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Linguistica italiana, M. Palermo, Dispense di Linguistica

Riassunto dettagliato del libro Linguistica italiana (seconda edizione) di Massimo Palermo.

Tipologia: Dispense

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Anteprima parziale del testo

Scarica Linguistica italiana, M. Palermo e più Dispense in PDF di Linguistica solo su Docsity! Capitolo 1 La prospettiva testuale La comunicazione avviene coi testi, infatti le frasi hanno senso se in un contesto. La frase ha un nucleo di significato invariabile e se è dotata di significato prende il nome di enunciato. Testo: atto linguistico orale, scritto o trasmesso, deve avere senso e svolgere funzione comunicativa. Elementi che caratterizzano la prospettiva testuale:  Comunicazione è scambio di testi, emittente e ricevente entrano in contatto e condividono conoscenze  Le regole testuali sono meno facili da individuare; se mancano, il testo risulta semplicemente meno efficace  Il testo è punto di raccordo tra sistema linguistico e realtà extralinguistica. Punto di vista cognitivo: compiamo azioni di decodifica (uniamo unità piccole in sempre maggiori) ed inferenza (partendo da conoscenze generali si comprende meglio il testo). Occorre poi integrare competenze linguistico-grammaticali, competenze testuali e conoscenza del mondo. Comprensione: processo globale e simultaneo. Competenze linguistiche e conoscenze extralinguistiche si integrano con testualità e lessico. Il testo ha funzione comunicativa se ha continuità di senso (coerenza) e se è ben formato nelle relazioni grammaticali (coesione). Coesione garantita da forme di accordo grammaticale, come i connettivi, che esplicitano rapporto di senso tra due segmenti di testo. Un testo con grammatica discutibile risulta sempre comprensibile, mentre un testo grammaticalmente corretto ma privo di senso; la coesione non è indispensabile, ma ha importante funzione di supporto. Comunicazione reale: produzioni calate in contesti enunciativi (qui e ora). Due livelli di informazioni contestuali:  contesto situazionale, si condivide con chi parla luogo e tempo d’enunciazione  contesto linguistico (cotesto), costituito da ciò che è presente nel testo. Esistono poi altre conoscenze condivise, ovvero la conoscenza del mondo. Nei testi esistono anche i rinvii, verso altre parti di testo o verso contesti esterni. Rinvii interni: spesso tramite pronomi, orientati verso sinistra o destra. I rinvii anaforici si riferiscono ad elementi in precedenza menzionati; i rinvii cataforici si riferiscono ad elementi non ancora menzionati. Elemento cui si riferisce pronome: punto d’attacco (antecedente). I rinvii anaforici assicurano continuità o discontinuità del riferimento (capire se si sta parlando dello stesso referente o no). Possono essere realizzati per ripetizione o sostituzione (la categoria più usata sono i pronomi, ma anche sinonimi, iperonimi, perifrasi sinonimiche). Si distingue tra sostituzione pronominale e lessicale, che non sono del tutto equivalenti. Sostituzione lessicale: rapporto referenziale e semantico tra punto d’attacco ed elemento anaforico, consente di aggiungere ulteriori informazioni. Arricchimento semantico che può riguardare piano denotativo e connotativo. La sostituzione lessicale può quindi ridistribuire il carico informativo tra punto di attacco e anafora. Anafora valutativa: quando la forma di ripresa arricchisce antecedente su piano connotativo. Tra sostituti lessicali anche incapsulatori anaforici, che possono essere denotativi o valutativi e riprendono porzione di testo. Anafora associativa: garantisce coesione, stabilisce rapporto tra punto di attacco e forme di ripresa; grazie a conoscenze del mondo, si può attivare una cornice (frame), da cui si ricavano elementi tipici associabili alla situazione. Tra cornice (olonimo) e singoli referenti (meronimo) c’è relazione semantica di inclusione. Rinvii: anche piano extracontestuale (deittico). Deissi realizzata da elementi che legano testo a situazione enunciativa, come prodotti personali, determinazioni di tempo e luogo, tempi verbali. Deissi funziona se ascoltatore e parlante condividono lo stesso contesto. Parametri fondamentali: io, qui, ora, ovvero campo indicale, definito dall’orìgo (ciò che è vicino/lontano nello spazio/tempo). Il rimanente dei testi (non detto ad alta voce) è compreso se il ricevente è capace di ricevere il “non detto”. Si possono distinguere presupposizioni, implicazioni, inferenze. Presupposizioni: informazione ricavabile sulla base di significato di uno degli elementi della frase. Integrazioni obbligatorie veicolate da precisi elementi lessicali detti attivatori di presupposizione, che possono essere anche verbi che indicano cambiamento di Stato, verbi iterativi (che esprimono azione duratura, ripetuta, intensa), alcuni avverbi, affermazioni con articolo determinativo. Presupposizioni rimangono veritiere anche se la frase è negativa o interrogativa. Implicazioni: si attivano significati impliciti del testo partendo da propria conoscenza ed eventuali elementi linguistici. Implicazioni agevolate da congiunzioni. Quelle valide in assoluto sono dette implicazioni convenzionali, mentre quelle che son valide solo dentro determinate condizioni contestuali sono dette non convenzionali. Inferenze: costituiscono ragionamenti probabilistici che permettono di ricavare conclusioni statisticamente vere. Efficacia della comunicazione: giusto dosaggio di informazioni note e nuove. Da tener conto alcune limitazioni oggettive, come memoria a breve termine; occorre poi segnalare quali informazioni sono sfondo e quali in primo piano. Porzione di enunciato che svolge il ruolo di punto di partenza: tema; porzione che aggiunge informazioni già note: rema. Struttura tematica: tema e rema di enunciato Struttura delle conoscenze: informazioni date ed informazioni nuove Struttura logico-sintattica: funzione di elementi che compongono Soggetto: tema, informazione data; porzione sinistra di frase Predicato: rema, informazione nuova; porzione destra della frase Aspetti della sintassi dell’italiano Principali unità di sintassi: sintagma, frase semplice e frase complessa. Sintagma: unità intermedia tra la parola e la frase. Sintagma diversi a seconda di estensione (parola o gruppo di parole) e stratificazione interna (contenere o no altri sintagmi). Accomunati però da proprietà:  intercambiabili  unità sintattica coesa: sono spostabili entro certi limiti all’interno della frase; spostando parti del sintagma, si ottengono frasi non ben formate.  possono essere enunciati in isolamento, costituire cioè frasi autonome Esistono sintagmi nominali, verbali, aggettivali, preposizionali, avverbiali. I sintagmi posseggono una struttura gerarchica: elemento più importante la testa, che assegna funzioni sintattiche. Accompagnano la testa i modificatori (complementi). I sintagmi sono continui, le parole che li compongono non sono intervallate da altre parole, ma ci sono eccezioni, come verbi sintagmatici (verbo+preposizione). Le lingue possono essere classificate in base all’ordine dei costituenti nel sintagma nominale. Lingue romanze: costruzione progressiva, i modificatori seguono il nome. Il verbo occupa la prima implicita, a+verbo infinito. Le frasi scisse evidenziano la struttura informativa della frase anche nella lingua scritta. Simili sono le frasi pseudoscisse, di tipi formali diversi. L’elemento focalizzato è posto alla destra dell’enunciato. La frase complessa: costituita dall’unione di più frasi semplici, collegamento che si può realizzare con:  giustapposizione  coordinazione (paratassi), relazione paritaria tra i due elementi. Ci sono cinque tipi diversi: copulativa, o prototipica (e, né, anche); avversativa (ma, però, tuttavia); disgiuntiva (o, oppure); conclusiva (quindi, pertanto); dichiarativa (infatti, cioè)  subordinazione (ipotassi). La distinzione tra coordinazione e subordinazione è una sorta di continuum, non è una divisione netta. Con la subordinazione si istituisce una relazione gerarchica, uno dei due elementi è dipendente dall’altro, che è la reggente. Le subordinate possono essere raggruppate in famiglie per affinità, riconducibili a tre grandi categorie: 1. argomentali, ovvero l’espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale. Sono argomentali le soggettive, le oggettive, le completive oblique. 2. non argomentali. Consentono di determinare o specificare alcuni aspetti di quanto è detto nella principale. Sono non argomentali le subordinate. 3. relative, una categoria a sé, in quanto non sono espansione del verbo della frase reggente ma del punto d’attacco del pronome relativo. Incisi e costruzioni assolute: la progressione di un testo può essere interrotta dall’inserzione di segmenti, che pongono le informazioni su un piano diverso/accessorio rispetto a quello principale. Prendono il nome di incisi, racchiusi da parentesi, lineette o virgole. Sono sintatticamente autonomi, dunque stabiliscono una gerarchia semantica, introducendo precisazioni, commenti. In alcuni casi, diversi incisi possono essere interconnessi tra loro e svolgere la funzione di testo parallelo. Gli incisi possono inoltre diventare delle proposizioni subordinate, che in questo caso acquisiscono quindi rapporto di dipendenza sintattica. Se il soggetto della subordinata non coincide con quello della principale, si parla di costruzioni assolute. Nominalizzazioni: grazie alla derivazione si possono ricavare nomi da verbi, che vengono chiamati deverbali: nomi a livello morfologico, verbi a livello semantico. Alcuni verbi fanno da supporto ai nomi (verbi supporto) e sono assimilabili alle nominalizzazioni, ma in questo caso argomento e semantica sono divise. Le nominalizzazioni riducono il tasso di subordinazione, ma determinano anche la perdita di informazioni su tempo, modo, aspetto e persona del verbo. Nominalizzazione usata in linguaggi specialistici, politici e giornalistici, poiché conferisce impersonalità al testo. Connettivi: collegano porzioni di testo stabilendo coordinazione e dipendenza gerarchica. Aiutano a realizzare coesione e coerenza. Segnalano sia legame semantico sia legame sintattico. Connettivi sono le preposizioni e le congiunzioni, anche se possono esserlo anche avverbi, verbi desemantizzati, locuzioni o proposizioni. Si possono inoltre suddividere in semantici, che si riferiscono al contenuto dei segmenti, e pragmatici (segnali discorsivi), che segnalano apertura e chiusura del testo. Hanno tratti comuni perché alcune congiunzioni possono fungere sia da connettivo semantico sia pragmatico. Le due classi sono però distinte da alcune proprietà:  connettivi semantici collocati tra due segmenti di testo connessi; pragmatici all’inizio dell’enunciato  connettivi pragmatici cadono da discorso diretto a discorso indiretto  connettivi semantici non possono essere cumulabili, i pragmatici sì  connettivi pragmatici prevalentemente usati nel parlato spontaneo. I connettivi hanno inoltre funzioni diverse a seconda del contesto: interattive, metatestuali. Principali funzioni interattive:  presa di turno, avviano cioè la conversazione  richiesta di attenzione, accompagnati da verbi all’imperativo  modulazione (attenuazione o rafforzamento)  feedback, avere conferma che l’interlocutore abbia compreso appieno Principali funzioni metatestuali:  demarcativa, segnala articolazione delle parti che compongono il testo; sono segnali d’apertura, proseguimento, chiusura  parafrasi, correzione, riformulazione, per precisare o riformulare quanto già affermato  esemplificazione, per introdurre esempi o argomentare più efficacemente Ruolo della punteggiatura: la punteggiatura aiuta il lettore ad individuare partizioni e gerarchie interne al testo. Svolge poi altre funzioni:  sintattica, indica confini di unità  informativa, serve a separare e gerarchizzare unità informative in cui si articola il testo  enunciativa, segnala un “cambio di voce”, ovvero se si sta per introdurre un discorso diretto Nell’italiano corrente, tre i livelli gerarchici: confine forte (punto), confine intermedio (punto e virgola), confine debole (virgola). Ipotetico quarto livello se si considera la differenza tra punto e punto e a capo. Il punto rallenta la lettura e aiuta a proiettare in primo piano l’elemento dopo il punto, per conferirgli un forte rilievo. Analoga situazione quando il punto divide il primo sintagma di un testo alla sua sinistra, rendendolo una sorta di titolo o parola chiave per il resto del testo. Punto e virgola è di rango inferiore rispetto al punto e maggiore rispetto alla virgola. Il suo uso dipende da abitudini personali, ma ha comunque due funzioni fondamentali: separare proposizioni coordinate complesse e separare componenti di enumerazioni complesse. Due punti hanno sia funzione demarcativa sia sostitutiva di un connettivo. La virgola ha un uso piuttosto complesso da individuare, in quanto risente di abitudini e stili abituali. Vi sono, però, due funzioni fondamentali:  segnalare un inciso  separare unità della stessa natura, ad esempio in un elenco La virgola è usata facoltativamente, ma non può essere usata per separare i costituenti del nucleo. Capitolo 2 Nozioni generali e unità di analisi Lo studio del lessico è affidato alla lessicologia e alla lessicografia. Lessicologia: studio scientifico del lessico, delle proprietà caratteristiche delle parole e dei loro rapporti. Lessicografia: finalità pratiche, studia le tecniche per definire e raccogliere parole che compongono il lessico di una lingua. Il lessico è l’insieme delle parole di una lingua, che sono raccolte nel dizionario. L’unità fondamentale per lo studio del lessico è il lessema, che racchiude tutte le forme di un nome, aggettivo, verbo etc. Spesso associato al lemma, sua controparte lessicografica. Di norma i lessemi sono parole singole, ma esistono anche sotto forma di unità polirematiche (parole sintattiche), espressioni formate da più parole, ma con significato unitario, infatti non possono essere spezzate da modificatori. Si distingue, poi, il lessico di un individuo e quello potenziale (della comunità di parlanti). Le lingue sono paragonabili ad organismi vitali, poiché variano. Il lessico varia perché è una categoria aperta, ed è inoltre lo strato più esterno di una lingua: è più esposto all’interazione con altre lingue. Quante parole ci sono in italiano? Partendo dalle 100.000/150.000 parole presenti in un dizionario base, si devono aggiungere tutte le forme possibili di ogni singolo nome, aggettivo, verbo, articolo, ma anche gli alterati; si può dunque affermare che esistano circa due milioni e mezzo di parole nella lingua italiana. Vocabolario di base, vocabolario comune, vocabolario esteso: il vocabolario dà informazioni al lettore relative all’ambito d’uso di una parola e, per fare ciò, si ricorre alle marche d’uso, abbreviazioni che indicano regionalismi, dialettismi o se una parola appartenga a specifiche categorie tecnico-scientifiche. Nucleo del lessico italiano: vocabolario di base, circa 6.700 lemmi con cui farsi capire nelle situazioni comunicative più frequenti. C’è poi il vocabolario comune, 40/45.000 lemmi, ed il vocabolario esteso (200.000 lemmi). Le raccolte del lessico fondamentale italiano sono sempre state realizzate su base empirica, ma il risultato era frutto di una ricerca soggettiva, mentre dagli anni Settanta ci si è cominciati a basare su dati statistici. Primo strumento in grado di operare in questo modo è stato il LIF (1971), basato su un corpus di 500.000 testi scritti. Negli anni Novanta è nato invece il LIP, con corpus basato, in questo caso, su testi di produzione orale. Negli anni Ottanta, Tullio De Mauro ha stilato il primo vocabolario di base dell’italiano, suddiviso in: vocabolario fondamentale (2.000 lemmi), vocabolario d’alto uso (4.700 lemmi ca), vocabolario di alta disponibilità (2.000 lemmi). Il nucleo fondamentale del vocabolario di base è rimasto piuttosto stabile nel corso dei decenni, ma vi sono comunque entrate come forestierismi, tecnicismi, parole latine, parole volgari. A livello intermedio si può trovare il vocabolario comune (40/45.000) parole: unito al vocabolario di base, si arriva a 50.000, il vocabolario corrente, generalmente noto a chiunque abbia un livello medio superiore di istruzione. E’ dunque un insieme solo potenzialmente accessibile ed equivale al 20% del vocabolario esteso. Tipologia del prestito linguistico Si può parlare, sostanzialmente, di prestito e calco. Prestito: accogliere espressioni straniere. Eccezione sono i prestiti di ritorno, parole date in prestito ad altre lingue e poi tornate a quella di origine con significato modificato. Si distingue tra prestito non adattato, se mantiene struttura fonologica e morfologica originaria, e prestito adattato, se si ha assimilazione totale o parziale alle strutture della lingua ospite. Si parla di Forestierismi: la lingua che ha influenzato maggiormente l’italiano è il francese (tra cui anche provenzalismi). Primi influssi del francese nell’epoca carolingia, con termini relativi ad organizzazione feudale, lessico alimentare, azioni di vita quotidiana, cultura materiale, gastronomia, moda, lessico intellettuale, politica, economia, filosofia. Lo spagnolo diventa influente nell’italiano dal XVI-XVII secolo: termini legati a situazioni sociali, lessico marinesco, militare; essendo anche tramite con il Nuovo Mondo, tramite lo spagnolo sono giunte in italiano parole che indicavano nuovi referenti delle Americhe. Inglese: pochissimi prestiti medievali, aumentano dal Settecento grazie ad espansione economica e militare dell’impero britannico. Di questo periodo termini di politica, economia, soprattutto anglolatinismi, oltre ad altri prestiti sia adattati sia non. Nel Novecento, a causa degli USA, l’influsso dell’inglese cresce: numerosi calchi di traduzione e semantici. 8.000 anglicismi nel nostro vocabolario, ma solo 30 facenti parte del vocabolario di base, tra cui bar, canguro, film, goal etc. Tedeschismi (diversi dai germanismi): alcuni derivanti dal XIII secolo, ma soprattutto tra il XVIII e XX secolo, linguaggio politico, delle scienze, della psicologia, ma soprattutto legati alla Seconda guerra mondiale. Neologismi e formazioni endogene: neologismi sono parole di recente introduzione in un determinato momento storico. Hanno bisogno di un determinato lasso di tempo per essere accettati. Tra i neologismi vi sono onomatopee o coniazioni d’autore, ma di norma sono prestiti oppure formazioni endogene (derivate e composte, create con elementi italiani combinati secondo le regole della morfologia lessicale. Campi del sapere che hanno contribuito all’innovazione del lessico sono: informatica, tecnologie di comunicazione, medicina, economia, politica. Neologismi lessicali differenti da neologismi semantici, che attribuiscono nuovo significato a parole già esistenti; hanno comportato anche un passaggio di connotazione, da negativa a positiva. Lessico e classi di parole Nomi, verbi ed aggettivi coprono oltre il 95% del lemmario. Nel vocabolario base i verbi coprono una percentuale maggiore, in quello esteso sono più numerosi gli aggettivi, questo perché nel lessico intellettuale e tecnico si ricorre spesso ad aggettivi di relazione, che derivano da nomi. Gli aggettivi di relazione hanno la stessa funzione dei sintagmi preposizionale, ma sono preferiti a questi ultimi perché l’aggettivo di relazione rende più economica la frase e perché sembra una scelta lessicale più ricercata. Rapporti di significato tra le parole Le parole possono stabilire tra loro rapporti paradigmatici o sintagmatici. Rapporti paradigmatici (associativi): nel progettare un enunciato diverse soluzioni entrano in competizione tra loro, la scelta di una esclude le altre. Rapporti sintagmatici: fanno decidere in che maniera sia più consono combinare le diverse parole per comporre un enunciato. I lessemi di una lingua hanno molteplici significati (polisemia). Le eccezioni si sviluppano a partire dal significato di base, poi aggiunti dei nuovi per estensione con uso figurato e processi di modificazione semantica. Le relazioni di significato possono essere:  verticale, gerarchico: 1. rapporti tra iperonimi (significato generale) ed iponimi (significato specifico) 2. rapporti di inclusione (meronimi ed olonimi), importanti per attivare anafore associative alla base della coesione testuale  orizzontale: 1. sinonimi, condividono significato fondamentale, ma la sinonimia completa non esiste 2. antonimi, termini di significato opposto 3. omonimi, parole identiche che però hanno significato diverso Tipi di dizionari Dizionari dell’uso: anche un non specialista è abituato a consultarli. Contengono 100/150.000 lemmi. Ciascuna voce indica trascrizione, possibili varianti grafiche, pronuncia, caratteristiche di flessione, etimologia e principali significati con esempi. Per costruire un lemmario bisogna accogliere neologismi affermati, rifiutare occasionalismi e mantenere le parole uscite dall’uso usate da scrittori importanti. Dizionari storici: si distinguono da dizionari d’uso perché accolgono i termini documentati dalla tradizione scritta e offrono esempi di un vocabolo nella storia dell’italiano. Moltissimi gli esempi d’autore e la documentazione riguarda l’intera storia dell’italiano. Dizionari etimologici: ricostruiscono l’origine di una parola. Nel caso di prestiti si risale alla lingua di provenienza, così come nel caso di parole ereditarie. Adottano direzione regressiva (italiano→lingua d’origine), opere più specialistiche il contrario. Ciascuna voce contiene etimo, significato, documentazione in tutti i contesti, discussione critica, rinvii bibliografici. Dizionari dei sinonimi: elencano i termini di significato equivalente alla parola inserita a lemma. Strumenti non scientifici, perché la sinonimia assoluta non esiste. Dizionari metodici o analogici: le parole non sono elencate alfabeticamente, ma per affinità di significato, provenienza etimologica etc. Utili per potenziare competenza lessicale. Dizionari di frequenza: ordinano le parole in base alla frequenza decrescente in un corpus di riferimento. Non solo parole: ai confini tra lessico e sintassi Esistono dei limiti, imposti dalla grammatica, ma soprattutto la conoscenza del mondo. In alcuni casi vi sono dei legami privilegiati tra parole frutto di consuetudini e non di regole grammaticali né coerenza logica. Esiste solidarietà tra parole, ovvero preferenza per alcune combinazioni piuttosto che di altre, differenti nelle varie lingue. Solidarietà trasformata in rapporto stabile è collocazione, che riguarda principalmente coppie nome+aggettivo, verbo+nome, verbo+avverbio; strumento utile per garantire coesione di un testo. Vi sono anche parole polirematiche (lessemi complessi), espressioni di due o più parole che si comportano come fossero una parola unica, quindi non si può spezzare con modificatori. L’espressione assume significato non componenziale (non si può ricavare dalla somma dei significati delle singole parole). Le polirematiche assumono più di frequente valore di nome, verbo, aggettivo o avverbio. Caratterizzate da significato non componenziale anche le espressioni idiomatiche, molte delle quali mantengono traccia nell’italiano di parole e strutture ormai scomparse dalla lingua comune. Polirematiche registrate nei vocabolari italiani: 130.000 ca, prova che competenza lessicale individuale non è solo conoscenza di singole parole, ma anche di regole e consuetudini. Capitolo 3 Nozioni generali e unità di analisi La morfologia si occupa dei meccanismi che regolano la struttura interna delle parole. Unità di analisi fondamentale: morfema, elemento minimo dotato di significato di cui si compongono le parole. Vi sono morfema lessicale, una sorta di inventario aperto, e morfema grammaticale, un inventario chiuso. Primo tipo di trasformazione: campo d’indagine della morfologia flessiva; secondo tipo: morfologia lessicale. Altri due tipi di morfemi: flessivi (variazione di una parola in tutte le sue forme) e derivativi (creano parole diverse partendo dalla stessa base). Italiano: lingua flessiva (o fusiva), ha una flessione piuttosto ricca, di cui si occupa la morfologia flessiva. La morfologia lessicale studia in che modo il vocabolario si arricchisce creando parole da altre già esistenti. Flessione realizzata da morfemi grammaticali che seguono morfemi lessicali. Procedimenti fondamentali di morfologia lessicale: derivazione e composizione. Derivazione: aggiunta di affissi (prefissi e suffissi); composizione: combinazione di due parole libere provenienti da latino e greco (confissi). Morfemi liberi: costruiscono una parola da soli; morfemi legati: solo in combinazione con altri morfemi; morfemi semiliberi: costituiscono identità autonoma ma esplicano la propria funzione solo uniti ad altri (articoli, preposizioni, ausiliari, pronomi clitici, componenti di unità polirematiche). In morfologia si distingue tra morfemi ed allomorfi. Allomorfi: diverse forme di un morfema; forma forte di allomorfismo è il suppletivismo (in un paradigma si alternano forme non derivabili le une dalle altre). Allomorfia riguarda morfemi lessicali e grammaticali. Gli allomorfi sono tra loro in distribuzione complementare; se del paradigma è possibile una sola forma, allomorfi condizionati, se si può scegliere a seconda di gusti personali allora allomorfi liberi (doppioni). Le varianti non hanno stesso valore; forte impulso di riduzione dato da Alessandro Manzoni. Morfologia flessiva Italiano: compresenza di strato più antico flessivo ed innovazioni romanze di tipo analitico. Marcatura morfologica: nel corpo della parola; ruolo sintattico: espresso dalla posizione nella frase o da preposizione. Analiticità dell’italiano anche grazie a perifrasi verbali Paradigma flessionale: diversi parametri di variazione di una parola variabile. Un paradigma può contenere due o più caselle. Caratteristiche di morfologia flessiva italiana:  paradigmi complessi: eredità di sistema latino unito a novità romanze. Grande varietà, ma nel parlato sono usati solo tre tempi dell’indicativo e l’imperativo.  trasparenza dei paradigmi di flessione verbale e pronominale: i casi di desinenze verbali ambigue sono molto pochi, quindi si può ricostruire l’intero paradigma a partire da una forma flessa. Inoltre, l’irregolarità si concentra soprattutto nei verbi di alta frequenza. L’italiano presenta tratti di semplificazioni più evidenti nella morfologia nominale : perdita del genere neutro, perdita del sistema dei casi, perdita della possibilità di declinare con un nome le forme all’infinito. E’ introdotto, inoltre, un tempo verbale nuovo (condizionale) oltre che due nuovi tempi verbali nell’area del passato dell’indicativo. Flessione dei nomi: la flessione riguarda il numero. I nomi posseggono anche genere che però non non comporta possibilità di flessione. Hanno paradigma flessivo a due caselle. Nel genere si assiste alla perdita della categoria del neutro: per gli esseri umani (e spesso per gli animali, anche se ci sono nomi di un genere che si riferiscono ad entrambi i generi) il genere è attribuito in base al sesso. La formazione del plurale si forma attraverso la modifica del morfema ed i nomi italiani si possono dividere in sei classi:  classi 1 e 2: nomi maschili e femminili, classi stabili e produttive, in quanto accolgono neologismi sono : nome+nome, aggettivo+aggettivo, verbo+nome; aggettivo+nome non è quasi più usato. La testa è solitamente l’elemento a sinistra: eccezione parole che derivano da locuzioni latine o per influsso dell’inglese. I componenti della parola hanno pari importanza: composti coordinativi; composti subordinativi quando A è gerarchicamente sovraordinato a B. Presenta caratteristiche a sé la composizione neoclassica: dal Settecento si è sfruttata la possibilità di creare composti dal greco e dal latino riguardanti le diverse scienze e discipline e, nel corso del tempo, sono diventati parte del vocabolario comune o di base. Le parole che formano i composti neoclassici sono dette confissi (prefissoidi/suffissoidi) perché sono parole libere. Inoltre, la testa sta a destra (latino e greco lingue a costruzione regressiva. Tendenze in atto: fortuna dei composti nominali misti anglo-italiani (modificatore+testa), con primo elemento inglese e il secondo italiano, oppure viceversa, oppure entrambi italiani. La tendenza a creare composti con ordine all’inglese è controbilanciata dalla diffusione di composti nominali angloitaliani (testa+complemento). Produttivo anche nome+nome (secondo elemento subordinato al primo). Certa vitalità anche di verbo+nome per creare composti inanimati; ha molta fortuna nel contesto giornalistico per sintetizzare. Capitolo 4 Fonetica e fonologia, foni e fonemi Solo una parte dei suoni che si producono con l’apparato fonatorio è usata a fini linguistici. I suoni linguistici sono un sottoinsieme dei suoi prodotti dall’apparato fonatorio e sono studiati da due discipline: fonetica e fonologia. Fonetica: descrivere e classificare i suoni linguistici da un punto di vista concreto, riferendosi a meccanismi fisiologici necessari per la loro produzione, impressione acustica, struttura fisica rilevabile con strumenti appositi; è una disciplina generale. Fonologia: studio dei suoni da un punto di vista astratto e relazionale, sulla base di reciproche relazioni instaurate entro determinati sistemi linguistici; è specifica per ogni singola lingua, le sue regole sono applicabili ad un solo sistema linguistico. Unità d’analisi della fonetica: foni. Unità d’analisi della fonologia: fonemi, ovvero foni dotati di valore distintivo. La produzione dei suoni La maggior parte delle lingue ha suoni di tipo egressivo, il flusso d’aria necessario per produrre il suono va dall’interno verso l’esterno, fuoriuscendo da naso o bocca. Rari i suoi di tipo ingressivo, in cui l’aria fluisce da esterno ad interno. Tratto vocale: parte dell’apparato fonatorio in cui si generano differenze tra suoni, dalla laringe in su. Articolatòri svolgono ruolo attivo nel processo di produzione dei suoni; possono essere fissi (palato/denti) o mobili (lingua/labbra). Distinzione tra foni orali e nasali data da velo palatino: se sollevato, permette fuoriuscita di aria solo dalla bocca, se è abbassato da naso e bocca. Altra modifica: se, a passaggio d’aria, le corde vocali sono aperte, suono sordo, se sono chiuse allora vibrano e suoni sonori. Distinzione tra vocali e consonanti: aria esce senza incontrare ostacoli, vocali; tratto vocale chiuso, consonanti. Esistono semiconsonanti (approssimanti), date da un ostacolo lieve nel passaggio d’aria. Le vocali L’italiano ha 7 vocali toniche (con accento) e 5 vocali atone. Differenza di suono data dalla posizione della lingua: tre gradi di avanzamento (anteriore, centrale, posteriore) e gradi di altezza (alto, medioalto, mediobasso, basso). Da ciò si possono collocare le vocali in un trapezio. Inoltre, le labbra possono essere aperte a fessura, protruse (avanzate), arrotondate, si possono anche realizzare vocali orali e vocali nasali (ma in realtà l’italiano standard comprende solo vocali orali). In italiano, tre sono i parametri: avanzamento della lingua, altezza della lingua, arrotondamento delle labbra. Esistono alcune pronunce dialettali e regionali che neutralizzano la distinzione tra vocali aperte e chiuse. Ulteriore semplificazione se le vocali si trovano in posizione atona, perché scompare distinzione tra vocali medioalte e mediobasse (si passa da 7 a 5 vocali). Si può dire che il sistema vocalico dell’italiano sia più semplice di quello di altre lingue:  numero ridotto delle vocali, che consente buona distanza articolatoria tra le vocali, che risultano ben distribuite e distanziate nel trapezio, dunque più facilmente distinguibili  assenza di vocali complesse, come vocali turbate o nasali (labbra arrotondate)  assenza di vocale centrale, detta schwa (ə) Tutte queste vocali sono presenti nei dialetti non toscani. Punto di vista della quantità: vocali brevi o lunghe, differenza che dipende però da contesto, brevi se la sillaba è chiusa, lunghe se la sillaba è aperta, eccezione fatta per vocali toniche in fine di parola, che sono sempre brevi. Le consonanti Bisogna tener conto dei seguenti parametri:  modo di articolazione, il tipo di ostacolo che gli articolatori oppongono al flusso d’aria. Si distinguono sette classi di consonanti: occlusive, fricative, affricate, nasali, vibranti, laterali, approssimanti. Occlusive: chiusura totale del tratto vocale seguita da emissione d’aria; 6 consonanti occlusive in italiano (/p, b, t, d, k, g/). Fricative: chiusura parziale di tratto vocale, articolazione che può avere una durata; 5 fricative (/f, v, s, z, ʃ/). Affricate: immediata successione di una fase occlusiva ed una fricativa; 4 affricate, due alveolari (/ts, dz/), due prepalatali (/tʃ, dʒ/). Producendo consonanti si espelle aria dalla bocca: le nasali si differenziano per il fatto che l’aria fuoriesce da naso e bocca contemporaneamente; in italiano, due sono le consonanti nasali (/m, n/). Vibranti: un articolatore vibra durante il passaggio dell’aria, unica consonante è la /r/, che ha come varianti la vibrante uvulare e la fricativa uvulare, che prendono il nome di erre moscia. Laterali: lingua innalzata al centro, che lascia passare il flusso d’aria dai lati, 2 laterali (/l ʎ/). Approssimanti: avvicinamento ma non contatto tra due organi fonatori, che dà vita alle semiconsonanti; in italiano sono la palatale /j/ e la velare /w/.  luogo di articolazione, il punto in cui avviene contatto od avvicinamento tra due articolatori  vibrazione delle corde vocali, opposizione dunque tra consonanti sorde e sonore. In italiano la distinzione è importante perché ha alto rendimento funzionale ed interessa sette coppie di consonanti: /p b/, /t d/, /k g/, /ts dz/, /tʃ dʒ/, /f v/, /s z/. Le consonanti italiane sono 23, più le 7 vocali si hanno 30 fonemi. Rilevante la distinzione di quantità tra consonanti tenui (brevi) o intense (lunghe). Quelle intense considerate ambisillabiche, appartenenti a due sillabe diverse. Il sistema consonantico italiano è sbilanciato in avanti: assenti fonemi uvulari, faringiali, glottidali, fricative presenti in numero limitato, assenti bilabiale, dentale sorda e sonora. Dittongo e iato Dittongo: sequenza di due vocali grafiche appartenenti alla stessa sillaba. Dei due suoni, solo uno costituisce il nucleo della sillaba (a tutti gli effetti una vocale), l’altro è semiconsonante (se precede il nucleo, quindi dittongo ascendente) o semivocale (se segue il nucleo, quindi dittongo discendente). Iato: due vocali contigue che rimangono separate nella pronuncia. Avviene quando:  si incontrano due vocali diverse da i, u  i oppure u portano l’accento  in parole derivate e composte il primo elemento termina per i o per u Grafia e pronuncia L’alfabeto italiano deriva da quello latino, ma la corrispondenza non è biunivoca: 1. lettere sottodifferenziate rispetto ai suoni, ad una lettera corrispondono più fonemi: o e/o possono avere suono aperto e chiuso o c/g possono avere suono palatale e velare o i/u sono impiegati per vocali ed approssimanti o s/z hanno realizzazione sorda e sonora 2. lettere sovrabbondanti rispetto ai suoni, ad un fonema corrispondono due lettere. Ciò avviene in un solo caso: se seguita da u, occlusiva velare sorda /k/ può essere resa con c o q 3. alcuni fonemi si scrivono combinando due lettere (digrammi) o tre (trigrammi). L’italiano ha sette digrammi e tre trigrammi. Digrammi: o ch/gh pronuncia velare davanti a e/i; in assenza di h, pronuncia palatale o ci/gi corrispondono a tʃ/dʒ davanti ad a/o/u o sc è digramma (ʃ), se seguito da e/i o gl è digramma se seguito da i. Vi sono poche eccezioni (come glicine) o gn è digramma davanti a tutte le vocali Trigrammi: o sci; se oltre alla i c’è un’altra vocale, la pronuncia è ʃ (sciame). Tra le poche eccezioni le forme del verbo sciare o gli; se seguito da un’altra vocale, la pronuncia è ʎ (aglio). Eccezione di poche parole (come borboglio), dove la i è tonica e va pronunciata o gni; se seguito da un’altra vocale, la pronuncia è ɲ se è parte della desinenza -iamo (sogniamo) 4. h non rappresenta alcun suono nelle parole italiane e nei prestiti latini Tali differenze tra grafia e pronuncia date dal fatto che l’alfabeto latino è rimasto stabile per secoli, mentre le lingue si evolvono continuamente. L’italiano ha adattato la grafia con digrammi e trigrammi, soluzioni arrivate dopo lunga fase di multigrafismo medievale, ovvero convenzioni di trascrizione riferite all’area di provenienza dello scrivente conviventi nello stesso periodo. Allofoni Non tutti i foni di una lingua costituiscono dei fonemi. La differenza è evidenziata dalle trascrizioni fonetiche. Se due foni si alternano sulla base del contesto, non sono fonemi ma varianti combinatorie (allofoni). Esse sono tra loro in distribuzione complementare. fonatorio: massima nel caso delle vocali, minima nel caso delle consonanti. Sillaba dal punto di vista fonetico: porzione di parola compresa tra minimo di sonorità e minimo successivo, tra cui si colloca un vertice detto nucleo della sillaba; esso può essere solo una vocale, in italiano. E’ l’unico elemento indispensabile: alla sua sinistra c’è l’attacco, alla sua destra la coda, presente solo nelle sillabe chiuse. Vi sono, inoltre, sillabe semplici e sillabe complesse: tipo sillabico più diffuso CV (attacco-nucleo). Solitamente, le consonanti che accompagnano il nucleo si trovano principalmente alla sua sinistra. L’italiano possiede 26 tipi sillabici ed è regolato dal principio dell’isocronia sillabica: in una parola, la sillaba tonica ha una durata maggiore delle sillabe atone, che tra loro hanno la stessa durata. Questo principio ha un grande impatto sul ritmo e la musicalità di una lingua. L’intonazione E’ facile riconoscere diverse modulazioni della parlate di diverse persone, grazie ad impressioni soggettive, infatti non è facile definire in maniera oggettiva i tratti di tale giudizio: uno degli elementi fondamentali è lo studio dell’intonazione, in particolare modulazione di tono, durata, intensità e ritmo. Il più difficile da controllare è l’intonazione, nel contesto italiano. Contorno intonativo: curva che registra serie di movimenti ascendenti e discendenti del tono della voce, dato da tre parametri: durata, intensità, altezza (il più importante, dipende dalla velocità di vibrazione delle corde vocali) Contorno terminale: andamento dell’ultimo segmento di enunciato. Le intonazioni regionali differiscono per alcuni tratti della pretonìa (precede il contorno terminale) e per lo scarto di tono, ascendente o discendente, del contorno terminale. Capitolo 5 Prima dell’italiano Solo in una parte dei territori facenti parte dell’Impero romano si parlano oggi lingue derivanti dal latino. Nella parte orientale dell’impero la lingua più utilizzata era il greco, mentre in altre zone la latinizzazione fu solo parziale: nelle province d’Africa, ad esempio, la dominazione araba mise fine alla latinizzazione. L’area in cui il latino ha avuto modo di radicarsi è detta Romània e le lingue che oggi vi si parlano sono chiamate romanze (aggettivo che deriva da romanice loqui). Dopo l’espansione coloniale delle nazioni europee nel Cinquecento, poi, il territorio in cui si parlano lingue romanze si è esteso: America del nord, centro e centro-sud ed Africa. L’italiano deriva sì dal latino, ma sono necessarie delle precisazioni:  parlare di lingua madre e lingue figlie è solo parzialmente corretto, perché le lingue sono “organismi sociali” in continua trasformazione  il latino con cui abbiamo a che fare non è quello degli autori classici, ma un insieme di varietà usate in tempi e luoghi diversi → metà dell’Ottocento, insieme di varietà definito “latino volgare” o, ancora meglio, “latino parlato”  fondamentale tener conto della distinzione tra lessemi ereditari (di trafila popolare) e latinismi Dei latini parlati in Romània abbiamo poche fonti, ovviamente tutte indirette: molto importanti le iscrizioni murali, che però sono facilmente deperibili → scavi archeologici di Pompei hanno fatto rinvenire documenti di valore per gli storici della lingua, vista la datazione certa. Si tratta di scritte di argomento politico, osceno, poetico-filosofico. Altrettanto importanti per la ricostruzione del latino parlato sono le liste di errori stilate da grammatici ed eruditi → testimonianza della diffusione della lingua di tutti i giorni. Il più importante è l’Appendix Probi. Per la stessa ragione sono utili le iscrizioni incise su pietra e le lettere scritte da persone poco istruite. L’errore può essere la manifestazione di tendenze innovative in atto e la sua generalizzazione può dare il via al mutamento linguistico. Diversi ma simili alcuni passi letterari in cui l’autore riproduce la lingua quotidiana. Il più famoso è Cena di Trimalcione, episodio del Satyricon di Petronio. Ultimo strumento per la ricostruzione del latino parlato è la comparazione linguistica, fondata su principi della fonetica storica. Latino, fiorentino, dialetti, italiano Mutamenti subiti da suoni, forme e costrutti nel passaggio dal latino all’italiano sono oggetto di studio della grammatica storica. Partendo dal latino si può arrivare a tutti i dialetti italiani, evoluzioni autonome della stessa base latina. I dialetti, infatti, non sono delle varietà corrotte della lingua italiana, ma dei sistemi linguistici autonomi sviluppatisi a partire dal latino → rapporto tra latino e dialetti di filiazione diretta. Non è corretto quindi parlare di dialetti italiani, ma di dialetti italoromanzi. Diversa la questione per gli italiani regionali, nati dalla contaminazione tra parlate locali e lingua comune → si può parlare di influssi tra dialetto e lingua. L’italiano stesso è frutto di un lungo processo di elaborazione, selezione e codificazione del fiorentino trecentesco. Cenni di grammatica storica Il latino distingueva le vocali sul principio di quantità e presentava un sistema a dieci vocali (toniche ed atone). La differenza di quantità aveva valore distintivo, dava luogo a coppie minime; differenza presente anche in italiano, sebbene defonologizzata (perso valore distintivo). Altro mutamento riguarda l’accento, in latino tonale, in italiano (e lingue romanze) di tipo intensivo. Nel consonantismo le modifiche riguardano:  caduta delle consonanti finali, come la m e la t  palatizzazione delle velari seguite da vocale palatale  assimilazione regressiva (la seconda delle due consonanti rende simile a sé quella precedente)  nessi di consonante + L, che si modificano in consonante+approssimante palatale  consonante seguita da “iod” Si assiste anche alla perdita del sistema dei casi, le desinenze che segnalano il ruolo sintattico di un elemento → latino: la parola può essere spostata senza alterare il significato della frase; italiano: posizione rilevante per determinare la funzione. Altra innovazione: perdita del genere neutro, introduzione dell’articolo, ristrutturazione del sistema verbale. Passaggio da costruzione regressiva latina (SOV) a quella progressiva italiana (SVO). I primi documenti in volgare In Romània, per secoli gli scriventi usarono una varietà per scrivere, un latino più o meno distante dal modello classico, ed una per parlare, ma non è detto fossero a conoscenza del fatto di trovarsi di fronte a due lingue differenti. La transizione latino-romanza è stata un processo lungo, di cui non si hanno date precise, anche se è ragionevole pensare che la causa scatenante fu il disfacimento dell’impero romano d’Occidente (IV-V sec.). All’altro estremo abbiamo invece le prime documentazione di scritture romanze (i Giuramenti di Strasburgo, IX sec.) Due le date possibili a rappresentare la fine della transizione:  813, Concilio di Tours, consigliava ai sacerdoti di predicare nelle varie lingue romanze (o in lingua tedesca), perché i fedeli non capivano più il latino.  842, Giuramenti di Strasburgo, considerati l’atto di nascita delle lingue romanze. I primi testi scritti in volgare italiano compaiono un secolo più tardi: Placiti campani (960- 963), il cui più antico è il Placito capuano. I più antichi documenti del volgare italiano sono brevi inserti a carte notarili, non sono testi letterari; ad essi vanno poi aggiunte le cosiddette scritture esposte: iscrizione della catacomba di Commodilla ed iscrizione di San Clemente (da qui risale la primissima parolaccia italiana: “Fili de le pute, traite”). Per i primi documenti, spicca la prevalenza dell’area centrale e meridionale → ruolo di centri di cultura esercitato nel Medioevo dalle abbazie benedettine. La nascita della letteratura in volgare Per i primi documenti letterari in volgare bisogna aspettare la fine nel XII secolo ed i primissimi anni del XIII. Di questo periodo i primi esempi di poesia civile e lirica. Si sviluppa la poesia religiosa (San Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi) e la lirica amorosa grazie alla scuola poetica siciliana presso la corte di Federico II di Svevia. La poesia siciliana godette fin da subito di enorme prestigio, ma la ricostruzione del linguaggio originale è problematica a causa della traduzione dei testi da parte di copisti toscani → morte di Federico II, sviluppo socioeconomico dei comuni toscani, che diventano (con Bologna) centro di produzione e diffusione della poesia lirica. Importante l’eredità dei siciliani anche nelle forme metriche: sonetto inventato da Giacomo da Lentini e canzone, rivista e rinnovata, rimase la forma metrica canonica della poesia italiana fino a Leopardi. La prosa letteraria volgare si diffonde più tardi rispetto alla poesia. Guarda più alla tradizione latina medievale ed al francese → prime opere, volgarizzamenti del latino e del francese (adattamenti culturali, che fece avvicinare il ceto medio mercantile ai classici ed alla letteratura religiosa in latino). Fra i primi esempi di prosa originale c’è il Novellino, raccolta di novelle in lingua fiorentina, che contribuì a fissare i canoni del genere novella. L’affermazione del fiorentino trecentesco Opere in lingua fiorentina compaiono solo dal XIII secolo in poi: al 1211 risale il Libro di conti di banchieri fiorentini, elenco di entrare e uscite di una compagnia mercantile. C’è quindi un cambio di genere e di tipologia di scrivente: i testi fiorentini sono completamente scritti in volgare da uomini d’affari, mercanti, la classe emergente dell’epoca, che avevano bisogno di scrivere molto. Il genere di scrittura più praticato erano le lettere d’affari. L’alfabetizzazione dei cittadini fu molto curata a Firenze e negli altri comuni della Toscana → futuri mercanti frequentavano scuole d’abaco o insegnanti privati, utilizzando il volgare, e non il latino, per insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Importante testimonianza: Cronica, Giovanni Villani → sistema scolastico imperniato su tre livelli: alfabetizzazione primaria (leggere e scrivere); scuola di “abbaco e algorismo” (aritmetica e tecniche di contabilità); scuola di “gramatica” (latino) e “loica” (logica, filosofia). La percentuale di cittadini alfabetizzati era davvero rilevante. La Toscana recupera così lo svantaggio iniziale, diventando sempre più culturalmente dominante e crescendo al punto da diventare il centro di produzione di letteratura più significativo (le Tre Corone). L’espansione è anche e soprattutto dovuta all’ammirazione per le opere di Dante: la Commedia era apprezzata anche fuori dalla regione. La lenta diffusione dell’italiano: alla metà del Cinquecento il processo di normazione dell’italiano può dirsi concluso: il modello era stato individuato e tradotto in strumenti di riferimento e trasmesso mediante l’industria tipografica ma, tolta la cultura alta, la diffusione dell’italiano richiese tempi più lunghi. Ruolo fondamentale venne svolto dalla Chiesa: il Concilio di Trento aveva vietato l’accesso alla Bibbia in volgare, limitando l’accesso alla lingua italiana da parte delle masse, ma favorì la diffusione della lingua attraverso la catechesi e la predicazione, che diffuse la lingua a livello orale. La Chiesa fu dunque importante mediazione tra cultura scritta ed incolti. Favorì anche l’alfabetizzazione popolare attraverso le “scuole pie”, gratuite ed aperte ai bambini poveri. Alle testimonianze orali si aggiungono le varie produzioni di “scriventi intermedi” che sfruttavano diversi generi. L’affermazione del fiorentino rende possibile immaginare le altre varietà locali come dialetti → distinzione sociolinguistica che permette un uso consapevole dei dialetti in ambito letterario, per vari motivi: opporsi al classicismo, parlare di temi riferibili a realtà locali, rappresentare differenze sociali, rivisitare la tradizione. La letteratura in dialetto ebbe poi una nuova fioritura nell’Ottocento. Il rinnovamento settecentesco Nel Settecento, l’italiano scritto conquista nuovi spazi: si consolida nell’uso scientifico e giuridico-amministrativo, diventando così strumento di comunicazione adatto ad usi pubblici e trasmissione di sapere. Nella seconda metà del secolo l’italiano diventa anche oggetto di insegnamento scolastico: la scuola non si fa solo carico di insegnare in italiano, ma anche di insegnare l’italiano stesso → nascita di prime grammatiche pensate per l’insegnamento scolastico. Sempre più corsi universitari cominciano ad essere tenuti in italiano, si sviluppa inoltre anche l’insegnamento di lingue straniere. A tutto ciò contribuì anche la diffusione della stampa periodica: gazzette, ma anche riviste destinate ad un pubblico colto. Fra queste ultime “Il Caffè” (1764-1766), animato da illuministi tra cui Alessandro e Pietro Verri e Cesare Beccaria. In Italia ed Europa si ha un periodo di divulgazione della cultura scientifica → nascente borghesia interessata a scienze naturali, tecniche, politica, economia, diritto, medicina; nasce il saggio divulgativo ed i vocabolari delle lingue speciali. Nuovo modo di costruire il periodo, frasi brevi con ordine Soggetto+verbo+oggetto, sintassi lineare, subordinazione limitata: si tratta dello stile spezzato → critica alla lingua arcaica, soprattutto da Il Caffè. Manzoni e la riflessione sulla lingua nell’Ottocento Col Risorgimento, il binomio lingua-nazione si carica di precise valenze identitarie e diventa il fondamento della rivendicazione politica dei patrioti. In realtà, l’italianità in quanto comunanza di lingua e tradizioni non era del tutto posseduta: italiani analfabeti e dialettofoni. Durante il secolo XIX, grazie al contributo di Alessandro Manzoni, la questione della lingua si pone su basi completamente nuove. Per gli scrittori, il problema della lingua si poneva solo per la poesia, ma gli scrittori in prosa sentivano la mancanza di una lingua viva e spontanea. Terminata la stesura di Fermo e Lucia, Manzoni capisce che l’opera sia un progetto fallimentare → connubio di toscano e milanese. Per lui era necessario scegliere un sistema linguistico coerente ed adattabile a tutte le necessità comunicative → per Manzoni, il fiorentino parlato dalle persone colte. Inizia un lavoro di revisione linguistica: semplificati gli allotropi ed usate forme del fiorentino parlato considerate errori. Manzoni continua la sua riflessione sulla lingua mettendo a sistema le idee maturate. Uno dei testi più importanti: Della lingua italiana e Relazione. L’allora ministro dell’istruzione Emilio Broglio affida a Manzoni il compito di individuare gli strumenti più adatti per diffondere la lingua italiana. Manzoni stila una lista di soluzioni pratiche:  pubblicazione di un vocabolario fondato sull’uso vivo del fiorentino  invio di insegnanti toscani nelle scuole primarie di tutte le province per dare modelli di pronuncia  revisione linguistica per i libri con cui i bambini si alfabetizzavano Le idee manzoniane vennero sottoposte a critica da Graziadio Isaia Ascoli, il cui obiettivo critico non era Manzoni, ma i suoi imitatori, che costruivano una nuova forma teorica modellata sull’esaltazione delle componenti popolari del fiorentino. Ascoli propone poi un modello diverso: il fiorentino del suo tempo non aveva particolari titoli per diventare punto di riferimento linguistico; auspicava ad un italiano basato sul fiorentino arricchito però grazie al contributo di scrittori ed intellettuali di ogni regione → paragone con la Germania, arrivata all’unità linguistica convergendo tradizioni e culture regionali diverse. Ascoli dissente dalle proposte pratiche di Manzoni (per Ascoli, si poteva arrivare ad unità linguistica solo diffondendo la cultura presso le più ampie fasce della popolazione), ma concorda con l’obiettivo finale. Da italiani a italofoni: dinamiche sociolinguistiche postunitarie La nascita del regno d’Italia nel 1861 determinò il trasferimento sul piano politico di una serie di problemi discussi a livello teorico nel dibattito sulla lingua primo ottocentesco: costruzione della scuola, burocrazia, esercito → necessità di diffondere l’italiano presso tutti i cittadini. Spiccava la forte arretratezza dell’Italia nel quadro delle grandi nazioni europee. Il numero di italofono era di circa 25.000.000 di persone. Principali fattori che contribuirono alla diffusione dell’italiano furono:  La scuola. 1859: legge Casati, estesa su territorio nazionale nel 1861 → lo Stato si faceva carico dell’istruzione, che diventa pubblica; obbligatorietà e gratuità dei primi due anni dell’istruzione elementare, ma nessuna sanzione. 1877: legge Coppino, significative novità nei programmi → estensione a 13 anni dell’iter scolastico, introduzione dello studio di educazione civica, lettura di brani di autori come Dante e Manzoni, istruzione elementare di 5 anni, obbligo dei primi tre, con sanzioni. 1904: legge Orlando → obbligo a sei anni di scuola, introduzione della sesta classe elementare. 1923: riforma Gentile → obbligo scolastico fino ai 14 anni, scuola media superiore divisa in tre ambiti (licei, istituti tecnici, scuole di avviamento professionale). Il fascismo puntò al nazionalismo linguistico (messe al bando le parole straniere), con marginalizzazione dei dialetto e forte controllo ideologico (1930: adottato il “testo unico”)  I movimenti migratori. La necessità di comunicare coi parenti rimasti in Italia e trovare un modo di comunicare con connazionali di diverse regioni nelle comunità immigrate aumentò la diminuzione di dialettofonia ed analfabetismo. Grande contributo anche le migrazioni interne e l’urbanesimo → industrializzazione contribuisce alla diffusione di un lessico unificato e diminuzione di geosinonimi  La burocrazia e l’esercito. Imposto il confronto di cittadini di ogni ceto con la lingua della burocrazia. La leva obbligatoria spinse all’abbandono dei dialetti nei confronti dell’italiano, che però si realizza molto lentamente.  La stampa e i mezzi di comunicazione di massa. Giornali come “Corriere della Sera”, “Messaggero”, “Secolo XIX” contribuirono a far crescere il numero di lettori. Rinnovato anche il linguaggio giornalistico attraverso la differenziazione linguistica tra le sezioni. Si diffonde la pubblicità, che semplificò la sintassi. Diffusi a livello nazionale alcuni regionalismi. 1924: URI inizia le trasmissioni. 1930: primo film sonoro in italiano. 1954: prima trasmissione televisiva → ruolo crescente dei mass media nel diffondere la lingua. I nuovi mezzi utilizzavano il canale orale e raggiungevano quindi l’intera popolazione, influenzando anche le abitudini di pronuncia. Nel corso del Novecento la lingua letteraria ha cessato di costituire il punto di riferimento per la definizione della norma linguistica. Questione posta da Pier Paolo Pasolini: “nuovo italiano” con baricentro sempre più tecnologico e sempre meno letterario → gli scrittori non hanno più il compito di dare linee guida alla lingua della nazione, quindi sono più liberi di sperimentare. Capitolo 6 La competenza plurilingue. Varietà e repertorio, bilinguismo e diglossia Repertorio: insieme di varietà linguistiche a disposizione di un parlante (repertorio individuale) o di una comunità nel suo insieme (repertorio comunicatorio) in un determinato momento storico. Le varietà linguistiche possono essere lingue distinte, ma anche varietà sociali o geografiche della stessa lingua. Distinti due livelli:  variazione interlinguistica, compresenza di lingue diverse nella competenza di un parlante o gruppo  variazione intralinguistica, compresenza di varietà diverse nella stessa lingua. Nella realtà, la percezione dei confini tra le varietà è soggettiva. Bilinguismo: condizione individuale ma anche sociale. Altra distinzione:  bilinguismo monocomunitario: esiste un’unica comunità bilingue  bilinguismo bicomunitario: due sottocomunità conoscono bene una sola delle due lingue in contatto Il parlante alterna le varietà del repertorio a seconda di convenzioni socialmente e storicamente codificate → dominio d’uso, ovvero classe di situazioni comunicative. Si distingue tra diglossia e bilinguismo. Diglossia: le varietà non hanno uguale prestigio, utilizzate in ambiti funzionali diversi. Esistono varietà “alte” e “basse” (comunicazione informale). Le varietà basse vengono imparate spontaneamente, quelle alte in ambiti scolastici o simili. In Italia, ormai, la lingua madre è l’italiano e non i singoli dialetti → comunicazione formale ed informale in italiano, accompagnato dal dialetto. Situazione italiana definita anche dilalìa. Le varietà vengono anche mescolate ed alternate → commutazione di codice: passaggio da una varietà all’altra nello stesso scambio comunicativo da parte dello stesso parlante. E’ una strategia discorsiva che serve a segnalare:  cambio di destinatario  inizio e fine di citazioni  introduzione di elementi dal forte valore espressivo  atteggiamento di coinvolgimento o presa di distanza del parlante rispetto a ciò che si sta dicendo  atteggiamento ludico Commistione di codici: realizzazione di enunciati mistilingui → compresenza di unità subfrasali appartenenti a lingue o varietà di lingue diverse. relativi sono un paradigma complesso → estensione di che per tutte le funzioni sintattiche. Fra i dimostrativi, già compiuto il processo di riduzione a due sole forme (questo/quello); codesto è usato solo in Toscana e solitamente è usato erroneamente con funzione ironica. Il sistema verbale: quasi il 90% dei verbi usati in frase principale sono costituiti da soli tre tempi dell’indicativo (presente, passato prossimo, imperfetto) → le forme sono quindi sottoposte a sovraccarico funzionale (usate anche al posto di altri tempi verbali più adatti). Il più utilizzato è l’imperfetto, usato per sostituire congiuntivo e condizionale. Principali usi modali dell’imperfetto:  imperfetto ipotetico  imperfetto attenuativo (o di cortesia), sostituisce il condizionale  imperfetto ludico, comune nelle affabulazioni dei bambini; non sostituisce alcun verbo, ma è usato per creare un universo fittizio Si sta inoltre utilizzando sempre più per sostituire il condizionale passato per esprimere il futuro nel passato. Tra passato prossimo e passato remoto, il parlato predilige il primo, ma ciò dipende soprattutto dall’area geografica del parlante. Il trapassato prossimo sta sviluppando un uso indipendente, assimilabile al passato remoto o prossimo. Interessante il caso del futuro: in regresso negli impieghi temporali, in espansione in quelli modali → futuro semplice sostituito dal presente, se accompagnato da un avverbio che colloca l’azione nel futuro; uso modale epistemico con cui si esprime dubbio, supposizione. Il congiuntivo appare in regresso, ma è improprio parlare di scomparsa, perché il suo uso è ben saldo con le soggettive, con oggettive rette da verbi che indichino timore/speranza. Per subordinate che richiedono il congiuntivo, le seguenti scorciatoie:  uso di connettivo che ammetta l’uso dell’indicativo  ricorso a subordinazione implicita, come nelle finali Il condizionale appare più saldo nell’uso rispetto al congiuntivo, ma a volte entra in concorrenza con l’imperfetto; è di vitali importanza il condizionale di cortesia. La sintassi e le costruzioni marcate: le subordinate più diffuse sono le relative, le completive, quelle introdotte da che, le ipotetiche introdotte da se, le causali introdotte da perché. Questo è il caso in cui la ristandardizzazione ha agito più profondamente, colpendo il settore delle costruzioni con ordine marcato: le dislocazioni a sinistra sono ormai accettate anche nella lingua scritta, mentre la dislocazione a destra e le costruzioni a tema sospeso sono relegate all’oralità. Le frasi scisse sono pienamente accettate nell’uso orale e scritto. Sta avendo una certa fortuna la costruzione con oggetto preposizionale (complemento oggetto preceduto da preposizione a, tipico delle parlate centromeridionali). Le lingue speciali Tra le varietà dell’italiano contemporaneo si collocano le lingue speciali (o linguaggi settoriali) → varietà funzionali-situazionali che servono per parlare di argomenti specifici. Sono contraddistinte dalle seguenti caratteristiche:  si riferiscono ad un particolare ambito di sapere  presentano terminologia specifica (tecnicismi)  uso particolare delle risorse della morfologia lessicale e della sintassi  uso di specifiche modalità di organizzazione testuale. L’aspetto più evidente del lessico di una lingua speciale è la presenza di tecnicismi, che sono circa 126.000 (metà del vocabolario esteso) → rapporto di interscambio con la lingua comune: processi di tecnificazione di una parola del lessico comune, detecnificazione di un tecnicismo, di transfert, ovvero passaggio di un termine da una lingua speciale ad un’altra. E’ possibile distinguere tra tecnicismi specifici e tecnicismi collaterali: i primi hanno significato denotativo, necessari all’interno di un discorso tecnico/specialistico, i secondi sono caratteristici di un certo ambito, ma hanno prettamente valore connotativo. I tecnicismi collaterali sono usati anche in ambito burocratico, economico-finanziario, matematico e sono particolari abbinamenti di parole, specialmente verbo+sintagma nominale. Caratteristiche di molte lingue speciali la nominalizzazione, che sposta il baricentro informativo della frase dal verbo sul nome e la deagentivizzazione (spersonalizzazione), che mette in secondo piano o non menziona affatto l’agente. Quest’ultima si può attuare sia attraverso il ricorso a costruzioni impersonali o passive, sia attraverso la nominalizzazione e può avere funzioni diverse: sottolineare la validità della norma indipendentemente dall’estensore, oppure sottolineare la verità atemporale ed epistemica delle osservazioni, caratteristica ulteriormente rafforzata dall’uso del presente atemporale. Tutto ciò serve a conferire astrattezza ed impersonalità al testo. Le lingue speciali possono essere modulate sulla dimensione verticale. Sul piano testuale, le lingue speciali sono caratterizzate da un alto grado di coesione, grazie all’alto grado di rimandi interni; i tecnicismi, inoltre, sono privi di sinonimi, quindi si ha prevalenza di ripetizione rispetto alla sostituzione. Assetto complessivo: tipo testuale incrociato a grado di formalizzazione della disciplina, collocazione del testo sull’asse verticale. Il testo si caratterizza, inoltre, per un diverso grado di rigidità interpretativa o vincolo comunicativo. Burocratese e aziendalese: il linguaggio con cui la pubblica amministrazione si rivolge al cittadino è contraddistinto dall’avere come potenziali destinatari tutti i cittadini e coltivare, al contempo, uno stile oscuro, che taglia fuori dalla comprensione i destinatari stessi → connotazione negativa che ha accompagnato il termine burocrazia fin dalla coniazione. Connotazione anche più negativa del termine burocratese, stile commisto di inutili complessità ed involuzione sintattica di alcuni documenti ufficiali. Etichetta ancora più sferzante per questo modo di scrivere è antilingua, coniata da Italo Calvino. Alcuni cambiamenti in atto nella società hanno determinato la progressiva perdita di attrattiva del linguaggio burocratico → due fenomeni:  le richieste di semplificazione del linguaggio amministrativo furono accolte a partire dagli anni Novanta e sfociarono nella stesura di Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche pubblicato nel 1994, che conteneva indicazioni pratiche per la riscrittura. Seguirono ulteriori documenti, ma tali opere non sono più in vigore dal 2013  Il cambiamento del paradigma culturale che, negli ultimi due decenni del XX secolo, ha mutato a livello internazionale i rapporti di forza tra politica ed economia a vantaggio di quest’ultima. Effetto principale: slittamento del baricentro della comunicazione pubblica del burocratese all’aziendalese, lingua modellata sullo stile comunicativo delle aziende private → tecnicismi di economia/gestione d’impresa/marketing, anglicismi. Parole bandiera: implementare, ottimizzare, posizionarsi, monitorare → usate per darsi un tono, non per trasmettere Italiano e inglese nella comunicazione scientifica: progressiva sostituzione dell’italiano con l’inglese in molti ambiti della comunicazione ufficiale e scientifica. Nell’italiano di oggi, gli anglicismi sono più scritti che detti → diminuzione del prestigio attribuito alla propria lingua nel momento in cui si sceglie di utilizzare degli anglicismi quando sarebbe più semplice usare corrispettivi italiani. Ma la questione centrale è il ruolo che l’inglese sta assumendo come lingua della comunicazione scientifica: l’uso dell’inglese come lingua internazionale costituisce una tendenza internazionale determinata da dinamiche globali e dalla relativa semplicità della sua grammatica. Attualmente, oltre il 70% degli atenei svolge almeno un corso di studio in lingua inglese, soprattutto in ambito ingegneristico e nelle scienze economiche e statistiche. Questa tendenza sta influenzando anche l’istruzione media superiore → CLIL da parte di professori che spesso non hanno le competenze per farlo. Innegabile l’importanza di una competenza nella lingua, ma ciò che preoccupa è l’uso dell’inglese invece dell’italiano e non accanto. La lingua della politica: il discorso politico nasce con la democrazia e muove dall’esigenza di convincere i cittadini della bontà di un progetto o della capacità di un leader. Scopo fondamentale: persuasione, facendo appello a codice verbale e codici comunicativi, utilizzando argomenti razionali, suggestioni emotive, organizzazione retorica del discorso (voce, gestualità, carisma). Notevole l’influenza delle tecnologie della comunicazione → Mussolini con la radio, Berlusconi con la televisione. La rivoluzione digitale ha affiancato ai generi tradizionali del discorso politico nuove forme di comunicazione con cui il politico si rivolge all’opinione pubblica → nuove forme orientate alla facile cattura del consenso → identificazione del politico con l’elettore medio: il politico parla come l’elettore cui si rivolge, si fa ritrarre tra la gente. Si parla di personalizzazione e della capacità di narrazione (storytelling) per rendere il proprio personaggio accattivante e seducente. Altra abitudine: persuasione occulta → brevità dei messaggi tipica dei social media, giudizi ed opinioni inseriti nel discorso senza essere dichiarati esplicitamente → il ricevente è più facilmente condizionabile. La lingua della letteratura: a partire dall’Ottocento, la prosa narrativa è stata interessata dalla progressiva riduzione del tasso di letterarietà → accoglimento nella pagina dei modi dell’oralità → discorso indiretto libero (se i modi del parlato non sono solo nei dialoghi, ma anche nella prosa). Con il primo Novecento si ha un’altra novità: la fine della funzione modellizzante attribuita alla letteratura, quindi non più compito di indicare la strada alla lingua della nazione → gli autori sperimentano con lo stile, cercando il proprio. Ciò può determinare uno “stile semplice”, l’inserimento di dialetti e coloriture locali, sperimentalismi, pastiche linguistici (come quelli di Carlo Emilio Gadda). La letteratura novecentesca non conosce vere e proprie correnti o scuole → gli eredi (autori più contemporanei) utilizzano dialetti, linguaggio giovanile, gerghi, parlato nella sintassi e ritmo. Si può parlare di una sorta di “mutazione antropologica”, in cui si riscontra “assenza di memoria letteraria” → ignorata la precedente letteratura italiana, ispirazione a cinema e televisione, riferimenti a letteratura americana letta in traduzione. In verità, la narrativa degli ultimi anni sembra avviarsi verso una maggiore cura dello stile, un atteggiamento più sobrio ed orientato verso i contenuti. La lingua dei vecchi e dei nuovi media: i mezzi di comunicazione di massa hanno dato un forte contributo a modellare gli usi linguistici della nazione, nell’essere stati degli amplificatori del parlato medio e di usi linguistici nati altrove. La televisione rimane il mezzo più seguito. La lingua veicolata dai media ha affiancato ad orale e scritto una nuova categoria, il trasmesso, che ha interessato prima il parlato e poi anche lo scritto. Le caratteristiche specifiche del mezzo influenzano le rispettive scelte linguistiche, ma due fattori stanno determinando un livellamento tra i media:  convergenza tra piattaforme, possibile grazie alle nuove tecnologie. Distinzione di stili/linguaggi tra gli ambiti tematici ed i contenuti trasmessi. regionale orale è nato dopo l’Unità mentre, negli scritti, l’italiano regionale esisteva e aveva prodotto significative testimonianze già in epoca preunitaria. I dialetti I dialetti italoromanzi sono quelli parlati nella penisola italiana. La grande varietà dei dialetti è parte integrante della nostra storia culturale: anche Dante stesso fu colpito dalla frammentazione linguistica della penisola. Esistono, sul territorio italiano, aree dialettali di maggiore estensione; sistema utilizzato nella dialettologia per rappresentare queste aree sono le isoglosse, linee immaginarie che separano porzioni di territori in cui si ha la forma A di un tratto che, in un’altra porzione di territorio, è presente nella forma B. Se le isoglosse sono molto vicine tra loro, si hanno dei fasci di isoglosse, addensamenti di differenze a cui corrisponde un confine tra aree dialettali. I principali confini dialettali in Italia sono dati dalla linea La Spezia-Rimini (dialetti settentrionali divisi da quelli centromeridionali) e la linea Roma-Ancona (dialetti mediani divisi da quelli meridionali). I confini linguistici possono coincidere con confini naturali → La Spezia-Rimini: Appennino tosco-emiliano; Roma-Ancona: zona laziale-umbra del corso del Tevere. Sono ostacoli naturali che hanno coinciso con frontiere storiche ed etniche, determinando le vere e proprie differenze linguistiche. Gli attuali confini tra le regioni, invece, sono stati tracciati in età postunitaria, quindi non hanno avuto modo di influenzare le abitudini linguistiche. Procedendo da nord a sud:  dialetti alto-italiani: tra i confini nazionali e linea La Spezia-Rimini, comprende dialetti gallo-italici (piemontese, lombardo, ligure, emiliano-romagnolo, trentino occidentale) e veneti (veneto, trentino orientale). Fra le caratteristiche comuni ricordiamo:  sonorizzazione di consonanti sorde intervocaliche  scempiamento delle consonanti intervocaliche  caduta delle vocali finali diverse da a  avanzamento articolatorio e pronuncia fricativa dell’affricata prepalatale sorda  vocali turbate nei dialetti gallo-italici  espressione obbligatoria del soggetto + varie forme di pronomi clitici soggetto  dialetti toscani: tra la linea La Spezia-Rimini e Roma-Ancona. Non tutta la Toscana appartiene a questo tipo di dialetti, che hanno come caratteristiche principali:  monottongazione  gorgia  pronuncia fricativa di affricate prepalatali sorda e sonora in posizione intervocalica  uso obbligatorio del pronome personale soggetto e sviluppo di pronomi clitici soggetto  dialetti mediani: Lazio (esclusa Roma ed estremità meridionale della regione, con caratteristiche di tipo meridionale continentale), Abruzzo occidentale, Umbria e parte di Ascoli (Marche). Caratteristiche comuni:  assimilazione di nessi consonantici -nd- > -nn- (meno diffusa -ld- > -ll-  metafonesi (innalzamento della vocale tonica)  sonorizzazione delle occlusive precedute da consonante nasale  affricazione di s dopo n-, l-, r-  distinzione tra -o e -u finali secondo etimologia latina I primi quattro fenomeni sono comuni anche ai dialetti meridionali.  dialetti meridionali continentali: tra la linea Roma-Ancona e parte settentrionale di Calabria e Puglia. Comprende Lazio meridionale, parte di Umbria e Marche, Abruzzo orientale, Molise, Campania, Basilicata. Area geografica che corrisponde in buona parte al regno di Napoli. Caratteristiche comuni (oltre a quelle già elencate):  dittongamento metafonetico, sia in sillaba aperta sia in sillaba chiusa → dittonghi con elemento vocalico chiuso  riduzione di vocali finali ad un’unica vocale indistinta, la schwa [ә] → perdita di distinzione morfologica di genere e numero  uso di possessivo enclitico con i nomi di parentela  accusativo preposizionale, complemento oggetto caratterizzato dal tratto [+umano] retto da preposizione a → presente anche in siciliano ed altre varietà romanze come lo spagnolo  dialetti meridionali estremi: Salento, parte meridionale della Calabria, Sicilia. Caratteristiche:  vocalismo tonico a cinque vocali  vocalismo atono finale a tre vocali [a, i, u]  pronuncia retroflessa Mobilità nel tempo e nei confini geografici dei dialetti: la dialettologia moderna è nata nell’Ottocento, dove si aveva l’idea erronea dei dialetti come eredità folclorica immutabile e come sistemi “puri”, non contaminati dalle evoluzioni che hanno invece interessato le lingue. Tutti i dialetti sono esposti al mutamento, anche se in realtà non si ha continuità di documentazione scritta per molti di loro; ci si può fare un’idea dell’evoluzione di veneziano, fiorentino, romanesco e napoletano. I dialetti sono stati coinvolti, in passato, in dinamiche di espansione/regressione areale determinate da rapporti di potere e da ragioni di prestigio reciproco → in alcuni Stati regionali preunitari si è verificata l’espansione a livello sovralocale della parlata della capitale. Vitalità dei dialetti: i primi censimenti non raccoglievano notizie sugli usi linguistici ma, a partire dal 1995, è possibile costruire una breve serie storica. In ogni caso, è bene ricordare che i dati sono basati su autodichiarazioni e non su misurazioni sugli usi effettivi. Dato più rilevante: uso dell’italiano esclusivo nella comunicazione con gli estranei e quota ormai residuale dei dialettofono esclusivi/analfabeti → risultato ottenuto aprendo nuovi spazi di coesistenza tra dialetto e lingua. I valori più alti di dialettofonia si registrano nel meridione e nell’Italia nordorientale, i valori più bassi nell’Italia nordoccidentale e l’uso del dialetto con gli estranei raggiunge valori più bassi nelle grandi aree urbane (migrazioni interne di stranieri ed italiani del sud). La coesistenza tra italiano e dialetto determina l’alternanza dei due codici: code switching se si passa da un codice all’altro, code mixing se si mescolano i due idiomi. Il ricorso al dialetto da parte di chi è in grado di farne a meno consente di vivere con più disinvoltura che in passato l’alternanza tra varietà → uso del dialetto percepito come varietà di repertorio e non deprivazione linguistica. Gli italiani regionali Quando si parla di italiani regionali, si intende italiani “di una certa zona”. Si può quindi parlare di un italiano regionale con riferimento ad una città, ad una subregione, ad una regione, un’area sovraregionale. Gli italiani regionali attuali si configurano essenzialmente come varietà parlate, le cui tracce sono prettamente percettibili nella pronuncia, nell’intonazione, nel lessico quotidiano. La variazione su base geografica è descrivibile nei termini di un continuum, ai cui estremi si pongono il dialetto locale e l’italiano standard. Nelle varietà intermedie: convergenza tra le varietà. Le varietà geografiche nel loro insieme mostrano un’evoluzione verso la progressiva diminuzione dell’impronta diatopica: gli italiani regionali si sono sempre di più avvicinati alla lingua comune ed i dialetti sono andati incontro ad un processo di italianizzazione. L’italianizzazione dei dialetti agisce a livello lessicale ed ha determinato la scomparsa di alcune denominazioni tradizionali; altra modalità è l’accoglimento in forma di prestiti adattati di nuovi referenti → la differenza tra dialetti ed italiani regionali va mantenuta in analisi storica, ma nella realtà è molto più attenuata. Gli italiani regionali appaiono differenziati soprattutto a livello prosodico e fonologico, ma la differenza riguarda anche il lessico, la sintassi, la morfologia. Nel consonantismo, nella morfologia e nella sintassi delle produzioni in italiano regionale tenderanno ad emergere alcuni tratti dialettali, ma l’emersione è selettiva → i tratti dialettali da cui si alimenta l’italiano regionale non sono dotati di uguale prestigio nella percezione dei parlanti, perché alcuni sono considerati come appartenenti al dialetto “basso” e quindi eliminati man mano che il livello di formalità cresce, altri sono mantenuti. Lo sforzo di cancellare i tratti locali più marcati può generare il fenomeno dell’ipercorrettismo, un errore generato da un eccessivo adeguamento alla norma di riferimento. Ciò che caratterizza maggiormente gli italiani regionali sono la fraseologia e il lessico → forte presenza di regionalismi nel lessico italiano e varietà di geosinonimi (modi diversi di denominare lo stesso referente). Le minoranze linguistiche storiche Sono presenti, nel nostro territorio, lingue di minoranza, usate da circa due milioni e mezzo di persone → comunità alloglotte. Settentrione: francese, provenzale e franco- provenzale in Piemonte/Valle d’Aosta; tedesco in Alto Adige, sloveno in Friuli → minoranze nazionali, confinano con nazioni in cui la lingua minoritaria è lingua ufficiale. In una cinquantina di comuni tra Trentino e Veneto si parla il Ladino. In alcuni comuni di Piemonte e Valle d’Aosta è parlato il walser, varietà del tedesco. Meridione: le lingue di minoranza appaiono territorialmente più frammentate e assumono la caratteristica di isole linguistiche. Minoranze albanesi e croate → arbëreshë parlato in comuni tra Abruzzo e Sicilia; comunità croate in tre comuni del Molise. Dialetti greci → Salento e provincia di Reggio Calabria. Isole linguistiche franco-provenzali a Celle e Faeto (Foggia), provenzale a Guardia Piemontese (Cosenza), varietà di tipo settentrionale in diversi comuni della Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia. Sardegna: catalano ad Alghero e tabarchino a Carloforte e Sant’Antioco. Per il sardo e il friulano va precisato che non si tratta di varietà uniche, ma di sistemi di lingue, che interessano aree ampie e minoranze numericamente consistenti. Non si può parlare di minoranza territoriale ma di minoranza diffusa per il rom e il sinti, presenti in Italia dal XV secolo. Non è solo il numero di parlanti a definire il grado di vitalità di una lingua: si è recentemente affermata l’ecologia linguistica → per le lingue minoritarie si stanno individuando politiche linguistiche in grado di contrastare il processo di estinzione. Il grado di vitalità di una lingua minoritaria si misura sulla base di molteplici fattori: trasmissione intergenerazionale (il fattore più rilevante), numero assoluto dei parlanti, proporzione tra questi e numero di parlanti della lingua maggioritaria, atteggiamento della comunità nei confronti della propria lingua, domini linguistici in cui è usata, grado di tutela legislativa cui è sottoposta. La legge di tutela delle minoranze linguistiche: la Costituzione (art. 3) sancisce l’uguaglianza dei cittadini anche dal punto di vista linguistico. Al successivo art. 6 precisa che La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. La legge di tutela delle minoranze è stata promulgata nel dicembre del 1999 (legge 482/99). Stabilito che la lingua ufficiale dello Stato sia l’italiano, elenca dodici varietà: albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, francesi, provenzali, friulane, ladine, occitane e sarde. Il principio seguito per individuare le lingue di minoranza ha a che fare con due caratteristiche: la territorialità (radicamento su un’area continua) ed antichità dell’insediamento (presenza storica di una minoranza all’interno del territorio in cui è parlata). Non è ben chiaro il criterio seguito per includere od escludere delle minoranze → cantare, in quanto alcune sue caratteristiche fonologiche lo rendono piuttosto “musicale”: sonorità data dalle vocali e dalle consonanti sonore, mancanza di vocali turbate, sillabe libere, isocronia sillabica. A partire dal Seicento, quando il prestigio dell’italiano comincia a calare, le stesse argomentazioni che spingevano a considerare l’italiano soave e musicale si ritrovano in un altro luogo comune: italiano lingua effeminata, idioma poco serio, adatto solo a teatranti e buffoni. L’associazione tra italianità e teatralità è ancora radicata. L’italiano scritto da stranieri: esempi di inserti di volgari italiani in opere straniere si hanno fin dal Medioevo, prima ancora delle origini della letteratura italiana. Citazioni di termini ed espressioni italiane continuano ad essere presenti nella letteratura straniera in tempi più recenti → uso consapevole dell’italiano come lingua è fatto postrinascimentale. Caso diverso è quello dell’uso scritto ufficiale che la nostra lingua ha conosciuto tra Cinquecento ed Ottocento nei territori dell’Impero ottomano (come già detto). Italiano e italiani all’estero dopo l’Unità La crisi economica che seguì all’edificazione dello Stato unitario determinò la crescita esponenziale dell’emigrazione, che assunse dimensioni tali da diventare un fattore rilevante anche dal punto di vista linguistico. Anche l’avventura coloniale (governi liberali e fascismo) è fondamentale nella storia della lingua: nuove vie di diffusione dell’italiano all’estero di accoglimento di parole esotiche nel lessico italiano. La presenza nel mondo di una comunità di persone di origine italiana ha determinato una forte attrattiva dell’italiano come sistema culturale → italiano una delle lingue più studiate al mondo. L’emigrazione: dal 1870 al 1970 sono espatriati tra i 20 ed i 25 milioni di italiani. Si possono distinguere due fasi: primo trentennio di emigrazione più contenuta, poi periodo di massima intensità nel ventennio 1891-1911. Destinazione principale le Americhe, dapprima l’America del Sud mentre, verso la fine del secolo, soprattutto la parte settentrionale e l’Oceania. L’Europa fu meta delle immigrazioni italiane solo dopo il secondo dopoguerra. Il 40% degli emigrati era di origine settentrionale, il rimanente del Mezzogiorno → l’emigrazione ha avuto un impatto più marcato sulle regioni meridionali, meno popolate. L’inversione di tendenza (Italia meta di immigrazione) si è avuta negli anni Settanta. Negli ultimi quarant’anni i flussi di italiani verso l’estero non sono cessati, ma si sono modificati → attualmente gli italiani all’estero sono oltre 5 milioni, tra loro sempre più giovani con alti tassi di scolarizzazione. Sono individui consapevoli dei legami con l’identità italiana, a volte espressi criticamente: l’attaccamento alle proprie radici è spesso unito al risentimento per il sentirsi abbandonati dalle nostre istituzioni. Effetti linguistici dell’emigrazione: occorre considerare il quadro socioculturale in cui avviene l’emigrazione → analfabetismo e dialettofonia. L’emigrazione fu un potente fattore propulsivo per l’alfabetizzazione/processi socioeconomici: stabilire comunicazione con altri immigrati provenienti da diverse regioni ed urgenza di condividere affetti ed affari con familiari rimasti a casa → preoccupazione dei genitori emigrati per la scolarizzazione dei figli. In epoca postrisorgimentale si svilupparono iniziative private a carattere solidaristico che cercavano di garantire i rudimenti dell’alfabetizzazione agli emigrati e ai loro familiari (es. Società Dante Alighieri, 1889, guidata da Giosue Carducci) → si invita a prendere esempio dalle altre nazioni europee per costruire le basi di una politica culturale per non abbandonare gli emigrati e mantenere il legame linguistico e socioculturale. Le associazioni non tennero però conto della condizione di dialettofonia di partenza → emigrati costretti a realizzare language shifting dal dialetto all’italiano. Il rapporto con la lingua d’origine: lo sviluppo del repertorio linguistico di seconde/terze generazioni di emigrati mostra caratteristiche ricorrenti, influenzate dal grado di scolarizzazione della prima generazione. Genitori dialettofoni e poca scolarizzazione: seconda generazione perde il dialetto (la famiglia gli attribuisce poco prestigio), conquista di padronanza della lingua del Paese di residenza. Terze generazioni: pochi elementi del dialetto d’origine, padronanza completa della lingua del Paese di residenza → non ricevono l’italiano per trasmissione verticale. Il repertorio degli emigrati si è evoluto seguendo tre fasi:  diglossia → emigrati alternano dialetto e varietà rudimentali di American English  triglossia → emigrati alternano dialetto, rudimentali forme di italiano (comunicazione con altri emigrati) e American English  diglossia → italiano e American English Queste tre fasi innescano meccanismi di interferenza dell’italiese e di identità mutila → erosione linguistica della lingua d’origine. Per chi vive all’estero, l’italiano si presenta in tre modi:  lingua appresa a scuola  lingua della comunicazione → contatti diretti dati dal digitale  lingua recepita attraverso i simboli di italianità visibili nel panorama linguistico urbano delle principali città del mondo (successo dello stile di vita italiano) Nel caso dell’emigrazione più recente (genitori con più competenza nella lingua), nei figli si può instaurare un bilinguismo stabile → completa padronanza dell’italiano e della lingua del Paese di residenza. Del tutto diversa la sicurezza nei confronti della propria identità. Varietà a base italiana nate da situazioni di contatto:  cocoliche e lunfardo in Argentina. L’Argentina figura al secondo posto, dopo gli Stati uniti, per numero assoluto di emigrati italiani. Ancora oggi, per la forte presenza di popolazione di origine italiana, si dice che “los argentinos son italianos que hablan español”. Le condizioni di sviluppo del cocoliche furono le grandi concentrazioni di italiani nella zona metropolitana di Buenos Aires. Cocolicchio era una macchietta del teatro comico popolare argentino → immigrato calabrese che si rende ridicolo per il modo in cui si veste, parla e si comporta. Il cocoliche è l’incontro di diverse varietà dialettali italiane con lo spagnolo dell’Argentina → pidgin (idioma derivante dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali): instabilità e tendenza alla semplificazione del sistema grammaticale della lingua dominante (lo spagnolo), come cancellazione dei fonemi più difficili, tendenza ad omettere la -s come marca morfologica di nomi al plurale. Il cocoliche si differenzia da veri e propri pidgin per alcune ragioni:  italiano e spagnolo sono strettamente imparentati  usato da emigrati italiani e discendenti, ma non da argentini  non esisteva marcato squilibrio tra lingua-cultura di emigrati e lo spagnolo  emigrati italiani esposti ad input esteso Il lunfardo è il gergo della malavita. Si formò a fine Ottocento nelle prigioni di Buenos Aires per non farsi capire dai secondini, poi si diffuse anche nei bassifondi di Buenos Aires e sopravvive ancora oggi nella lingua del tango. Caratterizzato dalla struttura grammaticale spagnola + inversione semantica tipica dei gerghi. Altra tecnica del lunfardo è il vesre → camuffamento lessicale ottenuto dall’inversione delle sillabe.  Fremdarbeiteritalienisch, “italiano dei lavoratori stranieri” in Svizzera. Il termine indica l’italiano parlato in situazione di contatto plurilingue dai lavoratori stranieri presenti in Svizzera, in particolare a Zurigo. La base della varietà è la lingua parlata dal gruppo più consistente di lavoratori. Sviluppatosi negli anni Ottanta → 1/3 dei lavoratori stranieri era italiano, seguito da ex Jugoslavia, Spagna, Turchia, Portogallo, Grecia. Varietà utilizzata per la comunicazione orale in contesto strettamente lavorativo, al posto dello svizzero tedesco. Presenta molti tratti di semplificazione del sistema grammaticale → sovraestensione di terza persona del presente, uso di infinito come forma polivalente etc.  italiano semplificato di Etiopia. Si crea come varietà di foreign talk e sopravvive anche nel dopoguerra, perché continua ad essere usato in Etiopia ed Eritrea. Neutralizzazione tra /p/ e /b/, deaffricazione di /t͡ʃ/, tendenza a ristrutturare sillabe secondo modelli più semplici, riduzione del sistema verbale a due forme (infinito e participio passato) e casi di evoluzione semantica di italianismi.  siculo-tunisino. Si tratta di una lingua a base siciliana ibridata con elementi del dialetto arabo di Tunisia e del francese. Legata alla comunicazione orale. Situazione di code mixing. Lo sviluppo del siculo-tunisino si deve alla forte presenza di italiani in Tunisia tra Otto e Novecento. Gli italianismi sono diffusi in Tunisia e nel resto dell’Africa grazie ad enogastronomia, moda, ricezione televisiva (soprattutto del campionato di calcio italiano).  lingua franca mediterranea. Per almeno tre millenni, il Mar Mediterraneo è stato il centro di traffici commerciali di primaria importanza → occasione di contatto tra persone di lingua diversa, che ha generato una lingua veicolare, detta lingua franca, il cui secondo termine designa tutti gli europei cristiani. Varietà legata alle esigenze comunicative primarie e alla comunicazione orale. Importanti le notizie ricavabili dai resoconti di viaggiatori ed il dizionario della lingua franca, destinato ai soldati del corpo di spedizione francese in Algeria. E’ una lingua a base romanza, lessico modellato sui volgari italiani ma anche spagnolo; grammatica semplificata e ripetizioni con funzione intensificatrice. Oggi è definitivamente scomparsa, ma il termine lingua franca è rimasto ad indicare una varietà di lingua semplificata sorta in situazioni di contatto plurilingue, oppure una lingua non nativa per nessuno degli interlocutori.  itangliano di Stati Uniti, Canada ed Australia. L’ondata migratoria più intensa ha riguardato gli Stati Uniti: la comunità di cittadini di origine italiana negli USA ammonta oggi a circa 16 milioni di persone. L’emigrazione ha riguardato soprattutto italiani del sud → emigrazione di gruppo, che ha limitato le opportunità di integrazione: es. Little Italy a Manhattan. Nella parlata della comunità italoamericana newyorkese sono presenti tratti di koinè basata sull’unione di forme presenti nei dialetti meridionali → sovraestensione dell’ausiliare avere, uso di tenere invece che avere, prima persona singolare dell’imperfetto in -a invece che in -o, semplificazione della morfologia. Anche adattamenti di parole inglesi riconducibili a tipologie ricorrenti:  adattamento fonomorfologico; es. bucco = book  adattamento fonomorfologico favorito dall’accostamento a “falsi amici” italiani; es. coppa = cup  calchi semantici; es. luce al posto di semaforo per traffic light. L’avvento coloniale: l’avventura coloniale del neonato Stato italiano durò circa un sessantennio (1882-1943/44). In questo lasso di tempo, l’Italia occupò una fascia L’immigrazione in Italia Negli anni Settanta del Novecento l’Italia ha invertito la tendenza e ha iniziato a ricevere immigrati, arrivando quasi ad eguagliare la media di presenze straniere nei Paesi dell’Unione Europea. Spiccano due elementi:  eterogeneità dei Paesi di provenienza. Le comunità più numerose sono costituite da cittadini di Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina  distribuzione ineguale sul territorio. Gli immigrati sono concentrati nelle aree economicamente più sviluppate del centro-nord (in ordine, maggior numero di immigrati in Emilia-Romagna, Lombardia, Molise, Umbria, Veneto). Si sono stabilizzate alcune caratteristiche sociologiche dell’immigrazione emerse negli anni precedenti: graduale pareggio tra uomini e donne ed aumento dell’immigrazione famigliare → ruolo rilevante sugli assetti demografici e sul futuro radicamento territoriale delle seconde generazioni. Stranieri o nuovi italiani? Gli immigrati giunti in Italia da adulti sviluppano una competenza linguistica che segue un percorso tipico di chi apprende spontaneamente una lingua, che può essere poi affinata per mezzo dello studio formale → in alcuni casi, la persona immigrata arriva anche a livelli di competenza avanzata. Diversa la situazione delle seconde generazioni, bambini nati in Italia/arrivati nei primi anni di vita → G2 bambini nati in Italia da genitori stranieri; G1,75 bambini arrivati in Italia entro il sesto anno di vita; G1,5 quelli arrivati tra i 6 e 15 anni. Per loro, l’italiano non è lingua madre, ma non è nemmeno appresa come seconda lingua; proposte varie etichette: lingua di contatto (apprendimento dell’italiano affiancato a quello della lingua d’origine, parte integrante di scolarizzazione, socializzazione, costruzione identitaria), lingua adottiva (seconda lingua madre), lingua filiale (in opposizione a quella materna, i bambini svolgono una sorta di mediazione culturale nei confronti dei genitori). L’arrivo di un figlio ha forti conseguenze sull’integrazione linguistica del genitore, che è spinto ad utilizzare l’italiano in una serie di ambiti comunicativi più ampi → circolo virtuoso che fornisce al genitore le motivazioni per impadronirsi della competenza dell’italiano. Si continuano a definire “stranieri” bambini e adolescenti che sono nati e cresciuti in Italia, ma che non risultano italiani perché la legge prevede norme improntate sullo ius sanguinis anziché sullo ius soli/ius culturae. In Italia, la cittadinanza può essere richiesta solo dal diciottesimo anno d’età e richiede soddisfacimento di condizioni piuttosto restrittive, oltre che tempi lunghi. Gli studenti “stranieri” si possono collocare in due categorie:  nati in Italia, sovrapponibili, per competenze linguistiche, agli italofoni  neoarrivati, coloro entrati nel sistema scolastico da meno di un anno Nel mezzo, situazioni diverse per vissuto: minori adottati con procedure internazionali e bambini nati da matrimoni misti risultano italiani a tutti gli effetti. Come già visto, la trasmissione della lingua d’origine alle generazioni successive a quelle dell’emigrazione è sottoposta ad un progressivo processo di erosione, che comporta la ristrutturazione del repertorio sociolinguistico → da ricordare che alcuni immigrati sono analfabeti, altri hanno alto livello di scolarizzazione. Le modalità di avvicinamento all’italiano da parte delle seconde generazioni sono quindi influenzate da altri fattori: attitudini individuali, stabilità del progetto migratorio, distanza tipologica con la lingua d’origine. Si possono considerare bilingui solo gli appartenenti alle seconde generazioni → bilinguismo sottrattivo: la lingua d’origine viene usata in maniera sempre più limitata. Il repertorio delle nuove comunità immigrate Nel contesto familiare, l’uso della lingua d’origine è prevalente, anche se l’italiano occupa uno spazio importante → il dato è comunque disomogeneo, perché la realtà è variegata e contempla anche la mescolanza tra codici. In Italia il processo di convergenza della lingua verso lo standard è stato caratterizzato da una tradizione altamente normativa: modelli letterari, scuola, grammaticografia esplicita → condizioni che hanno portato a bilinguismo sottrattivo, preferenza per una varietà rispetto all’altra. La selezione del codice in un contesto di minoranze linguistiche è governata in primo luogo da fattori esterni, i più rilevanti sono:  sistema di valori e relazioni gerarchiche assegnate a ciascuna varietà nel repertorio della comunità  atteggiamento della comunità verso la lingua e il dialetto della comunità ospitante  presenza di lingue ponte utili per assicurare intercomprensione Occorre poi tenere inconsiderazione fattori interni, dipendenti dalle caratteristiche di scambio conversazionale. Se ci si trova in un contesto di interazione asimmetrica, la selezione del codice è governata da chi detiene maggior potere e svolge il ruolo del regista dello scambio. In alcuni casi la negoziazione fallisce perché i registi dello scambio vogliono far usare l’italiano agli stranieri e quindi insistono nell’usare l’italiano. I contatti in ambito lavorativo tra parlanti di madrelingua diversa, costretti a servirsi dell’italiano, sono esempio di interazione simmetrica → occasioni per la sperimentazione di nuove forme di interazione. Diversa la funzione metaculturale → commistione e sovrapposizione consapevole dei codici, che però è occasionale e non intacca il sistema della lingua, anche se vi potrebbero scaturire processi di innovazione lessicale. Verso l’italiano: le varietà di apprendimento Del repertorio dei nuovi italiano fanno parte le varietà di apprendimento. Sono varietà instabili e provvisorie, che evolvono verso una competenza ottimale della nostra lingua. A partire dagli anni Ottanta, si sono sviluppati in Italia gli studi di linguistica acquisizionale, che hanno per oggetto l’italiano appreso come L2 dagli adulti, per individuare le fasi del processo di apprendimento spontaneo di una L2. A differenza di quanto avviene nell’apprendimento guidato, quello spontaneo non è influenzato dalla sistematizzazione operata dal docente → frutto di ipotesi sul funzionamento della lingua che si sta imparando e conseguente elaborazione di una grammatica mentale provvisoria, che si avvicina per tappe a quella del nativo → si può parlare di interlingua, termine introdotto da Larry Selinker nel 1972. Gli errori che l’apprendente compie non sono sintomo di ciò che non sa fare, ma di quello che sa fare in quel momento; l’analisi degli errori assume un valore diagnostico, permette di fare una fotografia del livello di competenza di un apprendente in un dato momento. L’analisi degli errori può essere anche prognostica, aiuta a formulare ipotesi sullo sviluppo futuro delle competenze. La linguistica acquisizionale ha tentato di superare l’approccio della linguistica contrastiva, che metta in risalto transfer ed interferenza → L1 e L2 presentano differenze strutturali = interferenza genera transfer negativo (l’apprendente è portato a trasferire le proprie abitudini linguistiche alla lingua che sta studiando); L1 e L2 hanno analogie strutturali = transfer positivo (agevolato sviluppo di una determinata struttura). L’interlingua è frutto di un processo di elaborazione autonoma dell’input e porta ad elaborare ipotesi sul suo funzionamento, mentre gli errori sistematici sono riconducibili a categorie che testimoniano la messa in campo di altre strategie, che consistono essenzialmente:  sovraestensione di paradigmi (applicazione di una regola al di là del suo ambito d’uso)  evitamento/cancellazione provvisoria di elementi strutturalmente difficili; particolare tipo di cancellazione, la lessicalizzazione (si usa il lessico per fornire un’informazione che non si è ancora in grado di esprime morfologicamente)  elaborazione di forme assenti dall’input → uso creativo della lingua Queste sono strategie generali → lo sviluppo dell’interlingua segue tappe relativamente indipendenti dalla L1 dell’apprendente, che segue un percorso in grado di portare alla formulazione di regole provvisorie. Per descrivere lo sviluppo della competenza in una lingua straniera si usa far riferimento a livelli individuati dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue → tre gradi di autonomia dell’apprendente (A, B, C), a loro volta suddivisi in due sottolivelli (A1, A2, B1, B2, C1, C2). Negli studi acquisizionali, le categorie sono: basiche, postbasiche, avanzate. Tra i settori più complessi del sistema grammaticale italiano si colloca la morfologia verbale → verbo: categoria variabile, molteplici funzioni. Lo sviluppo dell’interlingua si può descrivere attraverso la formulazione di sequenze acquisizionali, che hanno significato sia cronologico sia logico- implicazionale. Vi sono alcune circostanze che possono però arrestare il percorso → fossilizzazione, che impedisce di raggiungere la competenza del parlante nativo, attribuibile a fattori di natura diversa: scarse occasioni di usare la lingua, mancanza di motivazioni etc. L’italiano dei nuovi italiani: l’impronta linguistica Distinzione tra lingue dei migranti e lingue immigrate. Lingue migranti: transitorie, lasciano poca traccia di sé nel panorama linguistico, ma anche nell’immaginario della comunità ospite. Lingue immigrate: radicate, lasciano tracce nelle scritte, si ascoltano nei luoghi pubblici, musica, TV. Per effetto di queste dinamiche di contatto, stanno entrando in italiano nuovi termini di lingue esotiche, prestiti di necessità volti ad introdurre referenti non ancora presenti nell’orizzonte culturale italiano → riferibili alla cultura d’origine (cibo, vestiti, riti etc.). Sono integrati nell’italiano grazie all’aggiunta di suffissi. L’italiano dei nuovi italiani: l’uso espressivo della lingua “Abitare” la lingua significa appropriarsi di tutti i suoi spazi, non solo quelli legati ai bisogni comunicativi immediati. Gli scrittori stranieri che nel passato hanno usato l’italiano erano mossi dal prestigio conquistato all’estero dalla nostra cultura, ma rimanevano stranieri, e avevano imparato l’italiano nella loro patria. I nuovi italiani che scelgono la nostra lingua per la narrativa, invece, vivono immersi nella realtà italiana. La scelta dell’italiano da parte di uno scrittore straniero può assumere significati diversi: le radici di un individuo/popolo tendono oggi ad essere percepite come ancore, che possono essere tirate su e rigettate in un posto diverso da quello di nascita senza danni per lo “sradicato”. Nella letteratura della migrazione mergono alcuni nuclei ricorrenti:  introduzione di nuovi referenti, legati alle culture locali. Ciò genera nuovi prestiti, che si riferiscono a piatti tipici, vestiti, usanze.  attrito interlinguistico/interculturale genera attenzione costante per la riflessione sulla lingua → ironia su frasi idiomatiche italiane che non si colgono al volo, ma più di frequente si trasferiscono metafore/proverbi della lingua d’origine nella lingua d’adozione.  rinnovato rapporto tra oralità e scrittura; gli autori spesso provengono da culture in cui la storia è ascoltata prima di essere letta.
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