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Linee guida sulla comunicazione di rischio, Dispense di Comunicazione Politica

La comunicazione di rischio nella pubblica amministrazione

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 01/12/2017

Karmensita
Karmensita 🇮🇹

4.8

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Scarica Linee guida sulla comunicazione di rischio e più Dispense in PDF di Comunicazione Politica solo su Docsity! LA comunicAzione istituzionALe dei rischi LINEE GUIDA Linee Guida a cura di Cinzia Albanesi, Luca Pietrantoni, Bruna Zani, Elvira Cicognani, Gabriele Prati, Bruna Porretta Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna 1 Le presenti linee guida costituiscono uno dei documenti realizzati dal Grup- po di Ricerca sulla Comunicazione del Rischio del Dipartimento di Scien- ze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università di Bologna, nell’ambito del progetto CCM “Percezione dei rischi per la salute, derivanti da minacce ambientali, con particolare riferimento all’uranio impoverito. Costruzione di un quadro di riferimento per la comunicazione istituzionale”, finanziato dal Ministero della Salute (anni 2009-2011). Referente scientifico: Bruna Zani Autori che hanno contribuito al testo: Cinzia Albanesi Luca Pietrantoni Elvira Cicognani Gabriele Prati Bruna Porretta Grafica: Graph-x studio grafico www.graph-x.it Data di pubblicazione: Marzo 2011 Indice Introduzione 03 sezione i: LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE DEI RISCHI 1. Rischio e percezione del rischio 04 2. Modelli e scopi della comunicazione del rischio 08 3. La fiducia verso le istituzioni 12 4. Le caratteristiche del messaggio 16 5. Messaggi e media 23 6. Destinatari e stakeholders 27 7. La pianificazione e la valutazione 32 del processo comunicativo sezione ii: APPLICAZIONI 8. La comunicazione del rischio uranio impoverito 35 9. La comunicazione del rischio influenza 35 10. La comunicazione del rischio OGM 41 Bibliografia 43 76 1 R is ch io e p er ce zi on e d el r is ch io se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I che si riesce a stabilire con una vittima identificabile. Se i danni potenziali sono osserva- bili, allora aumenta il rischio percepito di un’attività o tecnologia. Per esempio i danni legati all’inquinamento dovuto al traffico non sono immediatamente visibili. In questi casi emissioni inquinanti possono essere respirate giorno dopo giorno, senza che ciò desti una particolare preoccupazione. Inoltre, poiché gli effetti di tale esposizione non sono immediati, la percezione del rischio è diminuita. Infine se gli effetti dell’attività o tecnologia riguardano le generazioni future, queste sono percepite come più rischiose rispetto ad attività che hanno effetti limitati nel tempo. Il grado di pericolosità percepita delle emissioni inquinanti è maggiore se si pensa al danno provocato nei bambini. Il modo in cui le persone elaborano le informazioni. Le persone elaborano le infor- mazioni utilizzando scorciatoie di pensiero, le cosiddette euristiche, che consentono di economizzare le risorse cognitive, esponendo però il giudizio a distorsioni sistematiche. In pratica, le persone, per potere prendere decisioni rapide, utilizzano procedure sem- plificate, che non rispettano tutti i passaggi del ragionamento logico. Così facendo, però, incappano più facilmente in errori, e lo fanno sistematicamente. L’euristica della disponibilità è utilizzata per valutare la probabilità (o la frequenza) di un evento e dun- que anche per stimare il rischio; si basa sulla facilità e rapidità con cui vengono in mente esempi che fanno riferimento alla categoria di giudizio in questione. Può essere influen- zata dalla salienza personale degli eventi (le persone ritengono più probabili eventi che sono capitati a loro o ai loro conoscenti) o dalla particolare “immaginabilità” di un even- to specifico: ad esempio le persone valutano come cause di morte più frequenti eventi drammatici come le esplosioni o gli atti terroristici rispetto a eventi meno drammatici, come le malattie cardiovascolari. Le distorsioni sistematiche delle stime di probabilità di un evento, e dunque anche del rischio, non avvengono soltanto per rendere semplici processi complessi: hanno luogo anche per ragioni motivazionali, come preservare l’immagine di sé e tutelare la propria autostima (Renner, Schüz e Sniehotta, 2008). Una distorsione sistematica di questo tipo è l’ottimismo irrealistico, una tendenza in base alla quale il rischio assunto volontaria- mente o rispetto al quale si presume di avere un certo controllo è sottostimato rispetto al rischio percepito come non controllabile. Il modo in cui il rischio viene rappresentato consensualmente in un determinato con- testo socioculturale. La percezione del rischio è un processo che non ha luogo soltanto nella “mente” delle persone, ma avviene all’interno di contesti sociali e relazionali, ed è costruito in modo consensuale all’interno di uno stesso gruppo sociale. Il rischio non è solo percepito: è rappresentato attraverso la comunicazione pubblica, ed è ricostruito attraverso le interazioni discorsive. La “materia” di cui è fatto (informazioni scientifiche, probabilità, cognizione, emozioni), il carattere potenzialmente inquietante, richiedono che l’oggetto “rischio” sia elaborato e trattato dai membri di una comunità o gruppo sociale in modo da essere ricollocato in un sistema di conoscenze preesistenti, utile ad affrontare la realtà, sebbene fondato su scorciatoie di pensiero tipiche del senso comu- ne. Le rappresentazioni sociali così elaborate (Palmonari e Emiliani, 2009) permettono agli atteggiamenti e alle posizioni individuali sul rischio di ricollocarsi in un sistema di conoscenza condiviso, che le ancora a valori e significati sociali, legittimandoli. cui le risposte a un rischio dipendono in parte da influenze legate alle emozioni provate. Il rischio viene percepito e valutato sulla base della sommatoria di due valori: quello razionale legato al pericolo e quello emotivo generato dalla preoccupazione. In base a questo meccanismo, rischi che hanno una analoga componente di pericolo sono perce- piti in modo differente se la componente di offesa è maggiore in uno dei due. Maggiore è l’outrage, maggiore è il rischio percepito, anche di fronte a pericoli oggettivamente più piccoli. Le caratteristiche del rischio. La letteratura, in particolare attraverso il paradigma psi- cometrico, ha elencato una serie di caratteristiche del rischio che sistematicamente ne influenzano la percezione (De Marchi, Pellizzoni e Ungaro, 2001; Savadori e Rumiati, 2005; Slovic, 2010). La più importante è la capacità di evocare reazioni viscerali di paura o addirittura terrore: un rischio terrificante (dreadful) di solito è un rischio poco comune con il quale non si ha familiarità. Una fonte di rischio nuova, di cui non si ha esperienza diretta, porta a una sovrastima della sua pericolosità. Per esempio gli studi mettono in luce che i rischi delle radiazioni sono considerati più gravi rispetto agli incidenti domesti- ci. Connessa alla familiarità, la caratteristica della conoscenza personale e scientifica as- sociata a un rischio ne influenza la percezione. Ancora più importante della conoscenza, tuttavia, vi è la volontarietà di assunzione. I rischi assunti volontariamente, per esempio il fumo o l’abbronzatura al sole, sono percepiti più bassi dei rischi imposti, come per esempio l’installazione di un’antenna radio. Va osservato che la percezione del rischio è maggiore all’aumentare del grado di esposizione personale al rischio, una caratteristica che segnala quanto gli effetti potenziali di un’attività o tecnologia mettano a repentaglio l’incolumità personale. La gravità percepita del rischio aumenta anche all’aumentare del numero di persone potenzialmente coinvolte dal pericolo ossia il grado di esposizione collettiva. Inoltre rispetto alle vittime vi è un effetto che porta le persone a sovrastimar- ne i rischi: la vittima identificabile. Attività o tecnologie che arrecano danni a persone conosciute, che hanno un nome, sono percepite come più rischiose rispetto ai casi in cui le vittime sono riportate genericamente. Pare che questo effetto sia legato all’empatia Fonte: U.S. Department of Health and Human Services (2002) Accettabilità dei diversi tipi di rischio I rischi percepiti come …. sono più accettati volontari dei rischi percepiti come imposti sotto controllo dell’individuo dei rischi ritenuti controllabili da altri aventi chiari benefici dei rischi percepiti come aventi pochi o nulli benefici distribuiti in modo equo dei rischi non distribuiti in modo equo naturali dei rischi indotti dall’azione umana causati da una fonte di cui si ha fiducia dei rischi causati da una fonte di cui non si ha fiducia familiari dei rischi percepiti come esotici e sconosciuti dannosi per gli adulti dei rischi percepiti come dannosi per i bambini 8 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 9 2 M od el li d el la c om un ic az io ne d el r is ch ioLa Crisis communication riguarda tutte quelle forme di comunicazione che avvengono in caso di pericolo improvviso, come un disastro naturale, tecnologico o una pandemia. L’obiettivo è quello di garantire la sicurezza al maggior numero di persone minacciate. La comunicazione in questo senso può essere mirata ad allertare la comunità, a favorire l’evacuazione di determinate aree, a insegnare le precauzioni da adottare, a facilitare il riconoscimento di determinati sintomi per i quali è necessario richiedere tempesti- vamente una visita medica, e così via. I messaggi sono volti a prevenire/ridurre gli esiti negativi di una crisi e a proteggere l’organizzazione, la popolazione e gli stakeholders dal danno che ne consegue. Due variabili, tra le altre sembrano più importanti nel determinare gli scopi della co- municazione del rischio: la visibilità e la novità. Di fronte a un rischio noto da tempo e altamente visibile, la comunicazione del rischio dovrà fare fronte a un atteggiamento apatico e orientarsi verso la sollecitazione dell’interesse e della preoccupazione da parte del pubblico. Di fronte a un rischio nuovo e scarsamente visibile, la comunicazione do- vrà favorire la crescita di consapevolezza sul problema, prima ancora di orientarsi nella direzione della care o della consensus communication. Secondo Reynolds e Seeger (2005) è opportuno superare questa tripartizione focaliz- zando l’attenzione sulle differenze e sulle similitudini tra risk communication (che include care e consensus communication) e crisis communication. In entrambi i casi la comu- 2 Modelli della comunicazione del rischio La comunicazione del rischio può essere definita come lo scambio di informazioni e di valutazioni sul rischio tra gli esperti, le pubbliche amministrazioni, i mass media, i gruppi di interesse e i cittadini, finalizzato ad aiutare a prendere decisioni circa l’accettare, ri- durre o evitare il rischio (Leiss, 1996; Pietrantoni e Prati, 2009). La comunicazione del rischio fa parte di quelle comunicazioni di tipo tecnico o scien- tifico che hanno lo scopo di informare, educare o persuadere i riceventi. Rispetto alla comunicazione tecnica o scientifica, tuttavia, la comunicazione del rischio riguarda, ap- punto, l’incertezza associata a un possibile esito negativo e mira a raggiungere uno specifico cambiamento. Gli scopi di tale tipo di comunicazione possono essere molto diversi tra loro: motivare le persone ad adottare determinate precauzioni, stimolare la popolazione a raggiungere un determinato consenso rispetto a decisioni da prendere, tranquillizzare rispetto a un rischio o al contrario allertare i destinatari, sollecitando un adeguato grado di preoccupazione e di azione. La scelta di comunicare il rischio può dipendere, in qualche caso, anche da ragioni non strettamente legate alla gestione del rischio come i vincoli normativi. Ad esempio le norme italiane di recepimento delle direttive Comunitarie “Seveso” stabiliscono che le popolazioni esposte devono essere informate sui seguenti aspetti: esistenza ed entità dei fattori di rischio; misure adottate per minimizzarli; condotta da tenere nel caso si verifichi un incidente. La responsabilità della comunicazione del rischio in questo caso è condivisa tra il gestore di un impianto (che deve fornire le informazioni sul rischio all’ente locale) e gli enti locali, tenuti a infor- mare la popolazione generale. Care communication, consensus communication, crisis communication In letteratura si è soliti distinguere diverse tipologie di comunicazione del rischio. La Care communication riguarda tutte quelle forme di comunicazione del rischio in cui i pericoli e le relative precauzioni da adottare sono stati ben definiti dalla scienza e sono accettati da buona parte del pubblico. In genere è volta a migliorare la salute di una determinata popolazione o parte di essa, attraverso il cambiamento o il rinforzo di alcuni comportamenti. Un classico esempio sono le campagne contro il consumo di sostanze, in cui il messaggio riguarda la natura del rischio e i comportamenti da adottare per ridurlo. La Consensus communication ha lo scopo di promuovere un confronto tra diversi grup- pi di stakeholders per prendere una decisione in merito alla gestione di un determinato rischio. Di fronte al rischio legato allo stoccaggio di rifiuti industriali, ad esempio, la con- sensus communication è volta a favorire un confronto tra le parti (autorità locali, gruppi di cittadini, responsabili dello stabilimento industriale), per raggiungere una decisione condivisa su come risolvere il problema. In genere sono coloro che si occupano della gestione del rischio ad avere la responsabilità e l’interesse a finanziare questo tipo di comunicazione. Principali differenze tra risk communication e crisis communication Comunicazione del rischio Comunicazione della crisi I messaggi riguardano la probabilità di conseguenze negative e come possono essere ridotte; cercano di aumentare la comprensione tecnica del fenomeno tenendo presente anche le credenze culturali e le percezioni soggettive I messaggi riguardano stati o condizioni in concomitanza con eventi specifici; includono l’entità dell’evento, lo sviluppo nel tempo e le strategie per gestire e rimediare ai danni, le responsabilità e le conseguenze È principalmente persuasiva (es., campagne informative ed educative) È principalmente informativa (es., notizie diffuse attraverso media e televisione, sistemi di avvertimento e allerta) È relativamente frequente È relativamente infrequente È più focalizzata sulla fonte e sul messaggio È più focalizzata sul ricevente e sulla situazione in cui è inserito È basata su cosa si conosce attualmente (es., dati scientifici e ipotesi plausibili) e si avvale di esperti e scienziati È basata sull’evoluzione delle conoscenze e si avvale di esperti, autorità e amministratori deputati alla gestione delle emergenze I canali sono volantini, opuscoli, spot I canali sono le conferenze stampa, i comunicati stampa, i discorsi, i siti web È più controllata e strutturata È più spontanea e dinamica Fonte: Reynolds e Seeger (2005) 10 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 11 2 M od el li d el la c om un ic az io ne d el r is ch io• Durante la fase di pre-crisi le attività di promozione della salute e di comunicazione del rischio sono adeguate sia per educare il pubblico su pericoli potenziali, sia per incoraggiare il pubblico ad adottare comportamenti volti a ridurre il rischio. • Nella fase di crisi iniziale cambiano i bisogni comunicativi e le strategie da adottare in riferimento a diversi target. La pressione temporale è maggiore ed è necessario comunicare tempestivamente e in modo diretto, in particolare con coloro che sono personalmente coinvolti. La comunicazione deve rispondere anche al bisogno del grande pubblico di avere informazioni essenziali, di solito attraverso i mass media, che garantiscano una comprensione di base di ciò che sta accadendo e permettano di agire in modo adeguato. Le persone, siano esse direttamente o indirettamente coinvolte, in assenza delle informazioni di base possono facilmente agire aggravan- do il rischio. • Nella fase di mantenimento, occorre fornire informazioni su come ridurre il rischio e su dove rivolgersi in caso di bisogno, ridurre le ansie di coloro che tendono a preoc- cuparsi troppo benché non direttamente coinvolti (es., persone che finiscono per in- tasare i pronto soccorsi o gli studi medici pur non facendo parte dei gruppi a rischio). • Le fasi di post-crisi sono quelle in cui hanno luogo la risoluzione e la valutazione. In assenza di minaccia, la comunicazione è focalizzata su ciò che si è appreso in termini di comprensione del rischio e sulla definizione di politiche pubbliche per la riduzione di rischi futuri. Il pubblico e i media, invece, possono interrogarsi su errori e responsa- bilità legati alla gestione del processo nel suo complesso. Il modello dell’amplificazione sociale del rischio Kasperson, Kasperson, Pidgeon, e Slovic (2003) hanno elaborato un modello integrativo denominato SARF (Social Amplification of Risk Framework) che rappresenta un tentativo di integrazione dei diversi studi che intendono spiegare come mai alcuni rischi, giudicati molto bassi secondo gli esperti, diventano di grande interesse per una comunità (ampli- ficazione del rischio) e come mai, al contrario, altri rischi giudicati dagli esperti più gravi, non attraggono l’attenzione del pubblico (attenuazione del rischio). Il modello descrive, inoltre, i diversi processi sociali che sottostanno dinamicamente alla percezione e comu- nicazione del rischio. I punti principali del modello sono i seguenti: • Un rischio non viene percepito solo per le sue ricadute in termini di danno ma anche, e soprattutto, per le modalità comunicative che sono innescate. • Una volta che il processo comunicativo ha attribuito un significato e ha così contri- buito ad attenuare o amplificare il rischio, vi sono gli effetti collaterali in termini di ricadute sull’economia, sulle normative, sulle aziende, sulle istituzioni e sulle persone coinvolte direttamente. Gli effetti collaterali si diffondono a onde concentriche utiliz- zando la metafora del “sasso lanciato nello stagno”: a partire dalle persone colpite inizialmente per arrivare sempre più a comprendere tutta la comunità. • Ogni rischio o evento o incidente è in grado di avere, in assenza di determinati pro- cessi comunicativi, un impatto limitato. Generalmente per la maggior parte delle per- sone l’esperienza del rischio non è diretta (es., subire un incidente automobilistico, contrarre una meningite) ma mediata da una serie di processi psicosociali che com- portano l’assimilazione e la costruzione di un’interpretazione di tale rischio. Pertanto Precrisi Fase iniziale Risoluzione ValutazioneMantenimento nicazione avviene attraverso la produzione di messaggi volti ad attivare una specifica risposta da parte del pubblico; generalmente ciò avviene attraverso la mediazione dei mezzi di comunicazione di massa. Entrambi i tipi di comunicazione, inoltre, richiedono credibilità come condizione sine qua non per l’efficacia. Tuttavia la comunicazione del rischio è più focalizzata sulle conoscenze, più orientata alla persuasione, e per questo necessariamente più informata delle caratteristiche sociali e culturali del contesto; per contro la comunicazione della crisi ha meno informazioni note e più incertezze, è mag- giormente orientata in senso informativo e risente maggiormente della pressione tem- porale, legata al dovere operare nel qui e ora. Il modello “Crisis and Emergency Risk Communication” (CERC) Il modello denominato CERC (Comunicazione del rischio nelle crisi e nelle emergenze) è stato ideato dal Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie di Atlanta negli Stati Uniti. Si propone di integrare gli approcci di risk e crisis communication in un unico modello da utilizzare nelle emergenze sanitarie, sempre più diffuse. Una crisi ha caratte- ristiche evolutive che richiedono che anche il processo comunicativo evolva in relazione ad essa. La crisi si sviluppa in cinque fasi che corrispondono a differenti bisogni informa- tivi e obiettivi comunicativi: ognuna richiede strategie comunicative diverse e peculiari. • Essere preparati • Stringere alleanze • Sviluppare raccomandazioni consensuali • Verificare i messaggi • Riconoscere la portata dell’evento e le preoccupazioni del pubblico • Spiegare ed informare il pubblico sul rischio utilizzando la forma più semplice possibile • Scegliere un rappresentante istituzionale credibile • Offrire indicazioni sul da farsi (compreso come e dove trovare altre informazioni) • Impegnarsi a continuare la comunicazione con gli stakeholders e con il pubblico • Aiutare il pubblico a comprendere maggiormente i propri rischi • Fornire informazioni di base comprensibili a chi ne ha bisogno • Favorire la comprensione e il sostegno ai piani di intervento proposti • Ascoltare il feedback degli stakeholders e del pubblico e correggere la disinformazione • Spiegare le raccomandazioni di emergenza • Migliorare la capacità di valutare rischi/ benefici e prendere decisioni in merito • Insegnare attraverso l’educazione risposte appropriate per emergenze future • Esaminare onestamente le criticità dell’attuazione dei piani di intervento e consolidarne gli aspetti positivi • Persuadere il pubblico a sostenere le policy adottate anche mettendo a disposizione risorse • Promuovere le attività e l’immagine dell’istituzione • Valutare la performance del piano comunicativo • Documentare ciò che si è imparato • Stabilire azioni specifiche volte a perfezionare il piano e i sistemi di gestione della crisi Il modello “Crisis and Emergency Risk Communication” (CERC) Fonte: Centre for Disease Control and Prevention (2002) 16 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 17 4 L e ca ra tt er is tic he d el m es sa g g iopleto, avendo cura di evitare omissioni circa i dubbi esistenti in merito alla valutazione corrente del rischio. Un messaggio che si fa carico di affrontare la preoccupazione e l’allarme del pubbli- co avrà maggiori probabilità di essere efficace, poiché considerare le preoccupazioni del pubblico è un atteggiamento rispettoso che incrementa la fiducia. Le preoccu- pazioni percepite devono entrare nel messaggio esattamente come le informazioni tecniche. L’elaborazione delle informazioni Le persone generalmente quando si tratta di rischio sono interessate ad avere alcune informazioni essenziali: una descrizione comprensibile del tipo di rischio, le conseguen- ze del rischio, il grado di controllo del rischio (sia da parte di chi comunica – “che cosa esterni (un incidente di cui non si ha alcuna responsabilità, “l’accanimento” dei media), le strategie che si possono mettere in campo sono fondamentalmente tre: 1. assumere le proprie responsabilità sia rispetto a ciò che è stato fatto, sia a ciò che non è stato fatto; 2. chiedere scusa per i propri errori; 3. mostrare, dati alla mano, l’impegno profuso nel passato e l’investimento sul futuro. La credibilità di una organizzazione è strettamente correlata alla tempistica con la quale si comunica il rischio. Il principio di precauzione suggerisce che quando il rischio è potenzialmente grave, anche a fronte di un’incompleta valutazione dello stesso, è opportuno intervenire tempestivamente. Tuttavia le organizzazioni possono essere tentate di aspettare a comunicare il rischio per una pluralità di ragioni: il timore di creare un allarme ingiustificato, la necessità di perfezione le strategie comunicative, il bisogno di avere ulteriori prove. A fronte di questi timori va ricordato che vi sono sia ragioni pratiche che ragioni etiche per comunicare il rischio da subito: sul piano etico, le persone hanno diritto di essere informate sui rischi che le riguardano; inoltre fornire informazioni tempestive può evitare che la stessa situazione si produca in un altro con- testo. Sul piano pratico è bene ricordare che se il pubblico avrà la percezione che l’in- formazione è stata “trattenuta” o occultata, sarà pieno di risentimento, probabilmente sovrastimerà il rischio e sarà meno disponibile nei confronti della comunicazione e di chi la propone. 4 Le caratteristiche del messaggio La comunicazione è un atto cooperativo fondato su due principi fondamentali: il princi- pio di pertinenza, in base al quale si deve dare un contributo nel momento opportuno come richiesto dagli scopi e dall’orientamento del discorso in cui si è impegnati e il principio di cooperazione, chi comunica, per il solo atto di comunicare, assume implici- tamente di avere qualcosa da dire (Rumiati e Lotto, 2007). In base a tali principi è pos- sibile declinare alcune indicazioni che riassumono le caratteristiche fondamentali di una comunicazione pragmatica: a. massima di quantità: dai le informazioni necessarie agli scopi della comunicazione; non dare più informazioni di quante sono richieste dagli scopi della comunicazione; b. massima di qualità: dai un contributo che credi che sia vero; non dire ciò che credi sia falso; non dire cose di cui non hai prove adeguate; c. massima di relazione: fornisci contributi pertinenti; d. massima di modo: sii chiaro, evita espressioni ambigue, sii breve, sii ordinato nell’esposizione; evita espressioni oscure. Assumere questi principi significa preoccuparsi che gli obiettivi della comunicazione siano descritti chiaramente nel messaggio. Significa, inoltre, accertarsi che il rischio sia comunicato in modo veritiero e suffragato dai dati della ricerca scientifica, in modo com- Destinatari e stakeholders: pubblico e media Domanda o preoccupazione: Qual’è la differenza tra influenza pandemica e influenza stagionale? Messaggio chiave 1: Messaggio chiave 2: Messaggio chiave 3: L’influenza pandemica è causata da un virus influenzale nuovo per le persone La tempistica dell’influenza pandemica è difficile da prevedere Un’influenza pandemica è probabilmente più grave di una influenza stagionale Fatti a sostegno 1-1 Fatti a sostegno 2-1 Fatti a sostegno 3-1 L’influenza stagionale è causata da virus con cui la popolazione è già entrata in contatto L’influenza stagionale si verifica ogni anno, di solito in inverno L’influenza pandemica può contagiare più persone rispetto all’influenza stagionale Fatti a sostegno 1-2 Fatti a sostegno 2-2 Fatti a sostegno 3-2 L’influenza pandemica può svilupparsi a partire dalla mutazione di un virus influenzale L’influenza pandemica è stata registrata 30 volte negli archivi sanitari a disposizione L’influenza pandemica può avere conseguenze serie per un maggior numero /tipo di persone (rispetto all’influenza stagionale), inclusi i giovani adulti Fatti a sostegno 1-3 Fatti a sostegno 2-3 Fatti a sostegno 3-3 Le persone immuni a un nuovo virus influenzale sono poche L’influenza pandemica può durare più a lungo della tipica influenza stagionale Una influenza pandemica può richiedere il cambiamento delle abitudini quotidiane per determinati periodi, incluso la riduzione dei viaggi e la frequenza di luoghi pubblici Schema tipo di un messaggio per la comunicazione del rischio influenza pandemica 18 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 19 4 L e ca ra tt er is tic he d el m es sa g g ioUn’altra strategia suggerita per rinforzare il messaggio è quella di ripeterne i conte- nuti essenziali: aumentare la ridondanza è funzionale a massimizzare le probabilità di catturare l’attenzione del destinatario. Il linguaggio va adattato al mezzo e al destinatario, e non può essere “standardiz- zato”: tuttavia è importante che il linguaggio e i contenuti, anche quando vengono proposti attraverso più mezzi di comunicazione e si rivolgono a differenti destinatari, siano coerenti e permettano il riconoscimento dell’organizzazione (anche sul piano della credibilità) che li esprime. Un linguaggio tecnico ma non tecnicistico Le informazioni tecniche vanno fornite, evitando un linguaggio eccessivamente specia- listico. Gergo scientifico, da addetti ai lavori, sigle, acronimi, possono non essere pa- trimonio condiviso fuori dall’organizzazione: a volte il loro significato può non essere univoco nemmeno all’interno dell’organizzazione, dunque vanno evitati. Il linguaggio tecnico tende a essere freddo, per certi versi deumanizzante, assimilando le persone e gli eventi (potenzialmente drammatici) che li riguardano a cose. Inoltre, poiché nella comunicazione del rischio le informazioni tecniche riguardano di solito probabilità di morte, malattia, trattarle con un linguaggio tecnico non fa altro che aumentare la sfidu- cia nell’organizzazione, che viene percepita come indifferente rispetto alla vita umana. Le informazioni tecniche, inclusi i compiti e le funzioni dell’ente/organizzazione che sta facendo comunicazione istituzionale vanno spiegate. Coloro che comunicano non pos- sono dare per scontato che i propri interlocutori abbiano il loro stesso livello di cono- scenza, ma non devono nemmeno cadere nell’errore di pensare che la gente comune non possa comprendere la comunicazione scientifica. La comunicazione dell’incertezza Nella comunicazione del rischio, si tratta spesso di comunicare l’incertezza. Come scrive efficacemente Biocca (2002) “sempre più spesso scelte importanti per la salute vengono prese sulla base di conoscenze deboli, imprecise e incomplete, non solo in situazioni di emergenza. L’incertezza è sempre stata una componente delle decisioni. La scienza ser- ve a ridurre le incertezze attraverso la semplificazione, osservando gli eventi, studiando probabilità e costruendo modelli di previsione” (p. 59). Questa consapevolezza sembra accomunare esperti, tecnici e persone comuni, tanto che se la gente chiede sicurezza al 100%, dunque senza margine di errore, probabil- mente ciò non accade perché sta mettendo in discussione i dati e la loro scientificità, ma perché si interroga sul processo di costruzione della conoscenza, sui modi che l’hanno sostenuta e sui valori dell’organizzazione che la comunica. Considerato che “non si può non comunicare”, la cosa migliore di fronte a un dato mancante, è ammettere onesta- mente che ci sono cose non note, rassicurando, al contempo, che si sta facendo quanto è possibile per riempire le lacune nelle conoscenze attuali (ad esempio “Allo stato attua- le delle conoscenze, potrebbe essere x, y, oppure z. Finora x sembra più probabile per le seguenti ragioni. Abbiamo scartato a, b, e c per questi motivi. Non abbiamo scartato y o z, sebbene riteniamo che x sia l’ipotesi più probabile”). L’onestà, l’ammissione dei limiti della conoscenza e della ricerca scientifica, comunicata apertamente, favorisce l’instaurarsi di una relazione di fiducia con l’interlocutore. state facendo?” – sia da parte del destinatario – “che cosa posso fare io?”) e il grado di esposizione personale al rischio (Lion, Meertens, Bot, 2002). Kalhor, Dunwoody, Griffin et al. (2003) suggeriscono di includere nel messaggio non solo informazioni su ciò che è davvero utile per i destinatari, ma anche informazioni che i destinatari credono sia utile sapere, poiché tali informazioni favoriscono l’ap- proccio sistematico all’elaborazione dell’informazione, che rende l’effetto della comu- nicazione sugli atteggiamenti più stabile e duraturo. L’approccio dei modelli mentali (Morgan, Fischhoff, Bostrom, Atman, 2002), a questo proposito, suggerisce di analiz- zare gli schemi di conoscenza ingenua che le persone formulano sui rischi, confrontarli con quelli “esperti” e utilizzare le incongruenze, e le zone scoperte di tali conoscenze, per costruire messaggi orientati a mettere le persone in grado di prendere decisioni informate. Secondo il Centre for Disease Control and Prevention (2011), un messaggio per esse- re efficace deve essere basato sulla conoscenza delle preoccupazioni comuni ai diversi stakeholders (pubblico, esperti, tecnici ecc.) e dovrebbe utilizzare uno schema denomi- nato message mapping. Individuate quali sono le preoccupazioni più importanti, queste devono essere tradotte in domande: ognuna dovrebbe essere affrontata e supportata da tre fatti, facendo uso di un linguaggio semplice. Il messaggio a sua volta dovrebbe comporsi di tre parti: la prima deve contenere una dichiarazione delle preoccupazioni, una descrizione chiara delle attività, degli scopi e dell’impegno dell’organizzazione e una dichiarazione degli obiettivi della comunicazio- ne; la seconda deve sviluppare i messaggi chiave, in un massimo di tre punti principali che includono anche le informazioni a supporto dei messaggi chiave. Infine, la terza parte deve prevedere una dichiarazione riassuntiva di quanto affermato. Covello (2009), inoltre, suggerisce che per essere efficace la comunicazione deve con- tenere un numero di messaggi positivi (orientati alla soluzione del problema) pari o su- periori a quelli negativi per controbilanciarne l’effetto: è dimostrato che le informazioni negative hanno un impatto maggiore e suscitano una maggiore attenzione rispetto alle informazioni positive. Un altro suggerimento dell’autore è di evitare parole connota- te negativamente quali “no”, “mai”, “per niente” che possono ridurre l’attenzione sui messaggi positivi. Un linguaggio semplice e mirato Le raccomandazioni circa l’uso di un linguaggio semplice, ma adeguato al nostro in- terlocutore, sono comuni alle diverse linee guida sulla comunicazione del rischio. Più è complesso il messaggio più è importante che il comunicatore istituzionale si esprima chiaramente. È importante focalizzare l’attenzione su un tema centrale del messaggio, anche attraverso l’uso di storie o analogie che consentono alle persone di identificarsi con il protagonista della storia, o di comprendere i termini del problema in modo più intuitivo. Le capacità mnemoniche e attentive delle persone sono limitate, per questo è necessario rispettare la “massima di quantità” e focalizzare l’attenzione su un tema o un aspetto della comunicazione, riducendo le informazioni non necessarie che possono fungere da distrattori. Utilizzare frasi brevi e chiare è la regola, specie quando le perso- ne sono spaventate, poiché in tale condizione hanno maggiori difficoltà ad elaborare le informazioni. 20 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 21 4 L e ca ra tt er is tic he d el m es sa g g iomentre prego?” Non riuscendo a risolverlo, decisero di rivolgersi ai loro superiori. Più tardi, uno chiese all’altro che cosa gli avesse detto il superiore. “Sono stato rimprove- rato aspramente solo per aver parlato del fatto”, disse il primo. “Ed il tuo superiore, cosa ti ha detto?”. “Il mio è stato molto compiaciuto”, disse il secondo. “Mi ha detto che facevo benissimo. Ma dimmi, tu che domanda gli hai fatto?” “Gli ho chiesto se posso fumare mentre prego.” “Te la sei voluta tu. Io gli ho chiesto se potevo pregare mentre fumo!” L’uso di simboli e immagini L’uso di simboli e di modalità diverse di presentare la stessa informazione è funzionale a catturare l’attenzione del pubblico sul messaggio e a mantenerla (Wogalter et al., 1999). Affiancare a un messaggio scritto un’immagine è un modo per aumentare la ridondanza, senza per questo annoiare il destinatario del messaggio. Le immagini sono utilizzate di frequente per descrivere la probabilità/grandezza di un rischio o il suo andamento nel tempo. Le immagini, sono universali e possono essere comprese dalla maggior parte delle per- sone che appartengono a una stessa cultura, anche se non parlano la stessa lingua. Tutti noi riconosciamo il segnale di divieto stradale: se è utilizzato in un messaggio di comu- nicazione del rischio, saremo probabilmente in grado di decodificarne il significato nel senso di “è proibito”, anche quando si riferisca a un comportamento diverso da quello stradale. Le informazioni numeriche Probabilità, stime, percentuali sono una parte della comunicazione del rischio. Per una buona comunicazione, l’attenzione dovrebbe essere posta non solo ai numeri ma anche al modo in cui sono stati ottenuti, secondo i principi della quality assurance. L’attenzio- ne di chi comunica deve essere principalmente volta a dare informazioni che mettano in grado gli interlocutori di prendere una decisione sul rischio (come affrontarlo, come difendersi). I numeri sono parte di questa informazione, ma non la esauriscono. Le infor- mazioni numeriche nella comunicazione sul rischio devono essere limitate, nell’ottica di mantenere un livello di complessità accettabile, e ne deve essere chiarito il significato. Fare riferimento in una stessa comunicazione a troppi concetti numerici (ad esempio prevalenza, incidenza, probabilità, esposizione) è sbagliato: le persone possono con- fonderne il significato, rendendo di fatto le informazioni fornite poco utili rispetto al processo di presa di decisione. Dal punto di vista psicologico, inoltre, il modo in cui i numeri vengono presentati influenza la percezione del rischio: le persone valutano diversamente il rischio in forma di tasso di incidenza (ad es., probabilità dello 0.00006%) o rischio relativo (probabilità dimezzata), anche se il significato delle due misure dal punto di vista matematico è iden- tico (Stone, Yates, Parker, 1994). I numeri, infatti, sono concetti astratti e acquisiscono un significato emozionale in base al contesto. Nel 1995 in Inghilterra si è diffuso allarmismo tra la popolazione circa l’uso della pillola contraccettiva che ha avuto come effetto l’interruzione dell’assunzione del farmaco con conseguenti nascite indesiderate e aborti. È stato comunicato che l’assunzione di pillola anticoncezionale aumentava del doppio il rischio tromboembolico. Probabilmente que- sto non sarebbe successo se fosse stato detto che il rischio di trombi passava da 1 a 2 casi ogni 14.000 donne. In genere per aumentare la percezione del rischio, è preferibile tradurre numeri con decimali in frazioni semplici e utilizzare frequenze e valori assoluti (casi). La descrizione con la frequenza (casi) evoca un’immagine più vivida, più reale ed emotiva, rispetto a quella evocata dalla percentuale o dalla probabilità. Sempre a proposito di significato dei numeri in relazione al contesto, è noto l’effetto cornice (framing): contestualizzare i numeri in termini di perdita (persone che moriranno a causa del rischio) o di guadagno (persone che verranno salvate) ha un effetto sulla percezione del rischio e sull’orientamento in termini di adozione di misure comporta- mentali. Consideriamo le due espressioni: • “un certo evento negativo ha 1 possibilità su 10 di manifestarsi” • “l’evento ha 9 possibilità su 10 di non manifestarsi” Nel primo caso il destinatario si sentirà più motivato a scongiurare il rischio, nel secondo caso la sensazione di allarme cala. Se viene posto l’accento sui possibili guadagni e sugli aspetti positivi di una situazio- ne, le persone tendono a evitare i rischi e a seguire la strada più sicura. Se si sottolineano le perdite potenziali derivanti da una scelta, le persone sono più inclini a correre mag- giori rischi pur di evitare un risultato negativo. Una famosa storiella spiega bene l’effetto framing: Due giovani monaci studiavano in seminario ed entrambi erano incalliti fumatori. Il loro problema era: “Posso fumare Percentuali di rischio rappresentate in forma di immagine 25% Risk 50% Risk5% Risk Fonte: adattato da Ancker et al. (2006) 26 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 27 5 M es sa g g i e m ed ialità dell’organizzazione. Quando le persone chiedono garanzie circa la sicurezza di un impianto, quando costruiscono scenari ipotetici di cui chiedono gli sviluppi possibili, quando semplicemente chiedono “perché mai dovrei fidarmi di voi?”, non vogliono numeri, vogliono la certezza che il loro interlocutore si stia davvero occupando del loro problema, per come loro lo vivono e se lo rappresentano. La credibilità dell’organizza- zione, in queste situazioni, sta tutta sulle spalle di chi parla che dovrà dare garanzie sul suo impegno personale e spiegare perché ci si deve fidare dell’istituzione. Infine è opportuno sottolineare che la persona che comunica per conto di una orga- nizzazione in una situazione pubblica, potrà svolgere bene il suo lavoro solo in presenza di un mandato chiaro, adeguate risorse e supporto organizzativo. I conflitti e le ambigui- tà di ruolo dovrebbero essere risolte prima di mandare il comunicatore nell’arena, pena l’impossibilità della trasparenza e il crollo della credibilità. 6 Destinatari e stakeholders Un pubblico che si sente accolto, ascoltato, legittimato, ha più probabilità di recepire la comunicazione. Uno scenario desiderabile è quello in cui i destinatari si riconoscono nella comunicazione che viene loro proposta (ad esempio pensando “Sono proprio que- ste le ragioni per cui ho paura”; “Ecco credevo che i miei dubbi fossero stupidi, ma visto che ne parlano gli esperti forse non lo sono poi tanto”). Inoltre è necessario tenere conto del livello di competenza comunicativa dei desti- natari, quindi della loro capacità di decodificare il linguaggio verbale e quello visivo. Se la comunicazione del rischio è diretta a una popolazione ampia, potrebbe rendersi necessario farla in lingue diverse da quella ufficiale, considerando quelle parlate dalle minoranze etniche: in questo caso alle specialità linguistiche potrebbero aggiungersi quelle di tipo culturale. Tra i destinatari della comunicazione, inoltre, ci possono essere specifici gruppi vul- nerabili, che richiedono, più di altri, che le campagne e i messaggi siano adattati ai loro bisogni e alle loro rappresentazioni per potere avere una qualche efficacia. È importante in questi casi che vi sia uno sforzo per costruire un’idea comunicativa rafforzata da una maggior conoscenza delle esigenze/caratteristiche dei destinatari e dalla condivisione con essi di linguaggi e strumenti di comunicazione per identificare in modo più chiaro quali ragioni possono motivare al comportamento di prevenzione (Zani e Lalli, 2009; Pietrantoni, 1999). In caso di emergenza sanitaria può essere necessario raccogliere varie informazioni sulle caratteristiche dei destinatari come suggerisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli strumenti da utilizzare per conoscere i destinatari della comunicazione e restituire loro un ruolo di interlocutori fanno riferimento alla ricerca sociale e psicologica. Possia- mo classificarli in due macro gruppi. Il primo gruppo è l’analisi secondaria dei documenti e comprende: studi di ricerche e documenti già prodotti, ad esempio, sui bisogni e sulle caratteristiche di una comunità locale o sulla percezione del rischio da parte di una popolazione, analisi della documen- tazione grigia (opuscoli, giornalini, prodotti dagli attori della comunità). gio del proprio comportamento comunicativo (verbale e non verbale) ed essere in grado di porsi in modo aperto di fronte alle domande del pubblico. Il pubblico può rivolgere molte domande al comunicatore. Partiamo da un assunto: tutte le domande sono legittime, e chi ha il compito di comunicare il rischio non può esprimere giudizi sulla loro legittimità. In linea di massima ci sono alcune regole che vanno adottate sistematicamente di fronte alle domande, che possono essere riassunte in atteggiamento di ascolto nei confronti del pubblico e risposte sintetiche, centrate su pochi elementi chiave, di cui uno sono le preoccupazioni espresse. È, infatti, impor- tante: • non interrompere la domanda, poiché si possono perdere informazioni potenziali che rendono più difficile capirne il senso e rispondere in modo adeguato • capire quale è il nodo centrale della preoccupazione • esprimere empatia in riferimento alle preoccupazioni espresse • ripetere i punti principali e le conclusioni • avvalorare i messaggi rilevanti con due o tre prove o evidenze • spiegare quali procedure verranno adottate per risolvere la situazione e fare fronte alle preoccupazioni espresse. Le domande scomode possono riguardare aspetti molto tecnici del rischio, come le procedure adottate per valutare il rischio, che richiedono la capacità di tradurre un lin- guaggio specialistico in una forma più colloquiale. Di solito però riguardano la credibi- Esempi di domande poste dai giornalisti durante un’emergenza sanitaria Diffusione/gravità Quanto è contagiosa la malattia? Come si diffonde? Quante sono le persone che possono morire? Siamo realmente di fronte a una emergenza? Non potrebbe trattarsi di un falso allarme? Trattamento e vaccinazione È possibile curare la malattia? Gli antibiotici e gli antivirali funzionano? Quali sono gli effetti collaterali del trattamento? Esistono dei vaccini? Sono disponibili? La vaccinazione è sicura? Quali prove avete per dimostrarlo? Quando scadono i vaccini? Se i vaccini sono scarsi, con quale criterio verranno distribuiti? Possono essere utilizzati da persone con malattie croniche, donne in gravidanza? Le persone saranno obbligate a vaccinarsi? Quali alternative esistono alla vaccinazione? Le persone malate saranno obbligate a stare in quarantena? Cause Che origine ha questa malattia? La pandemia è causata dai terroristi? La diffusione del virus è intenzionale? Si tratta di un virus geneticamente modificato? Strategie e piani di intervento In che modo vi state coordinando con altre istituzioni/organizzazioni? Chi ha deciso il piano di emergenza? Cosa vi fa pensare che queste strategie funzioneranno? Se le strategie che proponete non dovessero essere efficaci, esiste un piano alternativo? Fonte: WHO (2008) 28 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 29 6 D es tin at ar i e s ta ke ho ld er sIl secondo gruppo comprende gli strumenti per la raccolta primaria di dati. Possono essere di tipo quantitativo, come i questionari che hanno il vantaggio di raccogliere una quantità limitata di informazioni su un numero elevato di persone in tempi rapidi. Oppure di tipo qualitativo, come interviste individuali e focus group, che hanno il van- taggio di raccogliere informazioni ricche e dettagliate che ci aiutano a cogliere aspetti della prospettiva dei partecipanti, scarsamente accessibili in altro modo. I focus group inoltre, date le loro caratteristiche specifiche (Albanesi, 2004), sono uno degli strumenti più adatti per promuovere processi di partecipazione. La storia della comunicazione del rischio per lungo tempo è stata dominata prima dall’attenzione al contenuto del messaggio, poi alle forme di comunicazione (persua- siva) del messaggio e solo più recentemente alla prospettiva dei destinatari e del suo ruolo nella costruzione degli scambi comunicativi (Fischoff, 1995). Informazioni da raccogliere sui destinatari in caso di emergenza sanitaria Quale popolazione considerare • Quali sono le popolazioni a rischio? • Quali gruppi/persone sono indirettamente coinvolte? • Ci sono gruppi o istituzioni verso cui è prioritario rivolgere la comunicazione ai fini della loro tutela o coinvolgimento? • Ci sono gruppi particolarmente vulnerabili/a rischio da raggiungere? Conoscenze, consapevolezza e percezioni • Cosa sanno gli individui e le comunità sulle cause e sulla trasmissione della malattia? • Come viene comunemente descritta o definita la malattia in quel particolare contesto? • Quali percezioni del rischio vengono attivate dall’emergenza sanitaria a livello individuale e collettivo? • I gruppi e le comunità hanno già fronteggiato un’emergenza sanitaria in passato? In che modo? • Quale sono le idee e i messaggi che circolano nelle comunità? Fonti di informazioni, canali e contesti • Dove, da chi prendono informazioni le persone? Perché? Chi sono le fonti credibili e di cui si fidano? (TV, personale sanitario, leader religiosi o persone carismatiche…) Cosa le rende tali? • Quali media o canali sono disponibili per comunicare il rischio? Quali canali sono più popolari e influenti tra le persone che potrebbero essere a rischio? Quali sono i canali usati abitualmente? • Quali altre istituzioni stanno affrontando il tema nelle comunità? Con quali strumenti (comunicazione faccia a faccia, newsletter, poster, brochure, comunicazioni istituzionali, media, siti web, sms)? • Quali sono i contesti in cui è opportuno distribuire il materiale informativo e diffondere i messaggi? (ambulatori, luoghi di incontro, ecc.) Pratiche sanitarie nelle comunità e nelle famiglie • Quali sono le pratiche sanitarie abituali? • Quali comportamenti abituali amplificano il rischio? Quali comportamenti abituali riducono il rischio? Su quali credenze e valori sono basati? • In che modo vengono prese decisioni in merito all’assistenza sanitaria all’interno delle famiglie e delle comunità? Contesto socio culturale, economico e ambientale • Ci sono tensioni sociali e politiche che possono influenzare le pratiche di prevenzione del rischio? • Le persone hanno accesso a risorse sufficienti per proteggersi dal rischio? • Ci sono servizi sanitari disponibili e accessibili? • Quali sono le norme sociali di quel contesto? Sono presenti convinzioni religiose tradizionali che possono ridurre l’adozione di comportamenti di prevenzione? Fonte: WHO (2008) Evoluzione cronologica delle strategie di comunicazione del rischio Fonte: Fischoff (1995) Ciò che si deve fare è l’insieme di tutte queste cose Ciò che si deve fare è raccogliere i dati giusti Ciò che si deve fare è far conoscere i dati Ciò che si deve fare è spiegare cosa significano i dati Ciò che si deve fare è rivolgersi in modo cortese Ciò che si deve fare è rendere partecipi i cittadini Ciò che si deve fare è far comprendere come la soluzione adottata sia quella più vantaggiosa Ciò che si deve fare è far comprendere come rischi simili siano già stati accettati nel passato 30 se z io n e i L A C O M U N IC A ZI O N E IS TI TU ZI O N A LE D EI R IS C H I 31 6 D es tin at ar i e s ta ke ho ld er s La partnership può essere avviata e mantenuta soltanto se vi è reciprocità e conver- genza di interessi rispetto al suo mantenimento; questo richiama inevitabilmente i temi della fiducia, della trasparenza, del potere e dell’etica. Senza etica non c’è spazio per la collaborazione: c’è posto solo per la manipolazione. La partecipazione ha dei costi, richiede tempi lunghi e certamente, anche l’investimento di risorse. Nonostante que- sto, la collaborazione è strategica: può essere di grande aiuto, perché consente a una organizzazione di potere contare sulle competenze e sulla credibilità di un’altra organiz- zazione per diffondere il proprio messaggio, per arginare l’emergenza, per conoscere il pubblico o una sua parte. In qualche misura essa va cercata e pianificata. Fraintendimenti, voci e dicerie Abbiamo volutamente enfatizzato il valore aggiunto della collaborazione tra i diversi at- tori rispetto alla comunicazione sul rischio, così come abbiamo sottolineato il potenziale positivo del conoscere la comunità, come strumento per costruire una comunicazione del rischio efficace. Non possiamo dimenticare, però, che tra il pubblico si possono diffondere voci, ine- sattezze e “leggende metropolitane”. Le persone tendono a condividere informazioni con i membri del proprio network. In un’epoca di multiappartenenze, che riconosce molte più reti e molti più luoghi di interscambi comunicativi, se le informazioni erronee e le voci entrano in circolo possono diffondersi rapidamente e ostacolare la comunica- zione corretta con gravi implicazioni sulla salute pubblica. Che fare? Se gli errori si diffondono può essere opportuno considerare in primo luo- go la logica sottostante, riconoscerne la legittimità, evidenziare cosa non funziona del modo in cui si è giunti a quelle conclusioni e fornire informazioni corrette. Qui di seguito Il coinvolgimento delle parti sociali Partner, stakeholders, parti sociali sono termini che indicano la complessità del rapporto con parti terze (rispetto al comunicatore istituzionale e al pubblico generale). Nel lin- guaggio ordinario, il termine parti sociali rimanda a un rapporto di conflittualità (azien- da-sindacato, ad esempio), il termine partner a un rapporto di collaborazione, mentre stakeholders è utilizzato con un’accezione più neutrale, meno centrata sulla qualità del rapporto, più focalizzata sul contenuto di tale rapporto (l’interesse appunto). Intanto chi sono queste parti terze? Ci sono i media, le organizzazioni che a vario titolo fanno comunicazione del rischio nell’ambito delle loro attività nel privato sociale (ONG, associazioni di volontariato, culturali, ambientali ecc.), le organizzazioni che sono nate per difendersi dal rischio, e sono diventate, magari senza una volontà precisa in tale senso, strategiche sul piano della comunicazione. Poi ci sono tutte le altre organiz- zazioni/istituzioni che si occupano di gestione del rischio nel settore pubblico e privato. Un panorama variegato, complicato dal fatto che in relazione al tipo di rischio, queste parti terze si moltiplicano, specie quando sono in ballo interessi politici ed economici (pensiamo ad esempio alla produzione di energia, o allo stoccaggio di rifiuti). La moltiplicazione degli stakeholders è l’esito di un duplice processo: da un lato l’au- mento della domanda di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte delle amministra- zioni locali (Lombardi, 1997), dall’altro il riconoscimento del loro ruolo strategico, che ha reso necessario incrementarne la consultazione e favorirne il coinvolgimento. Una sorta di circolarità virtuosa che ha conferito anche maggiore identità agli attori in gioco. Le linee guida che abbiamo consultato forniscono indicazioni sulle azioni da adottare per la costruzione di alleanze funzionali alla comunicazione del rischio. Riportiamo in tabella quelle prodotte dal WHO (2005). Costruire partnership Azioni da intraprendere Per Identificare i partner possibili in relazione a vari scenari di crisi prima che questa abbia luogo …sapere chi deve e chi può fornire aiuto in caso di emergenza Definire il profilo delle organizzazioni partner e identificare il proprio interlocutore di riferimento in ciascuna organizzazione …identificare la mission, i valori e le questioni che interessano l’organizzazione e il proprio interlocutore di riferimento Analizzare risorse e criticità comunicative delle organizzazioni partner …verificare la credibilità e l’opportunità di collaborare sul piano comunicativo Conoscere la struttura dell’organizzazione partner …individuare chi ha responsabilità decisionali al suo interno e sapere chi contattare in relazione al bisogno specifico Definire ruoli e responsabilità comunicative in un ipotetico scenario di crisi …concordare su chi e come fare comunicazione. Definire le procedure e le modalità per comunicazioni congiunte Avere una lista di contatti aggiornata …sapere sempre chi contattare in caso di crisi PUBBLICO GENERALE Managers del rischo Figure istituzionali (UE, Ministeri, Governo) Stakeholders (scienziati, accademici) Media Comunicatore istituzionale Tecnici del rischio Stakeholders (Utenti, Ong, Aziende) Il sistema di attori nella comunicazione pubblica Fonte: WHO (2005) 36 se z io n e ii A PP LI C A ZI O N I 37 8 L a co m un ic az io ne d el r is ch io u ra ni o im p ov er ito • Illustrare le spiegazioni alternative e complesse nella relazione tra esposizione e esiti di salute, cercando di offrire una panoramica generale dello stato dell’arte sull’argo- mento (“questi effetti possono essere dovuti all’uranio impoverito ma anche a…”). Può essere necessario mostrare anche le debolezze o le incoerenze dei risultati di ricerca (“al momento attuale le conoscenze disponibili non ci permettono di dire che…”). • Mostrare le attività previste per monitorare e gestire il rischio, dimostrando una con- sapevolezza del rischio stesso. Coinvolgere le persone sulle strategie adottabili po- trebbe essere un elemento utile per tranquillizzare i beneficiari del messaggio. • Verificare la comprensione del messaggio, sia in itinere che ex-post, chiedendo feed- back ai destinatari. Comunicare con i diversi destinatari • Al personale impegnato in aree colpite dalla guerra. La comunicazione dovrebbe essere rivolta a preparare il personale prima delle missioni all’estero sui rischi esi- stenti e sulle modalità per fronteggiarli e ridurli. La formazione dovrebbe prevedere momenti teorici (Cos’è l’uranio? Quando e Perché si usa?), ma anche momenti pra- tici, con precise indicazioni ed esempi comportamentali (Cosa fare per proteggersi dalla contaminazione). Dovrebbe avere, inoltre, un carattere di continuità e trasmet- tere consapevolezza di ciò che si sta trattando e percezione di controllo sul rischio, evitando cosi il sentimento di incontrollabilità e di ignoto che sembra aver influito sulla percezione dell’uranio impoverito come unico “killer di guerra”. Il personale coinvolto in aree colpite dalla guerra dovrebbe ricevere sostegno anche al ritorno in patria, attraverso il monitoraggio dei potenziali effetti fisici e psicologici della missione. • Alla popolazione generale. La comunicazione verso la popolazione generale dovreb- be prevedere un carattere di continuità e accessibilità dell’informazione. I rischi deri- vanti da uranio impoverito sono stati oggetto di attenzione mediatica intensa con un picco massimo nella prima metà degli anni 2000, durante il quale servizi di denuncia e “storie di vita di malati e sopravvissuti”, hanno contribuito ad aumentare la perce- zione del rischio. 9 La comunicazione del rischio influenza Prestare attenzione a come le persone si rappresentano il rischio influenza ƒ Per ciò che concerne l’influenza stagionale, le persone ultrasessantacinquenni la per- cepiscono come mediamente pericolosa ma si sentono poco a rischio di contrarla e di subire conseguenze gravi (Prati, Pietrantoni e Zani, 2011). ƒ Per ciò che concerne l’influenza A/H1N1 la percezione del rischio è tendenzialmente bassa, le persone sono poco preoccupate e pensano di avere basse probabilità di contrarre tale virus. Inoltre nove persone su dieci dichiarano di non volersi vaccinare. Una quota consistente di cittadini ha tuttavia seguito le raccomandazioni igieniche piti o mansioni di tali istituzioni possono essere al centro di un acceso dibattito pubblico (ad es., la legittimazione della guerra o dell’uso delle armi). Ciò rende la costruzione di un legame fiduciario più complesso e si possono innescare in alcuni gruppi sociali spirali di sfiducia e scetticismo, fino a vere e proprie teorie della co- spirazione. • Mostrare empatia. Mostrare un atteggiamento di apertura nei confronti delle pre- occupazioni espresse dagli operatori, dai loro familiari e dal pubblico in generale. Accogliere le preoccupazioni, anche quelle che agli occhi di un esperto risultano com- pletamente infondate, non significa confermarne la validità scientifica ma accettare lo stato d’animo dell’interlocutore. Tale accoglienza può facilitare il passaggio da un atteggiamento di opposizione a uno di confronto (“comprendiamo la difficoltà ad affrontare questo momento e la vostra rabbia”, “vogliamo con voi trovare le ragioni di quello che sta succedendo”.) • Evidenziare interesse. Mostrare il proprio interesse e impegno nei confronti del tema, tramite convegni, dibattiti sui media e comunicazioni istituzionali, evitando di “alzare dei muri”. Dare chiare indicazioni su centri e persone che possono aiutare vit- time e familiari facilita la fiducia verso le istituzioni, riducendo il senso di abbandono e tradimento. • Presentare la propria expertise. Si possono spiegare i dati e la metodologia delle ricerche epidemiologiche mostrando competenze ed expertise e il fondamento em- pirico delle frasi pronunciate. • Essere trasparenti. È necessario essere il più possibile trasparenti nel comunicare i dati degli studi fatti e delle fonti. Ogni informazione celata può dare luogo a sospet- ti. È necessario essere schietti anche nell’ammettere i propri errori o le contraddizioni o discrepanze tra i risultati emersi. • Rivelarsi imparziali. È necessario garantire l’imparzialità, nello specifico evitare situa- zioni in cui il controllore sia anche il controllato. Se possibile affidare la conduzione degli studi a enti esterni riconosciuti per il loro prestigio. Se non è possibile, dare la possibilità a ricercatori designati dalle parti di verificare l’andamento e le procedure adottate negli studi. • Includere valori rilevanti per il target. Fare presente che la salute è un valore di primaria importanza (“ci sta a cuore la salute di coloro che sono partiti all’estero per una missione di pace”) oppure dichiarare che è legittimo chiedere risarcimenti per danni subiti a causa di negligenze (“chi ha subito dei danni a causa di negli- genze è giusto che chieda un risarcimento”) o sottolineare il riconoscimento per l’impegno nei confronti della patria da parte dei militari (“siamo grati per il loro impegno”). Sviluppare messaggi efficaci • Distanziare l’espressione “uranio impoverito” dal concetto di nucleare rimarcando che l’uranio è un elemento presente in natura (“L’uranio è un elemento naturale, noi ci viviamo con l’uranio, ci coesistiamo, lo ingeriamo, lo espelliamo”). Può essere conve- niente utilizzare adeguatamente il confronto con altri rischi simili al fine di contestua- lizzare e comprendere meglio l’entità del rischio (l’esposizione da uranio impoverito può equivalere a…) 38 se z io n e ii A PP LI C A ZI O N I 39 9 L a co m un ic az io ne d el r is ch io in flu en zare più efficacemente queste componenti può essere utile spiegarle attraverso storie personali (vedi riquadro). • La rassicurazione dovrebbe riguardare solamente aspetti connessi alle contromisure e alle raccomandazioni, e non al rischio dell’influenza. Per esempio rassicurare la po- polazione, sostenendo che il rischio di contrarre l’influenza è basso, si associa a una minore aderenza alle raccomandazioni. Inoltre se ci sono state precedenti comunica- zioni che enfatizzavano il rischio, tali rassicurazioni vengono percepite come contrad- dittorie causando, così, una perdita della credibilità. • Per alcuni specifici target, come i bambini, possono essere efficaci campagne comunicative che associano le contromisure e le raccomandazioni comporta- mentali a elementi ironici e ludici ed emozioni positive (es. la campagna Topo Gigio del Ministero della Salute in occasione della pandemia H1N1 nell’anno 2010). Sviluppare messaggi efficaci • Una buona campagna informativa prevede un insieme di informazioni che siano com- prensibili e chiare. Termini troppo tecnici-scientifici quali over 65, infezione virale acu- ta o serbatoio di diffusione potrebbero non essere comprensibili da una parte della popolazione (es., meno istruiti, anziani). • Una comunicazione che utilizza immagini e colori potrebbe apparire più piacevole e accattivante, aumentando cosi la probabilità che il materiale cartaceo sia letto (es., volantini nelle sale d’aspetto dei medici di medicina generale). • Potrebbe essere utile utilizzare espressioni al positivo “questo è… piuttosto che questo non è…” veicolando informazioni complementari che contribuiscono ad aiutare il soggetto a rappresentarsi in modo più accurato la malattia “influenza” (nome, cause, conseguenze, controllabilità, andamento cronico o acuto), ad esem- pio attraverso frasi come “la malattia è trattabile” o ”i sintomi sono facilmente riconoscibili”. • I messaggi devono essere diversificati in base ai target: personale sanitario, fami- glie, giovani in età scolare, lavoratori, anziani. Ad esempio, una comunicazione più tecnica potrebbe essere utile a chi già ha competenza in ambito medico, mentre la narrazione di una storia è adeguata se il messaggio è rivolto alle famiglie con bambini o agli anziani. Utilizzare canali differenti • La maggior parte dei cittadini acquisisce informazioni sull’influenza dalla TV. In base ai dati raccolti sull’impatto della Campagna di Topo Gigio, è emerso che la quasi totalità dei partecipanti ha riferito di avere visto la campagna in TV (96%), in misura minore su giornali/riviste (74%), su volantini o manifesti (47%) e di averla sentita alla radio (36%). • È necessario ricorrere a più canali per incrementare le possibilità di successo del- la campagna comunicativa. Comunicare attraverso giornali e riviste sembra essere particolarmente efficace poiché coloro che hanno acquisito le conoscenze attraverso questa modalità sembrano essere più ricettivi alle raccomandazioni proposte. per prevenire il rischio di contagio, soprattutto lavarsi più frequentemente le mani. Le altre raccomandazioni (es., coprire naso e bocca con un fazzoletto prima di starnutire o evitare contatti con persone che presentavano sintomi di influenza) sono meno seguite. ƒ Prima di condurre una campagna comunicativa può essere utile realizzare un’inda- gine sui fattori psicosociali legati all’influenza: come le persone la percepiscono in termini di gravità, se si sentono a rischio, se sono preoccupate e come valutano l’adozione delle contromisure. Tali fattori sono risultati importanti per promuovere una più ampia adesione alle raccomandazioni comportamentali (Rubin, Potts e Mi- chie, 2010). Rafforzare la fiducia verso le istituzioni sanitarie • “L’uso di molteplici strumenti e modalità comunicative (pensiamo a numeri verdi, siti internet, adesione ai messaggi dell’Organizzazione mondiale della salute - WHO) può trasmettere l’idea che la fonte della comunicazione non è un individuo singolo ma una istituzione supportata da una comunità scientifica riconosciuta a livello nazionale e internazionale”. • Può essere utile impostare una comunicazione in cui si rimarca la similarità e la con- divisione di valori tra istituzioni e la popolazione. Il desiderio di tutelare la salute può essere presentato come valore che accomuna entrambe le parti. • Il vaccino antiinfluenzale è una pratica ormai consolidata e diffusa nella popolazione italiana, nonostante vi sia una quota minoritaria di italiani che ha convinzioni negative specifiche sul vaccino (ad es., ritiene che sia causa di problemi di salute) o verso la medicina in generale (ad es., ritiene che il vaccino rappresenti un’occasione di profitto da parte delle aziende farmaceutiche). Un messaggio che riconosca tali credenze e sappia adeguatamente controargomentarle può rivelarsi più efficace e capace di ge- nerare fiducia verso le istituzioni di un messaggio meramente prescrittivo. Aumentare la preoccupazione e la percezione di far fronte • Non dimenticare che chi riceve un messaggio di rischio sull’influenza proverà delle emozioni negative, ad esempio la preoccupazione. Si è visto che l’aumento dei livelli di preoccupazione nella popolazione corrisponde a una maggiore aderenza alle rac- comandazioni comportamentali. • Tuttavia è importante valutare attentamente la pericolosità dell’influenza prima di in- tervenire con messaggi volti a incrementare la preoccupazione, per non influire ne- gativamente sulla fiducia. L’aumento della preoccupazione può contribuire anche a mettere in atto comportamenti che non hanno alcun significato protettivo o sono addirittura rischiosi, per esempio evitare di uscire di casa. • Oltre all’enfasi sui rischi, è necessario porre altrettanta enfasi sull’efficacia e sulla fa- cilità di adozione delle contromisure. In questo senso il modello dei processi paralleli nella sua versione estesa (Extended Parallel Process Model, EPPM, cfr. Witte et al, 2001) suggerisce che l’efficacia di una campagna dipende dal grado in cui riesce ad aumentare la percezione del rischio dei destinatari favorendo, allo stesso tempo, l’ef- ficacia del comportamento consigliato e la capacità di metterlo in atto. Per comunica- 40 se z io n e ii A PP LI C A ZI O N I 41 10 L a co m un ic az io ne d el r is ch io O G M I 10 La comunicazione del rischio OGM Prestare attenzione a come le persone si rappresentano i prodotti OGM • Le applicazioni agroalimentari delle biotecnologie rappresentano un caso particolare rispetto all’intero settore, perché riguardano l’ambito alimentare. Come hanno di- mostrato ampiamente i casi quali quelli del morbo della mucca pazza o dell’influenza aviaria, il consumo di alcuni cibi può calare drasticamente quando si diffondano no- tizie su pericoli potenziali. Non è un caso, infatti, che le applicazioni mediche (bio- tecnologia rossa) sono quelle che riscuotono maggiore consenso, al contrario delle applicazioni agroalimentari (biotecnologia verde) per le quali si registrano i maggiori livelli di opposizione. • Il tema delle applicazioni agroalimentari delle biotecnologie ruota intorno a due opi- nioni/ posizioni contrastanti: da una parte, la pratica OGM è vista come pratica che “contamina” (le colture OGM intaccherebbero le colture classiche generando nel tempo estinzioni o contaminazioni dannose); dall’altra la pratica OGM è considerata come miglioramento della coltivazione, variando le colture e i loro processi. • Nella popolazione generale non è cosi chiara e netta la definizione di coltura OGM ed è spesso confusa con la coltura dei prodotti transgenici. • La maggior parte della popolazione ha opinioni negative nei confronti degli alimenti OGM, che percepisce come rischiosi anche se non in modo elevato, e di cui non co- glie i vantaggi. • All’aumentare della percezione dei benefici per il consumatore (per esempio, prodotti di qualità o di maggiore convenienza), corrispondono atteggiamenti meno negativi. Inoltre, chi percepisce più benefici e valuta come bassi i rischi per la salute e l’ambien- te, tende a consumare prodotti OGM. Instaurare fiducia e dialogo • In materia di OGM gli italiani sono tendenzialmente poco inclini a trovare un ente, associazione o istituzione che possa godere della loro fiducia. Le multinazionali as- sieme al Governo godono di una scarsa fiducia. La fiducia accordata ai Ministeri (Mi- nistero della Salute e al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) è più elevata, probabilmente perché riflettono competenze specifiche in materia. L’Unione Europea è l’istituzione che gode di maggiore fiducia sul tema degli OGM. Ma anche organizzazioni di categoria (es., Coldiretti), gruppi di ambientalisti e associazioni dei consumatori. • È importante considerare i feedback provenienti dalla popolazione e cercare di instau- rare un dialogo. Quando sono state esercitate pressioni per imporre la commercializ- zazione del prodotto OGM senza tenere conto delle richieste dell’opinione pubblica, si è assistito a esiti in direzione opposta. Ad esempio negli Stati Uniti al rifiuto della richiesta di apporre etichette per identificare determinati prodotti OGM, l’opinione pubblica ha reagito negativamente gettando discredito su tutto il settore. È indispen- sabile, quindi, promuovere strategie partecipative e favorire processi di negoziazione. Esempio di messaggi per la prevenzione dell’influenza basati su storie e componenti dell’EPPM La storia di Maria. “Ho 68 anni, e pensavo di non prendermi l’influenza. Non sono più tanto giovane, ma ho sempre goduto di buona salute. Però alla mia età è normale che il corpo faccia più fatica a combattere virus e malattie e che le loro conseguenze siano più gravi. Penso di avere preso l’influenza dal mio nipotino. Quando ho avuto i primi sintomi, ho capito che ero contagiosa e avrei potuto attaccare l’influenza anche a mio marito, che ha qualche acciacco più di me. Adesso sto molto attenta, mi hanno spiegato che si è contagiosi già un paio di giorni prima di manifestare i sintomi e che il virus si trasmette davvero facilmente, quando si tossisce e starnutisce, ma anche attraverso il contatto di mani contaminate. Negli ambienti chiusi e affollati come supermercati o mezzi pubblici occorre fare attenzione perché lì è davvero facile prendere il virus.” Percezione di vulnerabilità La storia di Luigi. “Ho 67 anni e l’anno scorso ho avuto una bruttissima influenza. Quando si è giovani, l’influenza può passare in qualche giorno. Nel mio caso ho avuto complicanze gravi e mi hanno ricoverato per una polmonite. All’inizio pensavo che fosse una cosa passeggera come un semplice raffreddore. Poi ho avuto febbre alta, dolori muscolari, forte mal di testa, stanchezza. Sono stato a letto e poi in ospedale per parecchio tempo.” Percezione di gravità La storia di Giovanna. “Ho 65 anni, faccio il vaccino tutti gli anni perché il virus cambia frequentemente e per proteggersi bisogna ripeterlo ogni anno. In questo modo mi sento più serena, proteggo me stessa ma anche chi mi sta attorno. Sono convinta che la vaccinazione sia il mezzo più efficace e sicuro per prevenire la malattia e le sue complicanze. Da quando mi vaccino non ho avuto quasi mai l’influenza. Quando mi è capitato di averla, si è risolta in poco tempo. Il mio medico mi ha spiegato che dopo circa 2 settimane dalla somministrazione del vaccino, si è protetti. In questo periodo il nostro corpo sviluppa le difese naturali per difenderci dall’attacco del virus. Una volta mi è capitato di sentire un leggero malessere per qualche giorno dopo essermi vaccinata. Questo è accaduto perché il mio corpo stava creando gli anticorpi.” Percezione di efficacia della contromisura La storia di Alberto. “Ho 70 anni ed i medici sostengono che per le persone della mia età sia importante vaccinarsi per l’influenza stagionale. Da quando ho compiuto 65 anni, mi posso vaccinare gratuitamente perché la vaccinazione è a costo zero per noi che abbiamo più di 65 anni. Vaccinarsi è una cosa semplice. Sono andato dal mio medico che ha provveduto a vaccinarmi subito nel suo ambulatorio. Quando non mi sono potuto recare dal medico, è venuto a casa mia. Quando ho bisogno di informazioni, mi è facile andare alla farmacia o all’ambulatorio più vicino”. Percezione di auto-efficacia
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