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Lingua italiana nel Quattrocento e nel Cinquecento, Appunti di Storia della lingua italiana

Appunti sugli sviluppi della lingua italiana nel Quattrocento (umanesimo); Giambattista Alberti; lingue di koinè; problema della norma linguistica (Machiavelli, Bembo e Trissino); introduzione all'Accademia della Crusca.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 26/07/2022

sofiabirocco
sofiabirocco 🇮🇹

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Scarica Lingua italiana nel Quattrocento e nel Cinquecento e più Appunti in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Quattrocento e Cinquecento Concezione umanistica della lingua: La riscoperta dei testi classici durante l’Umanesimo e il Rinascimento ha prodotto ripercussioni forti anche dal punto di vista linguistico. La cartografia medievale (con la Sicilia al Nord) cambia con il fiammingo Gherardo Mercatore nel 1500 avanzato e insieme cambia anche la concezione della realtà tra uomo medievale e uomo rinascimentale. Alberti vs Dante: il primo è fiorentino linguisticamente e ha lasciato tracce anche in altre città (es. Rimini), egli non è più il letterato alla Dante, è anche architetto e costruttore, è un matematico e i suoi testi erano testi di un umanista. Gli umanisti applicano un doppio livello alla lingua: scindono un livello primario, la locutio naturalis e un livello retorico, quello degli scrittori, la locutio artificialis. Per gli umanisti questa non spetta solo al latino, come per Dante, ma deve spettare anche al volgare. Per Dante era impensabile perché la locutio artificialis, cioè il livello retorico, era solo per il latino: il latino per Dante era stato inventato dai grammatici volgari per la scuola, ora nell’Umanesimo si capisce che non è più così. • Legittimazione del volgare come “lingua letteraria”. • Legittimazione del volgare come “lingua grammaticale” (impensabile per Dante nel De vulgari eloquentia). Gli umanisti storicizzano per cui quasi più nessuno è legato al mito babelico riguardo la creazione della lingua: si vuole dare concretezza storica e reale della creazione della lingua volgare La grammatica è legata alla locutio naturalis, ovvero il fiorentino volgare: era impensabile per Dante, non ci aveva mai pensato nessuno, lui pensava alla classificazione geolinguistica della lingua con la lingua illustre come punto di riferimento (grammaticalità è sinonimo di regole latine). Alberti è il primo ad applicare queste nuove regole al volgare in riferimento alle regole latine. Proemio al III libro dei Libri della Famiglia: del 1437, è un trattato di economia domestica in cui Alberti sostiene che la lingua toscana potrà diventare strumento di cultura se saprà acquistare eleganza attraverso lo studio degli scrittori, soprattutto latini. Tutto ciò fa dedurre che il volgare sia una lingua giovane che deve ancora maturare: lo dice avendo però Dante, Petrarca e Boccaccio alle spalle!!! Interferenza sintattica tra latino e volgare: costrutto dell’accusativo + infinito che in italiano fa rimanere il verbo all’infinito. Problema dell’origine del volgare: Quaestio che bisogna risolvere, gli Umanisti la risolvono in maniera diversa. Alberti segue lo storiografo riminese Biondo Biondi (detto Flavio) con “le parole della lingua degli antichi romani” (da notare che non è un letterato ma uno storiografo). Si pone la domanda, che tipo di lingua usavano gli antichi romani? Per Dante il latino era una L2 perché si apprendeva a scuola e la L1 era il volgare. Biondi e gli umanisti si chiedono se il latino fosse stata la L1 degli antichi romani → risposta: si. Teoria della catastrofe: di Biondo, egli parte da dati storiografici, ovvero dalla dissoluzione dell’amministrazione romana e la discesa a varie ondate di popolazioni non latine (non latinofone) in Italia (catastrofe = dissoluzione impero-romano); non aveva la concezione della teoria della torre di Babele. Questo tentativo è un passo avanti rispetto a Dante ma oggi sappiamo che non è una teoria buona: tutta la teoria rinascimentale e post Rinascimento viene da questa teoria. ➢ il volgare, quindi, è una lingua moderna e non antica perché non viene da Babele ma dalle invasioni dei popoli germanici; il latino, al contrario, è una lingua antica. Il volgare è nato dal contatto dal latino parlato (e scritto) e le popolazioni germaniche. Questa è la teoria del Biondo e non dell’Alberti!!! Non è così perché le popolazioni germaniche avevano una lingua di superstrato; quindi, non è stata fondamentale per il cambiamento della lingua: le lingue non hanno apportato alcun cambiamento a livello sintattico (quindi a livello di substrato) ma solo a livello lessicale (super importante!). Alberti, nel proemio, parla della teoria della lingua mixta (lingua ibrida): dice che l’Italia è sempre stata invasa da popolazioni straniere (longobardi, vandali, goti, galli) e che per necessità, i popoli che stavano in Italia (latinofoni già in disgregazione), sia per essere capiti che per essere “ruffiani” con gli invasori, imparavano la lingua straniera, anche se con molti errori. Andarono così a creare interferenze della loro lingua facendo errori e per questo il latino s’inselvatichì e cambiò. Prestiti germanici altomedievali: distinguiamo i germanismi (derivati da popolazioni germaniche) e i tedeschismi (parole che derivano dall’età moderna). Grammatica della lingua toscana o “Grammatichetta”: è la prima grammatica del volgare. Non abbiamo il testo autografo ma solo l’inizio di Della Thoscana senza auttore, la copia autografa che si trova nel Vaticano Latino 1370 (del 1508) e che corrisponde all’inizio della Grammatichetta. Questo è un esperimento di una grammatica vera e non di una lingua letteraria (la conoscevano anche quelli che vennero dopo, come per esempio Bembo). Questa sua grammatica è una grammatica “descrittiva” dell’uso del fiorentino vivo al tempo dell’autore: è una nitida “fotografia” degli usi correnti a Firenze di metà Quattrocento. È molto più vicina alla grammatica nostra che alla grammatica “prescrittiva” di Bembo e del 1500. Petrarca è un aretino fiorentinizzato e il Canzoniere è scritto in fiorentino letterario: Petrarca viaggia, è un cosmopolita per il suo tempo ma quado può si ferma ad Arezzo e Firenze. Racconta il suo viaggio da Marsiglia verso il porto di Civitavecchia e dice di aver addirittura degli svenimenti (è la sua terra di origine). Rifiuta di tornare nella sua regione nonostante l’attaccamento alla sua terra, in primis dal punto di vista linguistico. Alberti descrive un alfabeto mai descritto prima. Ordine delle lettere per la lingua toscana (autografa di Alberti): ▪ c: c di “cielo”. ▪ ç: ç cedigliata di “çio”. ▪ c: c spirantizzazta di “Toschana” per indicare che è una velare. ▪ g: g di “gioco” per indicare che è una velare. ▪ e/o: sono vocali mediane, si distingue tra timbro aperto e timbro chiuso; quello della congiunzione, invece, è aperta (addirittura più aperta del verbo é). Tratti caratteristici della grammatica dell’Alberti: è un po’ sui generis rispetto alle grammatiche cinquecentesche che non seguiranno le regole adottate da lui. Ortofonico = indica la pronuncia corretta dei suoni secondo lo standard fiorentino. L’ipotesi vincente fu quella di Bembo, per un motivo che viene prima di Bembo stesso (vale anche per Manzoni). Di solito nelle vicende storiche, quando ci sono contrasti, la posizione vincente è sempre preannunciata da movimenti sotterranei che dicono cose giuste. Bembo consacra quello che era una tendenza, ovvero il mercato librario: la stampa era stata una grande invenzione, partita nel 1470 da Gutenberg, in Germania. Il mercato librario si era già pronunciato: dal 1470 in Italia si stampavano libri di classici latini come Virgilio, Orazio, Ovidio. Assieme a questi si stampavano anche, in maniera ridotta, edizioni della Commedia di Dante, del Canzoniere di Petrarca e del Decameron di Boccaccio (e poche altre cose). Bembo è stato anche un editore, cavalcò l’onda della risonanza degli autori volgari che erano messi insieme nella prima produzione a stampa libraria insieme a grandi auctores latin. Le librerie nel 1400 se le potevano permettere i grandi signori delle signorie; verso il 1500 e poi nel 1700 avevano accesso anche i borghesi e l’editoria comincia a diventare popolare. La pornografia nel 1500 era per poche persone (come i sonetti di Aretino) → per far capire come la produzione libraria sia diventata un bene usufruibile da molti solo dal 1700 in poi. Il veneziano Bembo era l’editore (il curatore) che curava l’edizione dei classici presso l’officina tipografica (odierna casa editrice) di Aldo Manuzio: era l’officina più importante del tempo in Europa. Nello stesso periodo arrivarono a Venezia tutti i greci che a fine 1400 erano stati cacciati dai Turchi a Bisanzio. È anche uno dei motivi per cui Manuzio aveva anche una collana dei retores greci, fu il primo in Europa a pubblicare queste cose. È in questo momento che il classicismo diventa bilingue: latino e greco (prima solo latino). Il greco ora diventa patrimonio della cultura rinascimentale, soprattutto in Italia ma anche più a Nord, in Germania e in Olanda. Bembo, prima di scrivere le Prose della volgar lingua, si fece le ossa scrivendo alcune poesie, come gli Asolani, ma anche stampando il Petrarca nel 1501 (era il primo) e pubblicando nel 1502 le Rime di Dante. Per Bembo i tre autori trecenteschi che prende come modello sono: ❖ Petrarca per la poesia. ❖ Boccaccio per la prosa. ❖ Dante fu poco considerato. ➢ le Prose della volgar lingua fondano un’idea della lingua volgare per fonologia e fonetica “normalizzata”. Ipotesi a: di Trissino; fu abbandonata nel 1500. Ci sono delle tracce nell’uso scritto cinquecentesco e di fine 1800 nelle tradizioni scrittorie regionali autonome del modello tosco-fiorentino (per esempio usavano forme che il Bembo aveva relegato alla poesia come sarìa = “sarei” o come anche nel veneto di Goldoni). Ipotesi b: di Machiavelli; la contempla un po’ anche Guicciardini ma poi l’abbandona (non era un irriducibile, era solo un diplomatico e nobile fiorentino), abbandonata a fine del 1500 ma utilizzata a volte ancora da Galileo (quando parlava nelle corrispondenze con la figlia), riaffiorerà a metà 1800 con Manzoni ma in un altro modo dato che lui introdusse l’uso del fiorentino vivo colto. Ipotesi c: di Bembo; è quella vincente nel dibattito ma poi anche nella produzione delle grammatiche che si baseranno sul III libro delle Prose della volgar lingua. Questo libro però non è una grammatica ma un dialogo platonico sulla grammatica. Bembo aveva una conoscenza filologica della facies (aspetto linguistico esteriore) dei testi volgari antichi (aveva i codici danteschi, il codice autografo petrarchesco, la Grammatichetta di Alberti). Questa sua ipotesi, che si basava su una buona filologia classica del 1300, fu accolta da una buona collettività di letterati e poi da tutti gli scriventi colti. Tutta la normalizzazione linguistica cinquecentesca è preceduta da uno dei fattori di standardizzazione linguistica, ovvero la stampa e le revisioni editoriali. Differenza tra manoscritti medievali o l’incunabolo quattrocentesco (come si chiamavano i testi del 1400) e la stampa cinquecentina (tutte stampe del 1500) → grandi differenze tra queste due: ➢ migliore leggibilità. ➢ messa linguistica vicino ai criteri odierni. ➢ eliminazione di numerosi segni diacritici e grafemi superflui delle scritture medievali (uso di una c cedigliata poi eliminata nel 1500; introduzione di segni paragrafematici cioè virgole, accenti e apostrofi, cosa che non c’era negli incunaboli; separazione sistematica delle parole). Petrarca aldino vs Francesco Filelfo (1478): il carattere italiano è il carattere corsivo di Bembo e Manuzio, dato dagl’inglesi. Bembo prende anche gli accenti o gli apostrofi dal greco, con funzioni differenti però. Prose della volgar lingua: di Pietro Bembo, Venezia, Aldo Manuzio, 1525. Va al di là dell’Alberti e della grammatica castigliana del Nebrija. Questo è un trattato in forma dialogica, quindi sulla forma platonica: Bembo non dà informazioni monologiche ma dialogiche (ci sono più interlocutori). Sceglie il dialogo perché è la veste umanista che cerca di persuadere e di suggerire le regole. Questo non è un esperimento ma l’affermazione di qualche cosa che già il mercato librario aveva sancito in maniera superba dal punto di vista dei caratteri (corsivo, che deriva dalla scrittura mercantile minuscola) e dei paragrafemi. I partecipanti alla fine devono persuadere il lettore della bontà di alcune lingue rispetto ad altre. Questo è un grande trattato umanistico e il modello bembiano sarà diffuso in tutto il territorio da opere ben più modeste che atomizzeranno quello che qui viene umanisticamente disposto secondo un criterio di retaggio platonico. Il problema della correttezza del volgare va affrontato nel quadro di una retorica e di una stilistica della lingua letteraria (criterio del “buon uso”). Criterio che si finge essere svolto a Venezia nel 1502: è una data importante perché a Bembo non andava giù il fatto che nel 1516 il pordenonese Giovanni Fortunio avesse mandato la prima stampa delle Regole grammaticali della volgar lingua. Personaggi: il portavoce di Pietro non è lui stesso (non si fa mai, anche Dante piuttosto usava la formula et amicus eius) perché parlare di sé non era ben visto. In questo modo i vari pluralis maiestatis sono molte volte interpretati come pluralis modestiae: il personaggio che impersona Pietro è il fratello Carlo Bembo (P. B. è l’auctor ma non il personaggio). Un altro personaggio è Federico Fregoso, genovese e cultore di lingua e cultura provenzale (quasi per contatto geografico): in uno dei libri riprende e spiega i provenzali e la lirica amorosa che viene trasportata nella corta di Federico II. Poi vi è Giuliano de Medici (poi diventerà papa), è un fiorentino di nascita ma non è un fiorentinista (dice cose che al Machiavelli avrebbero fatto orrore), è molto corrotto dalla tesi di Bembo ed è colui che detta le regole grammaticali del III libro. Infine, vi è Ercole Strozzi: tutto il dialogo è stato scritto contro di lui dato che è un poeta umanista e latinista, l’ultimo sostenitore della poesia e cultura umanistica latina. Nel 1400 la preponderanza letteraria, sia per la prosa che per la poesia era di scrivere in latino, eccetto per Alberti. Tutti dicono che per scrivere bene è necessario riprendere le regole grammaticali dei grandi autori trecentisti. Qual è la norma linguistica per la lingua letteraria comune? I primi due libri sostengono la trattazione grammaticale e la scelta del III libro: ➢ rifiuto di una ipotesi cortigiana o “italianista” della lingua (Trissino): per Bembo non esisteva una lingua letteraria codificata se non c’era una letteratura. Secondo lui non c’erano opere cortigiane che potessero essere prese come esempio (Bembo riconosce gli scrittori solo sui generi della poesia lirica e trattatistica). ➢ riconoscimento della superiorità del fiorentino o toscano (fiorentino letterario) sugli altri volgari, perché possiede una letteratura ormai classica, abbinabile alla letteratura dei grandi come Virgilio, Orazio ecc. Non vi è quindi il riconoscimento delle tesi fiorentiniste (Machiavelli): Carlo Bembo dice che a quel tempo, il fatto di assomigliare a Machiavelli per scrivere, non fosse di grande vantaggio. ➢ separazione della lingua delle scritture colte e letterarie e dell’uso vivo, soprattutto letterario. Bembo taglia fuori la parte di letteratura mediceo-laurenziana del 1400 (Pulci, Poliziano, Lorenzo de Medici) che aveva sostenuto una lingua fiorentina viva. Terzo libro: il fiorentino Giuliano de Medici detta le norme che riflettono la morfologia dei classici trecenteschi (e non del fiorentino contemporaneo, come voleva Machiavelli!). Modelli di riferimento formativo: • poesia: Petrarca (più che Dante). • prosa: Boccaccio (più che Sacchetti). • assenza di una letteratura veneta da contrapporre alla ricchezza e all’eleganza classica della letteratura toscana del 1300. Caratteri funzionali della scelta del fiorentino trecentesco: • assenza di troncamenti in fine parola. • assenza di geminazione e scempiamento delle doppie. • regolarità della morfologia toscana. • le “cose del dire”: modi di dire, fraseologismi. Classicista vs integralista: I Classicisti (come Bembo) vogliono la bona consuetudo degli auctores del Trecento (i classicisti sono selettivi). → sceglie, seleziona I Cruscanti (come Salviati) non sono dei classicisti perché sostenevano che tutti nel Trecento scrivevano bene (è un pensiero integralista). → o tutto o niente Bembo cavalca l’onda del successo degli autori toscani del 1300, già prima di scrivere le Prose. Accoglimento della norma: la norma non è così rigida come si pensa, ammetteva la duplice forma (dimorfia), sia poetica che prosastica. Le altre tradizioni, come quella francese o inglese, invece non avevano questo doppio uso delle forme. Lo stesso Bembo prima delle Prose era “prebembiano”, nel senso che nell’autografo degli Asolani ci sono delle parole che si rifanno a parole di koinè settentrionale; dopo le Prose, Bembo attua dei ritocchi fonomorfologici: c’è l’avvicinamento progressivo all’ideale linguistico di norma arcaica del toscano letterario del 1300.
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