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Linguistica Italiana: assi della variazione linguistica e struttura delle frasi semplici, Appunti di Linguistica

Il corso di Linguistica Italiana tenuto dall'insegnante Sergio Giuseppe presso l'Università degli Studi di Milano nel secondo semestre dell'anno accademico 2021/2022. Si analizzano gli assi della variazione linguistica (diacronia, diatopia, diastratia, diafasia e diamesia) e la struttura delle frasi semplici (soggetto, predicato, complemento diretto, complementi indiretti, attributo e apposizione). Inoltre, si introduce la grammatica valenziale, una prospettiva di analisi della linguistica strutturalista basata sulla struttura argomentale del verbo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 18/10/2022

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Scarica Linguistica Italiana: assi della variazione linguistica e struttura delle frasi semplici e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! Linguistica Italiana Università degli studi di Milano Corso tenuto da Sergio Giuseppe Secondo semestre a.a. 2021/2022 Linguistica Italiana Lezione 1 Si focalizza sull’analisi della lingua italiana: storia, strutture e varietà dell’italiano. Per Asse si intende ciascuna dimensione di variazione della lingua; Gli assi della variazione linguistica sono 5: - Diacronia — tempo - Diatopia — spazio - Diastratia — ceto sociale - Diafasia — situazione comunicativa - Diamesia — mezzo di comunicazione Diacronia La diacronia è il parametro che ha a che fare con il tempo. La lingua italiana, quindi, varia nel tempo; Qualche anno fa è stata pubblicata una nuova edizione de “Il Principe” di Machiavelli, questo ci permette di comprendere come l’italiano del ‘500 sia diverso da quello attuale. “Diacronia” deriva dal greco e l’italiano l’ha preso in prestito dal francese. Questa parola è stata trovata in italiano nel 1942 per la prima volta. Zingarelli attesta questo termine all’anno 1919 → grazie alle ricerche e agli studi è riuscito a retrodatare la data di attestazione della parola. Diatopia Parametro di variazione che ha a che fare con l’area geografica; si deve notare come tutte le varietà native degli italiano sono diatopicamente connotate. Se guardiamo i dialetti italiani possiamo notare come la distanza tra i dialetti non sia molto inferiore rispetto a quella che esiste tra le lingue romanze. I dialetti sono lingue a sé stanti, che si sono sviluppate autonomamente dalla zone di appartenenza. Diastratia Ha a che fare con lo strato e il gruppo sociale a cui appartiene il parlante (ceto, censo, età, sesso etc…). Nella diastratia troviamo i linguaggi giovanili, l’italiano popolare e l’italiano degli stranieri. Secondo molti studiosi ciò sta modificando l’italiano nella direzione di una semplificazione e di un alleggerimento dei paradigmi. Paesaggio linguistico — costituito dagli elementi verbali pubblicamente fruibili (Cartelli, insegne); il paesaggio linguistico ci fornisce informazioni anche sul tipo di popolazione che caratterizza la zona. Diafasia Parametro di variazione che dipende dalla situazione comunicativa → distinguiamo le varietà formali e informali. Diamesia Variazione della lingua in base al canale che viene utilizzato (scritto, parlato o trasmesso); Il trasmesso è la varietà che condivide alcuni tratti con il parato e alcuni con lo scritto, ne fanno parte of 2 39 Linguistica Italiana Struttura delle frasi semplici - Soggetto completa il significato del verbo e concorda con esso; può essere espresso o sottinteso e si distingue in logico e grammaticale: quest’ultimo deve obbligatoriamente concordare con il verbo. Il soggetto può essere costituito da un nome, un pronome, un verbo (infinito sostantivo), una preposizione, e da altre parti della frase in metalinguistica. - Predicato → è ciò che si dice del soggetto. Si distingue in: • Verbale (o verbo predicativo), costituito da un verbo predicativo che ha un significato compiuto. • Nominale, formato dal verbo essere o da un verbo copulativo (sembrare, diventare etc.) cui si aggiunge un nome o un aggettivo in funzione predicativa. I verbi copulativi collegano il soggetto a un nome o a un aggettivo e non possono essere usati da soli. - Complemento diretto → è il complemento oggetto, cioè ciò su cui ricade l’azione compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato, al quale è legato senza utilizzo di preposizioni - Complementi indiretti → completano ulteriormente il significato del predicato verbale ed è introdotto da una preposizione sulla base della relazione con il soggetto e il predicato. - Attributo → aggettivo che qualifica o determina un sostantivo con cui concorda dal punto di vista morfologico. - Apposizione → sostantivo che si aggiunge a un altro con la funzione di caratterizzarlo o specificarlo meglio; a questo può essere aggiunto anche un aggettivo. Tipologie di frasi semplici Criterio betulino - La frase verbale contiene un verbo in funzione di predicato; - La frase nominale priva di verbo in funzione di predicato. Molto comuni nella giornalistica, rientrano nello stile nominale, che privilegia i nomi rispetto ai verbi; - La frase ellittica in cui il verbo è sottinteso perché già presente in una frase precedente (può essere ellittica anche di altri elementi, come il soggetto). Criterio logico - La frase enunciativa (o dichiarativa) in cui è contenuta un’enunciazione affermativa o negativa; a sua volta la negazione può essere totale, cioè che coinvolge l’intera frase, oppure parziale, in cui viene negato solamente uno dei suoi componenti. - La frase volitiva che contiene un comando o un’esortazione, un desiderio o una concessione. - La frase interrogativa (diretta) caratterizzata nel parlato da un’intonazione ascendente e nello scritto dalla presenza del punto interrogativo. Possono essere suddivise in interrogative totali oppure parziali; inoltre possono distinguersi le interrogative disgiuntive, che prevedono l’alternativa tra due elementi, e le retoriche, domande che non prevedono una reale risposta. - La frase esclamativa caratterizzata nel parlato da un’intonazione discendente e nello scritto da un punto esclamativo. Possono distinguersi in frasi nominali e frasi verbali. La linguistica strutturalista of 5 39 Linguistica Italiana La grammatica valenziale è una prospettiva di analisi della linguistica strutturalista. Lucien Tesnière tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900 ha individuato un modello d’analisi basato sulla struttura argomentale del verbo. Egli si è ispirato al termine “valenza” usato in chimica. Secondo la sua teoria, il verbo è l’elemento centrale della frase, in grado di vincolare a sé gli altri elementi. Si forma così il nucleo formato dal verbo e dagli argomenti che sono elementi necessari al completamento della frase. Nella frase è necessario un certo numero di argomenti per saturare il significato del verbo (valenza del verbo). In base al numero degli argomenti abbiamo verbi: - Zerovalenti (rari) → che non hanno nessun argomento, come i verbi meteorologici - Monovalenti → che si combinano con il soggetto. - Bivalenti → che hanno due argomenti (il soggetto e il complemento oggetto oppure soggetto e un complemento indiretto). - Trivalenti → che hanno tre argomenti (soggetto + oggetto + complemento indiretto). - Tetravalenti (pochi) → che hanno quattro argomenti. Gli elementi extranucleari o circostanziali sono invece meno essenziali al significato del verbo. La linguistica pragmatica Individua nella frase degli elementi sul piano informativo: l’elemento che porta una novità informativa costituisce il rema, mentre il dato è la parte nota a cui il rema si riferisce. La progressione tematica è il modo in cui il tema e il rema si susseguono nella concatenazione delle frasi. Esistono varie modalità di progressione tematica tra cui figura la progressione lineare (tema-rema) in cui le frasi si agganciano l’una all’altra usando come tema il rema della frase precedente. I costrutti della sintassi marcata In italiano l’ordine basico (o naturale o non marcato) è SVO (soggetto-verbo-oggetto) o SVOOI (soggetto-verbo-oggetto-oggetto-indiretto). L’ordine marcato è invece una variazione dell’ordine basico, cioè una variazione nella collocazione dei costituenti della frase. - il soggetto posposto al verbo → per enfatizzazione, contrasto, nelle frasi interrogative, con determinati verbi di accadimento e per enfatizzare il soggetto es. Ha detto Paolo di andare subito - Dislocazione a sinistra → costruzione in cui un elemento diverso dal soggetto assume la funzione di tema ed è collocato a sinistra, seguito dal predicato-rema a destra. Questa serve a sottolineare enfaticamente un costituente, a tematizzare un elemento che generalmente non è tema. Può avvenire con: • il complemento oggetto — il giornale mio marito lo legge la sera • il complemento indiretto — a tuo padre gli ho già parlato • il partitivo — di amici non ne ho • il complemento predicativo del soggetto — stupido Giovanni ha sempre dimostrato di esserlo • un’intera proposizione — che non sarei venuto te lo avevo già detto of 6 39 Linguistica Italiana - Dislocazione a destra → speculare alla dislocazione a sinistra, spesso il tema è preceduto da una pausa. Si può ritrovare soprattutto nel parlato e nello scritto letterario espressivo di alcuni meridionali come Verga. es. Lo prendo al bar, il caffè - Tema libero → formato da un costituente, collocato a inizio frase, seguito da una costruzione non congruente e senza collegamento pronominale; è caratteristico del parlato ma è presente anche nel linguaggio letterario per espressività e mimesi del parlato. es. gli asparagi adesso non è stagione; io la gamba mi fa male. - Frase scissa e pseudoscissa → la frase scissa è costituita da una prima unità frasale contenente il verbo essere e il rema, e usa seconda frase in cui si richiama il tema. es. È Giovanni che mi ha detto di te Generalmente l'elemento focalizzato è un nome o un pronome, ma può essere anche: • Un sintagma preposizionale — e non è con un pedaggio che si può salvare la fede • Un avverbio — è così che si crea la classe dirigente di domani? Nelle frasi pseudoscisse viene collocato prima il tema e successivamente il rema es. ciò che vediamo è che l’agricoltura sta scomparendo - c’è + che → è un tipo particolare di frase scissa, che ha come struttura c’è presentativo+ che. Ha la funzione di marcare il soggetto e rendere più facile la ricezione del messaggio; es. c’è mio fratello che non crede che sia possibile. Una variante è il costrutto con il verbo avere per la prima persona singolare e plurale. es. ho la testa che mi fa male. Lezione 3 Lessico — insieme delle parole e delle locuzioni di una lingua a cui vengono associate informazioni di vario tipo. Considerato come il patrimonio di una comunità, nel tempo si modifica, si arricchisce e si stratifica; è quindi un insieme dinamico aperto in continua evoluzione. Le parole di una lingua sono numerose, nell’ordine delle centinaia di migliaia, e sono dette lessemi, attraverso i quali la comunità di parlanti e scriventi cataloga la realtà che li circonda. Poiché una parte notevole del lessico si modifica continuamente, i lessemi di una lingua costituiscono una classe aperta, quindi è molto difficile stipulare delle stime precise sulla loro quantità (dizionari si presentano come completi ma sono sempre selettivi (dipende anche dall’inclusione di lessemi specifici). Una lingua come l’italiano comprende circa 200.000 lessemi, ma essendo una lingua flessionale le parole italiane sono in realtà molte di più rispetto a quelle incluse nei vocabolari. (Le parole sono la manifestazione concreta del lessema che invece è l’unità astratta). Il vocabolario attivo è l’insieme delle parole che una persona impiega attivamente; molto più ampio è il vocabolario passivo che comprende tutte quelle parole che vengono comprese ma non impiegate attivamente da un parlante o da uno scrivente. Nel vocabolario passivo possono rientrare le parole antiche utilizzate in fasi passate della lingua, che poi sono state dimenticate nel tempo e che quindi possono essere considerate neologismi di ritorno (es. coronavirus — parola utilizzata per la prima volta negli anni 70 in ambito specialistico, ripescata nel 2020). of 7 39 Linguistica Italiana Vocali Le vocali sono 7 in posizione tonica (accentate) e 5 in posizione atona. 5 sono i grafemi e 7 i fonemi. Il sistema vocalico dell’italiano può essere descritto a seconda della articolazione del suono, della posizione della lingua e della bocca quando articoliamo il suono. La A è una vocale bassa e centrale, la E e la I sono vocali anteriori, medie e alte, la I è la vocale anteriore alta, la O e la U sono posteriori. Nel sistema tonico distinguiamo tra medio bassa (O aperta) e la consueta (O chiusa). Quando parliamo di differenza di suono tra vocali individuiamo una posizione fisica diversa che assume la bocca nella pronuncia del suono. Sono sempre suoni posteriori e medi ma medi alti e bassi. Consonanti Le consonanti sono classificate secondo tre parametri: modo di articolazione, luogo di articolazione e sonorità o assenza di sonorità. Raddoppiamento fonosintattico Fono → riguarda un fono Sintattico → si verifica perché in un particolare contesto Rafforzamento della consonante iniziale di parola, dovuto alla posizione all’interno del contesto; è un fenomeno tipico del parlato. - Preceduta da un monosillabo — è vero → èvvero - Preceduta da polisillabo ossitono (accento sull’ultima sillaba) — a casa → accasa - Preceduta da alcune parole parossitone (accento su penultima sillaba — che vuoi → chevvuoi In alcuni casi può stabilizzarsi e diventare una nuova parola (es. da vero → davvero) Morfologia Deriva da morfè “forma” e logia “discorso”, analisi della forma. In linguistica, lo studio della flessione, della composizione e derivazione delle parole, della determinazione delle categorie e delle funzioni grammaticali e quindi degli elementi formativi, delle desinenze, affissi e alternanze qualitative e quantitative. Studia: - Flessione delle parole — bell-o, bell-a of 10 39 VOCALI TONICHE Linguistica Italiana - Composizione e derivazione — formazione di parole nuove con materiali endogeni già presenti nella lingua, che vengono riutilizzati a formare nuove parole. es. capo-stazione bello, bellezza - Classificazione grammaticale — dividiamo tra categorie grammaticali distinte e funzioni grammaticali. - Affissi — da una parola base si formano altre parole con significati diversi aggiungendo un affisso es. mettere → pre-mettere Morfemi — unità minima della parola dotata di significato • Lessicali — quella parte della parola che trasmette il significato e rimane quindi invariata. es. bellezza; bello, abbellire • Grammaticali — trasmette il significato grammaticale di una parola, la sua classe di appartenenza, il genere e il numero, es. bello; bellezza - Morfemi liberi → sono staccati e costituiscono da sé una parola dotata di significato. - Morfemi legati → devono sempre unirsi ad altri morfemi - Morfemi semiliberi → unità autonome ma correlate ad altre perché dipendenti dal valore grammaticale della parola che accompagnano. - Morfemi flessivi → permettono la flessione delle parole. Quei morfemi che permettono la variazione del numero e del genere, dove principalmente le vocali sono usate come desinenze. - Morfemi derivativi → un suffisso, un prefisso o affisso in generale che determina la coniazione di parole nuove, permettono di creare dei derivati. Allomorfi — Lo stesso morfema può presentarsi sotto forme diverse. es. il prefisso in- è uno solo ed è sempre quello, il significato che trasmette è sempre quello, cioè di negazione, però può assumere delle forme diverse a seconda della consonante che lo segue: il prefisso in- è la forma base e la più diffusa, ma possiamo trovare ir- al posto di in- perché la vicinanza di una R, una vibrante, o una laterale L, trasforma la nasale N assimilandola tra il suono che segue. Si parla in questi casi di allomorfi condizionati in distribuzione complementare, cioè che non si sovrappongono mai. Doppioni — sono allomorfi liberi. Sono molto rari in italiano ma ci sono dei casi in cui non c'è un’allomorfia condizionata dovuta a un contesto ma semplicemente abbiamo due forme che hanno lo stesso valore, indicano la stessa cosa e che sono doppioni tra loro. es. tra e fra; egli e lui; perso e perduto Classificazione delle parole La morfologia permette di classificare le parole di una lingua: - Nome - Aggettivo - Verbo - Articolo - Pronome - Avverbio - Preposizione - Congiunzione - Interazione of 11 39 Linguistica Italiana È forse più utile però non limitarsi a questa classificazione, ma piuttosto distinguere le parole in: parole piene e parole vuote, se le parole di questa classe hanno un significato loro proprio o meno, se non in connessione con altre parole; parole variabili e invariabili, se c’è o meno una flessione, come nel caso di nome, aggettivo mentre nel caso di avverbio no; classi aperte e chiuse, quindi classi di parole che sono aperte e rinnovabili, in cui possiamo aggiungere elementi nuovi (nomi), oppure chiuse perché non c’è innovazione lessicale (preposizioni, congiunzioni). Transcategorizzazione — passaggio da una categoria all’altra, da una classe all’altra. Sono diversi i modi in cui può verificarsi il passaggio: - Aggiunta di un suffisso es. Noia — noioso - Doppio salto es. Fossile — fossilizzare — fossilizzazione Questa possibilità di passaggio di categoria e questa aggiunta di affissi potenzialmente non ha limiti e va sotto il nome di ricorsività, cioè può ricorrere, può ripresentarsi, può aggiungere sempre qualcosa di nuovo in più. La ricorsività è una caratteristica della morfologia italiana, da nome a verbo, e poi di nuovo da verbo ad un altro nome. - Conversione es. piacere (v.) — piacere (n.) - Sottrazione es. Denunciare — denuncia (derivazione a suffisso zero) - Lessicalizzazione es. aspettare — aspettativa è un derivato ma con significato differente - Grammaticalizzazione Una parola cambiando di categoria assume un significato grammaticale differente che prima non aveva. es. Causa (n.) — a causa di (loc.prep.) Rinnovamento lessicale endogeno La lingua possiede i mezzi per produrre delle novità lessicali, cioè parole nuove; per questo nei secoli ci sono stati spesso dei puristi della lingua oppositori dei prestiti dal francese e dall'inglese, sostenendo come una lingua possa essere autonoma e non debba dipendere dai prestiti stranieri. Tuttavia il rinnovamento può anche essere interno alla lingua, ogni lingua possiede i mezzi per essere autosufficiente, o quasi completamente autosufficiente; questi mezzi sono due, la derivazione e la composizione. Sono delle vie interne per cui a partire da materiali già presenti vado a costruire parole nuove. L'epoca in cui l'Italia è stata maggiormente autarchica dal punto di vista linguistico è quella del fascismo che nella sua impronta dittatoriale aveva il mito della lingua autosufficiente e che non doveva dipendere dagli altri, almeno in ambito linguistico, e da qui l'imposizione a non utilizzare parole straniere e quindi a sostituire le parole presenti con parole preesistenti dell'italiano che potevano sostituirle. E' stato quindi un periodo in cui sono state coniate tante parole nuove, sono state proposte alternative a parole già esistenti. La coniazione di parole nuove avviene sulla base di questa aggiunta di affissi che danno vita a nuovi derivati. of 12 39 Linguistica Italiana - Grammatiche e altre iniziative puriste Grammatica Storica → disciplina che analizza e regola la lingua del tempo. Ai giorni nostri abbiamo un’appendice che era stata portata da una grammatica: l’Appendix Probi (il nome deriva dal suo autore, un grammatico chiamato Probo), risalente tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C. Il grammatico Probo indicava le forme corrette (o meglio, preferite) dopo aver proscritto quelle sbagliate (o meglio, sconsigliate) che all’epoca erano correnti, utilizzando una determinata formula canonica al posto di un’altra (no x = sì y; no “oricla” = sì “auris”). Questo è un esempio di come le grammatiche, per censurare alcune forme di latino volgare, hanno in qualche modo pubblicizzato tali forme, restituendoci perciò delle tracce di latino volgare fino ad oggi. Infatti, moltissime forme proscritte (ossia quelle sconsigliate) erano del latino volgare, proprio il latino che ha dato origine alle parole delle varie lingue romanze. Dal latino volgare si riconosce l’origine della lingua italiana perché il latino volgare, rispetto al latino classico, risulta decisamente più simile alle lingue romanze es. “orecchio” è più vicino ad “oricla” rispetto ad “auris” Un’altra variabile che ha caratterizzato il latino volgare è la variabile diatopica: il latino volgare, più comunicativo e di registro più basso, era parlato dai più e dai meno colti e, con il passare del tempo, cambiava a seconda delle zone in cui veniva scritto e parlato. È proprio la frammentazione linguistica del territorio dell’Impero Romano che ha dato origine alle diverse lingue romanze (da qui le origini dell’italiano, del francese, dello spagnolo, del portoghese, del rumeno ecc). Queste lingue, proprio perché tutte neo-latine, sono lingue consorelle. Es. Fumum → si parte dall’accusativo perché la lettera “m”, essendo consonante debole, tendeva a essere sempre meno pronunciata fino a cadere del tutto nel parlato. Da qui ogni lingua ne crea la parola derivata: Fumo (ita), Fumée (fra), Humo (spa), Fumo (port), Fum (friulano), Fumu (sardo) Le parole vengono create anche in base alla disciplina della grammatica storica, cioè chiarisce lo sviluppo, le fasi di una parola che parte dal latino e si trasforma in una parola di una determinata lingua. Normalmente, per creare una parola, si seguono delle regole specifiche che caratterizzano, appunto, ciascuna lingua. In italiano esiste questa regola che una parola latina che inizia con FL o PL diventa rispettivamente FI o PI (es. “flore(m)” > “fiore” oppure “planu(m)” > “piano”) ; questa regola nella lingua francese e nella lingua spagnola non c’è. Testi intermedi → testi ibridi nei quali è difficile capire dove finisce il latino volgare e inizia la lingua romanza volgare di riferimento (es. italiano, francese, spagnolo ecc). Quindi questi testi non possono essere associati né al latino né alla lingua romanza proprio per il loro stato intermedio. Si può iniziare a parlare, per esempio, di lingua italiana da quando le parole italiane e le parole latine sono nettamente distinte. 960 d.C. → nascita ufficiale della lingua italiana. A questo anno, infatti, risale il Placito Capuano, che è la prima testimonianza scritta dell’italiano in un testo. Il Placito Capuano era un atto giudiziario scritto su pergamena, dove accanto al testo in latino compariva quello italiano (il documento era un testo bilingue): le testimonianze erano riportare in volgare italiano. Difatti queste testimonianze appaiono quattro volte e quindi non vanno considerate trascrizioni di una lingua “viva”, proprio perché le testimonianze erano ripetute. of 15 39 Linguistica Italiana Ille autem [Garipertus], tenens in manum memoratam abbreviaturam, et tetigit eam cum alia manu, et textificando dixit: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte s(an)c(t)i Benedicti» Assimilazione regressiva: la lettera che viene dopo assimila quella che viene prima es. “benedicti” → “benedetto” la T assimila la C Assimilazione progressiva: la lettera che viene prima assimila quella che viene dopo es. “Mondo” → “monno” la N assimila la D L’italiano si farà strada attraverso canale letterario, ossia i testi letterari; grazie ai poeti siciliani con la scuola siciliana indetta da Federico II di Svevia nel 1200, si sviluppa il volgare siciliano. Sempre nello stesso secolo, anche gli stilnovisti tra cui Dante Alighieri scelgono il volgare come espressione letteraria. A Dante Alighieri dobbiamo la prima illustrazione della storia della lingua nel tempo e nello spazio e, grazie ai suoi meriti letterari, egli viene riconosciuto come padre della lingua italiana. Il primo trattato sulla lingua volgare è il “De Vulgari Eloquentia” (1303-1304) ovvero “l’eloquenza della lingua volgare”. Esso era un trattato scritto in latino rimasto incompiuto, e aveva come scopo quello di convincere i ceti più colti della dignità del volgare. Dante vi passava in rassegna le varietà di volgare parlate in Italia al suo tempo, suddivisi di regione in regione. Dante ha riconosciuto perciò l’esistenza di differenti volgari italiani, distinguendo i dialetti orientali da quelli occidentali e descrivendo questi dialetti partendo da un’ottica molto più ampia tipica del medioevo: ha fatto prima una rassegna del medioevo, ha riconosciuto le somiglianze tra italiano, provenzale e francese per poi restringere il suo focus solo sull’Italia. Secondo questa sua ottica universalistica, Dante si interrogò anche su come si era arrivati alla situazione a lui contemporanea. Secondo Dante, il latino era una lingua artificiale creata dai dotti per garantire comunicabilità a seguito dell’episodio della torre di Babele, in cui Dio, per punire gli uomini, creò delle lingue diverse per creare incomunicabilità. Allora si creò il latino per avere maggiori facilità di comunicazione. Per Dante, in sostanza, c’erano tante lingue diverse fino all’arrivo del super-codice (cioè il latino) che garantiva la comunicabilità. Inoltre, Dante non si limitò alla descrizione dei volgari italiani, bensì ricercò il volgare migliore, ovvero che fosse: illustre (che desse lustro a chi lo parlava), aulico e curiale (degno di essere parlato in un’aula di tribunale o di corte) cardinale (in quanto doveva fare da cardine per le altre lingue); concluse che nessuno di essi aveva una stilizzazione letteraria in grado da dimostrarsi degno di essere utilizzato nella letteratura. Pur non considerandoli completamente degni, Dante riteneva che i migliori volgari italiani fossero il siciliano e il bolognese; non popolari, ma quelli esiti di elaborazione letteraria. A Dante, infatti, piacevano le lingue degne di essere espresse in letteratura. Quando Dante inizierà a scrivere la Commedia, essa verrà scritta in fiorentino, lingua non stilizzata. Tuttavia, Dante era anche un profondo conoscitore del latino, infatti la sua Commedia è ricca di latinismi, di provenzalismi e di parole prese da altri dialetti. Dante ha utilizzato diversi stili e registri in base al luogo in cui si trovava: nell’Inferno utilizza un registro basso mentre in paradiso possiamo leggere uno stile più elevato, aulico, accompagnato da melodie soavi e cori. Si può parlare anche di polimorfismo perché Dante alterna con “libertà” per ragioni di gusto, di metrica o di rima delle alternative morfologiche della stessa parola. of 16 39 Linguistica Italiana Tra il 1304 e il 1307, egli scrisse il Convivio, ovvero un prosimetro. Si trattava di un’opera in cui si alternavano la prosa e la poesia (come Vita Nova) e qui il fiorentino giocherà un ruolo più importante in quanto egli definirà il volgare “un nuovo sole destinato a splendere accanto al latino”. Divina Commedia → scrisse 100 canti, migliaia di terzine, temi diversi di questa commedia. Utilizza il volgare per parlare sia di amore sia di concetti teologici, seppur adottando stili e registri diversi. La ricchezza di temi diversi, toccando dagli ambiti più bassi e più crudi dell’inferno a quelli più formali e rarefatti del paradiso, favorì la promozione del volgare, dimostrando che in volgare poteva affrontare qualsiasi tipo di discorso. Grazie alla Commedia, iniziò il successo del volgare fiorentino che si affermò per altri due motivi: - Rispetto agli altri volgari era più comprensibile in quanto era più vicino al latino - Firenze era un centro economico fiorente → vivacità di scambi e diffusioni della lingua Edizione critica → edizione che mette a testo principale la versione che il curatore ritiene più vicina all’originale; in nota si mettono le varianti tramandate da manoscritti autorevoli. Questa è un’operazione filologica: le trascrizioni dei testi cambiavano con il passare dei secoli e il compito dei filologi è quello di recuperare e restituire i testi nella versione più simile all’originale. Filologia → disciplina che si occupa di restituire i testi alla loro veste originale. Non è stata tramandata la versione autografa di Dante, ma abbiamo solo dei manoscritti copiati da diversi copisti che ci hanno restituito versioni differenti della Divina Commedia. Lezione 7 Dante fa parte del trio delle Tre Corone, che comprendono anche Petrarca e Boccaccio. Al plurilinguismo dantesco si è soliti contrapporre il monolinguismo di Petrarca, che rispetto a Dante seleziona le forme linguistiche utilizzate: è facilitato dal fatto che l’opera poetica di Petrarca in volgare è monotematica, perché nel suo canzoniere si parla di amore, quindi manca l’escursione tematica, stilistica, lessicale e morfologica che aveva portato Dante. Dante credeva nelle potenzialità del volgare, mentre Petrarca non ha questo intento promotore; il che si intuisce perché nella sua opera il volgare è minoritario. La terza corona è Boccaccio, scrittore del Decameron tra il 1348 e il 1351, che sarà modello per la prosa. È un’opera in prosa molto ampia, 100 novelle, di argomenti tematici vari e con personaggi inscenati di varia estrazione sociale e provenienza. Boccaccio ha spesso una vocazione mimetica rispetto a ciò che racconta: tende ad imitare la parlata dei propri personaggi. I racconti sono sempre introdotti da cornici contestualizzanti, che invece sono scritte in un volgare italiano di alto livello. Le parti che verranno maggiormente imitate sono le parti più colte, ovvero quelle nelle cornici alle novelle. In questo caso si tratta di una lingua sorvegliatissima e ipotatticamente sostenuta (sono cornici in cui si trovano molte subordinate che generalmente precedono il verbo reggente, spesso a catena e che arrivano fino ad un alto grado di subordinazione). È una lingua scritta pensata per essere letta. Il 300 può essere considerato il secolo aereo della lingua italiana, in cui per ragioni fortuite a Firenze nacquero tre personaggi di alta levatura che produssero opere letterarie destinate a imporsi come modello letterario e linguistico. Il successo di queste opere, esemplate in fiorentino, comportò il successo del fiorentino stesso. Il secolo successivo è comunemente detto quello delle “libere esperienze del volgare”, in cui il volgare italiano si sviluppa a briglia sciolta; di contro, il 500 sarà il secolo della norma. of 17 39 Linguistica Italiana Il dizionario era un vocabolario storico, che ampliava il canone bembesco, il quale aveva eletto dante, Petrarca e Boccaccio. Gli accademici si rimisero al lavoro e nel 1623 stamparono una nuova edizione, che fu spinta dal fatto che alla pubblicazione del vocabolario vi furono numerose critiche. Uno dei critici più agguerriti e puntuali fu Tassoni, che aggiunse delle postille all sua copia, delle quali gli accademici tennero poi conto. Tassoni criticava l’utilizzo di parole arcaiche fuori dall’uso, l’uso di voci oscene o troppo popolari, molti vocaboli strettamente fiorentini o toscani che non avevano un corrispondente fuori da Firenze; questo rifiuto per le voci strettamente fiorentine poteva arrivare a coinvolgere parole testimoniate dai grandi autori. La prima e la seconda edizione non si differenziarono in grande misura, ma con la terza edizione, nel 1691, si ebbe un grande salto di qualità, che allargò il canone includendo autori di scienza che avevano anche il merito di essere autori di un volgare “illustre”, l’unico accettabile per gli accademici. Quantitativamente aumentò raggiungendo i tre tomi di grandezza, mentre dal punto di vista qualitativo vi fu una maggiore attenzione all’uso, quindi al dichiarare le voci in vita oppure desuete. Concretamente gli accademici segnalarono le voci attestate negli autori ma non più nell’uso attraverso la marca “V.A.” cioè voce antica. In questa edizione venne incluso Tasso, mentre continuava a rimanere fuori canone Marino perché considerato eccessivamente eclettico e aperto troppo agli usi stranieri. La crusca non ufficiale più famosa fu la “crusca veronese” pubblicata tra 1806 e il 1811 da Abate Veronesi, nella quale il suo autore aveva ampliato il lemmario andando a sfogliare testi di autori minimi e minori e includendo nel lemmario diminutivi e vezzeggiativi. Questa crusca venne postillata da Manzoni. Vi fu una quarta edizione tra il 1729 e il 1738 che fu un passo indietro rispetto alla terza edizione, riguardante soprattutto le voci tecnico scientifiche. I tempi erano maturi per un vocabolario che non si restringesse allo studio letterario, e talvolta gli accademici optarono per alcune voci di definizioni prescientifiche. Nel 1766 venne pubblicato “Il Caffè” ebbe una larga diffusione in Italia e all’estero. Fu un periodico che trattò di temi politici, economici, demografici con un linguaggio moderno e anti- cruscante. Gli illuministi riunitisi intorno al caffè polemizzarono contro la crusca, in particolare la quarta edizione, e in un articolo esplicitarono le loro critiche. All’interno dell’articolo redatto da Alessandro Verri si rivendicava la possibilità della lingua italiana di arricchirsi attingendo ai serbatoi tecnico scientifici, alle lingue straniere (in particolare il francese) e più in generale rivendicando la facoltà di accrescere il vocabolario di una lingua, in base all’idea che nessuna lingua così com’è può essere perfetta e completa per cui è lecito e auspicabile che la lingua segua l’evoluzione nel tempo e non si arrocchi in una lingua del passato. Questo rinnovamento linguistico avveniva su base endogena, quindi la lingua si modificava perché si erano modificati i temi di cui si doveva parlare. Per parlare di scienza e tecnica il periodo di Boccaccio era poco funzionale, il ‘700 è anche il secolo in cui si diffondono le gazzette e i giornali quindi serviva una lingua comunicativa, così come i romanzi di consumo, rivolti a un pubblico più ampio. Questi tre punti portano ad un cambiamento che avviene anche per ragioni esogene, cioè per influsso di lingue con cui l’italiano aveva rapporti molto stretti, caratterizzati da una sintassi e un lessico più snelli. La lingua con cui l’italiano ha dovuto fare i conti è stato il francese, sia per vicinanza geografica che per vicinanza linguistica e intellettuale. Questo ha comportato un influsso del francese sull’italiano, che è stato sia sintattico che lessicale. Il sintattico si è esplicato nella maggior presenza di una sintassi spezzata e leggera, con meno subordinate, coordinativa o paratattica. Questo influsso accade anche of 20 39 Linguistica Italiana nel lessico, in questo caso il prestito si concreta all’interno del bilingue, e il traduttore vedendo una parola francese che non esisteva in italiano la potrà portare sotto forma di prestito integrale o adattandolo al sistema fono-morfologico. In questo stesso secolo ci furono anche delle rideterminazioni semantiche, cioè parole che possedevamo in italiano hanno preso un significato nuovo ricalcato su quello del francese. Il ‘700 è stato un secolo di grande rinnovamento linguistico per l’italiano e come tale suscitò l’attenzione di numerosi studiosi che rifletterono sulla lingua, tra cui anche Manzoni, che analizzò la lingua italiana, inizialmente come una lingua morta. Manzoni era bilingue, francese e milanese. L’italiano era una terza lingua che aveva studiato per via libresca e nella quale aveva poi creato la sua opera in poesia e in prosa. La questione della lingua tocca Manzoni nel suo fare prosastico nei “Promessi Sposi”. L’interrogarsi di Manzoni sulla lingua nasce dall’esigenza di dover scegliere una lingua per il suo romanzo. Questa esigenza pratica è stata sempre accompagnata da una lunga e tribolata riflessione teorica, che si è esplicitata in numerose opere inedite di riflessione sulla lingua. Queste opere sono “il trattato della lingua italiana”, il “sentir messa”, e “relazione al ministro broglio”. Dapprima il romanzo di Manzoni si esplica nella stesura del “Fermo e Lucia” nel 1821, che è la proto-genesi dei Promessi Sposi (capitoli saltano, altri vengono ampliati, molto spazio alla monaca di Monza etc.); dal punto di vista linguistico questa fase viene chiamata eclettica, perché Manzoni cercava di raggiungere uno stile moderno attingendo a varie forme, sicuramente all’esempio letterario ma anche attingendo a francesismi, milanesismi, toscanismi, latinismi. Quest’opera viene ripubblicata in seconda edizione nel 1823 e nella introduzione a questa edizione scopre le carte e scrive “scrivo male”, definendo questo primo tentativo come un “composto indigesto”. Dopo questa prima fase segue la fase che Manzoni stesso chiamò toscano-milanese, che corrispose all’edizione del 1825-1827 (ventisettana) dei “Promessi Sposi”. In questo caso Manzoni si sforzava di raggiungere una lingua toscana ottenuta attraverso lo studio di vocabolari e opere toscane. Uno dei vocabolari che studiò fu l’edizione della crusca veronese, che passò al vaglio per ricavare un modello di lingua. Anche di quest’edizione dei Promessi Sposi si rivelò insoddisfatto, finché non raggiunse la quarantana nel 1840-1845. Lezione 9 Manzoni si trova a dover scrivere in prosa senza sapere bene quale lingua usare. Fa un viaggio a Firenze e decide di risciacquare i panni in Arno, rielaborando la lingua dei Promessi Sposi tenendo come canone il fiorentino vivo sincronico dell’uso colto. C’è una variabile diatopica, diafasica e diastratica. Dalla ventisettana alla quarantana: - Introduzione di fiorentinismi - Eliminazione di forme ritenute eccessivamente eleganti e auliche - Eliminazione di forme lombardo-milanesi, caratteristiche della prima redazione - Elimina i doppioni di forme e voci grazie al razionalismo di marca settecentesca, secondo cui una lingua per essere chiara ed efficace non ha bisogno di forme equivalenti. Edizione interlineare → edizione che porta in corpo maggiore il testo principale e definitivo e in interlinea si portano le varianti dell’edizione precedente. Manzoni interviene meno nella sintassi perché già nelle edizioni precedenti era snella. of 21 39 Linguistica Italiana Questa edizione ebbe un grande successo e si configurò come il primo bestseller della letteratura, portando a Manzoni una fama più grande dal punto di vista del valore letterario e più in generale come intellettuale e linguista. Questa fama fu tale che nel 1868 il ministro della pubblica istruzione Broglio nominò una commissione per fissare le regole, le forme e la pronuncia del corretto italiano e di proporre i metodi per una sua diffusione trasversale nella popolazione. Era un momento storico particolare, “si era fatta l’Unità ma si dovevano fare gli italiani” diffondendo un’unica lingua. Prima del 1861 il problema era relativo, l’Italia era divisa in stati ma con l’unità politica si presentano una serie di problemi come quello del raggiungimento dell’unità linguistica. Se sul modello di lingua adottata non vi erano problemi, sui modi per raggiungere questo fine Manzoni e la commissione proposero una serie di provvedimenti di vera e propria politica linguistica. Manzoni propone la redazione di un vocabolario che seguisse l’uso vivo di Firenze. Inoltre proponeva che insegnanti elementari toscani fossero inviati in tutte le parti di Italia, la revisione in senso fiorentinista di documenti scritti amministrativi che andavano esposti in pubblico e inoltrati ai giornalisti, il controllo linguistico e la revisione da parte di madrelingua toscani su strumenti di insegnamento e, a partire dal dizionario dell’uso vivo, la redazione di vocabolari elementari relativi alle arti e ai mestieri e vocabolari bilingui. Di questi suggerimenti se ne concretò uno solo, quello della redazione di un vocabolario esemplato sull’uso di Firenze. Questo vocabolario (Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze), conosciuto anche come il Giorgini-Broglio, si proponeva come uno strumento innovativo e la novità più importante era questo suo impianto sincronico.. Uso sincronico vuol dire esclusione delle parole arcaiche, rimanevano solo alcune parole ancora vive in determinati contesti poetici e letterari ma comunque sincronici. Altra inserzione importante fu l’indicazione della frequenza d’uso: in alcuni casi gli autori scrivevano più comune, meno comune, raro etc. Dopo la redazione del 1868 e dopo la pubblicazione dei primi fascicoli del nuovo vocabolario, spuntarono le prime critiche, in particolare quelle contro il principio di sostituzione manzoniano del principio della lingua modello. Il più attento critico fu Ascoli, che è stato il più grande glottologo dell’Ottocento e secondo alcuni il più grande linguistica esistente. Secondo Ascoli vi era una forte incongruenza storica nel voler prendere il fiorentino parlato contemporaneo e imporlo a tutta Italia, e lui partiva proprio dal titolo “novo”, dicendo che era un’imposizione arbitraria voler indicare che si dovesse dire novo quando in tutta Italia già si diceva nuovo. Secondo Ascoli non vi erano nemmeno ragioni di prestigio sociolinguistico per cui Firenze dovesse dettare legge, se mai erano le parlate e le scritture del Nord ad essere più avanzate ed elaborate. Secondo lui si poteva raggiungere l’unità linguistica del paese attraverso una maggiore diffusione della cultura (alfabetizzazione, scolarizzazione, diffusione giornali, etc.), non attraverso un’imposizione. Alle critiche a livello teorico si contrappose il successo pratico di Manzoni, perché proponeva un modello univoco, come aveva fatto Bembo, che didatticamente era un modello più forte. Dall’anno della pubblicazione della relazione iniziò il trentennio manzoniano, in cui questo modello si fece sentire sulle scelte linguistiche dell’Italia. All’interno di questo trentennio si inseriscono alcune opere popolari che diffondono il modello a strati sempre più ampi della popolazione. Per una sorta di paradosso, il modello di Manzoni dell’uso vivo diventò qualcosa che si poteva imparare attraverso l’imitazione di un modello scritto. Le opere più rappresentative di questa letteratura popolare sono “le avventure di Pinocchio” di Collodi e “cuore” di De Amicis, entrambi manzoniani ed entrambi da subito bestseller della letteratura per l’infanzia. Un’altra opera da ricordare è il ricettario dell’Artusi, che ha avuto 14 edizioni aggiornate con nuove ricette. Artusi usa of 22 39 Linguistica Italiana In questo caso giocava una sensibilità di protezione della lingua rispetto agli influssi stranieri ma anche la possibilità di fare cassa su questo aspetto ricavando introito economico. Con i primi del ‘900 e con il fascismo questa lotta acquisisce connotazioni più spiccatamente politiche, in particolare il fascismo conferma questa imposta sulle parole straniere nelle insegne, ma con l’inizio degli anni ’30 il controllo si fa più intenso acquisendo sfumature politiche. In questi anni si assiste a una vera e propria corsa al sostituto autarchico, quindi un movimento che riguardava tanto gli intellettuali quanto l’opinione pubblica che mirava alla epurazione della lingua italiana da elementi esogeni. Concretamente, ad una parola straniera si sarebbe cercato un sostituto italiano. Queste direttive venivano comunicate agli organi di stampa attraverso le veline, dei foglietti che venivano mandati dagli organi di governo alle varie redazioni di giornale e venivano diramate su queste cartine di velina. L’esempio più famoso si deve a Monelli, che dapprima su un quotidiano torinese e poi in un volume aveva di volta in volta preso di mira parole straniere, discusse e per ognuna aveva proposto un sostituto autarchico. Questo compito venne affidato a una commissione per l'italianità della lingua che tra il 1940 e il 1943 pubblicò quindici elenchi di parole. Si configurano come un testo normativo, elenchi di circa 1500 forestierismi e i corrispettivi italiani: - Per alcune parole si optò per l’adattamento grafico con un livello di intervento superficiale es. rhum → rum - Intervento fonomorfologico che prevedeva un intervento nella forma della parola es. autocar → autocarro - Optare per traduzioni o equivalenti semantici, oppure per l’invenzione ex-novo es. check → assegno Mentre la Grande Guerra si combatté in luoghi circoscritti, la seconda si combatté nei vari centri italiani e quindi non comportò quelle esigenze di italianizzazione come nella prima. Risulta complesso valutare gli effetti della Seconda guerra mondiale sul piano linguistico, ma comportò la necessità di servirsi di una grande gamma di strumenti comunicativi, comprese le lingue straniere. Conclusa la guerra il paese ebbe l’opportunità di ripartire e da questo punto di vista la Costituzione rappresenta un grande punto di svolta dal punto di vista linguistica, perché fissa dei punti fermi che fanno tabula rasa dell’esperienza fascista. In particolare l’art. 3 propugna il diritto di uguaglianza linguistica, l’art. 6 tutela le minoranze linguistiche, l’art. 34 dice che la scuola è obbligatoria e gratuita per 8 anni. È un paese che diventa sempre meno agricolo, le attività primarie in un ventennio dimezzano, il 20% delle persone che lasciano i campi va a riversarsi nell’industria e nel terziario. Cambia anche la demografia del paese, perché si accentua la caratteristica dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione del paese. Gli anni del secondo dopoguerra sono gli anni in cui si verifica un forte smottamento demografico dal sud al nord e questo ha grandi ripercussioni sulla lingua che viene parlata. L’altro fronte è quello delle discussioni linguistiche sull’italiano: si parla in modo intenso negli anni ’60 sull’onda breve della nascita della questione studentesca e le varie rivoluzioni. Nello specifico a riportare alla ribalta la questione della lingua è Pasolini, che interviene sul tema della lingua con una conferenza e poi con una pubblicazione delle “nuove questioni linguistiche”. Rispetto al passato fu un dibattito pubblico, che non riguardò solo le alte sfere intellettuali ma si dibatté anche sui quotidiani. Pasolini diceva che in Italia non esisteva una lingua che potesse definirsi “comune” e “di tutti”, esisteva un dualismo tra all’Italiano strumentale e l’italiano letterario, e che l’unico luogo in cui queste parallele si incontravano era il borghese o piccolo borghese italiano, cioè colui che aveva of 25 39 Linguistica Italiana la possibilità di usufruire di un’istruzione che gli consentisse di maneggiare entrambi i tipi di italiano. La lingua che si incontrava tanto in letteratura quanto sui giornali era per Pasolini una lingua ricca di tecnicismi per via della osmosi sempre più evidente con la lingua della scienza. Queste tesi pasoliniane trovarono delle repliche negli avversari di Pasolini, in particolare Calvino. Per Calvino questo italiano tecnologico era considerato positivamente, perché era un italiano preciso, comune e che era capace di battere in breccia le persistenti punte retrograde che esistevano nel paese: in una famosa prefazione al “sentieri dei nidi di ragno” Calvino faceva ammenda per le concessioni che aveva fatto alla dialettalità, in particolare all’uso di liguresismi. È famoso l’articolo di Calvino comparso su “il Giorno” in cui critica la lingua tipica dei burocrati e invece rivendica la precisione tecnologica dell’italiano che stava vedendo l’alba in quegli anni. Lezione 11 Negli anni ’60 torna alla ribalta per la terza volta la questione della lingua. Inizialmente era affiorata nel ‘500 con Bembo, poi nell’800 con Manzoni e nel ‘900 (anni ’60) con Pasolini e “le nuove questioni linguistiche”. La comunicazione burocratica ha paura di dire le cose in modo diretto. Il funzionario dell’ufficio ha un complesso di superiorità, cioè deve fare una cosa bassa ma la eleva perché lo status che ha non è degno di trattare di aspetti così bassi. È una posizione diametralmente opposta rispetto a quella di Pasolini. Di questa fase più recente abbiamo dati precisi rispetto alla situazione linguistica del paese: a partire dagli anni 70 due istituti, la DOXA e l’ISTAT hanno effettuato dei sondaggi autovalutativi. Si evince la presenza costante di dialettofoni monolingui o esclusivi (persone che dichiarano di usare il dialetto sempre). Specularmente è cresciuto negli anni il numero di coloro che si dichiarano italofoni monolingui o esclusivi, ovvero coloro che dichiarano di usare l’italiano anche in famiglia. Rilevazione ISTAT del 2015, situazione dialettofonia v.s. italofonia: nella sfera privata per quanto riguarda gli usi esclusivi in famiglia la situazione è rimasta stabile, diminuisce la percentuale di coloro che usano solo o prevalentemente il dialetto, aumenta la percentuale di coloro che usano un’altra lingua. Con gli amici la tendenza è la stessa, si ha un aumento relativo dell’italiano e una diminuzione solo il dialetto. Nella sfera pubblica con gli estranei chi dichiara di usare solo italiano aumenta e chi usa solo il dialetto è ancora presente. Questo è evidente nel meridione e nelle aree estreme del Friuli. Diatopia Per parlare di diatopia bisogna rilevare che la estrema frammentazione linguistica del paese è un retaggio del passato e in particolare affonda le radici nell’epoca dell’Impero Romano e alla politica seguita dal colonialismo romano. I romani quando assoggettarono le varie zone dell’impero, non si preoccuparono di latinizzare i popoli assoggettati ma solo di imporre il proprio apparato giuridico e amministrativo lasciandoli iberi di proseguire nelle proprie tradizioni culturali e linguistiche senza imporre una romanizzazione. Restava il fatto che in queste zone il latino comunque veniva parlato ma su questo latino influirono le lingue dei dominati. Nel concreto significava che fenomeni fonetici, lessicali e sintattici delle lingue dominate andavano a cambiare il latino dei dominatori. Il dialetto è una lingua, quindi non ci sono differenze strutturali. Lo dimostra il fatto che alla base dell’italiano ci sia un dialetto, il fiorentino, che poi è diventata lingua nazionale. La differenza tra lingua e dialetto è convenzionale e dipende da fattori esogeni della lingua, ad esempio dalla più limitata diffusione del dialetto rispetto alla lingua, il dialetto ha meno importanza politica della of 26 39 Linguistica Italiana lingua, infatti si parla di lingue nazionali e non dialetti nazionali. Questa maggiore importanza politica della lingua è correlata al maggiore prestigio della lingua, che comporta anche una maggiore codificazione descrittiva. Al prestigio è correlato il minor impegno descrittivo insieme ad una possibilità di riferirsi a aree diverse: la lingua esprime anche concetti astratti, si diffonde in trattazioni scientifiche e tecniche; se mai, il dialetto è ricco di vocabolario pratico che denota gli oggetti più comuni, umili e quotidiani. Oggi lo status del dialetto è cambiato, non è percepito come una varietà sub culturale o di cui vergognarsi ma anzi è stato studiato da numerosi storici della lingua e ha acquisito una nuova vitalità in determinati contesti, non solo nella comunicazione quotidiana ma anche in usi riflessi. Questa nuova vitalità dei dialetti li rende sempre più usati dai giovani come ingrediente espressivo per colorare il discorso, la riprova si trova nei social. Per quanto riguarda la situazione dialettale della penisola possiamo distinguere 3+1 aree principali caratterizzate dal correre comune: dialetti settentrionali, dialetti mediani, dialetti meridionali, dialetti meridionali estremi (il tacco della Puglia, la punta della Calabria, la Sicilia e la Sardegna). Si individuano queste tre aree perché sono separate da due isoglosse, una linea che delimita un’area linguistica. Abbiamo per il nostro paese due linee isoglosse: La Spezia – Rimini e Roma – Ancona. Principali varietà sull’asse diatopico → sono assi orientati e caratterizzati da due poli opposti, sulla linea che unisce questi due poli possiamo collocare le varietà dell’italiano che si configurano come continuum. Per quanto riguarda la diacronia i due poli opposti sono il latino volgare e l’italiano del 2022, per quanto riguarda la diatopia i due poli potrebbero essere i dialetti locali e l’italiano comune standard o neo-standard. Tra questi due poli si collocano numerose varietà intermedie, è difficile capire dove inizia una e finisce l’altra. Possiamo però individuare due macro-varietà: il dialetto italianizzato e italiano regionale. Il dialetto italianizzato è una varietà di dialetto che risulta dall’azione che la lingua standard esercita sul dialetto, in questo caso abbiamo una reazione di superstrato, in cui il dialetto rimane tale ma subisce l’influenza della lingua dominante che sta sopra. Questo influsso rimane a livello superficiale, tant’è vero che si può rintracciare a livello lessicale, mentre le strutture morfologiche e sintattiche rimangono intatte. Il dialetto italianizzato superficialmente subisce l’influsso della lingua, specialmente a livello lessicale. Salendo di grado, l’italiano regionale è una varietà di italiano che è considerabile come una sorta di interlingua, una varietà di apprendimento, di parlanti che hanno come madrelingua il dialetto che però si sforzano di parlare italiano trasferendo in questa varietà tratti fonetici, sintattici e morfologici nella loro lingua materna. È un italiano soprattutto parlato ma anche scritto fortemente interferito dal dialetto, che è la lingua madre di chi parla l’italiano regionale. In questo caso si ha una reazione di sostrato, la lingua debole (dialetto) influenza la lingua più forte (italiano). Per quanta riguarda la diatopia, troviamo i geosinonimi ovvero lessemi della lingua italiana che hanno forma diversa ma significato uguale. Questa diversità è spiegabile attraverso un parametro diatopico. Essi cambiano in base al luogo in cui si parla. Lezione 12 Sull’asse della diamesia si possono individuare due poli principali, quello del parlato tipico e dello scritto tipico; accanto a questi due poli ne possiamo aggiungere un terzo che è quello del of 27 39 Linguistica Italiana - rivolgersi ad un pubblico di massa indeterminato attraverso una comunicazione tendenzialmente unilaterale; - veicolazione attraverso canali di trasmissione particolari. L’utilizzo di questi codici tanto vari, non solo non è unitario all’interno dell’insieme dei mass media, ma questa difficoltà di descrizione è relativa anche ad uno stesso medium. Se volessimo descrivere la lingua della televisione ci troveremmo davanti ad uno spettro di diversificazione molto ampio. A complicare la situazione bisogna aggiungere che la varietà dei singoli media deriva anche dal loro sviluppo diacronico, è proprio degli ultimi decenni l’orientamento dei mass media verso la varietà di contro di una tendenziale uniformità degli anni precedenti. Questa varietà guadagnata dalla metà del ‘900 dai media deriva dalla penetrazione e dalla diffusione dell’oralità più spontanea. L‘esempio più scontato è quello dei talk show o trasmissioni televisive che portano alla ribalta persone comuni. Questa continua compenetrazione del parlato e dell’oralità con il trasmesso è stata variamente evidenziata dagli studiosi che hanno palato di un paradigma del rispecchiamento: i mass media divulgano in modalità tipicamente parlate orali per essere immediatamente compresi dal pubblico ma anche perché il pubblico si rispecchi in loro e senta il medium vicino a loro: i mass media che potrebbero avere una funzione normativa della lingua, mentre spesso tendono a adeguarsi alla lingua più andante, anche sub standard, affinché il ricevente si possa ritrovare. Il rischio è che il pubblico meno attrezzato non abbia la capacità di capire a che livello linguistico si sta esprimendo il mass medium, quindi di assimilare quella lingua tenendola buona per ogni occasione. La predominanza di internet sta giungendo ad occupare la posizione predominante rispetto ai poli tradizionali di scritto e parlato. Il trasmesso via internet sta consumando il parlato tipico e lo scritto tipico, aprendo il canale dell’italiano digitato. Lezione 14 Il trasmesso costituisce una dimensione comunicativa, più che una varietà di lingua, che si è fissata con il telefono, la radio, il cinema, i social networks, si indicano i messaggi che costituiscono un apparato tecnico di produzione e ricezione per essere codificati e decodificati. L’impossibilità di descrivere in modo univoco il linguaggio dei media è diventata ancora più sensibile nel tempo, perché originariamente i media passano da una certa uniformità ad una generalità. Il trasmesso ha avuto degli effetti sull’Italofonia (De Mauro) e sul repertorio degli italiani → i media sono lo specchio degli usi linguistici, prendono la lingua comune e la riflettono e la amplificano L’italiano digitato sta rubando il campo all’italiano parlato e scritto tradizionale. L’estrema libertà di scrittura ha portato a cambiamenti di natura socio-culturale: possiamo vedere i social come una democrazia sregolata. È diventato anche il canale della politica, perché permettere di comunicare in modo più veloce e comporta un avvicinamento ai destinatari. L’italiano digitato sono anche gli strumenti di nuove professioni come quella degli influencer, è il luogo della pubblicità, del cyber sex; dal nulla si creano dei tormentoni, virali in poche ore. L’italiano digitato si estrinseca in forme che diventano rapidamente obsolete insieme ai metodi di comunicazione, dato da un cambio molto veloce e difficile da prevedere. Ipertrofia comunicativa → ipergrafia o graforrea, indica lo scrivere compulsivo tramite i social. Questo ha portato ad una desacralizzazione e deproblematizzazione della scrittura, che non è più qualcosa di lontano ma al contrario è un’attività che si fa ogni giorno in ogni momento. Grazie a questo si innalza la soglia di tolleranza verso l’errore, il colloquialismo perché tanto i testi digitati sono considerati “evanescenti”. Porta inoltre alla diffusione di particolari usi grafici e consuetudini of 30 39 Linguistica Italiana linguistiche. Da questo punto di vista ci sono anche innovazioni lessicali, perché l’italiano digitato è il luogo in cui proliferano i neologismi (fangirlare, droppare). Distinzione tra videoscrittura e scrittura in rete: Videoscrittura → comprende le operazioni di scrittura tradizionale realizzate con il computer; quindi, non più con penna o macchina da scrivere e quindi ciò che caratterizza la videoscrittura è il diverso luogo in cui depositiamo la scrittura stessa. In particolare, il testo scritto su programmi si caratterizza come un testo aperto: passibile di correzioni illimitate e correzioni che non lasciano traccia grazie alla modalità di revisione ad esempio. È un testo aperto anche perché consente di spostare blocchi facendo aggiunte, tagli, ma il pericolo è che il testo perda di coesione a differenza della scrittura dove si guadagna linearità. Scrittura in rete → nasce con internet e si riferisce a testi ed esperienze di scritture che prima non esistevano. All'interno di questa possiamo distinguere testi diversi in base alle diverse caratteristiche. In base alla caratteristica temporale: testi sincroni (chat di WhatsApp) e asincroni (mail); e in base anche al grado di dialogicità che possiedono: massimo (chat di WhatsApp) e minimo (blog); ma anche del rapporto tra emittente e destinatario: rapporto uno ad uno, uno a molti e molti a molti. La lingua della scrittura in rete è caratterizzata dal gergo elettronico (sottocodice) come quello del fandom e dall’ italiano dell'uso medio, influenzato fortemente dall’oralità. Per quanto riguarda i testi digitati, dal punto di vista testuale la comunicazione può essere sia sincrona che asincrona. Questa caratteristica temporale non toglie il fatto che anche se lo scambio è differito ciò che conta è la disposizione degli scriventi, cioè il fatto che gli scriventi annullano la distanza nell’italiano digitato. Possono essere presenti degli errori che sono spesso errori di battitura o mancanza (o eccesso) di rilettura. La scelta di registro verte tendenzialmente per l’informale, anche se ci sono messaggi più formali. È anche un testo in cui si fa spesso uso di abbreviazioni come le chat e gli sms. In realtà i segni come abbreviazioni non sono una novità, hanno una storia molto più lunga: Montale nel 1939 scriveva all’editore “mandare al + presto”. La mail La mail è caratterizzata da una testualità specifica, che risente sicuramente della più tradizionale epistolografia ma che ha anche innovazioni sue proprie, come quella relativa al campo oggetto che costituisce parte della mail stessa. La Netiquette (etichetta di rete) consiglia: - restare sempre sul descrittivo → in modo che chi cerca il messaggio lo possa trovare facilmente. - Corpo della mail breve → nel caso in cui questi messaggi non siano brevi inserire uno spazio bianco tra blocchi di poche righe. - Firma nome e cognome → cognome e nome ha sapore burocratico; se non si è in rapporti di confidenza è meglio non usare le iniziali. - Tono neutro → evitare l’umorismo, chi legge non sempre sa disambiguare l’umorismo. Lezione 15 Diastratia La diastratia è un asse correlato alla condizione sociale del parlante o dello scrivente correlata a fattori quali: cultura, età, sesso, ceto economico.. questo asse è oggi meno variato rispetto al passato. Dal punto di vista diastrativo le differenze tra parlanti e scriventi sono meno accentuate e c’è una tendenziale uniformazione. Lo spettro che era occupato dalla diastratia nel passato oggi è sempre of 31 39 Linguistica Italiana più occupato dalla diafasia, cioè la variazione che è legata alla differenze comunicative. Uno dei fattori diastrativi più importanti è l’età: l’età anagrafica condiziona il parlare, scrivere e digitare dei parlanti e scriventi. I linguaggi giovanili sono una varietà di lingua usata da adolescenti e post adolescenti, tra gli 11 anni e i 19; non è la lingua dei giovani ma è la lingua che i giovani utilizzano quando interagiscono con i giovani. Questa delimitazione anagrafica ha contorni non netti perché ci possono essere manifestazioni del linguaggio giovanile prima degli 11 anni e dopo i 19 anni. I linguaggi giovanili sono caratterizzati tanto dal punto di vista linguistico quanto dal punto di vista psicologico dalla necessità di costruire il proprio sé: attraverso i linguaggi giovanili, in quest'età, si crea la propria identità, allontanandosi dal gruppo degli adulti e inserendosi all'interno del gruppo di coetanei. Un'altra funzione è quella ludica: attraverso i linguaggi giovanili si gioca, ci si esprime, si utilizza la lingua in modo creativo; mentre è secondaria la funzione criptica: uso dei linguaggi giovanili per comunicare all'interno del gruppo escludendo chi non ne fa parte. In passato era anche presente (anni 60-70) una quarta funzione, funzione alternativa alla lingua: i linguaggi giovanili di quegli anni si configuravano come anti-lingua (linguaggi di protesta ed opposizione del mondo di adulti). Si devono ricordare quali sono i luoghi in cui si trovano i linguaggi giovanili: nei contesti e situazioni comunicative quali la scuola, la palestra, il locale, sempre di più nei social e nella messaggistica istantanea. Abbiamo parlato di linguaggi giovanili al plurale perché essi variano nello spazio e variano anche dal punto di vista diastratico: cresce la differenziazione interna nei gruppi dei giovani, non esiste una categoria complessiva che riesce a racchiudere i vari tipi di giovani da questo punto di vista, soprattutto nelle grandi. Dal punto di vista preliminare dobbiamo affrontare la questione delle fonti: per rintracciare questa lingua possiamo distinguere 2 tipi di fonti, remote e indirette, oppure prossime e dirette. Le fonti remote sono quelle secondarie cioè i romanzi dove vengono rappresentati i giovani nei quali può emergere questa varietà di lingua, remota perché riflessa; tra quelle remote vi sono le fonti dei repertori. Alcuni di questi sono specialistici cioè dedicati a referenti specifici e particolari: uno di questi è il mondo degli stupefacenti, ne esistono 3 online il canapone, il piccolo cannarolo e il cannabolario, che hanno più di 150 termini diversi per indicare lo spinello, 60 per indicare la sua preparazione e più di 50 termini per indicare l'hashish e altrettanti per indicare la marjuana. È uno degli ambiti dove è più evidente la funzione criptica: si torce la lingua, si creano nuove parole con finalità ludica ma anche criptica per non farsi capire visto che siamo nell'ambito dell'illegalità. Fonti riflesse e irriflesse: tra quest'ultime ci sono la letteratura giovanile e i repertori. Un'altra fonte indiretta è la musica che è accostabile in qualche modo alla letteratura; nel caso della musica ritroviamo l'effetto dei mass media di essere uno specchio a due raggi: la musica attinge dalla lingua giovanile e quindi prende il raggio in entrata e restituiscono il raggio riflesso, magari diffondendolo ad ampio raggio. Il linguaggio giovanile è assieme ad altri qualcosa che determina l'identità del giovane Nel caso delle fonti dirette oltre ai muri anche lo zainetto con espressioni tipiche del linguaggio giovanile, o anche i diari e i bigliettini che si usavano nella fase pre-messaggistica. I linguaggi giovanili variano nello spazio diastraticamente e nel tempo questo si spiega per il fatto che la giovinezza è solo una fase della vita. Questa natura transeunte, transitoria della giovinezza si riflette sia dal punto di vista intra-individuale sia dal punto di vista extra- individuale: al primo punto di vista significa che noi ci esprimiamo con il linguaggio giovanile quando noi siamo in una fase della nostra vita e dopo ricorriamo ad altri linguaggi. Il linguaggio dei giovani possiamo definirlo quindi come gergo transitorio come anche ad esempio il linguaggio della of 32 39 Linguistica Italiana Dopo l’introduzione di De Mauro, a breve distanza, abbiamo anche la definizione di Manlio Cortelazzo secondo il quale l’italiano popolare è il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto. Rispetto alla definizione di De Mauro vi sono due differenze: la prima è che De Mauro parla di colui che possiede un italiano incolto, mentre Cortelazzo specifica la dialettofonia dell’individuo; inoltre la definizione di Cortelazzo è più statica, sembra individuare nell’italiano popolare un’interlingua, la fase all’interno di un processo statico. Un altro autore che interviene sul tema è Leo Spitzer, che parla di italiano popolare a proposito della sua antologia “Lettere di prigionieri di guerra italiani” pubblicata nel 1976. Un problema da affrontare preliminarmente riguarda l’unitarietà dell’italiano popolare: questa è problematica, perché sono eliminabili i tratti più marcatamente diatopici, sia se consideriamo fonti scritte, sia se consideriamo fonti orali; l’italiano popolare è principalmente una varietà parlata, quindi la caratteristica dell’unitarietà viene fortemente messa in discussione. Una seconda problematicità teorica è la sua delimitabilità rispetto ad altre varietà: in particolare rispetto all’italiano parlato e all’italiano regionale, poiché molti tratti sono in comune. Tutte le varietà sono caratterizzate da tratti comuni a tutti, tratti comuni ad alcune varietà e tratti individuali diagnostici che mi fanno individuare una determinata varietà. Il registro popolare è quello più alto che un dialettofono possa raggiungere. Nascita e diffusione dell’italiano popolare: gli studi si sono posti la domanda quando nasce l’italiano popolare? Potendo contare su documentazioni scritte, gli studi si sono soffermati soprattutto su fonti immediatamente raggiungibili, fonti novecentesche o secondo-ottocentesche. Recentemente hanno potuto arretrare la data di nascita dell’italiano popolare attestandolo ai primi secoli della nascita dell’italiano: sono state trovate fonti di tentativi di persone incolte che cercavano di esprimersi utilizzando l’italiano popolare. La storicizzazione dell’italiano popolare è stata possibile grazie al ritrovamento di queste fonti scritte, ma rimane implicito che l’italiano popolare resta una varietà parlata. Alcune caratteristiche: Ciò che più lo contraddistingue di ritrova nella gestualità frammentaria e frammentata tipica del parlato: il fatto che si trascrivano testi parlati per iscritto, si accentua l’impressione di frammentarietà, poiché si perdono i fattori non verbali cui si fa riferimento (gestualità, intonazione, pause etc.); Dal punto di vista sintattico si hanno strutture marcate con scarsa, o nulla, coesione sintattica fra gli elementi della frase; Un altro tratto sintattico tipico è la costruzione del periodo ipotetico: a differenza dell’italiano parlato (costruzione con doppio imperfetto), nell’italiano popolare e tipica la costruzione con il doppio condizionale o col doppio congiuntivo. Lezione 18 Linguaggio di genere / linguaggio inclusivo È la varietà diastratica connessa con il sesso del parlante o scrivente. In ogni caso non si è arrivati a definire una differenza netta di usi tra gli usi linguistici di uomini e donne, quindi non si può parlare di vere e proprie varietà linguistiche maschili e femminili, semmai si può parlare di preferenze che si riscontrano nel diverso modo di condurre l’interazione verbale. Differenze si riscontrano anche negli atteggiamenti sociolinguistici, le donne tendenzialmente si dimostrano più rispettose negli usi grammaticali quindi più propense a seguire le varianti normative o più prestigiose. Questo utilizzo delle varianti normative, più dalle donne, si riscontra anche nel diverso uso del turpiloquio, of 35 39 Linguistica Italiana tendenzialmente le donne ricorrono meno degli uomini al turpiloquio. Sono sempre le donne secondo gli studi a usare uno stile di interazione più orientato agli aspetti interpersonali e che quindi materialmente comporta una maggiore ricorrenza di marche di cortesia (grazie, prego, buongiorno, buonasera) così come l’attenzione alla felice riuscita della comunicazione interpersonale si esprime in un utilizzo più alto di formule di attenuazione delle affermazioni. Questo significa anche che le donne hanno una maggiore facilità a mediare. Ultimo tratto che è emerso dagli studi legati al genere è di tipo strettamente lessicale ed è correlato all’uso maggiore che le donne farebbero di appellativi come gioia, carino, tesoro e di diminutivi, alterati e vezzeggiativi. Al discorso della differenza nel modo di esprimersi si correla anche un altro discorso che è quello legato al linguaggio di genere o linguaggio inclusivo. Quello del linguaggio inclusivo è un argomento molto di moda anche oggi, perché torna periodicamente alla ribalta e occupa le pagine dei giornali e gli spazi dell’informazione su radio, televisione e web da parecchio tempo. Possiamo ricordare alcuni episodi accumunati dal riguardare questioni di genere linguistico e che hanno avuto una eco ampia nei media e effimera, perché oggi ricordiamo poco questi episodi: nel ’94 il dibattito innescato da una dichiarazione di Irene Pivetti presidente della camera dei deputati che aveva detto di volere essere designata con la formula “il presidente”, perché maschili erano le designazioni dei ruoli parlamentari. Il caso più fresco risale all’inizio del 2021 quando dal palco di Sanremo Beatrice Venezi aveva espresso il desiderio di essere chiamata “direttore di orchestra”, in quanto a suo dire quello era “il nome preciso” della sua professione. La periodicità con cui la questione si presenta sui media da luce ha due previsioni: la prima è che dopo decenni di discussioni la questione non è ancora risolta, la seconda è che quella del genere è una questione degna dell’attenzione dei media perché tocca tutti negli usi quotidiani. L’irresolutezza di questa questione è sotto gli occhi di tutti e lo dimostrano gli usi variabili di cui siamo attori e spettatori. Da una rassegna di interventi sull’argomento, si può fare una prima idea su quali siano i termini della questione del linguaggio di genere e quali siano le posizioni e le soluzioni prevalenti fornite dai linguisti. Negli ultimi due anni gli studiosi sono stati chiamati ad intervenire in modo più ampio sui giornali e sul web e alla radio/tv. In modo schematico possiamo dire che i termini della questione toccano due punti: il primo riguarda l’uso dei segni grafici come asterisco, slash, schwa, chiocciola, underscore, come espedienti che garantirebbero una scrittura inclusiva. Il secondo riguarda l’uso dei femminili per le professioni, gli agentivi o nomi di agente, quindi un processo che in linguistica si chiama il processo della “mozione”, che è la parola con cui ci si riferisce al cambiamento di genere grammaticale in base al sesso. Le prese di posizioni riguardano soprattutto lo schwa, introdotto nel 2016. I linguisti che si sono occupati del tema tendenzialmente hanno rigettato questo stratagemma per una serie di motivi: per esempio non rientrerebbe tra i suoni dell’italiano, facendo parte del repertorio dialettale (rispetto all’asterisco lo schwa avrebbe il privilegio di prestarsi ad essere pronunciato, l’asterisco può essere solo scritto). In ogni caso i linguisti avvertono che un tratto dialettale non può essere imposto dall’alto, solo proposto. Si tratta di un segno nuovo al di fuori di specifiche scritture, in particolare al di fuori delle trascrizioni fonetiche. Questo suono si diffonde a partire dalle trascrizioni fonetiche e quindi ha una circolazione molto ristretta, mentre viceversa l’asterisco è più noto quindi tendenzialmente questi linguisti tendono a preferire l’asterisco allo schwa perché è un segno più conosciuto. Inoltre lo schwa non è presente nelle tastiere dei pc mentre da poco è stato inserito in alcuni smartphone. Altro tratto che sconsiglierebbe l’uso dello schwa è la considerazione che questo diminuirebbe la leggibilità dei testi, soprattutto per certe categorie es. dislessici, per cui lo schwa potrebbe costituire un segno di esclusione. Le previsioni degli studiosi sono che questo segno non si istituzionalizzi graficamente ma che piuttosto possa eventualmente diffondersi e stabilizzarsi all’interno di usi linguistici specifici, come quelli della rete, che sopravvive e si diffonde nella rete ma che avrà un destino incerto in altre tipologie come il romanzo. of 36 39 Linguistica Italiana Lezione 19 Gli studiosi non pongono la questione in termini di imposizione ma sottolineano il rispetto delle scelte individuali. Nonostante il rispetto delle scelte viene constatata l’offerta normativa della grammatica di formare i nomi di professione al femminile anche per quelle storicamente riservate agli uomini. I latini dicevano che “i nomi sono conseguenza delle cose” (nomina sum consequentia rerum): se nomino una cosa, la faccio esistere. La spinta ai femminili di nomi di professione è giunta con energia dall’accademia della Crusca, che ha mostrato da un lato l’accettabilità o la normalità di molti nomi di professione femminili indicandoli e suggerendone l’impiego. Gli accademici hanno mostrato che i nomi accademici femminili che sembrano nuovi non lo sono affatto, risultando attestati in lingua d’antica data. Questa patente di usabilità è stata attribuita sia a nomi che incominciano a suonare comuni, che sono abbastanza diffusi come ingegnera, chirurga, avvocata, ministra, rettrice, architetta. Questi fenomeni dovranno sedimentare, quindi sarà necessario del tempo per vedere l’orientamento della comunità a prescindere dalle proposte di quelle che sono minoranze. Gli studi sul linguaggio inclusivo/sessismo linguistico sono stati inaugurati in Italia negli anni ’80 da una linguista, Alma Sabatini. Nel 1987 pubblica per la presidenza del Consiglio dei ministri il volume “il sessismo nella lingua italiana” e includeva delle “raccomandazioni per un uso non sessista della lingua”. Questo è il primo tentativo italiano con cui si mirava a sollevare la questione del sessismo nella lingua e a suggerire delle possibili proposte alternative. Le ricerche di Sabatini erano basate sul linguaggio dei media e l’analisi dei libri di testo. Lo studio di questo corpus ha permesso di individuare due tipi di disparità tra uomo e donna. Si tratta di dissimmetrie grammaticali (differenze a livello di norme linguistiche) e dissimmetrie semantiche (che si esplicavano a livello del significato e uso delle parole). Ci sono alcune critiche: rispetto alle dissimmetrie grammaticali l’uso del maschile non marcato, usato per riferirsi sia a maschi che femmine (es. “buongiorno a tutti ragazzi”), gli agentivi (es. “l’avvocato/avvocatessa Maria Rossi”) Rispetto delle dissimmetrie grammaticali troviamo il problema del maschile riguarda la visibilità delle donne, e secondo la Sabatini il maschile è falsamente neutro perché include (e nasconde) nella sfera maschile sia il maschile che il femminile. Per aggirare questo problema si possono usare tre escamotage: - Splitting o sdoppiamento: fornire la doppia uscita al maschile e al femminile e evitare di dare sempre la precedenza al maschile invece che al femminile (es. “care e cari docenti”). - Neutralizzazione detta anche degendering: utilizzando sostantivi astratti, nomi collettivi o forme impersonali (es. “i diritti delle persone” al posto de “i diritti umani”). - Femminilizzazione: nomi di agente al femminile. Lezione 20 Diafasia è la dimensione di variazione che ha a che fare con la situazione comunicativa. La diafasia è correlata a tre fattori extralinguistici: il contesto in cui avviene la comunicazione, il rapporto tra gli interlocutori, l’argomento di cui si sta parlando. In particolare dal contesto e dal rapporto tra gli interlocutori si manifestano i registri mentre dal rapporto con l’argomento scaturiscono le lingue speciali o sottocodici. of 37 39
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