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Linguistica generale da stampare[1], Sintesi del corso di Linguistica

riassunto del libro linguistica generale

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 20/12/2015

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Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Linguistica generale da stampare[1] e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! LINGUISTICA GENERALE LE LINGUE, LA COMUNICAZIONE VERBALE E LA LINGUISTICA La linguistica generale è una scienza empirica che si propone di spiegare il funzionamento e il cambiamento delle lingue intese come strumenti della comunicazione verbale. Dati empirici ed oggetto formale Un oggetto reale è una porzione di realtà che si manifesta in un complesso di dati. Per esempio, una lingua si manifesta in una serie di eventi fisici (fonici o grafici). Questi eventi fisici possono suscitare l’interesse conoscitivo di studiosi appartenenti a discipline diverse. Ciascuna di queste discipline si caratterizza per un punto di vista particolare sugli eventi che manifestano l’oggetto reale, che quindi corrisponderà a più oggetti formali. Per esempio la sociologia considera i fenomeni linguistici per il loro rapporto con gli aspetti della situazione sociale. La linguistica, invece, osserva gli eventi verbali cercando di cogliere la loro organizzazione interna come pure di individuare somiglianze e differenze rispetto ai dati di altre lingue o di stati anteriori della medesima lingua: in questo senso la lingua è l’oggetto formale della linguistica. Il fenomeno linguistico, oralità e scrittura I sistemi di scrittura furono introdotti per fissare, diffondere e conservare i documenti linguistici rilevanti per le vita pubblica di una comunità (leggi, testi religiosi, opere letterarie). Nei successivi sviluppi furono stabilire le norme per redigere e leggere in modo adeguato (grammatica). La linguistica è descrittiva (osserva la lingua così come si manifesta) non prescrittiva (non stabilisce come una lingua DEVE essere). Descrizione e prescrizione Ma altro è descrivere il fenomeno osservato, altro è cercare di comprendere quali fattori lo costituiscano. La linguistica non si limita a descrivere i dati, ma cerca anche di sviluppare ipotesi sulla organizzazione del fatto linguistico sulla base dei dati. La linguistica generale formula ipotesi sulla dimensione non direttamente osservabile del fatto linguistico. La linguistica è infatti una scienza empirica, coinvolta con eventi semiotici; cioè costituiti come suoni o caratteri che rinviano ad altro da sé (qualcosa che sta per qualcos’altro). Livelli di astrazione La linguistica si avvale di processi di astrazione: astrarre significa ‘togliere, staccare’. -Un primo tipo di astrazione è la generalizzazione, per la quale si astrae un aspetto comune a una serie di fenomeni osservati: è una “scommessa” sulla presenza di una proprietà osservabile in tutti gli oggetti di una determinata classe. Ha luogo un passaggio dall’individuale al generale. Per esempio osservando il comportamento di molti aggettivi in italiano potrei affermare: Tutti gli aggettivi al singolare hanno il maschile in –o e il femminile in –a. È possibile sottoporre a controllo questa proposizione, continuando l’indagine empirica. Non appena avrò incontrato un aggettivo in –e (audace) sarò tenuto a rettificare la parte falsa della proposizione: dovrò negarne la portata universale e ridurre il tutti a un molti. Tali considerazioni descrivono, ma non spiegano: offrono classificazioni dei fenomeni, ma non rendono conto di come funzionino. Per fare un esempio, la concordanza: essa è un dato osservabile che si coglie nella presenza, per esempio, del plurale nel nome e nel verbo (the foxes are running); questa è però la manifestazione e non la ragione del fenomeno. Lo studioso potrà formulare, a seguito dell’osservazione, un’ipotesi, una proprietà che non è accessibile all’osservazione. -Un secondo tipo di astrazione consente appunto di ricavare da un oggetto osservabile una proprietà nascosta all’osservazione. Lo studioso intravede la possibilità di concepire la lingua come un organizzazione complessa di procedimenti che elaborano strutture, cioè “strumenti” di natura fonica o grafica, dotati di una carica segnica e predisposti a funzionare nella comunicazione umana. Quest’organizzazione è nascosta all’osservazione, si procederà infatti con la formulazione di ipotesi. In questa prospettiva, si dice grammatica il nucleo di un’ipotesi sull’organizzazione interna di una lingua; in quanto ipotesi, la grammatica non è nella lingua, ma nella teoria linguistica. -Un terzo tipo di astrazione, chiamato ideazione costruttiva: si pongono oggetti nuovi, che non si manifestano, ma si devono ipotizzare come esistenti, allo scopo di spiegare come si producano i dati osservabili. Quest’organizzazione complessa è nascosta all’osservazione. Per descriverla, si costruisce un modello, che funziona come quell’organizzazione complessa responsabile dei fenomeni osservati. L’ipotesi della grammatica come “dispositivo” che presiede alla costituzione delle frasi di una lingua è ricavata mediante un’ideazione costruttiva. Le lingue e la lingua È possibile applicare il processo di astrazione, ponendo domande sulle somiglianze e sulle differenze tra le lingue del mondo. Si può ipotizzare che una costruzione grammaticale simile si manifesti con strategie diverse. Lo studioso potrà sviluppare quest’ipotesi elaborando una teoria generale, nella quale certi aspetti comuni a più lingue siano presentati come una grammatica universale. Quindi alla linguistica generale è attribuito il compito di indagare una dimensione universale costitutiva del fatto linguistico: le diverse lingue particolari funzionano secondo alcuni principi organizzativi fondamentali, che lo studioso elabora e presenta come un’ipotesi sulla lingua in generale. La lingua come fatto sociale Tra i caratteri che, secondo Saussure, definiscono la lingua (langue) vi è la natura di un’istituzione sociale che si manifesta negli usi individuali. Essa è strumento di comunicazione condiviso da una comunità di parlanti. Invece l’uso individuale è detto parole: per Saussure, è concepito come realizzazione della langue. La linguistica generale, secondo Saussure, ha il compito di descrivere la langue a partire dalla “materia” osservata, cioè i dati di parole. In prospettive di ricerca più recenti, attente a riconoscere il ruolo delle soggettività coinvolte nell’esperienza linguistica, la parole è colta come atto verbale umano, che ha un profilo individuale e comunitario al tempo stesso. Grazie all’uso di una lingua, un individuo fa esperienza dell’alterità: l’attività verbale è intrinsecamente orientata a un altro individuo. In senso ampio, la comunicazione umana è uno scambio intenzionale di segni tra un mittente e un destinatario. Tale scambio ha uno scopo: l’intenzione comunicativa, che deve essere recepita dal destinatario. La comunicazione si avvale della lingua come strumento. Servendosi di espressioni di una lingua, i parlanti si riferiscono al “mondo” e contribuiscono a cambiarlo (p.es. Lei è licenziato!). la lingua e gli eventi semiotici nella comunicazione umana Nella comunicazione verbale intervengono certi tipi di segni. 1. un indizio o sintomo è fenomeno naturale e non intenzionale; la motivazione è del tipo causa effetto; uno sbadiglio involontario può denotare stanchezza o noia. 2. un segnale è un fatto naturale e intenzionale, che richiama il destinatario a qualcos’altro: si può guardare insistentemente l’orologio per far capire che è tardi. 3. Un’icona è una riproduzione che per la forma è analoga all’oggetto cui rinvia: si pensi alle figure umane stilizzate nei segnali di regolazione del traffico pedonale; o agli smileys impiegati negli sms. 4. Un simbolo è caratterizzato da intenzionalità e da motivazione culturale; esso è dunque risultato di una convenzione adottata entro una comunità: l’accoppiamento cromatico neroazzurro è universalmente noto come simbolo dell’Inter. 5. I segni impiegati nei messaggi linguistici condividono l’intenzionalità e la convenzionalità che caratterizzano i simboli. Vi è una differenza fondamentale: tutti i simboli si possono descrivere mediante segni linguistici. L’inverso è invece possibile solo per un numero limitato di messaggi. La categorizzazione si attua in due modi: la pertinenza semiotica e la motivazione. a. Un elemento è capace di funzionare se si caratterizza rispetto ad altri elementi: avere pertinenza semiotica significa dare luogo a differenze obbligatorie nel sistema segnico. Per es. in inglese time, ha un potenziale semantico distinto da quello di weather e da quello di tense. In italiano queste aree semantiche non sono obbligatoriamente distinte e corrispondono ad un più generico “tempo”; in italiano si tratta di una differenza semantica testuale (la differenza si recupera nel testo), in inglese si tratta di una differenza semiotica sistemica. Un esempio più semplice è dato dal confronto con l’inglese: (he) is reading si oppone a (he) reads che in italiano trova corrispondenza nella forma legge. Anche l’italiano, peraltro, dispone della costruzione verbale sta leggendo, vicina, per struttura, alla forma progressiva inglese is reading. Tuttavia, mentre sta leggendo può essere sostituito da legge, is reading non può venir rimpiazzato da reads: le due forme inglesi costituiscono una differenza obbligatoria fra “progressivo” e “abituale”. Possiamo definire la pertinenza semiotica come una differenza semantica istituzionalizzata. Se la differenza non è obbligatoria, è possibile recuperarla nel testo o nel contesto. Nessun sistema linguistico è identico a un altro: tra lingue vi è anisomorfismo (“assenza di isomorfismo”, dove isomorfismo significa “identità di forma”). Per meglio cogliere la pertinenza semiotica si può ricorrere al confronto fra i diversi sistemi. b. La motivazione è una costruzione “trasparente”, ossia è “spiegata” da una lettura “culturale” di una determinata esperienza. Così, per esempio, pipistrello ha questo nome perché è “sperimentato” come ‘l’uccello che esce di sera’: la parola risale infatti a un antico vespertilio (da lat. vesper ‘sera’). Un altro esempio può essere “cacciavite”, che nomina uno strumento indicandone l’impiego. L’inverso della motivazione è l’arbitrarietà, la quale caratterizza il legame tra il suono ed il significato entro un segno: non vi è alcuna ragione per cui un dato suono sia connesso ad un dato significato. Segni come eventi semiotici La lingua è da considerarsi un sistema segnico; in un sistema segnico non vi sono veri e propri segni, ma strutture predisposte a funzionare come segni nei messaggi. Gran parte della linguistica del Novecento europeo afferma però che si tratta di un sistema di segni. Nella realtà della comunicazione, un segno è un evento fisico (fonico o grafico) che attiva un evento mentale (significato). Per avere un segno necessito degli interlocutori e della realtà alla quale essi si riferiscono le strutture della lingua Per spiegare la semiosi, cioè la relazione tra suoni e significati nella comunicazione verbale si avanza l’ipotesi della lingua come sistema di correlazioni fra strategie di manifestazione (significanti, immagini acustiche) e schemi concettuali Non esistono “messaggi preconfezionati”; una lingua non è un repertorio di segni o di messaggi, ma è un sistema di strutture, cioè strumenti espressivi per costruire messaggi. La struttura è” l’intelaiatura dell’edificio semiotico”: è l’organizzazione intermedia fra suoni e significati; è ciò che permette all’ascoltatore di comprendere una certa sequenza di suoni come un significato. Le strutture sono quindi strumenti per costruire ed interpretare messaggi. Se per esempio, mentre cammino, uno sconosciuto mi si avvicina e mi dice “ho fame”, io non reagisco ai suoni, ma al significato. Questa reazione è resa possibile dalla permanenza, nella mia mente, di una struttura complessa. Una struttura è un modello di realizzazione fonica associato a uno o più schemi concettuali. Il modello fonico è uno, ma le valenze possono essere più d’una. Generalmente, strutture come nomi, verbi e aggettivi hanno una valenza preferenziale e una o più valenze periferiche (caffè ha valenze diverse se prese isolatamente, ma in tazza di caffè indica la bevanda, in pacchetto di caffè indica un’altra cosa). Altre volte invece, può essere decisiva l’interazione con il contesto (che cosa beve? Alcolici o analcolici? Può trattarsi di un’offerta, ma se il mittente è un medico e il destinatario un paziente, sarà probabilmente una richiesta di informazioni utile per la diagnosi. La strutture possono essere di due tipi: vi sono unità semplici (forse) e processi che formano unità più complesse (gatti_formazione plurale o gatti siamesi di Guido). Una struttura può significare in via diretta, con funzioni semantiche, oppure mediata, con funzioni sintattiche, le quali svolgono, a loro volta funzioni semantiche, per esempio, il plurale di libri vecchi è semantico in libri, perché serve per riferirsi alla realtà, ma è sintattico in vecchi, perché serve a manifestare il legame con libri. Raparti organizzativi della lingua e competenza linguistica Nel “laboratorio” delle strutture di una lingua si individuano diversi reparti, ognuno si incarica di produrre una determinata classe di strutture. Fra questi reparti vi sono la morfologia e la sintassi: la morfologia si incarica di costruire parole e forme di parola che la sintassi provvede a combinare. -il laboratorio delle strutture produce “semilavorati testuali” e che appartiene alla prima articolazione -un altro laboratorio ha il compito di organizzare il sistema fonologico di una lingua e che appartiene alla seconda articolazione. I diversi reparti organizzativi si possono considerare anche una rappresentazione delle diverse competenze dei parlanti: -vi è una competenza fonetico-fonologica. Per esempio, poniamo che Luigi dica: Sono stanco e Maria, con sarcasmo, ribatta: Sono stanco! Ma se hai dormito tutta la mattina! Le due realizzazioni di Sono stanco si differenzieranno per intensità, altezza, durata, timbro del suono, come pure per diverso ritmo e velocità dell’eloquio, ma soprattutto per il registro fondamentale, che caratterizza la voce di ognuno distinguendola da tutte le altre. Componenti emotive peculiari e irripetibili attestano inoltre le emozioni e gli stati d’animo dei due locutori. La competenza fonetico-fonologica permette di ricondurre una sequenza di suoni ai modelli di realizzazione fonetica delle strutture della prima articolazione. -Vi è poi una competenza lessicale, che riguarda il lessico mentale, inteso come il vocabolario a disposizione dell’individuo. Vi sarà una componente generalmente accessibile alla gran parte dei parlanti di una lingua. Altre componenti sono poi condivise da un numero più ristretto di parlanti e si articolano nei diversi lessici speciali, nelle variazioni stilistiche più sottili. -Infine, la competenza grammaticale presiede alla corretta combinazione delle parole e al riconoscimento delle costruzioni sintattiche: la concordanza tra soggetto e verbo predicato, come pure quella tra nome e aggettivo attributo sono riconosciute e stabilite dai parlanti in modo intuitivo. Per Chomsky, la grammatica è infatti un’ipotesi su una competenza innata della mente umana; la competenza caratterizza un parlante ideale. Riguarda cioè qualsiasi parlante, poiché senza competenza grammaticale nessun individuo umano è capace di parlare. La competenza grammaticale si manifesta nell’esecuzione, che dà luogo alle produzioni linguistiche concrete. Proprietà fondamentali delle strutture Le caratteristiche generali delle strutture di una lingua sono: a. Polivalenza significa “molteplicità di funzioni”. Le funzioni si possono collegare fra loro più o meno strettamente, lasciando così intravedere una base semantica comune, uno schema condiviso da più valenze (es. i diversi usi di andare: il panino non mi va’, vado a scuola, l’auto non va ecc…). b. Varianza significa pluralità di strategie di manifestazione. I casi più evidenti e più frequenti riguardano la morfologia flessionale (-are /-ere /-ire sono manifestazioni diverse di una struttura della morfologia flessionale –l’infinito presente del verbo). c. Preferenzialità: Una struttura tende ad avere una valenza preferenziale: è la valenza che prevale statisticamente e psicologicamente (perché tipicamente associata alla struttura stessa). Per esempio, il presente di un verbo non sempre ha funzione di presente (p.es.Napoleone muore a Sant’Elena il 5 maggio 1821, con il cosiddetto presente “storico”; A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, con uso “assoluto”, atemporale). d. Endolinguisticità: Una struttura è sempre endolinguistica perché appartiene al rispettivo sistema linguistico e si caratterizza in rapporto ad altre strutture del medesimo sistema. Per esempio, la categoria del tempo verbale si configura diversamente a seconda della lingua Semiosi deittica e semiosi categoriale I deittici sono unità che non “dicono” come è la realtà, ma rinviano direttamente ad essa ( i pronomi personali e quelli dimostrativi sono tipiche strutture deittiche non voglio questo, preferisco quello) Concezione saussuriana del segno Il segno saussuriano è caratterizzato come unione inscindibile di un significante e di un significato. Per Saussure, l’unione di significante e significato è di natura arbitraria nel senso che la scelta del significante non è determinata dal significato. Secondo quest’ipotesi i significati ci sono perché ci sono i significanti, e i significanti ci sono perché sono il modo in cui il significato è colto come entità distinta dalle altre entità. In questa prospettiva, il segno è un’entità bilaterale che appartiene alla langue e si realizza nella parole. Il segno vero e proprio ha natura ideale: non è un evento semiotico della vita reale. È invece concepito come un significato imposto dal sistema, che è istituzione sociale. Per Bühler il segno è un evento semiotico che si costituisce in una relazione triadica fra mittente, destinatario e realtà rappresentata. Per Saussure, il segno è un’entità bilaterale che appartiene all’istituzione chiamata langue. Una conseguenza dell’ipotesi di Saussure è che i parlanti non sono responsabili dei significati: il segno non si costituisce nel confronto dei soggetti con l’esperienza, né vi è negoziazione tra gli interlocutori sul significato di un segno, ma vi è solo una realizzazione di entità preordinate in un codice linguistico. Non vi è spazio per l’esperienza individuale: il significato viene dalla langue, che impone le proprie categorie – categorie sempre identiche, prive di novità -. In tale concezione del significato non si intravede una dimensione di sensatezza per il soggetto: a che scopo comunicare, se tutto è già nel codice che ci sovrasta? ELEMENTI DI FONETICA E DI FONOLOGIA La fonetica è lo studio delle caratteristiche dei suoni della lingua. I modi di analisi sono tre: il percettivo, l'acustico e l'articolatorio. Possiamo ricondurre ciascuno di essi a uno dei tre fattori fondamentali della trasmissione del suono: il mittente, il destinatario e il corpo sonoro. -L'analisi percettiva considera il punto di vista del destinatario: essa riguarda i meccanismi della sensibilità auditiva; essa considera la ricezione di un fenomeno acustico e la sua interpretazione come elemento linguistico. -L'analisi acustica studia il corpo sonoro: essa analizza i fenomeni acustici in quanto fenomeni fisici. -L'analisi articolatoria, infine, riguarda l'apparato della fonazione, e descrive la genesi dei suoni: il fenomeno sonoro è colto dal punto di vista del mittente. Fattori dell’onda sonora Un’onda sonora corrisponde a una compressione seguita da una depressione nell'atmosfera, dovute alla deformazione di un mezzo materiale. Nella descrizione di un'onda sonora intervengono quattro fattori fondamentali: -ampiezza (determinata dalla pressione esercitata: essa diminuisce man mano che l'onda si allontana dalla sorgente del movimento); -frequenza (numero di vibrazioni prodotte in una data unità di tempo); LE NASALI \m\ labiale (mare) \ \ labiodentale (anfora,tranvia) \n\ dentale (naso) \ \ palatale (gnocchi) \ \ velare (angolo, anche) che in italiano è seguita sa un’occlusiva post-palatale \g\ \k\ LE APPROSSIMANTI: corrispondono alle cosiddette semiconsonanti \w\ (uomo) e \j\ (ieri) in italiano. La \w\ è un’approssimante velare ed è articolata con arrotondamento delle labbra; invece \j\ è palatale e non arrotondata. Le semiconsonanti sono intermedie fra le vocali e le fricative. LE LIQUIDE: sono vibranti o laterali. -per le vibranti distinguiamo l’alveolare \r\ e la uvulare \R\ -la laterali sono la alveolare \l\ (loro) e la palatale \ \ (miglio) LE AFFRICATE si producono articolando una occlusiva ed una fricativa quasi contemporaneamente. Occlusiva e fricativa si pronunciano nel medesimo luogo di articolazione e devono essere entrambe sonore o entrambe sorde. In italiano ve ne sono due coppie: le affricate dentali sonore \dz\ (zenzero) e sorda \ts\ (azione), le post- alveolari sonora \ \ (giardino) e sorda \ \ (ciurma). Coarticolazione L’Alfabeto Fonetico Internazionale può essere impiegato nella cosiddetta trascrizione “larga” (broad transcription): ogni simbolo sta per un tipo di suono e non per una concreta realizzazione; indica una idealizzazione fonica generica, alla quale possono corrispondere più suoni specifici. Per esempio, mentre si articola l’occlusiva /t/ di tuo, le labbra possono accennare il movimento di arrotondamento della successiva vocale /u/. Nell’articolazione della /t/ di tipo,invece, le labbra non arrotondate si preparano alla successiva /i/: le due /t/ sono diverse e si potrebbero perfezionare i simboli fonetici, servendosi di una trascrizione “stretta”. Ma anche in questo caso si tratta di idealizzazioni, sebbene ci si avvicini maggiormente alla realtà empirica, la pronuncia di suono può infatti variare a seconda dell’età, del sesso, delle condizioni psico-fisiologiche del parlante ecc…. altre differenze sono inoltre riconducibili a variazioni dialettali in senso ampio. ELEMENTI DI FONOLOGIA Nel dominio della fonologia rientra lo studio della funzione dei suoni di una lingua. Opposizioni foniche e opposizioni fonologiche Nell’analisi fonologica interessano, non tutti i tratti che distinguono un fono da un altro, ma quei tratti che, distinguendo un fono da un altro, distinguono anche un fonema da un altro fonema. Per esempio, la parola mare in italiano può essere pronunciata con /r/ oppure con /R/. in questo caso parliamo di opposizione fonica e non di opposizione fonologica. Una opposizione fonica è fonologica quando è pertinente, ossia quando serve a distinguere le parole. Per verificare la pertinenza dell’opposizione si fa una prova di commutazione. Per esempio, in italiano, l’opposizione fonica fra /b/ e /p/ è anche fonologica: in effetti se in bere sostituisco b con p ottengo pere, che è un’altra parola. Gli estremi di una opposizione fonologica si chiamano unità fonologiche, che possono essere semplici (cioè non ulteriormente segmentabili come le precedenti, chiamate fonemi) o complesse (per esempio nel caso di pera e lana, /per/ e /lan/ sono unità complesse, cioè segmentabili in unità minori). Due parole come bere e sere costituiscono una coppia minima, poiché differiscono solo per un fonema nella stessa sede. Il fonema si può considerare un fascio di tratti distintivi. Questo perché in fonologia contano solo le differenze pertinenti (ossia, che instaurano un'opposizione fonologica). Ad esempio, il fonema /p/ dell'italiano è la somma dei suoi tratti distintivi: non di tutte le caratteristiche del fono, ma soltanto di quelle che in italiano servono per opporre /p/ ad altri fonemi. Da ciò si può dedurre che un fonema di una lingua può essere diverso dal fonema di un’altra lingua, anche se il suono che li realizza è simile. Varianti libere e varianti di posizione [r] e [R] sono foni che realizzano lo stesso fonema: [R] può sempre sostituire [r], senza che questo intacchi il sistema delle opposizioni fonologiche. Per definire il contenuto fonologico di /r/, in italiano è sufficiente considerare la caratteristica di “vibrante” che, per esempio si oppone al tratto “laterale” di /l/, stabilendo l’opposizione /r/:/l/. si dirà dunque che in italiano [R] è una variante libera di [r] (si può dire che la realizzazione dipende dalle circostanze in cui vivono i parlanti, non dalla lingua). Vi sono anche varianti legate, ossia imposte dalla combinazione dei suoni in una lingua: pensiamo alla diversa articolazione del suono iniziale delle due parole casa e chiesa. Una classificazione dei fonemi Nikolaj Trubeckoj propone di classificare le opposizioni fonologiche in base a diversi fattori. La sua classificazione mette in luce una particolare concezione del fonema come fascio di tratti distintivi. • Classificazione in base al rapporto fra gli estremi dell’opposizione: i tratti distintivi di un fonema sono rilevati ricorrendo a coppie minime. Per esempio /p/:/f/: - pare: fare (occlusiva vs fricativa) - pere: bere (sorda vs sonora) - pane: tane (labiale vs dentale) Questa serie di coppie minime è sufficiente per individuare il contenuto fonologico di /p/ come “occlusiva, labiale, sorda”. Naturalmente vi sono altre coppie minime di complessità maggiore. Le opposizioni fonologiche i cui estremi si caratterizzano per la presenza o l’assenza di un tratto distintivo sono chiamate opposizioni privative; se invece gli estremi della coppia oppositiva si distinguono per il grado di presenza di un tratto, si hanno opposizioni graduali. Le opposizioni che non sono né privative né graduali sono chiamate equipollenti. • La classificazione in base al rapporto fra le opposizioni: • Classificazione in base agli elementi condivisi: consideriamo gli estremi dell’opposizione per il contenuto fonologico condiviso a entrambi, ossia per la base di comparazione. Consideriamo l’opposizione /b/:/p/. Entrambi sono occlusivi e bilabiali. Tale base di comparazione non è presente in alcun altra opposizione fonologica dell’italiano: non vi sono altri fonemi occlusivi e bilabiali. Una opposizione fonologica che non condivide la base di comparazione con alcuna altra opposizione fonologica è chiamata bilaterale. Prendiamo ora l’opposizione /b/:/d/. La base di comparazione è data dai tratti “occlusivo”, “sonoro”; ma in italiano essa compare anche nelle opposizioni /d/:/g/ e /b/:/g/, perché vi è un terzo fonema occlusivo e sonoro che è /g/. Un’opposizione fonologica che condivide la base di comparazione con altre opposizioni è chiamata multilaterale. • Classificazione in base al tipo di opposizione: consideriamo ciò che distingue un’opposizione. Per esempio in /b/:/p/ si ritrova l’opposizione “sonora vs. sorda” che compare in /d/:/t/ e /g/:/k/. Una coppia oppositiva che presenta un rapporto identico a quello di altre coppie oppositive costituisce un opposizione proporzionale. È chiamata isolata un’opposizione tale che nessun’altra coppia oppositiva presenta la medesima relazione reciproca. • Classificazione in base alla forza distintiva: le opposizioni possono essere costanti oppure neutralizzabili. Soprattutto in lingue come il tedesco e il russo le opposizioni bilaterali privative in posizione finale di parole non sono operanti, perché i due estremi della coppia vengono realizzati dal medesimi fono: per esempio /d/ e /t/ sono entrambi realizzati come [t], Rad è pronunciato allo stesso modo di Rat. In questi casi l’opposizione /d/ e /t/ viene neutralizzata_ la neutralizzazione di tale opposizione dà luogo a un arcifonema simbolizzato con /T/. • Le correlazioni: Una coppia correlativa è un'opposizione fonologica privativa, bilaterale e proporzionale. Per correlazione si intende una serie di coppie correlative i cui estremi si oppongono per lo stesso tratto, detto marca di correlazione. La correlazione è dunque una serie di coppie correlative caratterizzate dalla stessa marca di correlazione. Per esempio, la coppia correlativa /b/:/p/ fa parte della seguente correlazione di sonorità: /b/ “ /d/ “ /g/ : : : /p/ “ /t/ “ /k/ Per Trubeckoj, le correlazioni costituiscono il nucleo organizzativo di un sistema fonologico. La Correlazione è l'ossatura del sistema fonologico e le opposizioni fonologiche che hanno il maggior rendimento funzionale (cioè sono quelle fondamentali per far funzionare il sistema delle differenze fonologiche) si costituiscono come parti di una correlazione. Il binarismo Jakobson (teorico del binarismo) concepisce l'opposizione fonologica come una scelta binaria: la presenza oppure l'assenza di un tratto caratterizzano gli estremi della coppia oppositiva. Un tratto c’è o non c’è. Ogni fonema è definito per mezzo di una matrice di tratti. Ogni tratto è binario, ossia può avere due valori –positivo o negativo. L’insieme dei tratti necessari e sufficienti per definire i fonemi dell’italiano può essere il seguente: 1) sillabico (suono che può comparite nella posizione di nucleo sillabico_vocali) 2) consonantico (suono prodotto con una restrizione alla fuoriuscita dell’aria_occlusive, fricative, liquide, nasali) 3) sonorante (la restrizione è scarsa_nasali, liquide, vocali) 4) sonoro (suono consonantico che si produce attivando il meccanismo laringeo) 5) continuo (suoni articolati senza occludere la cavità orale_ fricative, liquide) 6) rilascio ritardato (affricate) 7) laterale (l’aria fuoriesce dalle aree laterali del cavo orale_laterali) 8) arretrato (suoni che si articolano arretrando la lingua_occlusive velari) 9) anteriore (suoni prodotti con una restrizione nella alveolare o in posizioni anteriori a questa) 10) coronale (suoni prodotti sollevando la parte anteriore della lingua) 11) basso (suono prodotto abbassando la lingua, aprendo la mandibola) 12) alto (suono prodotto alzando la lingua verso il palato) 13) arrotondato (suono prodotto con la labializzazione) Le regole fonologiche Gli allofoni sono i foni che realizzano un fonema, sono le varianti di uno stesso fonema: in italiano, [r], [R] o [ ] sono realizzazioni diverse del fonema /r/. In questa prospettiva, si può considerare il fonema come una classe di allofoni. Per esempio, il fonema /r/ dell'italiano costituisce un’abbreviazione dell’informazione seguente: “[r], [R] o [ ]”. In questo caso si tratta di allofoni liberi, cioè che compaiono nella medesima posizione. Gli allofoni in distribuzione complementare compaiono in posizioni differenti: in italiano il fonema /n/ è realizzato da [ ] davanti a occlusive post-palatali, è realizzato da [n] in altre posizioni. Di particolare importanza sono le regole sugli allofoni di posizione: a scegliere l’allofono compatibile con la posizione provvederà una regola fonologica, la cui forma generale è: A ->B/_Y (A diventa B nel seguente contesto: prima di Y). Aspetti di fonologia della sillaba e della parola La struttura della sillaba è articolata in un attacco (onset) e in una rima. La rima, a sua volta, contiene un nucleo e una coda. Il nucleo è la componente necessaria e sufficiente: esso è rappresentato noia e di un lessema strutturato come noioso. Il morfema lessicale è quindi l’elemento stabile delle diverse forme di parola. • i formativi lessicali: intervengono nella formazione di lessemi strutturati a partire da altri lessemi, che possono essere elementari o strutturati. Nelle lingue indoeuropee si manifestano per lo più come affissi (penOSo) • i morfemi flessionali: caratterizzano forme diverse della medesima parola (del medesimo lessema), ossia sono l’elemento variabile che si combina con l’elemento stabile (il morfema lessicale). Per esempio nella forma dell’aggettivo grasso, -o manifesta un morfema flessionale; in quanto morfema del maschile si distingue rispetto ad –a, morfema del femminile (grassa). Sono possibili forme di parola senza morfemi flessionali come preposizioni, congiunzioni e avverbi. Somiglianze e differenze fra tipi di morfemi I morfemi flessionali, i formativi e i morfemi lessicali sono picchi di un continuum di unità morfologiche: possiamo cogliere somiglianze e differenze fra i tre alla luce di tre grandezze scalari: • la chiusura dei paradigmi: il grado massimo di chiusura si ha con i paradigmi dei morfemi flessionali: le unità del paradigma sono in numero ridotto e stabile. Per esempio, in italiano, il tempo verbale del modo indicativo ha sei morfemi (presente, imperfetto, passato remoto ecc…), il genere ha due morfemi ecc…. I formativi lessicali appartengono a paradigmi meno chiusi: non di rado avviene infatti che un morfema lessicale sviluppi caratteristiche di formativo, ampliando così questa classe di elementi. Per esempio, tele- come morfema lessicale è il primo costituente di televisione. Ma in parole come teledipendente, telespettatore esso si comporta come prefisso. Un elemento come tele- è intermedio rispetto ai fonemi lessicali tipici e agli affissi tipici. Per questa natura “ibrida” si è parlato di prefissoidi (come tele- o anche video- in videocitofono) e suffissoidi (come –mania in cleptomania) • la sistematicità di applicazione: cioè la regolarità tendenziale con cui si svolgono determinate operazioni nella morfologia flessionale o nella formazione delle parole. Correlata alla sistematicità è la produttività, cioè la vitalità di un processo morfologico in un certo periodo storico di una lingua. Il grado di sistematicità è massimo con i morfemi flessionali. In italiano, il verbo, ha i morfemi del modo, del tempo, della persona e del numero. Il sostantivo costituisce le sue forme variando il morfema del numero. • concretezza e genericità: l’area semantica di un morfema lessicale presenta valenze (cioè predisposizioni all’uso) più “concrete” rispetto all’area di un morfema flessionale. Consideriamo per esempio i due morfemi manifestati da libr- e da –o. Il primo è lessicale ed è predisposto a funzionare caratterizzando oggetti di un certo tipo, che hanno pagine. I possibili usi di libro sono fatti per veicolare un significato “immaginabile”, che si riferisce ad una realtà concreta. Ben più complicato è descrivere il semantismo del morfema flessionale –o. In genere, il semantismo del morfema flessionale si precisa in rapporto al semantismo di un morfema lessicale. Come conseguenza, il morfema lessicale appare come elemento semanticamente fondamentale per la costituzione di una parola. La polivalenza del morfema flessionale: il caso del singolare Anche i morfemi flessionali si caratterizzano per la polivalenza. Prendiamo il morfema del singolare nei sostantivi. La singolarità è la valenza preferenziale del singolare, ma non esaurisce il potenziale semantico del morfema del numero singolare: prendiamo per esempio i nomi di massa come pasta e riso, qui il singolare non si oppone al plurale, bensì attiva un uso non numerabile che serve per denotare una sostanza. Ma il singolare può anche servire per denotare una “razione”, una “porzione”: ho mangiato il tirmisù può significare che ho mangiato la mia porzione di tiramisù. Considerazioni simili possono valere per il plurale: il plurale è usato per significare “grande quantità” di una sostanza nello spazio (sabbie del Sahara). I nomi degli stati d’animo, al plurale, non denotano sempre la pluralità, ma intensità come nei dolori del giovane Werther. Aspetti della morfologia flessionale I morfemi flessionali sono organizzati in classi: in italiano vi sono le classi morfematiche come il genere grammaticale, il numero, il caso, la voce, il modo, il tempo e la persona. Esse indicano la categoria generica di cui un dato morfema è un’istanza specifica. Così per esempio, in italiano, il numero è singolare oppure plurale, il genere è maschile oppure femminile oppure neutro. I morfemi flessionali variabili e il morfema fisso In Italiano, i sostantivi si caratterizzano per due morfemi flessionali, ma solo uno di essi, il numero è variabile. Invece il genere grammaticale nei sostantivi tendenzialmente non varia, è fisso (il/i libro, la/ le rose sono diversi per numero, ma non per genere). Questo perché la scelta del numero avviene in rapporto alla semantica (non dipende dal lessema), mentre la scelta del genere avviene per lo più dentro al sistema (dipende dal lessema). La scelta del genere avviene in riferimento alla realtà e non sempre si può motivare una tale scelta (in italiano giornale è maschile in tedesco è Zeituing che è femminile) Morfemi intrinseci e morfemi estrinseci I morfemi estrinseci sono quei morfemi che manifestano un nesso sintattico con un’altra parola, riprendendo i morfemi intrinseci di quest’ultima. Il sostantivo ha quindi solo morfemi flessionali intrinseci (genere, numero); il verbo ha morfemi flessionali intrinseci (modo, tempo) ed estrinseci (persona, numero, genere) mentre l’aggettivo ha morfemi flessionali estrinseci (il genere, il numero ed eventualmente il caso) e forse, un morfema flessionale intrinseco, quello del grado. Gerarchia dei morfemi Nel verbo si può rilevare un’organizzazione gerarchica dei morfemi: un morfema ne implica un altro. Nella lingua italiano, si osserva la seguente gerarchia di classi morfematiche: modo>tempo>persona; modo>numero. Per esempio congiuntivo>presente>terza persona plurale Morfemi e morfi flessionali In gran parte delle lingue indoeuropee, il rapporto tra il morfema flessionale e le sue manifestazioni (il suo significante) è assai complesso. Nell’analisi è opportuno distinguere il morfema dal suo significante, il morfo. Analizziamo tre fenomeni particolarmente rilevanti. • Si ha un amalgama morfematico (o pacchetto di morfemi) quando un morfo manifesta contemporaneamente più morfemi, appartenenti a classi morfematiche differenti. Esempi: il morfo –o di gatto manifesta l’amalgama di morfemi “maschile + singolare; nella -o di leggo vi è l’amalgama “indicativo + presente + I persona + singolare” e. • Per quanto riguarda il sincretismo, un’opposizione tra morfemi è espressa dalle medesime strategie di manifestazione: il medesimo morfo –a di veda manifesta ora la I ora la II ora la III persona del congiuntivo presente. Allo stesso modo si comporta il morfo –i di canti in quanto forma del congiuntivo presente (il morfo –i di canti può manifestare anche la II persona singolare del presente indicativo). • Quando più morfi manifestano lo stesso morfema – o lo stesso amalgama di morfemi – si parla di allomorfi, o varianti morfematiche. Per esempio, il morfo–o di alto e il morfo –e di celebre sono allomorfi, perché si tratta di strategie di manifestazione del medesimo amalgama morfematico “maschile + singolare”. Vi è allomorfia anche tra il morfo –a di veda e il morfo –i di canti (Congiuntivo presente). Altre strategie di manifestazione dei morfemi flessionali • Morfi segmentali: esistono morfi flessionali discreti, e cioè si possono individuale e segmentare entro una forma di parola; essi si presentano per lo più sotto forma di desinenze. Vi sono però anche morfi che si articolano in più segmenti, detti morfi discontinui (per esempio nei participi passati tedeschi: gekauft vi sono i morfi ge-+-t) • Vi sono alternanze fonologiche che modificano la radice e danno luogo alla cosiddetta flessione interna: per esempio in inglese drink ha il participio passato in drunk; la forma singolare foot ha come plurale feet. • Alternanze come sing/sang/sang sono il risultato di un fenomeno di apofonia, che realizza forme diverse di parole mediante l’alternanza vocalica nella radice. Si tratta di apofonia qualitativa, perché si basa su opposizione timbriche, invece l’apofonia quantitativa si basa sull’opposizione di durata. • La metafonia è il risultato di un cambiamento del timbro vocalico indotto dalla vocale di un morfo suffissale o desinenziale che è caduto dopo aver determinato il cambio vocalico. Come per esempio l’alternanza tra foot e feet. Allomorfie e suppletivismi Una caratteristica comune ai diversi tipi di morfemi sono i fenomeni di allomorfia. Un’allomorfia particolare si produce nel fenomeno dell’amalgama di strutture: in italiano caratterizza le preposizioni articolate, come nel, che fonde preposizione e articolo in un segmento unitario, non scomponibile. In questo caso, la nozione di allomorfo è intesa in una valenza più ampia: sono considerati tali anche i morfi che non hanno somiglianza fonetica, ma solo funzionale. Si possono riscontrare così, due livelli di allomorfia. Prendiamo per esempio, la flessione del plurale nei sostantivi inglesi. A un primo livello, vi sono gli allomorfi foneticamente simili del morfema flessionale –s. Ad un secondo livello si riscontrano gli allomorfi –s, -en (oxen), -ae (formulae), -ata (schemata), lo “zero” (sheep), l’alternanza nel morfo lessicale (teeth). Essi non hanno somiglianza fonetica e servono come strategie di manifestazione del medesimo morfema flessionale. I paradigmi suppletivi invece, si costituiscono ricorrendo a morfi lessicali simili semanticamente, ma non foneticamente: per esempio, in italiano il lessema andare costituisce il suo paradigma facendo alternare il morfo and- con il morfo vad-. Vi sono poi le forme di parola buono, migliore, ottimo (per il lessema buono). Processi di formazione delle parole: tipi fondamentali La lingua, per soddisfare le esigenze comunicative della comunità linguistica, si avvale anzitutto di una serie di processi di formazione che sfruttano i lessemi già esistenti e ne producono di nuovi. In generale, i processi di formazione delle parole costituiscono lessemi strutturati a partire da lessemi elementari. • Si ha composizione quando due lessemi si combinano producendo una nuova struttura. Di solito il risultato è univerbato, cioè viene trattato come una sola parola. Nella maggior parte dei composti un lessema ha il ruolo di base e stabilisce la classe lessicale del risultato(piano è determinato da alto in altopiano e da basso in bassopiano). Si parla di composti determinativi. In altri composti invece, i due lessemi hanno un rapporto di coordinazione e la classe lessicale del composto non è predicibile dai suoi componenti (saliscendi, calzamaglia). Alcuni esempi di composizioni in italiano: sostantivo+sostantivo (madrepatria); sostantivo+aggettivo (pellerossa); verbo+verbo (toccasana) • Le combinazioni di parole sono sequenze lessicalizzate di parole, che conservano una parziale autonomia, ma che costituiscono una unità con funziona sintattica. Il legame tra le due parole è meno forte rispetto alla composizione. Sono combinazioni, per esempio, strutture come giornata-no (la cui funzione sintattica è quella di sostantivo), usa-e-getta (la cui funzione sintattica è quella di aggettivo)ecc… • Il composto sintagmatico è un’unità che ha caratteristiche di sintagma libero e contemporaneamente di composto. Un esempio è mulino a vento: tale composto ha carattere di dipende dalla conoscenza della lingua modello da parte di chi opera il prestito. Quando il modello presenta fonemi non presenti nella lingua di arrivo, l’integrazione può avvenire in vario modo: - c’è il caso dei cosiddetti fonemi indotti: la lingua di arrivo può acquisire il nuovo fonema ridefinendo il proprio sistema, quindi si avrà un’integrazione nulla del prestito come in beige e garage. - può venire introdotta nella lingua di arrivo, una nuova distribuzione di un allofono, per esempio le parole stop, sport e smog presentano una consonante occlusiva in posizione finale, che in italiano non è prevista. - il fono straniero può venire sostituito da un fono indigeno, che realizza un altro fonema (club) Nella lingua di arrivo, il prestito può ricevere trattamenti grammaticali diversi, con l’intervento di vari tipi di adattamento: la parola può essere inserita nella stessa categoria lessicale del modello (boom, crack), oppure può avvenire una redistribuzione (per esempio un aggettivo inglese come big, in italiano entra come sostantivo). Si chiamano adattamenti formali i fenomeni di riduzione dei composti. Per esempio in italiano night- club ha anche la riduzione a night. Nel composto inglese l’elemento night è il determinante di club. Un altro caso è camping, ripresa di camping-ground. Un altro metodo di ricezione di parole da altre lingue: i calchi Il prestito è la ripresa (l’imitazione) sia del significante sia del significato del modello. Il calco strutturale (dove la struttura lessicale di un’unità di un’altra lingua è il modello per una nuova parola) invece, si applica alla “forma interna” dell’espressione presa a modello. La riproduzione è compiuta impiegando materiale lessicale della lingua d’arrivo, per esempio fuorilegge da outlaw. Il calco strutturale è detto perfetto, quando vi è uno stretto legame al modello, è detto invece imperfetto quando il rapporto è meno stretto, vi è cioè un’imitazione più approssimativa (per esempio ingl. Sky- scraper=grattacielo; ted. Wolkenkratzer=”gratta-nuvole”) Nel calco semantico la ripresa concerne il significato, cioè una parola già presente nella lingua acquista un ulteriore senso, per influsso di un’unità di altra lingua: per esempio classe “eleganza” è modellato su ingl. class; supportare rinvia a to support ecc… DALLA LESSICOLOGIA ALLA LESSICOGRAFIA Alcuni aspetti della semantica lessicale I lessemi sono connessi fra loro anche mediante rapporti che non riguardano lessemi, ma sensi manifestati da lessemi (non concerne tutto il potenziale semantico dei lessemi, bensì momenti, valenze di tale potenziale semantico). Si distinguono diversi tipi di legame: • Iperonimia: a un lessema di senso generico, detto iperonimo, si riducono altri lessemi di senso specifico, detti iponimi, per esempio imperatore,re e principe sono iponimi dell’iperonimo sovrano. Ortaggio è iperonimo di pomodoro, crostata è iponimo di torta ecc… I lessemi che condividono l’iperonimo sono detti co-iponimi. • Sinonimia: La sinonimia è una somiglianza parziale di senso. Essa è caratterizzata come una somiglianza limitata ad alcuni aspetti del senso, non riguarda tutto il potenziale semantico dei lessemi per esempio, valuta e moneta condividono gran parte del senso“mezzo di pagamento garantito da uno Stato”. La “sinonimia completa” si trova assai raramente, soprattutto nei linguaggi specialistici, là dove si incontrino più termini per un medesimo denotato (procuratore e pubblico ministero). La sinonimia è limitata anche dall’ambito d’uso e dal registro della conversazione; per esempio mal di capo e mal di testa sono sinonimi, ma la prima espressione non è in uso nell’italiano settentrionale, che preferisce la seconda. La sinonimia non è stabilita da un sistema linguistico, ma è frutto della competenza linguistica dei parlanti. L’antonimia invece collega parole dal senso contrario (amico/nemico, salire/scendere). Connotazione: la connotazione è una componente del senso in cui si fanno rientrare gli effetti degli atteggiamenti (emozioni, valutazioni) assunti dal mittente verso la realtà messa a tema nel discorso. Prendiamo per esempio i due sinonimi sbirro e poliziotto: il primo elemento esprime un atteggiamento negativo, una connotazione negativa. Poliziotto può sostituire sbirro, ma l’inverso, in molti casi non è accettabile. A loro volta, i sensi di un lessema possono legarsi tra loro in vario modo. Si distingue un senso proprio, cui si attribuisce il rango di valenza tipica, preferenziale di un dato lessema, da uno o più sensi figurati, cioè interpretazioni di un’altra esperienza per mezzo delle categorie nel senso proprio. Per esempio il senso proprio di volpe è “animale selvatico”, mentre può significare, in senso figurato “persona astuta”. Alcuni lessemi sono caratterizzati da omonimia, che si rileva quando due o più strutture si avvalgono della medesima strategia di manifestazione: miglio indica una pianta, ma anche un’unità di misura. Stesso significante, diverso significato. I dizionari La lessicologia è un ambito delle scienze linguistiche nel quale si collocano sia le ricerche sul lessico e sulla sua organizzazione (prospettiva sincronica) sia le indagini sulla sua ristrutturazione in prospettiva diacronica. La lessicografia è una disciplina che si propone di raccogliere il lessico di una lingua allo scopo di compilare dizionari. La lessicografia si pone anche il compito di “spiegare” le metodologie di analisi impiegate. La macrostruttura che racchiude le voci di un dizionario si chiama anche lemmario. Un dizionario è un’opera che, in un determinato ordine, registra i lessemi e i formativi lessicali di una lingua. Ciascun elemento è presentato in una forma di base, chiamata lemma; segue la sezione chiamata glossa, nella quale si trova un insieme organizzato di informazioni. In base alla funzione per cui è progettato e compilato, un dizionario può essere monolingue o bilingue; può registrare i lemmi della lingua comune o di linguaggi specialistici; può riguardare una lingua standard o una varietà non standard (dialetti, gerghi…). Dizionario semasiologico: sono i dizionari dell’uso. La descrizione prende l’avvio dal lemma e conduce alla definizione e descrizione dei sensi. Oltre ai tradizionali dizionari dell’uso si distinguono dizionari ortografici o etimologici. Vi sono poi dizionari della sillabazione, della pronuncia, delle rime. Dizionario onomasiologico: si prende l’avvio da un significato, rappresentato tipicamente da una parola e si cercano altre parole che siano a esso collegate. Di solito, i dizionari onomasiologici sono specifici, cioè ristretti a un campo di analisi. Un esempio sono i dizionari per le immagini che propongono una nomenclatura divisa per ambiti e loro ulteriori settori. In prospettiva onomasiologia operano anche i dizionari dei sinonimi e quelli dei contrari. Dizionario sintagmatico: considera le combinazioni possibili di un lessema. Vi sono per esempio i dizionari delle costruzioni, che mettono il luce gli elementi selezionati obbligatoriamente da altri (per esempio in italiano è importante registrare le preposizioni rette da verbi, nomi, aggettivi: capace di, attento a…). Dalle costruzioni i distinguono le collocazioni, che non hanno una ragione “grammaticale”, ma sono radicate nell’uso. In alcuni casi vi è una ragione semantica, come nelle combinazioni dei verbi soffiare, tirare con soggetti come vento e aria, mentre cadere è compatibile con pioggia e neve. In molti altri casi la scelta è data da una solidarietà fra lessemi che porta a preferire una combinazione rispetto ad un’altra: per esempio si può gestire o dirigere un’azienda, ma quando si parla di pizzeria o bar è preferibile gestire a dirigere, anche se quest’ultimo, per il senso, è vicino a gestire. Quindi i dati sulle costruzioni sono essenziali per combinare i lessemi in modo corretto, le informazioni sulle collocazioni sono necessarie per combinare i lessemi in modo appropriato. Microstruttura dei lemmi Un dizionario monolingue dell’uso organizza le voci in quattro reparti: • L’area dell’entrata: contiene il lemma, insieme con le informazioni sulla sillabazione e la pronuncia, tenendo conto soprattutto dell’accento di parola. • L’area dell’informazione grammaticale: accompagna il lemma e contiene i dati sulla classe lessicale (nome, verbo, aggettivo) e sulla morfologia flessionale: per esempio nel caso del nome, si indica il morfema fisso del genere grammaticale seguito eventualmente dalle forme di plurale “particolari” (dialoghi, ma sociologi). Per i verbi, si indicano le varie forme irregolari, precedute dal nome del tempo verbale. • L’informazione semantica: è il nucleo di una voce di dizionario. È generalmente articolata in tre componenti: • la definizione: precisa un senso di una voce. Le definizioni si articolano in un definiendum (la voce portata a lemma) e in un definiens (che ha il compito di rendere esplicito il senso). Nelle definizioni si può spesso riscontrare una circolarità: il definiendum ritorna al definiens (focoso è definito come di fuoco). Nei dizionari contemporanei la definizione di un lemma rinvia spesso ad altre definizioni. In questo modo si crea una rete di rimandi interni al dizionario che ben illustrano i rapporti fra i lessemi in una lingua. • gli impieghi tipici (esempi d’uso): corrispondono a impieghi tipici della parola. Per esempio, biciclettata si può illustrare con l’esempio farsi una bella biciclettata per la campagna. • la fraseologia: pioggia è ben illustrata nella locuzione a pioggia. • Le informazioni complementari: si possono raggruppare in: • Etimologia e datazione: l’etimologia indica l’origine di una parola e il percorso compiuto per entrare nel dizionario, la datazione si riferisce invece alla prima attestazione di una parola. • Marche d’uso: consentono di individuare l’ambito che caratterizza un dato uso di una parola. Per esempio, la voce scemo significa “tardo di mente” nel lessico familiare, ma nell’italiano letterario può significare privo, mancante. • Sinonimi e contrari Ordine della classificazione di sensi e usi di un vocabolario Nella microscrittura di una voce lessicografica i sensi possono venir ordinati in base a criteri differenti. Se la classificazione procede in base ad un criterio temporale, che tiene conto della nascita di senso, si ottiene un ordine storico. Per esempio, cretino si presenta in italiano come termine del lessico medico (affetto da ritardo mentale e fisico) e solo in seguito ha preso il senso di imbecille, sciocco. ELEMENTI DI SINTASSI La combinazione significativa delle parole Sintassi viene dal greco syntaxis, che significa “disposizione, ordinamento”. La sintassi si configura come un sistema di strutture mediatrici tra il suono e il senso e in quanto tali, sono caratterizzate da polivalenza, varianza, preferenzialità e endolinguisticità. Nell’ambito della sintassi rientrano le combinazioni portatrici di significato delle forme di parola. La combinazione è retta da composizionalità: in base a questo principio, due espressioni significative o sintagmi costituiscono un sintagma maggiore che assume un determinato valore di insieme in funzione dei valori delle sue parti. La sintassi studia i principi e procedimenti di costruzione di sintagmi complessi, tra i quali emergono le frasi, cioè le costruzioni sintattiche autonome predisposte a funzionare come testi minimi. Frasi nominali e frasi verbali sono i due tipi fondamentali di frasi. La frase è un insieme organizzato di elementi, nei quali si individuano: • I sintagmi che costituiscono le frasi; • Le relazioni tra i sintagmi; • La struttura interna dei sintagmi. Il ruolo semantico è il profilo che un’entità assume dentro una scena: il soggetto è agente; il complemento oggetto è il paziente, ciò su di cui ricade l’azione; l’oggetto indiretto di un verbo come dare è il beneficiario. Queste sono etichette che corrispondono a valenze tipiche di queste relazioni sintattiche (preferenzialità). I verbi bivalenti che hanno un soggetto e un oggetto appartengono alla categoria dei transitivi; questi concepiscono l’azione come un percorso dall’origine, l’agente, fino a una meta, il paziente. La struttura sintattica così organizzata è detta attiva. Nella diatesi passiva, la prospettiva muta e si può cogliere la prospettiva del paziente. In alcune recenti indagini si è proposto di attribuire alle frasi lo statuto di costruzioni segniche, ossia di strutture fatte per esprimere schemi di evento della realtà: • Esistenza: corrisponde ad uno stato e mette in relazione un’entità con un modo di essere; • Avvenimento:coinvolge un soggetto in un processo (l’acqua bolle) • Esperienza: categorizza esperienze sensoriali e mentali espresse da verbi come pensare. • Possesso: schema che prevede come primo partecipante un possessore (il tavolo ha tre gambe). • Movimento: schema : origine-percorso-meta. (il libro è caduto dal tavolo) • Trasferimento: è lo schema attivato dal verbo dare: compare un agente, poi un paziente ed un beneficiario. La costruzione passiva come struttura linguistica La voce passiva è una struttura sintattica polivalente: può servire per lasciare implicito l’agente, oppure per cambiare la struttura comunicativa associata alla frase attiva. L’omissione dell’agente è la funzione preferenziale: Luigi è stato promosso. L’entità che ha promosso Luigi è un argomento ridondante. Se però tale argomento viene ulteriormente specificato, può essere pertinente manifestarlo, ricorrendo ad un complemento d’agente. Una tipologia delle dipendenze Il soggetto è l’argomento privilegiato del verbo. Ciò emerge nelle lingue dotate di una morfologia flessionale. Nelle connessioni fra le parti si riconoscono tre tipi di dipendenze: • Bilaterale: vi è interdipendenza tra i due costituenti. È il caso del legame tra il sintagma verbale e il soggetto: uno implica l’altro. Dipendenza reciproca. • Unilaterale: quando un nucleo non richiede il modificatore ma il modificatore richiede il nucleo. Gatto nero: gatto è il nucleo del sintagma e si costituisce come sintagma anche senza il modificatore nero. Il modificatore nero ha bisogno del nucleo invece per manifestarsi. • Coordinativa: vi è un rapporto tra due nuclei e nessuno dei due ha bisogno dell’altro per manifestarsi nella struttura sintagmatica: libri e quaderni. La coordinazione lega tra loro sintagmi omogenei (che hanno la medesima funzione sintattica). La valenza è una dipendenza bilaterale se l’argomento è un attante; altri argomenti del verbo sono in rapporto di dipendenza unilaterale. Le valenze richieste obbligatoriamente dalla sintassi corrispondono agli argomenti necessari per costruire la struttura semantica minima di un dato evento. A volte, un argomento può venire omesso nella sintassi, ma non nella semantica: bere può non presentare l’oggetto diretto anche se la natura del significato comporta necessariamente il secondo argomento. Manifestazioni del nesso sintattico: concordanza, reggenza, giustapposizione Le dipendenze sono legami fra elementi. Per manifestarsi si avvalgono di una pluralità di strategie, mentre il nesso sintattico tende a rimanere stabile. Ma ci sono anche differenti manifestazioni del nesso sintattico. Le strategie di manifestazione di questi nessi sintattici sono però diverse,mentre uguali sono le relazioni fra elementi: in inglese soggetto e oggetto sono distinti grazie a un contrasto fra una posizione che precede il verbo e una che lo segue. In latino la differenza di ruolo è manifestata grazie alla morfologia flessionale: l’ordine degli elementi non è pertinente per la sintassi. Tre modalità di manifestazione dei nessi sintattici: • Concordanza: si avvale della morfologia flessionale; un elemento trasferisce i propri morfemi flessionali ad un altro. Si hanno due casi fondamentali: 1. Nel sintagma nominale, il nome stabilisce le categorie del genere e del numero dell’aggettivo e dell’articolo (la tigre bianca, le tigri bianche); 2. Anche il verbo ha un morfema estrinseco: è il numero che viene imposto dal soggetto. • Reggenza: quando i morfemi che compaiono in un sintagma sono determinati da un altro sintagma. Tale modalità caratterizza le lingue con declinazione nominale. All’interno del sintagma nominale si attua poi la concordanza tra aggettivo e nome. Vi è reggenza anche tra una preposizione e un sintagma nominale (ted. mit besten Grussen). La preposizione esige un caso e il caso viene trasferito all’intero sintagma. • La giustapposizione è fondamentale nelle lingue povere di flessione come l’inglese. Consideriamo il rapporto tra nome e aggettivo entro un sintagma nominale: in italiano è manifestato da morfemi estrinseci, in inglese l’aggettivo precede il nome (a poor girl), ma lo segue se domina a sua volta altri elementi (a town rich in monuments). In italiano dire la rossa casa e la casa rossa non è la stessa cosa. La struttura interna dei sintagmi tende a variare da lingua a lingua in maniera considerevole. Invece, i sintagmi che costituiscono la frase tendono a rimanere costanti. Le relazioni interfrastiche e i tipi di frase Le lingue europee si assomigliano anche per le relazioni tra le strutture frastiche. Distinzione tra paratassi e ipotassi: • Paratassi: presenza di dipendenze coordinative. Essa si può manifestare mediante congiunzioni coordinative o per asindeto, cioè senza una congiunzione (Veni.Vidi.Vinci). La congiunzione può comparire tra frasi oppure all’interno di un sintagma: Luigi, Pietro e Paolo hanno comprato un’auto nuova. • Ipotassi: I nessi ipotattici subordinano una frase a un’altra. Le frasi dipendenti sono di diverso tipo: • Per struttura interna: si distinguono frasi con verbi di modo: a. Finito: introdotte da congiunzioni, da pronomi relativi o interrogativi (dimmi chi è stato); b. Indefinito: il verbo è all’infinito, al participio o al gerundio (Pietro ha promesso di aiutare Luigi). • Per funzione sintattica: le frasi possono costituire l’argomento (attante) di un verbo oppure avere ruolo di modificatori entro un sintagma nominale. Le subordinate introdotte da congiunzioni o da pronomi sono connesse alla frase dominante da una dipendenza bilaterale: una frase implica l’altra. Luca promette a Lucia necessita di un continuo. Quindi la dominante solo impropriamente può dirsi principale. Le frasi subordinate che modificano il nucleo di un sintagma nominale sono per lo più le relative. In questo caso tra nucleo e subordinata vi è una dipendenza unilaterale. Le frasi strutturalmente indipendenti, semplici o complesse, affermative o negative, si possono classificare in: • Dichiarative. • Iussive: presenza di un verbo al modo imperativo. • Interrogative: 1. Generali: stessi sintagmi di una dichiarativa;2. Particolari: contengono uno o più sintagmi interrogativi, caratterizzati da un lessema interrogativo. La differenza tra una dichiarativa e una interrogativa si manifesta mediante caratteristiche strutturali, che variano a seconda delle lingue: in italiano per diverse intonazioni. In inglese per l’inversione. Il punto di vista generativo della Grammatica Universale La grammatica generativa è il cuore del programma di ricerca di Chomsky. La sua riflessione parte dall’idea di una connessione tra la lingua e la mente umana. Vi sono due valenze di grammatica: essa è sia l’organo mentale predisposto all’acquisizione di una lingua (che costituisce una realtà non osservabile che è responsabile della produzione dei dati osservabili) sia il modello costruito dallo studioso per rappresentare il funzionamento di organo mentale. La grammatica è, quindi, una descrizione esplicita della competenza implicita che ogni essere umano acquisisce nei primi anni di vita. Noi percepiamo in maniera intuitiva se una frase è corretta o meno. L’intuizione della struttura è detta grammaticalità. Nella teoria della grammatica questa conoscenza implicita è sostituita da una descrizione esplicita della struttura, cioè da una generazione. La grammatica ha valenza sia particolare sia universale: essa ha il compito di spiegare somiglianze e differenze tra le lingue. Perciò si distinguono principi e parametri. I principi sono i requisiti obbligatori che una lingua deve soddisfare ; sono uguali in tutte le lingue e variano solo i modi in cui si manifestano. I parametri sono grandezze che, a seconda della lingua, ricevono valori diversi: • Il parametro della testa: in una lingua le teste si collocano prima o dopo i complementi rispettivi. In italiano la testa precede i complementi (capitale d’Italia); in altre lingue la testa è preceduta dai complementi (red house). • Pro-drop: omissione del pronome soggetto. In italiano è possibile; in inglese no Principi validi universalmente: • Tutte le frasi di tutte le lingue hanno una struttura. • Endocentricità di tutti i sintagmi: ogni sintagma deve avere una testa/un nucleo dello stesso tipo. • principio di proiezione lessicale: ogni sintagma parte da una categoria lessicale che trasferisce, cioè proietta le proprie caratteristiche su un livello superiore, dal quale essa domina altri elementi. La proiezione può salire fino a un ulteriore livello, da cui la testa domina tutti gli elementi ai quali ha trasferito le sue proprietà. • La sintassi è fondata sulle informazioni fornite dal lessico. Queste diverse proprietà della struttura sono gestite da singoli reparti o moduli della grammatica, tra loro collegati. Il modulo centrale, che rappresenta la costituzione della struttura sintagmatica è chiamato X-bar syntax. Così, la grammatica è rappresentata da una configurazione di moduli, i quali, a loro volta, rappresentano un sistema complesso presente, per ipotesi, all’interno della mente umana. La sintassi nel suo complesso è concepita come un livello intermedio fra la forma fonetica e la forma logica. In entrambi i casi si tratta di livelli che si interfacciano con moduli esterni alla grammatica: la forma fonetica è l’interfaccia con il suono, cioè permette di capire, in parole povere, che un certo suono corrisponde a una combinazione di elementi linguistici; la forma logica è l’interfaccia con il sistema logico-concettuale. Solo la sintassi è priva di interfacce: è la mediazione tra le due forme (fonetica e logica) e per questo è il solo livello interno che non si pone in rapporto con moduli esterni alla grammatica. LINGUA E COMUNICAZIONE L’agire comunicativo Le strutture di una lingua sono di natura segnica: servono per costituire eventi semiotici nella comunicazione verbale. È semiotico un evento fisico, orale o scritto, che è fatto per significare e si costituisce entro un’azione.Gli scopi dell’azione sono molteplici e dipendono dalle intenzioni delle soggettività coinvolte nell’agire comunicativo. L’evento semiotico è parte di una più ampia azione comunicativa, alla quale partecipano più soggetti, che si avvalgono dello strumento linguistico per conseguire degli scopi in una situazione concreta. • Vi è cooperazione quando due o più soggetti cooperano condividendo gli obiettivi. L’interlocutore coglie e interpreta la battuta, comprende le parole, verifica le proprie _La pertinentizzazione Mette in rilievo un aspetto del senso, mentre altri restano sullo sfondo. I caratteri esclusi non sono cancellati, ma disattivati, privi di pertinenza; sono dati per scontati perché non sono rilevanti nella comunicazione in atto. (Abbiamo sbagliato, siamo umani__nel senso di non siamo perfetti) Si verifica una scomposizione del senso in caratteri o tratti. I tratti sono proprietà o caratteristiche semplici, cioè non ulteriormente scomponibili. La loro presenza o assenza in una configurazione di tratti caratterizza un senso lessicale. _La specificazione È un processo che mette in luce la bidirezionalità della testualizzazione. Interviene spesso quando vi è una combinazione di parole: un elemento influisce sull’area semantica dell’altro e viceversa. Il testo si manifesta come un andirivieni tra esperienza e lingua. Per esempio, nell’enunciato Maria ha gli occhi verdi, il nome occhi determina il paradigma che comprende verdi, azzurri, marroni, neri, ma non *arancio o *rosa: è evidente che le scelte sono limitate a espressioni che possano significare il cromatismo degli occhi. A sua volta, un aggettivo come verdi influisce sulla portata denotativa del nome occhi: verdi specifica il significato di occhi, mettendo in evidenza una valenza ed escludendone altre. Il nome è preso come equivalente di iride, non di bulbo oculare. Altro è poi il senso di occhio nell’espressione occhio nero: occhio qui non equivale né a iride né a bulbo oculare, bensì a un’area più ampia, comprendente la cavità chiamata occhiaia). Sinonimia, denotazione, connotazione Per verificare la sinonimia, si fa ricorso alla sostituzione, controllando se un lessema, comparendo al posto di un altro, produca un’altra espressione simile, per il senso, alla prima. Combinando sostituibilità (che si muove sull’asse paradigmatico) e distribuzione (che riguarda l’asse sintagmatico) si possono cogliere i segmenti testuali associati tipicamente ai diversi sensi di una parola. La denotazione si attribuisce alla semantica e annovera le componenti del senso che descrivono entità o situazioni nel contesto; si parla anche di significato cognitivo o referenziale: contiene valutazioni oggettive. La connotazione include aspetti che riguardano l’atteggiamento del soggetto verso il contesto situazionale o verso l’interlocutore: si parla anche di significato emotivo, da valutazioni soggettive. Paradigmi, compatibilità ed incompatibilità L’antonimia indaga le differenze tra coppie di lessemi. Anche in questo caso, si considerano i sensi, non tutto il potenziale semantico dei lessemi: di solito, nelle ricerche di lessicologia l’attenzione è rivolta alle valenze preferenziali che tipicamente denotano qualità del mondo dell’esperienza. L’antonimia, che riguarda soprattutto gli aggettivi, è di vario tipo: • Aggettivi contraddittori: un elemento esclude l’altro e non vi sono stadi intermedi né gradi diversi della qualità. Se si nega l’uno, si afferma l’altro (vivo/morto; maschile/femminile). • Aggettivi contrari: In questi aggettivi, la qualità è dosabile, graduabile; stanno in opposizione, ma si possono avvicinare (gli antonimi della coppia alto/basso). Alcuni casi di antonimia: 1. Coppie come lungo/corto: gli estremi di ciascuna coppia si distinguono perché la misura della qualità è maggiore nel primo elemento della coppia, che si dice polo maggiore. Affermando un estremo della coppia, si nega implicitamente l’altro. Infine, al di fuori della coppia antonimia, il polo maggiore significa la qualità che accomuna i due estremi (quanto è lungo il ponte? Non quanto è corto.). 2. Altre coppie di contrari si comportano diversamente. Allegro/triste ammettono la gradazione delle loro qualità, ma i due poli non sono misure diverse di una medesima qualità. L’antonimia si configura in modo diverso a seconda delle qualità reali messe a confronto. Predicati e argomenti tra mondo attuale e mondo condiviso Da un punto di vista antico, il predicato è la qualità che la ragione riscontra come aspetto comune a più entità: con i predicati si classificano le entità e le situazioni colte nell’esperienza direttamente o mediatamente. L’esperienza, che può riguardare varie realtà, è trasmessa nei testi costitutivi della comunità a cui appartiene. Di gran parte della realtà non abbiamo esperienza diretta. Tuttavia, gran parte di quello che riteniamo di sapere è da noi creduto in forza della parola d’altri. L’autorevolezza delle fonti è cruciale per distinguere un’opinione da un’ipotesi ritenuta fondata. Il termine mondo denota un insieme di fatti, entità e relazioni fra entità. Distinguiamo: • Il mondo attuale: il mondo delle conoscenze e delle credenze correlato a un parlante/ ascoltatore. • Il mondo condiviso: va considerato prima e dopo un atto di comunicazione. Il mondo condiviso prima di un atto di comunicazione è il common ground di una comunità; se dopo la comunicazione il mondo condiviso è cambiato, vuol dire che un atto comunicativo ha avuto un effetto. disposizione di una lingua. La struttura predicativa è dinamica: non è data una volta per tutte in un sistema linguistico, bensì è completata e determinata nel testo, in base alle ragioni della comunicazione e alle esperienze concrete degli interlocutori. La configurazione di predicati che rappresenta il senso tipico, si può rappresentare come un solo predicato, detto predicato interno. Esso indica come dev’essere un certo argomento x per essere chiamato in un certo modo (il predicato acqua, si può analizzare nelle componenti liquido, trasparente, inodore ecc…). Solo se soddisfa il predicato interno la x può essere argomento del predicato esterno. Il verbo rappresenta tipicamente la struttura aperta, incompleta, di una situazione: esso ha bisogno di uno o più nomi per costituire la rappresentazione minima di una situazione. La struttura aperta tipica del verbo è un predicato, i cui argomenti sono le entità richieste affinchè si costituisca la situazione. Le situazioni sono caratterizzate dai verbi in una tipologia, nella quale si distinguono: • Verbi atelici: che significano stati (chiamarsi) oppure attività colte senza un termine (dormire, ridere). • Verbi telici: indicano azioni momentanee (arrivare, svegliarsi) oppure continuative (cadere, salire). Sintagmi nominali e riferimento I nomi comuni denotano, hanno cioè la capacità di riferirsi a classi di entità nel mondo. Fuori del testo, un nome come casa non ha un riferimento: non si “collega” a un’entità del mondo testuale (mondo attuale o condiviso), ma indica una categoria che caratterizza un possibile oggetto ‘casa’. In questo senso, denotare non va confuso con riferirsi a qualcosa. Il riferimento dei nomi è attivato dai parlanti che si servono dei sintagmi nominali entro un testo: per esempio, la casa di Luigi è un sintagma che, in un testo dato, è impiegato dagli interlocutori per riferirsi a una determinata casa. Con il nome si pongono le premesse, con il sintagma nominale si prende contatto con il mondo del testo. Per instaurare il riferimento si possono usare • nomi propri, che sono anche detti designatori rigidi perché si legano per la vita a un’entità individuale. • Elementi deittici: da soli, costituiscono un sintagma nominale. Molti sintagmi manifestano descrizioni: il parlante vincola un’entità a una o più caratteristiche che la individuano rispetto ad altre entità. Indeterminato specifico e non specifico Le descrizioni sono ottenute mediante determinazione, che è l’individuazione di un’entità specifica entro un contesto più ampio. La quantificazione Delimita il campo di applicazione dei predicati. Due quantificatori: 1. Universale; 2. Esistenziale. Nelle lingue sono state riscontrate varie strutture che manifestano più complesse strategie di quantificazione: • Tutti, ogni/ognuno, entrambi indicano totalità; alcuni, parecchi non la indicano • Con i nomi di massa al singolare si può usare molto, poco (molto vino) • Ciascuno, qualche hanno uso distributivo; • I numeri cardinali sono specifici; • I numerali ordinali sono detti scalari (pongono in scala). Intensione ed estensione L’intensione è una proprietà usata per instaurare il riferimento a un’entità del mondo testuale. Per esempio, l’espressione l’autore dello “Zibaldone” descrive proprietà che caratterizzano un individuo: possiamo riferirci allo stesso individuo per mezzo dell’intensione de il poeta di Recanati. Le intensioni “dicono” qualità che appartengono a un’entità. Altro è invece usare il nome proprio Giacomo Leopardi: con questa espressione non si descrive una proprietà di un individuo, ma ci si riferisce direttamente all’individuo, designandolo in modo univoco. L’intensione di un’espressione caratterizza le entità che appartengono alla sua estensione. Giacomo Leopardi è un nome proprio: non ha intensione, ma soltanto estensione. Esso non descrive l’estensione, ma la indica direttamente (non dice come si fa ad essere Giacomo Leopardi) Le due descrizioni considerate appartengono ad una memoria condivisa. Due espressioni con la stessa estensione, ma con diversa intensione non sono sinonime in senso logico. Vincitore… e sconfitto.. hanno la stessa estensione ma diversa intensione. Che si tratta della stessa cosa lo sappiamo dalle nostre conoscenze. Atti linguistici ed inferenze Vi sono altri aspetti per i quali un testo non descrive la realtà ma la pone in essere. (sentenze di un tribunale come è condannato all’ergastolo). Questi sono testi performativi: dopo il loro proferimento la realtà non è più la stessa. Secondo Austin il proferimento di un enunciato è un atto di comunicazione verbale, atto linguistico (speriamo che non abbia combinato disastri: preoccupazione, vado a controllare). Esso è costituito da più componenti e ciascuna ha la caratteristica di un atto. Pronunciando la frase Il cane morde ho eseguito diversi atti. • Atto locutivo: si articola in 1. Atto fonetico: la pronuncia dei suoni; 2. Atto fatico: che abbraccia fonologia grammatica e lessico; 3. Atto retico: predicazione. Questo atto comprende sia il riferimento all’entità (cane) sia l’individuazione dell’insieme cui essa appartiene (morde). Questo atto comprende sia denotazione che riferimento. • Atto illocutivo: è l’azione fatta mediante le parole, si compie mediante il proferimento della sequenza. All’illocuzione è connesso uno scopo (ti do questo avvertimento affinché tu non ti avvicini al cane). Può darsi che lo scopo non sia raggiunto. Se invece il messaggio è compreso in modo adeguato, lo scopo illocutivo è raggiunto e la comunicazione ha avuto successo. • Il risultato è considerato parte dell’atto linguistico e viene chiamato atto perlocutivo: l’enunciato è visto come il mezzo per giungere ad un certo risultato. Tuttavia, data una certa illocuzione non avrò necessariamente la perlocuzione desiderata, in questo caso la perlocuzione non coincide con lo scopo dell’illocuzione. A seconda del tipo di frase vi è un potenziale illocutorio, con una o più valenze tipiche e altre di uso meno frequente e caratteristicoi: • Frase dichiarativa: asserzione (Giove è il pianeta più grande del sistema solare); • Frase iussiva: direttiva (apparecchia la tavola); • Frase ottativa: auspicio o desiderio (ti auguro una buona giornata). Le funzioni pragmatiche sono associate alle frasi sopraelencate: • Commissiva: promessa o minaccia (ci rivedremo); • Performativa: compie, pone in essere una situazione (lei è licenziato); • Fatica: tipica delle espressioni che aprono o chiudono il canale di comunicazione (bene, ecco); • Ellissi: solo nella dimensione trans frastica è possibile interpretare una struttura ellittica recuperandone le componenti taciute. (esempio: il nuovo libro di Umberto uscirà il mese prossimo. Anche quello di Pietro. Non so se li comprerò. Maria no di certo, lei dice che sono mattoni) Due tipi di ellissi: 1. Grammaticali: si manifestano nell’incompletezza della struttura linguistica; 2. Semantiche: riguardano componenti del significato che non sono verbali, perché gli interlocutori le possono ricavare dal contesto, in quanto sono prevedibili o attese. Fenomeni come l’ellissi mettono in luce la complementarità tra coesione e coerenza: una connessione fra sequenze testuali può rendersi manifesta mediante una strategia di coesione, ma l’interpretazione può richiedere, anche in tale caso, la verifica del senso mediante il ricorso al mondo del testo. Aspetti della coerenza testuale La coerenza semantica è stabilita e compresa in forza del riferimento a individui o situazioni che appartengono al mondo condiviso dagli interlocutori. Presupposti, frames e scripts Per la coerenza è decisiva l’attivazione delle presupposizioni, intese come un sapere implicito la cui validità è condizione per la realizzazione del testo. Le presupposizioni contestuali (o pragmatiche) riguardano le conoscenze relative al mondo e sono attivate a ridosso della componente verbale. In molti casi la connessione tra conoscenze contestuali ed elementi si può rappresentare con: • Frames: conoscenze legate ad uno scenario, che sono organizzate in modo statico (per esempio l’ambiente ospedaliero si caratterizza per la presenza di medici, ammalati, gli oggetti tipici sono sedie a rotelle, letti…). • Scripts : conoscenze procedurali. Sono tipi di attività che riguardano aspetti dell’esperienza (andare al ristorante, fare la spesa in un negozio..) . • Presupposizioni esistenziali: compaiono tipicamente nei sintagmi nominali riferiti ad entità. Il riferimento comporta la presupposizione di esistenza di un individuo o di una cosa nella realtà del testo (il re di Spagna è sposato con la cognata del re di Grecia: si da per scontata l’esistenza degli individui a cui si fa riferimento). • Presupposizioni fattuali: si rilevano quando il testo introduce il riferimento a una situazione che viene presentata come un fatto scontato (la caduta dell’impero romano. • A volte, le presupposizioni vengono attivate da lessemi. Verbi come sapere presuppongono l’attualità della situazione espressa dalla subordinata. Se il presupposto non è condiviso dall’interlocutore, il loro impiego nei testi può far collassare la conversazione. • Certe presupposizioni possono presentare una situazione a favore del parlante (verbi come riuscire). Coerenza e cooperazione fra interlocutori Nei testi dialogici la coerenza è ricostruita grazie alla cooperazione tra gli interlocutori. In qualsiasi scambio dialogico c’è, in generale, un principio di cooperazione o di buona volontà chiamato anche principio di carità. Esempio: A: Salve, sono rimasto senza benzina (richiesta di informazioni) B: C’è un distributore qui dietro l’angolo A: Grazie B Si figuri. Grice formula il principio di cooperazione. Egli parla di conversazione poiché ha in mente lo scambio di battute nella comunicazione verbale quotidiana, che è intrisa di rimandi a conoscenze ed esperienze non verbalizzate, ma recuperabili dal contesto condiviso dagli interlocutori. Dal principio di cooperazione discendono alcune massime: 4 categorie: • Quantita: 1. Il tuo contributo sia tanto informativo quanto è richiesto dallo scambio in corso. 2. Non dare un contributo più informativo di quanto sia richiesto. • Qualità: 1. Non dire ciò che ritieni falso;2. Non dire ciò per cui non hai prove adeguate; • Relazione: 1. Sii pertinente. • Modo: 1. Evita oscurità d’espressione. 2. Evita ambiguità.3.Sii breve. 4. Di’ le cose in ordine. Il principio e le categorie sono formulate come imperativi categorici: non sono norme consapevoli, imposte agli interlocutori nel corso della conversazione. Si tratta, piuttosto, delle condizioni necessarie affinchè uno scambio conversazionale si compia con successo. Senza queste caratteristiche vi è un collasso conversazionale. “Sii pertinente” e le funzioni di tema e rema La pertinenza dipende dallo sguardo di colui che comunica: è un punto di vista su una realtà. Il parlante/scrivente invita il destinatario a condividere questa prospettiva in un atto di condivisione della realtà da comunicare. Tema e rema sono il noto e il nuovo del testo; si collocano su un piano diverso rispetto al noto e al nuovo intesi come grandezze cognitive presenti nel mondo del testo. È possibile che il rema sia un elemento noto, ma non ancora introdotto nel testo. Alcune strutture sintattiche servono tipicamente per segnalare le unità tematiche e rematiche: • Frasi scisse: sono costrutti con la struttura è X che p, dove X è rematico, mentre p indica il resto della proposizione, che è tematico. Di solito il rema è l’elemento con il massimo rilievo prosodico. Per esempio È Luigi che ha venduto la Golf: si tratta di Luigi. Potremmo parafrasarla con A vendere la Golf è stato Luigi, LUIGI ha venduto la Golf • La dislocazione: un elemento è sintatticamente estrapolato-dislocato- dalla struttura della frase. Entro la frase, un clitico coreferenziale riprende l’elemento dislocato (l’ha letto Luigi, il libro/ il libro, lo legge Luigi: il pronome lo è il clitico). L’elemento dislocato è sempre tematico. Nella dislocazione un elemento può riprendere un elemento del co-testo precedente. • Altre strategie: l’uso di certi avverbi. Costruzione del ci presentativo , che introduce un rema articolato in due momenti: il primo momento è un rema cataforico e annuncia il compimento di rema, il secondo momento è il momento rematico. L’uso del ci presentativo in italiano si osserva quando il soggetto ha un articolo indeterminativo e come tale introduce un elemento nuovo per il destinatario. C’è un cane che è entrato in giardino: un cane è il rema cataforico, entrato in giardino è il compimento a rema. Informatività, intenzionalità, accettabilità, situazionalità, intertestualità • Informatività: capacità di un testo di aggiornare, cambiare il mondo attuale di un destinatario (arricchimento, esperienza nuova, mutamento di un rapporto). Si misura in base al tipo di testo e agli interlocutori coinvolti (per esempio il manuale introduttivo a una disciplina è informativo per lo studente, ma non per il professore) • Intenzionalità e accettabilità: sono criteri complementari: il primo riguarda il mittente, che ha la volontà di costituire un testo ben articolato in rapporto ad uno scopo. Il secondo concerne il destinatario, che manifesta la disponibilità a recepire la produzione verbale del mittente, riconoscendo a essa le caratteristiche di un testo. Questi due criteri riguardano i presupposti dell’atto comunicativo. • Situazionalità: legata all’ostensione, ossia al ruolo del contesto situazionale nella comunicazione e alle presupposizioni pragmatiche (non hai freddo? È una domanda sensata se rivolta ad un amico che circola in maglietta in pieno inverno, non in estate). • Intertestualità: rapporti che legano un testo a un altro testo. Vi sono rimandi interni ad un’opera e rimandi esterni: la cultura è un insieme di testi attraverso i quali i membri di una comunità linguistica possono entrare in comunicazione tra loro (per esempio il libri del Nuovo Testamento sono sviluppati in sistematico rapporto di intertestualità von il libri dell’Antico Testamento). Il progetto testuale fra oralità e scrittura Sono state sviluppate proposte di classificazione dei testi. Emerge l’attenzione verso tre aspetti fondamentali: • La materia cioè le conoscenze, i fatti, le ipotesi che si mettono a tema nel testo; • Le dinamiche di svolgimento testuale (descrittivo, narrativo, argomentativo ed esplicativo) • Il tipo testuale, ossia la classe in cui rientra un testo concreto. Vi sono tipi di testi dalle caratteristiche ben definite (codici, leggi, ricette di cucina, contratti…) Pianificazione e frammentazione. Distanza e coinvolgimento Ogni testo corrisponde a un progetto compositivo, è organizzato secondo regole particolari che possono essere più o meno inconsapevoli per gli utenti, ma che sono sempre all’opera. Differenze importanti tra scritto e parlato: • Lo scritto richiede più tempo; ciò consente una pianificazione del testo con possibilità di verifica, correzione, integrazione, costituendo versioni nuove del testo. Vi è maggiore integrazione delle parti nel progetto globale: questo emerge dalla frequenza delle frasi subordinate. • Il parlato è caratterizzato da frammentazione: discontinuità sintattica degli enunciati. Scrittori e lettori non sono in contatto: non condividono la situazione spazio-temporale dell’enunciazione. L’autore è distaccato rispetto al pubblico dei lettori e verso la situazione; nel parlato vi è maggiore coinvolgimento fra le soggettività della comunicazione. Per un altro aspetto, lo scritto è distaccato rispetto al destinatario e alla situazione; invece, nel parlato vi è maggior coinvolgimento fra le soggettività coinvolte nella comunicazione. Infine, nel parlato gli individui entrano nella situazione comunicativa con la loro fisicità, quindi comunicano anche per mezzo di altri segni, oltre a quelli verbali (gesti controllati, movimenti incontrollati). Inoltre, il parlante dispone di poco tempo per replicare a una mossa dialogica. Dinamiche di svolgimento tematico L’andamento narrativo si caratterizza per la presentazione, lungo l’asse temporale, di un intreccio di eventi caratterizzato da alcune tappe. Nella descrizione si rappresentano caratteristiche di fatti, luoghi, oggetti e individui. La dimensione privilegiata è la spazialità. L’andamento descrittivo: la descrizione è subordinata a una dominante narrativa. L’andamento descrittivo caratterizza anche testi come le definizioni.. Gli sviluppi argomentativo e esplicativo si assomigliano: connessione di tesi e prove o argomenti e conclusioni; una spiegazione prende invece le mosse da un dato di fatto e si dà un resoconto del perché essa è vera. Tipi di testo e vincolo interpretativo Nelle interpretazioni sincere di un testo, il destinatario si preoccupa di recuperare l’intenzione comunicativa e i rapporti del testo con il mondo attuale dell’autore, cioè con il contesto delle conoscenze e delle credenze. Vincolo interpretativo posto dal mittente. I vincoli sono maggiori quanto più un testo si caratterizza per chiarezza e precisione delle sue componenti semantiche e per l’univocità della manifestazione linguistica. La tendenza al massimo di chiarezza e di precisione si può rilevare nelle definizioni dei termini e nella coerenza fra le sequenze del testo. Si ritiene possibile collocare così i testi lungo una scala ai cui estremi si pongono il grado massimo e il grado minimo di vincolo interpretativo. LA CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE Profilo storico L’esigenza di mettere ordine nelle lingue umane cominciò a manifestarsi nel XVI secolo, nel momento in cui l’invenzione della stampa e l’allargarsi degli orizzonti delle conoscenze geografiche mostrarono quanto diverso fosse il modo con cui le lingue organizzavano il loro sistema morfologico e la loro sintassi. Per la classificazione delle lingue si usò il testo del “padre nostro” e si compilarono raccolte di traduzioni di questo testo. Nel XVII e nel XVIII secolo ci si concentrò su famiglie di lingue strettamente collegate e se ne definì in modo più preciso i rapporti. Emerse l’esistenza di un’ampia famiglia linguistica che comprendeva numerose lingue dell’Europa e dell’Asia: la famiglia indoeuropea. Funzioni tematiche e atematiche: il tema e la desinenza possono essere collegati fra di loro per mezzo della vocale tematica e, o o direttamente: nel primo caso si parla di formazioni tematiche, nel secondo di formazioni atematiche. L’apofonia: è un procedimento molto importante per la formazione dei vari elementi che compongono la parola. Con apofonia si intende una serie di variazioni vocaliche libere (vale e dire non meccanicamente determinate dal contesto fonetico) e funzionali (vale a dire utili per distinguere morfemi e lessemi): la variazione riguarda sia il timbro (generalmente alternanza tra e ed o) sia la quantità della vocale (grado normale: vocale breve; grado allungato: vocale lunga; grado ridotto: mancanza della vocale). La distinzione di due o più forme può essere affidata alla sola apofonia L’apofonia ha un’importanza determinante nella fase primitiva. Successivamente essa ha perduto gran parte della sua produttività. Morfologia indoeuropea: L’indoeuropeo nella sua fase più antica doveva avere un sistema morfologico molto complesso. Sia il nome sia il verbo presentano: a. grande abbondanza di forme e di desinenze; b. estrema libertà nella derivazione e nella formazione delle parole. Al nome indoeuropeo viene attribuita una declinazione di sette casi: nominativo, accusativo, dativo, genitivo, ablativo, strumentale, locativo. Ogni caso esprime un fascio di idee piuttosto vario. La varietà di usi cui era soggetto il caso ha imposto, fin da epoca antica, l’uso di particelle appropriate per precisarne il valore: queste particelle, originariamente subordinate ai casi, sono divenute più avanti sufficienti per esprimere le funzioni. Ciò ha contribuito a indebolire il valore dei casi, determinando in molte aree il crollo della declinazione. Il mantenimento del sistema dei casi antico si ha oggi in quasi tutte le lingue slave e nelle lingue baltiche e inoltre in armeno. Nella fase più antica il nome indoeuropeo possedeva forme per tre numeri (singolare, duale e plurale) e tre generi (maschile, femminile e neutro). Il verbo: secondo la ricostruzione tradizionale, il sistema del verbo indoeuropeo è basato fondamentalmente su tre temi: il tema del presente, di ariosto e di perfetto. Un tema di futuro è presente in alcune lingue, ma come innovazione recente. Il tema del presente indica un’azione nel suo svolgersi, mentre il tema dell’ariosto indica un’azione indipendentemente dalla sua durata. Il tema del perfetto non indica l’azione, bensì lo stato che consegue a un’azione precedente. Ognuno dei tre temi può presentare modalità diverse di formazione e ognuno dei tre rimane indipendente dagli altri due; una radice può possedere forme di uno, due o tre dei temi indicati. A questa importanza per l’espressione del tempo psicologico si contrappone un sostanziale disinteresse per l’espressione del tempo cronologico. Nella maggior parte del territorio però l’interesse del parlante sembra orientato più all’espressione del tempo cronologico, cioè più all’indicazione del momento in cui si situa l’azione, che alla considerazione della sua modalità. Il latino realizza in maniera compiuta questa nuova tendenza e costruisce un sistema verbale imperniato sull’espressione della cronologia. Il verbo indoeuropeo possedeva in origine una diatesi attiva e una diatesi media. In molte lingue, questa opposizione, si è andata sostituendo con l’opposizione tra attivo e passivo. I modi: non è certo se l’indoeuropeo possedesse o meno i modi. Si può però ipotizzare che accanto all’indicativo vi fossero un modo congiuntivo e un modo ottativo. Mentre l’indicativo esprimeva l’azione pura e semplice, gli altri due modi servivano per esprimere prospettive diverse secondo le quali l’azione veniva considerata: il congiuntivo esprimeva un’azione attesa, che poteva eventualmente verificarsi, mentre l’ottativo era usato per la potenzialità, e indicava un’azione il cui verificarsi era possibile (o desiderato). Oltre a questi modi esisteva l’imperativo, che non è propriamente un modo, perché indica semplicemente un richiamo. Lingue non indoeuropee La scienza linguistica ha individuato altre importanti famiglie linguistiche oltre a quella indoeuropea.. EUROPA In questo gruppo inseriamo lingue sia antiche che moderne che non appartengono né al gruppo indoeuropeo, né ad altre grandi famiglie attualmente presenti in Europa (semitico, uralo-altaico). Tra le lingue antiche vanno ricordate l’etrusco e varie altre lingue presenti in Italia, in territorio greco, nella penisola iberica. Tra le lingue moderne è molto importante il basco: vede oltre un milione di parlanti in un territorio che copre la zona nord-orientale della Spagna e giunge fino alle estreme propaggini della Francia pirenaica. ASIA • Famiglia afro-asiatica: quella che veniva precedentemente chiamata famiglia camito-semitica, costituita da varie sottofamiglie: _ la sottofamiglia semitica. _ Egiziano, la lingua dell’antico Egitto, che dal III sec. d.C. è continuata nel copto. Con l’invasione araba il copto è sostituito dall’arabo. _Libico-berbero: insieme di varietà parlate dalle popolazioni autoctone dell’Africa Settentrionale. _ Cuscitico: rappresentato da numerose varietà parlate nelle zone del corno d’Africa. Che tra tutte queste sottofamiglie esista un rapporto, lo provano le numerose somiglianze sia nella struttura grammaticale sia nel lessico; è difficile però definire con certezza la natura dei legami reciproci. • Famiglia uralo-altaica: vastissimo raggruppamento. La famiglia uralica comprende a le lingue urgo-finniche e il gruppo samojedo. La famiglia altaica comprende le lingue turche, le lingue mongoliche e le lingue manciu- tunguse; altri vi aggiungono anche il coreano e il giapponese. • Lingue caucasiche: individua un gruppo di lingue che hanno in comune solamente la collocazione geografica nell’area del Caucaso. (Es. georgiano). • Lingue dravidiche: parlate prevalentemente nelle regioni meridionali dell’India. • Lingue sino-tibetane o indo-cinesi: si suddividono in tre gruppi • Altre lingue: tra le lingue o i gruppi di lingue che difficilmente possono trovare posto all’interno delle famiglie finora delineate come la famiglia delle lingue austroasiatiche AFRICA • Lingue bantu: vasto raggruppamento che comprende numerose lingue dell’Africa centro- meridionale. Caratteristica delle lingue bantu è quella di possedere una classificazione molto minuta realizzata attraverso un determinato numero di prefissi. I prefissi vengono premessi a tutti gli elementi della frase. • Gruppo khoisan: è costituito dalle lingue delle popolazioni note come ottentoti e boscimani nell’Africa sud-occidentale. Sono caratterizzate da alcune particolarità fonetiche, come la presenza dei cosiddetti clic (fonemi ottenuti facendo schioccare la lingua contro i denti o contro il palato). OCEANIA • Lingue maleo-polinesiane: questa famiglia di lingue comprende un vasto territorio che va dal Madagascar fino all’Indonesia e all’isola di Pasqua. Si distinguono al suo interno due grandi gruppi: le lingue indigene di Taiwan e le lingue maleo-polinesiache AMERICA • Lingue d’America: si tratta di un vasto numero di parlate, che occupavano uno spazio molto esteso e che presentano una notevole frammentazione. Si tratta però di un capitolo ancora da scrivere. LA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA: principi generali La classificazione genetica intende mostrare l’appartenenza di due o più lingue a un medesimo ceppo, mentre la classificazione tipologica intende riconoscere dei “tipi di lingue”, indipendentemente dalla loro storia e dalla loro dislocazione geografica: tale classificazione definisce le lingue sulla base di criteri stabiliti a priori, e per ciò stesso arbitrari. La classificazione tipologica può assumere come criterio caratteristiche di qualunque genere, per esempio si possono classificare le lingue prendendo come punto di partenza l’esistenza o meno di determinati fonemi o di determinate particolarità prosodiche (lingue con un certo tipo di accento) o morfologiche (lingue con declinazione o senza). Tra i fini della classificazione tipologica c’è anche quello della possibile individuazione di universali linguistici, cioè di caratteri che si presentano in tutte le lingue del mondo. L’ordine basico delle parole Per ordine basico delle parole si intende la disposizione con cui si susseguono i tre elementi fondamentali di una frase: soggetto (S), verbo (V), oggetto (O). Chiaramente vengono prese in considerazione le sole preposizioni dichiarative non negative e non interrogative e i soli testi di prosa. Le combinazioni possibili da un punto di vista teorico sono sei: SVO, SOV, VSO, VOS, OSV, OVS. Circa il 95% delle lingue utilizzano solamente le prime tre combinazioni. SVO: italiano; SOV: persiano; VSO ebraico. Questo tipo di classificazione può avere un interessante valore orientativo e può aprire a ulteriori acquisizioni, ma occorre sempre ricordare che non è in grado di definire in modo adeguato una lingua. La classificazione morfologica All’interno della classificazione tipologica deve essere collocata anche la cosiddetta classificazione morfologica, che ebbe notevole diffusione soprattutto nei secoli scorsi e che oggi è considerata con molte riserve. Essa raggruppa le lingue del mondo in base alla modalità di espressione di alcune funzioni grammaticali e semantiche. Le lingue venivano così divise in: • Isolanti: i lessemi sono invariabili: in linea di principio non esiste né declinazione, né derivazione; un esempio è il cinese, in cui ogni parola ha una struttura monosillabica ed ogni sillaba corrisponde quasi perfettamente ad un morfema: non esiste distinzione tra le varie parti del discorso, e ogni parola può avere funzione di nome, aggettivo, avverbio, verbo: i nostri chiarore, chiaramente, chiaro, essere chiaro sono in cinese un'unica parola. Il verbo non ha distinzione né di numero né di tempo, né il nome ha distinzione di genere o di numero. • Agglutinanti: in tali lingue, per indicare la funzione si aggiungono alla parola dei morfemi, ciascuno contenente un’unica informazione: esempi tipici sono il turco o l’ungherese; in turco un sostantivo come ev “casa” può flettersi in diversi casi: per esempio ev-i accusativo, ev-den ablativo “della casa”, ev-de locativo “nella casa”. • Flessive: ogni morfema può indicare più categorie, più funzioni, (come nell’italiano bravi, in cui il morfema desinenziale -i indica sia il maschile sia il plurale). Lingue flessive sono le lingue indoeuropee nella fase antica e le lingue semitiche. Si realizza in queste lingue il massimo della sintesi, perché ogni singola forma può esprimere un fascio di significanti e di funzioni. • A questi gruppi è stato successivamente aggiunto quello delle lingue polisintetiche, che è stato riconosciuto soprattutto in alcune lingue degli indigeni americani, ed è caratterizzato dalla possibilità di un accumularsi teoricamente illimitato di morfemi. Linguistica e genetica; linguistica e archeologia E’ corretto tentare di affiancare ai dati risultanti dall’indagine linguistica ciò che emerge dall’indagine archeologica o genetica. Tentativi di mettere in rapporto queste discipline sono stati operati da vari studiosi dei secoli XIX-XX. L’opportunità di rifarsi ad argomenti extra-linguistici diventa più pressante quando si opera su lingue prive di tradizione e attestate solamente da pochi decenni, per le quali si presume una parentela lontana nel tempo. I dati di altre scienze sono utili per integrare i dati risultanti dall’indagine linguistica. Spesso è però difficile far combaciare i dati delle diverse discipline, perché l’evoluzione linguistica ha caratteri suoi propri, indipendenti dalla storia della cultura o da altri fattori. Una spinta all’approfondimento di questa ricerca è venuta in epoca recente dalla scoperta del gene foxp2, che sembra coinvolto nei processi di abilità linguistica e di apprendimento delle regole grammaticali. LA VARIAZIONE LINGUISTICA Le varietà di una lingua La lingua è un repertorio di codici o varietà: al di là delle differenze si riscontra un’appartenenza ad una determinata comunità linguistica, ma una lingua può presentare al suo interno una serie di varietà: • Varietà diacroniche: la lingua varia e si modifica nel tempo • Varietà diatopiche: la lingua è realizzata in modi diversi nello spazio • Varietà diastatiche: una lingua è realizzata in modi diversi a seconda dell’appartenenza socio- culturale del parlante o degli ambienti sociali in cui essa è praticata • Varietà diafasiche: cioè legate agli scopi della mia comunicazione e al rapporto che ho coi miei interlocutori. • Varietà diamesiche: legate al tipo di mezzo di comunicazione impiegato: un sms ha caratteristiche diverse rispetto a una normale relazione scritta Le varietà di tipo diatopico, diastatico e diafasico si pongono sull’asse sincronico, e sono quindi di natura diversa rispetto alle variazioni diacroniche (variazioni che la lingua subisce nel tempo). Variazioni diastatiche Lo studio di queste variazioni costituisce il campo della sociolinguistica, scienza che studia appunto le diverse possibilità di realizzazione di una lingua determinate dalle differenze sociali e ambientali dei parlanti. Da semplice sottodisciplina della linguistica nata in tempi abbastanza recenti, essa si sta affermando negli ultimi decenni come vera e propria disciplina autonoma. Il suo ambito di indagine rimane comunque entro i confini della linguistica, e non deve essere considerata come una sottodisciplina della sociologia. La sociolinguistica studia quindi, soprattutto le diverse modalità di realizzazione della lingua a seconda delle diverse tipologie di parlanti: si tratta quindi di uno studio focalizzato sulla parole, non sulla langue e il suo modo di procedere ha necessariamente carattere empirico. Il primo passo che lo studioso di sociolinguistica deve compiere è l’individuazione di una comunità linguistica, cioè di un insieme di parlanti che si riconoscono nell’uso di un medesimo codice. L’uso prevalente di una varietà non mette certo in discussione l’appartenenza ad una comunità linguistica (l’appartenenza primaria è alla lingua, non alla varietà). L’indagine sociolinguistica deve precisare quanto è in grado il parlante di dominare codici linguistici diversi;quanto più il parlante riconosce ed è capace di usare i diversi repertori di una lingua e passare dall’uno all’altro in base alle necessità (commutazione di codice), tanto più grande è la sua competenza comunicativa. Variazione linguistica e prestigio Per il linguista tutti gli atti di comunicazione linguistica hanno, almeno teoricamente, lo stesso valore e la stessa dignità. Il parlante invece può avere la percezione del fatto che alcune varietà siano migliori, più prestigiose di altre (per fare un esempio per vari secoli il fiorentino rimase il modello a cui attenersi per ogni creazione letteraria). Tale percezione spinge il parlante a uniformarsi, nei limiti delle sue capacità, alla varietà più prestigiosa, almeno per quelle situazioni in cui è in gioco la necessità di parlare correttamente e bene (ad esempio durante un colloquio di lavoro). Alla varietà ritenuta corretta per generale consenso dei parlanti e diffusa nelle scuole e nei mezzi di comunicazione si dà il nome di standard; si tratta in questo caso di prestigio manifesto. Vi sono casi in cui una varietà inferiore allo standard è percepita dal parlante, in particolari contesti, come più prestigiosa rispetto allo standard stesso (per esempio lo studente di una classe inferiore affascinato dal linguaggio scurrile dei suoi amici più grandi). In tali casi si parla di prestigio coperto. La deviazione rispetto allo standard può essere più o meno ampia a seconda dei casi: una frase come è venuta Sara e gli ho detto è meno distante dalla standard è venuta Sara le ho detto rispetto a è venuta Sara e ci ho detto. Se una deviazione dello standard non dipende da una scelta del parlante (per esempio l’impossibilità fisica di pronunciare correttamente un certo fonema), non può essere chiamata varietà. le varietà linguistiche possono trovarsi nella fonetica, nella morfologia, nella sintassi, nel lessico. La standardizzazione della lingua non è un fenomeno proprio delle lingue moderne. Le antiche lingue di cultura (come il greco e il sanscrito), arrivarono ad un livello di standardizzazione molto forte, grazie alla tradizione grammaticale e alla diffusione delle scuole: questo permise loro di diffondersi in spazi molto ampi e di rimanere stabili per secoli. Per quanto riguarda l’italiano di oggi, lo standard si pone su base sovra regionale (in altri casi la lingua standard può corrispondere ad una lingua parlata in una determinata località) ed è la lingua che viene insegnata nelle scuole, diffusa attraverso i mezzi televisivi ecc…. Una lingua può anche possedere più varietà che sono considerate come standard da diversi ambiti di parlanti. Lingue speciali Quando gruppi specifici di parlanti usano varietà della lingua nazionale talmente definite e articolate e quindi, quando l’uso di una determinata lingua diventa un tratto distintivo di un determinato gruppo sociale, abbiamo la nascita delle lingue speciali. Il socioletto è la varietà specifica di un determinato ambiente sociale, mentre l’idioletto è la varietà caratteristica di una singola persona. Il socioletto per essere tale deve avere una stabilità, una strutturazione, delle caratteristiche che lo distinguono in modo nitido (deve avere cioè delle caratteristiche che lo sottraggono alla libera iniziativa del parlante) e deve essere riconoscibile da chi se ne serve. Poste queste premesse, il socioletto è anche uno strumento importante per definire un’appartenenza e un’identità. (Lo studente che parla coi suoi compagni di classe o di corso utilizza normalmente il socioletto dell’ambiente studentesco). Le lingue settoriali invece sono caratteristiche di determinati ambiti o attività dell’operare umano. Il loro fine è essenzialmente quello di permettere una comunicazione precisa ed essenziale soprattutto nell’espressione di determinati contenuti tecnici. La lingua settoriale può fare uso di termini che ricorrono anche nella lingua comune, ma conferendo loro un significato diverso. Ad esempio, il termine cursore ha significati diversi nella lingua dei computer o del calcio, il termine allegro ha un diverso significato nella lingua settoriale della musica rispetto a quello che può avere nella lingua comune, e così via. Il gergo intende creare un vincolo di solidarietà e complicità ancora più stretto fra gli appartenenti a un determinato ambiente così da consentire tra loro una comunicazione che non possa essere capita da chi parla la lingua comune. Caratteristica dei gerghi è dunque il loro carattere di lingua segreta, conosciuta solamente dai membri del gruppo. Il lessico nella maggioranza dei casi è costituito da parole della lingua nazionale usate con valore traslato, ma non mancano imprestati da altre lingue, spesso anche lontane. Varietà diafasiche La variazione diafasica comporta l’uso di differenti registri linguistici. Vi sarà a seconda del contesto, della situazione in cui il parlante si trova (il colloquio di lavoro, l’incontro con gli amici) l’impiego di un determinato registro. Le variabili dipendono dal parlante stesso, che viene sollecitato ad adoperare determinate forme linguistiche invece di altre. Le differenze implicano scelte di lessico, di morfologia, di sintassi. Si distinguono generalmente quattro registri, che dal più elevato al più basso prendono il nome di solenne (che vede l’impiego di un lessico aulico, usato in occasioni solenni come l’incontro con personaggi istituzionalmente importanti), formale (impiegato per esempio in una tesi di laurea), medio (utilizzato in situazioni che richiedono una certa correttezza e proprietà di linguaggio, come un colloquio di lavoro) e colloquiale (utilizzato in situazioni famigliari, per esempio con gli amici). Anche la distinzione tra lingua scritta e lingua parlata ha una sua rilevanza nella scelta del registro da usare: la lingua scritta presume sempre una maggiore cura formale. Formule allocutive L’allocuzione è il riferimento linguistico del parlante al suo interlocutore. Nell’uso dei pronomi allocutivi l’italiano distingue tra la forma di cortesia e la forma confidenziale: nella lingua corrente si usa normalmente tu come pronome confidenziale e lei come pronome di cortesia. L’uso dei pronomi allocutivi può essere simmetrico (quando i due interlocutori usano lo stesso pronome) o asimmetrico (quando i due interlocutori usano pronomi diversi: per esempio il professore che utilizza tu con gli studenti, che ricambiano con lei). Varietà diatopiche La varietà diatopica riguarda i diversi modi con cui una lingua si realizza sul territorio. Pertanto, restando nell’ambito dell’italiano, le diversità diatopiche dell’italiano sono cosa ben diversa dai dialetti. I dialetti sono da considerare le diverse modalità con cui il latino volgare si è evoluto nelle varie zone d’Italia, mentre le diversità diatopiche dell’italiano sono collegate ai modi diversi con cui i parlanti italiani si esprimono nella lingua comune nelle varie parti d’Italia. Naturalmente certe abitudini fonetiche, o fatti di morfologia o di sintassi, nati nei dialetti possono influenzare la realizzazione dell’italiano nelle varie regioni. Dialetto: è una varietà caratteristica di una determinata zona. In un territorio si creano varietà locali, che si allontanano sempre di più tra loro, fino a diventare prima delle parlate fortemente diversificate, e poi delle lingue autonome. Tale dinamica ha per esempio dato vita alle lingue romanze, che all’inizio si configuravano come semplici varietà locali del latino. Dunque una varietà locale può col tempo diventare una lingua, ma una visione del genere presupporrebbe una continua frammentazione di un’originaria unità linguistica del territorio e questo contrasterebbe con le normali esigenze comunicative di una società umana. Per questa ragione, accanto al processo di frammentazione deve coesistere anche un processo di riaggregazione che porta alla diffusione di una varietà di riferimento comune. Quindi la lingua è percorsa da forze e correnti spesso contrastanti che si saldano in una dialettica continua di innovazione e di conservazione. I registri dell’italiano Si assume generalmente la presenza di tre o quattro livelli fondamentali: l’italiano standard, l’italiano regionale, il dialetto. Non esistono confini netti tra una varietà dialettale e un’altra (continuum del linguaggio) come non vi può essere una distinzione netta tra standard e regionale. Possiamo anche stabilire dei limiti entro i quali si è diffuso un tratto linguistico, ma nella realtà queste linee sono fluttuanti. I mutamenti sono graduali e ai confini tra una varietà e l’altra vi sono località dove elementi caratteristici della variazione precedente convivono e si mescolano coi tratti della nuova varietà. Le anfizione sono appunto le zone di passaggio che si trovano intorno ad un territorio dove è individuata una varietà. Attualmente è in corso un processo di progressivo venir meno dei dialetti, sempre meno praticato nei centri urbani. Il dialetto è una parlata praticata da una cerchia di individui abbastanza ristretti (soprattutto le vecchie generazioni) e sostanzialmente limitata all’uso privato. Lingue minoritarie in Italia Con il termine di lingua minoritaria, ci si riferisce ad una varietà linguistica parlata da una comunità che non costituisce una realtà numericamente dominante rispetto a una data società o nazione. Si trova quindi in una situazione di minoranza alla lingua ufficiale. Nelle località dove si parlano lingue diverse dall’italiano quindi non si parlerà di dialetti, ma di lingue minoritarie. La presenza di lingue minoritarie in Italia è consistente: da una parte abbiamo gruppi non italofoni residenti in zone di confine adiacenti a paesi di lingua diversa (penisole linguistiche ad esempio la minoranza tedesca della provincia di Bolzano), dall’altra abbiamo nuclei non italofoni discendenti da antichi insediamenti stranieri giunti in Italia nei secoli passati (isole linguistiche per esempio la minoranza catalana in Sardegna). Le varietà linguistiche parlate nell’ampio territorio restante vengono comprese complessivamente in un insieme a cui si dà il nome di tipo italo-romanzo, i cui confini non corrispondono esattamente con quelli della Repubblica Italiana. Più delicata la questione per varietà come il sardo e il ladino (varietà che si collocano all’interno del tipo italo-romanzo). Considerata tutta una serie di elementi tali varietà (che li contrappongono o alle quella parola rappresenta un’innovazione o un prestito giunto in una lingua quando l’applicazione della legge fonetica era ormai esaurita. Legge di Grimm: anche detta prima mutazione consonantica o mutazione consonantica germanica perché abbraccia l’intero territorio delle lingue germaniche, descrive la generale trasformazione nel consonantismo indoeuropeo originario (le occlusive sorde dell’indoeuropeo sono divenute fricative sorde, quindi p>f; t>p; k>h; le occlusive sonore dell’indoeuropeo sono divenute occlusive sorde, quindi b>p; d>t; t>g e le occlusive sonore aspirate dell’indoeuropeo sono divenute occlusive sonore. Dissimilazione: la presenza di una spirante primaria o secondaria ha inibito la normale evoluzione del secondo fonema del nesso, che non ha dunque subito mutamenti (dissimilazione preventiva: un fenomeno di dissimilazione che viene impedito ancor prima del suo verificarsi) L’analogia Nella visione dei Neogrammatici, l’azione cieca e imprevedibile delle leggi fonetiche è temperata dall’azione dell’analogia. L’analogia è un’azione che il parlante compie per rendere più omogenei i paradigmi e più trasparenti le connessioni tra elementi lessicali della stessa area semantica. Laddove esiste una serie abbastanza numerosa di modelli simili tra loro, il parlante estende alla totalità delle forme le desinenze o modalità di formazione che si trovano nella maggioranze delle forme, eliminando o facendo rientrare nello schema generale anche le forme che per varie ragioni erano diverse. Se da verbi come portare, cantare, lodare si traggono forme come portiamo, cantiamo, lodiamo o portereste, cantereste, lodereste, facilmente, data la nuova forma puffare, il parlante è in grado di creare forme come puffiamo, puffereste. Se vi sono forme che si sottraggono alla formazione più comune, queste facilmente vengono integrate nello schema più diffuso. La teoria delle onde La teorie delle onde fu proposta dal linguista tedesco Johannes Schmidt. Secondo questa teoria sui fatti linguistici, le innovazioni si diffondono in un territorio irradiandosi da un centro e propagandosi tutt’intorno,in modo sempre meno vigoroso man mano che ci si allontana da tale centro. Il propagarsi delle onde può non essere omogeneo in tutte le direzioni, le trasformazioni potrebbero infatti essere contrastate da diverse situazioni come per esempio ostacoli naturali che si interpongono tra i vari centri del territorio. Quindi le onde si diffondono da un centro verso una periferia, e per centro si deve considerare quella parte del territorio la cui parlata, grazie al suo prestigio, si propone come modello da imitare. Fonetica e fonologia diacronica Finchè una trasformazione fonetica comporta solamente una differente realizzazione di un fonema, senza che ciò produca conflitti con altri fonemi, il cambiamento non interessa il sistema nel suo complesso e non necessita di riorganizzazioni. Fonologizzazione e defonologizzazione Si ha la fonologizzazione quando un sistema fonologico acquisisce un nuovo fonema, o, detto in altri termini, quando quello che in una fase precedente era un semplice allofono acquisisce lo stato di fonema; si ha quindi la riorganizzazione del sistema linguistico. Per fare un esempio: in latino /g/ era sempre realizzata con una pronuncia velare. La realizzazione era la stessa in gallus, gula, gelu e gigno. In realtà, poiché la lingua tende ad evitare nella catena fonetica passaggi troppo bruschi e ogni fonema è in qualche modo condizionato dal fonema che segue, la realizzazione della /g/ di gallus e gula e quella della /g/ di gelu e gigno doveva essere leggermente diversa. Questa lieve differenza di realizzazione (una variante combinatoria) ha provocato con l’andar del tempo una progressiva diversificazione delle due realizzazioni fino ad arrivare ad una distinzione tra i due fonemi. In italiano l’esito definitivo di latino /g/ davanti a vocale palatale è (gelo<gelu). Nel frattempo altri fonemi avevano assunto un esito : questo era l’esito per esempio del nesso /dj/ (radius>raggio, diurnus>giorno) e di /j/ consonantica in interno di parola (maiorem>maggiore; peius>peggio) e in inizio di parola (ienarius>gennaio). A questo punto si è avuta l’acquisizione del nuovo fonema. Quando due fonemi originari si confondono in un unico fonema si ha la defonologizzazione. Un caso importante è la perdita del tratto di quantità nel passaggio dal latino alle lingue romanze. In latino esisteva infatti una correlazione tra vocali brevi e lunghe, la quantità costituiva uno dei tratti pertinenti del fonema. Nel latino parlato si sentì sempre meno la distinzione tra le vocali brevi e lunghe tanto che ad un certo punto, tale distinzione, scomparve completamente. Assimilazione e dissimilazione La tendenza di evitare salti troppo bruschi nella catena fonetica, è uno dei principi fondamentali che governa la trasformazione fonetica. Si ha l’assimilazione quando un fonema abbandona uno dei suoi tratti distintivi per adeguarsi a un fonema che lo precede o lo segue. Se in italiano uniamo in, con col verbo portare, l’esito non sarà inportare o conportare, ma importare e importare, per sottoporre il parlante ad uno sforzo minore e per evitare l’inserimento di una pausa tra preverbo e verbo. Negli esiti italiani –tt- del nesso latino –ct- (noctem>notte) la –c- si è assimilata alla consonante seguente, assumendone il luogo di articolazione. Si distingue fra assimilazione progressiva o regressiva, a seconda della direzione in cui si produce l’avvicinamento fra i due fonemi. Nel caso di notte si tratta di un’assimilazione regressiva, poiché è il secondo fonema a prevalere e a dettare la direzione in cui il cambiamento deve operare. Se la direzione del cambiamento è opposta abbiamo un’assimilazione progressiva. Quando invece un fonema si modifica per differenziarsi da altri fonemi simili presenti nello stesso contesto fonologico, si ha la dissimilazione. Per fere un esempio, nel latino arborem il parlante ha voluto evitare la presenza di due /r/ in sillabe vicine e ha sostituito una delle sue con /l/: abbiamo così in italiano albero (dissimulazione regressiva) e in spagnolo arbol (dissimulazione progressiva) A volte, al posto di un’assimilazione, si ha tra i fonemi o i nessi interessati uno scambio di posizione cui si dà il nome di metatesi. Per esempio dal latino parlato periclum e miraclum, si ha in spagnolo peligro e milagro con lo scambio delle due liquide. Le parole latine sono pervenute all’italiano in due modi diversi. Da una parte alcune parole latine sono state continuate direttamente e sottoposte alle trasformazioni fonetiche consuete. Dall’altra abbiamo parole dotte o semidotte (i cultismi) che sono state riprese direttamente dal latino con lo scopo di arricchire il lessico italiano. In sostanza i cultismi sono veri e propri latinismi, parole che vengono riprese dal latino scritto come veri e propri prestiti e adattate alla lingua romanza, nel cui tessuto molto spesso penetrano in maniera profonda (flebile). Fenomeni di influsso sui fonemi vicini possono toccare il vocalismo. Quando la presenza di una vocale influisce sulla vocale della sillaba vicina, o mutandone il timbro o spostandola dalla serie palatale alla velare o viceversa si ha un fenomeno di metafonia. Anaptissi: inserimento di vocali per rendere più agevolmente pronunciabile un nesso consonantico Il cambiamento nella morfologia e nella sintassi Nei processi che determinano la trasformazione linguistica spesso i motivi di carattere fonetico sono strettamente collegati a motivi di carattere morfologico e sintattico (morfonologia). Nelle trasformazioni del sistema morfologico, è fondamentale la volontà del parlante a conservare una determinata categoria: se questo interesse non sussiste, chiaramente quella categoria è destinata a sparire. Vi sono trasformazioni conservative che permettono l’espressione delle categorie che un sistema morfologico continua a possedere e trasformazioni innovative dove si hanno perdite o aggiunte di categorie. Per esempio, nel passaggio dal latino all’italiano, nel sostantivo si perde la categoria del neutro e nel verbo si acquisisce la nuova categoria condizionale. Per esempio le prime tre persone dell’imperfetto indicativo latino erano cantabam, cantabas, cantabat. La perdita della consonante finale in italiano avrebbe condotto tutte e tre le forme latine all’unica forma cantava. Ma il desiderio di rendere più chiara la distinzione delle tre persone ha condotto il parlante a riprendere le desinenze del presente indicativo (-o, -i, -a) e a trasportarle sull’imperfetto: in cantavo cantavi cantava abbiamo così di nuovo tre forme distinte per indicare in modo comodo e non ambiguo le tre persone. Quindi si può concludere che ogni lingua ha interesse ad avere paradigmi regolari: ciò significa che il parlante tende a intervenire per rendere il quadro omogeneo, quando le vicende precedenti lo hanno confuso. Per esempio per i sostantivi nuora e suocera ci sarebbe aspettati, visto che la desinenza da forme latine era –us, uno sviluppo del nominativo in –o. a trasformazioni del genere di fa il nome di metaplasmo. Si ha il sincretismo quando i confini semantici tra due casi si fanno sempre più vaghi e le sovrapposizioni nell’espressione delle funzioni sempre più ampie. Il cambiamento nel lessico Il lessico è più esposto al cambiamento rispetto ad altri settori del sistema perché, a differenza di quanto avviene negli altri settori (in particolare nella morfologia) la coesione fra i vari elementi è minore, e pertanto l’introduzione di un elemento non determina necessariamente la necessità di una riorganizzazione dell’intero sistema. Per far fronte ai cambiamenti culturali che toccano una determinata comunità linguistica, il lessico è il settore che ha a disposizione più mezzi: per esempio, si può facilmente ricorrere a parole di origine straniera per comare le lacune che vengono individuate nel sistema. Oltre alle lingue straniere sono utilizzabili anche le lingue di cultura che hanno preceduto la formazione e la nascita di una lingua volgare, oppure le fasi precedenti della stessa lingua. Un vocabolo uscito dall’uso può essere “ripescato” e la coesistenza di due termini di significato affine eprmette di conferire a ciascuno di essi una determinata sfumatura di significato (specializzazione semantica). Per esempio la continuazione del latino caput in italiano è capo e in francese è chef; l’italiano, pur possedendo capo, ritiene utile assimilare come imprestito anche la parola francese, riservandola però a un ambito semantico molto specifico (figura di rilievo nell’ambito della cucina). Essendo il segno caratterizzato da una stretta solidarietà tra significante e significato, il cambiamento di uno di questi comporta la trasformazione del segno, e quindi l’opportunità o la necessità di una sostituzione. LA LINGUISTICA AREALE Parentele e affinità linguistiche L’intensificarsi delle relazioni culturali comporta inevitabilmente anche un infittirsi del commercio linguistico con la conseguente possibilità di passaggio di elementi da una lingua all’altra. In questi casi parliamo di affinità culturale: la somiglianza di due lingue è il frutto di rapporti linguistici che si sono protratti nel tempo. L’affinità non intacca la parentela genealogica di una lingua cioè l’appartenenza di una lingua a una determinata famiglia. La classificazione genealogica è uno degli scopi principali della linguistica storica. Gli studi di linguistica areale (che pongono l’accento su fattori storici differenti) possono dare un contributo importante sia sul piano storico sia sul piano metodologico. Sul piano storico permettono di approfondire le vicende di una lingua, le modalità della sua evoluzione e del suo trasformarsi, gli apporti esterni che ha recepito attraverso i secoli. Sul piano metodologico possono aiutare lo studioso a riflettere sulle modalità con cui un sistema linguistico si trasforma, oppure a verificare quanto la trasformazione di un sistema linguistico sia dovuta a fattori interni al sistema stesso e che peso abbia l’influsso di lingue vicine. Per fare un esempio l’inglese è una lingua germanica che ha sviluppato nel corso della sua storia una serie di affinità con le lingue romanze. Nonostante questo, l’inglese non cessa di essere una lingua germanica. Adstrato, sostrato, superstrato Quando due lingue sono compresenti in un territorio in una situazione di uguaglianza, si dice che vi è una situazione di adstrato. Se una delle due lingue prevale sull’altra fino a sostituirla, la lingua che cede diviene il sostrato della lingua vittoriosa. Invece se una lingua si sovrappone all’altra nel suo
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