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libro: guida alla storia del cinema italiano 1903-2003, Appunti di Storia Del Cinema

riassunto completo del libro con riferimenti ai tutti i film inerenti al corso e al libro.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 21/11/2023

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Scarica libro: guida alla storia del cinema italiano 1903-2003 e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! STORIA DEL CINEMA LIBRO: GUIDA ALLA STORIA DEL CINEMA ITALIANO 1903-2003 “CAPITOLO 1” 1. LA PRESA DI ROMA Con l'aiuto del racconto di Gualtiero Fabbri è possibile ricostruire la struttura del primo film italiano: la presa di Roma di Filoteo Alberini. Di questo film, oggi conosciamo una serie di dati riguardo questo film (la lunghezza 250 m; il luogo della proiezione pubblica, all’inizio di via Nomentana a Roma) ma soprattutto riusciamo a riconosce, nell’evento alcuni caratteri fondati di una cinematografia che avrà presto uno sviluppo prepotente. “Il cinema italiano sembra nascere sotto il segno del risorgimento” come ha osservato Guido Cincotti, Ciò che colpisce di più è lo spirito laico e unitario che anima questo film, il suo porsi come atto fondativo di una cinematografia, monumento e memoria di un evento che ha portato, dopo secoli di divisioni e di dominazione straniera, alla nascita della nazione. La ricostruzione Degli eventi e celebrazioni storica della presa di Porta Pia, del 20 settembre 1870, momento fondante della nazione italiana. Il film è costituito da 7 quadri, ognuno costituente, una unità narrativa autonoma, che narrano le storiche giornate del settembre del 1870, dagli ultimi tentativi di comporre la questione pacificamente; alle prime cannonate sulle mura aureliane; all’entrata dei bersaglieri nel territorio cittadino. 1. parlamentarie generale Carchidio a Ponte Milvio 2. dal generale Kanzler - niente resa! 3. Al campo dei bersaglieri – All’armi! 4. L’ultima cannonata 5. La breccia a Porta Pia 6. Bandiera Bianca 7. Apoteosi Primo quadro: la camera da presa per via del cinema muto era fissa, per cui gli elementi devono entrare nel quadro. Già è chiara ed evidente la volontà del regista di creare un film più realista possibile con un chiaro richiamo al recente contemporaneità e i luoghi esistono sul serio infatti richiami storici sono tanti. Secondo quadro: c'è uno studio, i fondali sono finiti e la portata storica è fondamentale in quanto si cerca di renderlo più fedele al vero. I due generali discutono come secondo le convenzioni militari tra gli ufficiali. All'inizio del cinema le inquadrature si chiamavano kquadri, in quanto raccontavano interamente un evento, non subisce tagli una sorta di unità narrativa . L'inquadratura non ho avuto valenza, quadro perché richiama la fissità. La macchina da ripresa era fissa e c'era l'immagine da trombettiere, di movimento dei cavalli e di assalto dei bersaglieri. Terzo quadro: perduto, quello che dava il via all’azione Quarto quadro: c'è un richiamo alle foto, all’iconografia che voleva richiamare il Risorgimento. È legata alla tradizione pittorica che richiamava le imprese dei tempi passati, infatti poi il fascismo ho usato il cinema come propaganda. Alcuni quadri sono andati perduti, sostituiti con delle didascalie, altri solo con dei frame (immagini ferme). Nell’ultimo quadro : si risplende una luce potente sulla figura femminile che personifica l’Italia, col tricolore in mano e Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini). Nel lanciare una sfida alla cinematografia francese, Alberini realizza un prodotto spettacolare, accurato nella ricostruzione, celebrativo e didattico e un evento che rende reale e verosimile la finzione. 1 Si vengono, tuttavia, a creare dei divi del genere: Marcel Fabre è Robinet e Andrè Deed è Cretinetti. Il comico del cinema muto italiano si basa sulla registrazione dei comportamenti di una società medio borghese parodiandone l’imperfezione dei riti. Ci sono quattro film che rappresentano un’eccezione (Le avventure straordinarie di Saturnino Farandola, La paura degli aeromobili nemici, L’amico meccanico, Pinocchio) data dall’innestarsi anche nel genere più popolare di uno spirito futurista che influenza la riflessione fantastico e fantascienza. Mentre per i film americani di Chaplin , il fenomeno della metamorfosi di determinati elementi del comico e di conquista delle dimensioni del dramma e della tragedia è irreversibile, il comico americano ha una libertà totale nei confronti della scena sociale, il centro di Manhattan e la frontiera del West. 8. EVE FATALI In un famoso quadro del 1893-94 Edward Munch rappresenta la donna in tre frasi:  La donna sognatrice  La donna avida di vita  La donna monacale Ciò rappresenta il fantasma trinitario che sarà destinato a dominare l’immaginario cinematografico italiano nel secondo decennio del Novecento. Titoli come “Amore di Apache”, “Amore e astuzia”, “Amore d’oltretomba” tutti del 1912, offrono una fenomenologia abbastanza ampia del tema dell’amore. A ben guardare, nel cinema italiano negli anni a cavallo della guerra , si assiste alla rapida affermazione e sostituzione , grazie soprattutto al supporto dei corpi delle dive, del potere dei sentimenti e delle passioni a quello degli eserciti e della forza militare; un genere discendente dal melodramma, dalla letteratura e dal teatro che celebra il potere assoluto dei sentimenti e la loro priorità. Le passioni fatali, le passioni torbide, le passioni selvagge trovano nello schermo il punto di massima condensazione e manifestazione. 9. CANTAMI O DIVA… Negli anni in cui Cesare Lombroso pubblica il saggio sulla donna delinquente e un altro saggio parascientifico sull’inferiorità mentale della donna, il divismo cinematografico italiano impone l’immagine della donna come quintessenza delle forze della natura e nuova protagonista sulla scena sociale e dei sentimenti. Una donna che non riesce ancora ad emanciparsi attraverso il lavoro, ma che impone il suo corpo come valore e intende decidere del suo destino sentimentale e dell’intera vita, una donna ipersessuata, capace però di rivestire molte maschere e di compiere itinerari salvifici e di beatificazione. Il sistema divistico collabora alla realizzazione di un genere che discende dal melodramma in cui il potere assoluto è quello dei sentimenti. Il divismo femminile si sviluppa a discapito della mancata emancipazione femminile in altri campi; c’è una filiazione diretta dalla recitazione teatrale ottocentesca. Lo sviluppo ed affermazione a livello internazionale si ha negli anni a cavallo della guerra mondiale tra il 1912 e il 1920. Le dive con i loro corpi fanno nascere l’estetica del silenzio, irradiano lo schermo di luce realizzano l’immagine messa in crisi dalla cultura positivistica. I divi maschi sono limitati ai personaggi da essi interpretati come Maciste che risolvono problemi attraverso l’uso della forza. La recitazione si confonde con altre arti, si ha un travaso di forme. Le tipologie di personaggi femminili sono di derivazione letteraria:  La Femme Fatale crudele e spietata dominatrice di uomini  La Femme de nulle part, la bella sconosciuta priva di radici e di una identità sicura  La Donna demoniaca, la serpe che conduce alla perdizione (la lupa)  La Donna perduta che fa tesoro del proprio corpo e lo gestisce come una fabbrica  La Donna Madre garante dei valori della famiglia 4  La dolce discendente di Ofelia e Cenerentola, innamorata che soffre nell’ombra pronta a sacrificare tutto per l’amato.  La donna farfalla o libella, donna vestale, libera di esprimersi attraverso il linguaggio del corpo. Il film si occupa di cogliere le caratteristiche di fotogenia messe in luce da Delluc. Lyda Borelli ha una tipologia recitativa così soave da dare l’impressione di fermare l’immagine rendendolo un quadro, esegue fin dagli esordi movimenti di braccia e corpo che ricordano una farfalla e modulano la gamma dei sentimenti. (Rapsodia Satanica, Malombra.) È l’interpreta più significativa della cultura liberty e simbolista. Il divismo italiano esplode internazionalmente con queste eroine per le quali amor vincit omnia sono le eroine bohemien di Pucci, si mantiene l’equazione tra bellezza femminile e suo stadio pre- evolutivo quasi bestiale. 10. DIVISMO AL MASCHILE: LE MASCHERE E I CORPI Emilio Ghione è uno dei due attori (l’altro è Bartolomeo Pagano) che raggiunge fama divistica, le sue apparizioni hanno una carica simbolica che prevale su quella realistica, il suo nome sarà sempre affiancato ad un personaggio maschera ZA-LA.MORT. Ghione passerà alla regia utilizzando la Berti nel suo film d’esordio, utilizzerà i codici del bandito elegante legato al codice d’onore. 11. L’EREDITÀ VERISTA Dalla metà degli anni trenta con Sperduti nel buio (perduto) di Nino Martoglio si comincia a raccogliere l’eredità della tradizione letteraria e pittorica nazionale indicando la strada da percorrere per il nuovo cinema italiano. Il film, fa parte di una trilogia di opere prodotte dalla Morgana film è diretto da Martoglio. Gli interpreti principali sono: Giovanni Grasso, Virginia Balistrieri e Maria Carmi, mentre in Teresa Raquin recita la grande Giacinta Pezzana, è una corrente naturalista che differisce diametralmente delle tendenze vincenti che promuovono una letteratura simbolica e dannunziana. Il solo film superstite è Assunta Spina che fa da ponte con la traduzione della pittura dei macchiaioli toscani e fissa un punto che si rivelerà fondamentale in quella che sarà la vocazione del cinema italiano. 12. IL FUTURISMO AL CINEMA Il futurismo nonostante le potenzialità del mezzo, non riesce a farlo proprio; tuttavia ne è influenzato assimilando la procedura cinematografica di scomponimento e ricomponimento della realtà, utilizzo dei primi piani, taglio eccentrico dell’immagine, costruzione interna al quadro. I futuristi affermano che fermezza l’autonomia artistica del cinema. Il cinema è il mezzo che può portare avanti il verbo futurista di abolizione di spazio e tempo tradizionali: il film può essere la risposta dell’opera d’arte totale. “Vita Futurista” l’unico film realizzato dai futuristi nel 1916 è andato perduto; il documento più importante pervenutoci è “il manifesto della cinematografia futurista” in cui si pongono le basi per una poetica che sarà la partenza delle avanguardie future, ma rivela la mancanza di competenze tecniche per sfruttare il mezzo. Sono stati effettuati esperimenti di film astratti cercando una “sinfonia cromatica”, ma gli esperimenti muoiono sul nascere stroncati da Boccioni. Si è osservata una concordanza tra “Amore Pedestre” di Febre (1914) e “le Basi” di Marinetti (1915), per questo si parla maggiormente di cinema come ispirazione dei futuristi. “Thais” di Bragaglia è l’unico film che si può tentar di far entrare in un’ottica futurista dato il tentativo di materializzare i sogni della protagonista attraverso l’uso di linee e simboli. Il progetto cinematografico futurista fallisce per mancanza di competenze tecniche e dall’impossibilità di conciliare le ragioni industriali, produttive e distributive con quelle della poetica del gruppo. 13. IL CINEMA DEGLI ANNI ’20 TRA CATASTROFE ANNUNCIATA E FASCISTIZZAZIONE Nel 1919 si costituisce l’UCI, primo trust cinematografico italiano che riunisce i prestigiosi marchi di produzione italiani; il trust si fonda su regioni industriali e manca una progettualità artistica volta al progresso. 5 Si riempiono scaffali di titoli copiati dai successi passati senza curarsi dei segni di crisi; Cause della crisi: Pretese divistiche assurde, arresto dello sviluppo tecnico, perdita dei mercati esteri, mancanza di ricambio generazionale ed influenza letteraria e teatrale troppo interconnessa: il cinema è ancora dominato dalla parola più che dell’immagine. Si cerca salvezza nell’opera delle dive offrendo un cinema al femminile che offre tutta la gamma di sentimenti femminili, l’unica che offre qualche cambiamento è Leda Gys in ambito napoletano. La disfatta è accentuata dalla rivalità di due personalità che si scontrano alla direzione dell’Uci, nel frattempo si comincia ad avvertire l’inizio di una radicalizzazione politica che porta ad una censura più stretta. Nel 1923 la United Artist apre una succursale a Roma, seguita dalle altre majors: il cinema italiano diventa mera distribuzione e consumo di quello americano. Quello che colpisce è la mancanza di evoluzione nella ricerca espressiva, all’indomani della marcia su Roma si attribuisce a Mussolini il compito di risollevare il cinema Italiano: nel 1924 nasce l’istituto -LUCE- così il regime si assicura il controllo totale dell’informazione cinematografica Nella prima fase storica dell’istituto si riconoscono due linee guida: il tentativo didattico educativo e l’intento di porsi a servizio del regime esaltandone le imprese. Tuttavia ci vorranno anni prima che il duce si occupi in modo serio dell’industria cinematografica intuendo le capacità propagandistiche del mezzo. Ci sono autori che hanno tentato di competere con gli standard americani e francesi, Lucio D’ambra commedie brillanti ponendosi il problema del ritmo, mescola atmosfere del teatro grottesco con le movenze del balletto; è uno dei primi a legittimare la figura del regista come soggetto di una riflessione teorica. Genina è l’autore più attento al pubblico e si caratterizza per un ecletticismo nella produzione, sarà il primo ad innestare elementi del melodramma in storie realistiche e ad iniziare il passaggio tra muto e sonoro, divismo europeo ed americano. L’unica filmografia che resista agli anni di crisi è quella legata alla figura di Maciste, alcune delle cui apparizioni sono guidate dall’esordio registico di Camerini. Alla vigilia del sonoro, capitanato da Blasetti decide di recidere i legami con il passato e passare ad una nuova e più matura forma di produzione, il mondo contadino è il punto di appoggio, più efficace. Già da il Sole (1922 Blasetti) si denota uno sforzo di rinnovamento dell’iconografia, con Rotaie (Camerini 1929) si riconosce uno sforzo di mettere a frutto la lezione del Kammerspiel e da questi titoli si comincia a parlare di rinascita. “CAPITOLO 2” 1. RINASCITA, CARATTERI E MITOLOGIE FASCISTE NEL CINEMA Il 5 Novembre 1928 Mussolini inaugura l’istituto internazionale del cinema educatore affermando la superiorità del cinema rispetto alla stampa; si inaugurano i nuovi stabilimenti della Cines e viene varata la legge n°918 del 1931 in cui per la prima volta uno stato europeo impegna capitali a fondo perduto a favore di un’industria dello spettacolo. Negli anni trenta si iniziano a porre i caratteri che saranno identitari del cinema italiano maturo, il fascismo lascia ampio margine artistico al cinema e in questi anni si inizia a ricercare una formazione professionale che renda competitivi all’estero. I film non sono più fatti al risparmio, ma si spende comunque poco grazie alle sovvenzioni statali. Nel 1934 si istituisce la Direzione generale per la cinematografia, tuttavia l’operazione propagandistica non è quasi mai forzata ed i registi si ne servono solo in occasione di nuovi eventi storici che coinvolgono tutto il paese. 6 Totò incarna quello che era il sogno della marionetta perfetta di Gordon Craig, un corpo totalmente snodabile le cui parte sembrano muoversi in totale asincronia e perfetta armonia, la sua comicità torna agli Zanni ed ai servi plautini. I registi che lavorano con questi attori teatrali e monopolizzanti della scena non si pongono particolari problemi espressivi, il lavoro è subordinato all’esaltazione dell’abilità attoriale, esemplare l’apporto di Mattoli che negli anni 40 modificherà la sua poetica portando la Magnani e Fabrizi alla recitazione di “L’ultima Carrozzella” in cui chiederà loro di rinnovarsi e li contornerà con elementi registici innovativi, partecipando egli stesso al movimento di critica ponendo i suoi film precedenti come modello da non imitare. Come negri della sceneggiatura lavorano alcuni dei grandi autori cinematografici e letterari che sbocceranno negli anni 60 (Fellini, Campanile) Per tutti gli anni venti il sistema divistico sarà dominato esclusivamente da attori americani, sarà Vittorio De sica a rilanciare il divismo italiano, mostrando una tipologia di personaggio popolare, lontano dall’eroismo Yankee. Tuttavia per lungo tempo il pubblico italiano dichiarerà di preferire il cinema di importazione a quello nazionale. Anna Magnani e Aldo Fabrizi faranno da ponte verso la figura attoriale professionista che non mostra distinzione tra arte e vita. 6. TAPPE E TEMI DELLA PROPAGANDA CINEMATOGRAFICA Agli inizi degli anni trenta il regime abbandona la politica ruralista a favore di un’immagine di un Italia pacifica e concorde, dominata da un’ideologia piccolo-borghese e dal potenziamento dell’istanza celebrativa e monumentale. Il fascismo sembra chiedere al cinema di costruire monumenti al presente. In quest’ottica è da considerarsi “Scipione L’Africano” di Carmine Gallone, unico film sulla romanità con uno sforzo produttivo e spettacolare di tale livello durante il periodo imperiale fascista. A partire dalla guerra in Etiopia riparte la richiesta di propaganda diretta, Marcellini, esponente di tale corrente, andò a girare in Spagna, dove poi si concentrarono più registi per affrontare la tematica della guerra lì in atto; in Spagna si gira anche l’Ebbrezza del cielo di Ferroni in cui verrà tentato il prima esperimento italiano di colore. Con l’entrata in guerra dell’Italia il potenziamento della produzione propagandistica diventa necessario e si denota la qualità sorprendente di riprese documentarie. Roberto Rossellini si cimenta in tre opere di propaganda che faticherà a far dimenticare nella sua produzione successiva, “La nave Bianca” (1941), “Un pilota ritorna” (1942), “L’uomo della croce” (1943). Si accorda alle immagine con stile quasi documentario. Con “Noi vivi ed Addio Kira” si esalta una tipologia tematica di attacco al sovietico denunciando le purghe staliniane. Durante la fase della guerra molti registi hanno aperto gli occhi anche se prenderanno posizione solo con la caduta del fascismo. 7. UNO SCHEMA CARICO DI SOGNI Durante gli anni della guerra un gruppo di antifascisti si riunisce nella “rivista Cinema” delineando le linee di tendenza di una nuova poetica cinematografica; il cinema istituzionale di cinecittà si cimenta nel tema della fuga. La guerra non condivisa dai più, impone di sottrarsi alla realtà con un cinema di finzione che mostra l’opulenza, lo spreco e la ricchezza a cui l’Italia aspirava e di cui era privata. Cinecittà si impegna a restituire una veridicità assoluta alimentando l’immaginazione collettiva creando un effetto placebo. Dal 1938 al 1943 nella produzione di cinecittà vengono bandite le “Camice nere”, si parla di cinema dei “Telefoni bianchi” o “cinema Dèco” che risponde all’esigenza degli italiani di un lavoro stabile con una paga adeguata ed una casa arredata e moderna. “Mille lire al mese” (Neufel, 1939) “Ore 9, Lezione di chimica” (Mattoli, 1943). Si ignora ogni prescrizione linguistica a favore dell’uso dialettale e l’innesto di parole straniere di moda. 9 È il periodo in cui si mostra una ideologia dello spreco che risponde alle speranze dell’italiano medio; “Lo vedi come sei…lo vedi come sei?” (Mattoli, 1939). 8. LA BELLA FORMA Agli inizi degli anni quaranta emerge un gruppo di opere definite “Calligrafiche”. Una serie di registi emergenti se cimenta in esercizi di stile che esibiscono la loro cultura letteraria, figurativa e cinematografica; senza pretese ideologiche o pedagogiche intendono affermare l’autonomia espressiva del cinema: quella artistica è l’unica funzione ed assoggetta tutte le altre. Si prende spunto dalla letteratura naturalista francese e russa e dal melodramma ottocentesco, si mostra una fusione dei linguaggi espressivi ed artistici. Si inseriscono in questo panorama gli esordi di Mario Soldati con: “Dora Nelson, 1939”; “Piccolo mondo Antico, 1941”; “Malombra e Tragica notte, 1942”; “Quartieri alti, 1943”, il suo cinema ha la peculiarità di proporre personaggi femminili dotati di uno spessore psicologico inedito; Chiarini “La bella addormentata”; “La locandiera”; Lattuada. 9. ACCOSTAMENTI PROGRESSIVI ALLA REALTÀ Già nel 1933 su “L’Italiano” appare un articolo in cui si sottolinea la necessità di portare la macchina da presa nelle strade ed osservare i comportamenti degli italiani. Già negli anni trenta il paesaggio inizia a diventare sfondo naturale e si affermano le prime linee guida del neorealismo. Negli anni trenta ci sono tre opzioni cinematografiche forti: 1. Giovanni Guidati da Barbaro che si sono formati al centro sperimentale che collaborano con la rivista “Cinema” e assimilando la lezione di Pudovkin attendono l’individuo messianico che faccia rinascere il cinema. 2. La strada di Blasetti, che celebra l’anima popolare del fascismo 3. L’esplorazione degli spazi urbani da parte di Camerini che studia la geografia dei piccoli desideri collettivi. Già nel 1933 Ruttmann tenta di fondere l’avanguardia tedesca con le esigenze del regime di celebrare l’industrializzazione con Acciaio su soggetto di Pirandello. Sono da considerarsi film anticipatori del neorealismo:  Quattro passi tra le nuvole (Blasetti)  Avanti c’è posto e campo de’Fiori (Bonnard)  I Bambini ci guardano (De Sica)  La peccatrice (Palermi)  L’ultima carrozzella (Mattoli)  Ossessione (Visconti) Il gruppo che circonda Visconti ha effettuato con Renoir per anni, ma decidono anche di assumere l’eredità verista di Verga. Ossessione è ispirato liberamente da “Il postino bussa sempre due volte” ed è un esemplare rinnovamento iconografico capace di collegare tradizione pittorica e culturale nazionale diventa subito baluardo della nuova poetica cinematografica nascente. 10. IL CINEMA DI SALÒ Il centro produttivo viene spostato a Venezia tentando di creare una nuova cinecittà che era stata smantellata dalla guerra e dai tedeschi. Tuttavia ci sono pochissime sovvenzioni e non si crede più nel potere propagandistico del cinema. La prima preoccupazione è quella della ripresa dei Cinegiornali Luce, si tenta di reclutare operatori ed artisti anche non di fede fascista offrendo laute paghe e la promessa di non fare opere propagandistiche; la fede nel fascismo stava calando e non si voleva stare al servizio del regime. L’obiettivo primario dei cinegiornali era lasciare la guerra sullo sfondo ed esaltare cronache sportive o mondane ed a screditare i partigiani; le notizie dal fronte sono evitate e si concentra sul fronte interno, le apparizioni del Duce sono sempre più limitate. Vengono anche prodotti una ventina di film con registi di secondo piano che affrontano temi sentimentali, drammatici o commedie. La gestione di Venturini viene duramente attaccata e fin dal dopo guerra gli studi di Venezia sono smantellati. 10 “CAPITOLO 3” 1. RICOSTRUIRE IL CINEMA ITALIANO DAL DOPOGUERRA All’indomani del fascismo, l’Italia è un paese da ricostruire. Roma città aperta come il film delle difficoltà superate, tutto è improvvisato con mezzi fortuiti. Nacque dunque l’Anica nel 1944, l’associazione nazionale industria cinematografica ed affini, l’impresa tenta di arginare la colonizzazione ad opera del cinema americano e alla regolamentazione dell’intero sistema commerciale. Il nuovo cinema è simbolo della volontà di riscatto, non vuole nascondere nulla vuole testimoniare e dare visibilità a un paese povero. Essendo cinecittà adibita a campo di profughi dagli americani, i registi scendono in strada con la macchina da presa. Si tenta di annullare la personalità autoriale e registica rendendosi sempre più invisibili; dal 1945 i maestri del neorealismo vengono acclamati come garanti della qualità del made in Italy, facendo da apripista ai successivi trionfi a tutto campo che avrà questa tipologia di brand. Nel frattempo gli americani tentano di stroncare ogni rinascita attraverso una politica diffamante che mira a inserire la produzione italiana esclusivamente in un progetto fascista è stata maggiore. Dal 1949 ci sarà una ripresa della produzione data da una nuova regolamentazione che destina fondi all’industria cinematografica incentivandola in vari modi e controllando l’importazione. È da sottolineare la mancanza di epurazione per i registi che hanno aderito al fascismo e Salò in linea con le politiche di tolleranza da sempre tenute. Gli americani cominciano ad offrire cinema di qualità sempre più scadente tuttavia la chiesa inasprisce la censura sul cinema italiani mostrandosi più indulgente su quello oltre-oceanico e rendendo inaccessibili le sale parrocchiali alle pellicole nostrane. Dopo i successi dei primi tentativi neorealisti si vedono dal 1947 i primi segni della riscossa interna. Si sottende alla mancanza dei fondi attraverso una attenta politica di co-produzioni a livello europeo e controllando gli accessi del cinema d’importazione. Nel 1949 si intravede il rientro nel mercato competitivo dei produttori italiani aiutati da interventi governativi che mirano però a cambiare la tendenza neorealista verso un cinema che non presenti tematiche scomode e opti per un raffreddamento ideologico. Nonostante qualche successo neorealista, il film del dopo guerra vedono affermare gli incassi su film musicali, drammatici, avventurosi e comici. Il genere comico ottiene sempre più successo grazie alla performance di Totò e Macario, guidati da Mattoli, Risi e Comencini. La comicità popolare di immediata comprensione presenta aspetti importanti del vissuto collettivo, le peripezie dei personaggi della commedia sono condivisibili dall’italiano comune. È da riconoscere il progressivo affermarsi della televisione e l’ovvia concorrenza che ne nasce. Nonostante le ovvie difficoltà si denota un rinnovamento anche nella classe dei produttori: Rizzoli, Lombardo, De Laurentiis e Carlo Ponti. 2. IL NEOREALISMO, STELLA COMETA DEL CINEMA DEL DOPOGUERRA Con la più famosa triade neorealista “Roma città aperta”, “Sciuscià” e “Paisà” il cinema italiano viene promosso ad arte guida. ROMA CITTÀ APERTA (Rossellini, 1945) viene accolto dalla critica con giudizi contrastanti dal punto di vista ideologico, Tecnico-stilistico, estetico e tematico…Il pubblico lo accoglie trionfalmente in casa e all’estero, i Critici stranieri consacrano Rossellini e vedono nel neorealismo una possibilità di riscatto per le colpe passate del popolo italiano, in particolare Andrè Bazin scrive 11 Da ammirare le abilità con cui De Sica ottiene performance eccezionali da attori che recluta dalla strada, che risultano irripetibili in quanto nessuno degli attori da lui utilizzati ha più continuato con la carriera recitativa. Con “Miracolo a Milano, 1951” l’obbiettivo si sposta nella favola lasciando più spazio all’invenzione zavattiniana, si rivendica in quest’opera il potere dell’immaginazione e dell’utopia. La storia ricca di simbolici riferimenti alla pittura di Chagall e al cinema di Rene Clair mostra l’impossibilità dei poveri di vedere realizzati i sogni di un’equa distribuzione delle ricchezze. In “Umberto D. 1952” si ritorna alla rappresentazione del reale mostrando il dramma quotidiano di un pensionato costretto a vivere con 18000 lire al mese, la situazione è caricata di una tale forza emotiva da provocare reazioni negative nella critica e nel pubblico che preferiscono dimenticare questo aspetto del reale. Fino agli anni sessanta la coppia sarà caratterizzata da alti e bassi fino alla consacrazione con “La Ciociara (1960)” e “Il giudizio universale, 1961” che renderanno note la voglia della coppia di muoversi nella favola morale ed esplorare il piacere della denuncia, dell’indignazione dell’Humor nero. 5. LE REGIE DI VISCONTI, TRA IDEOLOGIA E STORIA Visconti è l’ultimo ad entrare in giorno, ma l’autore più rispettato per ragioni stilistiche e culturali, ha lavorato a lungo per il teatro e ha collaborato con Renoir in Francia. Nel 1948 gira “La terra trema” che inizia una trilogia ispirata al sud che comprenderà “Rocco e i suoi fratelli” ed il “Gattopardo”. Visconti costruisce l’immagine in maniera quasi barocco, ha un esuberanza compositiva che porta a pensare che il regista avesse un Horror vacui. Il montaggio è in funzione del ritmo ed ogni immagine è riempita di segni sonori. Visconti non lascia nulla al caso, niente nei suoi quadri è spontaneo su questo è agli antipodi di Rossellini; il regista si scosta anche dal fatalismo verghiana, che ancora caratterizza Rossellini, muovendo i personaggi attraverso la consapevolezza della loro condizione alla ribellione trovando la forza di cambiare le cose. Nel 1951 realizza “Bellissima” di cui sono neorealisti: tema e ambientazione, ma l’autore non riesce a rinunciare a far sentire la sua presenza registica, la struttura narrativa resta tipicamente Viscontiana quindi agli antipodi delle prescrizioni neorealiste. Nel film -il songo di Maddalena Cecconi- “Maddalena” (Anna Magnani), cerca di realizzare attraverso la figlia i desideri frustrati della sua giovinezza, rinunciando poi all’offerta non appena la fortuna le arrida. Con “Senso, 1954” svolta totalmente rispetto al neorealismo e tenta di riallacciare i rapporti con la letteratura ottocentesca ed il melodramma; in questa’ opera tenta di collegare la lettura del Risorgimento con un’interpretazione gramsciana, sviluppando una tipologia umana e filmica che riprenderà con il capolavoro del “Gattopardo”. Liberatosi da ogni influenza neorealista con “Senso”, esplorando la contaminazione dei codici e le possibilità del colore si dedica alla trasportazione della letteratura ottocentesca, naturalismo russo e francese e decadentismo con “Le notti Bianche, 1957” 6. IL RACCONTO CORALE DI GIUSEPPE DE SANTIS Già dal film d’esordio “Caccia tragica, 1947” mette in risalto il gusto verso le visioni d’insieme, il racconto corale ed una narrazione epicizzante. Il secondo è “Riso Amaro, 1949” con cui raggiunge il maggior successo nazionale ed internazionale e appare come una perfetta ibridazione di modelli cinematografici, cultura alta e popolare, si mescolano nella ricerca di un pubblico di massa. Caratterizzante è l’attenzione al linguaggio del corpo e al suo rapporto con il paesaggio che porta a promuovere l’esordiente Silvana Mangano la prima diva italiana del dopoguerra. Prendendo posizione diversa dalle linee generali, pur muovendosi all’interno del neorealismo, sceglie di far sentire la macchina da presa con i suoi movimenti e creare un montaggio che tenda a rendere più verosimile una storia. Nei film successivi il suo sguardo punterà sempre a stabilire una perfetta corrispondenza tra ambiente e corpo femminile. 14 Quando negli anni cinquanta abbandonerà l’ambientazione rurale a favore di nuove storie che riportano la nuova realtà di urbanizzazione, perderà l’appoggio di pubblico e critica seguiti da un duro ostracismo che lo condannerà a uscire di scena. 7. COMPAGNI DI STRADA DEL NEOREALISMO Il neorealismo per qualche tempo è la carrozza di tutti; Guerra e Resistenza diventano tematica preferita. Non vi sono grandi epurazioni tra i registi ed il passaggio da fascismo ad antifascismo avviene senza grandi rotture, il non aver aderito a “Salò” funge già da assoluzione di massa. Blasetti affronta il tema bellico con “Un giorno nella vita, 1946” adeguando il suo stile ai nuovi modelli; L’incontro con Zavattini ed i Kolossal, “Fabiola, 1949” e “prima comunione, 1950” gli offrono la possibilità di inserirsi nell’ambito neorealista. Si cimenterà poi nel cinema a episodi ottenendo successi. Anche Camerini propone qualche nuova regia ma la sua produzione è più rivolta al passato piuttosto che tentare di esplorare nuove strade. Lattuada sente il bisogno di guardare con ottimismo all’Italia distrutta, ispirandosi al cinema francese di Renoir e Claire. Propone due tipologie di sguardo, una volta alla adorazione della giovinezza e bellezza e un’altra che presenta figure di umiliati e offesi che lo porterà a realizzare “Il cappotto, 1952”, il furto del cappotto dopo quattro anni da quello della bicicletta, diventa metafora di un incubo sociale. Nell’ottica più femminile sono da iscriversi “La lupa, 1953” nella quale la storia di amore e passione femminili deve fare i conti con i pregiudizi sociali e “Guendalina, 1957” in cui a fronte della modernizzazione, “Lattuada” offre una panoramica sulla scoperta dell’amore e della sessualità negli adolescenti. Luigi Zampa situato nell’area della commedia, subordina la ricerca stilistica e formale alla trasmissione di un contenuto e una protesta che spesso nasce dall’indignazione civile soprattutto con “Anni Difficili, 1949” e “L’arte di arrangiarsi, 1953”. 8. BELLISSIME; DIVISMO NEGLI ANNI ‘50 La ricerca più rappresentativa del dopoguerra, ipotizzata da Zavattini e praticata da De Sica e Rossellini è quella che chiunque possa diventare soggetto di storie ed entrare nel firmamento divistico. Lo schermo è uno specchio della condizione collettiva; tuttavia il tentativo di negare il professionismo attoriale a favore dell’immediatezza e dell’identificazione perfetta e naturale, non funziona; si rimette dunque in moto il sistema divistico cercando di assimilare la lezione neorealistica. Con l’apparizione di Silvana Mangano in “Riso Amaro” nasce il divismo della maggiorate che le condurrà fino a Hollywood, Sophia Loren e Gina Lollobrigida, puntando sempre di più sull’esibizione degli attributi fisici, grandi fianchi, seno prosperoso. A queste attrici vanno aggiunte Giulietta Mesina e Franca Valeri che si affermeranno per ragioni diversi dagli attributi fisici. Sul fronte maschile accanto a Totò che continua ad imparare nella cultura, c’è qualche importazione americana che offre un fisico modellato ed una capacità mimetica molto limitata. Sarà negli anni cinquanta che emerge il divismo maschile con l’affermazione di Mastroianni, Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi. 9. LA RINASCITA DEI GENERI NEL CINEMA Nella divisione tipica dei generi: le potenzialità proprie del cinema italiano della bottega rinascimentale, il successo di un’opera è dato dal lavoro integrato di tutti coloro che apportano qualcosa al film, dagli operatori agli scenografi, le scomparse dei generi nel periodo del dopoguerra, ha portato ad un forte impoverimento tecnico. Con un film con la “Magnai Davanti a lui tremava tutta Roma” (Gallone, 1946) si rilancia il melodramma e tutto il filone che si collega alla tradizione operistica. Fino agli inizi degli anni cinquanta la critica respinge il “Filmelodramma” inizierà a prenderlo in considerazione quando la qualità delle regie e della recitazione inizierà a diventare rilevante. Da sottolineare il “Carosello Napoletano” (Giannini, 1953) che attingendo al repertorio della canzone popolare campana realizza un’opera originale e significativa. 15 Bisognava soffermarsi sul ruolo di Raffaello Matarazzo per quanto riguarda l’evoluzione del melodramma in chiave moderna, integrando al melodramma aulico elementi popolari. 10. OLTRE LA SUPERFICIE DEL VISIBILE: FELLINI E AUTONIONI Il neorealismo rallenta l’influenza delle arte figurative e letterarie della precedente cultura tradizionale aulica, lo scambio con i modelli iconografici classici ed il pensiero esistenziale tornano a materializzarsi in Fellini e Antonioni che ritengono che la percezione visiva non esaurisce i significati molteplici del visibile. Ogni realtà ne nasconde altre, secondo quel sistema di corrispondenze così caro a Baudelarie. L’essenziale è l’invisibile che soggiave al visibile. La realtà offerta fino ad ora non è sufficiente a descrivere il mondo interiore dei protagonisti; Fellini crea figure ectoplasmatiche che fluttuano in una dimensione sospesa tra realtà e sogno; Si accosta agli schermi di autodidatta con una biblioteca di riferimento che comprende psicanalisi ed esistenzialismo; lavora per anni come negro anche nelle sceneggiature di Rossellini e Lattuada; sarà quest’ultimo a promuoverlo co-Regista in “Le Luci del varietà, 1950”; la prima opera di cui ha la paternità totale è “Lo sceicco bianco, 1952” creata ispirandosi alle forme basse dello spettacolo popolare da piazza. Ogni tema, ogni storie attinge dal vissuto dell’artista e si assume il ruolo di spola tra memoria autobiografica e collettiva. Con i “Vitelloni” e “La strada, 1954” l’autore si riavvicina a Rimini, le immagine accompagnata dalla musica di Nino Rota sgorgano con personaggi che sembrano frutto dell’inconscio. Con “Le notti di Cabiria, 1957” Fellini raggiunge l’apice di questa tipologia di racconto prefissando tutti i modelli che saranno poi utilizzati, più maturamente nella “Dolce Vita, 1960”, in quest’opera l’immagine è portatrice di tute le energie vitali, è un opera ponte che chiude una fase del cinema italiano inaugurando una nuova era. Antonioni, gli antipodi dell’Horror Vacui Viscontiniano, tenta di creare un vuoto tra i personaggi e l’ambiente che li circonda come a presentare la corrispondenza tra il vuoto dello spazio con quello anteriore in particolare la mancanza di legami con le persone e l’ambiente. Antonioni è la prova dello sgretolamento del verbo neorealista. Con “Cronaca di un amore, 1950” ci troviamo in uno spazio urbano simbolico, sfuggente e spettrale con ombre inquietanti. Girerà in Francia e Inghilterra. “La signora senza camelie, 1953” si muove nello spazio dell’illusorietà del sogno cinematografico. Pur avendo esposto fin dagli anni cinquanta la sua poetica, “Il grido, 1957” sarà l’opera di rottura che condurrà alla sua maturazione completa negli anni sessanta. 11. LA GENERAZIONE DEGLI ANNI CINQUANTA Il neorealismo si costituisce di due parti: Una nascita e affermazione e livello nazionale ed internazionale, una di allargamento ed esplosione che modificano i canoni di tutto il cinema internazionale. Esordisce sullo stile neorealista Carlo Lizzani che nel 1951 realizza “Achtung Banditi!” un tentativo controcorrente di non affossare la memoria della resistenza a monumentalizzazione retorica. Si cimentano nella regia alcuni dei famosi critici di “Cinema”. Puccini, che esordisce con un film in costume ed una serie di commedie, partecipano alla progressiva trasformazione del genere. Pietrangeli esordisce per ultimo, fin da “Il sole negli occhi, 1953” si denota l’attenzione della sensibilità del mondo femminile. Sul finire della decade si registrano gli esordi di Gillo Pontecorvo con “La grande strada azzurra, 1959” e Francesco Rosi con “La sfida, 1958” tratto da un fatto di cronaca napoletana recente.. È uno dei pochi registi che abbia lavorato sulla temporalità e pluridimensionalità del film, facendo spazio e tempo a strutture portanti della sua ricerca. Nel firmamento dei generi è sempre la stella di Totò a risplendere, egli incarna quello che era il sogno della marionetta perfetta di Gordon Craig, un corpo totalmente snodabile le cui parte 16 La commedia rimane la bottega creativa che meglio caratterizza il cinema italiano. Con “la grande guerra” (Monicelli) la commedia entra in quei terreni riservati alla produzione alta, partecipa alle tensioni dello sviluppo espressivo e linguistico. Ci si pone con attenzione attorno alla lezione zavattiniana di pedinamento dell’uomo comune. Il nuovo protagonista della commedia non è più l’umiliato e offeso, ma è l’uomo pronto a vendersi l’anima per migliorare il suo status sociale ed economico, la scalata sociale è un obiettivo da raggiungere con ogni mezzo. I nuovi personaggi sono individualisti, hanno capacità e competenze linguistiche più ampie e portano con s’è l’indifferenza progressiva per la condizione altrui. La commedia diventa dunque la maniera più sofisticata di raccontare l’ingresso in una situazione di benessere che non era nemmeno immaginabile solo qualche anno prima; favorisce la nascita di un italiano figlio della televisione. Il cinema si sposta all’industrializzazione del nord e finisce l’egemonia del romanesco a favore di una commistione di dialetti differente la cui origine stilistica è da definirsi in “I soliti Ignori” di Monicelli. Il rimane importantissimo ma viene messo sotto una luce primitiva in cui si sottolineano gli aspetti arcaici, violenti, arretrati e sottosviluppati. Si separa la storia siciliana da quella italiana e si denota la presenza del grottesco “divorzio all’italiana, 1961”, “Sedotta e abbandonata” (Germi, 1963). La commedia rivendica il diritto di essere considerata prodotto d’autore e si produce senza censure né ristrettezze produttive. Si tende a rendere omaggio più al lavoro di bottega artigianale che alle singole personalità. La produzione ricerca una nuova moralità laica; dagli italiani brava gente dei neorealismo si trasforma nei mostri individualisti, arrampicatori sociali, eterodiretti dalla trionfante società dei consumi: I Mostri (Risi, 1963)… Si prende distanza moralistica e si sottolineano gli aspetti negatici prodotti dal boom; la dichiarazione della forbice economica, l’irriconoscibilità del paesaggio, l’aumento del malessere comunicativo, sviluppo di una competitività cannibalesca. “Il sorpasso” (Risi, 1962); “Il boom” (De Sica) sono film che rispecchiano quest’ottica e hanno il Leitmotiv ossessivo dei soldi. La ricchezza ottenuta senza il rispetto delle leggi è una della cause del rapido mutamento dei costumi e dei modelli di riferimento morali e sociali: si vuole diventare ricchi ad ogni costo. Consumare diventa importante ed è fondamentale per il piccolo borghese mimetizzare le proprie umili origini. Il benessere economico raggiunto al prezzo del deserto affettivo; si denotano mutamenti del costume sessuale attraverso un senso del pudore sempre più aperto. La commedia degli anni Settanta perde lentamente il suo splendore, parendo quasi contaminate dal senso dell’orrore degradante dell’industrializzazione, in questo periodo la commedia quasi mai supera i confini nazionali. 5. IL RAPPORTO PADRI E FIGLI NEL CINEMA ITALIANO DEGLI ANNI SESSANTA Da distaccare in questo periodo l’opera fondamentale di Mario Monicelli che ha dichiarato ambizioni drammaturgiche spettacolari ed inedite e ha fondato una propria casa di produzione. La realizzazione di “La Grande Guerra” lo ha portato a contatto con la storia collettiva e cercherà di seguire su questa strada con “I Compagni, 1963”. Con “L’armata Brancaleone” utilizzerà i modelli dei poemi eroicomici per raccontare la parabola degli italiani verso i paradisi di un miracolo economico alla portata di tutti, seguiranno altri due episodi della saga meno riusciti. Tra i registi della commedia di quella specie che sono i “perdenti nati”. Ritorna a tematiche di attualità con “La ragazza con la pistola, 1968” raccontando il difficile cammino d’una ragazza siciliana nel compiere il salto dei costumi e dai condizionamenti medievali della sua terra. Monicelli prendendo atto della crisi ha continuato a rinnovare e nobilitare la commedia con “Un borghese piccolo, piccolo..1976” segna la presa d’atto della fine di un’epoca, e della irrapresentabilità degli italiani per perdita irreversibile di tutti i caratteri positivi. 19 Luigi Comencini, con “Tutti a casa, 1960” si affianca a Monicelli raccontando all’indomani dell’8 settembre 1943, insieme al viaggio risalita morale. Il regista si dimostra insofferente ai confini territoriali girando in svariate parti d’IItalia. Dino Risi gira una specie di quadrilogia non dichiarata “Una vita difficile”; “Il sorpasso”, “La marcia su Roma”; “I mostri”. In cui sottolinea dalla liberazione agli anni del boom la caduta progressiva della moralità dell’italiano medio e delle sue speranze. Il regista è in grado di adottare i suoi racconti alle nuove cadenze del rock and roll di Cilentano e Mina; anticipando nuove forme di racconto per immagini in cui la musica è decisiva. Gassman sarà l’attore che meglio interpreta i personaggi di Risi. Negli anni Settanta si registra un importante svolta nella sua filmografia; con “in nome del popolo italiano” e “Mordi e fuggi” (1972-73) dichiara chiaramente le sue intenzioni ideologiche. Con la metà degli anni Settanta si comincia a notare una marca stilistica più nostalgica girando “I nuovi Mostri” con Monicelli e Scola con esiti disastrosi. Ettore Scola ha lavorato a lungo come negro per varie produzioni e scrive con Maccari, il soggetto e la sceneggiatura de “Il sorpasso”. Esordisce registicamente nel 1964 con “Se permette parliamo di Donne” il secondo film riprende invece i motivi del “Sorpasso” denunciando con più forza il trasferimento di capitali all’estero “La congiura, 1964”. Al successo di Scola si deve aggiungere l’apporto fondamentale dato da operatori, montatori e compositori eccezionali. Nei primi anni Settanta gira “Torino-Trevico” parlando della difficile integrazione di un giovane meridionale alla Fiat. Si destreggia nell’esportazione la lezione dello straniamento Brechtiano sperimentando anche le unità di tempo e luogo: “la famiglia”; “Ballando Ballando”; “La cena”. Da sottolineare in questo periodo Nanni Loy con una notevole capacità di direzione degli attori; Luigi Magni, Pasquale Festa Campanile, Luciano Salce. 6. DALLE STELLE ALLE LUCCIOLE- IL DIVISMO MASCHILE DEGLI ANNI SESSANTA Dopo un decennio di dominio del divismo delle maggiorati si assiste ad un passaggio di poteri al sesso maschile. Le dive del cinema passano alla televisione e diventano le presentatrici dei programmi. Si distinguono nel firmamento divistico Marcello Mastroianni che viene salutato come Latin Lover, rincarnazione di Rodolfo Valentino, duttile e malleabile sa entrare con naturalezza e leggerezza in tutti i suoi personaggi capace di attivare uno specchio di emozioni e sentimenti servendosi di mezzi minimi. Accanto a lui si sono affermati i quattro maestri della commedia che hanno assunto ruoli importanti incarnando, non più la bellezza e la virilità ma l’ambiguità sessuale, la crisi d’identità: Vittorio Gassman “La grande guerra” ruolo di Busacca, “Soliti Ignoti” ruolo Peppe. Il primato va a Sordi, per la diversità e rappresentatività dei ruoli proposti “Storia di un italiano”, “La grande guerra”…Sordi ricorda Totò sotto l’aspetto di incarnare quei ruoli un po' disonesti ma in fondo simpatici, molti vizi e poche virtù. Tognazzi viene arruolato dopo il grande successo della trasmissione “1,2,3,” con Vianello, in televisione verrà consacrato con le interpretazioni in “la marcia su Roma” e “I mostri”. L’ultimo approdato è Nino Manfredi che ha una tipologia di recitazione straniata molte Brechtiana mettendo in luce la maschera di “Perdente nato”, capace di rappresentare la debolezza e la fragilità umana. Monica Vitti dopo essere stata per lungo tempo la musa di Antonioni rivela alti successi nel territorio della commedia con “La ragazza con la pistola”. L’oscar per “La ciociara” lancia definitivamente Sophia Loren nell’universo divistico internazionale, grazie all’opera “Matrimonio all’italiana” e la sua interpretazione di Filomena Marturano vivrà una lunga stagione senza la rivalità con le più giovani. 20 Mentre Gina Lollobrigida non sembra più corrispondere ai canoni, Silvana Mangano fa di tutto per uscire dalle scene e dedicarsi alla famiglia ma mantiene il suo fascino misterioso quando si rappresenta nei film di Pasolini e Visconti. Fanno la loro apparizione Claudia Cardinale, Virna Lidi, Monica Vitti, Stefania Sandrelli, attrici che sapranno unire bellezza e talento. Da sottolineare l’affermazione di Gian Maria Volontè che lavora molto nella costruzione delle sue maschere, negli anni settanta è da sottolinearsi un caso divistico particolare Bud Spencer e Terence Hill mescolando lo spirito della Slap-Stick comedy con il film d’azione. Già negli anni settanta il divismo non è più assoluto ed accentuato come era in precedenza. L’importanza attoriale si è spostata in produzioni televisive e sono pochi gli autori delle nuove generazioni registiche in grado di valorizzare le doti attoriali. 7. HORROR, WESTERN, FILM POLITICO, EROS: LA STAGIONE DEI GENERI CINEMATOGRAFICI Al cinema italiano è sempre mancata la cultura del fantastico; il primo potrebbe riconoscersi con “Il caso Haller” di Blasetti, poi negli anni ’70 con “La maschera del demonio” (Bava), “Il mulino delle donne di pietra” (Polselli) inizia una nuova strada verso il cinema popolare. Il genere per lo più passa inosservato per la sua mancanza di tradizione e l’identità sebbene sia il genere che maggiormente concede di inventare regole e trasgredire le esistenti. Dalla fine degli anni sessanta si riconosce una contaminazione ideologica in tutti i generi compreso l’Horror e il western, se non necessariamente politicizzata, legata alla rappresentazione della contestazione giovanile nei confronti del potere. L’Horror è un genere in cui si valorizzano tutti i mestieri del cinema, ha un ruolo importante; La musica, il montaggio e la fotografia, ricordiamo in questo contesto le ricerche di Vittorio Storaro sulla possibilità del Bianco e nero e del colore. Il primo film gotico Italiano è “I vampiri” (Freda, 1957) la dimensione spaventosa non deve essere cercato nelle storie in costume ma individuare l’orrore nel quotidiano, Freda vuole trasgredire tutte le regole e spingere le rappresentazioni della mostruosità, violenza e dell’odio fino a confini insostenibili. Mario Bava è invece più interessato al fantastico e porre ironia e macabro all’interno delle sue opere. Bava gira nel 1962 “la Ragazza che sapeva troppo”, presentando una Roma spettrale, con l’uso di movimenti di macchina complessi e piani sequenza capaci di trascinare lo spettatore nella storia e di facilitare l’accesso alla dimensione del fantastico, aprendo la strada per il successo cinema di Argento. Tuttavia i primi film Horror peccano di sceneggiature approssimativa, trucchi realizzati con mezzi poveri. Il terzo padre dell’horror italiano è Antonio Margheriti con “Danza Macabra” spinge lo spettatore a identificarsi nel protagonista. Nel 1970 esordirà Dario Argento con “L’uccello dalle piume di Cristallo”, la donna è la vittima del desiderio e la protagonista per eccellenza. Argento anticipa la fortuna che avrà in Italia il genere dello Splatter. Si moltiplicano i trucchi, gli effetti speciali, l’horror si mescola e si confonde con il Thriller e in alcuni casi anche con il porno. Tuttavia il genere popolare che ha riscosso maggior interesse critico è stato il western attraverso la definizione diventata famosa di “Spaghetti Western”. Padre indiscusso del genere, Sergio Leone insieme a lui bisogna tenere presente Duccio Tessari e Sergio Corbucci. Il genere darà inizio a molte coproduzioni tra Italia e Spagna. Nel 1964 Leone gira un film a basso costo ispirato e quasi plagiato da un film di Akira Kurosawa: per un pugno di dollari, si rivelerà uno dei maggiori successi internazionali del cinema italiano di tutti i tempi. 21 Se negli anni cinquanta Fellini aveva travasato le forme di spettacolo popolare rendendole soggetti della narrazione, negli anni sessanta assume un servizio l’immaginario dei fantasmi dell’inconscio e diventa contenitore delle forme alte e basse della cultura di massa. Già dalla “Dolce Vita” emerge la tendenza di Fellini ad ispirarsi a suggestioni dovere come pubblicità, fumetti, fotoromanzi…Si assista alla progressiva primazia dell’immagine, la parola si configura come elemento aggiunto ma la decodifica dei segnali viene lasciata alla libertà dello spettatore. Lo sdoppiamento di personalità viene ripreso in “Giulietta degli spiriti, 1965” in cui l’autore grazie al colore libera nuovi istinti visionari e figure provenienti dal proprio inconscio, assumendo il punta di vista femminile si denota la suggestione sempre più forte verso l’irrazionale. Satyricon “I Clowns”, “Roma” e “Amarcord” celebrano il nuovo immaginario felliniano, in particolare con “Amarcord” ci si accosta alle inquietanti presenze della storia collettiva nazionale. ANTONIONI cerca di sostituire gli spazi reali con tipologie che aiutassero a misurare le distanze interiori. Nel suo cinema diventa rappresentativa una condizione umana di progressivo sradicamento dell’individuo dall’ambiente e di perdita del sé nell’alienazione. “L’avventura, 1960”; “L’eclisse, 1962”; “Deserto Rosso, 1964”. Anche nel caso di Antonini il passaggio al colore dilata le possibilità espressive e formali. Per misurarsi con standard internazionali gira all’estero “Blow up, 1966”; “Zabriskie point, 1970”; “Professione: reporter, 1975” ELIO PETRI esordisce, con chiare influenze Antoniniane, con “l’assassino”. Il periodo di maggiore successo si ha con la trilogia che vede “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970”; “La classe operaia va in paradiso, 1971” e “La proprietà privata non è più un furto, 1973”. PIER PAOLO PASOLINI è l’unico svetta per la trasformazione della sua vita stessa in arte, riesce a creare percorsi figurativi attinenti alla pittura di Piero della Francesca, Masaccio e Masolino. Si accosta alla macchina da presa con “L’Accattone, 1961” e “Mamma Roma, 1962”. Con “La ricotta, 1963” l’introduzione del colore concede maggiori possibilità espressive e l’autore si rende conto che il suo cammino intellettuale non ha alcun punto di contatto con quello del mondo sottoproletaria con cui ha tentato di identificarsi, si cimenta dunque con i classici, utilizzando letteratura e pittura come strumenti per la ricerca ossessiva del paradiso perduto. “Il vangelo secondo Matteo” (1964), “Uccellacci e uccellini” (1966). Nell’ultima fase della sua vita sente un progressivo bisogno di parlare di sé e di interpretare il presente in chiave allegorica presentando “Edipo Re, Medea, Decameron, I racconti di Caterbury,” entrai n prima persona nel mito inserendo continui elementi di ironia. Sergio Citti ha giocato un ruolo determinante di guida di Pasolini nelle borgate e ha presentato sullo schermo le proprie doti di regista Naif. Bertolucci esordisce come aiuto regista di Pasolini, ma il suo primo film è “Prima della rivoluzione” (1964) in cui si libera dalle influenze pasoliniane rivendica un cinema colto, nella sua carriera sarà cruciale il sodalizio con Vittorio Storaro con il quale crea un vero e proprio laboratorio di studio della luce e del suo ruolo nel racconto. Nel 1972 Ultimo tango a Parigi attira subito la censura con Novecento nel 1976 affronta l’epopea della grande storia in un’ottica verdiana quasi di cantastorie. Gillo Pontecorvo con” La battaglia di Algeri” (1966) racconta le tappe della liberazione del popolo algerino fondandosi su una documentazione rigorosa e sulla spettacolarizzazione degli attentati, è attratto dalle figure romantiche dei rivoluzionari e dei sovversivi. Marco Ferreri è ossessionato dall’incombenza di temporalità distruttive  e dal profilarsi di catastrofi e piccole apocalissi è fondamentale alla sua produzione il soggiorno in Spagna che lo porta ai suoi capolavori grotteschi “El cochecito L’ape Regina”,  “La donna scimmia” e “L’uomo dei cinque 24 palloni”. Il regista sembra voler applicare le teorie evoluzionistiche cercando giungere alle condizioni post-umane Dillinger è morto 1968 è un manifesto di denuncia dei disturbi comunicativi. Marco Bellocchio esordisce nel 1965 con “I pugni in tasca” in cui si notano le influenze di Bunuel e sono chiari i riferimenti alla carica montante della protesta giovanile. Con “La Cina è vicina la macchina da presa” predilige la militanza politica e i movimenti studenteschi, continua a sviluppare i suoi temi anti istituzionali con “Nel nome del padre” (1971). Dagli anni Settanta Bellocchio dichiara di non poter rimanere per sempre arrabbiato con la vita cercando di stabilire rapporti più articolati con la realtà e il mondo interiore dei suoi personaggi; negli anni Ottanta è forte l’influenza dello psicanalista romano Massimo Fagioli. Il cinema di Bellocchio è sempre difficile e mirato alla ricerca della perfezione stilistica ed alla possibilità di cogliere momenti di verità interiore. 10. IL CINEMA E LA CRISI DEL ‘68 La crisi delm’68 unita al sopraggiungere degli anni di piombo, il cinema si schiera tentando il film politico ma viene osteggiato dalla critica; nel frattempo la concorrenza televisiva si fa di anno in anno più forte, mentre viene meno la fiducia e l’interesse nella politica tra le nuove generazioni, si perde completamente quel senso di appartenenza, che aveva caratterizzato capolavori come “Novecento” (Bertolucci), Amarcord (Fellini) e la trilogia della vita di Pasolini piuttosto che “L’albero degli zoccoli” di Olmi e “c’eravamo tanto amati” di Scola. “CAPITOLO 5” 1. METAMORFOSI DEL PAESAGGIO NEL CINEMA DEGLI ANNI SETTANTA Nei primi anni settanta si producono una miriade di titoli ma pochi ripagano gli investimenti; i successi sono dovuti per lo più ai generi popolari erotici e western. Il governo americano pratica consistenti sgravi fiscali ai produttori nazionali ritirando i capitali dai mercati esteri e da quello italiano favorendo il decollo di una nuova strategia produttiva a che si proietterà sul cinema mondiale con effetti devastanti per le produzioni di tutti gli altri paesi. Il mercato cinematografico mira sempre di più all’oligopolio. La storia del cinema italiano dagli anni settanta è una storia di progressiva marginalizzazione, ci si riduce nuovamente a passivi consumatori dei prodotti statunitensi. Si registra una crescente disaffezione ai prodotti nazionali e il ruolo della televisione diventa sempre più centrale. In Italia spariscono anche i grandi produttori salvo le eccezioni di Ponti o De Laurentiis, lasciando alle televisioni il ruolo di produrre cinema o ai coraggiosi imprenditori quasi sempre consapevoli di rivolgersi ad un mercato di nicchia. Negli ultimi vent’anni i produttori che subentrano sono Cecchi Gori a cui subentra il figlio Vittorio, ma soprattutto le corazzate televisive come Mikado ma si troveranno un mercato sempre più sfuggente al cinema d’autore. Poche figure come Domenico Procacci e Lionello Cerri stanno cercando di istituire nuovamente la figura del produttore di cinema d’autore. Mai veri grandi produttori dell’ultimo trentennio sono Rai e Mediaset che hanno operato ance a sostegno di opere di qualità. Per la creazioni di serie televisive di successo “Maresciallo Rocca”, “Commesse”, la tv ha attinto alla tradizione del cinema del dopoguerra e della commedia all’italiana. Nel 1962 l’istituto Luce diventa una società per azioni e avvia la produzione di lungometraggi e film d’autore, sarà l’unica a tentare la produzione di filM per ragazzi affiancando alla produzione la distribuzione, investendo anche su esordienti e giovani. 25 Dalla fine degli anni settanta i capitali di rischio già non riconoscono le condizioni minimali che lo rendano un settore d’investimento remunerativo. Esordiscono una ventina di autori nell’ultimo ventennio per lo più sono figli d’autore e producono da soli i propri film. Manca ormai la fiducia nei propri mezzi che aveva caratterizzato la voglia di rivalsa nel dopoguerra; la figura classica del produttore è stata sostituita dal procacciatore di affari. Il numero di case di produzioni arriva a coincidere quasi con quello dei prodotti. La principale casa di produzione sarà Rete-italia di fininvest ma ci vorrà poco a comprendere quanto più redditizie siano le opere comprate dall’estero. Saranno la mancanza di risorse ed il ritardo tecnologico a penalizzare la nostra produzione. Il cinema italiano all’estero detiene il rispetto per quello che è stata la sua tradizione ma i suoi migliori autori cominciano ad emigrare all’estero. La rivolta contro i padri che mai era esplosa in precedenza si riconosce con l’esordio di Nanni Moretti con Io sono un autarchico nel 1976, il cinema è talmente diverso da sbarazzarsi del patrimonio e delle lezioni dei padri: possiede un senso di sé talmente alto da dare l’impressione di voler rifondare le regole del fare registico. Si denota il suo fortissimo individualismo e l’impossibilità di riconoscersi nei furori sessantottini o qualsiasi identità comunitaria affermando la propria autorialità fin da subito. 2. IL PAESAGGIO IN FELLINI E BERTOLUCCI Fellini negli ultimi quindici anni porta i protagonisti a prendere atto del vuoto, del senso di dispersione si denota una sorta di gigantismo attraverso la dilatazione delle figure nello spazio. Tuttavia i “La città delle Donne”, “Ginger e Fred”,” “La Voce della Luna” e “La nave va” si registra già il progressivo stendersi di un velo funebre. In Bertolucci invece il paesaggio diventa lentamente protagonista, con Novecento si affermano le doti dell’autore di narratore epico. E’ uno dei pochissimi registi che può ancora confrontarsi sul piano internazionale ottenendo anche il riconoscimento dell’oscar. Bertolucci è si confronta con l’america attraverso la rappresentazione delle grandi storie, con “L’ultimo imperatore” (1987) e “piccolo Buddha” (1993) Con “il tè nel deserto” narra la storia d’un viaggio alla scoperta di sé e ripropone con “Io ballo da sola” (1996) uno guardo nuovo e meno distaccato e contemplative la vita di una comunità di americani nelle colline toscane. 3. LA PERDITA DEL CENTRO SPERIMENTALE NEL CINEMA ITALIANO A metà degli anni settanta muoiono De Sica, Visconti, Rossellini, Germi, Pasolini, Petri e Pietrangeli. Negli anni della sua presidenza, Rossellini aveva distrutto gli elementi forti del centro sperimentale, in quanto non crede nella necessità della trasmissione delle conoscenze e nel cursus formativo, gli aspiranti registi devono trovare dentro di sé la luce. Il centro aveva dunque subito una forte svalutazione istituzionale, dei diplomati negli anni settanta solo in pochi raggiungono vera visibilità. Si tenterà di imitare Moretti, cioè di avvicinarsi al cinema senza apprendistato scolastico. Il più fecondo laboratorio di idee e ricerca degli anni settanta è Ipotesi Cinema che fornisce un modello forte per gli aspiranti registi. Il 68 ha costituito quasi un limite, dagli anni settanta non c’è più una ricerca verso nuovi orizzonti, di trasgressione. Nascono cooperative di filmmakers come Studio Azzurro e nascono festival indipendenti con la funzione di costituire i punti di riferimento fondamentali per la nuova generazione di autori italiani. 4. DAGLI ANNI DI PIOMBO AGLI ANNI DELLA FUGA NEL CINEMA ITALIANO Nel 1975 poco prima della morte di Pasolini, l’autore registra la vittoria della sinistra centrale come un chiaro segno di spoliticizzazione dell’Italia, altro non è se non un adattamento alla propria degradazione. Negli anni ottanta il cinema privilegerà questo aspetto mostrando la vittoria del privato sul pubblico, la celebrazione del consumismo superfluo e sulla perdita del valore di appartenenza ad una società civile. 26
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