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Appunti linguistica generale 2, lezioni dalla 11 alla 15, Sbobinature di Linguistica Generale

- Minimalità relativizzata - "AUX to come" - Isole sintattiche - Soggetto pronominale nullo - DATO, NUOVO - PRO e pro - SpecVP e SpecTP - Valore funzionale - Frasi ridotte (small clause) - Teoria del caso - Caso astratto - Verbi inergativi e inaccusativi - Assegnazione eccezionale di caso - Frasi participali assolute - Teorai del legamento, C-comando

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 25/10/2022

laurettt
laurettt 🇮🇹

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Scarica Appunti linguistica generale 2, lezioni dalla 11 alla 15 e più Sbobinature in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! Lezione 11 – 22 novembre La scorsa lezione abbiamo continuato ad affrontare la regola “muovi”. Riguardo alla regola “muovi”, abbiamo visto le condizioni per la sua applicazione: 1. rispettare il principio della conservazione della struttura: ovvero, quando muoviamo una testa dalla sua posizione in cui si salda in sintassi, deve accordare ad una posizione di testa di nuovo; mentre, quando muoviamo un XP, indipendentemente dalle sue proprietà (es. un sintagma Wh, che può saldarsi nella posizione di specificatore, complemento o di aggiunto), la posizione sarà sempre una di sintagma e non di testa; 2. espandere la struttura generata → l’espansione va verso l’esterno, verso l’alto; 3. rispettare la località → il movimento avviene per piccoli passi, quindi un elemento interessato a questa operazione deve muoversi ad una posizione immediatamente superiore e, solo poi, eventualmente, muoversi in altre posizioni. Mai può muoversi saltando delle posizioni. Tutto questo viene descritto dalla “minimalità relativizzata” = un elemento e una testa; questo elemento non può superare una testa dello stesso tipo (ovvero che ha le stesse proprietà). Invece se è un sintagma Wh, questo non può superare nel suo movimento un altro elemento caratterizzato dalle stesse proprietà Wh. Se è un XP, lo stesso il suo movimento può avvenire alla posizione libera più vicina/locale senza superare un altro elemento XP caratterizzato dalle stesse proprietà. 4. causa → motivo per cui un elemento, sintagma si muove in altre posizioni. La causa del movimento = deve valutare dei tratti rilevanti linguisticamente che non sono interpretabili ma che si compongono nella posizione di articoli, in questo caso i tratti non interpretabili/non realizzati si realizzeranno. Quindi la motivazione è quello di valutare i tratti. Se si pensa al caso del “AUX to come” dell’ausiliare in inglese alla posizione di complementatore (movimento di testa a testa), la motivazione è che CP è la proiezione dove realizziamo la modalità della frase. Possiamo indicare questa modalità ipotizzando che nel nucleo ci siamo dei tratti che corrispondono proprio alla modalità, che possono essere +/-Wh. NB. Wh = simbolo per rappresentare costruzioni che non sono dichiarative (-Wh), quindi le interrogative o esclamative (+Wh). In base al tratto scelto, diversa sarà la modalità. L’ausiliare (es. “will”) si muove alla posizione testa di CP perché è caratterizzato dal tratto +Wh, muovendosi alla nuova posizione valuta il tratto +Wh astratto che si trova nella testa. La stessa motivazione, lo abbiamo quando c’è un XP (quando è un sintagma). Es. DP “Che Cosa” (con tratto +Wh, che corrisponderà ad un operatore = ovvero elementi linguistici che esprimono una operazione, in questo caso quello dell’interrogativizzazione, formazione di interrogative) che si sposta alla posizione di specificatore di CP, in questa posizione valuterà questo tratto con mediante un accordo con la testa del CP (caratterizzato dagli stessi tratti). Lo stesso possiamo dire nell’ambito della frase, quando abbiamo movimento del verbo alla posizione TP. Il verbo si muoverà dalla posizione di testa di V alla testa di T, si muove a questa posizione per associarsi ai tratti di flessione, rappresentati da parole legate (non libere). Questi tratti attirano il verbo/la forma verbale e si ha così la formazione di un'unica parola. La motivazione, quindi, è quella di inglobare/aggregarsi ai tratti di flessione (modo, tempo, aspetto. Tipici del verbo. Il movimento di un DP, per le stesse motivazioni, si sposta dallo specificatole di VP a quello di TP. Il verbo, oltre ai tratti di flessione, è caratterizzato anche da tratti phi (persona e numero), quindi quando il DP si sposta allo specificatore di TP, l’argomento esterno valuterà i tratti nominali/tratti-phi del verbo (si accorda insomma). Riguardo ai tratti in T (tempo, modo, aspetto, phi), questi tratti possono realizzarsi o mediante il procedimento “Merge” (quando nella posizione di testa entra un elemento indipendente, ovvero un ausiliare es. ha guardato) o mediante l’operazione “Muovi” (quest’ultima è quando la testa lessicale si muove dalla posizione con un entra in sintassi in un’altra posizione). Es. “Gianni è uscito [l’altro ieri]” → “[Quando] è uscito Gianni” Non possiamo mai però estrarre del materiale linguistico che forma pare dell’aggiunto, possiamo muovere tutto l’aggiunto ma non una parte. Es. “Comprò una penna [per scrivere la lettera]” → NB. un aggiunto può realizzarsi in diversi tipi di proiezione o anche una frase. Possiamo formulare un’interrogativa sull’intero aggiunto → “Per quale motivo/Perché comprò una penna?” Ma non possiamo interessare alla regola del movimento una proiezione sintagmatica che forma parte di questo aggiunto. Nonostante non viola la Minimalità relativizzata, non possiamo dire quindi: (pagina successiva) Per spiegare perché “per” è stato diviso dal resto del CP, ci sono due ipotesi: 1° ipotesi CP è una frase complemento di una preposizione per questo la posizione nucleare risulta vuoto, dato che non è introdotto da “che” o “di”. Anche il nucleo del TP è vuoto dato che il verbo è all’infinito e quindi non ci sono tratti di flessione. Non c’è un soggetto. La lettera si sposta nella posizione di specificatore di CP per poi spostarsi in una posizione superiore come “Che cosa”. 2° ipotesi CP ha come nucleo “per” con un TP di nucleo –re (-tempo, - modo, etc.) e un VP di nucleo “scrive”, il quale si sposta poi al nucleo di TP. Però, è improbabile che “per” sia il complementatore ma solo una preposizione (es. compro una penna per lavoro). Possiamo dire quindi che si tratta di una preposizione che ha la possibilità di selezionare o una DP (es. per il suo lavoro) oppure una CP (es. per scrivere la lettera). 3. Isola del soggetto frasale Il soggetto non deve essere obbligatoriamente un’espressione nominale, può anche essere un’intera frase (sia all’infinito o flessa). Es. [Che Gianni beva vino] è molto probabile → una costruzione copulativa. “è molto probabile” = predicato formato da verbo essere e un aggettivo, modificato dall’avverbio “molto”. Seleziona come argomento esterno una frase che poi si esprime come soggetto del predicato. All’interno di questo soggetto frasale non possiamo sottoporre nessun sintagma a movimento “Wh”, ovvero formulare nessuna frase interrogativa Wh. Quindi non possiamo dire: 4. Isola della coordinazione Non possiamo estrare nessun elemento sintagmatico Wh all’interno di una frase complemento quando questa è coordinata ad un’altra frase complemento. Es. Credo [che Maria legga un libro e Paola faccia i compiti] → tutto questo è complemento del verbo “credere” Negli ultimi progressi della grammatica, quando si ha due sintagmi coordinati, si propone che entrambi siano legati dalla coordinazione stesso. Perciò quello che la coordinazione fa è di selezionare due unità = una nella posizione di specificatore e una nella posizione del complemento. (pagina successiva) Ma non si può formare un’interrogativa su nessuno dei componenti di queste due frasi coordinate: 1° [Che cosa] credi che Maria faccia ___ e Paola faccia i compiti 2° [Che cosa] credi che Maria faccia un libro e Paola faccia ___ La coordinazione non ammette che nessun elemento che faccia parte delle due frasi coordinare possa essere interessato da una formazione di interrogativa parziale/Wh. La grammatica generativa, finora, non è ancora riuscita a dare una spiegazione formale per giustificare queste impossibilità di movimento Wh che però non violano la minimalità relativizzata. Ci sarebbe un’ipotesi per quanto riguarda le Isole con DP complesso, ma non è applicabile ad altri casi [→ siccome c’è una frase che è complemento di un nome, si termina quindi una fase di generazione (ha fatto la promessa di guardare la tv) e non si può togliere elementi all’interno di questa costruzione compatta che rappresenta una fase e in cui non c’è una posizione di specificatore di CP.] Quello che si sa attualmente è che esistono queste isole, i quali non possono essere spostate, il movimento Wh è un movimento che può essere effettuato solamente da frasi completive, ovvero da frasi argomento interno di un verbo che non siano coordinate. Queste isole esistono in tutte le lingue, perciò questo viene considerato come una proprietà universale (questa della impossibilità di estrare elementi Wh da queste isole linguistiche). Così come è universale il movimento, la regola “muovi” è un’operazione universale. Anche se si può osservare che in certe lingue non tutti gli elementi, che sono interessati alla derivazione di qualche tipologia di frase, effettivamente si muovono. Es. Movimento di un sintagma Wh → in italiano la formazione di interrogative parziali presuppone sempre il movimento sintattico ad una posizione superiore all’interno del sintagma complementare, in altre lingue invece non è sempre così. Terminando qui con il discorso di movimenti, la possibilità e tipologia di movimento, etc. e ritornando alla struttura della frase (CAP. 5). Sempre in relazione al movimento, il verbo lessicale si muove in sintassi alla posizione di testa TP anche perché si propone un altro tipo di movimento, ovvero il movimento del DP (che dalla posizione in cui entra come specificatore di un verbo alla posizione di specificatore di TP per fare in modo che i tratti di flessione del verbo vengano valutati). Questo tipo di costruzione dimostra che la posizione di Soggetto è una posizione strutturale, noi riconosciamo un’espressione nominale come soggetto perché questa occupa la posizione dello specificatore del sintagma TP. Quindi questa ipotesi strutturale di GG va in contro con la proposta semantica della grammatica tradizionale → soggetto è entità che svolge l’azione denotata dal verbo. La grammatica generativa dice che la nozione di Soggetto è una nozione strutturale, ovvero uno che si può realizzare strutturalmente e non utilizzando dei criteri semantici. Es. Gianni dorme/teme i temporali → Gianni non svolge l’azione ma è l’esperiente Gianni è caduto → Gianni non svolge azione ma è l’oggetto/tema dell’evento denotato dal verbo Perciò non riconosciamo il soggetto attraverso criteri di tipo semantici, ma quando guardiamo alle relazioni strutturali, quindi sintattiche, che il DP soggetto stabilisce con altri elementi all’interno della frase. Una volta costruito la frase, entrano determinati elementi sintattici mediante la quale abbiamo la possibilità di riconoscere l’espressione nominale soggetto → Tratti flessione verbo, in particolare i tratti-phi (persona e numero). Infatti, l’espressione nominale che Area funzionale-relazionale = dove di stabiliscono le relazioni strutturali (es. soggetto e altre relazioni che hanno a che vedere con il caso). Il movimento del DP da SpecVP a SpecTP è motivato dal fatto che si devono valutare i tratti di accordo, ovvero i tratti-phi che ci sono sul verbo, mediante il fenomeno dell’accordo tra specificatore e testa. Lo stesso movimento viene proposto nel caso delle frasi passive → in questi, il soggetto grammaticale corrisponde all’argomento interno del verbo. Es. Gianni guarda la luna → la luna è stata guardata da Gianni L’accordo qui è con l’argomento interno, che quindi salirà a SpecTP, dove verrà accordo con i tratti-phi di T. Questo è possibile perché la forma participiale del verbo assorbe l’argomento esterno del verbo stesso, perciò proietta solo l’argomento interno. SpecVP è anche la posizione, in cui argomento esterno riceve il caso nominativo. Quindi il movimento è dovuto anche a questa motivazione e non solamente perché DP deve valutare l’argomento esterno e tratti-phi del tempo ma anche perché quest’ultimo deve assegnare al soggetto un caso. Perciò, non essendoci argomenti esterni nelle strutture passive, l’argomento che si muoverà alla posizione di Spec TP sarà l’argomento interno che riceverà la funzione del soggetto e caso nominativo. Ci sono, quindi, sono due posizioni per il costituente tematicamente più rilevante, che viene selezionato da un verbo: SpecVP e SpecTP. Che ci siano queste due posizioni, può essere anche motivato empiricamente attraverso il fenomeno di “Quantificatore fluttuante”. Questi mettono in risalto che per il ruolo tematico più esterno del verbo, quindi anche soggetto, ci debbano essere due posizioni all’interno del verbo, nella costruzione frasale. Abbiamo a che fare con un sintagma che viene espresso mediante un quantificatore: Es. “Tutti i ragazzi” → introdotto da “tutti”, un quantificatore che proietterà il suo sintagma (QP) che seleziona il DP complemento “i ragazzi”. Questo tipo di sintagma, con valore nominale, si può saldare all’interno della frase in posizioni differenti, a seconda del ruolo tematico che riceve. Può anche saldarsi come argomento esterno del verbo. Es. [Tutti i ragazzi] guardano la luna → il sintagma si è saldato come soggetto, argomento esterno del verbo. In italiano e in altre lingue, con questi tipi di costruzioni è possibile anche generare frasi come: Es. [I ragazzi] guardano [tutti] la luna → QP è sempre il soggetto e, dal punto di vista interpretativo, il significato è uguale, nonostante gli elementi non siano adiacenti però entrambi gli elementi sono comunque interpretati come componenti dell’argomento esterno di “guardare”. Non c’è nessuna violazione del criterio tematico (non abbiamo tre argomenti: i ragazzi, tutti e la luna; altrimenti la frase sarebbe agrammaticale). L’ipotesi per spiegare questo fatto è che nella costruzione di “tutti i ragazzi”, possiamo muovere alla posizione di SpecDP solamente “i ragazzi” (DP), mentre QP (tutti) rimane fermo nella sua posizione In questo caso abbiamo tutte e due le posizioni occupate: SpecVP e SpecTP. Il movimento interessa solo DP che sale e non QP. Perciò vediamo che DP può sia muoversi insieme con QP che indipendentemente, il movimento è sempre un movimento XP. Un’altra riflessione (CAP.5) hanno a che vedere con il parametro del soggetto nullo (ovvero quando il soggetto è pronominale può non realizzarsi lessicalmente). In questo caso, la posizione strutturale del soggetto deve essere sempre segnalata da un simbolo. Dato che si ha a che fare con la non realizzazione di una forma pronominale, il simbolo è un “pro” piccolo. Es. mangio la mela = [“pro” mangio [VP <__> la mela]] <pro> occupa la posizione grammaticale del soggetto che si è mossa dal SpecVP. NB. - Il soggetto può mancare = la costruitone non ha il soggetto - Il soggetto può non realizzarsi lessicalmente = soggetto esiste comunque nella griglia tematica del verbo ma solo non realizzato quando è pronominale, questo viene giustificato con la flessione del verbo dato che i tratti-phi del verbo devono essere coincidere obbligatoriamente con quelli del soggetto. Se il soggetto non esiste, allora non si riesce a motivare l’accordo del verbo. Il fatto che esista un accordo significa che il soggetto viene comunque interpretato e ha un valore sintattico. In italiano, un “pro” come soggetto può avere un valore argomentale (fa riferimento all’argomento più esterno selezionato dal verbo) Es. <pro> mangia la mela → mangiare <agente; tema> Un <pro> non realizzato lessicalmente viene rappresentato anche quando il verbo non seleziona un argomento esterno. Es. “piove” → piovere = zero-valente, quindi non seleziona un argomento esterno In questo caso possiamo dire che non esiste però se guardiamo a lingue come inglese (lingua no pro-drop), in queste stesse costruzioni compare sempre un indicatore, denominato pronome espletivo/pleonastico perché segnala la posizione di soggetto strutturale (es. it rains). Di conseguenza, in italiano, quando siamo di fronte a questi casi, segnaliamo questa posizione sempre con un <pro> piccolo. Es. <pro> mangia la mela → rappresenta un argomento del verbo, quindi argomentale. Es. <pro> piove → un pro non argomentale che lo esprimiamo ugualmente. Ricorda: la seconda parte del principio di proiezione esteso, da cui dipende il parametro del soggetto nullo: tutte le frasi devono avere un soggetto (ovvero la posizione strutturale di soggetto e non come contenuto semantico). Si presenta poi un’altra proprietà nelle lingue a soggetto pronominale nullo → il soggetto può comparire anche in posizione post-verbale. Questa proprietà caratterizza il soggetto sia quando è pronominale sia quando non. Es. (ita.)  “Gianni/lui ha telefonato” oppure “ha telefonato Gianni/lui”  “Il treno è arrivato” oppure “è arrivato il treno” Nelle lingue non a soggetto nullo, il soggetto non può comparire in posizione post- verbale tranne che in alcuni casi specifici. Es. (ing.)  “I don’t want to eat” said John → in questo caso il soggetto compare dopo  verbi inaccusativi → There arrived three men  quando l’espressione nominale si realizza come un’espressione quantificata (mai un’espressione definita) → three men Ritornando agli esempi precedenti in italiano, per rappresentarli strutturalmente, tenendo in mente che tutte le frasi devono avere una posizione di soggetto, una frase come Es. è arrivato il treno → sarà rappresentata così: “Il treno”, nonostante sia il soggetto che determini l’accordo del verbo, si trova nella posizione di complemento di VP come argomento interno e non in SpecVP→ questa è una proprietà tipica dei verbi, definiti “verbi inaccusativi”. Questo PRO può essere controllato da un antecedente, cioè può risultare da un punto di vista interpretativo identico ad un'altra espressione nominale non ambigua che è stata introdotta precedentemente nel discorso (quindi Co-referente = si riferisce alla stessa entità della realtà). Quando questo elemento ha un antecedente, queste costruzioni vengono chiamate costruzioni a controllo. Il PRO, in base dalle strutture, può essere controllato, avere un Co-referente. Nel caso di “Gianni promette di guardare la luna” → PRO coincide con Gianni. In questo caso si dice che è un PRO a controllo di soggetto. Però ci sono casi in cui può essere controllato da un argomento interno: Es. “Gianni obbligò Paolo [PP a [CP PRO studiare]]” → “studiare” = verbo monovalente con l’unico argomento che è PRO, coincidente con argomento interno “Paolo”. Oppure può essere controllato dall’ oggetto indiretto Es. “Gianni ordinò a Paolo [CP di [TP PRO studiare]]” → “di studiare” = argomento interno del verbo “ordinare”; PRO corrisponde all’argomento esterno del verbo “studiare”, che coincide con l’oggetto indiretto “Paolo”. È naturale però che un PRO non necessariamente è soggetto al controllo di qualche espressione nominale introdotta precedentemente, può anche avere nessuna espressione Co-referente. In questo caso si dice che l’interpretazione di PRO è un’interpretazione arbitraria o anche non argomentale. Es. “Vivere in campagna non piace a tutti” → piacere = 2 argomenti (di cui soggetto si realizza come una frase)  [PRO: “vivere in campagna”] → verbo monovalente, il suo argomento si salda in sintassi e lo interpretiamo, che corrisponde al PRO. Qui il PRO ha un significato/valore arbitrario ([il fatto per la gente di vivere in campagna] non piace a tutti). Possiamo anche averlo quando è non argomentale, come nel caso di “pro” in [pro Piove]. Es. [Dopo PRO aver piovuto], Gianni andò a funghi. → Piovere = zero-valente, anche qui dobbiamo indicare la posizione di specificatore della frase con un PRO e non con “pro” perché non abbiamo i tratti di accordo. Un’ultima considerazione rispetto a queste costruzioni all’infinito è che la struttura interna per rappresentarle non è quella di Donati: Es. “promette di studiare” → la struttura proposta da Donati: La costruzione di una frase infinitiva è sbagliata così perché non abbiamo un CP che prende un VP ma prende sempre un TP; perciò, anche se i verbi sono all’infinito sviluppa sempre tutta la sua proiezione frasale. Quindi la struttura sarà: VP seleziona sempre un Spec, che è un DP con PRO, il verbo comunque sale alla posizione di T e in questa posizione si salda ai tratti morfologici “-re” che indica infinito e che corrisponde al tratto –tense. Lo stesso movimento lo farà anche PRO. Perciò comunque TP si realizza e non solo CP che contiene l’introduttore di frase complemento, che in italiano quando la frase è infinito è sempre “di”. Se sono altri come a, per, etc., questi sono solo preposizioni selezionati dal verbo e non sono dei complementatori. Lezione 13 – 06 dicembre La scorsa volta abbiamo visto che nella struttura della frase si deve ipotizzare la presenza di due posizioni diverse per il soggetto: SpecVP = il luogo dove si salda l’argomento più prominente nella griglia tematica del verbo stesso. SpecTP = posizione dove questo elemento deve muoversi obbligatoriamente per verificare i tratti-phi del tempo e numero mediante l’accordo. La posizione strutturale del soggetto grammaticale SpecTP deve essere sempre occupata da un elemento linguistico, che sia un argomento o non argomento del verbo. Rispondendo quindi al principio di proiezione esteso, in cui tutte le frasi deve avere il soggetto. Se pensiamo a lingue a soggetto nullo come italiano: ha mangiato la mela → <pro> ha mangiato la mela → abbiamo un DP <pro> in SpecTP, salito da SpecVP, dove si è saldato in sintassi. Abbiamo visto che se l’argomento più prominente del verbo non occupa la posizione del soggetto preverbale allora in questa posizione comunque avremmo un “pro”. Es. “lavora Gianni” → il <pro> non è argomentale ma espletivo Questa possibilità di avere un soggetto post-verbale è un’altra proprietà che discendono dal parametro nullo. In inglese, in questi casi dove è possibile avere soggetti post verbali, avremmo in SpecTP un espletivo realizzato lessicalmente come “there” (there arrived a man). In italiano questo elemento espletivo viene realizzato mediante il “pro” piccolo, piccolo perché il verbo è flesso. La posizione di un “pro” espletivo serve per giustificare la realizzazione dell’accordo perché il soggetto, in posizione post-verbale, formerà con questo <pro> piccolo una catena argomentale e quindi trasmetterà le sue proprietà a questo elemento; se il verbo non seleziona un argomento (verbi impersonali), in italiano c’è sempre un “pro” espletivo. Es. “Piove”, “sembra che Gianni arriverà domani”. → i verbi non selezionano un argomento esterno, tuttavia nella posizione di SpecTP ci sarà sempre un “pro”. In inglese, invece, in questi identici casi, c’è sempre un elemento lessicale pleonastico che indica la posizione di soggetto strutturale Es. “It seems that ....” o “It’s raining”. Quando un verbo non presenta tratti di flessioni espliciti, quindi –tense, in questo caso: la proiezione di soggetto strutturale deve comunque essere segnalata perché viene comunque interpretata. In questi casi succede che questo elemento non viene segnalato come PRO ma “pro” piccolo, nonostante sia –tense. Es. <pro> Spera [CP di [TP PRO arrivare in tempo]] Una frase come: Es. Gianni è molto simpatico → molto (intensificatore) andrebbe nella posizione di SpecAP che per Donati è occupato allo stesso tempo da Gianni. L’ipotesi proposta è: predicato nominale/aggettivale si relaziona con l’argomento che seleziona mediante tratti di accordo visibili. Es. la ragazza è simpatica // il ragazzo è simpatico L’ipotesi è quindi che il nucleo di queste frasi ridotte sia rappresentato da dei tratti di accordo, perciò la struttura sarà: AgrP (Agreement Phrase) → il soggetto e il predicato sarebbero legati da questi tratti di accordo. Questa è la generazione iniziale. Poiché aggettivi e nomi non sono in grado di legittimare lessicalmente il proprio argomento, deve entrare in sintassi un elemento verbale (in questo caso la copula) che lo permette. Perciò il soggetto ha un’altra posizione a cui muoversi dove, mediante tratti di accordo, valuterà i tratti-phi della copula e poi riceverà dalla copula le proprietà che gli permettono di legittimarsi lessicalmente. Queste tipo di costruzioni vengono definite frasi ridotte (“small clause”). CAP.6 Ricapitolando: nelle frasi all’infinito il sogg. grammaticale non si può mai realizzare lessicalmente, viene rappresentati quindi mediante un PRO nelle frasi a sollevamento (come “sembrare”) il soggetto può realizzarsi solo se si muove alla posizione di soggetto grammaticale del verbo sembrare, che non seleziona un argomento esterno. quando un predicato è rappresentato da un nome o aggettivo, deve comunque saldarsi in sintassi una forma verbale (ovvero copula) per far sì che l’argomento esterno di queste categorie possano realizzarsi lessicalmente. La generalizzazione che accomuna queste spiegazioni è che un soggetto lessicale non si può realizzare quando i tratti di tempo non si realizzano, quindi quando un verbo appare in una forma infinitiva (infinito, participio passato, gerundio = tutte forme che non esprimono il tratto tempo, -tense). Per rispondere a queste generalizzazione, la GG introduce un’altra proprietà tipica dei nomi = caso. Questi fenomeni vengono tutti formalizzati mediante la teoria del caso. La teoria del caso consiste in una formula: “ad ogni DP, che si realizza lessicalmente, deve essere assegnato un Caso”. Il fatto che non si realizzi lessicalmente un soggetto quando un verbo non possiede tratti di tempo è perché sono i tratti di tempo che assegnano caso al soggetto stesso. Pertanto, se ad ogni espressione nominale si debba assegnare un caso, non avendo i tratti espliciti in sintassi di tempo, il soggetto non potrà realizzarsi. L’italiano non è una lingua che possiede degli affissi di caso espliciti però dei residui del caso dal latino è possibile riconoscerli nel paradigma dei pronomi personali:  liberi → abbiamo il caso nelle prime due persone = io, tu/me, te (il resto sono gli stessi); utilizziamo “io, tu” solo quando il pronome appare come soggetto, quindi quando riceve il caso nominativo. Sarebbero quindi le espressioni lessicali che permettono di distinguere il caso nominativo, mentre “me, te” il caso accusativo.  clitici → la differenza qui lo si può notare nella terza e sesta persona = lo/la, li/le (accusativo = riprende argomento interno del verbo); gli/le, gli/loro (dativo). Poiché sono residui di casi lessicali e non morfologici, si parla perciò di “caso astratto” (ovvero non realizzato lessicalmente, morfologicamente mediante affissi). In italiano abbiamo detto che sono visibili solo in alcune forme linguistiche ma non con tutte: 1. il DP che funziona come soggetto grammaticale riceve il caso nominativo dal tratto Tempo (nucleo TP); esistono poi altri DP che si realizzano come argomenti di altre categorie; (continua nella pagina successiva) 2. ai DP argomento interno (oggetto diretto) si dice che deve ricevere il caso accusativo, assegnatogli dal verbo; 3. la preposizione “a” assegna caso dativo al DP, secondo argomento interno di verbo (ovvero oggetto indiretto). Es. ho dato il libro a Mario → a Mario = secondo argomento interno del verbo “dare” 4. Anche le preposizioni in generale assegnano caso perché selezionano degli argomenti, i quale nella maggior parte dei casi si realizzano come espressioni nominali. Perciò in base alla teoria che dice che ogni DP per realizzarsi lessicalmente deve ricevere un caso, allora in questo caso verrà assegnato dalla preposizione stessa. (assegnano al DP il caso accusativo) Nella frase “Gianni mangiò la mela”, nella posizione di SpecTP succede che → Gianni sale in SpecTP dove, mediante il procedimento di accordo, valuterà i tratti-phi di “mangiò” e allo stesso tempo i tratti Tempo del verbo assegna il caso nominativo al DP. Perciò i tratti si realizzano in modo che DP si possa valutare questo caso, che rimane non valutato finché un DP non entra in sintassi perché sarà di nuovo una proprietà strutturale (quella del caso) a seconda di dove il DP avrà nella struttura, riceverà casi diversi. Quindi, gli unici assegnatori del caso sono il tratto tempo, verbi e preposizioni. Nomi e aggettivi non possono farlo, per questo nelle frasi ridotte c’è il bisogno di una copula (che genera la proiezione TP, portando con sé il tratto di tempo) essere per svolgere la funzione di assegnare caso all’argomento esterno dell’aggettivo e del nome. Questo spiega anche le ragioni per cui, se pensiamo che i nomi, specie quelli deverbali, possono esprimere i propri argomenti perché hanno una struttura argomentale che copiano sul verbo corrispondente (es. descrivere-descrizione, fuggire-fuga). In questo caso, il loro argomento (che sia interno o esterno), per realizzarsi deve sempre essere preceduto da una preposizione. Es. Gianni fuggì dal carcere → la fugga di Gianni Gianni risponde → la risposta di Gianni. In questo caso, “di” non assegna il caso genitivo, “di Gianni” corrisponde all’argomento esterno del verbo. Se è possibile realizzare l’argomento esterno mediante un DP, la stessa possibilità non ce l’abbiamo con un nome ma dobbiamo realizzare obbligatoriamente con una preposizione che non ha nessun valore semantico/interpretativo ma è un puro elemento funzionale. È una categoria funzionale che permette all’argomento dei verbi di poter ricevere il caso. Lo stesso vale per gli aggettivi. Es. “Desideroso di gloria” → l’argomento è lo stesso che si riproduce nel nome partendo dalla struttura argomentale del verbo. “Gianni desidera la gloria” // “il desiderio di gloria” L’argomento è lo stesso ma un aggettivo, come il nome, ha bisogno della presenza di una preposizione che vada ad assegnare al suo argomento il caso. Finora abbiamo visto come mediante la regola merge (di saldamento) si unisce il verbo con i suoi argomenti, generando la proiezione VP. Per vedere l’operazione merge di questa proiezione abbiamo sempre preso in esame un verbo transitivo che realizza entrambi gli argomenti esterni e interno. Esistendo anche verbi con proprietà diverse, a queste devono essere associate delle configurazioni strutturali adatte. all’interno della frase complemento? Utilizzando i criteri per differenziare i casi: abbiamo visto che per poter capire quando un’espressione nominale riceve un caso nominativo o un caso accusativo, si fa ricorso ai pronomi personali di prima e seconda persona, che permettono di distinguere i due casi (nominativo e accusativo). In italiano non abbiamo un caso morfologico, per questo si parla di “CASO astratto” (CASO è in maiuscolo perché si esprime così) ma abbiamo comunque alcune parole che, dal punto di vista lessicale, ci permettono di discriminare tra un caso o un altro e sono proprio pronomi personali di prima e seconda persona della serie libera e non clitica. Se, in questo caso, sostituissimo “Maria” (= nome proprio, quindi è impossibile verificare il tipo di caso che riceve) con un pronome personale, come “me” o “te” e non “io” e “tu” → “Gianni ha visto me leggere il libro” → questo ci fa innanzitutto che questo elemento riceve un caso, altrimenti non potrebbe realizzarsi lessicalmente, e poi che questo caso è un caso assegnato dal verbo “vedere” perché corrisponde al caso accusativo e non nominativo, il quale sarebbe il caso che legittimamente riceverebbe un soggetto grammaticale con verbo. Questa tipologia di assegnazione (assegnazione eccezionale di caso) è presente anche in tutti quei contesti di frasi ridotte dove il nucleo della predicazione non è rappresentato da un verbo lessicale ma da un’espressione di natura nominale (aggettivo o nome). Es. Considero [Gianni intelligente] → [Gianni intelligente] è una frase ridotta; “Gianni” non può ricevere il caso da “intelligente”: si può realizzare lessicalmente, quindi deve esserci qualche elemento che glielo assegna questo caso e a fare questo è il verbo “considerare” (verbo che seleziona una frase ridotta). Il caso è accusativo, difatti se sostituissimo “Gianni” con un pronome personale, avremmo “me”/”te” e non “io”/”tu” → es. “Considera me intelligente” / “Considera te intelligente”. (fine della risposta al dubbio) Continuando con la lezione Nella lezione precedente abbiamo detto che la configurazione strutturale con cui abbiamo lavorato finora per rappresentare la struttura interna del sintagma verbale, è stata quella tipica dei verbi bivalenti: Questa struttura, però, dovrà essere aggiustata per poter descrivere la struttura argomentale di tuti i verbi, e non solo di verbi che possono generare costruzioni di questo tipo (= verbi bivalenti). I verbi monovalenti (= che selezionano un unico argomento) avranno una struttura di questo tipo: Ci sono ragione per dire che questa struttura non può essere considerata adeguata a descrivere le proprietà ed i comportamenti di tutti i verbi monovalenti: questa scoperta fu effettuata nel 1978 da un linguista chiamato David Perlmutter. David Perlmutter (1978) scoprì che, all’interno dei verbi monovalenti, non in tutti quelli classificati come intransitivi (secondo la grammatica tradizionale) trovavamo stessi comportamenti sintattici, anzi: alcuni si comportavano in un modo, altri in un altro. Per questa ragione propose di differenziare, all’interno dei verbi monovalenti, due classi:  verbi inaccusativi  verbi inergativi Luigi Burzio (1986) riprese la proposta di Perlmutter nel suo libro “Italian Syntax”, verificò l’adeguatezza di questo ipotesi nell’ambito della lingua italiana e giunse a proporre una struttura che potesse adeguatamente descrivere il comportamento di verbi inaccusativi VS verbi inergativi. Partiamo dal fatto che: verbi inergativi = verbi monovalenti come “lavorare”/“dormire”, quindi avranno la struttura interna del sintagma verbale come quella precedentemente proposta (seconda foto “Gianni lavora/dorme); verbi inaccusativi = Perlmutter sostenne che questi verbi non si comportassero in tutte le lingue allo stesso modo, bensì in modo diverso ovviamente anche dai verbi inergativi, quindi indicò delle proprietà di tipo semantico che interessavano questi verbi per poterli differenziare dagli altri. Dice che, per esempio, sono inaccusativi tutti i verbi che: [intesi come monovalenti]  esprimono direzione o movimento (es. arrivare, partire, uscire, avvicinare, allontanare);  esprimono l’inizio o la fine di un processo (es. iniziare, finire, terminare, cominciare);  esprimono uno stato o un’esistenza (es. esistere, trovarsi, vivere → “Maria visse cent’anni”);  esprimono un accadimento al suo inizio o che si protrae (es. succedere, accadere, perdurare);  esprimono un cambiamento di stato fisico o psicologico che può interessare sia un individuo che un’entità in generale sia umana che non animata (es. nascere, crescere, dimagrire, impazzire, aprirsi, chiudersi, morire, congratularsi, pentirsi, innamorarsi) → alcuni di questi verbi hanno la forma pronominale “si” a fine termine. altri invece hanno una propria nessuna differenza. Ciò che contraddistingue i verbi inaccusativi è che, l’unico argomento che questi selezionano, si comporta come l’argomento interno dei verbi intransitivi oppure come il soggetto grammaticale delle costruzioni passive, che sappiamo essere costruzioni che queste due classi corrispondono alla tradizionale classe dei verbi intransitivi = monovalenti). possono essere derivate da verbi transitivi e a cui, di nuovo, interessa l’argomento interno del verbo transitivo. Possiamo dire, quindi, che l’unico argomento selezionato mostra lo stesso comportamento, dal punto di vista sintattico, dell’argomento interno (tema) dei verbi transitivi e del soggetto grammaticale delle costruzioni passive (soggetto grammaticale delle costruzioni passive = argomento interno tema). Questa generalizzazione viene confermata dal fatto che l’unico argomento che questi verbi selezionano non riceve altri ruoli tematici tranne quello di tema, che, come sappiamo, corrisponderebbe all’argomento interno del verbo → come possiamo verificarlo? Prendendo in comparazione quelli che vengono detti verbi che partecipano dell’alternanza causativa = verbi che hanno un’entrata lessicale transitiva e un’altra inaccusativa: Es. “Gianni/il vento ha aperto la porta” → “aprire” è nella sua versione bivalente e quindi transitiva: abbiamo un argomento esterno “Gianni” (agente) o “il vento” (causa) e poi abbiamo “la porta” che è tema. Es. “La porta si aprì” → in questa costruzione, la relazione che si stabilisce tra il verbo “aprire” dell’esempio precedente dove “la porta” risulta essere l’entità interessata dall’evento di aprire, la ritroviamo in questo secondo esempio: nuovamente, l’entità che risulta essere interessata dall’evento di aprire è sempre “la porta”. Anche qui, quindi, troviamo lo stesso ruolo tematico ma la differenza è che nel primo caso “la porta” corrisponde all’argomento interno, invece nel secondo caso corrisponde al soggetto. Es. “I nemici hanno affondato la nave” → qui abbiamo il verbo “affondare” che è bivalente, seleziona due argomenti (“i nemici” = argomento esterno, soggetto, agente; “la nave” = argomento interno, tema). Es. “La nave affondò” → la relazione che troviamo nell’esempio precedente tra “affondare” e “la nave” è la stessa relazione che troviamo qui: “la nave” è tema, la relazione con “affondare” è quella di essere l’entità interessata dall’azione denotata dal verbo; invece, nel primo esempio abbiamo anche una causa (“i nemici”) che produce l’effetto (“hanno affondato”). Molti di questi verbi inaccusativi esprimono una struttura mono argomentale in cui la causa, l’egente, lo strumento, ecc., viene assorbita/eliminata facendo restare è solo il tema, quindi l’entità interessata dall’azione. Alcuni di questi verbi si esprimono con un “si” (es. aprire – aprirsi), altri invece hanno la stessa forma lessicale [es. affondare (transitivo) – affondare (inaccusativo)]. Per quanto riguarda il “si”, non si realizza attraverso qualche tipo di regola sintattica che produciamo, ma è un “si” che appare già nel lessico incorporato con questi verbi che sono inaccusativi e possono avere una controparte transitiva (es. aprire - aprirsi) mentre altri non hanno tale controparte (es. pentirsi → non esiste “pentì”, es. Gianni pentì Maria). Questo “si” ci permette di capire che questi verbi siano accusativi. Sono così formati nel lessico, quindi queste due vanno considerate come due entrate separate dal lessico che noi implementiamo durante il nostro processo di apprendimento della lingua, son due verbi diversi, due forme diverse. Se diciamo: interno dei verbi transitivi; per cui, la struttura interna sarà simile a quella delle costruzioni passive, cioè se prendessimo come esempio un verbo come “arriva” / “nasce”, la costruzione della sua area argomentale sarà: Come funziona con un verbo trivalente? (non guardare Donati che, manco a dirlo, è sbagliato) Es. “Gianni ha dato il libro a Maria” → “Gianni” = agente; “libro” = tema; “a Maria” = destinatario/fine. Però, se facciamo questa operazione, diamo una rappresentazione inadeguata sia sul ruolo dell’argomento interno destinatario ma anche sul fatto che, questo tipo di costruzioni, non può spiegare certi fenomeni sintattici. La prima inadeguatezza è che, se noi rappresentassimo in questo modo rendendo ricorsivo il nodo VP, lo tratteremo alla tregua degli aggiunti (tutti gli aggiunti si saldano rendendo ricorsivo il nodo VP ma quello è un argomento interno, non un aggiunto); in secondo luogo perché in questo caso, di fronte ai criteri di costituenza che vanno a guardare il costituente VP e non i suoi costituenti interni, possiamo osservare che: verbo + argomento interno tema + argomento interno destinatario = formano un unico costituente ↓ Es. “Gianni vuole dare il libro al fratello” → se voglio verificare la costituenza del sintagma verbale attraverso la frase scissa, la costruzione grammaticale risultante sarà: Es. “È dare il libro a suo fratello che Gianni vuole”. Es. * È dare il libro che Gianni vuole al fratello → agrammaticale. Un altro test di costituenza che possiamo utilizzare è il test della proforma sostituire con una forma pronominale la costruzione che ci interessa: Es. “Gianni ha dato un libro a suo fratello e anche Maria lo ha fatto” → “lo” riprende verbo + primo argomento interno + secondo argomento interno, ma non può riprendere solo verbo + primo argomento interno → non posso dire “*Gianni ha dato un libro a suo fratello e anche Maria lo ha fatto a sua cognata” perché “lo” non riprende [dare un libro a suo fratello], bensì riprende solo [dare un libro]. Lezione 15 – 20 dicembre Del capitolo 8, l’unico argomento che non abbiamo trattato del tutto è la struttura informativa della frase, ovvero con quello che viene considerato come “dato” e “nuovo” da parte del nostro interlocutore. Questo è rappresentato all’interno della frase: la frase va considerata suddivisa in una parte conosciuta (dato) e una parte nuova (nuovo). Il “dato” è la prima che viene enunciato seguito poi dal “nuovo” ma ci sono anche casi dove avviene il contrario, questo lo si fa quando creano delle costruzioni a contrasto: Es. “So che Maria si è sposata con Gianni” - “Con Paolo si è sposata, non con Gianni” A questa struttura informativa si possono riconoscere due tipi di frase:  frase a topicalizzazione;  frase a focalizzazione/a focus contrastivo. Abbiamo poi frasi relative che dipendono da un nome perché sono un loro modificatore. La scorsa volta abbiamo visto la struttura interna dei sintagmi verbali, la cui la testa verbo è un verbo monovalente; sintagma verbale dei verbi inaccusativi e come si sviluppa la derivazione della frase fino al sintagma tempo. Abbiamo poi iniziato a guardare come si sviluppa la struttura interna dei verbi trivalenti (che selezionano tema e destinatario/fine). Nella struttura dei verbi bivalenti, il secondo argomento interno non poteva essere incluso perché questo argomento non può essere inserito in una posizione ricorsiva di VP, dove ci vanno gli aggiunti. Gli argomenti infatti dovrebbero tutti saldarsi all’interno del VP. Abbiamo dimostrato anche che tra il verbo e i suoi due argomenti si forma un costituente, se si adotta i criteri di costituenza relativi al nodo VP (e non ai costituenti interni singoli). Perciò quale dei due argomenti si salda prima e in quale posizione? Un dato empirico per poter determinare quale dei due argomenti si salda prima ci viene fornito dal comportamento sintattico del pronome riflessivo “sé stesso”. Questo pronome riflessivo, per poter realizzarsi in una costruzione frasale, deve sempre avere un antecedente che deve essere un DP → tale antecedente è necessario per poter assegnare i tratti di riferimento perché “sé stesso”, di per sé, non li ha. Questo va a motivare innanzitutto la grammaticalità di una frase → *sé stesso ha telefonato = agrammaticale perché non esiste un antecedente che vada a dominare (saldarsi in una posizione più alta) questo pronome riflessivo. L’antecedente deve trovarsi all’interno della stessa frase semplice: Es. Gianni ha visto sé stesso → grammaticale perché il pronome trova un suo antecedente (in una posizione superiore), perciò si Co-riferiscono (fanno riferimento alla stessa entità della realtà). Questo va poi a giustificare il fatto che non possiamo dire: Es. *Gianni ha detto che sé stesso ce la farà → pur riferendosi alla stessa entità e rispettando tutte le indicazioni precedenti, il motivo dell’agrammaticalità è che “Gianni” e “sé stesso” non si trovano all’interno della stessa frase. “Gianni” si trova nella frase superiore mentre il pronome nel CP, argomento interno del verbo “dire”, dove ne rappresenta il soggetto grammaticale. Tale relazione viene evidenziata mediante degli indici sottoscritti identici, per esprimere linguisticamente che Gianni e “lui” co-riferiscono alla stessa entità. Per questa ragione, pronomi vengono denominate espressioni Anaforiche. Per loro viene proposta una rappresentazione strutturale, in cui questi elementi entrano direttamente nel nucleo determinante, sono degli elementi funzionali che proiettano un DP. A seconda dei tipi di pronomi, la relazione con un antecedente obbligatorio è determinata da condizioni diversi. Queste condizioni vengono descritte dalla “teoria del legamento” con il C-comando (nozione strutturale considerata universale per determinare le relazioni all’interno delle frasi). “Teoria del legamento” descrive due tipi di pronomi: pronomi personali e pronomi riflessivi Se li combiniamo all’interno della frase, le condizioni riguardo alla relazione dei pronomi personali e riflessivi con il suo antecedente sono diverse e dipendono dalla struttura. Es. (1) “Gianni ha visto sé stesso” → “sé stesso” lo possiamo interpretare come associato a Gianni, perciò entrambi si riferiscono alla stessa entità. Saranno quindi indicate con uno stesso indice di riferimento. Gianni ha visto lui → qui non possiamo avere lo stesso tipo di relazione perché “lui” in questa situazione non si riferisce a Gianni ma ad un'altra entità precedentemente introdotta o recuperata nel contesto comunicativo. Perciò lui non ha lo stesso indice di riferimento di Gianni ma un altro. Es. (2) *Gianni ha detto [che sé stesso se ne andrà] → “sé stesso” non trova nella stessa frase semplice di Gianni. Gianni ha detto [che lui se ne andrà] → frase grammaticale perché è possibile co-riferire “lui” con Gianni. Perciò, la possibilità di Co-riferire un’entità con questi due tipi di pronomi avviene così: 1. pronomi personali = devono essere liberi, ovvero non legati al loro antecedente nella stessa frase semplice 2. pronomi riflessivi = devono essere legati al loro antecedente nella stessa frase semplice. NB. antecedente è obbligatoria per entrambi La possibilità di essere legato o libero è una proprietà di tipo strutturale: la teoria generativa esprime questa proprietà dell’essere legato o libero attraverso la nozione di C-comando, che va considerato parte della nostra grammatica universale. Questa relazione di C-comando deve essere sempre soddisfatta dalle espressioni nominali e deve essere rispettata duranti i movimenti sintattici. Per C-comando si intende una nozione strutturale, che viene determinata con la generazione di struttura. Prendendo in esame una struttura come il seguente: (stessa struttura) Se prendiamo le proiezioni “A” e “F”, possiamo dire che sono “nodi fratelli” perché tutti e due discendono da un'unica suddivisione in albero da “E”. Essendo nodi fratelli, “A” C-comanda “F” mentre il C-comando asimmetrico sarebbe se “A” C-comanda “F” può C-comandare tutti gli altri elementi che sono dominati da “F” o C-comandati da “F”. Quindi oltre a “F”, “A” C-comanda anche “B”, “C”, “G” e “D”. Questo perché questi sono tutti elementi contenuti sotto “F”. Possiamo dire poi che “B” C-comanda “C” perché è nodo fratello di “G”, per questo “B” C-comanda tutto ciò che è contenuto sotto “G”; mentre “C” non può C-comandare “B” perché “C” non contiene “B”, ma solo “D”. NB. Naturalmente “E” comanda tutto che contiene. Sulla base di questa nozione strutturale del C-comando, la teoria del legamento possiamo declinarla così: principio A = I pronomi riflessivi devono essere C-comandati dal loro antecedente dentro il dominio minimo rappresentato dalla frase; principio B = i pronomi personali non possono essere C-comandati dal loro antecedente all’interno del dominio minimo rappresentato dalla frase; principio C = un’espressione referenziale deve essere libera, non deve essere c- comandata. Pensando ai primi due casi, vediamo come si giustifica il C-comando tra antecedente e pronomi. Es. (1) “Gianni ha visto sé stesso” NB. Abbiamo detto che C-comando è una nozione che vien applicata non solo quando gli elementi sono saldati ma anche dopo tutta la derivazione della frase (quindi eventuali movimenti degli elementi per recuperare il caso e fare accordo). Vediamo adesso il motivo per cui la frase è grammaticale → “sé stesso” è C-comandato dal suo antecedente “Gianni” (il DP ha come nodo fratello il V’, perciò c-comanda tutto ciò che V’ contiene). Se nel caso di “sé stesso” ci fosse “lui”, anche qui sarebbe sempre c-comandato da Gianni ma il Principio B del legamento dice che questo pronome deve essere libero, non c-comandato dal suo antecedente all’interno del dominio minimo della frase. In questo caso, “lui” non potrà ricevere lo stesso indice referenziale di “Gianni” ma un altro che lo permette di associarsi ad un altro elemento esterno della frase La struttura completa sarà: Qui abbiamo il movimento di Gianni alla posizione di SpecTP e lo stesso C-comanda “sé stesso” perché adesso risulta il nodo fratello di T’, quindi domina tutto ciò che il T’ contiene. Es. (2) “La terapia ha restituito Gianni a sé stesso” → avendo un verbo trivalente abbiamo il nodo vP: Anche in questo caso “Gianni” c-comanda “sé stesso”. DP alla posizione di SpecVP è il nodo fratello di V’ e quindi domina tutto ciò che V’ contiene. Il C-comando viene mantenuto anche quando proseguiamo la generazione della struttura. Es. (3) “Gianni ha mostrato sé stesso a Maria”: Es. (4) “La madre di Gianni pensa a lui” → “lui” in questo caso può sia co-riferire a Gianni che riferire ad un’altra entità. *La madre di Gianni pensa a sé stesso → sostituendo “lui” con “sé stesso” la frase risulta agrammaticale
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