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libro di Saramago Josè, Sintesi del corso di Critica Letteraria

Ho letto questo libro è strutturato molto bene, è anche complicato nel capirlo...ve lo consiglio

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 22/08/2022

katia-grizzaffi
katia-grizzaffi 🇮🇹

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica libro di Saramago Josè e più Sintesi del corso in PDF di Critica Letteraria solo su Docsity! 1 José Saramago Cecità Titolo originale: Ensaio sobre a Cegueira Traduzione di Rita Desti. Copyright 1995 José Saramago Editorial Caminho, SARL, Lisboa. Copyright 1996 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. 2 In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l'intero paese. I ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato. Scoppia la violenza tra i disperati, violenza per sopraffare o soltanto per sopravvivere, in un'oscurità che sembra coprire ogni regola morale e ogni progetto di vita. Ma una donna che è miracolosamente rimasta immune dalla malattia si finge cieca per farsi internare e poter stare vicina al marito. Un gesto d'amore individuale diventa la possibilità di restituire agli uomini una speranza collettiva. Toccherà a lei inventare un itinerario di salvazione, recuperare le ragioni di una solidale pietà. Saramago ha scelto la via dell'affresco apocalittico per denunciare con intensità di immagini e durezza di accenti la notte dell'etica in cui siamo sprofondati. Paradossalmente, è proprio il mondo delle ombre a rivelare molte cose sul mondo di chi credeva di vedere. E quell'esperienza estrema è anche l'ultima occasione per confrontarsi con le domande ultime sul destino dell'uomo, malato di egoismo e di violenza, e sulle vie di un possibile riscatto. José Saramago (1922), narratore, poeta e drammaturgo, vive oggi a Lanzarote, nelle isole Canarie, ed è lo scrittore portoghese più letto e tradotto nel mondo. I suoi libri più noti sono Memoriale del convento (1984), L'anno della morte di Ricardo Reis (1985, ora nei Tascabili Einaudi), Storia dell'assedio di Lisbona (1990), Il vangelo secondo Gesù (1993). A Pilar A mia figlia Violante Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva. Libro dei Consigli 5 faccia nella direzione in cui calcolava si trovasse l'altro, Come potrò mai ringraziarla, disse, Non ho fatto altro che il mio dovere, si giustificò il buon samaritano, non mi ringrazi, e aggiunse, Vuole che l'aiuti a sistemarsi, che le faccia compagnia finché non arriva sua moglie. All'improvviso tutto quello zelo insospettì il cieco, ovviamente non avrebbe fatto entrare in casa uno sconosciuto che, in fin dei conti, poteva star benissimo escogitando, in quel preciso momento, come sottomettere, legare e tramortire lo sventurato cieco indifeso, per poi impossessarsi di quanto avesse trovato di valore. Non è necessario, non si disturbi, disse, sono a posto, e mentre chiudeva la porta lentamente ripeté, Non è necessario, non è necessario. Tirò un sospiro di sollievo sentendo il rumore dell'ascensore che scendeva. Con un gesto meccanico, senza ricordarsi dello stato in cui si trovava, scostò il coperchietto dello spioncino e sbirciò fuori. Era come se ci fosse un muro bianco dall'altro lato. Sentiva il contatto della ghiera metallica sull'arcata sopracciliare, sfiorava con le ciglia la minuscola lente, ma non riusciva a vederle, l'insondabile biancore copriva tutto. Sapeva di essere a casa sua, la riconosceva dall'odore, dall'atmosfera, dal silenzio, distingueva i mobili e gli oggetti al solo toccarli, passandovi sopra le dita, leggermente, ma era già come se tutto si stesse stemperando in una specie di strana dimensione, senza direzioni né riferimenti, senza nord né sud, senza basso né alto. Come probabilmente hanno fatto tutti, a volte aveva giocato con se stesso, nell'adolescenza, al gioco del E se fossi cieco, ed era arrivato alla conclusione, dopo cinque minuti a occhi chiusi, che la cecità, senza alcun dubbio una terribile disgrazia, avrebbe comunque potuto essere relativamente sopportabile se la vittima di una simile sventura avesse mantenuto un ricordo sufficiente, non solo dei colori, ma anche delle forme e dei piani, delle superfici e dei contorni, supponendo, è chiaro, che la suddetta cecità non fosse di nascita. Era arrivato persino al punto di pensare che il buio in cui i ciechi vivevano fosse in definitiva soltanto la semplice assenza di luce, che ciò che chiamiamo cecità fosse qualcosa che si limitava a coprire l'apparenza degli esseri e delle cose, lasciandoli intatti al di là di quel velo nero. Adesso, però, si ritrovava immerso in un biancore talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili. Nel muoversi in direzione del soggiorno, e malgrado la prudente lentezza con cui avanzava, facendo scivolare la mano esitante lungo la parete, fece cadere per terra un vaso di fiori che non si aspettava. Se n'era dimenticato, o forse lo aveva lasciato lì sua moglie uscendo, con l'intenzione di trovargli poi un posto adatto. Si chinò per valutare la gravità del disastro. L'acqua si era sparsa sul pavimento incerato. Fece per raccogliere i fiori, ma non pensò ai pezzi di vetro, una scheggia lunga, sottilissima, gli s'infilò in un dito, e lui riprese a lacrimare di dolore, di abbandono, come un bambino, accecato dal biancore in una casa che, nel tardo pomeriggio, cominciava già a scurirsi. Senza mollare i fiori, sentendo il sangue scorrere, si contorse per tirar fuori di tasca il fazzoletto e, alla meglio si avvolse il dito. Poi, brancolando, inciampando, aggirando i mobili, camminando con cautela per non infilare i piedi sotto i tappeti, raggiunse il divano dove lui e la moglie guardavano la televisione. Si sedette, si mise i fiori sulle ginocchia e, con molta cura, srotolò il fazzoletto. Il sangue, appiccicoso al tatto, lo turbò, forse perché non lo poteva vedere, pensò, il suo sangue si era trasformato in una viscosità incolore, in qualcosa in un certo qual modo estraneo che tuttavia gli apparteneva, ma come una minaccia di sé contro se stesso. Piano piano, palpeggiando lievemente con la mano sana, cercò la 6 sottile scheggia di vetro, aguzza come una minuscola spada, e con le unghie del pollice e dell'in dice a mo' di pinza riuscì a estrarla intera. Riavvolse nel fazzoletto il dito ferito, ben stretto per bloccare il sangue, e vinto, esausto, si abbandonò sul divano. Un minuto dopo, per uno di quei non rari cedimenti del corpo che, per rinunciare, sceglie certi momenti di angoscia o di disperazione, mentre, se si basasse esclusivamente sulla logica, tutti i suoi nervi dovrebbero esser desti e tesi, avvertì una sorta di spossatezza, una sonnolenza più che un vero e proprio sonno, ma altrettanto pesante. Immediatamente sognò di giocare al gioco del E se fossi cieco, sognava di chiudere e aprire gli occhi diverse volte, e ogni volta, come di ritorno da un viaggio, di ritrovare ad attenderlo, salde e inalterate, tutte le forme e i colori, il mondo a lui noto. Al di sotto di questa certezza tranquillizzante avvertiva, tuttavia, il rodere sordo di un dubbio, forse si trattava di un sogno ingannevole, un sogno da cui prima o poi si sarebbe dovuto svegliare, ma senza poi sapere quale realtà ci sarebbe stata ad attenderlo. In seguito, ammesso che l'espressione abbia un significato applicata a quel senso di spossamento che non durò più di alcuni istanti, e già in quello stato di semiveglia che prelude al risveglio, considerò seriamente che non era bene mantenersi in una tale indecisione, mi sveglio, non mi sveglio, mi sveglio, non mi sveglio, arriva sempre un momento in cui non c'è altro da fare che rischiare, Cosa ci faccio qui, con questi fiori sulle ginocchia e gli occhi chiusi, quasi avessi paura di aprirli, Cosa ci fai lì a dormire, con quei fiori sulle ginocchia, gli stava domandando la moglie. Non aveva atteso la risposta. Ostentatamente si era messa a raccogliere i cocci del vaso e ad asciugare il pavimento, mentre brontolava, con una irritazione che non cercava di dissimulare, Avresti potuto farlo tu, invece di sdraiarti lì a dormire, come se non c'entrassi per niente. Lui non parlò, si proteggeva gli occhi stringendo le palpebre, improvvisamente agitato da un pensiero, E se aprissi gli occhi e la vedessi, si domandava, in preda a un'ansiosa speranza. La moglie si avvicinò, notò il fazzoletto macchiato di sangue, la sua irritazione si spense in un istante, Poverino, com'è che ti è successo, domandava compassionevole, mentre svolgeva l'improvvisata fasciatura. Allora lui, con tutte le sue forze, desiderò di vedere la moglie inginocchiata ai suoi piedi, lì, dove sapeva che era, e poi, con la certezza di non vederla, aprì gli occhi, Finalmente ti sei svegliato, dormiglione, disse lei sorridendo. Si fece silenzio, e lui disse, Sono cieco, non ti vedo. La moglie lo rimproverò, Piantala con gli scherzi stupidi, su certe cose non ci si scherza, Magari fosse uno scherzo, la verità è che sono cieco sul serio, non vedo niente, Per favore, non mi spaventare, guardami, qui, sono qui, la luce è accesa, Lo so che ci sei, ti sento, ti tocco, immagino che tu abbia acceso la luce, ma io sono cieco. Lei cominciò a piangere, gli si aggrappò, Non è vero, dimmi che non è vero. I fiori erano scivolati per terra, sul fazzoletto macchiato, il sangue aveva ripreso a gocciolare dal dito ferito, e lui, come se in altre parole volesse dire Tra due mali il minore, mormorò, Vedo tutto bianco, e si lasciò andare a un triste sorriso. La moglie gli si sedette accanto, lo abbracciò forte, lo baciò sulla fronte, sulle guance, dolcemente sugli occhi, Vedrai che passerà, non eri mica malato, nessuno si ritrova cieco così, da un momento all'altro, Forse, Raccontami com'è andata, cosa hai sentito, quando, dove, no, non ancora, aspetta, la prima cosa da fare è parlare con uno specialista, ne conosci qualcuno, No, né tu né io usiamo gli occhiali, E se ti portassi all'ospedale, Per occhi che non vedono non devono esserci servizi di pronto soccorso, Hai ragione, la cosa migliore è andare direttamente da un medico, vado a cercare sull'elenco telefonico, uno che abbia uno studio qui vicino. Si alzò, domandò ancora, Noti qualche differenza, Nessuna, disse lui, Attenzione, adesso spengo la luce, dimmi, adesso, Niente, Niente cosa, Niente, vedo sempre lo stesso bianco, per me è come se la notte non ci fosse. 7 Sentiva la moglie sfogliare rapidamente l'elenco telefonico, tirare su col naso per trattenere le lacrime, sospirando, dicendo infine, Questo qui, speriamo ci possa ricevere. Fece un numero, domandò se era quello dello studio, se il dottore c'era, se poteva parlargli, no, no, il dottore non mi conosce, è per un caso molto urgente, sì, per favore, capisco, allora lo dico a lei, ma la prego di trasmetterlo al dottore, il fatto è che mio marito è diventato cieco all'improvviso, sì, sì, come le dico, all'improvviso, no, non è un paziente del dottore, mio ma rito non usa gli occhiali, non li ha mai usati, sì, aveva un'ottima vista, come me, anch'io vedo bene, ah, grazie mille, aspetto, aspetto, sì, dottore, sì, all'improvviso, dice di vedere tutto bianco, non so come sia successo, non ho avuto neanche il tempo di domandarglielo, sono arrivata poco fa e l'ho trovato in questo stato, vuole che glielo domandi, ah, la ringrazio moltissimo, dottore, veniamo immediatamente, immediatamente. Il cieco si alzò, Aspetta, disse la moglie, fammi medicare prima questo dito, scomparve per alcuni momenti, ritornò con una boccetta di acqua ossigenata, un'altra di mercurocromo, cotone, una scatoletta di cerotti. Mentre lo medicava gli domandò, Dove hai lasciato la macchina, e d'un tratto, Ma tu, così come stai, non potevi guidare, o eri già a casa quando, No, è stato per strada, mentre ero fermo a un semaforo, una persona mi ha fatto il favore di accompagnarmi, la macchina è lì, nella strada accanto, Bene, allora scendiamo, aspettami davanti alla porta che vado a prenderla io, dove hai messo le chiavi, Non lo so, lui non me le ha restituite, Lui, chi, L'uomo che mi ha portato a casa, era un uomo, Te le avrà lasciate lì, vado a vedere, Non vale la pena che le cerchi, non è entrato, Ma le chiavi devono pur essere da qualche parte, Sicuramente se n'è dimenticato, se l'è portate via senza rendersene conto, Ci mancava anche questo, Usa le tue, poi vedremo, Bene, andiamo, dammi la mano. Il cieco disse, Se mi tocca restare così, la faccio finita, Per favore, non dire fesserie, ci basta già quanto ci è successo, A essere cieco sono io, non tu, tu non puoi sapere che cosa mi è successo, Il medico ti rimetterà a posto, vedrai. Uscirono. Giù da basso, nell'atrio del portone, la moglie accese la luce e gli sussurrò all'orecchio, Aspettami qui, se spunta qualche vicino parlagli con naturalezza, di' che mi stai aspettando, guardandoti nessuno penserà che non vedi, evitiamo di star lì a parlare dei fatti nostri, Sì, ma non tardare. La moglie uscì di corsa. Non entrò né uscì nessun vicino. Per esperienza, il cieco sapeva che le scale erano illuminate solo finché si sentiva il meccanismo del contatore automatico, perciò continuava a premere il pulsante ogni qualvolta si faceva silenzio. La luce, questa luce, per lui si era trasformata in rumore. Non capiva perché la moglie tardasse tanto, la strada era lì accanto, ottanta, cento metri, Se ritardiamo il medico se ne va via, pensò. Non poté evitare un gesto meccanico, alzare il polso sinistro e abbassare gli occhi per vedere l'ora. Strinse le labbra come se fosse stato colpito da un improvviso dolore, e ringraziò la sorte che in quel momento non fosse spuntato un vicino, perché all'istante, alla prima parola che gli avessero rivolto, sarebbe scoppiato in lacrime. Una macchina si fermò in strada, Finalmente, pensò, ma subito dopo fu colpito dal rumore del motore, Questo è un diesel, è un tassì, disse, e spinse di nuovo l'interruttore della luce. Stava entrando la moglie, nervosa, frastornata, Il tuo santo protettore, l'anima buona, ci ha portato via la macchina, Non può essere, non avrai visto bene, Chiaro che ho visto bene, io ci vedo bene, le ultime parole le uscirono involontariamente, Mi avevi detto che la macchina era nella strada accanto, si corresse, e non c'è, oppure l'hanno lasciata in un'altra, No, no, era quella, ne sono certo, E allora è sparita, In tal caso, le chiavi, Ha approfittato del tuo disorientamento, del frangente in cui ti trovavi, e ci ha derubati, E io che, per paura, non l'ho neanche fatto entrare in casa, se fosse rimasto a farmi compagnia fino al tuo arrivo non 10 Quella notte il cieco sognò di essere cieco. Nell'offrirsi di aiutare il cieco, l'uomo che avrebbe poi rubato la macchina non aveva, in quel momento preciso, alcuna intenzione malevola, anzi, al contrario, non fece altro che obbedire a quei sentimenti di generosità e altruismo che, come tutti sanno, sono due delle migliori caratteristiche del genere umano e che si possono riscontrare persino in criminali ben più incalliti di questo, un semplice ladruncolo di automobili senza speranza di carriera, sfruttato dai veri e propri padroni dell'affare, i quali invece si approfittano dei bisogni della povera gente. In fin dei conti, questi o gli altri, non è poi così grande la differenza tra l'aiutare un cieco per poi derubarlo e preoccuparsi per una vecchiaia caduca e balbettante pensando solo all'eredità. Fu soltanto quando era ormai vicino alla casa del cieco che l'idea gli si presentò con la massima naturalezza, proprio come, si può dire, se avesse deciso di comprare un biglietto della lotteria solo per aver visto il venditore, senza provare alcuna emozione, comprandolo per vedere cosa ne venisse fuori, rassegnato in anticipo a quanto la volubile fortuna gli avrebbe portato, qualcosa o niente, c'è chi direbbe che agì secondo un riflesso condizionato della propria personalità. Gli scettici sulla natura umana, che sono molti e ostinati, sostengono che se è vero che l'occasione non sempre fa l'uomo ladro, è anche vero che lo aiuta molto. Quanto a noi, ci permetteremo di pensare che se il cieco avesse accettato la seconda offerta del buon samaritano, in definitiva falso, in quell'istante estremo in cui la bontà avrebbe potuto ancora prevalere, e cioè l'offerta di restare a fargli compagnia fino all'arrivo della moglie, chissà se l'effetto della responsabilità morale derivante dalla fiducia così accordata non avrebbe inibito la tentazione criminale e fatto venire a galla quanto di luminoso e nobile sarà sempre possibile ritrovare persino nelle anime più perdute. Per concludere banalmente, come non si stanca di insegnarci l'antico proverbio, il cieco, credendo di farsi il segno della croce, si ruppe il naso. La coscienza morale, che tanti dissennati hanno offeso e molti di più rinnegato, esiste ed è esistita sempre, non è una invenzione dei filosofi del Quaternario, quando l'anima non era ancora che un progetto confuso. Con l'andar del tempo, più le attività di convivenza e gli scambi genetici, abbiamo finito col ficcare la coscienza nel colore del sangue e nel sale delle lacrime, e, come se non bastasse, degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all'interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca. A questo, in generale, si aggiunga la circostanza particolare che, negli animi semplici, il rimorso provocato da una cattiva azione si confonde frequentemente con paure ancestrali di ogni tipo, dal che risulta come il castigo del prevaricatore finisca per essere, né più né meno, due volte meritato. Non sarà quindi possibile, in questo caso, svelare quale parte di paure e quale parte di coscienza tormentata cominciarono ad affliggere il ladro appena questi mise in moto la macchina. Indubbiamente non poteva certo essere tranquillizzante il fatto di star lì seduto nel posto di qualcuno che teneva le mani proprio su quel volante nel momento in cui era diventato cieco, qualcuno che aveva guardato attraverso questo parabrezza e all'improvviso si era ritrovato incapace di vedere, non è necessario esser dotati di molta immaginazione perché simili pensieri facciano risvegliare l'immonda e strisciante bestia del terrore, eccola lì, sta già alzando la testa. Ma era anche il rimorso, espressione esasperata di una coscienza, come si è detto prima, o, se vogliamo descriverlo in termini suggestivi, una coscienza con denti per mordere, che gli stava prospettando l'immagine derelitta del cieco mentre chiudeva la porta, Non è necessario, non è necessario, aveva detto il pover'uomo, e da quel momento in poi non sarebbe stato capace di fare un passo senza un aiuto. 11 Il ladro si concentrò sul traffico per impedire che pensieri tanto spaventosi s'impossessassero totalmente del suo animo, sapeva bene di non potersi permettere il minimo errore, la minima distrazione. C'era in giro la polizia, bastava che uno di loro lo fermasse, Prego, patente e libretto, di nuovo la galera, la vita dura. Ce la metteva tutta per rispettare i semafori, in nessun caso passare con il rosso, rispettare il giallo, attendere pazientemente il verde. A un certo punto si accorse di aver cominciato a guardare le luci in un modo che stava diventando ossessivo. Regolò allora la velocità della macchina in maniera da aver sempre davanti un semaforo verde, anche se per riuscirci dovette aumentare la velocità o, al contrario, ridurla al punto di irritare i conducenti che procedevano dietro. Infine, disorientato, teso che più non poteva, finì per infilare la macchina in una traversa secondaria dove sapeva che semafori non ce n'erano, e la posteggiò quasi senza guardare, in questo ci sapeva proprio fare. Si sentiva sull'orlo di una crisi di nervi, lo aveva pensato con queste precise parole, Mi sa che mi sta venendo una crisi di nervi. Dentro l'automobile gli mancava il respiro. Abbassò i vetri dai due lati, ma l'aria esterna, se si muoveva, non rinfrescò l'atmosfera interna. Cosa faccio, domandò. Il capannone dove avrebbe dovuto portare la macchina era lontano, in una località fuori città, nello stato d'animo in cui si ritrovava non sarebbe mai riuscito ad arrivarci, Mi becca un poliziotto, o mi procuro un incidente, ed è ancora peggio, mormorò. Pensò allora che sarebbe stato meglio uscire per un po' dall'automobile, rinfrescarsi le idee, Forse mi toglierò le ragnatele dalla testa, via, se quel tizio è diventato cieco non vuol dire che a me succeda lo stesso, non è mica un'influenza che si attacca, ora faccio un giro del palazzo e mi passa. Uscì, non valeva neanche la pena di chiudere la macchina, in un attimo sarebbe stato di ritorno, e si allontanò. Ancora non aveva fatto trenta passi che si ritrovò cieco. Nell'ambulatorio, l'ultimo paziente a essere ricevuto fu il vecchio dal buon carattere, quello che aveva pronunciato parole tanto gentili su quel povero diavolo che era diventato cieco all'improvviso. Era lì solo per concordare la data dell'operazione a una cataratta che gli era scesa nell'unico occhio rimastogli, la benda nera tappava un'assenza, non aveva niente a che vedere con il caso attuale, Sono magagne che vengono con l'età, gli aveva detto il medico tempo addietro, quando sarà matura la togliamo, e dopo non riconoscerà neanche il mondo in cui viveva. Quando il vecchio dalla benda nera se ne andò e l'infermiera disse che non c'erano altri pazienti in sala d'attesa, il medico prese la scheda dell'uomo che si era ritrovato cieco, la lesse una volta, due volte, rifletté per alcuni minuti e infine chiamò al telefono un collega con il quale ebbe la seguente conversazione, Vuoi saperne una, oggi mi è capitato un caso stranissimo, un uomo che ha perso completamente la vista da un istante all'altro, l'esame non ha mostrato alcuna lesione apprezzabile né indizi di malformazioni congenite, dice di vedere tutto bianco, una specie di biancore latteo, spesso, che gli si attacca agli occhi, sto tentando di esprimere nel miglior modo possibile la descrizione che ha fatto, sì, chiaro, è soggettivo, no, è giovane, trentotto anni, hai notizia di qualche caso simile, hai letto qualcosa, ne hai sentito parlare, me l'immaginavo, per adesso non vedo soluzione, per prendere tempo gli ho fatto fare alcune analisi, sì, potremmo visitarlo insieme uno di questi giorni, dopo cena darò uno sguardo ai libri, rivedrò la letteratura in merito, chi sa che non trovi una pista, sì, lo so, l'agnosia, la cecità psichica, potrebbe essere, ma allora si tratterebbe del primo caso con queste caratteristiche, perché non c'è dubbio che l'uomo è cieco, l'agnosia, lo sappiamo, è l'incapacità di riconoscere quel che si vede, infatti, ho pensato anche a questo, alla possibilità che si tratti di un caso di amaurosi, ma ricordati cosa ti ho detto all'inizio, questa cecità è bianca, esattamente al contrario dell'amaurosi, che è tenebra totale, a 12 meno che non esista un'amaurosi bianca, una tenebra bianca per così dire, sì, lo so, non s'è mai vista, d'accordo, domani gli telefono, gli dico che vogliamo vederlo tutti e due. Terminata la conversazione, si riappoggiò sulla sedia, se ne rimase lì alcuni minuti, poi si alzò, si tolse il camice con movimenti stanchi, lenti. Andò nella stanza da bagno a lavarsi le mani, ma questa volta non domandò allo specchio, metafisicamente, Che cosa sarà, aveva recuperato lo spirito scientifico, il fatto che l'agnosia e l'amaurosi si riscontrassero identificate e definite con precisione nei libri e nella pratica non significava che non potessero sorgere delle varianti, delle mutazioni, ammesso che il termine sia adeguato, e quel giorno sembrava arrivato. Ci sono mille ragioni perché il cervello si chiuda, solo questo, nient'altro, come una visita ritardataria che trovasse sprangata la sua stessa porta. L'oculista aveva gusti letterari e sapeva citare a proposito. La sera, dopo cena, disse alla moglie, Mi si è presentato in ambulatorio uno strano caso, potrebbe trattarsi di una variante della cecità psichica o dell'amaurosi, ma non risulta si sia mai verificata una cosa del gene re, Che malattie sono, l'amaurosi, e l'altra, domandò la moglie. Il medico fornì una spiegazione accessibile a un intendimento normale, che appagò la curiosità di lei, poi andò a prendere dalla scaffalatura i libri specialistici, alcuni vecchi, dei tempi dell'università, altri recenti, qualcuno di recentissima pubblicazione, che non aveva ancora avuto il tempo di studiare. Cercò negli indici, uno dopo l'altro, metodicamente, si mise a leggere tutto quello che trovava sull'agnosia e l'amaurosi, con la scomoda impressione di sapersi un intruso in un campo che non era il suo, il misterioso territorio della neurochirurgia, sul quale non possedeva più che alcuni scarsi lumi. Nel cuore della notte, allontanò i libri che stava consultando, si stropicciò gli occhi stanchi e si abbandonò sulla sedia. In quel momento l'alternativa gli si presentava con la massima chiarezza. Se fosse un caso di agnosia, adesso il paziente vedrebbe quello che aveva sempre visto, cioè non gli si sarebbe verificata alcuna diminuzione dell'acutezza visiva, è che il cervello, semplicemente, sarebbe diventato incapace di riconoscere una sedia là dove ci fosse una sedia, in altre parole avrebbe continuato a reagire correttamente agli stimoli luminosi trasmessi dal nervo ottico, ma, per usare termini comuni, alla portata di gente poco informata, avrebbe perso la capacità di sapere che sapeva, e, tanto più, di esprimerlo. Quanto all'amaurosi, nessun dubbio. Perché effettivamente si trattasse di amaurosi, il paziente avrebbe dovuto vedere tutto nero, fatto salvo, è chiaro, l'uso del verbo, vedere, trattandosi di tenebre assolute. Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso, come se si trovasse immerso a occhi aperti in un mare di latte. Un'amaurosi bianca, oltre a essere etimologicamente una contraddizione, sarebbe anche una condizione impossibile dal punto di vista neurologico, dato che il cervello non solo non avrebbe potuto percepire le immagini, le forme e i colori della realtà, ma non avrebbe neanche potuto, per dirla così, coprire di bianco, di un bianco continuo, come una pittura bianca senza tonalità, i colori, le forme e le immagini che quella stessa realtà avrebbe presentato a una visione normale, per quanto sia sempre problematico parlare, con effettiva proprietà, di una visione normale. Con la chiarissima consapevolezza di ritrovarsi in un vicolo apparentemente privo di uscita, il medico scosse il capo avvilito e si guardò intorno. La moglie si era già coricata, lui ricordava vagamente che gli si era avvicinata un momento e gli aveva dato un bacio sui capelli, Me ne vado a dormire, doveva aver detto, adesso la casa era silenziosa, sul tavolo il libri sparpagliati, Che cosa sarà, pensò, e all'improvviso ebbe paura, come se anche lui fosse sul punto di diventare cieco un attimo dopo e già lo sapesse. Trattenne il respiro e aspettò. Non successe niente. Successe un minuto dopo, mentre radunava i 15 nuova e imprevista conseguenza del piacere, a stento osava piangere e lamentarsi quando, con modi bruschi, vestita alla bell'e meglio, quasi a spintoni, la portarono fuori dall'albergo. Il poliziotto, con tono che sarebbe stato sarcastico se non fosse stato semplicemente villano, volle sapere, dopo averle domandato dove abitava, se avesse soldi per il tassì, In questi casi lo Stato non paga, l'avvertì, procedimento a cui, si noti a margine, non si potrà negare una certa logica, in quanto queste persone appartengono al numero di coloro che non pagano tasse sui propri immorali redditi. Lei fece un cenno affermativo, ma, essendo cieca, s'immagini, pensò che il poliziotto potesse non aver visto il gesto e mormorò, Sì, ne ho, e aggiunse fra sé e sé, Magari non ne avessi, parole che ci dovranno sembrare fuori luogo, ma che, se consideriamo le circonvoluzioni dello spirito umano, dove non esistono cammini brevi e retti finiscono, queste parole, per essere assolutamente limpide, in sostanza lei voleva dire che era stata castigata per la sua cattiva condotta, per la sua immoralità, ecco tutto. Aveva detto alla madre che non avrebbe cenato a casa, e invece sarebbe rientrata molto per tempo, anche prima del padre. Diversamente andò per l'oculista, non solo perché si trovava in casa quando lo colpì la cecità, ma perché, essendo medico, alla disperazione non si sarebbe certo consegnato con le mani legate, come fanno quelli che del corpo si accorgono solo quando gli duole. Pure in una situazione come questa, angosciato, con una notte d'ansia davanti, fu ancora capace di rammentare ciò che scrisse Omero nell'Iliade, poema della morte e della sofferenza, più di qualunque altro, Un medico, da solo, vale più di un uomo, parole che non dovremo intendere come espressione direttamente quantitativa, bensì principalmente qualitativa, come non si tarderà ad appurare. Ebbe il coraggio di coricarsi senza svegliare la moglie, neanche quando lei, mormorando mezza addormentata, si mosse nel letto per sentirlo più vicino. Ore e ore sveglio, quel poco che riuscì a dormire fu per esaurimento. Desiderava che la notte non finisse per non dover annunciare, proprio lui, il cui mestiere era curare le ferite degli occhi altrui, Sono cieco, ma contemporaneamente voleva che giungesse rapidamente la luce del giorno, lo pensò con queste precise parole, La luce del giorno, sapendo che non l'avrebbe vista. In verità, un oculista cieco non poteva servire a molto, ma spettava a lui informare le autorità sanitarie, avvisarle di quello che si sarebbe potuto trasformare in una catastrofe nazionale, né più né meno che un tipo di cecità finora sconosciuto, con tutta l'apparenza di essere altamente contagioso e che, a quanto pare, si manifestava senza la previa esistenza di attività patologiche precedenti di carattere infiammatorio, infettivo o degenerativo, come aveva potuto verificare nel cieco che era andato da lui in ambulatorio, o come nel suo stesso caso si sarebbe confermato, una miopia lieve, un lieve astigmatismo, tutto talmente leggero che aveva deciso, per il momento, di non usare lenti correttive. Occhi che avevano cessato di vedere, occhi che erano totalmente ciechi, eppure erano in perfetto stato, senza alcuna lesione, recente o antica, acquisita o primitiva. Rammentò l'esame minuzioso che aveva fatto al cieco, come le diverse parti dell'occhio accessibili all'oftalmoscopio si presentassero sane, senza alcun segnale di alterazioni morbose, una situazione molto rara all'età di trentotto anni che l'uomo aveva dichiarato di avere, e anche in età più giovane. Quell'uomo non dovrebbe essere cieco, pensò, dimentico per alcuni momenti di esserlo anche lui, a tal punto può giungere l'abnegazione, e non è cosa di adesso, ricordiamoci di quel che disse Omero, ancorché con parole apparentemente diverse. Finse di dormire ancora quando la moglie si alzò. Sentì il bacio che lei gli diede sulla fronte, molto dolce, come se non volesse svegliarlo da quello che credeva un sonno profondo, forse aveva pensato, Poverino, si è coricato tardi, studiando lo straordinario 16 caso di quel povero cieco. Rimasto solo, come se lentamente venisse garrotato da una densa nuvola che gli premeva sul petto e gli entrava nelle narici rendendolo cieco dall'interno, il medico emise un breve gemito, lasciò che due lacrime, Saranno bianche, pensò, gli inondassero gli occhi e gli scivolassero sulle tempie, da un lato e dall'altro della faccia, adesso comprendeva la paura dei suoi pazienti quando gli dicevano, Dottore, mi pare che sto perdendo la vista. In camera giungevano i piccoli rumori domestici, la moglie sarebbe tornata presto per vedere se stesse ancora dormendo, si avvicinava l'ora di andare in ospedale. Si alzò con prudenza, a tentoni cercò e si infilò la vestaglia, entrò nella stanza da bagno, urinò. Poi si voltò verso dove sapeva che c'era lo specchio, stavolta non domandò, Che cosa sarà, non disse, Ci sono mille ragioni per cui il cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l'immagine vedeva lui, lui non vedeva l'immagine. Udì la moglie entrare in camera, Ah, sei già alzato, disse lei, e lui rispose, Sì. Subito dopo la sentì accanto a sé, Buongiorno, amore mio, si rivolgevano ancora parole affettuose dopo tanti anni di matrimonio, e allora lui disse, come se stessero rappresentando un'opera e questa fosse la sua battuta, Non credo sarà molto buono, ho qualcosa alla vista. Lei prestò attenzione solo all'ultima parte della frase, Lasciami vedere, chiese, gli esaminò gli occhi con attenzione, Non vedo niente, la frase era evidentemente scambiata, non faceva parte del ruolo di lei, avrebbe dovuto pronunciarla lui, che però la pronunciò più semplicemente, così, Non vedo, e aggiunse, Credo di essere stato contagiato dal malato di ieri. Con il tempo e l'intimità, le mogli dei medici finiscono anch'esse per capirne qualcosa di medicina, e questa, così vicina al marito in tutto, aveva imparato abbastanza per sapere che la cecità non si diffonde per contagio, come una epidemia, la cecità non si prende solo perché qualcuno che non lo è guarda un cieco, la cecità è una questione privata fra un individuo e gli occhi con cui è nato. In tutti i casi, un medico ha l'obbligo di sapere ciò che dice, l'università è lì per quello, e se, oltre all'essersi dichiarato cieco, ammette apertamente di essere stato contagiato, chi è la moglie, sia pure la moglie di un medico, per dubitarne. è comprensibile, quindi, come la povera signora, davanti all'irrefutabile evidenza, finisse per reagire come una qualsiasi moglie normale, ne conosciamo già due, abbracciando il marito, offrendo le naturali dimostrazioni di dolore, E adesso, cosa facciamo, domandava fra le lacrime, Avvisare le autorità sanitarie, il ministero, è la cosa più urgente, se si tratta realmente di una epidemia è necessario prendere provvedimenti, Ma una epidemia di cecità non si è mai vista, dichiarò la moglie, nel desiderio di aggrapparsi a quest'ultima speranza, Neanche si è mai visto un cieco senza motivi apparenti per esserlo, e in questo momento ce ne sono già almeno due. Aveva appena pronunciato l'ultima parola che il viso gli si trasformò. Spinse via la moglie quasi con violenza, lui stesso indietreggiò, Allontanati, non ti avvicinare, potrei contagiarti, e subito dopo, picchiandosi il capo con i pugni chiusi, Stupido, stupido, medico idiota, com'è che non ci ho pensato, un'intera notte insieme, dovevo rimanere nello studio, con la porta chiusa, e anche così, Per favore, non parlare in questo modo, ciò che dovrà essere sarà, avanti, vieni, ti preparo la colazione, Lasciami, lasciami, No, urlò la moglie, cosa vuoi fare, andare a ruzzoloni, urtando contro i mobili, in cerca del telefono, senza occhi per trovare nell'elenco i numeri di cui hai bisogno, mentre io assisto tranquillamente allo spettacolo, sotto una campana di cristallo a prova di contaminazione. Lo afferrò per il braccio con fermezza e disse, Andiamo, amore. Era ancora presto quando il medico finì di prendere, immaginiamo con che gusto, la tazza di tè e la fetta di pane tostato che la moglie si era ostinata a preparargli, troppo 17 presto per trovare nei rispettivi posti di lavoro le persone che avrebbe dovuto informare. La logica e l'efficacia dettavano che la comunicazione di quanto stava accadendo fosse fatta direttamente e il più presto possibile a un alto funzionario responsabile del Ministero della Sanità, ma non tardò a cambiare idea quando si rese conto che il presentarsi come semplice medico con un'informazione importante e urgente da comunicare non era sufficiente a convincere l'impiegato di medio livello con cui alla fine, dopo molte suppliche, la centralinista aveva acconsentito a metterlo in contatto. L'uomo volle sapere di cosa si trattasse prima di passargli il diretto superiore, ed era chiaro che qualunque medico con senso di responsabilità non si sarebbe messo ad annunciare il sorgere di una epidemia di cecità al primo subalterno che gli fosse comparso davanti, il panico sarebbe stato immediato. Gli rispondeva l'impiegato, Lei afferma di essere un medico, se vuole che le dica che ci credo, ebbene sì, ci credo, ma ho degli ordini, o mi dice di cosa si tratta, o non procedo, è una questione confidenziale, Le questioni confidenziali non si trattano per telefono, sarà meglio che venga personalmente, Non posso uscire da casa, Vuole dire che è malato, Sì, sono malato, disse il cieco dopo un attimo di esitazione, In questo caso dovrà chiamare un medico, un medico vero, ribatté l'impiegato e, affascinato dal proprio spirito, riagganciò il telefono. L'insolenza lo colpì come uno schiaffo. Solo dopo alcuni minuti riacquistò la serenità sufficiente per raccontare alla moglie la villania con cui era stato trattato. Dopo, come se avesse appena scoperto qualcosa che fosse obbligato a sapere da lungo tempo, mormorò, triste, è di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria. Stava per domandare, dubbioso, E adesso, quando capì di aver perso tempo, l'unico modo di far arrivare l'informazione dov'era opportuno, per via sicura, sarebbe stato parlare con il direttore sanitario del proprio ente ospedaliero, da medico a medico, senza burocrati in mezzo, poi questi si sarebbe incaricato di mettere in funzione il maledetto ingranaggio ufficiale. La moglie fece la chiamata, sapeva a memoria il numero di telefono dell'ospedale. Quando risposero, il medico si identificò e poi disse frettolosamente, Bene, grazie mille, senza dubbio la centralinista aveva domandato, Come sta, dottore, è ciò che diciamo quando non vogliamo fare la parte del debole, abbiamo detto, Bene, e stavamo morendo, ciò che normalmente si suole definire come prendere il coraggio a quattro mani, un fenomeno che solo nella specie umana è stato osservato. Quando il direttore rispose, Allora, cosa c'è, il medico gli domandò se era solo, se non ci fosse intorno qualcuno che poteva sentire, della centralinista non c'era da temere, aveva altro da fare che ascoltare conversazioni di oculistica, a lei soltanto la ginecologia le interessava. Il resoconto del medico fu breve ma completo, senza perifrasi, senza parole in più, senza ridondanze, e fatto con una secchezza clinica che, tenendo conto della situazione, finì per sorprendere anche il direttore, Ma lei è davvero cieco, domandò, Totalmente, In tutti i casi, potrebbe trattarsi di una coincidenza, potrebbe non esserci stato realmente, in senso stretto, un contagio, D'accordo, il contagio non è dimostrato, ma qui non è che è diventato cieco lui e sono diventato cieco io, ciascuno a casa propria, senza esserci visti, l'uomo mi si è presentato cieco per una visita e io sono diventato cieco poche ore dopo, Come faremo a ritrovarlo, Ho il nome e l'indirizzo all'ambulatorio, Manderò qualcuno immediatamente, Un medico, Sì, un collega, chiaro, Non le sembra che dovremmo comunicare al ministero cosa sta capitando, Per il momento lo trovo prematuro, pensi all'allarme che causerebbe una notizia del genere, per Dio, la cecità mica si attacca, Neanche la morte si attacca, e ciò nonostante moriamo tutti, Beh, se ne stia a casa mentre mi occupo della faccenda, poi la manderò a prendere, voglio vederla, Si ricordi che se sono cieco è per avere visitato un cieco, La certezza non c'è, Ma c'è, quanto meno, una buona supposizione di causa ed effetto, Senza dubbio, tuttavia è ancora 20 credo sia preferibile non pensarci, Perché, All'industria non piacerebbe di certo, lì ci sono investiti miliardi, In questo caso, resta il manicomio, Sì, signor ministro, il manicomio, E allora vada per il manicomio, Del resto, sotto tutti i punti di vista, è quello che presenta migliori condizioni, perché non solo è circondato da un muro per tutto il suo perimetro, ma ha anche il vantaggio di essere costituito da due ali, una da destinare ai ciechi propriamente detti, e un'altra ai sospetti, oltre a un corpo centrale che fungerà, per così dire, da terra-di-nessuno, attraverso cui coloro che siano diventati ciechi passeranno per andare a raggiungere coloro che lo erano già, C'è un problema, Quale, signor ministro, Saremo obbligati a mettere del personale per dirigere i trasferimenti, e mi sa che non potremo contare sui volontari, Non credo sia necessario, signor ministro, Si spieghi meglio, Qualora uno dei sospetti di infezione diventi cieco, com'è naturale che succeda prima o poi, stia certo, signor ministro, che gli altri, coloro i quali hanno ancora la vista, lo metteranno fuori all'istante, Ha ragione, Proprio come non permetterebbero l'ingresso di un cieco cui fosse venuto in mente di cambiar posto, Buona idea, Grazie, signor ministro, allora possiamo ordinare di procedere, Sì, ha carta bianca. La commissione agì con rapidità ed efficacia. Prima di sera erano già stati radunati tutti i ciechi di cui si aveva notizia, e anche un certo numero di presunti contagiati, quanto meno quelli che era stato possibile identificare e localizzare con una rapida operazione di rastrellamento effettuata soprattutto negli ambienti familiari e professionali dei colpiti dalla perdita della vista. I primi a essere trasportati nel manicomio sgombrato furono il medico e sua moglie. C'erano soldati di guardia. Il portone fu aperto giusto per farli passare, e subito richiuso. A mo' di corrimano, una grossa corda andava dal portone alla porta principale dell'edificio, Un po' più avanti, sulla sinistra, c'è una corda, afferratela e proseguite, sempre diritto, fino ai gradini, i gradini sono sei, li avvisò un sergente. All'interno la corda si divideva in due, una diramazione a sinistra, l'altra a destra, il sergente gli aveva urlato, Attenzione, il vostro lato è il destro. Mentre trascinava la valigia, la moglie guidava il marito verso la camerata che si trovava più vicina all'ingresso. Era lunga come un'antica infermeria, con due file di letti che erano stati dipinti di grigio, ma la cui vernice aveva cominciato a scrostarsi da un pezzo. I copriletto, le lenzuola e le coperte erano dello stesso colore. La moglie condusse il marito in fondo alla camerata, lo fece sedere su uno dei letti, e gli disse, Non muoverti, vado a vedere com'è. C'erano altre camerate corridoi lunghi e stretti, stanze che un tempo dovevano essere gabinetti medici, latrine sudicie, una cucina che ancora non aveva perduto l'odore del cibo cattivo, un grande refettorio con tavoli dai ripiani rivestiti di zinco, tre celle imbottite fino all'altezza di due metri e rivestite di sughero da lì in su. Nel retro dell'edificio c'era un recinto in abbandono, con alberi malandati, i tronchi sembrava che fossero stati corticati. Dappertutto si vedeva spazzatura. La moglie del medico rientrò. In un armadio aperto a metà trovò alcune camicie di forza. Quando raggiunse di nuovo il marito, gli domandò, Riesci a immaginare dove ci hanno portato, No, e stava per aggiungere In un manicomio, ma lui la prevenne, Tu non sei cieca, non posso consentirti di restare qui, Sì, hai ragione, non sono cieca, Gli chiederò di portarti a casa, dirò che li hai ingannati per restare con me, Non vale la pena, da fuori non ti sentono, e anche se ti sentissero non ti darebbero retta, Ma tu vedi, Per il momento, la cosa più sicura è che diventerò cieca anch'io uno di questi giorni, o fra un minuto, Vattene via, per favore, Non insistere, del resto scommetto che i soldati non mi farebbero neanche metter piede sui gradini, Non ti posso obbligare, Infatti no, amore mio, non puoi, resto per aiutare te, e gli altri che verranno, ma non dir loro che ci vedo, Quali altri, Non crederai che saremo gli unici, è una follia, Per forza, siamo in un manicomio. 21 Gli altri ciechi arrivarono insieme. Li avevano presi nelle rispettive case, uno dopo l'altro, quello dell'automobile prima di tutti, il ladro che l'aveva rubata, la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, no, lui no, lui andarono a prenderlo all'ospedale dove la madre lo aveva portato. La madre non era con lui, non aveva avuto l'astuzia della moglie del medico, dichiarare di essere cieca senza esserlo, è una creatura semplice, incapace di mentire, anche a fin di bene. Entrarono nella camerata inciampando, brancolando nel vuoto, qui non c'erano corde a guidarli, avrebbero dovuto apprendere a spese dei propri dolori, il ragazzino piangeva, voleva la mamma, e la ragazza dagli occhiali scuri cercava di calmarlo, Ora viene, ora viene, gli diceva, e siccome portava gli occhiali poteva essere cieca, ma poteva anche non esserlo, gli altri muovevano gli occhi da un lato e dall'altro, e non vedevano niente, mentre lei, con quegli occhiali, solo perché diceva Ora viene, ora viene, sembrava quasi che stesse vedendo entrare dalla porta la madre disperata. La moglie del medico avvicinò le labbra all'orecchio del marito e sussurrò, Ne sono entrati quattro, una donna, due uomini e un ragazzo, Gli uomini, che aspetto hanno, domandò il medico a voce bassa. Lei li descrisse, e lui, Quello lì non lo conosco, l'altro, da come l'hai descritto, ha tutta l'aria di essere il cieco venuto in ambulatorio, Il piccolo ha uno strabismo, e la donna porta occhiali scuri, sembra carina, Ci son venuti tutti e due. Per via dei rumori che facevano mentre cercavano un posto dove sentirsi sicuri, i ciechi non udirono questo scambio di parole, probabilmente pensavano non ci fosse nessun altro nelle stesse condizioni, e non avevano perduto la vista da sufficiente tempo perché il senso dell'udito gli si fosse avvivato al di sopra della norma. Infine, quasi fossero giunti alla conclusione che non valeva la pena lasciare il certo per l'incerto, ciascuno si sedette sul letto contro cui aveva per così dire inciampato, vicinissimi i due uomini, ma senza saperlo. A voce bassa, la ragazza continuava a consolare il ragazzino, Non piangere, vedrai che tua mamma non tarderà. Poi si fece silenzio, e allora la moglie del medico disse, in modo da essere udita in fondo alla camerata, dov'era la porta, Qui siamo in due, quanti siete voi. La voce inattesa fece sobbalzare i nuovi arrivati, ma i due uomini rimasero zitti, rispose la ragazza, Siamo quattro, credo, qui ci siamo questo bambino e io, Chi altri, perché gli altri non parlano, domandò la moglie del medico, Ci sono io, mormorò, come se gli costasse pronunciare le parole, una voce di uomo, E io, borbottò a sua volta, contrariata, un'altra voce maschile. La moglie del medico si disse fra sé e sé, Si comportano come se temessero di farsi riconoscere. Li vedeva contratti tesi, il collo allungato come se fiutassero qualcosa, ma, curiosamente, le espressioni erano simili, un misto di minaccia e di paura, eppure la paura dell'uno non era come quella dell'altro, e non lo erano neppure le minacce. Che ci sarà fra loro, pensò. In quel momento si udì una voce forte e secca, voce di qualcuno che, dal tono, sembrava abituato a dare ordini. Veniva da un altoparlante fissato sopra la porta da cui erano entrati. Fu pronunciata tre volte la parola Attenzione, poi la voce attaccò, Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta epidemia di cecità, provvisoriamente designata come mal bianco, e desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio, nell'ipotesi che di contagio si tratti, nell'ipotesi che non ci si trovi unicamente davanti a una serie di coincidenze per ora inspiegabili. La decisione di riunire in uno stesso luogo tutte le persone colpite e, in un luogo prossimo, ma separato, quelle che con esse abbiano avuto qualche tipo di contatto, non è stata presa senza seria ponderazione. Il Governo è perfettamente consapevole 22 delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch'essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l'isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale. Detto ciò, richiamiamo l'attenzione di tutti alle istruzioni che seguono, primo, le luci si manterranno sempre accese, sarà inutile qualsiasi tentativo di manovrare gli interruttori, non funzionano, secondo, chi abbandonerà l'edificio senza autorizzazione verrà immediatamente passato per le armi, ripeto, immediatamente passato per le armi, terzo, in ogni camerata esiste un telefono che potrà essere usato solo per richiedere all'esterno prodotti per l'igiene e la pulizia, quarto, gli internati laveranno manualmente i propri indumenti, quinto, si raccomanda l'elezione di responsabili di camerata, si tratta di una raccomandazione, non di un ordine, gli internati si organizzeranno come meglio credono, purché rispettino le suddette regole e quelle che verranno enunciate qui di seguito, sesto, tre volte al giorno saranno depositate razioni di cibo alla porta d'ingresso, a destra e a sinistra, destinate rispettivamente ai pazienti e ai sospetti di contagio, settimo, tutti gli avanzi dovranno essere bruciati, considerandosi avanzi, all'uopo, non solo ogni tipo di cibo avanzato, ma anche le casse, i piatti e le posate, che sono di materiale combustibile, ottavo, l'operazione dovrà essere effettuata nei cortili interni dell'edificio o nel recinto, nono, gli internati sono responsabili di tutte le eventuali conseguenze di tali operazioni di incenerimento, decimo, in caso di incendio, sia esso fortuito o intenzionale, i pompieri non interverranno, undicesimo, gli internati non dovranno contare su alcun tipo di intervento dall'esterno nell'ipotesi che fra di essi si verifichino malattie, nonché l'insorgere di disordini o aggressioni, dodicesimo, in caso di morte, qualunque ne sia la causa, gli internati sotterreranno senza formalità il cadavere nel recinto, tredicesimo, la comunicazione fra l'ala dei pazienti e l'ala dei sospetti di contagio avverrà tramite il corpo centrale dell'edificio, lo stesso da cui siete entrati, quattordicesimo, i sospetti di contagio che dovessero diventare ciechi passeranno immediatamente nell'ala destinata a coloro che già lo sono, quindicesimo, questa comunicazione sarà ripetuta tutti i giorni, a questa stessa ora, per conoscenza dei nuovi ammessi. Il Governo e la Nazione si aspettano che ciascuno compia il proprio dovere. Buonanotte. Nel silenzio che seguì si udì chiaramente la voce del ragazzino, Voglio la mamma, ma le parole furono articolate senza alcuna espressione, come un ripetitore automatico che prima avesse lasciato in sospeso una frase e adesso, fuori tempo, la trasmettesse. Il medico disse, Gli ordini che abbiamo sentito non lasciano dubbi, siamo isolati, più isolati di quanto probabilmente lo sia mai stato nessuno, e senza speranza di potere uscire da qui prima che si scopra il rimedio per la malattia, La sua voce mi è nota, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Sono medico, sono un oculista, è il medico che ho consultato ieri, è la sua voce, Sì, e lei chi è, Avevo una congiuntivite, suppongo di averla ancora, ma adesso, cieca per cieca, ormai non avrà più importanza, E quel piccino che sta con lei, Non è mio, io non ho figli, Ieri ho visitato un ragazzino strabico, sei tu, domandò il medico, Sì, signore, la risposta del ragazzo ebbe un tono di dispetto, di chi non ha gradito sentir menzionato il proprio difetto fisico, e aveva ragione, che simili difetti, questi e altri, solo per il fatto di parlarne, dall'essere a stento percepibili diventano più che evidenti. C'è qualcun altro che conosco, domandò ancora il medico, non c'è per caso quel signore che ieri è venuto nel mio ambulatorio accompagnato dalla moglie, quello che è diventato cieco all'improvviso mentre era in automobile, Sono io, rispose il primo cieco, C'è ancora un'altra persona, si presenti per favore, ci hanno costretto a vivere insieme, non sappiamo per quanto tempo, quindi è indispensabile conoscerci. Il ladro della 25 se la farà nei pantaloni. Disse la moglie del medico, Forse posso trovare io i gabinetti, mi ricordo di avere sentito un certo odore, Vengo con lei, disse la ragazza dagli occhiali scuri, tenendo per mano il ragazzino, Penso sia meglio andare tutti, osservò il medico, così impareremo la strada per quando ne avremo bisogno, Ti ho capito, pensò il ladro della macchina, ma non si azzardò a dirlo a voce alta, tu non vuoi che la tua mogliettina debba accompagnarmi a pisciare ogni volta che ne ho voglia. Il pensiero, per quell'implicito secondo senso, gli provocò una piccola erezione che lo sorprese, come se il fatto di essere cieco dovesse aver avuto come conseguenza la perdita o la diminuzione del desiderio sessuale, Bene, pensò, in definitiva non tutto è perduto, tra morti e feriti qualcuno scamperà, e poi, estraniandosi dalla conversazione, cominciò a fantasticare. Non gliene diedero il tempo, il medico stava dicendo, Facciamo una fila, mia moglie andrà in testa, ciascuno metta la mano sulla spalla di chi gli sta davanti, così non ci sarà pericolo di perderci. Disse il primo cieco, Io con questo non ci vado, si riferiva ovviamente a chi lo aveva derubato. O perché si cercavano, o perché si evitavano, ma a stento riuscivano a muoversi nella stretta corsia, tanto più che anche la moglie del medico doveva procedere come se fosse cieca. Finalmente la fila risultò ordinata, dietro la moglie del medico c'era la ragazza dagli occhiali scuri con il ragazzino strabico per mano, poi il ladro, in mutande e canottiera, subito dopo il medico, e alla fine, per il momento in salvo da eventuali aggressioni, il primo cieco. Avanzavano molto lentamente, come se non si fidassero di chi li guidava, con la mano libera tastavano continuamente l'aria, cercando al passaggio l'appoggio di qualcosa di solido, una parete, lo stipite di una porta. In fila dietro alla ragazza dagli occhiali scuri, il ladro, stimolato dal profumo che emanava da lei e dal ricordo della recente erezione, decise di usare la mani con maggior profitto, con una accarezzandole la nuca sotto i capelli, e con l'altra, direttamente e senza cerimonie, palpandole il seno. Lei si agitò per sottrarsi a quel gesto sfrontato, ma lui la teneva ben stretta. Allora la ragazza scagliò con forza una gamba all'indietro, come per dare un calcio. Il tacco della scarpa, sottile come uno stiletto, andò a infilzarsi nella coscia nuda del ladro, che cacciò un urlo di sorpresa e di dolore. Cosa c'è, domandò la moglie del medico guardando indietro, Sono io che ho inciampato, rispose la ragazza dagli occhiali scuri, devo aver pestato qualcuno. C'era già un po' di sangue fra le dita del ladro che, gemendo e imprecando, tentava di rimediare agli effetti dell'aggressione, Sono ferito, questa qui non vede dove mette i piedi, E lei non vede dove mette le mani, rispose seccamente la ragazza. La moglie del medico capì cos'era successo, prima sorrise, ma subito si rese conto che la ferita aveva un brutto aspetto, il sangue scorreva sulla gamba del povero diavolo, e non c'erano né acqua ossigenata, né mercurocromo, né cerotti, né bende, nessun disinfettante, niente. La fila si era sciolta, il medico domandava, Dov'è che è ferito, Qui, Qui dove, Alla gamba, non lo vede, quella lì mi ha infilzato con un tacco della scarpa, Ho inciampato, non è colpa mia, ripeté la ragazza, ma subito dopo esplose, esasperata, Questo mascalzone mi stava toccando, chi credeva che fossi. La moglie del medico intervenne, Adesso però è necessario lavare questa ferita e fasciarla, E l'acqua dov'è, domandò il ladro, In cucina, in cucina c'è acqua, ma non c'è bisogno che andiamo tutti, mio marito e io accompagniamo questo signore, voialtri aspettate qui, non tarderemo, Voglio fare pipì, disse il ragazzino, Resisti un pochettino, torniamo subito. La moglie del medico sapeva che avrebbe dovuto girare una volta a destra e una volta a sinistra, poi proseguire per un lungo corridoio che faceva angolo retto, la cucina era in fondo. Trascorsi pochi minuti, fece finta di essersi sbagliata, si fermò, tornò indietro, poi esclamò, Ah, ora mi ricordo, e quindi andarono direttamente in cucina, non c'era altro tempo da perdere, la ferita sanguinava abbondantemente. All'inizio l'acqua uscì sporca, fu necessario aspettare che si schiarisse. Era tiepida, stagnante, come se 26 fosse rimasta lì a imputridire all'interno dei tubi, ma il ladro l'accolse con un sospiro di sollievo. La ferita aveva un brutto aspetto. E adesso, come gliela fasciamo la gamba, domandò la moglie del medico. Sotto un tavolo c'erano alcune pezze sporche che dovevano essere degli strofinacci, ma sarebbe stata una grave imprudenza utilizzarle come bende, Mi pare che qui non c'è niente, disse fingendo di andare in cerca, Ma io non posso rimanere in questo stato, dottore, il sangue non si ferma, per favore mi aiuti, e scusi se poco fa sono stato maleducato con lei, si lamentava il ladro, La stiamo aiutando, è ciò che stiamo facendo, disse il medico, e poi, Si tolga la canottiera, non c'è altro da fare. Il ferito bofonchiò che gli serviva, ma se la tolse. Rapidamente, la moglie del medico l'arrotolò, l'avvolse intorno alla coscia, strinse con forza e riuscì, con le punte costituite dalle bretelle e dall'orlo, a fare un nodo grossolano. Non erano movimenti che un cieco potesse eseguire facilmente, ma lei non volle perder tempo con ulteriori simulazioni, bastava già l'aver finto di essersi perduta. Al ladro gli parve di vederci qualcosa di anormale, era il medico, secondo la logica, pur non essendo altro che un oculista, che avrebbe dovuto fargli la fasciatura, ma la consolazione di sapersi curato si sovrappose ai dubbi, in tutti i casi vaghi, che per un momento gli avevano sfiorato la coscienza. Con l'uomo zoppicante, raggiunsero di nuovo gli altri, e la moglie del medico vide immediatamente che il ragazzino strabico non ce l'aveva fatta più e aveva urinato nei pantaloni. Né il primo cieco né la ragazza dagli occhiali scuri si erano accorti di quanto era successo. Ai piedi del ragazzo si allargava una pozza di urina, l'orlo dei pantaloni gocciolava ancora. Ma, come se niente fosse, la moglie del medico disse, Andiamo un po' in cerca di questi gabinetti. I ciechi mossero le braccia davanti alla faccia, cercandosi l'un l'altro, non la ragazza dagli occhiali scuri, che dichiarò subito di non voler più stare davanti a quello sfacciato che l'aveva toccata, infine si ricostituì la fila scambiandosi di posto il ladro e il primo cieco, col medico in mezzo. Il ladro zoppicava un po' di più, trascinava la gamba. Quella sorta di laccio emostatico lo infastidiva e la ferita gli pulsava talmente forte che era come se il cuore avesse cambiato posto e adesso si trovasse in fondo a quel foro. La ragazza dagli occhiali scuri teneva di nuovo il ragazzino per mano, ma questi stava il più discosto possibile, per paura che qualcuno notasse la sua negligenza, come il medico, che fiutò, Qui c'è puzza di urina, e la moglie ritenne di dover confermare l'impressione, Sì, veramente c'è puzza, non poteva dire che veniva dai gabinetti perché ne erano ancora lontani, e, dovendo comportarsi come se fosse cieca, tantomeno avrebbe potuto dire che l'odore veniva dai calzoni bagnati del ragazzo. Erano già d'accordo, tanto le donne quanto gli uomini, che, una volta arrivati ai gabinetti, sarebbe stato il ragazzo a scaricarsi per primo, ma alla fine gli uomini entrarono insieme, senza badare a urgenze o età, l'orinatoio era collettivo, per forza in un posto del genere, e le latrine pure. Le donne rimasero davanti alla porta, si dice che resistano meglio, ma tutto ha i suoi limiti, di lì a momenti la moglie del medico suggerì, Forse c'è qualche altro gabinetto, ma la ragazza dagli occhiali scuri disse, Per me, posso aspettare, E anch'io, disse l'altra, e, dopo un silenzio, cominciarono a parlare, Com'è che è diventata cieca, Come tutti, all'improvviso ho cessato di vedere, Era in casa, No, Allora è stato quando è uscita dall'ambulatorio di mio marito, Più o meno, Cosa vuol dire più o meno, Che non è stato subito dopo, Ha provato dolore, Per la verità no, quando ho aperto gli occhi ero cieca, Io no, No cosa, Non avevo gli occhi chiusi, sono diventata cieca nel momento in cui mio marito è salito sull'ambulanza, Ha avuto fortuna, Chi, Suo marito, così potrete stare insieme, In tal caso ho avuto fortuna anch'io, Infatti, E lei, signora, è sposata, No, non lo sono, e d'ora in poi penso che non si sposerà mai più nessuno, Ma questa cecità è talmente anomala, talmente al di fuori di quanto la scienza conosce, che non potrà durare 27 sempre, E se dovessimo rimanere così per il resto della vita, Noi, Tutti quanti, Sarebbe terribile, un mondo di ciechi, Non voglio neanche immaginarlo. Il ragazzino strabico fu il primo a uscire dal gabinetto, non c'era neanche bisogno che vi entrasse. Aveva i calzoni arrotolati fino a metà gamba e si era tolto le calze. Disse, Sono qui, la mano della ragazza dagli occhiali scuri si mosse subito in direzione della voce, non ci azzeccò alla prima né alla seconda, alla terza incontrò la mano incerta del ragazzo. Di lì a poco comparve il medico, subito dopo il primo cieco, uno dei due domandò, Dove siete, la moglie del medico teneva già il marito per un braccio, l'altro fu sfiorato e poi afferrato dalla ragazza dagli occhiali scuri. Il primo cieco, per alcuni secondi, non ebbe nessuno a sostenerlo, poi qualcuno gli mise la mano su una spalla. Ci siamo tutti, domandò la moglie del medico, Quello della gamba si è fermato per un altro bisogno, rispose il marito. Allora la ragazza dagli occhiali scuri disse, Forse c'è qualche altro gabinetto, comincio ad avere qualche problema, scusate, Andiamo a cercare, disse la moglie del medico, e si allontanarono tenendosi per mano. Passati una decina di minuti, avevano trovato un ambulatorio di visita dove c'era un servizio igienico. Il ladro era uscito dal gabinetto, si lamentava per il freddo e i dolori alla gamba. Rifecero la fila nello stesso ordine con cui erano venuti e, con meno lavoro di prima e nessun incidente, tornarono nella camerata. Con destrezza, senza darlo a vedere, la moglie del medico li aiutò a raggiungere ciascuno il proprio letto. Ancora fuori della camerata, come se si trattasse di un qualcosa ormai ovvio per tutti, ricordò che il modo più facile per ritrovare il proprio posto era di contare i letti partendo dall'entrata, I nostri, disse, sono gli ultimi del lato destro, il diciannove e il venti. Il primo a procedere nella corsia fu il ladro. Era quasi nudo, tremava, desiderava alleggerire la gamba dolente, motivi sufficienti perché gli dessero la precedenza. Cominciò ad avanzare di letto in letto, tastando il pavimento in cerca della valigia, e quando la riconobbe disse ad alta voce, Eccola, e aggiunse Quattordici, Da che lato, domandò la moglie del medico, Sinistro, rispose, di nuovo vagamente sorpreso, come se lei avesse dovuto saperlo senza necessità di domandarlo. Il primo cieco fu il successivo. Sapeva che il suo letto era il secondo partendo da quello del ladro, stesso lato. Non aveva più paura di dormirgli accanto, con la gamba in quello stato, a giudicare dai gemiti e dai sospiri, al diavolo l'altro guaio. Disse quando arrivò, Sedici, sinistro, e si coricò vestito. Allora la ragazza dagli occhiali scuri chiese a voce bassa, Aiutateci a stare vicino a voi, di fronte, dall'altro lato, lì staremmo bene. Avanzarono tutti e quattro insieme e rapidamente si sistemarono. Trascorsi alcuni minuti il ragazzino strabico disse, Ho fame, e la ragazza dagli occhiali scuri mormorò, Domani, domani mangeremo, adesso dormi. Poi aprì la valigetta, cercò la boccetta che aveva comprato in farmacia. Si tolse gli occhiali, reclinò il capo all'indietro e, con gli occhi bene aperti, guidando una mano con l'altra, fece gocciolare il collirio. Non tutte le gocce finirono negli occhi, ma la congiuntivite, così curata, sarebbe guarita ben presto. Devo aprire gli occhi, pensò la moglie del medico. Attraverso le palpebre chiuse, quando più volte si era svegliata durante la notte, aveva percepito lo smorto chiarore delle lampadine che a stento illuminavano la camerata ma adesso le sembrava di notare una differenza, un'altra presenza luminosa, era forse l'effetto delle prime luci dell'alba, ma forse era già il mare di latte che le stava invadendo gli occhi. Si disse fra sé e sé che avrebbe contato fino a dieci e poi, alla fine, disserrato le palpebre, due volte se lo ripeté, due volte contò, due volte non le aprì. Udiva il respiro profondo del marito nel letto accanto, e ancora il russare di qualcuno, Come andrà la gamba di quel tipo, si domandò, ma sapeva che in quel momento non si trattava di compassione autentica, voleva piuttosto fingere un'altra preoccupazione, voleva non 30 perché non s'immaginava neanche che potessero esistere, e sia per una semplice questione di sensibilità e tatto. La cameriera d'albergo non se lo sognerà neppure che possa esser qui la donna che ha visto nuda, del commesso si sa che ha servito altri clienti che portavano un paio di occhiali scuri e hanno comprato un collirio, al poliziotto nessuno sarà così imprudente da denunciare la presenza di uno che ha rubato un'automobile, l'autista giurerebbe di non aver trasportato, in questi ultimi giorni, nessun cieco nel suo tassì. Naturalmente, il primo cieco ha già detto alla moglie, con voce sussurrata, che uno dei ricoverati è quel furfante che gli ha portato via la macchina, Pensa un po' che coincidenza, ma, siccome intanto ha saputo che il povero diavolo sta male per quella ferita alla gamba, ha avuto la generosità di aggiungere, Come castigo, basta. E lei, per la gran tristezza di essere cieca e la gran gioia di aver recuperato il marito, la gioia e la tristezza possono fondersi, non sono come l'acqua e l'olio, non si è neanche ricordata di quanto aveva detto due giorni prima, che avrebbe dato un anno di vita perché il mascalzone, parole sue, diventasse cieco. E se un'ultima ombra di rancore le ottenebrava ancora lo spirito, questa si dissipò di certo quando il ferito gemette miserevolmente, Dottore, per favore, mi aiuti. Facendosi guidare dalla moglie, il medico gli toccava delicatamente i bordi della ferita, non poteva far altro, e neanche valeva la pena di lavarla, l'infezione poteva essere dovuta alla profonda stoccata con un tacco di scarpa che era stato a contatto con il suolo sia per la strada che qui dentro, ma anche ad agenti patogeni molto probabilmente presenti nell'acqua stagnante, proveniente da tubature vecchie e in pessimo stato. La ragazza dagli occhiali scuri, che si era alzata nell'udire il gemito, si avvicinò pian piano, contando i letti. Si chinò in avanti, tese la mano, sfiorò il viso della moglie del medico, e poi, raggiunta senza sapere come la mano del ferito, che scottava, disse contrita, Le chiedo perdono, è stata tutta colpa mia, non c'era bisogno di fare quel che ho fatto, Lasci perdere, rispose l'uomo, sono cose che accadono nella vita, anch'io ho fatto quel che non si doveva fare. Quasi sovrapponendosi alle ultime parole, si udì la voce aspra dell'altoparlante, Attenzione, attenzione, si avvisa che il cibo è stato depositato all'ingresso, unitamente ai prodotti per l'igiene e la pulizia, per primi escano i ciechi a ritirarlo, l'ala dei contaminati sarà informata quando sarà il momento, attenzione, attenzione, il cibo è stato depositato all'ingresso, per primi escano i ciechi, i ciechi per primi. Confuso per la febbre, il ferito non colse tutte le parole, credette che li facessero uscire, che la reclusione fosse terminata, e fece un movimento per alzarsi, ma la moglie del medico lo trattenne, Dove va, Non ha sentito, domandò lui, hanno detto ai ciechi di uscire, Sì, ma per andare a ritirare il cibo. Il ferito fece, Ah, demoralizzato, e di nuovo sentì il dolore rimescolargli le carni. Disse il medico, Restate qui, andrò io, Vengo con te, disse la moglie. Mentre stavano per uscire dalla camerata, uno del gruppo proveniente dall'altra ala domandò, Chi è costui, la risposta venne dal primo cieco, è medico, un medico degli occhi, Questa è la più bella che ho sentito in vita mia, disse l'autista, guarda un po' se ci doveva toccare l'unico medico che non ci servirà a niente, Ci è toccato anche un autista che non ci porterà da nessuna parte, ribatté con sarcasmo la ragazza dagli occhiali scuri. La cassa con il cibo era nell'atrio. Il medico chiese alla moglie, Guidami fino alla porta d'ingresso, A che scopo, Vado a dirgli che abbiamo una persona con una grave infezione e non ci sono medicine, Ricordati dell'avviso, Sì, ma forse davanti a un caso concreto, Ne dubito, Anch'io, ma è nostro dovere tentare. Sul pianerottolo la luce del giorno stordì la donna, e non perché fosse troppo intensa, nel cielo si muovevano nuvole scure, forse stava per piovere, In pochissimo tempo ho perduto l'abitudine al chiarore, pensò. Nello stesso istante un soldato gridò loro dal portone, Alt, tornate indietro, ho ordine di sparare, e subito dopo, con lo stesso tono, puntando l'arma, 31 Sergente, qui ce ne sono alcuni che vogliono uscire, Non vogliamo uscire, negò il medico. Ve lo consiglio caldamente, disse il sergente mentre si avvicinava, e, spuntando dietro le grate del portone, domandò, Cosa c'è, Uno si è ferito a una gamba e presenta un'infezione conclamata, ci servono immediatamente antibiotici e altri medicinali, Gli ordini che ho sono molto chiari, uscire, non esce nessuno, entrare, solo cibo, Se l'infezione si aggrava, il che avverrà di certo, il caso può divenire rapidamente fatale, Non mi riguarda, Allora lo comunichi ai suoi superiori, Senta un po', signor cieco, adesso gliela comunico io una cosa a lei, o ve ne tornate immediatamente là da dove siete venuti, o vi beccate una pallottola, Andiamo, disse la moglie, non c'è niente da fare, non è colpa loro, hanno una gran paura e obbediscono agli ordini, Non voglio credere che stia accadendo per davvero, è contrario a ogni principio umanitario, Farai meglio a crederci, perché non ti sei mai trovato davanti a una verità tanto evidente, Siete ancora lì, urlò il sergente, conterò fino a tre, se al tre non sarete scomparsi dalla mia vista state pur certi che non rientrerete più, uuuno, duuue, treee, ecco fatto, parole benedette, e rivolto ai soldati, Neanche se fosse mio fratello, senza spiegare a chi si riferiva, all'uomo che era andato a chiedere i medicinali o all'altro, dalla gamba infettata. Dentro il ferito domandò se avrebbero mandato le medicine, Come sa che sono andato a chiederle, domandò il medico, L'ho immaginato, lei è medico, Mi dispiace molto, Il che vuol dire che le medicine non arrivano, Infatti, Ah, bene. Il cibo era stato calcolato giusto giusto per cinque persone. C'erano bottiglie di latte e biscotti, ma chi aveva calcolato le razioni si era dimenticato dei bicchieri, e non c'erano neanche piatti, né posate, probabilmente sarebbero arrivati con il pranzo. La moglie del medico andò a dare qualcosa da bere al ferito, ma questi vomitò. L'autista protestò che il latte non gli piaceva, chiedendo se non ci fosse un po' di caffè. Alcuni, dopo aver mangiato, si coricarono di nuovo, il primo cieco portò la moglie a conoscere i posti, furono gli unici a uscire dalla camerata. Il commesso chiese di parlare col dottore, voleva sapere se questi, sulla malattia, si era già fatto un'opinione, Non credo la si possa definire in senso stretto una malattia, cominciò col precisare il medico, e poi, semplificando molto, riassunse quanto aveva scoperto sui libri prima di diventare cieco. Alcuni letti più avanti, l'autista ascoltava con attenzione, e quando il medico terminò il suo resoconto, disse, Si saranno ostruiti i canali che vanno dagli occhi al midollo spinale, ci scommetto che è così, Che animale, borbottò indignato il commesso, Chissà, sorrise il medico involontariamente, in realtà gli occhi non sono che lenti, obiettivi, è il cervello che vede realmente, proprio come l'immagine compare sulla pellicola, e se i canali si sono ostruiti, come ha detto quel signore, è lo stesso che un carburatore, se la benzina non ce la fa ad arrivarci il motore non funziona e la macchina non va, Niente di più semplice come vede, disse il medico al commesso di farmacia. E quanto tempo pensa, dottore, che dovremo rimanere qui, domandò la cameriera d'albergo, Per lo meno finché saremo incapaci di vedere, E per quanto tempo, Francamente penso che non lo sappia nessuno, è una cosa passeggera, o durerà per sempre, Magari lo sapessi. La cameriera sospirò e, dopo alcuni istanti, disse, Anch'io vorrei sapere che cosa è successo a quella ragazza, Quale ragazza, domandò il commesso, Quella dell'albergo, che impressione mi ha fatto, lì in mezzo alla stanza, nuda com'è venuta al mondo, portava solo un paio di occhiali scuri, e gridava che era cieca, sarà stata sicuramente lei ad attaccarmi la cecità. La moglie del medico guardò, vide la ragazza togliersi gli occhiali lentamente, celando il movimento, poi li infilò sotto il cuscino mentre domandava al ragazzino strabico, Vuoi un altro biscotto. Per la prima volta da quando era entrata qui dentro, la moglie del medico si sentì come se, a un microscopio, stesse osservando il comportamento di certi esseri che non potevano neanche sospettare la sua presenza, e questo le parve 32 improvvisamente indegno, osceno, Non ho il diritto di guardare se gli altri non possono guardare me, pensò. Con mano tremante, la ragazza si mise alcune gocce di collirio. Avrebbe pur sempre potuto dire che non erano lacrime quello che le stava colando giù dagli occhi. Quando, alcune ore dopo, l'altoparlante annunciò che si poteva andare a ritirare il pranzo, il primo cieco e l'autista si offrirono volontari per una missione in cui di fatto gli occhi non erano indispensabili, bastava il tatto. Le casse erano lontane dalla porta che collegava l'atrio al corridoio, per trovarle dovettero camminare a quattro zampe, spazzando il pavimento davanti a loro con un braccio teso, mentre l'altro fungeva da terza zampa, e non ebbero difficoltà a rientrare nella camerata solo perché la moglie del medico aveva avuto l'idea, prudentemente giustificata adducendo la propria esperienza, di strappare a strisce un copriletto e farne una specie di corda, un capo fissato alla maniglia esterna della porta della camerata mentre l'altro veniva legato di volta in volta alla caviglia di chi dovesse uscire per andare a ritirare da mangiare. Andarono i due uomini, arrivarono i piatti e le posate, ma il vitto continuava a essere per cinque, molto probabilmente il sergente al comando del picchetto di guardia non sapeva che c'erano altri sei ciechi, dal momento che dall'esterno del portone, pure stando attenti a ciò che stava accadendo all'interno della porta principale, solo casualmente, nell'ombra dell'atrio, si sarebbero viste passare le persone da un'ala all'altra. L'autista si offrì di andare a reclamare il cibo mancante, e si avviò da solo, non volle compagnia, Mica siamo cinque, siamo undici, urlò ai soldati, e lo stesso sergente rispose, State tranquilli, sarete molti di più, e lo disse con un tono che all'autista dovette sembrare di scherno, considerando le parole che pronunciò tornando in camerata, Era come se mi stesse prendendo in giro. Spartirono il cibo, cinque razioni divise per dieci, giacché il ferito continuava a non voler mangiare, chiedeva solo un po' d'acqua, se per favore gli bagnavano le labbra. La sua pelle scottava. Siccome non riusciva a sopportare a lungo il contatto e il peso della coperta sulla ferita, di tanto in tanto scopriva la gamba, ma l'aria fredda della camerata lo obbligava, dopo un attimo, a coprirsi di nuovo, e così per ore. Gemeva a intervalli regolari, con una sorta di rantolo soffocato, come se il dolore, costante, continuo, fosse improvvisamente aumentato prima che lui riuscisse ad afferrarlo e a trattenerlo al limite del sopportabile. A metà pomeriggio entrarono altri tre ciechi, cacciati dall'altra ala. Una era l'impiegata dell'ambulatorio, che la moglie del medico riconobbe immediatamente, e gli altri, così aveva stabilito il destino, erano l'uomo con cui la ragazza dagli occhiali scuri si era incontrata nell'albergo e quel volgare poliziotto che l'aveva condotta a casa. Ebbero solo il tempo di raggiungere i letti e di sedervisi, a casaccio, l'impiegata dell'ambulatorio piangeva disperatamente, i due uomini tacevano, come se ancora non riuscissero a rendersi conto di cosa gli era capitato. Improvvisamente si udirono, provenienti dalla strada, grida confuse, ordini impartiti fra gli urli, un furioso schiamazzo. I ciechi della camerata voltarono tutti la faccia verso la porta, in attesa. Non potevano vedere, ma sapevano cosa sarebbe accaduto nei minuti seguenti. La moglie del medico, seduta sul letto accanto al marito, disse a bassa voce, Era inevitabile, l'inferno preannunciato sta iniziando. Lui le strinse la mano e mormorò, Non ti allontanare, da ora in poi non potrai fare niente. Le grida erano scemate, adesso si udivano rumori confusi nell'atrio, erano i ciechi, condotti in gregge, che si scontravano gli uni contro gli altri, si pigiavano nel vano delle porte, alcuni avevano perso l'orientamento e andarono a finire in altre camerate, ma per la maggior parte, inciampando, a grappoli 35 del ginocchio si era irrigidita. Rotolò con il corpo dalla parte della gamba sana, che lasciò pendere fuori dal letto, poi, tenendosi la coscia con le mani, tentò di spostare la gamba ferita nello stesso senso. Come un branco di lupi improvvisamente risvegliati, i dolori accorsero da tutte le direzioni per rientrare subito dopo nel lugubre cratere cui si alimentavano. Appoggiandosi sulle mani, trascinò a poco a poco il corpo lungo il materasso, verso la corsia. Quando raggiunse l'alzata ai piedi del letto, dovette riposare. Respirava con difficoltà, come se soffrisse di asma, il capo gli oscillava sulle spalle, a stento riusciva a reggerlo. Nel giro di qualche minuto il respiro si fece più regolare, e lui cominciò ad alzarsi lentamente, appoggiandosi sulla gamba sana. Sapeva che l'altra non gli sarebbe servita a niente, avrebbe dovuto trascinarsela dietro. Ebbe un capogiro, un tremore irreprimibile gli squassò il corpo, il freddo e la febbre gli fecero serrare i denti. Reggendosi alle sbarre dei letti, passando dall'uno all'altro come attraverso una rete, pian piano avanzò fra i ciechi addormentati. Si tirava appresso la gamba ferita come un sacco. Nessuno gli badò, nessuno gli domandò, Dove va a quest'ora, se lo avessero fatto avrebbe saputo cosa rispondere, Vado a pisciare, avrebbe detto, ma non voleva che fosse la moglie del medico a interpellarlo, lei non avrebbe potuto ingannarla, non avrebbe potuto mentirle, avrebbe dovuto dirle che cosa aveva in mente, Non posso continuare a marcire qui, riconosco che suo marito ha fatto il possibile, ma quando dovevo rubare una macchina io, mica lo andavo a chiedere a un altro di rubarla per me, ora la situazione è la stessa, sono io che devo andare, quando mi vedranno in questo stato si renderanno conto immediatamente che sto male, così mi mettono su un'ambulanza e via all'ospedale, ci sarà pure qualche ospedale riservato ai ciechi, uno in più non gli fa differenza, poi mi medicano la gamba, mi curano, ho sentito dire che si fa anche con i condannati a morte, se hanno un'appendicite li operano, e poi li ammazzano, perché muoiano in salute, quanto a me, se vogliono, possono pure riportarmi qui, non me ne importa. Continuò ad avanzare, serrando i denti per non gemere, ma non riuscì a reprimere un singulto straziante quando, arrivato all'estremità della fila, perse l'equilibrio. Aveva sbagliato il conteggio dei letti, se ne aspettava un altro, e invece c'era il vuoto. Caduto per terra, non si mosse finché non ebbe la certezza che nessuno si era svegliato al rumore della caduta. Poi pensò che quella posizione fosse decisamente adatta a un cieco, avanzando a quattro zampe avrebbe potuto trovare più facilmente la strada. Si trascinò così fino a raggiungere l'atrio, lì si fermò per pensare al procedimento da seguire, se magari era meglio chiamare dalla porta, o accostarsi al cancello approfittando della corda che era servita da corrimano e che certamente doveva esserci ancora. Sapeva benissimo che, se avesse chiamato da lì chiedendo aiuto, gli avrebbero ordinato immediatamente di tornare indietro, ma l'alternativa di avere come unico sostegno, dopo quello che, malgrado l'appoggio solido dei letti, aveva passato, una corda molle, oscillante, lo fece esitare. Dopo alcuni minuti ritenne di aver trovato la soluzione, Procedo gattoni, pensò, mi metto sotto la corda, ogni tanto alzo la mano per vedere se sono sulla strada giusta, è lo stesso che rubare una macchina, si trova sempre la maniera. All'improvviso, senza che lo avesse calcolato, la coscienza si svegliò e lo rimproverò aspramente di essere stato capace di rubare l'automobile a un povero cieco, Se adesso mi trovo in questa situazione, ribatté lui, non è perché gli ho rubato la macchina, ma perché l'ho accompagnato fino a casa, è stato questo il mio grande errore. La coscienza non era disposta a dibattiti casuistici, le sue ragioni erano semplici e chiare, Un cieco è sacro, un cieco non lo si deruba, Tecnicamente parlando, non l'ho derubato, non aveva mica la macchina in tasca, né gli ho puntato una pistola in faccia, si difese l'accusato, Piantala con i sofismi, borbottò la coscienza, e vai dove devi andare. 36 L'aria fredda del primo mattino gli rinfrescò il viso. Come si respira bene qua fuori, pensò. Gli parve di notare che la gamba gli dolesse molto meno, ma non ne fu sorpreso, già prima, più di una volta, era accaduta la stessa cosa. Era sul pianerottolo esterno, ben presto avrebbe raggiunto i gradini, Sarà più complicato, pensò, scendere con la testa in avanti. Alzò un braccio per accertarsi che la corda ci fosse ancora, e andò avanti. Proprio come aveva previsto, non era facile passare da un gradino all'altro, soprattutto per via della gamba, che non lo aiutava, e la dimostrazione la ebbe subito, quando, a metà scala, siccome una mano era scivolata su un gradino, il corpo crollò di lato e fu trascinato giù dal peso morto di quella maledetta gamba. I dolori tornarono istantaneamente, con le seghe, i trapani, i martelli, neanche lui sapeva come riuscì a non urlare. Per lunghi minuti rimase lì disteso bocconi, con la faccia per terra. Una raffica di vento, strisciante, gli fece battere i denti. Indosso non aveva altro che la maglietta e le mutande. La ferita era completamente a contatto col terreno, e lui pensò, Può infettarsi, era un pensiero stupido, non gli venne in mente che se la stava trascinando così dalla camerata, Beh, non ha importanza, mi medicheranno prima che s'infetti, pensò poi per tranquillizzarsi, e si mise di lato per raggiungere meglio la corda. Non la trovò subito. Si era dimenticato che si trovava in posizione perpendicolare alla corda quando era rotolato giù per la scala, ma l'istinto lo fece rimanere dov'era. Poi fu il ragionamento che lo guidò a sedersi e a muoversi lentamente fino a toccare con le reni il primo gradino, e finalmente, provando un sentimento esultante di vittoria, sentì la rugosità della corda sulla mano alzata. Probabilmente fu questo stesso sentimento che, subito dopo gli fece scoprire la maniera di spostarsi senza che la ferita sfiorasse il suolo, mettersi di spalle rispetto al portone e, usando le braccia a mo' di stampelle, come un tempo facevano gli storpi, spostare, con piccoli movimenti, il corpo seduto. All'indietro, sì, perché in questo come in altri casi tirare era ben più facile che spingere. La gamba, così, non soffriva tanto, e inoltre il dolce pendio del terreno, declinante verso l'uscita, aiutava. Quanto alla corda, non c'era pericolo di perderla, quasi la toccava con il capo. Si domandava se gli mancasse ancora molto per arrivare al portone, non era la stessa cosa muoversi all'impiedi, meglio ancora se con tutti e due i piedi, e avanzare a ritroso, con spostamenti di mezzo palmo o meno. Dimenticando per un istante di essere cieco, girò la testa come per accertarsi di quanto gli mancava ancora e si ritrovò davanti lo stesso biancore senza fondo. Sarà notte, sarà giorno, si domandò, beh, se fosse giorno mi avrebbero già visto, inoltre c'è stata solo una colazione, e molte ore fa. Lo sgomentavano lo spirito logico che stava scoprendo in se stesso, la rapidità e la giustezza dei ragionamenti, si vedeva diverso, un altro uomo, e se non fosse stato per questa scalogna della gamba sarebbe stato pronto a giurare di non essersi mai sentito tanto bene in vita sua. La schiena sbatté contro la parte inferiore, laminata, del portone. Era arrivato. Lì nella garitta per proteggersi dal freddo, al soldato di sentinella gli era parso di udire dei lievi rumori che non era riuscito a identificare, in tutti i modi non pensò che potessero provenire dall'interno, doveva essere stato il rapido fruscio degli alberi, un ramo che il vento faceva sfiorare leggermente sul cancello. Un altro rumore gli giunse d'improvviso alle orecchie, ma diverso, una botta, un colpo più precisamente, non poteva essere dovuto al vento. Nervoso, il soldato uscì dalla garitta col dito sul grilletto del fucile automatico e guardò in direzione del portone. Non vide nulla. Il rumore, però, si era ripetuto, più forte, adesso era simile a quello di unghie che raschiavano su una superficie rugosa. La lastra del portone, pensò. Fece un passo verso la tenda dove il sergente dormiva, ma lo trattenne il pensiero che se avesse dato un falso allarme ne avrebbe sentite delle belle, ai sergenti non piace essere svegliati, anche quando ce ne sia motivo. Guardò di nuovo verso il portone e aspettò, teso. Molto lentamente, nello spazio fra due sbarre verticali, come un fantasma, cominciò ad apparire una faccia bianca. La faccia di un 37 cieco. La paura fece ghiacciare il sangue del soldato, e fu la paura a fargli puntare l'arma e sparare una raffica a bruciapelo. Il fragore delle detonazioni fece spuntare quasi immediatamente dall'interno delle tende, mezzi vestiti, i soldati che componevano il picchetto a guardia del manicomio. Il sergente aveva già preso il comando, Cosa diavolo è stato, Un cieco, un cieco, balbettò il soldato, Dove, Lì, e con la canna del fucile indicò il portone, Non vedo niente, Era lì, l'ho visto io. I soldati avevano finito di equipaggiarsi e aspettavano in riga, con i fucili in mano. Accendete il faro, ordinò il sergente. Uno dei soldati salì sulla piattaforma del mezzo. Qualche secondo dopo la luce abbagliante illuminò il portone e la facciata dell'edificio. Non c'è nessuno, animale, disse il sergente, e si accingeva a proferire un altro bel po' di amenità militari sullo stesso stile quando vide che sotto il portone si stava spandendo, nella luce violenta, una pozza nera. L'hai fatto fuori, disse. Poi, ricordandosi degli ordini rigorosi che gli erano stati dati, urlò, Fatevi indietro, questa roba è contagiosa. I soldati indietreggiarono, timorosi, ma continuarono a guardare la pozza di sangue che lentamente si spargeva negli interstizi fra i sassolini del marciapiede. Credi sia morto, domandò il sergente, Per forza, la raffica se l'è beccata in piena faccia, rispose il soldato, ora contento per l'ovvia dimostrazione della sua buona mira. In quel momento un altro soldato urlò nervosamente, Sergente, sergente, guardi lì. Nel pianerottolo della scala, in piedi, illuminati dalla luce bianca del proiettore, si vedevano dei ciechi, più di una decina, Fermi lì, strillò il sergente, un solo passo e faccio fuoco su tutti. Alle finestre dei palazzi di fronte alcune persone, risvegliate dagli spari, guardavano spaventate da dietro i vetri. Allora il sergente urlò, Quattro di voi, venite a prendere il corpo. Non potendosi vedere né contare, furono sei i ciechi che si mossero, Ho detto quattro, strillò il sergente istericamente. I ciechi si toccarono, si ritoccarono, due rimasero lì. Gli altri cominciarono a camminare lungo la corda. Dobbiamo vedere se c'è una pala o una zappa, qualsiasi cosa possa servire per scavare, disse il medico. Era mattina, a gran fatica avevano portato il cadavere nel recinto interno, lo avevano messo per terra, fra l'immondizia e le foglie morte degli alberi. Adesso bisognava sotterrarlo. Solo la moglie del medico sapeva in che stato si trovasse il morto, la faccia e il cranio devastati dalla scarica, tre fori di pallottola nel collo e nella regione esterna. Sapeva anche che in tutto l'edificio non c'era niente con cui poter scavare una fossa. Aveva percorso tutta l'area a loro destinata e non aveva trovato altro che una sbarra di ferro. Avrebbe agevolato un po', ma non era sufficiente. E aveva visto, dietro le finestre chiuse del corridoio che proseguiva nell'ala riservata ai sospetti di contagio, più basse in quella parte dell'edificio, volti allarmati, di persone in attesa della propria ora, di quel momento inevitabile in cui avrebbero dovuto dire alle altre Sono diventato cieco, o di quando, se avessero tentato di nascondere l'accaduto, le avrebbe denunciate un gesto sbagliato, un movimento del capo alla ricerca di un'ombra, un inciampo ingiustificato in chi gli occhi ce li ha. Tutto ciò lo sapeva anche il medico, la frase che aveva pronunciato faceva parte della simulazione combinata fra loro due, da questo momento la moglie avrebbe quindi potuto dire, E se chiedessimo ai soldati di lanciarci una pala, L'idea è buona, proviamo, e tutti furono d'accordo, sì, era una buona idea, solo la ragazza dagli occhiali scuri non disse una parola su questa storia della zappa o pala, le sue parole, per il momento, si riassumevano a lacrime e lamenti, La colpa è mia, piangeva, ed era vero, non si poteva negare, ma è pur certo, se può servirle da consolazione, che se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevederne tutte le conseguenze, a considerarle seriamente, anzitutto quelle immediate, poi le probabili, poi le possibili, poi le immaginabili, non arriveremmo neanche a muoverci dal punto in cui ci avrebbe 40 camerate. Fu poco dopo che si udì il cigolio inconfondibile del portone. Eccitati, i ciechi, pigiandosi gli uni addosso agli altri, cominciarono a muoversi nella direzione in cui, dai suoni esterni, calcolavano che stesse la porta, ma, all'improvviso, colti da una vaga inquietudine che non avrebbero avuto il tempo di definire e spiegare, si fermarono e poi confusamente retrocessero, mentre già cominciavano ad avvertirsi distintamente i passi dei soldati che portavano il cibo e della scorta armata che li accompagnava. Ancora sotto l'impressione prodotta dal tragico avvenimento della notte, i soldati che trasportavano le vettovaglie avevano stabilito di non lasciarle in prossimità delle porte che davano accesso alle ali, come più o meno avevano fatto prima, le avrebbero invece mollate nell'atrio, e addio, buon appetito, Che se la sbrighino loro, avevano detto. L'offuscamento prodotto dall'intensa luce esterna e la brusca transizione nella penombra dell'atrio impedirono loro, sul primo momento, di vedere il gruppo di ciechi. Li videro subito dopo. Strillando per la paura, abbandonarono le casse per terra e uscirono come pazzi dalla porta. I due soldati della scorta, che aspettavano sul pianerottolo, reagirono in maniera esemplare davanti al pericolo. Dominando, Dio solo sa come e perché, una legittima paura, avanzarono fino alla soglia della porta e vuotarono i caricatori. I ciechi cominciarono a cadere uno sull'altro, mentre crollavano al suolo venivano colpiti da altre pallottole che ormai erano un puro spreco di munizioni, fu tutto incredibilmente lento, un corpo, un altro corpo, sembrava non finissero più di cadere, come a volte si vede nei film e alla televisione. Se mai ancora un soldato dovesse dar conto delle pallottole che spara, questi potrebbero giurare sulla bandiera di aver agito per legittima difesa, e per giunta anche per difesa dei loro compagni disarmati che erano in missione umanitaria e all'improvviso si erano visti minacciati da un gruppo di ciechi numericamente superiore. Indietreggiarono correndo all'impazzata verso il portone, coperti dai fucili che gli altri soldati del picchetto puntavano tremanti fra le sbarre di ferro, come se i ciechi rimasti vivi fossero stati in procinto di compiere una sortita di vendetta. Illividito dallo spavento, uno di quelli che avevano sparato diceva, Là dentro non ci torno neanche se mi ammazzano, e infatti non ci tornò. Di punto in bianco, quello stesso giorno, verso la fine del pomeriggio, all'ora della consegna andò ad aumentare di uno il numero dei ciechi, fortuna sua che era dell'esercito perché, altrimenti, sarebbe rimasto lì a far compagnia ai ciechi borghesi, colleghi di quelli che aveva ammazzato a fucilate, e Dio sa cosa gli avrebbero fatto. Il sergente aggiunse poi, La cosa migliore sarebbe lasciarli morire di fame, morta la bestia addio veleno. Come sappiamo, non manca chi lo abbia detto e pensato più volte, per fortuna un prezioso residuo di senso umanitario a questo gli fece dire, D'ora in poi lasceremo il cibo a metà strada, che se lo vengano a prendere loro, noi li teniamo d'occhio e al minimo movimento sospetto, fuoco. Si diresse al comando, collegò il microfono e, riunendo le parole come meglio poté, ricorrendo al ricordo di altre parole analoghe ascoltate in occasioni più o meno simili, disse, All'esercito rincresce di essere stato costretto a reprimere con le armi un moto sedizioso responsabile della creazione di una situazione di rischio imminente, della quale non ha avuto alcuna colpa direttamente o indirettamente, e avvisa che da oggi in poi gli internati andranno a ritirare il cibo fuori dall'edificio, essendo avvertiti fin d'ora che subiranno le conseguenze qualora si manifesti un tentativo di alterare l'ordine, com'è accaduto adesso e com'era accaduto la notte scorsa. Fece una pausa, non sapendo molto bene come fosse conveniente concludere, si era dimenticato le parole appropriate, che sicuramente c'erano, seppe solo ripetere, Non è stata colpa nostra, non è stata colpa nostra. Dentro l'edificio il fragore degli spari, rumorosamente ripercossi nello spazio circoscritto dell'atrio, aveva 41 provocato sgomento. In un primo momento si pensò che i soldati avrebbero fatto irruzione nelle camerate sparando a raffica su qualsiasi cosa avessero trovato, il governo aveva cambiato idea, aveva optato per la liquidazione fisica in massa, ci fu chi s'infilò sotto i letti, alcuni, per la paura, non si mossero, certuni forse avevano pensato che era meglio così, se la salute è poca tanto vale non averne, e se c'è da morire, meglio farlo alla svelta. I primi a reagire furono i contagiati. Avevano cominciato col fuggire quando era iniziato il fuoco, ma poi il silenzio li incoraggiò a tornare indietro, e si avvicinarono di nuovo alla porta che dava accesso all'atrio. Videro i corpi ammucchiati, il sangue sinuoso dilagare lentamente sul pavimento, come se fosse vivo, e le casse con il cibo. La fame li spinse fuori, l'agognato nutrimento era lì, è vero che era destinato ai ciechi, secondo il regolamento il loro lo avrebbero portato dopo, ma ora chi se ne fregava del regolamento, nessuno ci vede, e il lume che precede illumina due volte, lo hanno già detto gli antichi di ogni tempo e luogo, e gli antichi non erano mica degli idioti in queste faccende. La fame, però, ebbe la forza di farli avanzare solo di tre passi, poi si intromise la ragione e li avvertì che il pericolo era lì in attesa degli imprudenti, in quei corpi senza vita, soprattutto in quel sangue, chi poteva sapere che vapori, che emanazioni, che velenosi miasmi magari non stessero già liberandosi dalla carne sfracellata dei ciechi. Sono morti, non possono far niente, disse qualcuno, l'intenzione era di tranquillizzare se stesso e gli altri, ma fu peggio l'averlo detto, è vero, i ciechi erano lì morti, non potevano muoversi, notate, non si muovono e non respirano, ma chi ci dice che questa cecità bianca non sia proprio un male dello spirito, e se, mettiamo per ipotesi, lo è, gli spiriti di quei ciechi non saranno mai stati tanto liberi come adesso, fuori dai corpi, e quindi più liberi di fare ciò che vogliono, soprattutto il male, che, come tutti sanno, è sempre stato il più facile da compiere. Ma le casse del cibo, lì in mostra, attraevano irresistibilmente gli occhi, hanno un peso simile le ragioni dello stomaco, non badano a niente, anche quando è per il suo bene. Da una delle casse si spandeva un liquido bianco che lentamente si andava avvicinando al lago di sangue, aveva tutta l'apparenza di essere latte, è un colore che non inganna. Più coraggiosi, o più fatalisti, non sempre la distinzione è facile, due contagiati avanzarono, e stavano già per toccare con le mani avide la prima cassa quando sulla soglia della porta che dava nell'altra ala comparvero alcuni ciechi. Può tanto l'immaginazione, e in circostanze morbose come questa pare possa tutto, che per i due incursori fu come se i morti, all'improvviso, si fossero rialzati da terra, ciechi come lo erano prima, senza dubbio, ma molto più pericolosi, perché senza dubbio incitati dallo spirito di vendetta. Indietreggiarono prudentemente e in silenzio verso l'ingresso della loro ala, poteva darsi che i ciechi cominciassero con l'occuparsi dei morti, come del resto dettavano la carità e il rispetto, o se no, che lasciassero lì, non avendola vista, qualcuna delle casse, per quanto piccola, in verità i contagiati non erano poi molti, forse la soluzione migliore era proprio quella, di chiedere loro Per favore, abbiate compassione, lasciateci almeno una cassettina, magari va a finire che oggi non ci portano altro cibo, dopo quello che è successo. I ciechi si muovevano da ciechi quali erano, a tentoni, inciampando, trascinando i piedi, eppure, come se si fossero organizzati, seppero ripartire i compiti efficacemente, alcuni, guazzando nel sangue appiccicoso e nel latte, cominciarono immediatamente a recuperare e trasportare i cadaveri nel recinto, altri si occuparono delle casse, una dopo l'altra, le otto che erano state abbandonate dai soldati. Fra i ciechi c'era una donna che dava l'impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l'ala dei contagiati, come se li potesse vedere o ne avvertisse la presenza. In poco tempo l'atrio rimase vuoto, nessun altro segno se 42 non la grande macchia del sangue, e quell'altra piccola che la sfiorava, bianca, del latte che si era versato, e in più solo le tracce dei piedi, orme rosse o semplicemente umide. I contagiati chiusero la porta rassegnati e andarono in cerca di qualche briciola, tale era l'avvilimento che uno di essi arrivò al punto di dire, e ciò dimostra quanto fossero disperati, Se proprio dobbiamo diventare ciechi, se è questo il nostro destino, tanto varrebbe trasferirci subito, almeno avremmo di che mangiare, Forse i soldati ci porteranno la nostra parte, disse qualcuno, Ha fatto il militare, domandò un altro, No, Infatti, me lo immaginavo. Tenendo conto che i morti appartenevano all'una e all'altra, si riunirono gli occupanti della prima e della seconda camerata, con l'obiettivo di decidere se mangiare prima e sotterrare dopo i cadaveri, o viceversa. Nessuno sembrava interessato a sapere chi era morto. Cinque di essi si erano sistemati nella seconda camerata, si ignora se si conoscessero da prima o, in caso negativo, se avessero avuto tempo e voglia per scambiarsi presentazioni e sfoghi. La moglie del medico non ricordava di averli visti quando erano arrivati. I rimanenti quattro, sì, quelli li conosceva avevano dormito insieme a lei, per modo di dire, sotto lo stesso tetto, benché di uno non sapesse altro, e come avrebbe potuto saperlo, un uomo che si rispetti non si mette lì a parlare di faccende intime con la prima persona che gli capiti, come del fatto di essere stato in una camera d'albergo a far l'amore con una ragazza dagli occhiali scuri, alla quale, a sua volta, ammesso che si tratti di questa qui, non passa neanche per la testa di essere stata e di essere ancora tanto vicina a chi le ha fatto vedere tutto bianco. L'autista del tassì e i due poliziotti erano gli altri morti, tre uomini robusti, capaci di badare a se stessi, le cui professioni consistevano, ancorché in modo distinto, nel badare agli altri, e in definitiva eccoli lì, falciati crudelmente nel fiore della vita, in attesa di destinazione. Dovranno attendere che questi che sono rimasti finiscano di mangiare, non per via del solito egoismo dei vivi, ma perché a qualcuno è venuto in mente che sotterrare nove corpi in quel terreno duro e con un'unica zappa era un lavoro che sarebbe durato per lo meno fino all'ora di cena. E siccome non sarebbe stato ammissibile che i volontari animati da buoni sentimenti stessero lì a lavorare mentre gli altri si riempivano la pancia, fu deciso di rinviare a dopo i morti. Il cibo era già suddiviso in porzioni singole, quindi facile da distribuire, a te, a te, finché finiva. Ma l'ansia di un certo numero di ciechi meno illuminati venne a complicare ciò che in normali circostanze sarebbe stato comodo, benché un giudizio sereno e libero ci consigli di ammettere che gli eccessi che si verificarono erano in parte motivati, basterà rammentare, per esempio, che non si poteva sapere in partenza se il cibo sarebbe bastato per tutti. In verità, chiunque comprenderà come non sia facile contare ciechi né ripartire razioni senza occhi che li possano vedere, le razioni e i ciechi. Si aggiunga che alcuni occupanti della seconda camerata, con più che censurabile disonestà, vollero far credere di essere in maggior numero di quanti fossero di fatto. Servì, come sempre, e infatti ci sta apposta, la moglie del medico. Poche parole pronunciate a tempo sono sempre state in grado di risolvere difficoltà che un discorso profuso non farebbe altro che aggravare. Malintenzionati e cattivi d'animo furono anche quelli che non solo tentarono, ma riuscirono a ricevere il cibo due volte. La moglie del medico si accorse dell'azione riprovevole, ma ritenne prudente non denunciare l'abuso. Non voleva neanche pensare alle conseguenze che sarebbero derivate dalla rivelazione che lei non era cieca, il minimo che le sarebbe potuto accadere sarebbe stato di vedersi trasformata in serva di tutti, il massimo che forse l'avrebbero tramutata in schiava di alcuni. L'idea, di cui si era parlato all'inizio, di designare un responsabile per ogni camerata, avrebbe potuto, chissà, contribuire a risolvere questi frangenti e altri disgraziatamente anche peggiori, a condizione, però, 45 in vita sua. Ci sono molti modi di diventare un animale, pensò, questo è solo il primo. Però non poteva lamentarsi molto, almeno lui aveva ancora qualcuno che lo avrebbe pulito di buon grado. Sdraiati sulle brande, i ciechi aspettavano che il sonno avesse compassione della loro tristezza. Discretamente, come se ci fosse pericolo che gli altri potessero assistere al misero spettacolo, la moglie del medico aveva aiutato il marito a risistemarsi meglio che poteva. Adesso regnava un dolente silenzio, da ospedale, quando i malati dormono, e soffrono dormendo. Seduta, lucida, la moglie del medico guardava i letti, le sagome tetre, il pallore di un volto, un braccio che si era mosso nel sogno. Si domandava se sarebbe mai arrivata a diventare cieca come loro, quali ragioni inesplicabili l'avevano preservata fino ad allora. Con un gesto stanco, portò le mani al viso per scostare i capelli e pensò, Finiremo per puzzare tutti. In quel momento iniziarono a udirsi dei sospiri, dei gemiti, dei gridolini prima soffocati, suoni che sembravano parole, che avrebbero dovuto esserlo, ma il cui significato si perdeva nel crescendo che le andava trasformando in grido, in ansito, infine in rantolo. Qualcuno protestò dal fondo, Porci, siete dei porci. Non lo erano, erano solo un uomo cieco e una donna cieca che probabilmente non avrebbero mai saputo l'uno dell'altro niente di più. Uno stomaco che gira a vuoto si sveglia presto. Alcuni ciechi aprirono gli occhi quando il mattino era ancora lontano, e nel loro caso non fu tanto per colpa della fame, ma perché il loro orologio biologico, o comunque si sia soliti chiamarlo, ormai si stava sfasando, avevano supposto fosse giorno fatto, quindi pensarono, Ho dormito fin troppo, e immediatamente capirono che no, c'era quel russare dei compagni che non dava luogo a equivoci. Orbene, dicono i libri, ma molto di più lo dice l'esperienza vissuta, che chi si alza presto per piacere o chi ha dovuto alzarsi presto per necessità, mal tollera che altri, in sua presenza, continuino a dormire della grossa, e a maggior ragione nel caso di cui si sta parlando, perché c'è una bella differenza fra un cieco che sta dormendo e un cieco cui non è servito a niente avere aperto gli occhi. Queste osservazioni di tipo psicologico, per la loro sottigliezza apparentemente nient'affatto pertinente di fronte alla straordinaria dimensione del cataclisma che il resoconto sta tentando di descrivere, servono unicamente a spiegare il motivo per cui erano svegli così presto tutti i ciechi, alcuni, come si è detto all'inizio, riscossi dallo stomaco esigente, ma altri strappati al sonno dalla nervosa impazienza dei mattinieri che non si peritarono di fare più rumore di quello inevitabile e tollerabile in assembramenti da caserma e camerata. Qui non c'è solo gente discreta e beneducata, alcuni sono degli screanzati che si liberano di buon mattino con scaracchi e flatulenze senza badare a chi c'è, e per la verità nel resto del giorno agiscono in base allo stesso criterio, perciò l'atmosfera sta diventando sempre più pesante, e non c'è niente da fare, l'unica apertura è la porta, alle finestre non si può arrivare, sono troppo alte. Sdraiata accanto al marito, il più vicini possibile, per la strettezza del letto, ma anche per piacere, ah quanto le era costato, nel cuore della notte, mantenere il decoro, non fare come quei due che qualcuno aveva chiamato porci, la moglie del medico guardò l'orologio. Segnava le due e ventitré. Fissò meglio lo sguardo, vide che la lancetta dei secondi non si muoveva. Si era dimenticata di caricare quel maledetto orologio, o maledetta lei, maledetta io, che neppure quel semplicissimo dovere avevo saputo compiere, dopo appena tre giorni di isolamento. Non riuscendo a dominarsi, scoppiò in un pianto dirotto, come se le fosse appena successa la peggiore delle disgrazie. Il medico pensò che la moglie fosse diventata cieca, che fosse accaduto ciò che tanto temeva, e sragionando stava quasi per domandarle Sei diventata cieca, ma all'ultimo istante udì il suo mormorio, Non è questo, non è questo, e poi, in un lento sussurro, quasi inudibile, con le teste nascoste sotto la coperta, Sono una stupida, non ho 46 caricato l'orologio, e continuò a piangere, inconsolabile. Dal suo letto al di là della corsia la ragazza dagli occhiali scuri si alzò e, guidata dai singhiozzi, si avvicinò con le braccia tese, Sta male, ha bisogno di qualche cosa, domandava mentre avanzava, e con tutte e due le mani toccò i corpi sdraiati. La discrezione dettava che le ritraesse immediatamente, e l'ordine sicuramente il cervello glielo diede, ma le mani non obbedirono, resero appena più impercettibile il contatto, non più che un lieve sfioramento dell'epidermide sulla coperta grezza e tiepida. Ha bisogno di qualche cosa, di nuovo domandò la ragazza, e adesso sì, le mani si erano ormai ritratte, si erano alzate, si persero nel biancore sterile, nello scoramento. Ancora singhiozzante, la moglie del medico si alzò dal letto, abbracciò la ragazza, Non è niente, un po' di tristezza che mi ha assalito all'improvviso, disse, Se lei, signora, che è tanto forte, comincia a scoraggiarsi, allora significa che per noi non c'è davvero salvezza, si lamentò la ragazza. Più calma, guardandola in faccia, la moglie del medico pensava, Quasi non le si nota più traccia della congiuntivite, peccato non poterglielo dire, ne sarebbe contenta. Sì, probabilmente lo sarebbe, anche se una tale contentezza sarebbe stata assurda, non tanto perché la ragazza era cieca, ma perché lo erano anche tutti gli altri, a cosa serve avere gli occhi limpidi, e belli come lo sono questi, se non c'è nessuno a vederli. La moglie del medico disse, Abbiamo tutti i nostri momenti di debolezza, per fortuna siamo ancora capaci di piangere, il pianto spesse volte è una salvezza, ci sono circostanze in cui moriremmo se non piangessimo, Per noi non c'è salvezza, ripeté la ragazza dagli occhiali scuri, Chissà, questa cecità non è come le altre, com'è venuta, così potrebbe scomparire, Ormai tardi per chi è morto, Tutti dobbiamo morire, Ma non dovremmo essere uccisi, e io ho ammazzato una persona, Non accusi se stessa, sono state le circostanze, qui tutti siamo colpevoli e innocenti, molto di peggio hanno fatto i soldati che ci sorvegliano, e persino loro potranno addurre la più grande di tutte le scuse, la paura, Che importava se quel poveretto mi toccava, adesso lui sarebbe vivo e io non avrei nel corpo né più né meno di quel che ho, Non ci pensi più, riposi, tenti di dormire. L'accompagnò a letto, Suvvia, si corichi, Lei è molto buona, disse la ragazza, poi, abbassando la voce, Non so cosa fare, mi stanno arrivando le mestruazioni e non ho portato assorbenti, Stia tranquilla, ne ho io. Le mani della ragazza dagli occhiali scuri cercarono qualcosa cui afferrarsi, ma fu la moglie del medico a prenderle dolcemente fra le proprie, Riposi, riposi. La ragazza chiuse gli occhi, così rimase per un minuto, forse si sarebbe addormentata se non fosse stato per quell'alterco che all'improvviso scoppiò, qualcuno che era andato ai gabinetti e al ritorno aveva trovato il letto occupato, non era stato fatto apposta, l'altro si era alzato per lo stesso scopo, si erano incrociati strada facendo, ovviamente a nessuno dei due era venuto in mente di dire, Veda un po' di non sbagliare letto quando torna. In piedi, la moglie del medico guardava i due ciechi discutere, notò che non gesticolavano, quasi non muovevano il corpo, avevano imparato in fretta che solo la voce e l'udito erano adesso di qualche utilità, certo, le braccia ce le avevano, avrebbero potuto litigare, azzuffarsi, venire alle mani come si suole dire, ma un letto scambiato non valeva tanto, se tutti gli errori della vita fossero come questo, basterebbe mettersi d'accordo, Il due è mio, il tre è il suo, sia chiaro una volta per tutte, Se non fossimo ciechi, questo sbaglio non sarebbe avvenuto, Ha ragione, il guaio è che siamo ciechi. La moglie del medico disse al marito, Il mondo è tutto qui dentro. Non tutto. Il cibo, per esempio, era fuori e tardava. Da una camerata e dall'altra, alcuni uomini erano andati ad appostarsi nell'atrio, in attesa che l'ordine risuonasse nell'altoparlante. Muovevano i piedi, nervosi, impazienti. Sapevano di dover uscire nel recinto esterno per ritirare le casse che i soldati, rispettando quanto promesso, avrebbero lasciato nello spazio fra il portone e la scala, e temevano qualche trucco, 47 qualche trappola, Chi ci dice che non ci spareranno addosso, Lo hanno già fatto, ne sono capacissimi, Non possiamo fidarci, Io fuori non ci vado, Neanche io, Qualcuno dovrà pur andare, se vogliamo mangiare, Non so se sia meglio morire fucilato, o morire di fame a poco a poco, Io vado, Anch'io, Non è necessario andare tutti, I soldati potrebbero non gradire, O spaventarsi, credere che vogliamo scappare, magari è per questo che hanno ammazzato quello della gamba, Dobbiamo deciderci, La cautela è sempre troppo poca, ricordatevi cosa è successo ieri, né più né meno che nove morti, I soldati hanno avuto paura di noi, E io ho paura di loro, Quello che vorrei sapere è se diventano ciechi anche loro, Loro chi, I soldati, A mio parere, dovrebbero essere addirittura i primi. Tutti furono d'accordo, senza tuttavia domandarsene il perché, ci mancò chi ne spiegasse l'ottima ragione, Perché così non potrebbero sparare. Il tempo passava, passava, e l'altoparlante era sempre silenzioso. Vi siete occupati di sotterrare i vostri, domandò un cieco della prima camerata per dire qualche cosa, Ancora no, Cominciano a puzzare, ammorbano tutto, E allora, che ammorbino pure, per quel che mi riguarda non intendo muovere un dito finché non avrò mangiato, come dice il proverbio prima si mangia e poi si lava la pentola, Non è così, è sbagliato, generalmente si mangia e si beve, ma dopo i funerali, Invece per me è il contrario. Passati alcuni minuti uno di questi ciechi disse, Sto qui a rimuginare una cosa, Che cosa, Come divideremo il cibo, Come si è fatto prima, sappiamo quanti siamo, si contano le razioni, ciascuno riceve la propria parte, è la maniera più semplice e più giusta, Non ha funzionato, c'è chi è rimasto a bocca asciutta, E pure chi ha mangiato il doppio, La divisione è stata fatta male, Sarà sempre fatta male se non ci saranno rispetto e disciplina, Se avessimo qualcuno che ci vedesse almeno un minimo, Sì, così troverebbe subito uno stratagemma per tenersene la maggior parte, Diceva il proverbio che in terra di ciechi l'orbo è re, Lascia perdere, Non è lo stesso, Qui neanche i guerci si salverebbero, Come la intendo io, la miglior soluzione sarebbe dividere il cibo in parti uguali tra le camerate, poi ciascuna si regolerebbe con quanto avesse ricevuto, Chi è che ha parlato, Io, Io chi, Di che camerata è lei, Della seconda, Infatti me l'immaginavo, bella furbizia, siccome avete meno gente vi converrebbe, così mangereste più di noi che abbiamo la camerata completa, L'ho detto solo perché è più facile, Il proverbio diceva anche che chi parte e riparte senza tenersi la miglior parte, o è sciocco, o nel partire non ha arte, Cazzo, la pianti con quello che dice il proverbio, i detti mi rendono nervoso, Quello che dovremmo fare, invece, sarebbe di portare tutto il cibo nel refettorio, ogni camerata elegge tre persone per fare la divisione, in sei a contare non dovrebbe esserci pericolo di errori né di imbrogli, E come facciamo a sapere che dicono la verità se gli altri affermano nella nostra camerata siamo tanti, Abbiamo a che fare con gente onesta, E questo, l'ha detto pure il proverbio, No, questo lo dico io, Ehi, galantuomo, la verità è che siamo gente affamata. Come se per tutto questo tempo fosse stato in attesa della parola in codice, della battuta, dell'apritisesamo, si udì finalmente l'altoparlante, Attenzione, attenzione, gli internati sono autorizzati a venire a ritirare il cibo, ma attenti, se qualcuno si avvicina troppo al portone avrà prima un avvertimento verbale, qualora non tornasse immediatamente indietro il secondo avvertimento sarà una pallottola. I ciechi avanzarono lentamente, alcuni più fiduciosi, diritti verso il punto in cui pensavano dovesse trovarsi la porta, gli altri, meno sicuri delle proprie recenti capacità di orientamento, preferirono scivolare pian piano lungo il muro, così non c'era da sbagliarsi, una volta arrivati all'angolo dovevano solo seguire la parete che faceva angolo retto, lì doveva esserci la porta. Imperiosa, impaziente, la voce dell'altoparlante ripeté la chiamata. Il cambiamento di tono, chiaro anche per chi non avesse ulteriori motivi di diffidenza, spaventò i ciechi. Uno di essi dichiarò, Io da qui 50 c'erano stati sempre dei ciechi in attesa che il cibo arrivasse, e furono loro a dire che in effetti avevano sentito passare nei corridoi qualcuno che sembrava avere molta fretta, ma lì, nelle camerate, nessuno era entrato, e tanto meno con casse di cibo, ci potevano giurare. Qualcuno ricordò che il modo più sicuro di identificare quegli individui era che tutti i presenti andassero a occupare i rispettivi letti, quelli che fossero rimasti vuoti avrebbero dovuto essere ovviamente i letti dei ladroni, dopo di che non c'era da far altro che aspettare che ritornassero da dove si erano nascosti, leccandosi le labbra, e saltargli addosso, così imparavano a rispettare il sacro principio della proprietà collettiva. Procedere seguendo il suggerimento, peraltro opportuno e di uno sviscerato spirito di giustizia, aveva però il grave inconveniente di rinviare, impossibile prevedere a quando, l'agognata e a quest'ora ormai fredda colazione, Mangiamo prima, disse uno dei ciechi, e la maggioranza pensò che sì, era meglio mangiare prima. Disgraziatamente, solo quel poco che gli era rimasto dopo l'infame furto. In quel momento, in qualche luogo nascosto delle vetuste e decrepite costruzioni, i ladri con ogni probabilità si stavano rimpinzando con razioni doppie e triple di un rancio che, inaspettatamente, sembrava più buono, costituito da caffelatte, per la verità freddo, biscotti e pane con margarina, mentre la gente onesta non poteva far altro che saziarsi con dosi due o tre volte minori, e non di tutto. Si udì, lo udirono alcuni della prima ala mentre malinconicamente sorbivano il loro pane e acqua, l'altoparlante chiamare i contagiati per andare a ritirare la loro parte di cibo. Uno dei ciechi, certo influenzato dall'atmosfera malsana creatasi dopo il delitto commesso, ebbe un'ispirazione, Se li aspettassimo nell'atrio si prenderebbero uno spavento da morire solo a vederci, magari lascerebbero cadere un paio di casse, ma il medico disse che non gli sembrava bello, sarebbe stata un'ingiustizia, castigare chi non ha colpa. Quando tutti ebbero finito di mangiare, la moglie del medico e la ragazza dagli occhiali scuri portarono nel giardino le scatole di cartone, i recipienti vuoti del latte e del caffè, i bicchieri di carta, insomma, tutto quanto non era commestibile, Dobbiamo bruciare la spazzatura, disse poi la moglie del medico, eliminare questo orribile moscaio. Seduti sui letti, ciascuno sul proprio, i ciechi si misero in attesa che rientrassero nel gregge le capre smarrite, Caproni sono quelli là, commentò una voce possente, senza immaginare di corrispondere alla pastorale reminiscenza di chi non ha colpa di non saper esprimere le cose in altra maniera. Ma i malviventi non comparivano, dovevano sospettare qualcosa, sicuramente c'era fra loro qualcuno altrettanto perspicace di questo qui che aveva avuto l'idea della scarica di botte. I minuti passavano, qualche cieco qua e là si era coricato, qualcuno si era già addormentato. Qui, signori miei, si mangia e si dorme. A ben vedere le cose, non si sta mica tanto male. Purché il cibo non venga a mancare, che senza non si può vivere, è come stare in albergo. Invece, che calvario sarebbe essere cieco là fuori, in città, sì, che calvario. Andare ruzzolando per le strade, tutti a evitarlo, la famiglia spaventata, che ha paura di avvicinarsi, amore materno, amore filiale, tutte storie, magari mi facevano la stessa cosa che mi fanno qui, mi rinchiudevano in una camera e mi mettevano il piatto davanti alla porta come grande favore. Considerando la situazione freddamente, senza quei preconcetti o quei risentimenti che sempre oscurano il ragionamento, bisognava riconoscere che le autorità avevano avuto occhio decidendo di riunire ciechi con ciechi, ciascuno col proprio simile, che è la buona norma della vicinanza, come i lebbrosi, non c'è dubbio, quel medico laggiù ha ragione quando dice che dobbiamo organizzarci, effettivamente è questione di organizzazione, per primo il cibo, poi l'organizzazione, sono tutti e due indispensabili per vivere, scegliere un certo numero di persone disciplinate e disciplinanti per dirigere la baracca, stabilire delle norme consensuali di convivenza, cose semplici, spazzare, riordinare e lavare, per questo non possiamo lamentarci, ci 51 hanno addirittura mandato sapone, detergenti, tenere il letto fatto, la cosa fondamenta le è non perdere il rispetto di noi stessi, evitare conflitti con i militari che compiono il loro dovere sorvegliandoci, di morti ne abbiamo già abbastanza, domandare se c'è qualcuno fra noi che conosca delle storie da raccontare la sera, storie, favole, aneddoti, tant'è, pensate che fortuna se qualcuno conoscesse la Bibbia a memoria, ripeteremmo tutto partendo dalla creazione del mondo, l'importante è che ci ascoltiamo a vicenda, peccato non ci sia una radio, la musica è sempre stata una grande distrazione, e avremmo potuto seguire le notizie, per esempio se si scoprisse una cura per la nostra malattia, che gioia sarebbe. Poi accadde ciò che doveva accadere. Si udirono degli spari nella strada. Vengono ad ammazzarci, gridò qualcuno, Calma, disse il medico, cerchiamo di essere logici, se avessero voluto ammazzarci sarebbero venuti a sparare qui dentro, non là fuori. Aveva ragione il medico, era il sergente che aveva dato ordine di sparare in aria, non era stato un soldato che all'improvviso fosse divenuto cieco mentre teneva il dito sul grilletto, si capisce, non c'era altro modo di inquadrare e mantenere l'ordine tra i ciechi che uscivano accalcandosi dagli autobus, il Ministero della Sanità aveva avvisato l'Esercito, Ne invieremo quattro pullman, E cioè quanti, Circa duecento, Ma dove metteremo tutta quella gente, le camerate destinate ai ciechi sono le tre dell'ala destra, secondo le informazioni che abbiamo la capienza massima è di centoventi, e ce ne sono già sessanta o settanta, meno una dozzina che abbiamo dovuto ammazzare, C'è un sistema, occupare tutte le camerate, In tal caso i contaminati si troveranno a contatto diretto con i ciechi, La cosa più probabile è che, prima o poi, finiscano per diventare anch'essi ciechi, del resto, così com'è la situazione, suppongo che contaminati lo siamo già tutti, sicuramente non c'è una sola persona che non sia stata in vista di un cieco, Se un cieco non vede, mi domando, come potrà trasmettere il male con la vista, Generale, questa deve essere la malattia più logica del mondo, l'occhio che è cieco trasmette la cecità all'occhio che vede, niente di più semplice, C'è un colonnello, qui da noi, secondo il quale la soluzione sarebbe quella di ammazzare i ciechi a mano a mano che si presentano, Morti, invece che ciechi, non modificherebbe molto il quadro, Essere cieco non è tale e quale a essere morto, Sì, ma essere morto è tale e quale a essere cieco, Beh, allora saranno circa duecento, Sì, E cosa ne facciamo dei conducenti degli autobus, Internate anche loro. Quello stesso giorno, nel tardo pomeriggio, l'Esercito chiamò il Ministero della Sanità, Volete sapere la novità, quel colonnello di cui parlavo è diventato cieco, Chi sa cosa ne penserà adesso dell'idea che aveva, Ci ha già pensato, si è sparato un colpo alla testa, Atteggiamento coerente, non c'è che dire, L'esercito è sempre pronto a dare l'esempio. Il portone era stato spalancato. Spinto dalle abitudini militari, il sergente ordinò lo schieramento in colonna per cinque, ma i ciechi non riuscivano ad azzeccare il conto giusto, ora erano di più, ora di meno, finirono per ammucchiarsi tutti all'ingresso, da civili quali erano, senza alcun ordine, non si ricordarono neanche di mandare avanti le donne e i bambini, come negli altri naufragi. C'è da dire, prima di dimenticarcene, che non tutti gli spari erano stati mirati in aria, uno dei conducenti si era rifiutato di andare con i ciechi, protestò che ci vedeva perfettamente, il risultato, tre secondi dopo, diede ragione al Ministero della Sanità quando aveva affermato che essere morto è tale e quale a essere cieco. Il sergente impartì gli ordini già noti, Proseguite diritto, in fondo c'è una scala con sei gradini, sei, quando ci arrivate salite lentamente, se qualcuno inciampa non voglio neanche pensare a cosa potrà succedere, l'unica raccomandazione mancante fu quella di seguire la corda, ma è comprensibile, se l'avessero usata non l'avrebbero mai più finita di entrare, Attenzione, raccomandava il sergente, tranquillizzato perché ormai erano tutti all'interno del portone, ci sono tre 52 camerate a destra e tre a sinistra, ogni camerata ha quaranta letti, che le famiglie non si separino, evitate i disordini, contatevi all'ingresso, chiedete a quelli che stanno già dentro di aiutarvi, andrà tutto bene, sistematevi, tranquilli, tranquilli, il mangiare arriverà. Non sarebbe bello, però, immaginare che questi ciechi, tanto numerosi, procedano lì come montoni al macello, belando come al solito, un po' accalcati, è vero, ma è sempre stato il loro modo di vivere, pelo contro pelo, fiato contro fiato, odore contro odore. Qui ce ne sono alcuni che piangono, altri che gridano di paura o di rabbia, altri ancora che imprecano, qualcuno ha lanciato una minaccia terribile e inutile, Se un giorno vi acchiappo, si suppone si riferisse ai soldati, vi cavo gli occhi. Inevitabilmente, i primi ad arrivare alla scala dovettero fermarsi, bisognava tastare con il piede l'altezza e la profondità del gradino, la pressione di quelli che seguivano ne fece cadere due o tre in avanti, per fortuna niente di più di qualche ginocchio sbucciato, il consiglio del sergente era stato davvero una benedizione. Una parte è entrata nell'atrio, ma non si sistemano con tanta facilità duecento persone, per giunta cieche e senza guida, poi si aggiunga a questa circostanza, già di per sé abbastanza penosa, il fatto che ci troviamo in un edificio antico, dalla disposizione poco funzionale, non basta che un sergente, che conosce solo il proprio mestiere, dica, Sono tre camerate per lato, bisogna poi vedere com'è dentro, porte talmente strette che sembrano vicoli, corridoi folli quanto gli occupanti, non si sa perché comincino, non si sa dove finiscano, e non si riesce a sapere che cosa vogliano. Per istinto, l'avanguardia dei ciechi si era divisa in due colonne che si spostavano lungo le pareti, da un lato e dall'altro, in cerca di una porta dove entrare, un metodo sicuro, senza dubbio, nell'ipotesi che non si frappongano dei mobili. Prima o poi, con garbo e pazienza, i nuovi ospiti finiranno per sistemarsi, ma non prima che si decidano le sorti della battaglia scoppiata poco fa tra le prime linee della colonna di sinistra e i contaminati che vivono da quella parte. C'era da aspettarselo. In base a quanto si era concordato, c'era persino un regolamento predisposto dal Ministero della sanità, quell'ala doveva essere riservata ai contaminati, e se era vero che si poteva prevedere, con altissimo grado di probabilità, che alla fine sarebbero diventati tutti ciechi, era anche vero, obbedendo alla pura logica, che fino a quando i contaminati non fossero diventati ciechi non si sarebbe potuto giurare che fossero effettivamente destinati a diventarlo. Uno se ne sta dunque tranquillamente seduto a casa propria, fiducioso che, malgrado gli esempi contrari, almeno nel suo caso tutto finisca per risolversi al meglio, e all'improvviso vede avanzare nella propria direzione giusto uno stuolo ululante di coloro che più teme. In un primo momento i contaminati pensarono si trattasse di un gruppo par loro, solo più numeroso, ma l'equivoco durò poco, quella gente era proprio cieca, Qui non potete entrare, quest'ala è solo nostra, non è per i ciechi, voi dovete stare nell'altro lato, gridarono quelli di guardia alla porta. Alcuni ciechi tentarono di compiere mezzo giro e cercare un'altra entrata, sinistra o destra per loro tant'era, ma la massa di quelli che continuavano ad affluire dall'esterno li spingeva inesorabilmente. I contaminati difendevano la porta a pugni e calci, i ciechi rispondevano come potevano, non vedevano gli avversari, ma sapevano da dove arrivavano i colpi. Nell'atrio non potevano entrarci duecento persone, né niente di simile, perciò ben presto la porta che dava nel recinto, benché abbastanza ampia, si ritrovò completamente intasata, come se la ostruisse un grosso tappo, né indietro né avanti, quelli che stavano dentro, compressi, schiacciati, tentavano di proteggersi scalciando, dando gomitate ai vicini che li soffocavano, si udivano urli, bambini ciechi che piangevano, donne cieche che svenivano, mentre i tanti che non erano riusciti a entrare spingevano sempre più, terrorizzati dagli strilli dei soldati che non capivano perché quegli idioti stessero ancora lì. Un momento terribile fu quando si produsse un 55 come animali, lo ha ripetuto tante volte che il resto della camerata ha finito per trasformare in massima, in sentenza, in dottrina, in norma di vita, quelle parole, in fondo semplici ed elementari. Probabilmente un tale stato d'animo, propizio alla comprensione delle necessità e delle circostanze, è ciò che ha contribuito, ancorché in modo collaterale, alla benevola accoglienza che ha trovato il vecchio dalla benda nera quando si è affacciato alla porta e ha domandato, C'è un letto per me. Per un caso fortunato, ovviamente preannunciante sviluppi nel futuro, un letto c'era, l'unico, chissà poi perché sopravvissuto, per così dire, all'invasione, in quel letto aveva sofferto il ladro di automobili inenarrabili dolori, ecco forse perché gli era rimasto un alone di sofferenza che aveva tenuto lontana la gente. Sono disposizioni del destino, misteri degli arcani, la porzione è già in serbo, e questa non è stata la prima coincidenza, tornando indietro basta notare come in questa camerata siano venuti a finire tutti i pazienti che si trovavano nell'ambulatorio oculistico quando vi era comparso il primo cieco, a quel tempo si pensava ancora che non si sarebbe andati oltre. Sottovoce come al solito, per non denunciare il segreto della sua presenza lì, la moglie del medico sussurrò all'orecchio del marito, Forse è stato anche lui un tuo malato, è un uomo anziano, mezzo calvo, qualche ciuffo bianco, e ha una benda nera su un occhio, mi ricordo che ne hai parlato, Che occhio, Il sinistro, Deve essere lui. Il medicò si fece avanti nella corsia e disse, alzando un po' la voce, Vorrei poter toccare la persona che si è appena unita a noi, le chiedo di camminare in questa direzione, io le verrò incontro. Si trovarono a metà strada, dita contro dita, come due formiche che avrebbero dovuto riconoscersi manovrando le antenne, non andrà così in questo caso, il medico chiese permesso, con le mani tastò la faccia del vecchio, trovò rapidamente la benda, Non c'è dubbio, era l'ultimo che ci mancava, il paziente dalla benda nera, esclamò, Cosa vuol dire, chi è lei, domandò il vecchio, Sono, anzi ero il suo oculista, si ricorda, avevamo concordato la data della sua operazione alla cataratta, Come ha fatto a riconoscermi, Soprattutto dalla voce, la voce è la vista di chi non vede, Sì, la voce, anch'io riconosco la sua, chi ce lo avrebbe detto, dottore, adesso non c'è più bisogno che mi operi, Se c'è un rimedio, ne abbiamo bisogno tutti e due, Rammento, dottore, che mi ha detto che dopo operato non avrei neanche riconosciuto il mondo in cui vivevo, a questo punto sappiamo quanto avesse ragione lei, Quand'è che è diventato cieco, Ieri sera, E l'hanno portata subito qui, Là fuori c'è una tale paura che fra poco cominceranno ad ammazzare le persone appena si accorgono che sono diventate cieche, Qui ne hanno già fatti fuori dieci, disse una voce di uomo, Li ho trovati, rispose semplicemente il vecchio dalla benda nera, Erano di un'altra camerata, i nostri li abbiamo sotterrati subito, aggiunse la stessa voce, come se terminasse un resoconto. La ragazza dagli occhiali scuri si era avvicinata, Si ricorda di me, portavo degli occhiali scuri, Mi ricordo bene, nonostante la mia cataratta ricordo che era molto bella, la ragazza sorrise, Grazie, disse, e tornò al suo posto. Disse poi, C'è qui anche quel bambino, Voglio la mamma, disse la voce del ragazzino, come stanca di un pianto remoto e inutile. E io sono il primo che è diventato cieco, disse il primo cieco, sono qui con mia moglie, E io sono l'impiegata dell'ambulatorio, disse l'impiegata dell'ambulatorio. La moglie del medico disse, Manca solo che mi presenti io, e disse chi era. Allora il vecchio, come per ricambiare l'accoglienza, annunciò, Ho una radio, Una radio, esclamò la ragazza dagli occhiali scuri battendo le mani, musica, che bello, Sì, ma è una radiolina, a pile, e le pile non dureranno sempre, ricordò il vecchio, Non mi dica che dovremo restare qui per sempre, disse il primo cieco, Per sempre no, per sempre è sempre troppo tempo, Servirà per ascoltare le notizie, osservò il medico, E un po' di musica, insistette la ragazza dagli occhiali scuri, Non a tutti potrebbe piacere la stessa musica, ma sicuramente siamo tutti interessati a sapere come vanno le cose fuori, la cosa migliore è risparmiare la radio, Lo penso anch'io, disse il vecchio dalla benda nera. Tirò fuori il piccolo apparecchio dalla tasca 56 esterna della giacca e lo accese. Si mise a cercare le stazioni, ma la sua mano, ancora poco sicura, perdeva facilmente la sintonia con la lunghezza d'onda, all'inizio non si udì altro che rumori intermittenti, frammenti di musica e parole, infine la mano divenne più ferma, la musica parve riconoscibile, La lasci solo un attimo, chiese la ragazza dagli occhiali scuri, le parole divennero più chiare, Non sono notizie, disse la moglie del medico, e poi, come un'idea che le fosse venuta all'improvviso, Che ore saranno, domandò, ma già sapeva che nessuno avrebbe potuto risponderle. La lancetta della sintonia continuava a cavar rumori dalla piccola cassa, poi si fissò, era una canzone, una canzone qualunque, ma i ciechi si avvicinarono lentamente, non si spingevano, si fermavano appena sentivano una presenza davanti a sé e stavano lì a sentire, con gli occhi bene aperti in direzione della voce che cantava, alcuni piangevano, come probabilmente soltanto i ciechi possono piangere, semplicemente lacrime che scorrevano, come da una fontana. La canzone arrivò alla fine, l'annunciatore disse, Attenzione, al terzo segnale saranno le quattro. Una delle cieche domandò ridendo, Del pomeriggio o del mattino, e fu come se la risata le facesse male. Celatamente, la moglie del medico regolò e caricò l'orologio, erano le quattro del pomeriggio, anche se, in verità, per un orologio tant'è, va dall'una alle dodici, il resto sono idee degli esseri umani. Cos'è questo rumorino, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, sembrava, Sono stata io, ho sentito che dicevano alla radio che erano le quattro e ho caricato il mio orologio, uno di quei movimenti automatici che facciamo tante volte, si premunì la moglie del medico. Poi pensò che non ne fosse valsa la pena, rischiare così, le sarebbe bastato guardare il polso dei ciechi che erano entrati quel giorno, qualcuno doveva pur avere l'orologio funzionante. Ce lo aveva proprio il vecchio dalla benda nera, come notò in quel momento, e il suo orario era preciso. Allora il medico chiese, Ci parli di com'è la situazione là fuori. Il vecchio dalla benda nera disse, Certo, ma è meglio che mi sieda, non riesco a reggermi in piedi. Stavolta a gruppi di tre o quattro per letto, in compagnia, i ciechi si sistemarono come meglio poterono, fecero silenzio, e quindi il vecchio dalla benda nera raccontò ciò che sapeva, ciò che aveva visto con i propri occhi finché li aveva avuti, ciò che aveva sentito dire durante i pochi giorni intercorsi fra l'inizio dell'epidemia e la propria cecità. Nelle prime ventiquattr'ore, disse, se era veritiera la notizia che circolava, c'erano stati centinaia di casi, tutti uguali, tutti manifestatisi nella stessa maniera, rapidità istantanea, assenza sconcertante di lesioni, biancore splendente del campo visivo, nessun dolore prima, nessun dolore dopo. Il secondo giorno si parlò di un certa diminuzione nel numero di nuovi casi, si passò dalle centinaia alle decine, il che portò il Governo ad annunciare prontamente che, in base alle più ragionevoli prospettive, la situazione sarebbe stata ben presto sotto controllo. Da questo punto in avanti, salvo alcuni commenti qua e là che non si sono potuti evitare, il racconto del vecchio dalla benda nera non sarà più seguito alla lettera, sostituito piuttosto da una riorganizzazione del discorso orale, orientata nel senso di valorizzare l'informazione con l'uso di un corretto e adeguato vocabolario. Motivo di questa alterazione, non prevista prima, è il modo di esprimersi controllato, tutt'altro che dialettale, impiegato dal narratore, che per poco lo squalificava come relatore complementare, importante, senza dubbio, giacché senza di lui non avremmo modo di sapere quel che è successo nel mondo esterno, come relatore complementare, dicevamo, di questi straordinari avvenimenti, quando si sa che la descrizione di qualsiasi fatto ha solo da guadagnarne con il rigore e la proprietà dei termini usati. Tornando all'argomento, escluse quindi il Governo l'ipotesi, precedentemente ventilata, che il paese si trovasse sotto l'azione di una epidemia senza precedenti noti, provocata da un agente morboso ancora non 57 identificato, a effetto istantaneo, con assenza totale di previ segnali di incubazione o di latenza. Doveva trattarsi, dunque, secondo la nuova opinione scientifica e la conseguente e aggiornata interpretazione amministrativa, di una casuale e sfortunata concomitanza temporale di circostanze anch'esse per il momento non accertate e nella cui esaltazione patogenica ormai era possibile, rilevava il comunicato del Governo, partendo dall'elaborazione dei dati disponibili che indicano la prossimità di una chiara curva di risoluzione, osservare indizi di esaurimento. Un commentatore televisivo ebbe l'ingegnosità di trovare la metafora giusta quando paragonò l'epidemia, o quel che fosse, a una freccia scagliata verso l'alto, che, nel raggiungere il culmine dell'ascensione, si mantiene per un momento come sospesa, e poi comincia a descrivere l'obbligatoria curva discendente che, a Dio piacendo, e con questa invocazione il commentatore ritornava alla trivialità degli scambi umani e all'epidemia propriamente detta, poi ci penserà la gravità ad accelerare, fino alla scomparsa del terribile incubo che ci tormenta, una mezza dozzina di parole, queste, che comparivano continuamente nei vari mezzi di comunicazione sociale, i quali finivano sempre col formulare il compassionevole augurio che i poveri ciechi potessero recuperare ben presto la vista perduta, promettendo loro, nel frattempo, la solidarietà di tutta la società organizzata, sia ufficiale che privata. In un passato remoto, ragioni e metafore simili erano state tradotte dall'imperterrito ottimismo della gente comune in detti tipo questo, Non c'è bene che sempre duri, né male che perduri, oppure, in versione letteraria, Così come non c'è bene che duri sempre, non c'è male che sempre duri, massime supreme di chi ha avuto il tempo di apprendere con gli scossoni della vita e della fortuna, e che, trasposte fra i ciechi, andranno lette come segue, Ieri vedevamo, oggi non vediamo, domani vedremo, con una leggera intonazione interrogativa nella terza parte della frase, come se la prudenza, all'ultimo istante, avesse deciso, per sì e per no, di aggiungere l'ambiguità del dubbio alla speranzosa conclusione. Disgraziatamente, non tardò a dimostrarsi l'inanità di tali voti, le aspettative del Governo e le previsioni della comunità scientifica andarono semplicemente a rotoli. La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un'infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all'improvviso la sommergono completamente. Davanti all'allarme sociale, ormai sul punto di esserne travolte, le autorità promossero in tutta fretta riunioni mediche, soprattutto di oculisti e neurologi. Per via del tempo che fatalmente avrebbe richiesto la sua organizzazione, non si arrivò a convocare il congresso che alcuni preconizzavano, ma in compenso non mancarono i colloqui, i seminari, le tavole rotonde, alcune aperte al pubblico, altre celebrate a porte chiuse. L'effetto combinato della palese inutilità dei dibattiti e i casi di alcune cecità improvvise verificatesi nel corso delle sedute, portarono i giornali, la radio e la televisione, quasi tutti, a cessare di occuparsi di tali iniziative, a eccezione del discreto e sotto ogni aspetto lodevole comportamento di certi organi di comunicazione che, campando a forza di scandali di ogni tipo, delle grazie e delle disgrazie altrui, non erano disposti a perdere una sola occasione si presentasse di riferire in diretta, con la drammaticità che la situazione giustificava, la cecità improvvisa, per esempio, di un cattedratico di oculistica. La prova del progressivo deteriora mento dello stato d'animo generale la diede lo stesso Governo, modificando per ben due volte, in una mezza dozzina di giorni, la propria strategia. Prima, aveva creduto fosse possibile circoscrivere il male ricorrendo all'isolamento dei ciechi e dei contaminati in certi spazi discriminati, come il 60 vederle, Mi è venuta un'idea, disse il vecchio dalla benda nera, facciamo un gioco per passare il tempo, Come si può giocare senza vedere a cosa si gioca, domandò la moglie del primo cieco, Non sarà proprio un gioco, ciascuno di noi dovrebbe dire esattamente ciò che stava vedendo nel momento in cui è diventato cieco, Potrebbe essere sconveniente, ricordò qualcuno, Chi non vuole partecipare al gioco, non partecipa, ma inventare non vale, Dia l'esempio, disse il medico, Senz'altro, disse il vecchio dalla benda nera, sono diventato cieco mentre mi stavo guardando l'occhio cieco, Cosa vuol dire, è molto semplice, ho sentito come se l'interno dell'orbita vuota fosse infiammato e ho tolto la benda per accertarmene, in quel momento sono diventato cieco, Sembra una parabola, disse una voce sconosciuta, l'occhio che si rifiuta di riconoscere la propria assenza, Io, disse il medico, mi ero messo a consultare a casa dei manuali di oculistica, proprio per via di quanto sta accadendo, l'ultima cosa che ho visto sono le mie mani sopra un libro, La mia ultima immagine è diversa, disse la moglie del medico, l'interno di un'ambulanza mentre aiutavo mio marito a entrare, Il mio caso lo avevo già raccontato al dottore, disse il primo cieco, mi ero fermato a un semaforo, era rosso, c'era gente che attraversava la strada da un lato all'altro, è allora che sono diventato cieco, poi quel tizio che è morto l'altro giorno mi ha portato a casa, in faccia non l'ho visto, chiaro, Quanto a me, disse la moglie del primo cieco, l'ultima cosa che ricordo di aver visto è il mio fazzoletto, ero a casa e piangevo, ho portato il fazzoletto agli occhi e in quell'istante sono diventata cieca, Io, disse l'impiegata dell'ambulatorio, ero appena entrata nell'ascensore, ho teso la mano per spingere il pulsante e all'improvviso non ho più visto, immaginate la mia angoscia, chiusa lì, da sola, non sapevo se salire o scendere, non trovavo il pulsante di apertura della porta, Il mio caso, disse il commesso di farmacia, è più semplice, avevo sentito dire che c'era gente che diventava cieca, allora ho pensato a come sarebbe stato se lo fossi diventato anch'io, ho chiuso gli occhi per provare e quando li ho aperti ero cieco, Sembra un'altra parabola, disse la voce sconosciuta, se vuoi essere cieco, lo sarai. Tacquero. Gli altri ciechi erano tornati ai rispettivi letti, il che non era impresa da poco, perché se è vero che sapevano i numeri loro spettanti, solo cominciando a contare da una delle estremità, da uno in su o da venti in giù, potevano aver la certezza di arrivare dove volevano. Quando il mormorio della enumerazione, monotono come una litania, si smorzò, la ragazza dagli occhiali scuri raccontò quel che le era successo, Ero nella camera di un albergo, avevo un uomo sopra di me, a questo punto tacque, si vergognò di dire cosa stesse facendo, che aveva visto tutto bianco, ma il vecchio dalla benda nera domandò, E ha visto tutto bianco, Sì, rispose lei, Forse la sua cecità non è come la nostra, disse il vecchio dalla benda nera. Mancava solo la cameriera dell'albergo, Stavo rifacendo un letto, qualcuno era diventato cieco proprio lì ho alzato e disteso il lenzuolo bianco davanti a me, l'ho rimboccato ai lati come si deve, lo stavo lisciando con tutte e due le mani, a quel punto ho smesso di vedere, mi ricordo di come lisciavo il lenzuolo, pian pianino, era quello di sotto, concluse, come se ciò avesse una particolare importanza. Avete già raccontato tutti la vostra ultima storia di quando vedevate, domandò il vecchio dalla benda nera, Adesso racconto la mia, se non c'è nessun altro, disse la voce sconosciuta, Se c'è, parlerà dopo, racconti lei, L'ultima cosa che ho visto è un quadro, Un quadro, ripeté il vecchio dalla benda nera, e dove si trovava, Ero andato al museo, era un campo di grano con corvi e cipressi e un sole che sembrava esser fatto con pezzi di altri soli, Ha tutto l'aspetto di essere di un olandese, Credo di sì, ma c'era anche un cane sul punto di sprofondare, era già mezzo sotterrato, poverino, In tal caso, può essere solo di uno spagnolo, prima di lui nessuno aveva dipinto così un cane, dopo di lui nessun altro ha osato farlo, Probabilmente, e c'era un carro carico di fieno, tirato da cavalli, che attraversava un ruscello, C'era una casa a sinistra, Sì, Allora è di un inglese, Potrebbe essere, ma non credo, perché c'era anche una donna 61 con un bambino in braccio, Di bambini in braccio a donne se ne vedono dovunque in pittura, In effetti, l'ho notato, Quello che non capisco è come potrebbero trovarsi in un unico quadro dipinti così diversi e di così diversi pittori, E c'erano degli uomini che mangiavano, Sono talmente numerosi i pranzi, le merende e le cene nella storia dell'arte che, in base a questa sola indicazione, non è possibile sapere chi mangiava, Gli uomini erano tredici, Ah, allora è facile, vada avanti, C'era anche una donna nuda, con i capelli biondi, dentro una conchiglia fluttuante nel mare, e intorno a lei tanti fiori, Italiano, chiaro, E una battaglia, Eccoci di nuovo come nel caso dei pasti e delle madri con bambini in braccio, non basta per sapere chi lo ha dipinto, Morti e feriti, è naturale, prima o poi tutte le creature muoiono, e i soldati pure, E un cavallo impaurito, Con gli occhi che sembravano voler fuoriuscire dalle orbite, Esattamente, I cavalli sono così, e quali altri quadri c'erano in quel suo quadro, Non ce l'ho fatta a saperlo, sono diventato cieco nel preciso istante in cui stavo guardando il cavallo. La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi, Chi sta parlando, domandò il medico, Un cieco, rispose la voce, un semplice cieco, qui non c'è altro. Allora il vecchio dalla benda nera domandò, Di quanti ciechi ci sarà bisogno per fare una cecità. Nessuno gli seppe rispondere. La ragazza dagli occhiali scuri lo pregò di accendere la radio, forse davano qualche notizia. La diedero più tardi, nel frattempo sentirono un po' di musica. A un certo momento comparvero alla porta della camerata un po' di ciechi, uno dei quali disse, Che peccato non aver portato la chitarra. Le notizie non furono confortanti, correva voce che fosse prevista a breve scadenza la formazione di un governo di unità e di salvezza nazionale. All'inizio, quando i ciechi qui dentro si contavano ancora sulle dita, quando bastava lo scambio di due o tre parole perché gli sconosciuti si trasformassero in compagni di sventura, e con tre o quattro in più si perdonavano reciprocamente tutte le mancanze, talune anche gravi, e se il perdono non poteva esser completo, bastava solo aver la pazienza di aspettare qualche giorno, si è visto benissimo quante ridicole angosce abbiano dovuto sopportare gli sventurati ogni qualvolta il corpo pretendeva una di quelle urgenti liberazioni che siamo soliti designare come soddisfazione di necessità. Malgrado ciò, e pur sapendo come siano rarissime le educazioni perfette e come persino i più discreti recessi abbiano i loro punti deboli, c'è da riconoscere che i primi ciechi messi in quarantena sono stati capaci, più o meno consapevolmente, di portare con dignità la croce della natura prevalentemente escatologica dell'essere umano. Ma adesso, con le brande tutte occupate, e sono duecentoquaranta, senza contare i ciechi che dormono per terra, non c'è immaginazione, per quanto fertile e creativa in paragoni, immagini e metafore, che possa descrivere con proprietà la distesa di schifezza che c'è qua dentro. Non è solo lo stato cui si sono rapidamente ridotti i cessi, antri fetidi, come probabilmente saranno all'inferno le fogne delle anime dannate, ma è anche la mancanza di rispetto di alcuni o l'improvvisa urgenza di altri che, in pochissimo tempo, ha trasformato i corridoi e gli altri posti di passaggio in gabinetti che inizialmente erano occasionali e ormai sono diventati abitua li. I negligenti o i pressati pensavano, Non ha importanza, nessuno mi vede, e non andavano oltre. Quando divenne impossibile, in ogni senso, arrivare fino ai cessi, i ciechi presero a usare il recinto come posto per tutti gli sfoghi e tutte le decomposizioni corporali. Quelli che, per natura o per educazione, erano delicati, si trattenevano tutto il santissimo giorno, resistevano come potevano in attesa della notte, si presumeva che lo fosse quando nelle camerate c'era più gente a dormire, e allora, tenendosi la pancia o stringendo le 62 gambe, andavano in cerca di tre palmi di pavimento pulito, ammesso che ci fossero in quella sorta di moquette fatta di escrementi mille volte calpestati, e col pericolo, per giunta, di perdersi nello spazio infinito del recinto, dove non esistevano altri segnali di orientamento se non quei pochi alberi i cui tronchi erano riusciti a sopravvivere alla mania di sopralluogo dei pazzi di un tempo, e poi quei monticelli, ormai quasi spianati, che a stento coprivano i morti. Una volta al giorno, sempre nel tardo pomeriggio, come una sveglia regolata sullo stesso orario, la voce dell'altoparlante ripeteva le note istruzioni e proibizioni, insisteva sui vantaggi di un uso regolare dei prodotti di pulizia, rammentava l'esistenza di un telefono in ogni camerata per richiedere i rifornimenti necessari, quando mancavano, ma quello di cui lì ci sarebbe stato veramente bisogno era un potente getto d'idrante che mandasse via tutta la merda, seguito da uno squadrone di idraulici che venissero a riparare gli sciacquoni, che li facessero funzionare, e poi acqua, tanta acqua, per mandare nelle fognature quello che ci sarebbe dovuto andare, e poi, per favore, un paio d'occhi, dei semplici occhi, una mano capace di condurci e guidarci, una voce che mi dica, Per di qua. Se a questi ciechi non gli diamo una mano, non tarderanno a trasformarsi in animali, o peggio ancora, in animali ciechi. Non lo disse la voce sconosciuta, quella che aveva parlato dei quadri e delle immagini del mondo, con altre parole lo sta dicendo, a notte fonda, la moglie del medico, coricata accanto al marito, le teste tutte e due ficcate sotto la stessa coperta, Si deve trovare un rimedio a questo orrore, non resisto, non posso continuare a fingere di non vedere, Pensa alle conseguenze, la cosa più sicura è che tenteranno di trasformarti in una schiava, in un fantoccio, dovrai badare a tutti e a tutto, pretenderanno da te che li imbocchi, che li lavi, che li metta a letto e li faccia alzare, che li porti da qui a lì, che gli soffi il naso e asciughi le lacrime, ti chiameranno quando starai dormendo, ti insulteranno se tarderai, E tu, come vuoi che continui a guardare queste miserie, ad averle perennemente sotto gli occhi senza muovere un dito per dare aiuto, Fai già molto, Cosa faccio, se la mia preoccupazione maggiore è di evitare che qualcuno si accorga che vedo, Alcuni ti odieranno proprio per questo, non credere che la cecità ci abbia reso migliori, Neppure ci ha reso peggiori, Ma ci stiamo arrivando, pensa solo a cosa succede quando arriva il momento di distribuire il cibo, Esattamente, uno che vedesse potrebbe incaricarsi della suddivisione dei generi alimentari fra tutti gli internati, farlo con equità, con criterio, cesserebbero le proteste, finirebbero queste dispute che mi fanno ammattire, tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano, Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco, Ci credo, ma non ne ho bisogno, cieco lo sono già, Perdonami, amore, se tu sapessi, Lo so, lo so, ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l'unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un'anima, e se gli occhi si son perduti, Domani gli dirò che vedo, Spero tu non abbia a pentirtene, Domani glielo dirò, fece una pausa e aggiunse, Se finalmente non sarò entrata anch'io in quel mondo. Ma non fu ancora la volta buona. Quando al mattino si svegliò, molto presto com'era solita, i suoi occhi vedevano altrettanto distintamente di prima. Tutti i ciechi della camerata dormivano. Pensò a come avrebbe dovuto comunicarglielo, se convocarli tutti e annunciare la novità, o forse era preferibile farlo in maniera discreta, senza ostentazione, dire per esempio, come se non volesse darvi troppa importanza, Immaginate, chi l'avrebbe mai pensato che avrei mantenuto la vista in mezzo a tanta gente che è diventata cieca, oppure, forse meglio, far finta di essere stata veramente 65 stucco che andò a cadere sulle teste impreparate, aumentando il panico. Il cieco gridò, Tutti calmi e zitti, se qualcuno si azzarda ad alzare la voce, faccio fuoco, chi capita capita, poi non vi lamentate. I ciechi non si mossero. Quello della pistola continuò, è detto e non si torna indietro, da oggi in poi saremo noi a gestire il cibo, siete tutti avvisati, e che a nessuno venga in mente di andarlo a prendere fuori, metteremo dei sorveglianti a questo ingresso, subirete le conseguenze di qualsiasi tentativo di contravvenire agli ordini, adesso il cibo si vende, chi vuol mangiare paga, Ma paghiamo come, domandò la moglie del medico, Ho detto che nessuno doveva parlare, strillò quello della pistola, agitando l'arma davanti a sé, Qualcuno dovrà parlare, bisogna sapere come dobbiamo comportarci, dove andare a prendere il cibo, se tutti insieme oppure uno alla volta, Questa vuol fare la furba, commentò uno del gruppo, se le tiri un colpo è una bocca in meno a mangiare, Se la vedessi, avrebbe già una pallottola in pancia. Poi, rivolgendosi a tutti, Tornate immediatamente nelle camerate, subito, quando avremo portato il cibo dentro vi diremo cosa dovete fare, E il pagamento, ribatté la moglie del medico, quanto ci costerà un caffelatte e un biscotto, La tizia sta proprio facendo la furba, disse la stessa voce, Lasciala a me, disse l'altro, e cambiando tono, Ogni camerata nominerà due responsabili, questi saranno incaricati di raccogliere le cose di valore, tutte, di qualsiasi tipo, soldi, gioielli, anelli, bracciali, orecchini, orologi, quello che avete, e porteranno tutto nella terza camerata del lato sinistro, cioè dove stiamo noi, e se volete un consiglio da amico, che non vi passi per la testa di tentare di ingannarci, sappiamo già che alcuni di voi nasconderanno una parte di quanto possiedono di prezioso, ma vi dico che sarà una pessima idea, se non ci sembrerà sufficiente quello che consegnerete, semplicemente non mangerete, vi trastullerete masticando le banconote e sorbendovi i brillanti. Un cieco della seconda camerata lato destro domandò, E come facciamo, consegniamo tutto in una volta, o paghiamo in base a quello che mangiamo, A quanto pare non mi sono spiegato bene, disse quello della pistola ridendo, prima di tutto pagate, dopo di che mangiate, e quanto al resto, pagare in base a quanto si mangia, per questo ci vorrebbe una contabilità molto complicata, è meglio che portiate tutto in una volta e vedremo noi quanto cibo meritate, ma vi avverto di nuovo, non tentate di nascondere qualche cosa perché vi costerà molto caro, e perché poi non diciate che non ci comportiamo lealmente prendete nota, dopo che ci avrete consegnato quel che avete faremo un'ispezione, poveri voi se troviamo una sola moneta e adesso tutti fuori di qui, svelti. Alzò il braccio e sparò un altro colpo. Cadde un altro pezzo di stucco. E tu, disse quello della pistola, non dimenticherò la tua voce, Né io la tua faccia, rispose la moglie del medico. Nessuno parve notare l'assurdità di una cieca che dice che non dimenticherà una faccia che non ha visto. I ciechi se l'erano battuta in ritirata più in fretta che potevano, in cerca delle porte, poco dopo quelli della prima camerata stavano rendendo edotti sulla situazione i compagni, Da quanto abbiamo sentito, non credo che, per adesso, possiamo far altro che obbedire, disse il medico, devono essere molti, e il peggio è che sono armati, Potremmo rimediare anche noi delle armi, disse il commesso, Sì, qualche bastone strappato dagli alberi, se ancora ci sono rami ad altezza di braccio, qualche sbarra dei letti, che a stento avremmo la forza di maneggiare, mentre loro dispongono almeno di un'arma da fuoco, Io non glielo do quello che mi appartiene a quei figli di una puttana cieca, disse qualcuno, Neanche io, aggiunse un altro, O tutti, o nessuno, disse il medico, Non abbiamo alternative, disse la moglie, e inoltre la regola, qui dentro, dovrà essere la stessa che ci hanno imposto fuori, chi non vuol pagare non paghi, è suo diritto, ma in tal caso non mangerà, non 66 può mica cibarsi a spese degli altri, Daremo tutti e daremo tutto, disse il medico, E chi non ha niente da dare, domandò il commesso di farmacia, Questi sì, mangerà di quanto daranno gli altri, è giusto come ha detto qualcuno, da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo le sue necessità. Ci fu una pausa, e il vecchio dalla benda nera domandò, Allora, chi designeremo come responsabili, Io scelgo il dottore, disse la ragazza dagli occhiali scuri. Non fu necessario proseguire la votazione, la camerata era tutta d'accordo. Dovremo essere due, rammentò il medico, c'è qualcuno che si offre, domandò, Io, se nessun altro si presenta, disse il primo cieco, Molto bene, allora cominciamo la raccolta, ci serve un sacchetto, una borsa, una valigetta, una cosa qualsiasi, Posso liberare questa, disse la moglie del medico, e si apprestò a svuotare una borsetta dove aveva riunito alcuni prodotti di bellezza e qualcos'altro quando ancora non poteva immaginare le condizioni in cui era destinata a vivere. Fra le boccette, le scatolette e i tubetti provenienti dall'altro mondo, c'era un paio di lunghe forbici, dalle punte sottili. Non ricordava di averle messe, ma c'erano. La moglie del medico alzò la testa. I ciechi aspettavano, il marito si era avvicinato al letto del primo cieco, con il quale parlava, la ragazza dagli occhiali scuri stava dicendo al ragazzino strabico che fra poco arrivava da mangiare, per terra, verso il comodino, come se la ragazza dagli occhiali scuri avesse voluto, con puerile e inutile pudore, occultarlo alla vista di chi non vedeva, c'era un assorbente igienico macchiato di sangue. La moglie del medico guardava le forbici, tentando di pensare al perché le guardasse così, così come, così, ma non trovava nessun motivo, e realmente che motivo avrebbe potuto esserci in un semplice paio di lunghe forbici, lì fra le mani, con le due lame d'acciaio e le punte aguzze e brillanti, Hai fatto, domandava il marito da laggiù, Sì, ho fatto, rispose, e tese il braccio con cui teneva la borsa vuota mentre l'altro si spostava dietro la schiena, nascondendo le forbici, Cosa c'è, domandò il medico, Niente, rispose la moglie, come del resto avrebbe potuto rispondere Niente che tu possa vedere, ti sarà sembrata strana la mia voce, solo questo, nient'altro. Insieme col primo cieco, avanzò, prese la borsa con mani incerte, e disse, Preparate quello che avete, ora cominciamo a raccogliere. La donna si sganciò l'orologio, lo stesso fece con quello del marito, si tolse gli orecchini, un piccolo anello con rubino, il filo d'oro che portava al collo, la fede, quella del marito, non diedero molto da fare a sfilarsi, Abbiamo le dita più sottili, pensò mettendo tutto nella borsa, poi i soldi che avevano portato da casa, un po' di banconote di diverso valore, alcune monete, è tutto, disse, Sei sicura, domandò il medico, cerca bene, Di valore, avevamo solo questo. La ragazza dagli occhiali scuri aveva già radunato i propri beni, non molto diversi, in più c'erano solo due bracciali, in meno una fede. La moglie del medico aspettò che il marito e il primo cieco le voltassero le spalle, che la ragazza dagli occhiali scuri si chinasse verso il ragazzo strabico, Fai finta che sono tua mamma, diceva, pago per me e per te, e poi indietreggiò fino alla parete di fondo. Lì, come sulle altre pareti, c'erano dei grossi chiodi che dovevano esser serviti ai matti per appendervi chi sa quali tesori e quali manie. Scelse il più alto a cui riusciva ad arrivare, e vi infilò le forbici. Poi si sedette sul letto. Lentamente, il marito e il primo cieco procedevano in direzione della porta, si fermavano per raccogliere, da un lato e dall'altro, quel che ciascuno aveva da consegnare, alcuni protestavano che li stavano vergognosamente derubando, ed era la pura verità, altri si liberavano di quanto possedevano quasi con indifferenza, come se pensassero che, a ben vedere, non c'è al mondo niente che in senso assoluto ci appartenga, altra verità non meno trasparente. Quando giunsero alla porta della camerata, terminata la colletta, il medico domandò, Abbiamo consegnato tutto, risposero di sì un bel po' di voci rassegnate, ci fu chi tacque, sapremo a suo tempo se per non mentire. La moglie del medico alzò gli occhi verso le forbici. Si stupì di vederle tanto in alto, appese per uno degli anelli, o occhielli, quasi non fosse stata lei stessa a metterle lassù, e poi, fra sé e 67 sé, considerò che era stata un'eccellente idea quella di portarle, ora avrebbe potuto pareggiare la barba del suo uomo, renderlo più presentabile, visto che, ormai è chiaro, nelle condizioni in cui viviamo è impossibile farsi la barba regolarmente. Quando guardò di nuovo in direzione della porta, i due uomini erano già scomparsi nell'ombra del corridoio, diretti alla terza camerata del lato sinistro, dove avevano ordine di andare a pagare il cibo. Quello di oggi, quello di domani pure, e forse quello di tutta la settimana, E dopo, alla domanda non c'era risposta, tutto quanto possedevamo è lì. Contrariamente al solito, i corridoi erano sgombri, in genere non era così, quando si usciva dalle camerate non si faceva altro che inciampare, sbattere e cadere, gli aggrediti imprecavano, lanciavano parolacce volgari, gli aggressori rispondevano a tono, però nessuno vi dava importanza, bisogna pur sfogarsi in qualche maniera, soprattutto se si è ciechi. Davanti a loro c'era rumore di passi e di voci, dovevano essere gli emissari di un'altra camerata che si sottoponevano allo stesso obbligo. Che situazione, dottore, disse il primo cieco, non ci bastava essere ciechi, siamo caduti nelle grinfie di ciechi ladri, addirittura sembra una mia maledizione, prima quello della macchina, adesso questi che rubano il cibo, e per giunta con la pistola, La differenza è questa, l'arma, Ma le cartucce non durano per sempre, Niente dura per sempre, eppure in questo caso forse sarebbe auspicabile il contrario, Perché, Se le cartucce finiranno, sarà perché qualcuno le ha sparate, e di morti ne abbiamo avuto già fin troppi, Siamo in una situazione insostenibile, è insostenibile fin da quando siamo entrati in questo posto, e malgrado ciò continuiamo a resistere, Lei, dottore, è ottimista, Affatto, ma non riesco a immaginare niente di peggio di quel che stiamo vivendo, Invece io sospetto che non ci siano limiti alla cattiveria, al male, Forse ha ragione, disse il medico, e poi, come se stesse parlando con se stesso, Qualcosa dovrà succedere, una conclusione che comporta una certa contraddizione, o c'è in definitiva qualcosa di peggio, o d'ora in poi tutto migliorerà, anche se dal campione non sembra. In base alla strada percorsa, agli angoli che avevano svoltato, si stavano avvicinando alla terza camerata. Né il medico, né il primo cieco ci erano mai venuti, ma la costruzione a due ali, logicamente, obbediva a una rigida simmetria, conoscendo bene l'ala destra ci si poteva orientare facilmente nell'ala sinistra, e viceversa, bastava svoltare a sinistra quando nel lato opposto si sarebbe dovuto svoltare a destra. Udirono delle voci, dovevano essere quelli che erano venuti prima, Dobbiamo aspettare, disse il medico a bassa voce, Perché, Quelli dentro vorranno sapere esattamente cosa portano, per loro non fa differenza, siccome hanno già mangiato non hanno fretta, Non mancherà molto all'ora di pranzo, Anche se potessero vedere, a questi non servirebbe a niente saperlo, non hanno più neanche gli orologi. Un quarto d'ora dopo, minuto più minuto meno, lo scambio si concluse. I due uomini passarono davanti al medico e al primo cieco, dal discorso si capiva che portavano via del cibo, Attenzione, non farlo cadere, diceva uno, e l'altro mormorava, Ma non so se basterà per tutti, Stringeremo la cinghia. Facendo scivolare la mano sulla parete, col primo cieco appresso, il medico avanzò fino a toccare con le dita lo stipite della porta, Siamo della prima camerata lato destro, annunciò all'interno. Tentò di fare un passo, ma la gamba urtò contro un ostacolo. Capì che era un letto messo lì di traverso, a mo' di bancone di negozio, Sono organizzati, pensò, non è mica un'improvvisazione. Udì voci, passi, Quanti saranno, la moglie gli aveva parlato di una decina, ma non era da escludere che fossero molti di più, certamente non tutti stavano nell'atrio quando erano andati a impadronirsi del cibo. Quello della pistola era il capo, era la sua voce che, scherzando, diceva, Vediamo un po' quali ricchezze ci porta la prima camerata lato destro, e poi, in tono più basso, parlando a qualcuno che doveva stargli molto vicino, Prendi nota. Il medico rimase perplesso, cosa significa, ha 70 colpito rapidamente e successivamente quanti si trovavano nella stazione. Allora il vecchio dalla benda nera lasciò cadere per terra la radio. I ciechi malvagi, se fossero arrivati fiutando gioielli nascosti, avrebbero trovato conferma della ragione, ammesso che ci avessero pensato, per cui non avevano, essi stessi, incluso le radio portatili nella lista degli oggetti di valore. Il vecchio dalla benda nera si tirò la coperta sul capo per poter piangere. A poco a poco, sotto la luce giallastra e sporca delle flebili lampadine, la camerata scivolò in un sonno profondo, i corpi riconfortati dai tre pasti del giorno, come di rado era successo prima. Se le cose continuano così, finiremo, una volta ancora, col doverne concludere che anche nei mali peggiori è possibile trovare una porzione di bene sufficiente a sopportarli, i mali, con pazienza, il che, trasposto nell'attuale situazione, significa che, contrariamente alle prime e inquietanti previsioni, la concentrazione delle cibarie in un'unica entità di razionamento e distribuzione aveva, in definitiva, i suoi aspetti positivi, per quanto si lamentassero alcuni idealisti che avrebbero preferito continuare a lottare per la vita con i propri mezzi, anche se per via di questa ostinazione avessero dovuto fare un po' la fame. Incuranti del domani, dimentichi che chi paga in anticipo è sempre mal servito, la maggioranza dei ciechi, in tutte le camerate, dormiva un sonno profondo. Gli altri, stanchi di cercare senza risultato un'onorevole via d'uscita alle vessazioni subite, poco alla volta si addormentarono anch'essi, sognando e sperando in giorni migliori di questi, più liberi, se non più sazi. Nella prima camerata lato destro solo la moglie del medico non dormiva. Coricata nel suo letto, pensava a quanto il marito le aveva raccontato, quando per un attimo aveva creduto che fra i ciechi ladri ci fosse qualcuno che vedeva, qualcuno di cui gli altri si sarebbero potuti servire come spia. Era curioso che poi non ne avessero riparlato, come se al medico, cosa non fa l'abitudine, non fosse venuto in mente che anche sua moglie continuava a vedere. Lo pensò, ma tacque, non volle pronunciare le ovvie parole, Quello che in definitiva non potrà fare lui, lo posso fare io, Cosa, avrebbe domandato il medico fingendo di non capire. Adesso, con gli occhi fissi sulle forbici appese alla parete, la moglie del medico si stava domandando, A cosa mi serve vedere. Le era servito per sapere dell'orrore più di quanto avesse mai potuto immaginare, le era servito per desiderare di essere cieca, nient'altro che a questo. Con un cauto movimento si sedette sul letto. Davanti a lei dormivano la ragazza dagli occhiali scuri e il ragazzino strabico. Notò che i due letti erano quasi accostati, la ragazza aveva spinto il suo, certamente per stare più vicina al ragazzo, se avesse avuto bisogno di consolazione, di qualcuno che gli asciugasse le lacrime per la mancanza di una mamma perduta. Come mai non mi è venuto in mente, pensò, avrei potuto unire i nostri letti, avremmo dormito insieme, e non avrei avuto continuamente questa preoccupazione che potrebbe cadere dal letto. Guardò il marito che dormiva profondamente, in un sonno di puro esaurimento. Non era riuscita a dirgli che aveva portato lì le forbici, che uno di questi giorni gli avrebbe dovuto pareggiare la barba, un lavoro che potrebbe fare persino un cieco, purché non avvicini troppo le lame alla pelle. Si era data una buona giustificazione per non parlargli delle forbici, Poi me lo avrebbero chiesto tutti gli altri uomini, non avrei fatto altro che tagliare barbe. Scivolò col corpo fuori dal letto, posò i piedi per terra, cercò le scarpe. Mentre stava per calzarle, si trattenne, le guardò fissamente, poi scosse il capo e, senza rumore, le posò di nuovo. Imboccò la corsia fra i letti e cominciò a camminare lentamente verso la porta della camerata. I piedi scalzi sentirono l'immondezza appiccicosa del pavimento, ma lei sapeva che fuori, nei corridoi, sarebbe stato molto peggio. Andava guardando da un lato e dall'altro, per vedere se c'era qualche cieco sveglio, benché il fatto che ce ne fosse uno o più di veglia, o l'intera camerata, non avesse alcuna importanza, purché lei non facesse rumore, e anche se lo avesse fatto, 71 sappiamo a cosa costringono le necessità corporali, che non scelgono l'ora, insomma, l'unica cosa che in fondo non voleva era che il marito si svegliasse e notasse la sua assenza ancora in tempo per domandarle, Dove vai, che probabilmente è la domanda più spesso rivolta dagli uomini alle proprie mogli, l'altra è, Dove sei stata. Una delle cieche stava seduta sul letto, con le spalle appoggiate alla testiera bassa, lo sguardo vacuo fisso sulla parete di fronte, ma senza raggiungerla. La moglie del medico si fermò un momento, in dubbio se toccare quel filo invisibile sospeso nell'aria, come se un semplice contatto lo potesse distruggere irreparabilmente. La cieca alzò un braccio, doveva aver percepito una lieve vibrazione dell'atmosfera, poi lo lasciò ricadere incurante, già le bastava non poter dormire per il russare dei vicini. La moglie del medico continuò a camminare, sempre più in fretta a mano a mano che si avvicinava alla porta. Prima di proseguire in direzione dell'atrio guardò il corridoio che conduceva alle altre camerate di questo lato, un po' più avanti ai cessi e, finalmente, alla cucina e al refettorio. C'erano ciechi coricati rasente alle pareti, di quelli che all'arrivo non erano stati capaci di conquistare un letto, o perché nell'assalto erano rimasti indietro, o perché mancarono loro le forze per disputare la lotta e vincerla. A dieci metri un cieco era sdraiato sopra una cieca, agganciato fra le gambe di lei, lo facevano il più discretamente possibile, erano tra quelli discreti in pubblico, ma non ci sarebbe stato bisogno di avere l'udito molto acuto per sapere in cosa erano occupati, tanto meno quando non riuscirono più a reprimere i sospiri e i gemiti, qualche parola inarticolata, che sono i segnali di come tutto stia per finire. La moglie del medico rimase lì ferma a guardarli, non per invidia, lei aveva il marito e la soddisfazione che lui le dava, ma per una impressione d'altra natura per cui non trovava un termine, avrebbe potuto essere un sentimento di simpatia, come se stesse pensando di dir loro Non badate a me che sono qui, lo so anch'io che cos'è, continuate, avrebbe potuto essere un sentimento di compassione, Anche se questo istante di supremo godimento potesse durarvi per la vita, non potrete mai, voi due, riuscire a fondervi in uno solo. Il cieco e la cieca adesso riposavano, separati, uno accanto all'altro, ma sempre tenendosi per mano, erano giovani, forse innamorati, erano andati al cinema e lì erano diventati ciechi, o forse una miracolosa coincidenza li ha riuniti qui, e, se è così, come avevano fatto a riconoscersi, questa poi, dalle voci, è chiaro, non è solo la voce del sangue a non aver bisogno d'occhi, anche l'amore, che dicono sia cieco, ha da dire la sua. è più probabile, però, che li avessero presi contemporaneamente, in tal caso quelle mani intrecciate non sono recenti, stanno così fin dall'inizio. La moglie del medico sospirò, portò le mani agli occhi, ne fu costretta perché stava vedendo male, ma non si spaventò, sapeva che erano soltanto lacrime. Poi continuò per la sua strada. Arrivando nell'atrio, si avvicinò alla porta che dava sul recinto esterno. Guardò fuori. Al di là del portone c'era una luce su cui si stagliava la sagoma nera di un soldato. Dall'altro lato della strada i palazzi erano tutti al buio. Uscì sul pianerottolo. Non c'era pericolo. Anche se il soldato si fosse accorto di quella figura, avrebbe sparato solo se lei, scese le scale, si fosse avvicinata, dopo un primo avvertimento, a quell'altra linea invisibile che, per lui, rappresentava la frontiera della propria sicurezza. Ormai abituata ai rumori continui della camerata, la moglie del medico fu colpita dal silenzio, un silenzio che sembrava occupare lo spazio di un'assenza, come se l'umanità, tutta, fosse scomparsa, lasciando solo una luce accesa e un soldato a sorvegliarla, la luce e un residuo di uomini e donne che non potevano vedere. Si sedette per terra, con le spalle appoggiate allo stipite della porta, nella stessa posizione della cieca vista in camerata, e come lei guardando davanti a sé. La notte era fredda, il vento spirava lungo la facciata dell'edificio, sembrava impossibile che nel mondo ci fosse ancora il vento, che fosse buia la notte, non lo diceva per sé, ma pensava a quei ciechi per cui il giorno durava per sempre. Nella luce comparve 72 un'altra sagoma, doveva essere il cambio della guardia, Nessuna novità, stava probabilmente dicendo il soldato che andrà in tenda a dormire per il resto della notte, non immaginavano di certo cosa potesse esserci dietro quella porta, probabilmente il frastuono degli spari non era neanche arrivato fuori, una comune pistola non fa molto rumore. Un paio di forbici ancora meno, pensò la moglie del medico. Non si domandò inutilmente da dove le fosse venuto un simile pensiero, fu solo sorpresa dalla sua lentezza, di quanto avesse tardato a presentarsi la prima parola, seguita lentamente dalle altre, e poi trovò che il pensiero era già lì da prima, in qualche posto, e gli mancavano solo le parole, proprio come un corpo che, nel letto, cercasse quell'avvallamento già preparato dalla semplice idea di coricarsi. Il soldato si è avvicinato al portone, malgrado si trovi in controluce si capisce che guarda da questo lato, deve avere intravisto la figura immobile, per il momento non c'è abbastanza luce per vedere che è solo una donna seduta per terra, con le braccia intorno alle gambe e il mento appoggiato sulle ginocchia, allora il soldato punta il fascio di luce di una torcia da questo lato, non ci sono più dubbi, è una donna che si sta rialzando con un movimento lento, quanto lo era stato il pensiero, ma questo il soldato non può saperlo, lui sa soltanto che ha paura di quella figura che sembra non finisca più di alzarsi, un attimo si domanda se debba dare l'allarme, l'attimo dopo decide di no, in definitiva è solo una donna ed è lontana, in tutti i casi, nell'incertezza, le punta preventivamente l'arma, ma per farlo ha dovuto lasciare la torcia, in quel movimento il fascio luminoso gli ha colpito in pieno gli occhi, come un'istantanea bruciatura gli è rimasta nella retina un'impressione di abbagliamento. Quando la visione si è ripristinata, la donna era scomparsa, ora questa sentinella non potrà dire a chi verrà a dargli il cambio, Nessuna novità. La moglie del medico si trova ormai nell'ala del lato sinistro, nel corridoio che la condurrà alla terza camerata. Anche qui ci sono ciechi che dormono per terra, più che nell'ala destra. Cammina senza fare rumore, lentamente, sente il pavimento vischioso appiccicarsi ai piedi. Guarda all'interno delle prime due camerate, e vede quanto si aspettava di vedere, le figure coricate sotto le coperte, un cieco che non riesce ad addormentarsi e lo dice con voce disperata, sente il russare alterno di quasi tutti. Quanto all'odore che da tutto emana, non se ne stupisce, non ce n'è altro in tutto l'edificio, è l'odore del suo stesso corpo, degli abiti che indossa. Svoltando l'angolo verso quella parte di corridoio che dà accesso alla terza camerata, si è fermata. C'è un uomo sulla porta, un'altra sentinella. Ha in mano un bastone con cui fa movimenti lenti, da un lato e dall'altro, come a intercettare il passaggio di chi intendesse avvicinarsi. Qui non ci sono ciechi che dormono per terra, il corridoio è sgombro. Il cieco sulla porta continua in quel suo viavai uniforme, sembra sia instancabile, ma non è così, dopo alcuni minuti sposta il bastone di mano e ricomincia. La moglie del medico è andata avanti rasente alla parete del lato opposto, facendo attenzione a non sfiorarla. L'arco descritto dal bastone non arriva neppure a metà del corridoio, verrebbe voglia di dire che questa sentinella fa la guardia con un'arma scarica. La moglie del medico si trova adesso esattamente davanti al cieco, dietro di lui può vedere la camerata. I letti non sono tutti occupati. Quanti saranno, pensò. Avanzò un altro po', quasi al limite della portata del bastone, e lì si fermò, il cieco aveva girato il capo dal lato in cui era lei, come se avesse avvertito qualcosa di anormale, un sospiro, un tremore dell'aria. Era un uomo alto, le mani grandi. Prima allungò in avanti il braccio con cui teneva il bastone, gesticolando nel vuoto davanti a sé, poi fece un passetto avanti, per un secondo la moglie del medico temette che lui potesse vederla, e cercasse solo il punto da cui attaccarla meglio, Quegli occhi non sono ciechi, pensò, allarmata. Ma sì, certo, erano ciechi, ciechi come tutti quelli di coloro che vivevano sotto questi tetti, fra queste pareti, tutti, tutti, eccetto lei. A voce bassa, 75 ribolla lo spirito di onesta indignazione contro le ingiustizie dei malvagi, non dovrà fare la fame. Perché di questo si tratta. Ogni volta che gli incaricati di andare a prendere il cibo tornano nelle camerate con quel poco che è stato loro consegnato, scoppiano, furiose, le proteste. C'è sempre qualcuno che propone un'azione collettiva organizzata, una manifestazione massiccia, presentando come valido argomento la tanto spesso appurata forza espansiva del numero, sublimata nell'affermazione dialettica che le volontà, generalmente solo addizionabili le une alle altre, sono anche capacissime, in certe circostanze, di moltiplicarsi fra loro, all'infinito. Ben presto, però, gli animi si calmavano, bastava che qualcuno, più prudente, con la semplice e obiettiva intenzione di ponderare i vantaggi e i rischi dell'azione proposta, ricordasse agli entusiasti gli effetti mortali che sono soliti avere le pistole, Chi andrà avanti, dicevano, sa cosa lo aspetta, e quanto a chi sta dietro, è meglio non immaginare neanche cosa succederebbe nel caso assai probabile di spaventarci al primo colpo, più morti schiacciati che bucherellati. Come soluzione intermedia, in una delle camerate fu deciso, e della decisione si passò parola alle altre, che a prendere il cibo avrebbero mandato non i soliti emissari già castigati, ma un gruppetto nutrito, espressione ovviamente impropria, un dieci o dodici persone, le quali avrebbero fatto in modo di esprimere, coralmente, la scontentezza di tutti. Si chiesero volontari, ma, forse per effetto dei noti avvertimenti dei prudenti, in nessuna camerata furono tanti a presentarsi per la missione. Grazie a Dio, questa evidente dimostrazione di debolezza morale cessò di avere importanza, e anche di essere motivo di vergogna, quando, dando ragione alla prudenza, si venne a conoscenza del risultato della spedizione organizzata dalla camerata che aveva avuto l'idea. Gli otto coraggiosi che avevano avuto l'ardire furono cacciati via a randellate, e se è vero che fu sparata solo una pallottola, non è meno vero che questa non l'avevano mirata in alto come le prime, prova ne sia che i reclamanti giurarono poi di essersela sentita fischiare vicinissimo alle teste. Se già ci fosse stata intenzione assassina, forse lo verremo a sapere in seguito, per ora si conceda al tiratore il beneficio del dubbio, e cioè, o quello sparo non fu veramente altro che un avvertimento, ancorché più serio, oppure il capo dei malvagi aveva equivocato circa l'altezza dei manifestanti, immaginandoli più bassi, oppure infine, supposizione inquietante, l'equivoco sarà stato l'immaginarli più alti di quanto fossero effettivamente, nel qual caso l'intenzione di ammazzare andrebbe inevitabilmente considerata. Tralasciando per adesso queste minime questioni, e badando agli interessi generali, che sono poi quelli che contano, fu un autentica provvidenza, quand'anche si fosse trattato solo di una coincidenza, che i reclamanti si fossero annunciati come i delegati della camerata numero tot. Così soltanto quella dovette digiunare per tre giorni per castigo, e fu una gran fortuna, perché avrebbero potuto tagliarle i viveri per sempre, com'è giusto succeda a chiunque osi mordere la mano di chi gli dà da mangiare. Non ebbero quindi altro rimedio gli occupanti della camerata insorta, durante quei tre giorni, se non di andare di porta in porta a implorare l'elemosina di un tozzo di pane, per le anime del purgatorio, se possibile con un po' di companatico, certo, non morirono di fame, ma dovettero sentirne delle buone e delle belle, Con queste vostre idee potete anche pulirvici le mani sui muri, Se avessimo dato retta alle vostre chiacchiere, in che situazione staremmo adesso, ma peggio di tutto fu quando dissero loro, Abbiate pazienza, abbiate pazienza, non esistono parole più dure da sentire, meglio l'insulto. E quando i tre giorni di castigo si conclusero e si credette che l'indomani sarebbe stato un nuovo giorno, si vide che la punizione della camerata derelitta, quella dove albergavano tutti i quaranta ciechi insorti, in definitiva non era terminata, infatti il cibo, fino ad allora appena sufficiente per venti, si era talmente ridotto che neanche a dieci sarebbe riuscito ad ammazzare 76 la fame. Si può dunque immaginare la ribellione, l'indignazione, e anche, ci dispiace dirlo, ma i fatti sono fatti, la paura delle restanti camerate che già si vedevano assalite dai bisognosi, e divise, le camerate, fra i classici doveri dell'umana solidarietà e l'osservanza del vecchio e non meno classico precetto secondo cui la carità bene intesa dovrà comunque cominciare da noi stessi. A questo punto stavano le cose quando giunse l'ordine dei malvagi di consegnar loro altri soldi e oggetti di valore, in quanto, sostenevano, il cibo fornito aveva già superato il valore del pagamento iniziale, peraltro, secondo quanto affermavano, generosamente calcolato in eccesso. Risposero afflitte le camerate che in tasca non gli era rimasto neppure un centesimo, che tutti i beni raccolti erano stati puntualmente consegnati e che, argomento, quest'ultimo, davvero vergognoso, non sarebbe stata del tutto equanime una decisione che deliberatamente ignorasse le differenze di valore dei distinti contributi, e cioè, in parole povere, non andava mica bene che fosse il giusto a pagare per il peccatore, e che dunque non si dovevano tagliare i viveri a chi, probabilmente, aveva ancora un saldo a proprio favore. Nessuna delle camerate, ovviamente, conosceva il valore di quanto era stato consegnato dalle altre, ma ciascuna pensava di aver motivi per continuare a mangiare ancora quando alle altre fosse già finito il credito. Fortunatamente, grazie alla qual cosa i conflitti latenti morirono sul nascere, i malvagi furono categorici, l'ordine andava eseguito da tutti quanti, se differenze di valutazione c'erano state rimanevano nel segreto della contabilità del cieco scrivano. Nelle camerate la discussione fu accesa, aspra, talvolta giunse alla violenza. Sospettavano alcuni che certi egoisti e malintenzionati avessero nascosto parte dei propri valori all'atto della raccolta, e dunque fossero stati lì a mangiare a spese di chi onestamente si era spogliato di tutto a beneficio della comunità. Adducevano altri, recuperando a uso personale ciò che fino ad allora era stata un'argomentazione collettiva, che quanto avevano già consegnato, da solo, sarebbe bastato per continuare a mangiare ancora per molti giorni, invece di doversene star lì a nutrire dei parassiti. La minaccia che i ciechi malvagi avevano fatto all'inizio, di andare a ispezionare le camerate e punire i trasgressori, finì per essere attuata in ciascuna, ciechi buoni contro ciechi cattivi, e pure malvagi. Non si trovarono magnifiche ricchezze, ma furono scoperti ancora un bel po' di orologi e anelli, il tutto più da uomo che da donna. Quanto ai castighi della giustizia interna, non furono più di qualche ceffone a caso, di qualche fiacco pugno mal diretto, si udirono per lo più insulti, e frasi appartenenti a un'antica retorica accusatoria, per esempio, Saresti capace perfino di derubare tua madre, pensate un po', come se per commettere un'ignominia del genere, e altre ben più consistenti, ci fosse da aspettare il giorno in cui tutti fossero diventati ciechi e, avendo perduto il lume degli occhi, avessero perduto anche il faro del rispetto. I ciechi malvagi ricevettero il pagamento con minacce di dure rappresaglie, che per fortuna poi non attuarono, si suppone per dimenticanza, ma in realtà perché avevano già un'altra idea in mente, come non tarderà a sapersi. Se avessero realizzato le minacce, ulteriori ingiustizie sarebbero venute ad aggravare la situazione, magari con conseguenze drammatiche immediate, in quanto due delle camerate, per occultare il delitto di trattenuta di cui erano colpevoli, si presentarono a nome delle altre, scaricando sulle camerate innocenti colpe non loro, qualcuna era addirittura talmente onesta da aver consegnato tutto il primo giorno. Fortunatamente, per non ritrovarsi con ulteriore lavoro, il cieco contabile aveva deciso di registrare a parte, in un unico foglio di carta, i nuovi diversi contributi, e fu la salvezza per tutti, innocenti e colpevoli, perché di certo l'irregolarità fiscale gli sarebbe balzata agli occhi se li avesse inseriti nei rispettivi conti. 77 Trascorsa una settimana, i ciechi malvagi mandarono a dire che volevano donne. Così, semplicemente, Portateci delle donne. Questa inattesa ancorché non del tutto insolita pretesa causò l'indignazione che è facile immaginare, gli sbalorditi emissari giunti con l'ordine tornarono immediatamente indietro a comunicare che le camerate, le tre di destra e le due di sinistra, compresi i ciechi e le cieche che dormivano per terra, avevano deciso, all'unanimità, di non accogliere la degradante imposizione, obiettando che non poteva abbassarsi fino a quel punto la dignità umana, in questo caso femminile, e che se nella terza camerata lato sinistro non c'erano donne, la responsabilità, se ce n'era, non si poteva addossare a loro. La risposta fu breve e secca, Se non ci portate delle donne, non mangiate. Umiliati, gli emissari ritornarono nelle camerate con l'ordine, O ci andate, o non ci danno da mangiare. Le donne sole, quelle che non avevano un compagno, o per lo meno non lo avevano fisso, protestarono immediatamente, non erano disposte a pagare il cibo degli uomini altrui con quello che avevano fra le gambe, una ebbe persino l'audacia di dire, dimenticando il rispetto dovuto al proprio sesso, Io sono padronissima di andarci, ma quanto guadagno è per me, e se mi va ci resto pure a vivere, così mi garantisco letto e piatto. Lo disse con queste inequivocabili parole, ma poi non passò ai conseguenti fatti, pensò per tempo a quanto sarebbe stato amaro il boccone se avesse dovuto sostenere da sola la furia erotica di venti maschi sfrenati che, a giudicare dall'urgenza, dovevano essere accecati dalla foia. Ma questa dichiarazione, così sventatamente proferita nella seconda camerata lato destro, non cadde nel vuoto, uno degli emissari, dotati di un particolare senso dell'opportunità, la colse al volo per proporre che si presentassero dei volontari, tenendo conto del fatto che tutto quello che si fa spontaneamente costa generalmente meno di tutto quello che si deve fare per obbligo. Solo un'estrema cautela, un'ultima prudenza gli impedirono di concludere l'appello citando il noto proverbio, Chi corre per gusto, non si stanca. Le proteste, comunque, esplosero appena ebbe finito di parlare, saltaron su tutte le furie da tutti i lati, senza pietà né pena gli uomini furono stracciati moralmente, qualificati come magnaccia, ruffiani, lecchini, vampiri, sfruttatori, lenoni, secondo la cultura, l'ambiente sociale e lo stile personale delle donne, giustamente indignate. Alcune si dichiararono pentite di aver ceduto, per pura generosità e compassione, alle sollecitazioni sessuali di compagni di sventura che adesso le ringraziavano tanto male, spingendole alla peggiore delle sorti. Gli uomini cercarono di giustificarsi, beh, non era proprio così, non bisognava drammatizzare, che diavolo, solo parlando ci s'intende, è stato solo perché si usa chiedere dei volontari in situazioni difficili e pericolose, come lo è senza dubbio questa, Rischiamo tutti di morire di fame, voi e noi. Alcune donne si calmarono, così ricondotte alla ragione, ma una delle altre, subitamente ispirata, lanciò un nuovo ciocco nel fuoco quando ironicamente domandò, E cosa avreste fatto voi se, invece di chiedere donne, avessero chiesto uomini, cosa avreste fatto, raccontatecelo, stiamo a sentire. Le donne esultarono, Raccontatecelo, raccontatecelo, gridavano in coro, entusiasmate per aver messo gli uomini con le spalle al muro, presi nella loro stessa trappola logica cui non sarebbero potuti sfuggire, adesso volevano vedere fin dove giungesse la tanto decantata coerenza maschile, Qui froci non ce ne sono, si azzardò a protestare uno, E neanche puttane, ribatté la donna che aveva posto la domanda provocatoria, e anche se ce ne fossero, può darsi non siano disposte a esserlo per voi. Infastiditi, gli uomini si vergognarono, consapevoli che solo una risposta sarebbe stata in grado di dar soddisfazione alle vendicative femmine, Se avessero chiesto degli uomini, saremmo andati, ma non ci fu nessuno che ebbe il coraggio di pronunciare queste brevi, esplicite e disinibite parole, anzi, ne furono talmente turbati da non pensare neppure che non ci sarebbe stato grande pericolo nel dirle, visto che quei figli di puttana non volevano sfogarsi con gli uomini, ma con le donne. 80 stessa ragazza, vai a capire le donne, che è la più carina di tutte quelle qui presenti, quella dal corpo più ben fatto, la più attraente, quella che tutti hanno cominciato a desiderare quando si è sparsa la voce di quanto valesse, è andata infine, una notte, a infilarsi di sua spontanea volontà nel letto del vecchio dalla benda nera, che l'ha accolta come un temporale d'estate e si è comportato come meglio poteva, niente male per l'età, dimostrandosi così, ancora una volta, che le apparenze ingannano, e che non certo dall'aspetto del viso e dalla prontezza del corpo si conosce la forza del cuore. Nella camerata compresero tutti che solo per pura carità la ragazza dagli occhiali scuri era andata a offrirsi al vecchio dalla benda nera, ma vi furono degli uomini, di quelli sensibili e sognatori, che, avendone già goduto prima, si misero a fantasticare, a pensare che non potesse esserci miglior premio a questo mondo del ritrovarsi distesi nel proprio letto, da soli, immaginando cose impossibili, e avvertire che una donna ti viene a sollevare le coperte molto lentamente e vi si insinua sotto, sfiorandoti lentamente il corpo con il corpo, fino ad acchetarsi poi, in silenzio, in attesa che l'ardore del sangue pacifichi l'improvviso tremore della pelle sussultante. E tutto per niente, solo perché lei lo ha voluto. Non sono mica fortune da quattro soldi, a volte è necessario esser vecchi e avere una benda nera lì a tappare un'orbita definitivamente cieca. Oppure certe cose è meglio lasciarle senza spiegazione, dire semplicemente quel che è accaduto, non interrogarsi nell'intimo, come quella volta, quando la moglie del medico si era alzata dal letto per andare a rimboccare il ragazzino strabico che si era scoperto. Non se ne tornò subito a letto. Appoggiata alla parete di fondo, nel poco spazio tra le due file di brande, guardava disperata la porta all'altra estremità quella da cui erano entrati un giorno che ormai sembrava lontano e che adesso non conduceva da nessuna parte. Mentre se ne stava così, vide il marito alzarsi e, con lo sguardo fisso, come un sonnambulo, dirigersi verso il letto della ragazza dagli occhiali scuri. Non fece un solo gesto per trattenerlo. In piedi, senza muoversi, vide come lui alzava le coperte e poi si sdraiava accanto a lei, come la ragazza si svegliò e lo accolse senza protestare, come le due bocche si cercarono e si trovarono, e poi successe quel che doveva succedere, il piacere dell'uno, il piacere dell'altro, il piacere di entrambi, i mormorii soffocati, lei disse, dottore, e questa parola avrebbe potuto essere ridicola, ma non lo fu, lui disse, Scusa, non so cosa mi abbia preso, infatti avevamo ragione, come avremmo potuto noi, che solo vediamo, sapere ciò che non sa neppure lui. Sdraiati nella stretta branda, non potevano immaginare di essere osservati, il medico sì, certo, subitamente inquieto, chi sa se la moglie stava dormendo, si domandò, o se ne andava in giro per i corridoi come tutte le notti, fece un movimento per tornare nel suo letto, ma una voce disse, Non ti alzare, e una mano gli si posò sul petto con la leggerezza di un uccello, lui stava per parlare, forse per ripetere che non sapeva cosa gli avesse preso, ma la voce disse, Se non dirai niente comprenderò meglio. La ragazza dagli occhiali scuri cominciò a piangere, Come siamo disgraziati, mormorava, e poi, L'ho voluto anch'io, l'ho voluto anch'io, il dottore non ha colpa, Taci, disse dolcemente la moglie del medico, taciamo tutti, in certe occasioni le parole non servono a niente, magari potessi piangere anch'io, dire tutto con le lacrime, non dover parlare per essere intesa. Si sedette sul bordo del letto, tese il braccio sopra i due corpi, come per cingerli nello stesso amplesso, e chinandosi verso la ragazza dagli occhiali scuri le mormorò sottovoce all'orecchio, Io vedo. La ragazza rimase immobile, rasserenata, ma perplessa di non provare alcuna sorpresa, era come se lo sapesse già fin dal primo giorno e non avesse voluto dirlo a voce alta solo perché era un segreto che non le apparteneva. Girò un po' il capo e a sua volta sussurrò all'orecchio della moglie del medico, Lo sapevo, non ne sono del tutto sicura, ma penso che lo sapessi, Ѐ un segreto, non puoi dirlo a nessuno, Stia tranquilla, Ho fiducia in te, Può averla, preferirei morire piuttosto che ingannarla, Devi darmi del tu, Questo no, non ne sono capace. Mormoravano 81 all'orecchio, ora l'una ora l'altra, sfiorandosi con le labbra i capelli, il lobo dell'orecchio, era un dialogo insignificante, era un dialogo profondo, se è possibile accostare questi contrari, una piccola conversazione complice che sembrava non contemplare l'uomo sdraiato fra loro due, ma che lo implicava in una logica al di fuori del mondo delle idee e delle comuni realtà. Poi la moglie del medico disse al marito, Resta qui un altro po', se vuoi, No, vengo nel nostro letto, Allora ti aiuto. Si alzò per lasciargli i movimenti liberi, contemplò per un istante le due teste cieche, posate fianco a fianco sul guanciale sudicio, le facce sporche, i capelli arruffati, solo gli occhi risplendevano inutilmente. Lui si alzò lentamente, cercando appoggio, poi rimase fermo lì accanto al letto, indeciso, come se tutto a un tratto avesse perduto la nozione del luogo in cui si trovava, allora lei, come sempre aveva fatto, lo prese per un braccio, ma adesso il gesto aveva un significato nuovo, mai come in questo momento lui aveva avuto necessità di esser guidato, ma non poteva sapere fino a qual punto, soltanto le due donne lo seppero veramente, quando la moglie del medico sfiorò con l'altra mano il viso della ragazza e istintivamente lei gliela prese per portarsela alle labbra. Parve al medico di sentir piangere, un suono quasi inudibile, come può esserlo solo quello di lacrime che scorrono lentamente fino agli angoli della bocca dove scompaiono per ricominciare l'eterno ciclo degli inspiegabili dolori e delle gioie umane. La ragazza dagli occhiali scuri sarebbe rimasta sola, era lei quella che doveva essere consolata, per ciò la mano della moglie del medico tardò tanto a staccarsi. Il giorno dopo, all'ora di cena, se qualche misero pezzo di pane duro e un po' di carne rancida si potevano chiamare cena, comparvero alla porta della camerata tre ciechi provenienti dall'altro lato, Quante donne avete qui, domandò uno di essi, Sei, rispose la moglie del medico, con la buona intenzione di lasciar fuori la cieca delle insonnie, ma lei corresse con voce spenta, Siamo sette. I ciechi risero, Diavolo, disse uno, allora dovrete lavorare molto stanotte, e un altro suggerì, Forse è meglio andare a cercare rinforzi nella camerata seguente, Non ne vale la pena, disse il terzo cieco, che conosceva l'aritmetica, praticamente sono tre uomini per ogni donna, ce la faranno. Risero tutti di nuovo, e quello che aveva domandato quante donne ci fossero impartì l'ordine, Quando avete finito raggiungeteci, e aggiunse, Naturalmente se domani volete mangiare e dare la pappa ai vostri uomini. Ripetevano le stesse parole in ogni camerata, ma continuavano a divertirsi un mondo con quella spiritosaggine quanto il giorno in cui l'avevano inventata. Si contorcevano dalle risate, si davano pacche, picchiavano con i grossi bastoni per terra, subitamente uno di loro avvertì, Ehi, se c'è qualcuna con le sue cose non la vogliamo, sarà per la prossima volta, Non ce n'è nessuna, disse serenamente la moglie del medico, Allora preparatevi, e non tardate, vi aspettiamo. Girarono le spalle e scomparvero. La camerata rimase in silenzio. Un minuto dopo, la moglie del primo cieco disse, Non posso mangiare altro, era quasi niente quel che aveva in mano, e non riusciva a mangiarlo, Neanche io, disse la cieca delle insonnie, Neanche io, disse quella che non si sa chi sia, Io ho finito, disse la cameriera d'albergo, Anche io, disse l'impiegata dell'ambulatorio, Io vomiterò in faccia al primo che mi si avvicina, disse la ragazza dagli occhiali scuri. Stavano tutte lì in piedi, tremanti e risolute. Allora la moglie del medico disse, Vado avanti io. Il primo cieco nascose il capo sotto la coperta, come se servisse a qualche cosa, cieco lo era già, il medico attirò a sé la moglie e, senza parlare, le diede un rapido bacio sul la fronte, cos'altro poteva fare lui, agli altri uomini tanto si doveva dare, non avevano né diritti né obblighi coniugali su nessuna di quelle donne, perciò nessuno potrebbe andare a dirgli, Cornuto consenziente, cornuto due volte. La ragazza dagli occhiali scuri andò a mettersi dietro la moglie del medico, poi, una dopo l'altra, la cameriera dell'albergo, l'impiegata dell'ambulatorio, la moglie del primo cieco, quella che non si sa chi sia, e infine la cieca delle insonnie, una fila grottesca di femmine maleodoranti, 82 con gli abiti immondi e cenciosi, sembra impossibile che la forza bestiale del sesso sia ancora tanto possente, al punto da accecare l'olfatto, che è il più delicato dei sensi, ci sono persino dei teologi che affermano, benché non con queste parole precise, che la maggior difficoltà per riuscire a vivere decentemente all'inferno è l'odore che c'è. Lentamente, guidate dalla moglie del medico, ciascuna con la mano sulla spalla della seguente, le donne cominciarono a camminare. Erano tutte scalze perché non volevano perdere le scarpe fra i tormenti e le angosce per cui sarebbero passate. Quando arrivarono nell'atrio d'ingresso, la moglie del medico si avviò verso la porta, forse voleva sapere se il mondo ci fosse ancora. Nel sentire la freschezza dell'aria, la cameriera dell'albergo ricordò spaventata, Non possiamo uscire, là fuori ci sono i soldati, e la cieca delle insonnie disse, Tanto meglio, in meno di un minuto saremmo morte, come del resto dovremmo essere, tutte morte, Noi, domandò l'impiegata dell'ambulatorio, No, tutte noi che ci troviamo qui dentro, almeno avremmo il migliore dei motivi per essere cieche. Non aveva mai pronunciato tante parole di seguito da quando l'avevano portata. La moglie del medico disse, Andiamo, solo chi dovrà morire morirà, la morte sceglie senza avvisare. Oltrepassarono la porta che dava accesso all'ala sinistra, si infilarono nei lunghi corridoi, le donne delle prime due camerate avrebbero potuto, volendo, dir loro cosa le aspettava, ma se ne stavano rannicchiate nei letti come bestie bastonate, gli uomini non si azzardavano a toccarle, appena tentavano di avvicinarsi, quelle si mettevano a gridare. Nell'ultimo corridoio, giù in fondo, la moglie del medico vide un cieco che stava di sentinella, come al solito. Doveva aver sentito i passi strascicati, lanciò un avvertimento, Stanno arrivando, stanno arrivando. Dall'interno partirono grida, nitriti, risate. Quattro ciechi scostarono rapidamente il letto che fungeva da barriera all'entrata, Presto, ragazze, entrate, entrate, qui sembriamo tutti dei cavalli, ve ne andrete via a pancia piena, diceva uno. I ciechi le circondarono, tentavano di palpeggiarle, ma indietreggiarono subito dopo, scontrandosi, quando il capo, quello che aveva la pistola, gridò, Il primo a scegliere sono io, lo sapete. Gli occhi di tutti quegli uomini cercavano ansiosamente le donne, alcuni allungavano le mani avide, se di sfuggita ne toccavano qualcuna sapevano finalmente in che direzione guardare. In mezzo alla corsia, fra i letti, le donne erano come i soldati schierati in attesa che vengano a passarli in rivista. Il capo dei ciechi, pistola in pugno, si avvicinò, agile e disinvolto come se con gli occhi di cui disponeva potesse vedere. Posò la mano libera sulla cieca delle insonnie, che era la prima, la palpeggiò davanti e dietro, il sedere, le mammelle, in mezzo alle gambe. La cieca attaccò a gridare e lui la spinse via, Non vali niente, puttana. Passò alla successiva, che era quella che non si sa chi sia, adesso palpeggiava con tutte e due le mani, si era infilato la pistola nella tasca dei pantaloni, Guardate che questa non è niente male, e subito dopo passò alla moglie del primo cieco, poi all'impiegata dell'ambulatorio, poi alla cameriera dell'albergo, esclamò, Ragazzi, queste qui non sono affatto male. I ciechi nitrirono, diedero pacche per terra, Diamoci sotto, che si fa tardi, strillarono alcuni, Calma, disse quello della pistola, fatemi vedere prima come sono le altre. Palpeggiò la ragazza dagli occhiali scuri e fece un fischio, Ehilà, abbiamo vinto alla lotteria, di questa razza non ce n'erano ancora arrivate. Eccitato, mentre continuava a palpeggiare la ragazza, passò alla moglie del medico, fischiò di nuovo, Questa è una delle tardone, ma ha tutta l'aria di essere ben fornita. Tirò verso di sé le due donne, quasi sbavando mentre diceva, Mi tengo queste, appena le ho sbrigate ve le passo. Le trascinò giù in fondo alla camerata, dove erano ammucchiate le casse del cibo, i pacchi, le lattine, una dispensa che avrebbe potuto rifornire un reggimento. Le donne, tutte, stavano già urlando, si udivano colpi, schiaffi, ordini, State zitte, 85 neanche impossibile, basta che la memoria di ciascuno dei due faccia emergere dall'abbagliante biancore del mondo la bocca che sta articolando le parole, e poi, come una lenta irradiazione da quel centro, il resto dei visi apparirà pian piano, un viso da vecchio, un altro non tanto, non si dica che è cieco chi ancora sia capace di vedere così. Quando si allontanarono per andare a riscuotere il salario della vergogna, come lo aveva definito il primo cieco protestando con retorica indignazione, la moglie del medico disse alle altre donne, Restate qui, torno subito. Sapeva ciò che voleva, non sapeva se lo avrebbe trovato. Voleva un secchio o qualcosa che ne facesse le veci, voleva riempirlo d'acqua anche se fetida, anche se putrida, voleva lavare la cieca delle insonnie, ripulirla del sangue proprio e della secrezione altrui, consegnarla purificata alla terra, ammesso che ancora abbia senso parlare di purezze del corpo in questo manicomio in cui viviamo, che alle purezze dell'anima, si sa, non c'è modo di giungervi. Sui lunghi tavoli del refettorio c'erano ciechi sdraiati. Da un rubinetto mal chiuso, sopra una vasca di scarico, scorreva un filo d'acqua. La moglie del medico si guardò intorno in cerca del secchio, del recipiente, ma non vide niente di utilizzabile. Un cieco avvertì la presenza, domandò, Chi c'è. Lei non rispose, sapeva che non sarebbe stata bene accolta, nessuno le avrebbe detto, Vuoi un po' d'acqua, prendila, e se poi serve per lavare una defunta, tutta quella di cui hai bisogno. Per terra, sparpagliate, c'erano buste di plastica, quelle per alimenti, alcune grandi. Pensò che sicuramente erano rotte, ma poi pensò anche che, usandone due o tre, una dentro l'altra, avrebbe perso ben poca acqua. Agì rapidamente, i ciechi stavano già scendendo dai tavoli, domandavano, Chi c'è, tanto più allarmati quando udirono il rumore dell'acqua corrente, avanzarono in quella direzione, la moglie del medico corse a spostare e spingere un tavolo perché non potessero avvicinarsi, poi riprese la busta, l'acqua scorreva lentamente, disperata forzò la manopola, e allora, come se l'avessero liberata da una prigione, l'acqua sgorgò con forza, sprizzò violentemente e la bagnò dalla testa ai piedi. I ciechi si spaventarono e indietreggiarono, pensarono fosse saltato un tubo, e a maggior ragione lo pensarono quando l'acqua che si riversava gli arrivò come un'inondazione ai piedi, non potevano sapere che era stata versata da quell'estraneo che era entrato, solo allora la donna capì che non ce l'avrebbe fatta con tanto peso. Attorcigliò e arrotolò la busta, se la buttò sulle spalle e, come poté, corse via. Quando il medico e il vecchio dalla benda nera entrarono nella camerata con il cibo, non videro, non potevano vedere, sette donne nude, la cieca delle insonnie distesa sul letto, pulita come non lo era mai stata in tutta la sua vita, mentre un'altra donna lavava, una dopo l'altra, le sue compagne, e poi se stessa. Il quarto giorno, i malvagi si ripresentarono. Venivano a sollecitare al pagamento dell'imposta di servizio le donne della seconda camerata, ma si trattennero un momento alla porta della prima domandando se quelle di qui si erano riprese dagli assalti erotici dell'altra notte, Una notte ben trascorsa, non c'è che dire, esclamò uno di essi leccandosi i baffi, e un altro confermò, Queste sette valevano per quattordici, una non era granché, è vero, ma in mezzo a quella confusione quasi non si notava, hanno fortuna questi tizi qui, se sono abbastanza uomini, Meglio di no, così ne avranno più voglia. Dal fondo della camerata, la moglie del medico disse, Non siamo più sette, Ne è scappata una, domandò ridendo uno del gruppo, Non è scappata, è morta, Oh diavolo, allora dovrete lavorare di più la prossima volta, Non si è perso 86 molto, non era granché, disse la moglie del medico. Sconcertati, i messaggeri non seppero come rispondere, quanto avevano appena udito gli sembrava indecente, qualcuno di loro avrà addirittura pensato che in fin dei conti le donne sono tutte delle vacche, che mancanza di rispetto, parlare di lei in questi termini, solo perché non aveva le mammelle al posto giusto ed era scarsa di sedere. La moglie del medico li guardava, fermi lì davanti alla porta, indecisi, muovendo il corpo come pupazzi meccanici. Li riconosceva, era stata violata da tutti e tre. Alla fine uno picchiò con il bastone per terra, Andiamocene, disse. I colpi e gli avvertimenti, Allontanatevi, allontanatevi, andarono scemando nel corridoio, poi si fece silenzio, brusii confusi, le donne della seconda camerata stavano ricevendo l'ordine di presentarsi dopo cena. Risuonarono nuovamente i colpi per terra, Allontanatevi, allontanatevi, le figure dei tre ciechi passarono nel riquadro della porta, scomparvero. La moglie del medico, che stava raccontando una storia al ragazzino strabico, alzò il braccio e, senza rumore, prese le forbici dal chiodo. Disse al ragazzo, Poi ti racconto il resto. Nessuno della camerata le aveva domandato perché avesse parlato della cieca delle insonnie con quel disprezzo. Trascorso un po' di tempo, si tolse le scarpe e andò a dire al marito, Faccio presto, torno subito. Si incamminò verso la porta. Lì si fermò e attese. Dieci minuti dopo comparvero nel corridoio le donne della seconda camerata. Erano quindici. Alcune piangevano. Non arrivavano in fila, ma a gruppi, legati fra loro con strisce di tessuto, in apparenza strappate dai copriletto. Quando furono passate, la moglie del medico le seguì. Nessuna si accorse di avere compagnia. Sapevano cosa le aspettava, la notizia delle vessazioni non era un segreto per nessuno, e per la verità non c'era niente di nuovo, il mondo sarà sicuramente cominciato così. Quello che le terrorizzava non era tanto la violazione, ma l'orgia, l'inverecondia, la previsione della terribile notte, quindici donne sparpagliate qua e là sui letti e per terra, gli uomini che andavano dall'una all'altra, ansimando come maiali, Il peggio è se proverò piacere, era quanto pensava una di loro. Quando entrarono nel corridoio per cui si arrivava alla camerata di destinazione, il cieco di sentinella diede l'allarme, Le sento, stanno arrivando. Il letto che fungeva da cancello fu scostato rapidamente, a una a una le donne entrarono, Caspita quante, esclamò il cieco della contabilità, e andava contando con entusiasmo, Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sono quindici. Si mise appresso all'ultima, le infilava le mani avide sotto le gonne, Questa già canta, è mia, diceva. Avevano smesso di passarle in rivista, di fare la valutazione previa delle doti fisiche delle femmine. In realtà, se erano tutte condannate a passare per la stessa cosa, non valeva la pena sprecare il tempo e raffreddare la concupiscenza con scelte di altezze e misurazioni di petto e fianchi. Le portavano direttamente ai letti, le spogliavano immediatamente strattonandole, e ben presto si udirono i soliti pianti, le suppliche, le implorazioni, ma le risposte, quando c'erano, non variavano, Se vuoi mangiare, apri le gambe. E loro aprivano le gambe, ad alcune si ordinava di usare la bocca, come quella accoccolata lì, fra le ginocchia del capo di questi malvagi, lei non diceva niente. La moglie del medico entrò nella camerata, scivolò lentamente fra i letti, ma non c'era neanche bisogno di tutta quella cautela, nessuno l'avrebbe sentita anche se fosse venuta in zoccoli, e se, in mezzo alla baldoria, un cieco l'avesse toccata e si fosse accorto che si trattava di una donna, alla peggio le poteva succedere che avrebbe dovuto unirsi alle altre, neanche ci avrebbero badato, in una situazione del genere non è facile notare la differenza fra quindici e sedici. Il letto del capo dei malvagi era sempre quello in fondo alla camerata, dov'erano ammucchiate le casse di cibo. Le brande accanto al suo erano state tolte, a lui piaceva muoversi liberamente, non dover inciampare nei vicini. Sarebbe stato semplice ammazzarlo. Mentre lentamente avanzava per la stretta corsia, la moglie del 87 medico osservava i movimenti dell'uomo che ben presto avrebbe ammazzato, come il godimento gli facesse inclinare il capo all'indietro, come sembrasse già lì a offrirle il collo. Pian piano, la moglie del medico si avvicinò, aggirò il letto e andò a mettersi dietro di lui. La cieca continuava il suo lavoro. La mano sollevò lentamente le forbici, le lame appena discoste per penetrare come due pugnali. In quel momento, l'ultimo, il cieco parve avvertire una presenza, ma l'orgasmo lo aveva sottratto al mondo delle comuni sensazioni, lo aveva privato di riflessi, Non arriverai a godere, pensò la moglie del medico, e calò violentemente il braccio. Le forbici si conficcarono con tutta la forza nella gola del cieco, girando su se stesse lottarono contro le cartilagini e i tessuti membranosi, poi continuarono furiosamente fino a bloccarsi contro le vertebre cervicali. Il grido si udì a stento, poteva essere il grugnito animale di qualcuno che stesse eiaculando, come stava già succedendo ad altri, e forse lo era, in realtà, mentre un getto di sangue le innaffiava in pieno la faccia, la cieca riceveva in bocca la scarica convulsa dello sperma. Fu il grido di lei ad allarmare i ciechi, di grida ne avevano fin troppa esperienza, ma questo non era come gli altri. La cieca gridava, non capiva cosa fosse accaduto, ma gridava, da dove veniva questo sangue, probabilmente, senza sapere come, aveva fatto infine quello che aveva pensato, strappargli il pene a morsi. I ciechi lasciavano le donne, si avvicinavano a tentoni, Cosa c'è, perché stai gridando in questa maniera, domandavano, ma adesso la cieca si ritrovava una mano sulla bocca, qualcuno le mormorava all'orecchio, Zitta, e poi si sentì tirare dolcemente indietro, Non dire niente, era una voce di donna, e questo la calmò, se così si può dire in simili tormenti. Il cieco dei conti procedeva in testa, fu il primo a toccare il corpo che era caduto di traverso sul letto, passandogli le mani sopra, Ѐ morto, esclamò dopo un momento. Il capo pendeva al di là della branda, il sangue usciva ancora a fiotti, Lo hanno ammazzato, disse. I ciechi si fermarono interdetti, non riuscivano a credere a ciò che sentivano, Lo hanno ammazzato, come, chi è che lo ha ammazzato, Gli hanno fatto uno squarcio enorme in gola, deve essere stata quella puttana che stava con lui, dobbiamo acchiapparla. Si mossero di nuovo tutti quanti, ora più lentamente, come se avessero paura di incontrare la lama che aveva ammazzato il loro capo. Non potevano vedere che il cieco della contabilità infilava precipitosamente le mani nelle saccocce del morto, che trovava la pistola e un sacchetto di plastica con una decina di cartucce. L'attenzione di tutti fu improvvisamente distratta dallo schiamazzo delle donne che, ormai in piedi, in preda al panico, volevano uscire, ma alcune avevano perso la nozione di dove fosse la porta della camerata, e andarono nella direzione sbagliata e urtarono contro i ciechi, e questi credettero di essere assaliti, allora la confusione dei corpi raggiunse il culmine di un delirio. Immobile, giù in fondo, la moglie del medico aspettava l'occasione per scappare. Teneva saldamente la cieca, con l'altra mano impugnava le forbici, pronta a sferrare la prima pugnalata se qualcuno si fosse avvicinato. Per il momento, lo spazio libero intorno la favoriva, ma lei sapeva di non poter restare a lungo lì. Un po' di donne avevano trovato finalmente la porta, altre lottavano per liberarsi dalle mani che le ghermivano, qualcuna tentava di strangolare il nemico e aggiungere morto su morto. Il cieco dei conti gridò con autorità ai suoi, Calma, mantenete la calma, risolviamo subito questo problema, e con l'intenzione di rendere più convincente l'ordine sparò un colpo in aria. Il risultato fu l'esatto contrario di quanto si aspettava. Sorpresi nel capire che la pistola era già in altre mani e che, dunque, avrebbero avuto un nuovo capo, i ciechi smisero di lottare con le cieche, rinunciarono al tentativo di dominarle, uno di loro era evidente che aveva rinunciato a tutto perché era stato strangolato. A quel punto la moglie del medico decise di avanzare. Sferrando colpi a destra e a manca, si fece strada. Adesso erano i ciechi che gridavano, che si scontravano, si accalcavano gli uni sugli altri, chi avesse avuto occhi per vedere si sarebbe accorto che, paragonata a questa, la prima baraonda era stato uno scherzo. 90 pensò, Hanno ragione, se qualcuno di noi morirà di fame, la colpa sarà mia, ma poi, dando voce alla collera che si sentiva montare dentro e che contraddiceva questa accettazione della propria responsabilità, Spero siano questi a morire per primi, così che la mia colpa paghi la loro. Poi, alzando gli occhi, pensò, E se ora confessassi di essere stata io ad ammazzarlo, mi consegnerebbero pur sapendo di consegnarmi a una morte certa. O per effetto della fame o perché improvvisamente sedotta da quel pensiero come da un abisso, una specie di stordimento le ottenebrò la mente, il suo corpo si mosse in avanti, la bocca si aprì per parlare, ma in quel momento qualcuno le afferrò e strinse il braccio, lei guardò, era il vecchio dalla benda nera, che disse, Ammazzerei con le mie stesse mani chi si denunciasse da solo, Perché, domandarono gli altri, Perché se la vergogna ha ancora un significato in questo inferno in cui ci hanno messo a vivere e che noi abbiamo reso più infernale dell'inferno, è solo grazie a chi ha avuto il coraggio di andare ad ammazzare la iena nella sua tana, Sì, sì, ma non sarà la vergogna a riempirci il piatto, Chiunque tu sia, hai ragione, c'è sempre stato chi si è riempito la pancia con la mancanza di vergogna, ma noi, cui non resta più niente se non quest'ultima e immeritata dignità, dimostriamoci almeno capaci di lottare per quanto ci appartiene di diritto, Cosa vuoi dire con questo, Che dopo aver mandato le donne e mangiato a spese loro come dei papponcelli di quartiere, è il momento di mandare gli uomini, se ancora ce ne sono fra di noi, Spiegati, ma prima dicci di dove sei, Della prima camerata lato destro, Parla, Ѐ molto semplice, andiamo a prenderci il cibo con le nostre mani, Loro hanno le armi, Che si sappia hanno solo una pistola, e le cartucce non dureranno sempre, Con quelle che hanno qualcuno di noi morirà, Ne sono già morti per meno, Non sono disposto a perdere la vita per farla godere agli altri, Sarai anche disposto a non mangiare se qualcuno finirà per perdere la propria per far mangiare te, domandò sarcastico il vecchio dalla benda nera, e l'altro non rispose. Sulla soglia della porta che dava nelle camerate dell'ala destra comparve una donna che se ne stava lì nascosta ad ascoltare. Era quella colpita in faccia dallo spruzzo di sangue, quella nella cui bocca il morto aveva eiaculato, quella al cui orecchio la moglie del medico aveva detto, Zitta, e adesso quest'ultima sta pensando, Da qui dove mi trovo, seduta in mezzo a questa gente, non posso dirti zitta, non mi denunciare, ma senza dubbio riconosci la mia voce, è impossibile che tu l'abbia dimenticata, la mia mano era sulla tua bocca, il mio corpo contro il tuo, e io ti ho detto zitta, adesso è arrivato il momento di conoscere veramente chi ho salvato, di sapere chi sei, perciò parlerò, perciò dirò a voce alta e chiara perché tu possa accusarmi, se questo è il tuo destino e il mio destino, ecco, lo dico, Non andranno solo gli uomini, andranno anche le donne, torneremo là dove ci hanno umiliate perché di quell'umiliazione non resti nulla, per potercene liberare così come abbiamo sputato quel che ci hanno lanciato in bocca. Così disse, e rimase ad aspettare finché la donna parlò, Dovunque andrai, verrò, fu quel che disse. Il vecchio dalla benda nera sorrise, parve un sorriso felice, e forse lo era, non è il momento di domandarglielo, più interessante è notare l'espressione di stupore degli altri ciechi, come se qualcosa fosse passato sopra le loro teste, un uccello, una nuvola, un primo e timido lume. Il medico strinse la mano alla moglie, poi domandò, C'è ancora qualcuno che sta pensando di scoprire chi ha ammazzato quell'uomo, o siamo d'accordo che la mano che lo ha sgozzato era la mano di noi tutti, più esattamente, la mano di ciascuno di noi. Nessuno rispose. La moglie del medico disse, Diamogli un termine, aspettiamo fino a domani, se i soldati non porteranno da mangiare, allora avanzeremo. Si alzarono, si separarono, chi verso il lato destro, chi verso il lato sinistro, imprudentemente non avevano pensato che qualche cieco della camerata dei malvagi potesse averli ascoltati, per fortuna non sempre il diavolo sta dietro la porta, un detto 91 capitato molto a proposito. Del tutto a sproposito capitò invece l'altoparlante, negli ultimi tempi alcuni giorni parlava, altri no, ma sempre alla stessa ora, come aveva promesso, sicuramente c'era nel trasmettitore un sistema a orologeria che al momento opportuno metteva in funzione il nastro registrato, la ragione per cui a volte aveva fallito non la verremo a sapere, sono faccende del mondo esterno, in tutti i casi alquanto serie visto il risultato, e cioè che si confuse il calendario, il cosiddetto conto dei giorni, che alcuni ciechi, maniaci per natura, o amanti dell'ordine, che è una forma moderata di mania, avevano tentato di tenere scrupolosamente facendo nodini su una cordicella, lo facevano quelli che non si fidavano della memoria, come se andassero via via scrivendo un diario. Adesso era l'orario che veniva fuori tempo, doveva essersi guastato il meccanismo, un relè attorcigliato, una saldatura saltata, speriamo che la registrazione non seguiti a ricominciare da capo all'infinito, ci mancherebbe altro, oltre che ciechi, pazzi. Per i corridoi, per le camerate, come un ultimo e inutile avviso, risuonava la voce autoritaria, Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta epidemia di cecità, provvisoriamente designata come mal bianco, e desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio, nell'ipotesi che di contagio si tratti, nell'ipotesi che non ci si trovi unicamente davanti a una serie di coincidenze per ora inspiegabili. La decisione di riunire in uno stesso luogo le persone colpite, e, in luogo prossimo, ma separato, quelle che con esse hanno avuto qualche tipo di contatto, non è stata presa senza seria ponderazione. Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch'essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l'isolamento in cui adesso si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà con il resto della comunità nazionale. Detto ciò, richiamiamo l'attenzione di tutti alle istruzioni che seguono, primo, le luci si manterranno sempre accese, sarà inutile qualsiasi tentativo di manovrare gli interruttori, non funzionano, secondo, chi abbandonerà l'edificio senza autorizzazione verrà immediatamente passato per le armi, ripeto, immediatamente passato per le armi, terzo, in ogni camerata esiste un telefono che potrà essere usato solo per richiedere all'esterno prodotti per l'igiene e la pulizia, quarto, gli internati laveranno manualmente i propri indumenti, quinto, si raccomanda l'elezione di responsabili di camerata, si tratta di una raccomandazione, non di un ordine, gli internati si organizzeranno come meglio credono, purché rispettino le suddette regole e quelle che verranno enunciate qui di seguito, sesto, tre volte al giorno saranno depositate razioni di cibo alla porta d'ingresso, a destra e a sinistra, destinate, rispettivamente, ai pazienti e ai sospetti di contagio, settimo, tutti i resti dovranno essere bruciati, considerandosi resti, all'uopo, non solo ogni tipo di cibo avanzato, ma anche le casse, i piatti e le posate, che sono di materiale combustibile, ottavo, l'operazione dovrà essere effettuata nei cortili interni dell'edificio o nel recinto, nono, gli internati sono responsabili di tutte le eventuali conseguenze di tali operazioni di incenerimento, decimo, in caso di incendio, sia esso fortuito o intenzionale, i pompieri non interverranno, undicesimo, gli internati non dovranno contare su alcun tipo di intervento dall'esterno nell'ipotesi che fra di essi si verifichino malattie, nonché l'insorgere di disordini o aggressioni, dodicesimo, in caso di morte, qualunque ne sia la causa, gli internati sotterreranno senza formalità il cadavere nel recinto, tredicesimo, la comunicazione fra l'ala dei pazienti e l'ala dei sospetti di contagio avverrà tramite il corpo centrale dell'edificio, lo stesso da cui siete entrati, quattordicesimo, i sospetti di contagio che dovessero diventare ciechi passeranno immediatamente nell'ala di coloro che lo sono già, quindicesimo, questa 92 comunicazione sarà ripetuta tutti i giorni, a questa stessa ora, per conoscenza dei nuovi ammessi. Il Governo, in quel momento le luci si spensero e l'altoparlante tacque. Indifferente, un cieco fece un nodo alla cordicella che aveva fra le mani, poi tentò di contarli, i nodi, i giorni, ma lasciò perdere, c'erano nodi sovrapposti, nodi ciechi per così dire. La moglie del medico disse al marito, Si sono spente le luci, Qualche lampadina si è bruciata, non c'è da stupirsi, dopo essere rimaste accese per tanti giorni, Si sono spente tutte, il problema è fuori, Sarai diventata cieca anche tu, Aspetterò che sorga il sole. Uscì dalla camerata, attraversò l'atrio, guardò fuori. Questa parte della città era al buio, il proiettore dell'esercito era spento, dovevano averlo collegato alla rete generale, e adesso, a quanto pare, non c'era più elettricità. Il giorno seguente, chi più presto, chi più tardi, perché il sole non sorge contemporaneamente per tutti i ciechi, spesso dipende dall'acutezza dell'udito individuale, cominciarono a radunarsi sui gradini esterni dell'edificio uomini e donne provenienti dalle diverse camerate, a eccezione, è ovvio, di quella dei malvagi, che a quest'ora staranno già facendo la colazione. Aspettavano il rumore del portone che veniva aperto, il cigolio acuto dei cardini da oliare, i suoni che annunciavano l'arrivo del cibo, seguiti dalle parole del sergente di servizio, Non uscite, che nessuno si avvicini, il calpestio dei piedi dei soldati, il fruscio attutito delle casse che venivano depositate per terra, la ritirata precipitosa, di nuovo lo stridere del portone, infine l'autorizzazione, Potete venire. Aspettarono finché il mattino si fece mezzogiorno e il mezzogiorno pomeriggio. Nessuno, neanche la moglie del medico voleva domandare niente a proposito del cibo. Fin quando non avessero fatto la domanda non avrebbero sentito il temuto no, e fin quando il no non fosse stato pronunciato avrebbero continuato a sperare di udire parole come queste, Sta arrivando, sta arrivando, abbiate pazienza, sopportate la fame un altro po'. Alcuni, per quanto lo volessero, non ci riuscirono, come se all'improvviso si fossero addormentati svennero, li soccorse la moglie del medico, sembrava impossibile come questa donna riuscisse ad accorgersi di tutto quello che succedeva, doveva esser dotata di un sesto senso, una specie di visione senza occhi, ma solo grazie a questo i poveri sventurati non rimasero lì a cuocere sotto il sole, li trasportarono subito a spalla dentro, e con un po' di tempo, d'acqua e qualche buffetto sul viso finirono per riprendersi tutti dallo svenimento. Ma era inutile contare su questi per la guerra, non ce l'avrebbero fatta neanche con una gatta tenuta per la coda, un antichissimo modo di dire che ha dimenticato di spiegare per quale straordinaria ragione sia più facile portare per la coda una gatta che un gatto. Infine il vecchio dalla benda nera disse, Se il cibo non è arrivato, non arriverà, andiamo a prendercelo. Si alzarono Dio solo sa come e andarono a riunirsi nella camerata più distante dalla fortezza dei malvagi, è già bastata l'imprudenza dell'altro giorno. Da lì mandarono delle sentinelle nell'altra ala, logicamente ciechi che vivevano da quella parte, conoscevano meglio i posti, Al primo movimento sospetto, venite ad avvisare. La moglie del medico andò con loro e riportò un'informazione poco incoraggiante, Hanno barricato l'entrata con quattro letti sovrapposti, Come sai che sono quattro, domandò qualcuno, Non è stato difficile, li ho tastati, Non si sono accorti di te, Non credo, Cosa facciamo, Andiamo, ripeté il vecchio dalla benda nera, come si era deciso, o facciamo così o siamo condannati a una morte lenta, Qualcuno morirà più in fretta se andremo, disse il primo cieco, Chi morirà è già morto e non lo sa, Che dobbiamo morire, lo sappiamo fin da quando nasciamo, Perciò, in un certo senso, è come se già fossimo nati morti, Smettetela di parlare inutilmente, disse la ragazza dagli occhiali scuri, io da sola non posso andarci, ma se ora cominciamo a rimangiarci la parola, allora mi sdraio sul letto e mi lascio morire, Morirà solo chi ha i giorni contati, nessun 95 stavano fuori, disperati per non essere riusciti a rimuovere i letti, abbandonarono le sbarre per terra come capitava e, tutti in una volta, o almeno quelli che riuscirono infilarsi nel vano della porta, e chi non c'entrava faceva forza sulle spalle di chi gli stava davanti, si misero a spingere, a spingere, e sembrava che ce la stessero per fare, i letti si erano già mossi un pochettino, quando all'improvviso, senza alcun avvertimento previo o alcuna minaccia, si udirono tre spari, era il cieco della contabilità che mirava basso. Due fra gli attaccanti crollarono feriti, gli altri indietreggiarono precipitosamente scontrandosi, inciampavano sulle sbarre e cadevano, come pazze le pareti del corridoio moltiplicavano le grida, e si gridava anche nelle altre camerate. Il buio era ormai quasi totale, non era possibile sapere chi fosse stato colpito dalle pallottole, certo, si poteva domandare da lontano Chi siete, ma non sembrava opportuno, i feriti bisogna trattarli con rispetto e considerazione, avvicinarsi caritatevolmente, posargli la mano sulla fronte, a meno che la pallottola, per disgrazia, non li abbia colpiti proprio lì, poi domandargli sottovoce come si sentono, dirgli che non è niente, che stanno arrivando i barellieri, e infine dar loro un goccio d'acqua, ma solo nel caso non siano feriti al ventre, come espressamente raccomandato nel manuale di pronto soccorso. Cosa facciamo adesso, domandò la moglie del medico laggiù ce ne sono due per terra. Nessuno le domandò come facesse, lei, a saperlo che erano due, in definitiva gli spari erano stati tre, senza contare l'effetto dei rimbalzi, ammesso che ve ne siano stati. Dobbiamo andare a prenderli, disse il medico, $è un grosso rischio, osservò, prostrato, il vecchio dalla benda nera, che aveva visto come la sua tattica di assalto si fosse rivelata un disastro, se quelli si accorgono che c'è gente riprendono a sparare, fece una pausa e, sospirando, aggiunse, Ma dobbiamo andare, quanto a me io sono pronto, Vado anch'io, disse la moglie del medico, ci sarà meno pericolo se ci avvicineremo strisciando, ma bisogna assolutamente trovarli al più presto, prima che dentro abbiano il tempo di reagire, Anch'io vado, disse la donna che l'altro giorno aveva dichiarato, Dovunque andrai, verrò, fra tanti che c'erano a nessuno venne in mente di dire che era facilissimo appurare chi fossero i feriti, attenzione, feriti o morti, per il momento ancora non si sa, bastava che tutti dicessero uno dopo l'altro, Io vado, Io non vado, chi restava zitto, era lui. Si misero quindi i quattro volontari a strisciare, le due donne al centro, un uomo per lato, è capitato così, non lo hanno fatto né per cortesia maschile né per un istinto cavalleresco di protezione delle dame, la verità è che tutto dipenderà dall'angolo di tiro, se il cieco della contabilità dovesse sparare di nuovo. Insomma, potrebbe anche non succedere niente, prima di muoversi il vecchio dalla benda nera aveva avuto un'idea, magari migliore delle prime, e cioè che gli altri compagni attaccassero a parlare ad alta voce, anche a gridare, tanto più che ragioni non ne mancano, in modo da coprire l'inevitabile rumore dell'andare e venire, nonché di quanto nel frammezzo dovesse capitare, Dio sa che cosa. In pochi minuti giunsero i soccorritori a destinazione, lo seppero pur non avendo ancora toccato i corpi, il sangue su cui avanzavano trascinandosi era come un messaggero andato a dirgli, Io ero la vita, dietro a me non c'è più nulla, Mio Dio, pensò la moglie del medico, quanto sangue, ed era vero, una pozza di sangue, le mani e i vestiti si appiccicavano per terra come se il pavimento di legno e di marmo fosse coperto di vischio. La moglie del medico si sollevò sui gomiti e continuò ad avanzare, anche gli altri avevano fatto lo stesso. Allungando le braccia raggiunsero finalmente i corpi. Laggiù, indietro, i compagni continuavano a far baccano a più non posso, ora sembravano prefiche in trance. Le mani della moglie del medico e del vecchio dalla benda nera afferrarono le caviglie di uno dei caduti, a loro volta il medico e l'altra donna avevano acchiappato un braccio e 96 una gamba del secondo, adesso si trattava di tirarli, di sottrarsi rapidamente alla linea di fuoco. Non era facile, si sarebbero dovuti sollevare un po', mettersi a quattro zampe, era l'unico modo di riuscire a impiegare efficacemente le poche forze che ancora restavano. Partì la pallottola, ma stavolta non colpì nessuno. La paura fulminante non li fece fuggire, al contrario, diede loro la dose di energia mancante. Un istante dopo erano tutti in salvo, si erano avvicinati il più possibile alla parete su cui c'era la porta della camerata, solo uno sparo molto angolato avrebbe avuto qualche possibilità di colpirli, ma era alquanto discutibile che il cieco della contabilità fosse esperto in balistiche, sia pure in queste elementari. Tentarono di alzare i corpi, ma rinunciarono. Non potevano far altro che trascinarli, e insieme ai corpi trascinare, ormai quasi secco, come nella scia di una spatola, il sangue versato, e l'altro, ancora fresco, che continuava a sgorgare dalle ferite. Chi sono, domandarono quelli che stavano aspettando, Come si fa a saperlo, se non vediamo, disse il vecchio dalla benda nera, Non possiamo restare qui, disse qualcuno, se decidono di fare una sortita avremo ben più di due feriti, disse qualcun altro, O di morti, disse il medico, a questi, almeno, il polso non lo sento più. Trasportarono i corpi lungo il corridoio come un esercito in ritirata, giunti nell'atrio fecero una sosta, e a questo punto si direbbe che avessero deciso di accamparsi, ma la verità dei fatti è un'altra, in realtà erano completamente svuotati di ogni forza, io resto qui, non ce la faccio più. A questo punto, bisogna riconoscere che potrebbe sembrare sorprendente che i ciechi malvagi, prima così prepotenti e aggressivi, così facilmente e con tanto piacere brutali, adesso si limitino a difendersi, alzando barricate e sparando a man salva, quasi avessero paura di combattere in campo aperto, faccia a faccia, occhi negli occhi. Come tutte le cose nella vita, anche questa ha la sua spiegazione, e cioè che nella camerata, dopo la tragica morte del primo capo, si erano allentati lo spirito di disciplina e il senso dell'obbedienza, il grave errore del cieco della contabilità è l'aver pensato che bastasse impossessarsi della pistola per avere in tasca anche il potere, ebbene, il risultato è stato esattamente il contrario, ogni volta che fa fuoco il colpo gli esce dalla culatta, in altre parole, ogni pallottola sparata è una frazione di autorità che perde, stiamo a vedere cosa accadrà quando le munizioni gli finiranno tutte. Così come l'abito non fa il monaco, anche lo scettro non fa il re, è una verità che è meglio non dimenticare. E se è vero che, adesso, lo scettro reale lo impugna il cieco della contabilità, verrebbe voglia di dire che il re, malgrado sia morto e sotterrato proprio lì, in camerata, e pure male, tre palmi appena sottoterra, è tuttora ricordato, se non altro se ne nota la fortissima presenza dall'odore. Intanto era sorta la luna. Dalla porta dell'atrio che dà nel recinto esterno entra un diffuso chiarore che aumenta a poco a poco, i corpi per terra, due sono morti, gli altri ancora vivi, vanno lentamente acquistando volume, contorno, tratti, lineamenti, tutto il peso di un orrore senza nome, e allora la moglie del medico comprese che non aveva più senso, se mai lo aveva avuto, continuare in quella finzione di essere cieca, ormai è chiaro, nessuno potrà salvarsi, la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza. Poteva dunque dire chi erano i morti, questo è il commesso di farmacia, questo è l'uomo che aveva detto che i ciechi avrebbero attaccato in massa, in un certo senso avevano avuto ragione entrambi, e non domandatemi come faccio a sapere chi sono, la risposta è semplice, Io ci vedo. Alcuni già lo sapevano e avevano taciuto, altri ne avevano qualche sospetto da tempo e adesso lo vedevano confermato, inatteso fu lo sbigottimento dei restanti, eppure, a pensarci meglio, non dovremmo trovarlo strano, in un altro momento la rivelazione sarebbe stata causa di eccitazione, di un'irrefrenabile 97 commozione, quanto sei fortunata, come sei riuscita a sfuggire alla sciagura universale, come si chiamano le gocce che ti metti negli occhi, dammi l'indirizzo del tuo medico, aiutami a uscire da questa prigione, ma in questo momento non faceva alcuna differenza, nella morte la cecità è uguale per tutti. Lì, però, non potevano proprio restare, senza alcun tipo di difesa, persino le sbarre dei letti avevano ormai perduto, i pugni non sarebbero serviti a niente. Orientati dalla moglie del medico, trascinarono i cadaveri sul pianerottolo esterno e li lasciarono lì sotto la luna, esposti al candore lattiginoso dell'astro, bianchi fuori, dentro finalmente neri. Torniamo nelle camerate, disse il vecchio dalla benda nera, vedremo in seguito cosa si potrà organizzare. Così disse, e furono parole folli cui nessuno fece caso. Non si divisero subito nei gruppi originari, ma si ritrovarono e riconobbero via facendo, alcuni verso l'ala destra, altri verso l'ala sinistra, fin qui sono venute insieme la moglie del medico e quella che aveva detto, Dovunque andrai, verrò, ma adesso non la pensava più così, anzi, al contrario, ma non volle parlarne, non sempre i giuramenti si rispettano, talvolta per debolezza, talaltra per una forza superiore di cui non avevamo tenuto conto. Passò un'ora, sorse la luna, la fame e il timore tengono lontano il sonno, nelle camerate non dorme nessuno. Ma non sono questi gli unici motivi. O per l'eccitazione della recente battaglia, ancorché disastrosamente perduta, o per qualcosa di indefinibile che si senta nell'aria, i ciechi sono inquieti. Nessuno si azzarda a uscire nei corridoi, ma l'interno di ogni camerata è come un alveare popolato solo di calabroni, insetti che ronzano, com'è noto, poco propensi all'ordine e al metodo, non si ha notizia che si siano mai dati da fare o si siano preoccupati, sia pur un minimo, del futuro, anche se nel caso dei ciechi, poveracci, sarebbe ingiusto accusarli di essere dei profittatori o dei beoni, e profittatori di quali briciole, e beoni di quali bevande, bisogna fare attenzione con i paragoni, che poi non siano un po' sventati. Non c'è regola, però, che non abbia la sua eccezione, e qui non manca, nella persona di una donna che, appena entrata in camerata, la seconda dell'ala destra, si mise a frugare tra i suoi stracci finché trovò un piccolo oggetto che strinse nel palmo della mano, quasi volesse nasconderlo alla vista degli altri, si fa fatica a dimenticare le vecchie abitudini, anche quando arriva un momento in cui credevamo di averle ormai del tutto perdute. Qui, dove avrebbe dovuto essere uno per tutti e tutti per uno, abbiamo potuto vedere quanto crudelmente i forti abbiano tolto il pane di bocca ai deboli, e adesso questa donna, ricordandosi di aver portato un accendino nella borsetta, se in tutta quella baraonda non l'aveva perduto, lo ha cercato ansiosamente e gelosamente lo sta nascondendo, come se condizionasse addirittura la sua sopravvivenza, mica pensa che uno dei compagni di sventura potrebbe avere un'ultima sigaretta e che non se la può fumare perché gli manca la necessaria fiammella. Neanche farebbe più in tempo a chiederla. La donna è uscita senza dire una parola, né addio, né ciao, procede nel corridoio deserto, passa vicinissimo alla porta della prima camerata, dove nessuno si è reso conto del suo passaggio, attraversa l'atrio, la luna calante ha tracciato e dipinto un recipiente di latte sui lastroni del pavimento, ecco la donna nell'altra ala, di nuovo un corridoio, la sua meta è giù in fondo, in linea retta, non si può sbagliare. Inoltre avverte il richiamo di alcune voci, un richiamo per modo di dire, figurato, ciò che le giunge all'orecchio è la baldoria dei malvagi nell'ultima camerata, stanno festeggiando la vincita della battaglia mangiando e bevendo a quattro palmenti, passi l'esagerazione intenzionale, non dimentichiamo come tutto nella vita sia relativo, mangiano e bevono semplicemente quello che c'è, e beati loro, piacerebbe anche agli altri metterci bocca, ma non possono, fra loro e il piatto c'è di mezzo una barricata di otto letti e una pistola carica. La donna è in ginocchio davanti all'ingresso della camerata, vicino ai letti, tira lentamente le coperte verso l'esterno,
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