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Linguaggio e comunicazione animale, Sbobinature di Linguistica Generale

Il concetto di linguaggio e la sua differenza dalle lingue, la facoltà di linguaggio umana e la comunicazione animale. Si parla di variazione linguistica e di capacità cognitive degli animali, con un esempio di comunicazione sonora dei cercopitechi. Si approfondisce la facoltà di linguaggio umana, la sua natura biologica e la sua relazione con la grammatica e le lingue naturali.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 23/09/2022

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Scarica Linguaggio e comunicazione animale e più Sbobinature in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! Linguaggio, nella sua espressione non tecnica, ha significati diversi: 1. È usata per indicare un qualunque mezzo espressivo che non necessariamente utilizza parole e che può avere accezioni molto varie, usata in modo generico e poco significativo (linguaggio del corpo, dei fiori…) 2. Ha un significato più preciso in riferimento ad un sistema espressivo e stilistico, ad esempio sistemi usati nelle varie arti, nel cinema.. (a volte si usa la parola grammatica) 3. È utilizzata per indicare sistemi formati da lettere, cifre, simboli usati in modo convenzionale per esprimere in maniera non ambigua teorie o connessioni formali, linguaggi artificiali, inventati dagli esseri umani (linguaggio della matematica, della logica, informatici) 4. È utilizzata in riferimento a sistemi di comunicazione esistenti e osservati in specie animali o non umani. In senso specifico: Un sistema mentale che permette di esprimere pensieri utilizzando un sistema di suoni, ovvero significati, concetti e pensieri associati a suoni I suoni sono la forma più naturale dell’espressione linguistica; le lingue si esprimono nell’associazione tra significati e suono. Ma non sono l’unico sistema per l’espressione dei significati nel linguaggio: esiste una forma scritta, dei segni grafici, che possono essere alfabetici o di altra natura, che corrispondono a dei significati (rimandano però sempre a parole, ovvero suoni). Esistono le lingue dei segni, con un canale espressivo diverso da quello delle lingue orali, influenzando alcuni aspetti (le parole “suono” e “parlare” sono usate in senso molto astratto). La capacità di associare significati a segni e suoni è chiamata facoltà di linguaggio e la linguistica è la scienza che la studia, oltre alle lingue naturali. - Linguaggio: sistema mentale esclusivo (cognitivo, interno alla mente umana) degli esseri umani, che ci permette di comprendere e formare frasi, una facoltà biologicamente determinata e presente in tutti gli individui. È UNICA - Lingua: le diverse forme in cui si realizza la facoltà del linguaggio, che vengono acquisite durante la crescita, per contatto. Le lingue hanno caratteristiche fondamentali identiche. DUE COSE DIVERSE, usati spesso in modo sbagliato. La linguistica cerca di capire quali sono i principi e le regole che i parlanti seguono quando producono e comprendono le frasi. Ciò costituisce la competenza del parlante, dove competenza è utilizzato in modo tecnico, riferendosi ad una conoscenza interna e inconsapevole. Essendo tale, noi sappiamo le regole ma non sappiamo dire quali sono. È vero che abbiamo conoscenze sul linguaggio che sappiamo spiegare, come la grammatica, ma si tratta di una piccola parte di conoscenze che servono a descrivere il funzionamento delle lingue e non sono le uniche a cui facciamo riferimento, tant’è che anche chi non ha avuto un’istruzione comprendono e formano frasi. In linguistica, si arriva alla facoltà di linguaggio tramite le lingue, studiandole, e comprendendo in che cosa consiste questa capacità nella mente dei parlanti, cercando di capire cos’è possibile e non nella costruzione e interpretazione delle frasi. Le lingue si definiscono naturali perché apprese spontaneamente dalle persone. - Gli animali comunicano? Sarebbero in grado di usare il linguaggio? La facoltà del linguaggio è esclusiva degli esseri umani, è evidente, ma non vuol dire che gli animali non comunichino. - Da che cosa capiamo che non è appresa ma trasmessa biologicamente? Secondo molti esiste un sistema cognitivo che permette agli esseri umani di apprendere le lingue, secondo altri esiste una facoltà del linguaggio. - In cosa consiste la variazione linguistica? Il linguaggio è uniforme, le lingue sono diverse e soggette a cambiamenti. Comunicazione: passaggio di informazioni ottenuto attraverso l’utilizzo di segnali, necessari per la sopravvivenza. Gli animali si servono di segnali visivi (segnali luminosi), segnali del corpo, segnali sonori, segnali chimici (emissioni di sostanze). Il concetto di comunicazione può essere anche esteso, come la comunicazione linguistica umana, che avviene tramite il linguaggio, caratterizzato da capacità simbolica (capacità di usare simboli, fare riferimento a oggetti o concetti tramite essi), intenzionalità (consapevole intenzione comunicativa) e capacità combinatoria (capacità di esprimere significati complessi, nuovi, attraverso la combinazione dei simboli). Negli ultimi decenni gli studiosi della mente animale hanno dato rilievo allo studio comparativo, che confronta le abilità di specie diverse, quella umana inclusa. Questi studi analitici hanno dimostrato che in diverse specie animali ci sono capacità cognitive, ovvero capacità di costruire delle conoscenze e conservarle, che prima non erano sospettate e alcune riguardano la comunicazione. Un caso curioso, noto dagli anni 80, è quello del cercopiteco, una scimmia di piccola dimensione presente in Africa. Questi emettono dei segnali sonori quando percepiscono la presenza di predatori, in particolare è stato osservato che cambiano segnale a seconda del tipo di predatore, distinti in leopardo, aquile e serpenti. La reazione degli altri individui è diversa a seconda del tipo di predatore: se questi percepiscono il segnale leopardo, scappano; se percepiscono il segnale aquila, si nascondono; se percepiscono il parole semplici hanno comunque un significato complesso (coltello=insieme di caratteristiche che noi riconosciamo essere comuni alla classe delle cose che chiamiamo coltello). Negli uomini il riferimento passa attraverso una rappresentazione mentale, astratta, che contiene queste proprietà, senza corrispondere ad una cosa precisa nell’ambiente attuale, tant’è che possiamo parlarne anche senza avere l’oggetto davanti a noi, perché sappiamo cos’è - i primati non combinano le parole in base a regole della sintassi delle lingue naturali, o comunque lo fanno minimamente (la maggior parte delle volte sono frasi molto semplici). Inoltre, non abbiamo prove che siano in grado di costruire frasi. In sintesi, le scimmie antropomorfe sanno usare un buon numero di simboli, ma non possono imparare la grammatica. La facoltà di linguaggio consiste di abilità diverse, abilità che coinvolgono la sfera motorio-percettiva: 1. la capacità percettiva per il riconoscimento dei suoni 2. Capacità motoria fine per l’articolazione dei suoni 3. Capacità d’imitazione dei suoni, che ne permette l’apprendimento. Queste sono tutte e tre presenti in specie animali, ma non tutte e non tutte insieme. Ci sono animali che sanno produrre suoni in maniera eccellente, li sanno imitare. Altre abilità sono quelle concettuali, come quella simbolica (usa strutture della mente per associare un certo simbolo/suono ad un oggetto), ma negli uomini c’è la capacità combinatoria, ovvero quella di produrre frasi di significato, che almeno per ora negli animali non è stata osservata. Il linguaggio è un sistema biologico. Il linguaggio è un sistema perché formato da più componenti, i cui svolgono i loro compiti interagendo con gli altri. Vari organi e vari sistemi anatomici, fisiologici e mentali entrano in gioco nel linguaggio: per i suoni, entra in gioco il sistema percettivo e uditivo, per la loro produzione invece il sistema motorio. Ci sono poi abilità mentali, un lavoro della mente, che consiste all’associazione di suoni al significato, o il significato alla parola, o nell’applicazione delle regole che portano alla costruzione di frasi. È un sistema previsto dalla natura, quindi si differenzia dai sistemi artificiali, ovvero quelli inventati, come la scrittura (non è trasmesso biologicamente ma culturalmente). Un paragone con un altro sistema biologico proprio della specie umana ci aiuta a capire alcune caratteristiche proprie del linguaggio: il sistema visivo. È anch’esso un sistema biologico, in quanto si basa sull’azione e sulla sinergia di vari organi e abilità della specie umana ed è previsto geneticamente. La visione non consiste semplicemente nel recepire degli stimoli luminosi che colpiscono la retina, che è comunque una componente necessaria del sistema, ma consiste anche nel fatto che la mente elabora e interpreta questi stimoli, quindi c’è una parte mentale cognitiva che entra in gioco e crea una rappresentazione mentale, delle forme che corrispondono agli stimoli visivi. Questo significa che la rappresentazione mentale delle forme a cui siamo esposti non direttamente corrisponde agli stimoli stessi, perché c’è un lavoro di filtri della mente. Ovviamente, anche gli animali hanno il sistema visivo, ma in ogni specie funziona in modo diverso. Noi non vediamo le forme solo perché ce le abbiamo già in mente, ma perché è quello che la vista ci porta a fare naturalmente. Il modo in cui gli esseri umani recepiscono ed elaborano gli stimoli luminosi, e quindi il funzionamento della vista, non si basa su conoscenze derivanti da una precedente esperienza, ma su caratteristiche del sistema visivo, che sono innate e specifiche della specie umana. Il modo in cui gli esseri umani sviluppano e usano il linguaggio non è condizionato dagli stimoli linguistici a cui sono esposti, ma risponde a caratteristiche della facoltà di linguaggio, che sono innate e specifiche della specie umana. Il linguaggio non è semplicemente una capacitò appresa attraverso l’esperienza e non è semplicemente una capacità trasmessa culturalmente di generazione e in generazione. Vediamo perché. A questa concezione del linguaggio, si presenta un problema: il linguaggio è un sistema biologico, ma particolare, perché si sviluppa sugli stimoli dell’ambiente circostante. Un ruolo così determinante dell’ambiente non è osservabile in altri sistemi biologici della specie umana. Gli altri sistemi maturano allo stesso modo in tutti gli individui. In alcune teorie del linguaggio, questa differenza è stata interpretata come la prova che il linguaggio non è un sistema biologico, che le lingue sono prodotti sociali trasmessi come patrimonio culturale attraverso le generazioni. Perché avvenga l’acquisizione linguistica è necessario essere esposti a stimoli. Questi sono le parole e le frasi pronunciate da altri. Questo però non vuol dire che gli stimoli e l’imitazione di essi siano sufficienti. In realtà, una delle teorie più forti a sostegno della teoria del linguaggio come facoltà determinata biologicamente è il modo in cui i bambini imparano a parlare. Quindi, nel linguaggio e nell’acquisizione linguistica ci sono: - La componente culturale, con l’acquisizione della lingua dell’ambiente in cui i bambini crescono - La componente naturale, con i bambini che imparano ad usare la madrelingua in modo spontaneo, senza uno sforzo consapevole. Inoltre, tutti gli individui acquisiscono il linguaggio, a meno che non vi siano patologie che possono coinvolgere il linguaggio. L’acquisizione avviene per tappe di sviluppo predeterminate, comparabili in tutti gli individui e per tutte le lingue, quindi la maturazione linguistica dipende solo parzialmente dagli stimoli ambientali, che sono variabili, incoerenti e non sistematici (povertà dello stimolo). Gli stimoli linguistici non sono fatti di frasi perfettamente costruite e lineari, al contrario spesso nell’uso normale del linguaggio le frasi sono interrotte, e ciononostante, purché il bambino stia in mezzo a persone che parlano, il linguaggio non è pregiudicato. Gli input disponibili nell’ambiente sono necessari ma non sufficienti per l’acquisizione del linguaggio. Non è possibile che il complesso di conoscenze che un bambino si costruisce nella mente derivi solo dalle espressioni linguistiche che il bambino stesso ha sentito nell’ambiente. L’insieme di regole che costituiscono la grammatica mentale e che permettono agli individui di formare e comprendere frasi non può basarsi solo sugli stimoli percepiti nell’ambiente. Il presupposto indispensabile per la costruzione della grammatica mentale sta nella natura della mente umana e nel fatto che essa è predisposta al linguaggio. Il traguardo dell’acquisizione linguistica è la capacità di costruire e comprendere le frasi in una data lingua e anche quella di giudicare la grammaticalità delle frasi. Un’espressione linguistica è grammaticale se rispetta le regole grammaticali di una determinata lingua. In questo senso, il concetto di grammaticalità è diverso da quello di correttezza: generalmente, corretto è un termine meno tecnico. Scorretta è una frase non grammaticale, ma può anche indicare una non accettabilità non dal punto di vista grammaticale ma dal punto di vista normativo. In certi registri italiani ad esempio, alcune frasi non sono corrette, ma nel registro colloquiale sì. I parlanti sanno dire se una frase è accettabile o meno (giudizio di grammaticalità). Tuttavia, se dovessimo spiegare perché una frase è grammaticale e un’altra no, non lo sappiamo fare, perché siamo dotati di grammatica mentale, conoscenze di cui noi non abbiamo la consapevolezza. Ciò significa che questa conoscenza non ce l’ha insegnata nessuno, quindi non è dovuta agli stimoli o da un intervento. Con l’acquisizione, i bambini costruiscono nella mente un sistema coerente di regole che, negli aspetti fondamentali, è lo stesso per tutte le lingue. Raggiunto un certo stadio competenza, gli individui sono in grado di costruire e comprendere frasi diverse da quelle precedentemente sentire. La capacità di combinare parole (sintassi) rende il linguaggio creativo: non ci limitiamo a saper usare simboli appartenenti a un repertorio predefinito, ma possiamo creare espressioni nuove. Il ruolo dell’ambiente nell’acquisizione linguistica è limitato anche in quanto la correzione da parte degli adulti ha un’utilità molto marginale. A volte si pensa che nella nostra cultura, dove gli adulti sono attivi nella vita dei bambini, ciò conta molto nell’acquisizione del linguaggio, ma non è così. È provato che: 2. Ginnie, degli anni 70, era una bambina di LA trovata quando aveva 13 anni dalla polizia. Era stata tenuta dai genitori segregata (di giorno su una sedia, di notte in un letto chiuso in una gabbia): non aveva contatti con i parenti, il padre pensava avesse un ritardo mentale e quindi aveva imposto al fratello e alla madre di non avere contatti con lei se non per le minime esigenze e soprattutto di non parlarci. Dopo la liberazione, fu seguita da medici, psicologi e linguisti e quello che è emerso è che Ginnie fece dei progressi nella cognizione generale e nel linguaggio ma non arrivò a sviluppare una competenza linguistica vagamente comparabile a quella di una persona comune (aveva una competenza linguistica di un bambino di due anni). Questi casi, riportati nella letteratura, sono sicuramente interessanti e dimostra che la mancata esposizione agli stimoli del linguaggio impedisce il processo dell’acquisizione. Tuttavia, questi dati non sono chiari dal punto di vista linguistico, perché può essere che l’isolamento abbia impedito e pregiudicato uno sviluppo mentale di queste persone e che ciò abbia portato alla non acquisizione del linguaggio. Sono invece più chiari altri dati, più numerosi e meno eccezionali, che riguardano i bambini sordi che nascono da genitori udenti, i quali non conoscono le lingue dei segni. La sordità impedisce ai bambini di recepire gli stimoli orali che portano normalmente a sviluppare e a maturare la competenza linguistica. Questi bambini si trovano in un ambiente senza stimoli utili per loro, e ciò determina una mancata acquisizione. Si tratta di bambini che crescono in un ambiente favorevole alla loro crescita, a differenza di Victor e Ginnie. Questi bambini vengono poi esposti a degli stimoli visivi (le lingue dei segni) quando non sono più bambini. Più tardi sono esposti a questi stimoli, minore è la loro capacità di imparare le lingue dei segni e ad arrivare ad avere una competenza simile a quelli nati già da persone non udenti o esposti a stimoli visivi già da piccolissimi. Il loro sviluppo cognitivo è normale, ma si trovano in uno stato di privazione degli stimoli linguistici che può compromettere lo sviluppo del linguaggio. Il linguaggio è uniforme ma le lingue sono diverse e soggette a cambiamenti. È un paradosso. Una storia significativa a questo riguardo è quella dei code talkers, i parlatori in codice. Erano una divisione della marina militare americana durante la II guerra mondiale. Nel 1942 il fronte del pacifico era un punto critico per gli USA, perché controllato dai Giapponesi, e la trasmissione di informazioni tra USA e le truppe sul pacifico era fondamentale. Dovevano essere segrete, perciò si usavano dei codici cifrati. Tuttavia, accadeva che i giapponesi erano capaci di decifrare questi messaggi, così come il contrario. Si cercava quindi di risolvere il problema e trovare un codice inviolabile. Ad un certo punto, un ingegnere californiano, Philip Johnstone, ebbe un’idea. Lui era cresciuto tra i navajo, una popolazione di nativi dell’America del nord, che abitava e abita tutt’ora un territorio compreso tra lo Iuta, il Colorado, l’Arizona e il New Mexico. Attualmente la loro è una lingua in pericolo, perché dei circa trecento mila navajo solo meno della metà conosce e usa la lingua. La maggior parte sono bilingue. Johnstone era lui stesso bilingue e sapeva quanto fosse difficile per un inglese apprendere quella lingua, quindi propose di far tradurre i messaggi dall’inglese al navajo e poi dal navajo all’inglese, così da non permettere ai giapponesi di tradurre i messaggi in codice. Iniziarono con 30 soldati e il metodo funzionò. Questa storia è rimasta un segreto militare fino al 1968, quando Nixon diede ai code talkers un riconoscimento e poi nel 1982 il congresso dichiarò il 14 agosto la giornata nazionale dei code talkers. Questa storia mette in evidenza i due aspetti del paradosso: da un lato le lingue sono così diverse (ad esempio navajo e giapponese), dall’altro però è anche vero che sono la stessa cosa (navajo e inglese, ad esempio). A fronte di questa diversità superficiale, specialmente di lessico e struttura delle parole, le lingue pur essendo diverse sono le stesse. Non si sa esattamente quante lingue esistano al mondo, perché in certe zone non ci sono conoscenze complete riguardo alle popolazioni che le abitano e anche perché non ci sono dei criteri assoluti, immutabili e sempre applicabili per stabilire se due idiomi sono lingue diverse o due varietà di una stessa lingua. Inoltre, la diversità linguistica è in costante decrescita: costantemente ci sono lingue che spariscono, perché non ci sono più parlanti che le usano. Secondo un catalogo, l’ethnologue, pubblicato online da un’organizzazione cristiana che ha come obiettivo quello di tradurre la Bibbia in tutte le lingue del mondo e quindi di studiare le lingue, darne una spiegazione scientifica, promuovere l’alfabetizzazione e andare contro il fenomeno dell’estinzione, ci sono al mondo 7117 lingue parlate. Questo numero è in costante cambiamento, per ovvie ragioni, e che circa il 40% di queste lingue sono attualmente a rischio, perché hanno un numero di parlanti spesso inferiore a 1000, un numero piccolo per poter permettere la conservazione di una lingua. Nel giro di una o due generazioni, questo 40% potrebbe completamente sparire. 23 lingue sono quelle parlate da metà della popolazione mondiale. È chiaro che la distribuzione demografica e territoriale delle lingue è disomogenea. Per esempio, la Papua Nuova Guinea è lo stato che ha la massima diversità linguistica (840 lingue parlate da 4 milioni di abitanti. Una è la lingua istituzionale, un po’ meno di 600 sono lingue stabili mentre quasi 300 sono lingue a rischio). Dal capo opposto, la Corea del Nord, con 23 milioni di abitanti, si parla solo una lingua. Le lingue rischiano di estinguersi perché in alcune aree del mondo ci sono lingue dominanti (l’inglese, ad esempio), parlate da milioni di persone, che si estendono a scapito delle lingue locali, che perdono i loro parlanti, spinti per ragioni diverse (culturali o economiche) ad adottare la lingua dominante come unica lingua. La coesistenza di due o più lingue diverse però non significa che una deve per forza sovrastare le altre; un’alternativa più sana è il plurilinguismo. Quando in una determinata area si trovano più lingue diverse, queste possono convivere e le persone di quella determinata area diventano bilingue. È un effetto altrettanto naturale, ma è più frequente che la lingua dominante soffochi le altre. Questa situazione è riscontrabile ovunque, anche in Italia, dove esistono gruppi minoritari (minoranze linguistiche) che parlano lingue diverse dall’italiano (alcune lingue romanze, altre indoeuropee). La legge 482 del 1999 italiana tutela la lingua e la cultura di queste minoranze, attuando l’articolo 6 della costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei (italiano come lingua ufficiale del paese). Il linguaggio quindi è una facoltà uniforme e invariabile e assume forme diverse. Le lingue sono diverse tra loro e possono cambiare (variazione linguistica). Le lingue sono diverse le une dalle altre ma non nella stessa misura. Le somiglianze possono essere evidenti oppure riconoscibili grazie a un’analisi più approfondita. L’italiano e lo spagnolo ad esempio sono simili, ma non del tutto, come il tedesco e lo svedese. Hanno tutte somiglianze visibili anche superficialmente. Italiano e svedese ad esempio sono molto più diverse tra loro, ma a ben vedere emergono elementi comuni. Se invece, ad esempio, confrontiamo italiano e turco, vediamo che le differenze, sia superficiali che profonde, sono maggiori. Questa somiglianza tra lingue diverse dipende dal fatto che queste lingue sono imparentate tra di loro, cioè derivano da una lingua madre comune (italiano e spagnolo hanno in comune il latino). L’indoeuropeo è una lingua preistorica, non attestata (documentata) per iscritto e non conosciuta attraverso fonti dirette. Del latino, noi abbiamo una conoscenza dettagliata perché pur essendo una lingua morta (senza parlanti nativi da secoli) ha una documentazione scritta vastissima. L’indoeuropeo è una lingua ricostruita: i linguisti, basandosi sulle lingue conosciute che derivano da essa, hanno fatto ipotesi sulle parole del lessico e sulle strutture di questa lingua. L’osservazione che lingue lontane tra loro presentavano notevoli somiglianze ha suggerito che esse avessero un’origine comune. Precursori degli studi indoeuropei furono James Parsons, medico ed erudito inglese, e William Jones, orientalista, filologo e giurista inglese, entrambi vissuti nel 18esimo secolo. Scoprirono somiglianze tra lingue diverse, sia studiandole sia vedendole da vicino, analizzandole con un metodo comparativo, tra lingue antiche e lingue moderne. Esempio:  Gallese = nos  Inglese = night persone che lo apprendono dai parlanti e riescono a comprendere o a parlare solo in parte). I bilingui hanno conoscenze sia su lingua e cultura italiana sia su cultura e lingua dialettale, per questo è importante che questi continuino ad essere conosciuti e parlati. La carta Pellegrini (1977) è sicuramente la carta presa più in considerazione dai linguisti per il posizionamento dei dialetti. VARIAZIONE LINGUISTICA Le conoscenze linguistiche permettono a qualcuno di parlare una lingua. Le comunità linguistiche sono quelle persone che hanno una stessa grammatica mentale nella mente. Il cambiamento delle lingue ha delle cause:  Variazione diacronica: variazione attraverso il tempo, legata alla storia ad esempio  Variazione sincronica = variazione considerata in un punto del tempo - Variazione diatopica = variazione attraverso lo spazio (geolinguistica), in ogni zona si parla una lingua diversa (accaduta all’italiano e ai dialetti) - Variazione diastratica = variazione attraverso gli strati sociali (sociolinguistica), meno evidente ed esistente - Variazione diafasica = variazione attraverso le situazioni comunicative. Ogni parlante sceglie un registro adattandosi alla conversazione La facoltà di linguaggio è uniforme, quindi non varia geograficamente o culturalmente. Ciò dipende alcune caratteristiche delle lingue: - Non ha senso fare una distinzione tra lingue migliori e peggiori. Le lingue naturali hanno tutte caratteristiche simili e strutturali più profonde - Il lessico, quello più soggetto al cambiamento perché influenzato da condizionamenti storico-culturali, funziona in base a principi universali, quindi funziona in modo comune in tutte le lingue - Nonostante la grande diversità culturale tra le popolazioni del mondo, tutte le lingue sono basate su principi dello stesso tipo - La grammatica delle lingue moderne non è più complessa o evoluta di quella delle lingue antiche o preistoriche - Le lingue cambiano, non si evolvono. PROPRIETÀ DEL LINGUAGGIO  Arbitrarietà del segno linguistico  Discretezza  Combinatorietà  Dipendenza dalla struttura Queste caratteristiche emergono in tutte le lingue naturali, perché fanno parte del sistema. 1. ARBITRARIETÀ DEL SEGNO LINGUISTICO Il linguaggio è associazione di suoni (significanti) con significati. Possiamo solo precisare cosa si intende con suoni: l’oralità è la dimensione più naturale e spontanea per i sistemi linguistici, quindi i significati sono tipicamente associati a suoni prodotti dal sistema fonatorio. L’espressione orale non è l’unica modalità di espressione dei significati. Il linguaggio ha quindi un insieme di significati che vengono esternalizzati. Questa esternazione è affidata ai suoni, ma non sempre. Per esempio, le lingue dei segni non utilizzano i suoni, ma sono associati a significati esternalizzati tramite i gesti. Anche la scrittura, nonostante non sia un sistema linguistico ma artificiale, è comunque utilizzato come forma di espressione di significati, basata però sull’espressione orale. La relazione tra queste due facce del segno linguistico (significante e significato) è una relazione arbitraria, ovvero non risponde a nessuna necessità. Nessun aspetto del significato determina la forma del significante e viceversa. Infatti, uno stesso significato è espresso da forme diverse in lingue diverse. Ogni lingua può essere tradotta in un’altra e ciò è dovuto al fatto che le dimensioni di significante e significato sono associate in modo arbitrario 2. DISCRETEZZA Il linguaggio è discreto, ovvero utilizza delle unità linguistiche tutte discrete. In tutte le componenti della grammatica sono unità separate e distinte le une dalle altre (suoni, sintassi, morfemi sono tutte separate). Ad esempio, se parliamo di fonologia dobbiamo distinguere in maniera chiara il livello linguistico dai suoni linguistici, ovvero le onde sonore prodotte dal parlante e ciò che l’ascoltatore recepisce. Nella realtà fisica di una coppia di suoni diversi come p e b, ci sono altri suoni intermedi (perché ogni parlante le pronuncia in modo diverso), che costituiscono una continuità tra p e b. ma linguisticamente conta solo la differenza tra i due suoni, che permette di distinguere le parole. Se guardiamo invece la sintassi, che mette insieme le parole, possiamo notare che tra una frase di 5 parole e una frase di 6 parole non esiste una frase di 5 parole e mezza. Le parole sono analizzabili, ma la sintassi le tratta come unità discrete. I sistemi di comunicazione degli animali sono continui, quindi non discreti. Se un’ape volando sull’alveare descrive un cerchio un po’ più ampio vuole indicare che la fonde del cibo è un po’ più lontane. 3. COMBINATORIETÀ Il linguaggio funziona nel combinare unità più piccole per formarne di più grandi. Nella fonologia, un numero limitato di suoni (tra 20 e 40 segmenti fonologici, ma dipende dalla lingua, anche se sono sempre inferiori a 100) si combina per formare un numero molto più grande di morfemi (migliaia). La morfologia lessicale combina i morfemi per formare decine di migliaia di parole. La sintassi unisce le parole formando un numero potenzialmente infinito di frasi diverse. Non ci sono frasi pre- combinate. La sintassi è creativa, perché ciascun parlante può formare frasi mai costruite prima (da loro o da altri). Ciascun parlante può costruire espressioni non già previste dal repertorio di una lingua. La sintassi produce un’infinità discreta, utilizzando singoli suoni, morfemi e parole. La combinatorietà è presente a tutti i livelli della grammatica ma la massima combinazione è quella sintattica. La sintassi ha una regola fondamentale di combinazione delle parole, per cui questa regola prende una parola, la mette insieme ad un’altra e tira fuori una terza cosa, un gruppetto di parole, un costituente sintattico. X + Y = Z La regola di combinazione sintattica è potente e produttiva perché è ricorsiva. Una regola ricorsiva si può applicare al risultato di se stessa. Z + W = K Questa regola la vediamo per esempio nella numerazione dei numeri naturali, ovvero aggiungere sempre uno ai risultati per formare nuovi numeri. Per costruire una frase non vengono prese le parole tutte insieme, ma vengono prese singole parole o gruppi di parole già formati e messi insieme a poco a poco per formare la frase completa Una + mela = una mela Mangia + [una mela] = mangia una mela Mangia una mela + [Gianni] = Gianni mangia una mela La combinazione sintattica è ricorsiva e ciò si vede anche in altri aspetti della sintassi. [La copertina] è verde per la comunicazione, inoltre per saper comunicare non basta conoscere una lingua. L’illimitata combinazione sintattica (ricorsività), che permette di costruire frasi senza limite di lunghezza, non è sfruttata nella comunicazione. Al contrario, l’efficacia comunicativa richiede enunciata non troppo lunghi. Questa capacità di combinare le frasi non è funzionale alla comunicazione, perché la sua efficacia richiede che gli enunciati non superino una certa lunghezza. L’ambiguità, che esiste nel linguaggio, non è ottimale per la comunicazione perché richiede un lavoro in più per la disambiguazione dell’espressione linguistica. La competenza grammaticale è indispensabile ma non è sufficiente per la comunicazione linguistica. La comunicazione richiede un’abilità specifica, la competenza pragmatica, non linguistica ma comunicativa. La competenza pragmatica è in parte un attributo della specie, cioè ha delle basi nella natura stessa della mente umana, e in parte si costruisce a partire dagli stimoli a cui si è esposti, ed è quindi determinata culturalmente. La comunicazione linguistica Partiamo dal modello del codice. Premettiamo che questo modello è sbagliato, perché come vedremo la comunicazione non funziona così. È un modello secondo cui la comunicazione consiste nel passaggio di significati dalla mente di un parlante alla mente di un altro parlante. Un concetto nella mente di un parlante si aggancia ad un concetto lessicale, il parlante traduce in suono (codifica) il concetto aggiungendo il significante, il quale sotto forma di onde acustiche si espande nell’aria, raggiunge l’udito dell’altro parlante che decodifica e va dai suoni al significato, ottenendolo nella sua mente. È un modello sbagliato perché il significato codificato (ciò che il parlante associa ad un significante) è solo una parte del significato del parlante (ciò che il parlante intende che sia ricevuto dagli altri partecipanti all’atto comunicativo). Raramente queste due cose coincidono, quindi molto spesso nel significato del parlante c’è di più di quanto il parlante codifichi. La comunicazione linguistica consiste normalmente in un passaggio di informazione non codificata che si aggiunge al significato codificato. Quest’informazione non codificata è variabile, ma non tutto ciò che il parlante vuole comunicare prende una forma linguistica, tramutandosi in suoni. È vero che il parlante non codifica tutto ciò che vuole dire. Per comprendere il significato del parlante è necessario inferire una parte dell’informazione, ovvero devono scoprire e ricavare, a partire da qualcosa che c’è per arrivare a qualcosa che non c’è. Un esempio banale può essere: A: “Dov’è il giornale?” B: “In camera” A capisce che il giornale è in camera di B. per arrivare ad ottenere ciò che B intende davvero comunicare, A ha dovuto inferire ciò che B non ha detto. Significato codificato: “in camera” + significato inferito “di B” Ciò è possibile per conoscenza linguistica. A: “Dov’è il giornale?” B: “al solito posto” Significato codificato: “al solito posto” + significato inferito “sul tavolo della cucina” Arriva a quest’inferenza A si basa su dati non contenuti nell’enunciato, ma al di fuori di esso. In questo caso, l’inferenza è basata sulla conoscenza del fatto che B lascia di solito il giornale sul tavolo in cucina. La capacità di fare inferenze è propria della mente umana, che si trova in tutte le culture e studiata e rilevata in tutti gli studi che si riferiscono alla comunicazione linguistica in varie lingue e società. È una capacità istintiva degli esseri umani. Per fare inferenze, i partecipanti alla conversazione utilizzano elementi contenuti nel messaggio ed elementi al di fuori di esso, che fanno parte della conoscenza del mondo, del contesto, dei ricordi (conoscenze non linguistiche). Una caratteristica della mente umana, che serve per fare inferenze e che è un ingrediente fondamentale dell’abilità pragmatica ed è indispensabile nel processo comunicativo è la ricerca della pertinenza, ovvero istintivamente, senza nessuna consapevolezza, parlante e ricevente, in un mutuo accordo del tutto inconsapevole, che fa parte della competenza comunicativa, ricercano la pertinenza, ovvero chi parla crede che gli stimoli del linguaggio siano pertinenti (ricerca e aspettativa di pertinenza). Gli stimoli che entrano in gioco nella comunicazione possono essere più o meno pertinenti, ovvero rilevanti, con un effetto specifico e appropriato sulla situazione in cui avviene la comunicazione. Uno stimolo è pertinente nella misura in cui è più interessante e meno complesso da elaborare. PERTINENZA DELL’INPUT Francesca è invitata a cena da Gianni. Francesca è allergica al pollo, perciò chiede a Gianni cosa ci sarà per cena. Le risposte possono essere: A. Farò della carne = pertinente fino ad un certo punto, perché se questa carne include il pollo la risposta ha una certa conseguenza, ma se non la include Francesca può mangiarlo. Non è una risposta molto utile B. Farò il pollo = Francesca sa che o non va a cena da Gianni o gli chiede di fare altro C. Farò il pollo, com’è vero che (72 -3) fa 46 = cioè farò il pollo se è vero che l’equazione da 46. La risposta 2 e la risposta 3 sono equivalenti, ma è vero che la 3 è complessa da elaborare, quindi è uno stimolo meno pertinente. La più pertinente è quindi la 2. L’ascoltatore deve partecipare attivamente e fare inferenze per arrivare al significato del parlante per due tipi di motivi: - Le caratteristiche linguistiche del messaggio codificato non permettono di trasportare l’intero significato del parlante - Il parlante, volontariamente, tiene nascosta una parte del significato, ovvero non la codifica La prima motivazione fa riferimento a delle insufficienze del linguaggio. La prima di queste sono i deittici, ovvero delle parole, presenti in tutte le lingue naturali, che non si riferiscono a concetti ma indicano qualcosa che si trova nel contesto dell’enunciato. La caratteristica del linguaggio di utilizzare questi elementi si chiama deissi. Parole deittiche sono qua / là, perché non hanno un significato completamente interpretabile. Sono deittiche quindi le parole che si riferiscono alle dimensioni spazio-temporali e ai pronomi personali. È una caratteristica intrinseca della lingua, non causale. I deittici sono parte integrante e fondamentale del lessico, e sono efficaci nella comunicazione linguistica, perché ci danno la possibilità di sintetizzare, ma comunque richiedono delle inferenze. Un’altra insufficienza è la congiunzione coordinativa (e) che serve per unire delle unità, che siano parole o verbi o parti di frase. A questa congiunzione a volte attribuiamo dei significati più specifici, che però non sono codificati nella frase e che devono essere inferiti in base ad altri dati. Francesca si è alzata e ha fatto colazione = la sequenza temporale non è codificata Il significato non è univoco. Esprime una proprietà essenziale, che rende la parola adatta a riferirsi a entità diverse. È anche questo a rendere il linguaggio duttile, potente, che gli permette di avere un’espressività. Parole come “pane” e “libertà” sono parole significative, nessun parlante ha dubbi a capirne il significato, ma per esempio ci sono tante forme e consistenze di pane, così come la parola libertà può essere applicata a concetti inappropriati e completamente diversi. In certi casi, il significato di una parola non è nettamente distinguibile dal significato di un’altra parola, come torrente/fiume: sappiamo dire che cosa significa l’una e cosa significa l’altra ma possono esserci situazioni in cui si deve riflettere su quale dei due termini si deve usare. È più una nozione di vaghezza che può entrare in gioco, anche in relazione all’uso che ogni parlante ne fa. Il significato è vago, le parole che denotano qualità, sul cui significato i parlanti non hanno incertezze, si riferiscono a situazioni del mondo molto diverse tra loro. Sono parole normali, come caldo, piccolo o dolore, nessuno ha il dubbio sul loro significato, ma questo comunque è legato alla situazione contestuale in cui le parole sono usate. Devono essere quindi inferite in delle parole, della loro struttura interna. La morfologia lessicale è quella cosa per cui il parlante nativo sa che una parola è collegata ad un’altra (derivazione, opera- operare-operaio-operativo), nonostante tutte abbiano significati e caratteristiche diverse. La conoscenza di tipo morfologico è inconsapevole, perché se si sa cosa vuol dire una parola automaticamente si capisce il significato di quelle collegate ad essa. La morfologia interfaccia anche con la sintassi, perché le parole (non sempre) possono cambiare forma per adeguarsi alla frase (flessione). LA FONOLOGIA E LA FONETICA Entrambe queste discipline hanno a che fare con i suoni linguistici, ma se ne occupano in modi diversi: - La fonologia è la capacità del parlante di usare i suoni per esprimere e comprendere i significati. Un singolo suono è determinante per un singolo significato. È la parte della linguistica che studia il modo in cui i suoni portano significato, principi e regole in base a quali i suoni si combinano per formare le parole. La combinazione dei suoni è anche chiamata fonotassi, diversa in tutte le lingue - La fonetica è la capacità dei parlanti di articolare i suoni linguistici e di riconoscerli negli enunciati. È più concreta rispetto alla fonologia e studia quindi la natura e le caratteristiche dei suoni linguistici. Possiamo distinguere tre prospettive di linguistica  Articolatoria: descrive e analizza l’articolazione dei suoni  Percettiva: si occupa di stabilire come vengono riconosciute le caratteristiche dei suoni  Acustica: riguarda le caratteristiche fisiche dei suoni, come l’onda sonora, la sua forma, ampiezza e frequenza, analizzando i suoni prodotti LA COMPETENZA FONOLOGICA È la capacità che ci permette di individuare i suoni nel continuum sonoro che forma l’enunciato (sequenza di suoni compresa tra due pause). Per poter parlare una lingua e capirla abbiamo bisogno di identificare i suoni che compongono gli enunciati, inseriti in un continuum. Per la madrelingua questo problema non si pone, ma in una lingua straniera sì. Se conosciamo molte parole diventa facile, ma in molti casi è complicato, soprattutto nella segmentazione. Sicuramente la competenza fonologica significa sapere quali sono i suoni della nostra lingua e sapere come sono usati per esprimere i significati. Ciascuna lingua usa un numero variabile di suoni e lettere, ma in generale il numero si colloca verso i 30 suoni, ovvero quelli usati per costruire le parole in base a regole precise. Le lingue hanno dei suoni che non sempre portano differenze di significati. Un’altra cosa che fa parte di questa competenza è la capacità di riconoscere le caratteristiche fonologiche degli enunciati al di sopra dei singoli suoni, ovvero i segmenti. Gli enunciati rappresentano caratteristiche fonologiche che non sono specifiche dei segmenti ma della fonologia stessa. Per usare una lingua orale dobbiamo saper riconoscere i suoni e individuarli in mezzo a tutti gli stimoli uditivi di vario genere che percepiamo nell’ambiente circostante, quindi dobbiamo segmentare. Il parlato naturale è un flusso sonoro continuo, all’interno di un enunciato non ci sono interruzioni tra parole o fra suoni che le compongono. L’utilizzo di una lingua orale, tanto nella produzione quanto nella percezione richiede la capacità di controllare singolarmente i singoli suoni all’interno dell’enunciato. Ciascuna lingua utilizza per formare le parole solo una parte dei suoni linguistici che possono essere articolati nell’apparato fonatorio umano e che sono osservabili nel complesso delle lingue naturali. L’inventario segmentale è l’insieme di suoni utilizzati da una data lingua. La dimensione dell’inventario è soggetta a variazione interlinguistica, ma per la maggior parte sono tra i 20 e i 40 segmenti. Attraverso l’acquisizione della fonologia un parlante arriva a conoscere quali sono i suoni utilizzati nella sua lingua madre. Ciascun bambino è predisposto ad acquisire tutti i suoni linguistici ma li seleziona per acquisire poi solo quelli della lingua madre. L’adulto invece ha una competenza segmentale assoluta dei suoni della madrelingua, ma la capacità di riconoscere e articolare i suoni non nativi è assai più debole. Questa è una delle cause principali del cosiddetto accento straniero, ovvero l’imperfetta padronanza fonologica dei suoni di altre lingue. Questo vale anche nella percezione, perché la capacità di distinzione è limitata. Per esempio, l’italiano ha una sola U, mentre in inglese ce ne sono due, quindi per chi apprende l’inglese da adulto è difficile riconoscere e distinguere i due tipi di U, proprio a causa del filtro. Ogni singolo suono contribuisce al significato dell’enunciato. Dal punto di vista obiettivo, i suoni sono oggetti fisici, costituiti da onde sonore, con caratteristiche variabili, perché non si ripetono mai identici. Come possono questi oggetti essere variabili ed esprimere significati in modo costante? Il rapporto tra variabile e costante è visibile nella scrittura. Ciascuna persona scrive in modo proprio, diverso da quello degli altri. Su cinque persone che scrivono, ci saranno cinque modi diversi di scrivere. Anche nella stampa esistono tipi diversi di carattere (i vari font). Tutti questi segni grafici, diversi e variabili in modo illimitato, contengono delle caratteristiche essenziali che li rendono riconoscibili e identificabili in modo costante da tutti. Tutte le forme corrispondono ad un’unità costante. La fonologia è un sistema dove i singoli suoni sono realizzati in modi diversi dalle persone, ma che contengono sempre delle caratteristiche essenziali che gli permettono di essere riconoscibili. I suoni linguistici sono pronunciati attraverso i movimenti di parti dell’apparato fonatorio. I parlanti non ripetono mai i movimenti in modo identico, per cui la qualità acustica dei suoni non è mai identica alla perfezione. La differenza aumenta se si confrontano diverse pronunce di uno stesso suono da parte di parlanti diversi. Queste differenze individuali, infinite e casuali non hanno alcuna rilevanza linguistica. I parlanti ignorano queste differenze, nonostante siano percepibili dall’orecchio umano. Solo alcune caratteristiche sono usate nel linguaggio, a patto che siano costanti e che rendano il suono inconfondibile. I parlanti filtrano i cambi di pronuncia, assimilando solo le caratteristiche essenziali per distinguere e pronunciare un suono. Il flusso delle consonanti e vocali che compongono gli enunciati è costituito da suoni concreti, oggetti fisici. Ciascuno di essi si chiama fono. Il dominio a cui appartengono i foni è la fonetica, che si occupa appunto delle caratteristiche oggettive dei suoni. In linguistica, il fono è rappresentato graficamente tra parentesi quadre [p], [b]. Ciascun fono corrisponde ad un’unità astratta, una rappresentazione mentale del suono, che fa parte della competenza linguistica, in particolare fonologica, dei parlanti di una determinata lingua. C’è una corrispondenza tra le unità mentali dei parlanti e i suoni che questi pronunciano e ascoltano (dimensione concreta e dimensione astratta). Nella pronuncia delle parole, il parlante traduce la rappresentazione mentale in suono reale. Nella percezione, il parlante riconosce il suono reale e lo riconduce alla rappresentazione mentale, che si chiama fonema. - Fonema = segmento nella sua funzione distintiva. Astratto, fonologia - Fono = realizzazione fisica del fonema, la sua forma fisica. Concreto Il fonema è rappresentato graficamente tra barre /p/ /b/ I fonemi sono i suoni che ciascuna lingua utilizza in funzione distintiva, cioè per portare significati. I parlanti di una data lingua condividono lo stesso inventario mentale di fonemi. I suoni linguistici portano significato per differenza, cioè distinguendosi gli uni dagli altri. Italiano: pane – lane – rane = il suono iniziale determina il significato della parola, in quanto diversi gli uni dagli altri. Quando si contrastano, i suoni sono fonemi (perché hanno valore distintivo) La differenza tra due foni porta significato solo se i due foni corrispondono a due varianti dello stesso fonema. La differenza tra due foni non porta significato, cioè non è distintiva. Un esempio è la gorgia del fiorentino:
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