrai l'amicizia di Lhazar.» "Un amicizia, per quel che vale, guadagnata per me da Daario naris." «Gli uomini agnello, certo. Ah, se gli agnelli avessero le zanne!» fenderebbero indubbiamente i lupi più cauti.» nany rise. «Come stanno i tuoi orfani, ser?» Vecchio cavaliere sorrise. «Bene, vostra grazia. È bello che tu lo chieda.» Era orgoglioso dei suoi ragazzi. «Quattro o cinque hanno la stoffa per diventare cavalieri, forse addirittura una decina.» «Anche uno solo basterebbe, se fosse valoroso come te.» Presto sarebbe arrivato il giorno in cui Daenerys avrebbe avuto bisogno di tutti i cavalieri. «Sarebbero disposti a disputare una quintana per me? Mi piacerebbe vederli.» Molto tempo prima, suo fratello Viserys le aveva parlato dei tornei cui aveva assistito nei Sette Regni, ma Dany non aveva mai visto giostrare nessuno. «Non sono ancora pronti, vostra grazia. Al momento buono saranno compiaciuti di dimostrarti il loro valore.» «Mi auguro che quel momento giunga presto.» Avrebbe voluto dare al vecchio cavaliere un bacio sulla guancia, ma proprio in quel momento Missandei comparve sotto l'arco dell'ingresso. «Missandei?» «Vostra grazia. Skahaz attende che tu gli conceda udienza.» «Fallo salire.» Il Testarasata era accompagnato da due Belve d'Ottone. Uno portava una maschera da falco, l'altro da sciacallo. Solo gli occhi erano visibili sotto l'ottone. «Vostro splendore, ieri sera Hizdahr zo Loraq è stato visto entrare nella piramide di Zhak; ne è uscito solo a notte inoltrata.» «Quante piramidi ha visitato?» volle sapere Dany. «Undici.» «E quanti giorni sono trascorsi dall'ultimo omicidio?» «Ventisei.» Gli occhi del Testarasata mandavano lampi di furore. Era stata sua l'idea che le Belve d'Ottone seguissero il promesso sposo della regina e prendessero nota delle sue attività. «Per il momento Hizdahr ha mantenuto le promesse.» «Come? I figli dell'Arpia hanno posato le loro lame, questo è vero, ma per quale motivo? Forse perché il nobile Hizdahr lo ha chiesto con cortesia? Lui è uno di loro, te lo dico io. Per questo gli ubbidiscono. Anzi, l'Arpia potrebbe addirittura essere lui stesso.» «Se esiste davvero un'arpia.» Skahaz era convinto che, da qualche parte a Meereen, i figli dell'Arpia avessero un cap° supremo di nobile nascita, un generale segreto al comando un esercito di ombre. Dany non condivideva questa idea. Belve d'Ottone avevano preso decine di figli dell'Arpia, e era sopravvissuto alla cattura, sotto interrogatorio aveva fatto dei nomi... troppi nomi, secondo lei. Sarebbe stato confortante pensare che tutte quelle morti fossero opera di un solo nemico, che poteva essere catturato e ucciso, ma Dany sospettava che la verità fosse un'altra. "I miei nemici sono una legione." «Hizdahr zo Loraq è un uomo persuasivo con tanti amici. Ed è ricco. Forse ha comprato con l'oro questa pace per noi, o ha convinto gli altri nobili che il nostro matrimonio è nel loro interesse.» «Se lui non è l'Arpia, deve comunque conoscerla. Posso dimostrare abbastanza facilmente la verità di questa affermazione. Dammi il permesso di interrogare Hizdahr e ti porterò una confessione.» «No» disse Dany. «Non presto credito a questo genere di confessioni. Me ne hai portate già troppe, tutte inutili.» «Ma Vostro Splendore...» «Ho detto di no.» Il Testarasata si accigliò, rendendo la sua brutta faccia ancora più brutta. «Un errore. Il Grande Padrone Hizdahr si prende gioco di te. È una serpe che vuoi nel tuo letto?» "Voglio Daario nel mio letto, ma l'ho mandato via per prestare fede a te e ai tuoi." «Puoi continuare a sorvegliare Hizdahr zo Loraq, ma non deve accadergli niente di male. Hai capito?» «Non sono sordo, magnificenza. Obbedisco.» Skahaz estrasse dalla manica un rotolo di pergamena. «Esamina questo, vostra eccellenza. È un elenco di tutte le navi meereenesi del blocco e dei loro capitani. Sono tutti Grandi Padroni.» Dany esaminò la pergamena. Vi comparivano tutte le famiglie dominanti di Meereen: Hazkar, Merreq, Quazzar, Zhak, Rhazdar, Ghazeen, Pahl, anche Reznak e Loraq. «Che cosa me ne faccio di un elenco di nomi?» «Ogni uomo in quell'elenco ha parenti in città. Figli e fratelli, jttogli e figlie, madri e padri. Lascia che le mie Belve d'Ottone 1 Prendano in custodia. Le loro vite ti faranno ottenere quelle navi.» «Se mando le Belve d'Ottone nelle piramidi, in città sarà guerra aperta. Devo fidarmi di Hizdahr. Devo nutrire speranze g Pa^e.» Daenerys mise la pergamena sopra a una candela, e guardò i nomi andare in fumo, mentre Skahaz la fissava con odio Più tardi, ser Barristan le disse che suo fratello Rhaegar sarebbe stato orgoglioso di lei. Dany ricordò le parole di ser Jorah Mormont dopo la battaglia ad Astapor: «Rhaegar ha combattuto con valore, Rhaegar ha combattuto con nobiltà, Rhaegar ha combattuto con onore. E Rhaegar è morto». Quando scese nella sala di marmo viola la trovò pressoché vuota. «Oggi non ci sono postulanti?» chiese a Reznak mo Reznak. «Nessuno chiede giustizia o argento per una pecora?» «No, vostra eminenza. La città ha paura.» «Non c'è niente da temere.» Ma in realtà c'era da temere di tutto e di più, come Daenerys apprese quella medesima sera. I suoi giovani ostaggi Miklaz e Kezmya le stavano servendo una cena leggera di verdure autunnali e minestra allo zenzero, quando Irri annunciò che Galazza Galare era tornata dal tempio, in compagnia di tre grazie azzurre. «È arrivato anche Verme Grigio, khaleesi. Chiedono di parlarti con la massima urgenza.» «Che entrino. Fa' venire anche Reznak e Skahaz. La Grazia Verde ha detto di che cosa si tratta?» «Di Astapor» rispose Irri. Verme Grigio cominciò a fare rapporto. «È comparso, dalle nebbie mattutine, un cavaliere su un cavallo chiaro, moribondo. La giumenta barcollava nell'avvicinarsi alle porte della città, aveva i fianchi coperti di schiuma insanguinata, gli occhi sbarrati di terrore. Il cavaliere ha gridato: "Sta bruciando, sta bruciando", poi è caduto di sella. Mi hanno mandato a chiamare, ho ordinato che il cavaliere fosse portato dalle grazie azzurre. Quando i tuoi servi l'hanno fatto entrare in città, l'uomo ha gridato di nuovo: "Sta bruciando". Sotto il tokar era ridotto a uno scheletro, tutto ossa, la carne arrossata dalla febbre.» Da quel punto in avanti, continuò a riferire una delle grazie azzurre. «Gli Immacolati hanno portato quell'uomo al tempio. Lo abbiamo spogliato e bagnato con acqua fredda. Aveva abiti luridi e le mie sorelle gli hanno trovato un pezzo di freccia nella coscia. Lui aveva spezzato l'asta, ma la punta era rimasta dentro e la ferita era andata in cancrena, riempiendolo di veleni. È morto nel giro di un'ora, sempre gridando che sta bruciando.» «Sta bruciando» ripetè Daenerys. «Chi?» «Astapor, vostro splendore» rispose un'altra grazia azzurra. «Una volta l'ha detto: "Astapor sta bruciando".» «Forse delirava per la febbre.» «Vostro splendore parla con saggezza» disse Galazza Galare «ma Ezzara ha visto anche dell'altro.» La grazia azzurra di nome Ezzara giunse le mani. «Mia regina» mormorò «la sua febbre non era causata dalla freccia. Il poveretto si era lordato, non una, ma parecchie volte. Le macchie gli arrivavano fino alle ginocchia, e tra gli escrementi c'era del sangue rappreso.» «Verme Grigio ha detto che il suo cavallo sanguinava.» banchetto che andò aYanti metà della notte, e annaffiarono gli ultimi bocconi di ° con del vino avvelenato in modo che nessuno di loro ^°vesse svegliarsi al mattino. Poco dopo arrivò il morbo: una ssenteria emorragica che uccide tre persone su quattro e, infine, una folla di morenti impazzì e uccise le guardie della porta principale.» Il vecchio muratore intervenne. «No, quella fu opera di uomini sani che volevano scappare per sfuggire alla dissenteria.» «Ha importanza?» replicò il ciabattino. «Le guardie furono fatte a pezzi e le porte vennero spalancate. Le legioni di Nuova Ghis si riversarono dentro Astapor, seguite dagli yunkai e dai mercenari a cavallo. La regina Puttana morì battendosi contro di loro con una maledizione sulle labbra. Il re Tagliagola si arrese e venne gettato in un pozzo da combattimento, dove fu sbranato da un branco di cani famelici.» «Perfino allora alcuni dicevano che saresti arrivata» intervenne la tessitrice. «Giuravano di averti vista in groppa a un drago, sorvolare gli accampamenti yunkai. Ti aspettavamo ogni giorno.» "Non potevo venire" pensò la regina. "Non ho osato." «E quando la città è caduta?» domandò Skahaz. «Poi che cos'è successo?» «È iniziato il massacro. Il Tempio delle Grazie era pieno di ammalati che erano venuti a chiedere agli dèi di guarirli. Le legioni hanno sbarrato le porte e hanno dato fuoco al tempio con le torce. Nel giro di un'ora c'erano incendi in ogni angolo della città: divampavano e poi si univano gli uni con gli altri, fino a diventare un unico rogo. Le vie erano piene di gente che correva da tutte le parti per sfuggire alle fiamme, ma non c'era modo di uscire. Gli yunkai sorvegliavano le porte.» «Ma voi siete fuggiti» disse il Testarasata. «Come avete fatto?» «Di mestiere faccio il muratore» rispose il vecchio «come mio padre e suo padre prima di me. Mio nonno costruì la nostra casa a ridosso delle mura della città. È bastato sfilare qualche mattone ogni notte. Quando l'ho detto ai miei amici, mi hanno aiutato a puntellare il cunicolo in modo che non crollasse. Eravamo convinti tutti quanti che sarebbe stato utile avere una via d'uscita.» "Vi ho lasciato con un consiglio di saggi perché vi governaste da soli" pensò Dany. "Un guaritore, un dotto e un sacerdote-Ricordava ancora la città rossa come l'aveva vista la prima volta, arida e polverosa dietro le mura di mattoni purpurei, immersi in sogni crudeli, eppure pullulante di vita. "C'erano isole n<? fiume Verme dove gli amanti si baciavano, ma nella Piazza de Castigo scuoiavano la gente e la lasciavano appesa per le mcr gche." «È un bene che siate venuti qui» disse ai tre astaporiani gUperstiti. «A Meereen sarete al sicuro.» Il ciabattino la ringraziò, il vecchio muratore le baciò il piede, ^a la tessitrice la guardò con occhi duri come ardesia. "Lei sa che mento" pensò la regina. "Sa che non posso offrire alcuna garanzia. Astapor sta bruciando, e presto sarà la volta di Meereen." «Ce ne sono altri in arrivo» annunciò Ben il Marrone, quando gli astaporiani furono condotti via. «Quei tre avevano dei cavalli. La maggioranza è a piedi.» «Quanti sono?» chiese Reznak. Ben il Marrone si strinse nelle spalle. «Centinaia. Migliaia. Alcuni malati, altri ustionati, altri ancora feriti. Mercenari dei Gatti e della Compagnia del Vento imperversano fra le colline con lance e fruste, spingendoli a nord e uccidendo i più lenti.» «Bocche che camminano» disse Reznak. «E anche malati?» Si torse le mani. «Vostra eminenza, non permettere che entrino in città.» «Lo penso anch'io» disse Ben Plumm il Marrone. «Non sono un maestro, certo, ma so che bisogna separare le mele marce da quelle buone.» «Queste non sono mele, Ben» replicò Dany. «Sono uomini e donne, malati, affamati e spaventati.» "Miei figli." «Sarei dovuta andare ad Astapor.» «Vostra grazia non avrebbe potuto salvarli» intervenne ser Barristan. «Avevi avvisato re Cleon di non fare guerra a Yunkai. Quell'uomo era uno stolto e le sue mani erano lorde di sangue.» "E le mie sono forse più pulite?" Dany ripensò alle parole di Daario: "Tutti i re devono essere macellai oppure diventano carne da macello". «Cleon era il nemico del nostro nemico. Se 011 fossi unita a lui e ai Corni di Hazzat, forse insieme avremmo schiacciato gli yunkai.» Il Testarasata non era d'accordo. «Se tu avessi portato gli "^macolati a sud fino a Hazzat, i figli dell'Arpia...» «Lo so, lo so. Si sarebbe ripetuta la fine di Eroeh.» ^n Plumm era confuso. «Chi è?» «Una ragazza che pensavo di aver salvato dallo stupro e la tortura. Ma alla fine, riuscii solo a procurarle una sorte Sgiore. E quello che ho fatto ad Astapor è stato creare altre lecimila Eroeh.» «Vostra grazia non poteva sapere...» «Sono la regina. Era mio dovere sapere.» «Ciò che è fatto è fatto» disse Reznak mo Reznak. «Vostra eminenza, ti prego, prendi subito il nobile Hizdahr come tuo re. Lui può parlare con i Saggi Padroni, negoziare la pace per noi.» «In quali termini?» "Attenta al siniscalco profumato" aveva detto Quaithe: la donna mascherata aveva previsto l'arrivo della giumenta pallida, che avesse ragione anche sul nobile Reznak? «Posso essere una fanciulla inesperta di guerra, ma non sono un agnello che entra belando nel covo dell'Arpia. Ho ancora i miei Immacolati. Ho ancora i Corvi della Tempesta e i Secondi Figli. E ho tre compagnie di liberti.» «Tutti loro e in più i draghi» sogghignò Ben Plumm il Marrone. «Incatenati nel pozzo» si lagnò Reznak mo Reznak. «A che cosa servono dei draghi che non si possono controllare? Perfino gli Immacolati hanno paura ogni volta che devono aprire la porta per dare loro da mangiare.» «Ma come, parli male degli animaletti della regina?» Ben il Marrone socchiuse gli occhi, divertito. Il capitano brizzolato dei Secondi Figli era una creatura delle compagnie libere, un bastardo nelle cui vene scorreva il sangue di una decina di popoli diversi, ma era sempre stato affezionato ai draghi, e i draghi a lui. «Animaletti?» strillò Reznak. «Mostri, piuttosto. Mostri che si cibano di bambini. Non possiamo...» «Silenzio» ordinò Daenerys. «Basta parlare di loro.» Reznak si allontanò da lei, trasalendo per la furia del suo tono. «Chiedo perdono, vostra magnificenza, non intendevo..•» Ben Plumm il Marrone ne approfittò. «Vostra grazia, gli yunkai hanno tre compagnie libere contro le nostre due, e corre voce che faranno arrivare la Compagnia dorata da Volantis. Quel bastardi schierano diecimila uomini. Gli yunkai hanno anche quattro legioni di ghiscari, forse di più, e ho sentito dire che hanno mandato cavalieri nel Mare Dothraki per convincere forse qualche grande khalasar ad attaccarci. Per come la ved° io, abbiamo bisogno dei draghi.» «Mi dispiace, Ben.» Dany sospirò. «Non oso liberare i draghi-'* Ma capì che quella non era la risposta che lui voleva. Plumm si grattò i favoriti sale e pepe. «Se non ci sono drag suHa bilancia, be'... allora dovremmo andarcene prima che i bastardi yunkai chiudano la trappola... fa' almeno in modo che H schiavisti paghino per vedere la nostra schiena. Quelli pagano i khal perché lascino in pace le loro città, perché non dovrebbero cagare anche noi per lasciarla e basta? Rivendi loro Meereen e vattene all'Ovest con carri pieni d'oro, gemme e altra roba.» «Tu vuoi che io saccheggi Meereen e mi dia alla fuga? No, non farò niente di tutto questo. Verme Grigio, i miei liberti sono pronti alla battaglia?» «Non sono degli Immacolati, ma non ti faranno vergognare.» L'eunuco incrociò le braccia sul petto. «Te lo giuro sulla lancia e sulla spada, vostra eminenza.» «Bene. Così va meglio.» Daenerys scrutò l'espressione degli uomini che le stavano attorno. Il Testarasata e il suo cipiglio. Ser Barristan con le sue rughe e i tristi occhi blu. Reznak mo Reznak, pallido, sudato. Ben il Marrone, con i capelli brizzolati, brontolone, duro come vecchio cuoio. Verme Grigio, guance lisce, flemmatico, impassibile. "Daario dovrebbe essere qui e anche i miei cavalieri di sangue" pensò. "Se battaglia sarà, il sangue del mio sangue dovrebbe essere al mio fianco." E, stranamente, sentiva anche la mancanza di ser Jorah Mormont. "Mi ha mentito, mi ha tradito, però mi voleva bene e mi ha sempre dato buoni consigli." «Già una volta ho sconfitto gli yunkai. Li sconfiggerò di nuovo. Ma dove? Come?» «Vuoi scendere in campo?» esclamò il Testarasata, incredulo. «Sarebbe una follia. Le nostre mura sono più alte e più robuste di quelle di Astapor, e i nostri difensori sono più valorosi. Gli yunkai non prenderanno facilmente questa città.» MELISANDRE Nelle stanze di Melisandre non era mai realmente buio. Tre candele di sego ardevano sul davanzale della finestra per tener lontani i terrori della notte. Altre quattro candele emettevano una luce tremolante accanto al letto, due per lato. Il camino era acceso giorno e notte. La prima cosa che imparavano i suoi servitori era che non bisognava mai, per nessun motivo, lasciare estinguere le fiamme. La sacerdotessa rossa chiuse gli occhi e recitò una preghiera, poi li riaprì e guardò il focolare. "Ancora una volta." Doveva essere sicura. Molti sacerdoti e sacerdotesse prima di lei erano stati rovinati da false visioni, perché vedevano ciò che desideravano vedere anziché ciò che il Signore della luce aveva inviato. Stannis stava marciando a sud, verso il pericolo, il re che portava sulle spalle il destino del mondo, Azor Ahai che ritorna. Di sicuro R'hllor le avrebbe concesso una visione fugace di ciò a cui il re stava andando incontro. "Mostrami Stannis, Signore" pregò Melisandre. "Mostrami il tuo re, il tuo strumento." Le visioni danzavano davanti a lei, oro e scarlatto, strane Sagome terrificanti e seducenti guizzavano, si formavano e si fondevano, dissolvendosi l'una nell'altra. Melisandre vide di nuovo i volti senza occhi che la fissavano da orbite lacrimanti sangue. Vide le torri sulla riva del mare sgretolarsi nella marea scura che le inondava, sorgendo dagli abissi. Ombre a forma di .eschio, maschere scheletriche che si mutavano in nebbia, corpi strecciati nella lussuria che si contorcevano, si rotolavano, si artigliavano. Tra cortine di fuoco, grandi ombre alate roteavano contro un duro cielo azzurro. "La ragazza. Devo trovare di nuovo la ragazza grigia sul cavallo moribondo." Jon Snow si aspettava questo da lei, e subito. Non bastava dire che la ragazza stava fuggendo. Lui voleva sapere di più, voleva sapere quando e dove, e lei non era in grado di dargli quelle risposte. Aveva visto la ragazza solo una volta. "Una ragazza grigia come la cenere, e proprio mentre la guardavo si è dissolta ed è volata via." Un viso prese forma nel focolare. "Stannis?" pensò Melisan-dre per un momento... invece no, quello non era il suo viso. "Una faccia di legno, di un bianco cadaverico." Il nemico? Mille occhi rossi fluttuarono nel crescendo delle fiamme. "Mi vede." Accanto a lui, un ragazzo con la faccia da lupo gettò indietro la testa e ululò. La sacerdotessa rossa rabbrividì. Un rivolo di sangue le colò sulla coscia, nero e fumante. Il fuoco era dentro di lei, un'agonia, un'estasi, la riempiva, la bruciava, la trasformava. Scintille di calore le tracciavano disegni sulla pelle, insistenti come la mano di un amante. Da giorni perduti nel tempo, strane voci la chiamavano. «Melony» udì gridare una donna. Una voce maschile annunciò: «Lotto numero sette». Melisandre piangeva, e le sue lacrime erano fiamma. E lei assorbì altro fuoco. Fiocchi di neve turbinavano da un cielo scuro e ceneri si alzavano a incontrarli, il grigio e il bianco mulinellavano l'uno intorno all'altro, mentre frecce fiammeggianti descrivevano un arco sopra un muro di legno e creature morte si aggiravano in silenzio nel gelo, sotto un grande dirupo grigio dovè dei fuochi ardevano nelle caverne, in centinaia di caverne. Poi si alzò il vento e arrivò la nebbia bianca, incredibilmente gelida. A uno a uno i fuochi si estinsero. Allora rimasero soltanto i teschi. "Morte" pensò Melisandre. "I teschi sono la morte." Le fiamme crepitavano sommessamente, e nel loro scoppiettio Melisandre le udì sussurrare un nome: "Jon Snow". Il suo viso lungo flutto davanti a lei, miniato in lingue di rosso e di arancione, comparendo e scomparendo, un'ombra intravista dietro un sipario tremolante. Ora uomo, ora lupo, ora di nuovo uomo-Ma c'erano anche dei teschi tutt'intorno a lui. Melisandre aveva già visto che Snow era in pericolo, aveva cercato di avvertire il ragaZZo. "È circondato da nemici, pugnali nel buio." Ma Snow non stava a sentire. I miscredenti non stavano mai a sentire, finché non era troppo tardi- «Che cosa vedi, mia lady?» chiese il ragazzo a bassa voce. "Teschi, un migliaio di teschi, e di nuovo il giovane bastardo: Jon Snow." Ogni volta che le chiedevano che cosa vedeva nei suoi fuochi, la risposta di Melisandre era sempre la stessa: «Di tutto e di più», ma le visioni non erano mai semplici come quelle parole suggerivano. Vedere era un'arte, e come tutte le arti richiedeva padronanza, disciplina, studio. "Anche dolore." R'hllor parlava ai suoi eletti mediante il fuoco sacro, in un linguaggio di cenere e scorie e di fiamma cangiante che solo un dio poteva realmente comprendere. Melisandre aveva fatto pratica nella sua arte per innumerevoli anni e ne aveva pagato il prezzo. Nessuno, nemmeno nel suo ordine, aveva una simile abilità nel vedere i segreti in parte mostrati e in parte nascosti dalle fiamme sacre. Eppure, adesso le pareva di non riuscire a trovare il suo re. "Prego di avere un'apparizione di Azor Ahai, e R'hllor mi mostra solo Snow." «E>evan» chiamò «dammi da bere.» Aveva la gola infiammata e riarsa. «Subito, mia lady. Il ragazzo versò una coppa d'acqua dall'orcio di pietra accanto alla finestra e gliela portò. «Ti ringrazio.» Melisandre bevve un sorso, inghiottì, rivolse al ragazzo un sorriso. Notò che arrossiva. Era mezzo innamorato di lei, e lei lo sapeva. "Mi teme, mi desidera e mi venera." Al tempo stesso Devan non era contento di trovarsi lì. Il ragazzo aveva prestato servizio con grande orgoglio come scudiero del re, e quando Stannis gli aveva ordinato di restare al Castello Nero ne aveva sofferto. Come ogni ragazzo della sua età, aveva la testa piena di sogni di gloria; indubbiamente doveva aver fantasticato sul coraggio che avrebbe dimostrato a Deepwood Motte. Altri ragazzi della sua età erano andati a sud per servire come scudieri i cavalieri del re e cavalcare al 0ro fianco in battaglia. A Devan quell'esclusione era di certo apparsa come un rimprovero, una punizione per qualche pecca a Parte sua, o forse di suo padre. n realtà, Devan era lì perché l'aveva voluto Melisandre. I quattro figli maggiori di Davos Seaworth erano morti nella Battaglia delle Acque Nere, quando la flotta del re era stata distrutta dal fuoco verde dei piromanti. Devan era il quinto nato, e sarebbe stato più al sicuro con lei che non al fianco del re. Lord Davos non l'avrebbe ringraziata per questo, e del resto nemmeno il ragazzo, ma a lei era parso che Seaworth avesse già sofferto abbastanza. Per quanto mal consigliato, era impossibile dubitare della sua fedeltà a Stannis. Questo lei lo aveva visto nelle fiamme. Devan era sveglio, svelto e abile, che era più di quanto si potesse dire della maggior parte dei suoi servitori. Quando aveva marciato verso sud, Stannis aveva lasciato indietro una decina di uomini a servirla, ma nella pratica molti di essi erano inutili. Sua grazia aveva bisogno di ogni singola spada disponibile, perciò aveva potuto rinunciare solo a uomini anziani o menomati. Un uomo era rimasto accecato da un colpo alla testa durante la battaglia alla Barriera, un altro zoppicava perché il suo cavallo cadendo gli aveva spezzato le gambe. Il sergente di Melisandre aveva perso un braccio, colpito dalla mazza di un gigante. Tre delle sue guardie erano castrati che Stannis aveva punito per aver stuprato donne dei bruti. Poteva contare anche su due ubriaconi e su un codardo. Quest'ultimo avrebbe dovuto essere impiccato, come Stannis in persona aveva ammesso, ma apparteneva a una nobile famiglia, e suo padre e i suoi fratelli erano sempre stati sostenitori del re. La presenza di guardie intorno a lei avrebbe indubbiamente contribuito a rendere i confratelli in nero più rispettosi, la sacerdotessa rossa lo sapeva, ma se si fosse trovata in reale pericolo nessuno degli uomini lasciati da Stannis le sarebbe stato di grande aiuto. Non aveva importanza. Melisandre di Asshai non temeva per se stessa. R'hllor l'avrebbe protetta. Bevve un altro sorso d'acqua, poi posò la coppa, batté le palpebre, si stiracchiò e si alzò dallo scranno; i suoi muscoli erano tesi e indolenziti. Dopo aver scrutato a lungo le fiamma le occorreva qualche istante per abituare la vista alla penombra-Aveva gli occhi secchi e stanchi, ma strofinandoli avrebbe sol° peggiorato la situazione. Notò che il fuoco languiva. «Devan, altra legna. Che ore sono- «È quasi l'alba, mia lady.» "L'alba. Ci viene concesso un altro giorno, grazie a R'hllor. I terrori della notte recedono." Aveva trascorso la notte sulla sedia accanto al fuoco, come faceva spesso. Da quando Stannis era andato via il suo letto la vedeva raramente. Non aveva tempo per dormire, con tutto il peso del mondo sulle spalle. E aveva paura di sognare. "Il sonno è una piccola morte, i sogni sono il bisbiglio dell'Altro, che è pronto a trascinarci tutti nella sua notte eterna." Preferiva rimanere seduta, immersa nel bagliore rossastro delle sacre fiamme del suo signore, con le guance arrossate dalle ondate di calore come sedette Sul bordo del davanzale, estraendo il pugnale dal fodero. «Se falche corvo vuole infilarmi un coltello fra le costole mentre sh mangiando una scodella di stufato, che ci provi pure. La bba di Hobb avrebbe un gusto migliore, con l'aggiunta di Po' di sangue.» Melisandre non badò all'acciaio snudato. Se il bruto avesse avuto intenzione di farle del male, l'avrebbe letto nelle fiamme. I pericoli per la sua persona erano la prima cosa che aveva imparato a vedere, fin da quando era poco più che una bambina, una schiavetta legata per la vita al grande tempio rosso. E i pericoli continuavano a essere la prima cosa che cercava quando scrutava nel fuoco. «È dei loro occhi che ti dovresti preoccupare, non dei loro coltelli» lo ammonì. «L'incantesimo, aye.» Il rubino incastonato nel ceppo di ferro nero intorno al suo polso parve pulsare. Rattleshirt gli diede un colpetto con la punta della lama. L'acciaio produsse un debole click contro la pietra. «Quando dormo lo sento. Il suo calore mi arriva anche attraverso il ferro. Morbido come un bacio di donna. II tuo bacio. Ma a volte, nei miei sogni, comincia a bruciare e le tue labbra si trasformano in denti. Ogni giorno penso quanto sarebbe facile toglierlo, ma non lo faccio. Devo portare anche quelle maledette ossa?» «L'incantesimo è fatto d'ombra e di suggestione. Gli uomini vedono quello che si aspettano di vedere. Le ossa sono un aspetto di tutto ciò.» "Ho forse sbagliato a risparmiarlo?" «Se l'incantesimo svanisce, loro ti uccideranno.» Il bruto cominciò a pulirsi con la punta del coltello le unghie incrostate di terriccio. «Ho cantato le mie canzoni, combattuto le mie battaglie, bevuto il vino dell'estate, gustato la moglie del dormano. Un uomo dovrebbe morire così come è vissuto. Nel mio caso, con l'acciaio in pugno.» "Sogna la morte? Che sia stato toccato dal nemico? La morte è il suo dominio, i morti i suoi soldati." «Avrai abbastanza presto lavoro per il tuo acciaio. Il nemico si sta muovendo, il nemico vero. E i ranger di lord Snow torneranno prima che il giorno finisca, con i loro occhi ciechi e iniettati di sangue.» Rattleshirt socchiuse le palpebre. Occhi grigi, occhi castani: Melisandre vedeva il colore cambiare a ogni pulsazione del rubino. «Cavare gli occhi è compito del Piagnone» disse il bruto-«Il corvo migliore è un corvo cieco, ama sempre dire. A volte penso che gli piacerebbe cavarsi anche i propri, da come gli 1 inumidiscono in continuazione e gli prudono. Snow pensava che il popolo libero si sarebbe rivolto a Tormund come guida, perche questo è quello che lui farebbe. Aveva simpatia per TormuOL ' e quel vecchio imbroglione lo ricambiava. Se però scegliessero il piagnone sarebbe un bel guaio. Per Snow e anche per noi.» Melisandre annuì con aria solenne, come se avesse fatto tesoro di quelle parole, ma il Piagnone non c'entrava. Nessuno del popolo libero contava per lei. Quella era gente perduta, condannata, destinata a sparire dalla faccia della terra, così come erano spariti j figli della foresta. Ma Rattleshirt non avrebbe apprezzato un discorso simile, e Melisandre non poteva rischiare di perdere il bruto, non adesso. «Quanto conosci il Nord?» Rattleshirt rinfoderò il coltello. «Come ogni razziatore. Alcune parti meglio di altre. Il Nord è grande. Perché?» «La ragazza» disse Melisandre. «Una ragazza grigia su un cavallo moribondo. La sorella di Jon Snow.» Chi altri poteva essere? Stava andando da lui in cerca di protezione, almeno questo la donna rossa l'aveva visto chiaramente. «L'ho vista nelle mie fiamme, ma una volta soltanto. Dobbiamo conquistarci la fiducia del lord comandante, e l'unico modo per farlo è salvare la ragazza.» «Vuoi che io, il Lord delle Ossa, la salvi?» Rise. «Nessuno si è mai fidato di Rattleshirt, a parte gli stupidi. E Snow non è affatto uno stolto. Se sua sorella deve essere salvata, manderà i suoi corvi. Io farei così.» «Lui non è te. Ha pronunciato i voti della confraternita e intende onorarli. I Guardiani della notte non prendono parte alcuna. Ma tu non sei un Guardiano della notte. Tu puoi fare quello che lui non può fare.» «Se il tuo ostinato lord comandante lo permetterà. Le tue fiamme hanno mostrato dove trovare la ragazza?» «Ho visto dell'acqua, profonda, azzurra e immota, con sopra uno strato di ghiaccio sottile appena formato. Pareva non aver fine.» «Il Lago Lungo. E cos'altro hai visto intorno alla ragazza?» «Alture, campi, alberi. Una volta un cervo. Pietre. Lei si tiene ontano dai villaggi. Quando può, segue il letto di piccoli corsi acqua per far perdere le tracce agli inseguitori.» «Questo renderà tutto più difficile.» Rattleshirt si incupì. «La Sgazzina sta venendo verso nord, hai detto. Il lago era alla sua estra o alla sua sinistra?» Melisandre chiuse gli occhi, cercando di ricordare meglio. Ministra.» «Allora non ha preso la Strada del Re. Ragazza furba. Dall'altra parte ci sono meno occhi che controllano, ed è più riparato. E ci sono alcuni rifugi che a volte ho usato anch'io e...» Rattleshirt si interruppe udendo il suono di un corno da guerra e balzò in piedi. In tutto il Castello Nero, Melisandre lo sapeva, era calato lo stesso silenzio improvviso, e ogni uomo o ragazzo si era girato verso la Barriera, tendendo l'orecchio, in attesa. Un lungo squillo del corno indicava il ritorno di ranger, ma due... "Il giorno è arrivato" pensò la sacerdotessa rossa. "Adesso lord Snow mi dovrà ascoltare." Il lungo grido lamentoso del corno svanì lentamente. Il silenzio parve durare un'ora. Alla fine il bruto spezzò l'incanto. «Uno solo, dunque. Ranger di ritorno.» «Ranger morti.» Anche Melisandre si alzò. «Va' a prendere quelle ossa e aspettami. Tornerò.» «Dovrei venire con te.» «Non dire sciocchezze. Quando avranno trovato quello che troveranno, la sola vista di un bruto li farà inferocire. Resta qui finché il loro sangue non si sarà sbollito.» Mentre Melisandre scendeva le scale di pietra della Torre del Re incrociò Devan che saliva, affiancato da due delle guardie lasciate da Stannis per proteggerla. Il ragazzo aveva su un vassoio la colazione di cui lei si era quasi dimenticata. «Ho aspettato che Hobb togliesse dal forno le pagnotte appena cotte, mia lady» disse il ragazzo. «Il pane è ancora caldo.» «Lascia tutto nelle mie stanze.» Probabilmente l'avrebbe mangiato il bruto. «Lord Snow ha bisogno di me al di là della Barriera.» "Lui ancora non lo sa, ma presto..." Fuori aveva cominciato a cadere una neve leggera. Un piccolo drappello di confratelli in nero era radunato intorno al portale. Quando Melisandre e la sua scorta arrivarono, i Guardiani della notte fecero largo alla sacerdotessa rossa. Il lord comandante l'aveva preceduta: si era incamminato attraverso il ghiaccio/ accompagnato da Bowen Marsh e da venti lancieri. Jon SnoW aveva anche mandato una decina di arcieri sulla sommità del' Barriera, qualora ci fossero dei nemici nascosti nei boschi vicini-Le guardie all'ingresso del portale non erano uomini della regin' ma lasciarono comunque passare Melisandre. Faceva freddo ed era buio, nello stretto cunicolo sinuoso che attraversava la Barriera di ghiaccio. Morgan precedeva Melisandre con una torcia. Merrel, armato d'ascia, la seguiva, grano entrambi ubriaconi senza speranza, ma a quell'ora del mattino erano ancora sobri. Uomini della regina, almeno di nome, avevano una salutare paura di Melisandre e, quando non era ebbro, Merrel sapeva essere un combattente formidabile. Melisandre non avrebbe avuto bisogno di loro quel giorno, ma riteneva importante farsi accompagnare da due guardie ovunque andasse. Era un messaggio preciso. "I simboli del potere." Quando i tre emersero a nord della Barriera la neve cadeva più fitta. Una coltre bianca sfilacciata ammantava l'irregolare e torturata terra di nessuno che dalla Barriera si estendeva fino al limitare della foresta stregata. Jon Snow e i suoi confratelli in nero erano radunati attorno a tre lance, una ventina di iarde più in là. Le lance erano lunghe otto piedi e di frassino. Quella di sinistra mostrava una leggera incurvatura, mentre le altre due erano lisce e diritte. In cima a ognuna era conficcata una testa mozzata. Le barbe erano incrostate di ghiaccio e la neve, cadendo, aveva depositato su quei crani un cappuccio bianco. Dove c'erano stati gli occhi, rimanevano solo delle orbite vuote, neri fori insanguinati che fissavano in muta accusa. «Chi erano?» chiese Melisandre ai corvi. «Jack Bulwer il Nero, Hai il Peloso e Garth Piumagrigia» rispose il lord attendente Bowen Marsh in tono solenne. «Il terreno è semicongelato. I bruti ci avranno messo metà della notte per conficcare le le genti dei sette regni chiamavano il Giovane Lupo. Erano entrambi scettici per natura, diffidenti e sospettosi. Gli unici dèi che adoravano veramente erano l'onore e il dovere. «Non hai chiesto di tua sorella» riprese Melisandre mentre salivano la scala a chiocciola della Torre del Re. «Te l'ho già detto. Non ho sorelle. I Guardiani della notte mettono da parte qualsiasi parentela, quando pronunciamo il loro giuramento. Non posso aiutare Arya, così come non...» Appena entrarono nelle stanze di lei, Snow s'interruppe di colpo. Rattleshirt, seduto a tavola, stava imburrando col suo coltello una fetta di pane caldo. Aveva indossato l'armatura di ossa, notò con piacere Melisandre. Il mezzo teschio di gigante che gli serviva da elmo era posato sul divanetto sotto la finestra. Jon Snow si irrigidì. «Tu.» «Lord Snow» il bruto sogghignò, mettendo in mostra una fila di denti scuri e spezzati. Il rubino che teneva al polso scintillava nella luce del mattino come una fioca stella rossa. «Che cosa fai qui?» «Colazione. Favorisci pure.» «Non spezzerò il pane con te.» «Sei tu quello che ci rimetti. La pagnotta è ancora calda. Questo almeno Hobb lo sa fare.» Rattleshirt diede un morso. «Potrei farti visita con altrettanta facilità, mio lord. Le guardie alla tua porta sono una burla. Chi ha scalato la Barriera una cinquantina di volte può arrivare senza difficoltà a qualsiasi finestra. Ma che vantaggio avrei a ucciderti? I corvi non farebbero che scegliersi qualcuno di peggiore.» Masticò, deglutì. «Ho sentito dei tuoi ranger. Avresti dovuto mandare me con loro.» «Così li avresti consegnati direttamente al Piagnone?» «Vuoi parlare di tradimenti? Come si chiama la tua donna dei bruti, Snow? Ygritte, giusto?» Il Lord delle Ossa si rivolse a Melisandre. «Avrò bisogno di cavalli. Una mezza dozzina di buone cavalcature. E non posso farcela da solo. Dovrete procurarmi alcune mogli di lancia rinchiuse a Città della Talpa. Ci vogliono delle donne, è più facile che la ragazza si fidi di loro, inoltre mi aiuteranno a realizzare il piano che ho in mente.» «Ma che cosa sta dicendo?» chiese lord Snow a Melisandre. «Parla di tua sorella.» La donna rossa gli posò la mano sul braccio. «Tu non la puoi aiutare, ma lui sì.» Snow ritrasse il braccio. «Assolutamente no. Tu non conosci quest'uomo. Anche se si lavasse le mani cento volte al giorno, avrebbe ancora il sangue sotto le unghie. È più facile che stupri e uccida Arya, anziché la salvi. No. Se è questo che hai visto nei tuoi fuochi, mia lady, di sicuro deve esserti entrata della cenere negli occhi.» Accennò a Rattleshirt. «Se prova a lasciare Castello Nero senza il mio consenso, gli mozzo io stesso la testa.» "Non mi dà altra scelta. Così sia." «Devan, lasciaci soli» ordinò Melisandre. Lo scudiero si affrettò a uscire, chiudendosi la porta alle spalle. Melisandre sfiorò il rubino che portava al collo e pronunciò una parola. Il suono rimbalzò stranamente dagli angoli della stanza e si contorse come un verme nelle loro orecchie. Il bruto udì una parola, il corvo un'altra. Nessuna delle due era quella uscita dalle labbra di Melisandre. Il rubino al polso del bruto diventò scuro, e i brandelli di luce e ombra intorno a lui si avvizzirono e sbiadirono. Le ossa restarono: le costole sbatacchiarono, e anche gli artigli e i denti lungo le braccia e le spalle, e la grande clavicola ingiallita di traverso sulla schiena, il teschio di gigante rimase un teschio di gigante, ingiallito e fessurato, con un ghigno di denti macchiati e selvaggi. Ma i capelli con l'attaccatura a punta sulla fronte si dissolsero. I baffi castani, il mento bitorzoluto, la carne olivastra e giallastra, e i piccoli occhi scuri, tutto si fuse. Dita grigie strisciarono tra i lunghi capelli castani. Rughe ironiche comparvero agli angoli della bocca. D'un tratto, l'uomo era più grosso di prima, più largo di petto e di spalle, lungo di gambe e magro, con la faccia rasata e bruciata dal vento. Jon Snow sbarrò gli occhi. «Mance?» «Lord Snow» Mance Rayder non sorrise. «Quella donna ti ha bruciato!» «Ha bruciato il Lord delle Ossa.» Jon Snow si rivolse a Melisandre. «Che stregoneria è questa?» «Chiamala come vuoi: incantesimo, apparenza, illusione. hllor è il Signore della luce, e i suoi servitori possono tessere c°n la luce come altri tessono con il filo.» Mance Rayder, il re oltre la Barriera, ridacchiò. «Avevo dei dubbi anch'io, Snow, ma perché non lasciarla tentare? O quello o lasciarmi arrostire da Stannis.» «Le ossa aiutano» disse Melisandre. «Le ossa ricordano. I sortilegi più potenti si fondano proprio su oggetti simili: gli stivali di un morto, un ciuffo di capelli, un sacchetto con le ossa delle dita. Sussurrando un incantesimo e con la preghiera, l'ombra di un uomo può essere sottratta a lui e drappeggiata come un mantello addosso a un altro. L'essenza di chi la indossa non cambia, muta solo la sua apparenza.» Lo disse come se fosse una cosa semplice, e facile. Loro non avrebbero mai saputo quanto era stato difficile, né quanto le era costato. Melisandre aveva imparato molto prima di Asshai quella lezione: più la stregoneria appare spontanea, più la gente teme lo stregone. Quando le fiamme avevano lambito Rattleshirt, il rubino che lei portava al collo era diventato così incandescente da farle temere che la sua stessa carne cominciasse a emettere fumo e ad annerirsi. Per fortuna, lord Snow l'aveva liberata con le sue frecce da quella sofferenza. Mentre Stannis ribolliva per la sfida, lei rabbrividiva di sollievo. «Il nostro falso re è permaloso» disse Melisandre, rivolgendosi a Jon Snow «ma non ti tradirà. Abbiamo suo figlio, non dimenticarlo. Inoltre, a te deve la vita.» «A me?» Snow sembrava sorpreso. «A chi se no, mio lord? Egli avrebbe potuto pagare per i suoi crimini solo a costo della vita, dicono le tue leggi, e Stannis Baratheon non è un uomo che va contro la legge... ma come tu hai saggiamente detto, le leggi degli uomini finiscono alla Barriera. Ti dissi che il Signore della luce avrebbe ascoltato le tue preghiere. Volevi un modo per salvare la tua sorellina e mantenere quell'onore che per te significa così tanto, il giuramento che hai prestato al cospetto del tuo dio di legno.» Indicò con un dito pallido. «Eccolo qui, lord Snow. La liberazione di Arya Stark. Un dono del Signore della luce... e mio.»
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