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Linguistica italiana: storia e parametri di variazione linguistica, Appunti di Linguistica

Una panoramica sulla storia della lingua italiana, partendo dal latino e arrivando all'italiano contemporaneo. Vengono inoltre analizzati i parametri di variazione linguistica, ovvero diacronia, diatopia, diastratia, diafasia e diamesia. Viene anche spiegata la nozione di 'continuo' e 'discreto' e viene mostrata una cartina dell'Impero Romano con le differenze nell'uso della lingua. Infine, vengono presentati esempi di parole popolari e dotte e viene analizzato il primo documento in italiano, l'Indovinello Veronese.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 10/06/2022

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Scarica Linguistica italiana: storia e parametri di variazione linguistica e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! LINGUISTICA ITALIANA L’italiano è la continuazione del latino. L’italiano dei primi secoli veniva chiamato “Volgare”. Italia attraversata da catene montuose, che sono ostacoli. Per “italiano contemporaneo” intenderemo l’italiano del ’900 come continuum fino ai giorni nostri (italiano dal secondo dopoguerra ad oggi). Momento decisivo è il passaggio da dialetto a lingua italiana; quando mamme decidono di abbandonare dialetti per insegnare e parlare ai figli in italiano. Livelli in cui si può analizzare una lingua sono 5: 1. Fonologia = livello pertinente; suono linguistico distintivo di una lingua. Non tutti i fonemi sono fonemi in altre lingue. Qui la semantica non è coinvolta. 2. Morfologia = qui compare la semantica (significato). Livello infra-lessicale (sotto la parola). ‘Morfema’ è unità minima morfologica. Es: gatt-o / gatt-a; gatt-in-o / gatt-in-a. 3. Lessico = ‘Lessema’ è unità minima lessicale. Es: vecchio / anziano. 4. Sintassi = ci sono due ordini di sintassi; uno è un ordine che si interessa alle singole parole di una proposizione semplice (microsintassi); l’altro è un ordine che si interessa alle singole proposizioni di una frase complessa (macrosintassi). Italiano ha struttura SVO; latino ha struttura SOV. 5. Testualità = testo è nozione molto variabile, può essere libro intero, capitolo o scritta ‘stop’ per terra. Es: Il Trattato di Pace è stato firmato. LO riportano in prima pagina tutti. “LO” si riferisce non al Trattato, ma all’intera frase. Non è un pronome, ma un PROFRASE. PARAMETRI DI VARIAZIONE LINGUISTICA 1- DIACRONIA = variazione linguistica nel tempo; 2- DIATOPIA = variazione linguistica nello spazio; 3- DIASTRATIA = variazione linguistica in base alle condizioni del soggetto/gruppo sociale (grado istruzione + condizioni economiche); 4- DIAFASIA = variazione linguistica in base alla situazione/contesto; 5- DIAMESIA = variazione linguistica in base al mezzo utilizzato. CONTINUUM Nozione di ‘continuo’ vs. nozione di ‘discreto’ A___________________________B Nei segmenti da un estremo ad un altro estremo, possiamo immaginare numero infinito di varietà. ROMANIA ANTICA 1 Cartina ci mostra la massima espansione dell’Impero Romano sotto Traiano, nel II secolo d.C. Impero Romano è tutto ciò che non è in bianco (sia grigio, sia con righe). All’epoca tutta la parte meridionale della Gran Bretagna era Impero Romano, fino a Vallo di Adriano. Differenza data dei colori è la differenza nell’uso della lingua. Grigio: forte affermazione LATINO. Latino come lingua di comunicazione e di scambio. Lingua di chi ha prevalso militarmente. Romani non hanno mai imposto il Latino a tutte le province dell’Impero, ma viene scelta per prestigio. Questo serve a capire come mai dall’altra parte ci sono popolazioni che utilizzano il Greco come lingua di comunicazione. Latino è comunque usato ma in misura minore. Parola adottata dai linguisti per indicare territori in cui veniva usato Latino come lingua di scambio è ROMANIA (ANTICA). ROMANIA MODERNA 2 Latino: CADAVER – ‘cadavere, carogna’; latino: CARO – ‘carne’ IPOTESI: CARO > *CARONIA *(asterisco si appone davanti alle parole ipotizzate). PAROLE POPOLARI E PAROLE DOTTE Lessico patrimoniale = lessico che ci è stato lasciato in eredità. Queste parole che sono state usate e si sono modificate nell’uso sono chiamate parole POPOLARI. Aurum > oro Florem > fiore Glaream > ghiaia Nivem > neve Vs Aureus > aureo Flora > flora Gloria > gloria Niveus > niveo Queste sono parole dotte perché non hanno continuità d’uso, sono state ripescate dal latino e adattate all’italiano. PRIME DOCUMENTAZIONI DEL VOLGARE  Indovinello veronese Scrittura a mano probabilmente veronese a fine VIII o inizio IX secolo. Non si rendono conto della lingua che usano; pensano di usare latino ma in realtà è latino volgare, italiano che sta nascendo. Problema della consapevolezza linguistica dell’autore! 5 (Confronto con documento in francese: Giuramenti di Strasburgo (842). Sono dei patti che vengono stretti tra due fratelli, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, nipoti di Carlo Magno. Il terzo fratello, Lotario I, è l’imperatore. Alleanza che stringono di tipo difensivo nei confronti del fratello imperatore; promessa all’altro di non stringere patti di alleanza con Lotario I. Viene redatto in due lingue: antico germanico e antico francese. Carlo, di lingua proto-francese, giurò in alto-tedesco antico; Ludovico, di lingua germanica, giurò nella lingua romanza del fratello. Questo perché il giurante deve far capire il documento ad entrambe le parti. Qua c’è piena consapevolezza linguistica). Codice dell’Indovinello Veronese: scritto a Toledo, primo VIII secolo (711: occupazione araba). Passa poi per la Sardegna e arriva a Verona. Aggiungiamo che i codici in tempo medievale erano cosa preziosa; superfici non andavano sprecate, non si buttava via niente. Disegno di diavoletti in cerchi che fanno la linguaccia. Iscrizioni sulla parte alta: alcune parole iniziano con CROCE. Bisogna capire se mano che ha scritto la prima riga sia la stessa mano che ha scritto la seconda. “+ Se pareba boues alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen | seminaba” (= “Spingeva davanti a sé i buoi, prati bianchi arava e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava”) “+ gratias tibi agimus omnip(oten)s sempiterne d(eu)s” (= “grazie a te oh Dio onnipotente ed eterno”). Persona che sembra colta e consapevole. Anche a colpo d’occhio non sembra la stessa mano. Probabilmente prima è stata scritta la formula di ringraziamento a Dio e poi è stato scritto l’indovinello appena sopra, per il fatto che frase superiore si conclude a capo, arrangiandosi con spazio tra prima e seconda riga. Assomiglia a “Il piccolo aratore” di Pascoli: “Ara, bel bello, semina col suo piccolo mantello: il campo è bianco, nera la sementa”. Soluzione indovinello = si parla di SCRITTURA. I buoi sono le dita, i prati bianchi sono il foglio e il nero seme è l’inchiostro. Cruciale è la traduzione del “se pareba” in quanto ci sono due possibilità: la prima è prendere il significato del verbo “parere”; la seconda possibilità è prendere il significato del verbo “parare”, ma in questo caso ha un senso più pieno perché in area veneta ha il valore di “spingere”, adottata nella traduzione. Dal punto di vista linguistico, la scelta interpretativa e traduttiva ha un valore fondamentale. 6 Aggettivo “Bianco” – “Alba” – potrebbe essere già un latinismo come no. Stessa cosa succede con “Versorio” – “Versorum” è latino ma allo stesso tempo potrebbe essere parola diffusa in area veneta. ELEMENTI DEL LATINO ELEMENTI DEL VOLGARE Terminazione plur. in -s Negro (e non nigro) Assenza articolo Se pareba: parare o parere? Pratalia (e non -d-) Se (e non sibi) -aba, -eba (e non -v-) Scomparsa delle consonanti finali (-t nei verbi, -m nei sostantivi)Albo Semen Versorio (ma sett. Versor) È documento che ci attesta uno stadio ancora composito, di difficile interpretazione, dove stanno però emergendo elementi del volgare. Se persona che ha scritto ringraziamento è la stessa che ha scritto l’indovinello, significa che questa persona ha consapevolezza della lingua che sta usando, lingua nuova. Se invece così non fosse, la consapevolezza linguistica non ci sarebbe.  Iscrizione di Commodilla Non è Commodilla l’autrice, ma è stata ritrovata dove è stata sepolta. Questi luoghi sotterranei vengono usati anche come luoghi sacri dove deporre le spoglie di figure venerate. 7 Siamo sempre a Roma, in tempi più recenti (1084-1129). Questa iscrizione si trova nei sotterranei della Basilica di San Clemente. A mano a mano che si scende, l’affresco è rovinato dall’umidità. A noi importa proprio la fascia inferiore, dove troviamo dei brani del volgare usato al tempo. La chiesa attuale non è la stessa di quella dove è stato dipinto affresco – era una chiesa sotterranea. Joseph Wilpert, archeologo tedesco, nel 1906 soggiorna a Roma e riproduce alcune opere che aveva visitato ed esaminato. Grado d’accuratezza dell’acquarello di Wilpert è stato verificato ed è stato giudicato fedele all’originale. A seguito del sacco dei Normanni, abbiamo lavori di restauro. Vengono costruiti dei muri di sostegno. Affresco di cui parliamo si trova in uno di questi muri (quindi sicuramente è stato dipinto dopo il 1084). Nella fascia intermedia abbiamo un uomo e una donna. Donna di una famiglia nobile romana si converte al Cristianesimo grazie alla predicazione di San Clemente (miracolo di San Clemente) e questo contraria il marito (Nobile Sisinio) il quale, assistendo ad una predica di San Clemente, perde vista e udito. Elabora quindi un piano di vendetta, infatti ordina ai servi di catturare San Clemente e ucciderlo. I servi pensano di aver catturato San Clemente ma in realtà trascinano una colonna di pietra scura pesantissima. A destra c’è Sisinio che ordina l’uccisione di San Clemente. Da sinistra verso destra troviamo una serie di scambi linguistici. Area A: ‘Falite dereto co lo palo Carvoncelle’ Area B: ‘Duritiam cordis vestris’ - troviamo il Latino, non il Volgare. Area C: ‘Saxa traere meruistis’ - troviamo il Latino, non il Volgare. 10 Area D: ‘Albertel trai<te>’ Area E: ‘Gosmari’ Area F: ‘Sisinium’ Area G: Fili de le pute traite. Questo documento è parzialmente in Latino e parzialmente in volgare. Perché abbiamo questo bilinguismo? Perché le parole in Latino sono quelle pronunciate da San Clemente. Non è Latino classico, è Latino imperfetto; ci sono una serie di errori. Chi dice queste battute? C’è chi dice che le dice tutte Sisinio, ma non è così. Pensando ai fumetti e alle nuvolette, qua le parole vanno verso il destinatario. Tratti del latino classico: la finale ‘e’ di “Carvoncelle” a caso vocativo (per rivolgersi a qualcuno). FATTI LINGUISTICI -Grafia --difficoltà di rappresentare /gl/: fili, falite --rappresentazione grafica dei radicamenti: pute, Sisinium/Carvoncelle -Fonologia --terminazione vocale sempre in -o --dereto < DE RETRO --RB > rv: Carvoncelle -Morfologia, sintassi --vocativo: Carvoncelle --preposizioni articolate: de le, co lo --ordine dei pronomi atoni: falite dativo + accusativo (fa+gli+ti) 11 I CANZONIERI DELLA POESIA ANTICA  Vaticano Latino 3793 Con il Duecento, abbiamo comparsa di una produzione poetica del Volgare Italiano, che diventa codice linguistico scelto per tradizione poetica. La rilevanza e la qualità di questa produzione sarà una delle condizioni per cui letteratura italiana avrà alcuni dei suoi vertici. Tratto speciale della nostra storia letterale: abbiamo quasi subito i nostri capolavori. Differente situazione per lingua letteraria per poesia e per la prosa: avanzata per poesia e arretrata per la prosa. Per considerare poeti Scuola Siciliana, bisogna costruire quadro di sfondo. Come si è tramandata questa poesia? Attraverso grandi collezioni di testi poetici, che vengono scritti ed esemplati a fine Duecento/inizio Trecento. Questi codici, che potevano essere anche molto voluminosi, prendono il nome di CANZONIERI. Quando parliamo del Vaticano Latino 3793, bisogna dire che è un codice fabbricato a Firenze tra fine Duecento/inizio Trecento. Codice non particolarmente prezioso dal punto di vista della scrittura e delle miniature. Scrittura di area mercantesca (copisti no di professione). Si tratta di persone che sapevano scrivere e scrivevano abitualmente per tenere i conti. Erano persone piuttosto benestanti, che avevano una specie di passione per testi poetici e quindi li raccoglievano più che potevano. Questa potrebbe essere o trascrizione di codice che già esisteva, oppure mette insieme codici diversi che piacevano (d’altronde, sono opere di appassionati). 12 scrivere il De Vulgari Eloquentia, era più urgente. Ce lo dice Dante stesso in un pezzo del Convivio. Convivio I v 10 “Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libello ch’io intendo fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenza.” Il suo progetto doveva inizialmente avere 15 libri (con ‘libro’ si intende una sezione ampia di un’opera), ma finirà per scriverne 4. È opera in volgare (volgare italiano, non volgare latino). Dante, in maniera inequivocabile, afferma la superiorità del latino. Si rivolge a pubblico di lettori che non conosce questi argomenti, non è pubblico di dotti. Scelta del codice è in Dante una scelta ‘strategica’ che si rifà alla scelta di un pubblico. Dante nelle prime battute del Convivio precisa che ciò che sta per esporre è stato accuratamente controllato e corrisponde al vero. Canzoni dottrinali e danze (portate principali del pasto) e commenti (pane, portata di accompagnamento). Questo commento ha difetto intrinseco, cioè è scritto in volgare e non in latino. La giustificazione a questa cosa sta in tre motivi: cautela di procedere per un ‘ordine’ che è sbagliato (“la cautela di disconvenevole ordinazione”); la sollecitudine di essere generosi, si è pronti quando si danno le cose che non sono state chieste perché si capisce il bisogno dell’altro (“la prontezza di liberalitade”); il naturale amore dell’uomo verso la propria lingua (“lo naturale amore a propria loquela”). Questo commento è scritto a mo’ di servo alle canzoni, sotto ogni punto di vista e questi commenti (che sono ‘servi’) devono conoscere il bisogno del loro signore (le canzoni) e ciò che gli piace. Latino è più forte, nobile, virtuoso e bello del Volgare per definizione. È più nobile perché il Latino è immutabile; il Volgare è invece mutevole, instabile. Punto cruciale! Prima volta che Dante avanza posizione di questo tipo. Sembra che ci stia dicendo che sono due lingue di natura diversa. Sta sostenendo che Latino non può cambiare: non sta solo dicendo che si conserva bene. Questo ci sorprende profondamente, perché Dante è molto consapevole di come tutto è sottoposto al mutamento storico (esseri umani, fortune storiche, lingua). Ciò che per Dante è già chiaro è che Latino è lingua eterna, diversa dalle altre. Non esiste scrittore in questo momento storico che parli di come una lingua muti nel tempo. Sta dicendo cose che ancora non si erano rivelate. “Il Filosofo” è Aristotele e nel suo secondo libro di Fisica dice che una cosa può avere più cause efficienti, cioè una cosa può essere originata da più fattori. “Questo MIO volgare” fu causa che i miei genitori si congiungessero perché parlavano con esso; ciò significa che se non fosse esistito Volgare i suoi genitori non avrebbero potuto comunicare e non si sarebbero conosciuti. Dante ha imparato il Latino grazie al Volgare, perché col Volgare gli è stato insegnato il Latino. 15 Il Volgare è un sole nuovo che sorge e illumina; il Latino è un sole che sta tramontando. Sembra quasi contraddizione con quanto diceva prima. In realtà sta dicendo che Latino ad un certo punto tramonterà, tenderà a scomparire.  De Vulgari Eloquentia (1304-1306) – inizialmente erano previsti 4 libri, ma ne scriverà solo 2. Opera scritta in latino. Dante, in maniera inequivocabile, afferma la superiorità del volgare. Quella che noi leggiamo è una traduzione di Tavoni. Dante afferma che nessuno mai si era interrogato sull’uso del Volgare e sul sapere relativo all’uso del Volgare (“la dottrina dell’eloquenza” volgare”); nonostante questo, la conoscenza di questa lingua riguarda tutti (uomini, donne e bambini). Volgare come lingua di scambio e comunicazione. Questa opera è rivolta ai dotti, per spiegare l’importanza del Volgare in Latino. Bambini imparano Volgare ascoltandolo da chi si prende cura di loro. Al fianco del Volgare, lingua irregolare (senza regole) e acquisita naturalmente, c’è un linguaggio di secondo grado che i romani chiamano “grammatica”, cioè il Latino. Grammatica e Latino sono sinonimi. Se Dante si rivolge qui alle persone colte, è per persuaderle ad usare il Volgare. Per Dante, Latino è lingua artificiale. Non lo possiedono tutti i popoli, solo greci e altri popoli. Solo col tempo si diventa esperti di questa lingua, cosa che col Volgare non accade. Il più nobile, tra i due, è il Volgare (si è ribaltata la situazione): sia perché è stato usato dal genere umano per primo, sia perché è usato dal mondo intero, sia perché è naturale. Punizione divina in seguito a costruzione Torre di Babele: frammentazione linguaggio umano in più linguaggi. Dante si avventura nella costruzione di una cartina linguistica. Popolazioni, in seguito a punizione divina, si disperdono per la Terra e si insediano in vari luoghi. Dante distingue 3 grandi famiglie linguistiche: -Lingua d’OC (da ovest Liguria a parte occidentale Europa meridionale) -Lingua d’OÏL -Lingua Sì (da ovest Liguria a Golfo Trieste fino a Sicilia) Dante osserverà che queste 3 famiglie linguistiche derivano dalla stessa lingua, ma non capirà che questa lingua è il Latino. Ci sono però differenze tra loro (es: romani e fiorentini) ma quello che è più stupefacente è la differenza che c’è in aree vicine. Lingua, essendo prodotto umano, è mutevole. Dante dice chiaramente che tra questi 3 Volgari, quello più nobile e che afferma il suo primato con forza è il Sì, il Volgare degli italiani. Raggio di osservazione di Dante si è ristretto: ora si concentrerà solo sul Volgare Italiano. 16 Si interroga quale sia il Volgare italiano più illustre e dice che è il Siciliano, ma allo stesso tempo c’è volgare siciliano di uso comune e da questo si deve ricavare giudizio. cita Guido Dalle Colonne (Guido Giudice) che era un funzionario della Corte di Federico II. La poesia italiana è una poesia che continua sempre in Siciliano. Dante ricerca il volgare illustre, cardinale, aulico e curiale. Illustre – indica da un lato ciò che illumina e dall’altro ciò che risplende perché illuminato (adottato da uomini potenti: per proprietà transitiva è illustre esso stesso e con il suo uso rende illustri coloro che lo usano). Cardinale – immagina un volgare che possa avere funzione di modello per gli altri. Aulico – intende volgare degno di un imperatore. Curiale – indica volgare degno di curia. Concludendo indica che il volgare che ricerca è il volgare italiano ovvero il volgare di tutta l’Italia. La lingua poetica: Le liriche parlano dell’amore per Beatrice (prima volta che l’ha vista era ancora bambina). Beatrice muore nel 1290. Siamo in un’epoca precedente agli altri trattati. Dante è poeta che continua a sperimentare. Dolce Stil Novo è esperienza linguistica che Dante compie. Ne parla nei seguenti passi del Purgatorio: Purgatorio XXIV 49-60: trovano (lui e Virgilio) un poeta che ha già nominato nel De Vulgari, Bonagiunta Orbicciani da Lucca. Dante lo riconosce come il poeta che ha inventato una poesia nuova. Dante gli risponde dicendo che lui si attiene fedelmente a quello che sente, a quello che l’amore gli dice di scrivere: “Sono uno che quando è ispirato dall’amore, prendo nota”. Sfrutta doppia valenza semantica di “dittare” (dettare/dittatore), la professione di poeta che fa Dante che si attiene a dire quello che subisce, lo stato in cui si trova… “O frate, issa vegg’io” – “issa” è tipico della zona di Lucca, non si usa a Firenze o in Toscana in generale – è così che Bonagiunta si rivolge a Dante e gli dice che solo in quel momento vede l’impedimento che trattenne il Notaro (Giacomo da Lentini), Guittone d’Arezzo e lui stesso a scrivere in quel dolce stil novo. La poesia ha un carattere di dolcezza. Quando parliamo di DOLCE (Stil Novo) intendiamo lo stile relativo a contenuto dolce e amoroso ma non solo; accezione anche formale. Metafora del NODO – legato a Falconeria (caccia con i falchi); ci sono piccole catenelle che vengono collegate a grossa corda che ha una sorta di nodo che impedisce ai rapaci di andare via.  questi poeti possono un po’ volare con fantasia ma non troppo. Con Dolce Stil Novo si. Purgatorio XXVI: Dante incontra Guido Guinizzelli. Questo poeta lo incontriamo già nel De Vulgari Eloquentia, dove Dante riflette sulla qualità del volgare bolognese, 17 rendere utili per scrittura di quest’opera. Ogni componente deve avere la sua specifica funzione. Divina Commedia divisa in 100 canti e 3 cantiche: 34 + 33 + 33. Da un punto di vista di registro, è chiaro che ci sono parole destinate a specifiche cantiche. Escursioni verso il basso sono consentite solo man mano che ci si avvicina all’Inferno e alla condizione dei dannati. Latinismi vengono invece utilizzati con maggiore intensità all’avvicinarsi del Paradiso. Dante racconta qualcosa che è al di fuori della nostra esperienza terrena, ma lo fa usando lingua che ci riporta a nostra esperienza terrena. Dante ha bisogno di un metro che gli permetta di raccontare. Invenzione metrica delle terzine dantesche – ingranaggio che può procedere all’infinito. COSTRUZIONE RIME: AB AB CB CD etc. Siamo in fondo all’Inferno, dove fa freddo. Plurilinguismo – Dante usa varietà linguistiche diverse. Scelte linguistiche di Inferno, Purgatorio e Paradiso sono diverse. Inferno: luogo di estrema differenza, crudeltà e scelte linguistiche si regolano in base a questo. Vale principio diafasico e diatopico. È presente anche fenomeno CODE SWITCHING. PARADISO XV: (passaggio dal Latino al volgare) – Cacciaguida parla a Dante in latino (“superinfusa” = parola latina inventata da Dante). PURGATORIO XXVI: (passaggio da volgare a provenzale e poi di nuovo al volgare) (girone lussuriosi) incontra Guinizzelli, perifrasi per dire che voleva sapere chi fosse. Passa al latino (trad: “Non voglio mai nascondermi a voi... pensieroso vedo il dolore del passato e spero la gioia nel domani. Ricordati della mia sofferenza”  gli chiede di pregare per lui per ridurgli la pena). CATEGORIE CHE TROVIAMO NEL PLURALISMO DI DANTE 1- LATINISMI (rari): Bàulo, Cirro 2- LINGUAGGIO TECNICO: cerchio (geometria); epiciclo (astronomia) 3- GALLICISMI: disianza; fallanza; nominanza; ostello 4- SICILIANISMI: (in sede di rima) noi + fui + sui ( riprende quelle che noi sappiamo essere mancanze) 5- VOLGARI MUNICIPALI: ‘issa’ – ‘ora’; ‘donno’ – ‘signore, governatore’. 6- FORME DEL CONTADO: (derivano dalla realtà contadina toscana) – es. ‘sirocchia’ – ‘sorella’; ‘paroffia’ – ‘parrocchia’. 7- VOCI CORPORALI: (attengono a referenti bassi che di solito non vengono nominati). Es. ‘pancia, ascelle, corata’ – ‘organi interni’. 8- NEOLOGISMI: (parole coniate da Dante. Si compongono di una parola a cui vengono attaccati prefissi e suffissi. Questa affissione è simultanea. Es. ‘impasticcarsi’ – ‘im+pasticca+unarsi’. No stadi intermedi. Parola costruita così si chiama ‘parasintetico’). 20 9- FIORENTINO: interessante in quanto nel De Vulgari Eloquentia Dante lo definisce il peggiore di tutti. Nella Divina Commedia emerge comunque come il poeta sia consapevole che quello che sta utilizzando è proprio fiorentino. Inferno XXXII  Dante e Virgilio arrivano nella zona più profonda, nell’ultimo dei cerchi infernali. Si trovano davanti a lago ghiacciato dove vento suscitato dalle ali di Lucifero fa si che si congeli. Qua troviamo i traditori (hanno frodato chi si fidava di loro). Inizio del brano è aspro stilisticamente. Utilizza rime molto difficili. Dante procede ad invocare le muse, data la difficoltà. Necessita di ispirazione massima. Poeta sente rivolgersi delle parole. Modulo tipico della Commedia: sentiamo la voce ma non riconosciamo chi parla. Viene svelata identità al lettore solo quando Dante lo riconosce. Voce gli dice di stare attento a dove passa e di procedere in modo tale da non calpestare la testa dei suoi fratelli stanchi e miseri. Capiamo quindi che chi parla è uno dei dannati e che i dannati si trovano ad altezza inferiore rispetto a chi calpesta il suolo. Dante si volta e vede lago che a causa del gelo ha sembianze di vetro. Fa similitudini riferite a realtà contadina: come la rana sta a gracidare con il muso fuori dall’acqua (e resto del corpo dentro) quando la contadina sogna di tagliare le spighe. Vede i dannati sofferenti nel ghiaccio e ghiacciati fino al volto e battevano denti come fanno le cicogne con il becco. TORQUATO TASSO (1544-1595) È stato un poeta di grande rilevanza nel secondo ‘500. Sfondo: corte di Ferrara (Estensi), dove è stipendiato. -Franco Fortini (traduttore e saggista) - “Classico” (1970) Alla concezione di opera perfetta che ricompone tutti i possibili conflitti, ne contrappone un’altra. Ci avverte: il tempo che è passato ha mutato il modo in cui si può vedere un’opera – ha tolto/eliminato una parte della sua ricchezza di significato. Dice anche che queste opere non hanno caratteri in sé, ma siamo noi nella nostra prospettiva che vediamo altri elementi che il tempo ha cancellato. In un’opera convivono elementi soggettivi e oggettivi (antagonisti). Un classico diventa qualcosa che non ha più tensioni interne). Tasso è stato anche un ‘Prosatore’. Si era formato anche come filosofo a Padova. Negli anni della maturità si sofferma anche su opere strutturate in dialoghi. Dialogo sul Carnevale (1585) “Il Gianluca 13” – il forestiero napoletano (Tasso) racconta il suo arrivo a Ferrara. “E’ come se la città fosse un palcoscenico e i modi di agire delle persone della Corte sembrano atti di un’opera teatrale; non mi basta essere uno spettatore, voglio essere parte della commedia”. Opere di dialogo che si rifanno a quelle filosofiche antiche. Amico di Tasso è Bernardo Canigiani (Ambasciatore di Firenze). Nell’opera “Aminta” (1573-1580) un personaggio è Tasso, e si chiama Tirsi. “Né passi di quattro anni il quinto lustro” ( un lustro è cinque anni; 5x5+4 = 29). 21 Per Ferrara, al tempo, passava un ramo del Po. Qui gli Estensi hanno costruito delle ‘Delizie’ (spazi per svago), molte delle quali andate perdute o diventate fattorie. Possiamo presupporre che luogo pensato da Tasso per rappresentazione dell’”Aminta” fosse l’Isola di Belvedere, una ‘Delizia’, perché parla di uno stagno; omaggia il Duca di Ferrara. AMINTA – TORQUATO TASSO I personaggi dell’”Aminta” sono pochi per la tradizione di opere simili (opera pastorale). Altre opere pastorali sono: Agostino Beccari – Il Sacrificio (1554) Alberto Lollio – Aretusa (1563) Agostino Argenti – Lo Sfortunato (1567). Personaggi che agiscono in queste opere sono molti. Impossibile pensare che Tasso non conoscesse queste opere, sicuramente ha preso ispirazione.  Amore: in abito pastorale  Dafne: compagna di Silvia  Silvia: amata da Aminta  Aminta: innamorato di Silvia  Tirsi: compagno d’Aminta  Satiro: innamorato di Silvia  Nerina: messaggera  Ergasto: nuntio  Elpino: pastore  Choro De’ Pastori Aminta e Silvia sono i due protagonisti (giovane età); Dafne e Tirsi hanno ruoli co- primari (età più matura). Dafne e Silvia sono le ninfe. Aminta ama Silvia, ma lei lo odia per questo. Ci sono ruoli secondari (es: messaggera). Amore è una divinità, non può dialogare con altri personaggi. Di solito, negli spettacoli pastorali ferraresi, non ci dovrebbero essere divinità, questa compare nel prologo come nelle tragedie classiche. Vediamo apparire figura di Afrodite (mamma di Amore) e questo conferma idea che apparizione su scena di una divinità è tratto tipicamente tragico (tragedia greca). 22 Questione per Tasso filosofica: “Conclusioni amorose” che vengono dopo i “Dialoghi”  già scriveva del problema amore-odio. “Conclusioni amorose” sono tesi in materia di amore che componeva per divertimento della corte. “L’odio non è contrario all’amore, ma deriva da amore” (Tesi dal Neoplatonismo). Odio e amore sono due contrari oppure odio dipende/è condizionato da amore? Se diciamo che amore si irradia dall’alto in maniera totalizzante e condiziona tutte le cose, allora possiamo dire che anche odio è effetto (secondario) di amore. Silvia concepisce il suo amore per la caccia. Da questo nasce odio per chi le impedisce la felicità, ossia Aminta. Essere felice e continuare a servire Diana (dea della caccia) oppure lasciare felicità e andare da Aminta? “Fedra” – Seneca Contrapposizione netta odio/amore non appare nelle pastorali ferraresi. Appare invece molto chiaramente nel “Fedra” di Seneca. Nutrice dialoga con Fedra. Ippolito odia tutte le donne e aggiunge alcune figure iperboliche impossibili (Adynatun – lettura: Adiunatun) che potrebbero accadere prima che lui si innamori di una donna (lupo amerà un fauno, sole sorgerà ad ovest…). Silvia stessa dice che odio è seguace di amore. (V. 199): Adyunatun di Dafne già usato da Silvia – non c’è conciliazione. (V. 202): l’amore di Amore implica l’odio per la castità di Silvia che le dà felicità (come nel Cataneo). Situazione di conciliabilità solo nel passato, quando desideravano la stessa cosa; giovinezza in cui non c’era desiderio sessuale per lei. Per entrambe l’amore è forza totalizzante ma per Silvia procura anche odio. I TRAVESTIMENTI PASTORALI Quelli che stanno vedendo si vedono portare in scena (preparazione alla scena II). Dafne ha capito che Silvia la prende in giro; dice che Silvia, specchiandosi nelle fonti, in realtà tiene alla sua bellezza. -Tirsi è Tasso, maestro di Amore. -Elpino è Giovan Battista Nicolucci, detto ‘il Pigna’, professore di retorica e poesia latina e greca presso Studio ferrarese, dal 1559 segretario del duca Alfonso II e dal 1562 membro della Magistratura dei dodici Savi. Egli apparirà solo alla fine. Scriverà poesie che sono dedicate a Lucrezia Bendidio. Il canzoniere di Elpino si chiamerà infatti “Bendivino”. -Licori è Lucrezia Bendidio, una nobildonna ferrarese, dama di corte presso Leonora d’Este. Era amante del cardinale. -Batto è Battista Guarini, un altro maestro di Amore. ANTRO DE L’AURORA = nel castello di Ferrara c’è la sala dell’Aurora sul cui soffitto si trova il sorgere del sole alla notte – Prima ipotesi: allusione ad un luogo oltre che a persone colte. 25 Seconda ipotesi: dipinti sono stati fatti in quegli anni e il duca aveva 2 sorelle, una soprannominata Aurora. I ATTO II SCENA Svolgimento contrapposto alla prima. Capovolto. Aminta si lamenta (versi settenari). Rime pietate-animate – sembra un madrigale. Le cose inanimate sono empatiche con Aminta, situazione rovesciata: è il giovane a parlare molto. Tirsi usa frasi fatte. Aminta vuole farla finita, non è più in sé. (‘Miserello’ = ‘pazzerella’). Tirsi non sa di chi si tratta. Non c’è vanto in Aminta, è dedito solo all’amore. Richiamo a Petrarca negli elementi della natura. Per Aminta, Silvia è una sadica e avanza la fantasia che Silvia lo desidera. (V. 408): Entrambi si davano alla caccia. Si infittiscono gli endecasillabi quando Didone vede Enea. Innamoramento è inconsapevole. Pilli è amica di Silvia. Aminta è riuscito a dire a Tirsi cosa lo fa soffrire. Segue un inserto narrativo del passato: bacio dato a Silvia sembrava una puntura d’ape, parallelamente con puntura fatta da Amore. “Amori di Leucippe e Clitofonte” – Tazio Romanzo alessandrino-greco. Ha successo nel ‘500. Lettura di corte di avventura. Episodio del bacio: tutto l’episodio è ricalcato; unico tratto diverso è reazione di Leucippe che ricambia il bacio. Silvia bacia nella sua ingenuità (no erotismo). Aminta usa settenario e rime (tratto lirico). Esperienza del bacio mostrò sentimento di lei. Riferimento ad un gioco di corte = “gioco del segreto” – ricorda ‘telefono senza fili’, dove bisogna indovinare domanda fatta all’inizio del giro sentendo solo le risposte. (V. 518): introduzione tema ‘morte’ – Silvia arrossisce (segni di vergogna, la provava anche Dafne da giovane ma Silvia prova anche ira e sta in silenzio). Aminta ha tentato di tutto; gli resta solo la morte, che è l’unica cosa che la smuoverà dal suo stato di indifferenza. Da un lato lui vorrebbe che lei provasse pietà; dall’altro che lei fosse contenta (perché la ama). (V. 540): Tirsi, poeta, mostra il potere della parola – se lei sentisse quello che Amore dice di lei lo amerebbe di sicuro. Introduce personaggio di Mopso (personaggio ambiguo). Discorso ha una svolta – non più lamentela ma digressione apparente dalla trama – la nomina di Mopso induce Tirsi a parlare. (V. 548): Amore sembra stimare Mopso, che pare essere magico (es: parla con animali). A chi corrisponde Mopso nella realtà non è chiaro (nome tipico, usato anche da Virgilio). 26 Tirsi dice che Mopso usa parole falsamente dolci – sembra amichevole ma finto (arode personificata). I suoi pronostici non sono mai veri. Anni dopo Tasso serve una lettera al Duca di Urbino, dove parla di un detrattore che fece di tutto per metterlo in cattiva luce. Ne parla dicendo della sua “severità del ciglio” (usato anche per Mopso). Non dice però chi è, forse Conte Montecatino. Tasso non associa nomi a caso. Anche Tirsi lo stimava. Quando andò a Ferrara, Mopso lo avvisa che è un luogo pericoloso. Mopso ci dà un quadro di critica della Corte che poi sarà smentito (Tasso volendo poteva fare il lecchino senza prima criticare); c’è ambiguità complessa. Riferimento ad Orlando Furioso – c’è modo di dire del ‘500: “vendere vesciche”. (V. 628): si capisce che fu il Duca a richiedere l’Aminta. Arrivo del loro portatore di una posizione che non corrisponde a nessuna delle precedenti – ha la forma di una canzone (5 stanze e 1 congedo, come canzone di Petrarca). L’onore le impedisce di saziare l’amore e le fa coprire le bellezze; il suo non è quindi comportamento naturale. Sia prologo che I scena I atto sono monologhi. Prologo viene parlato da personaggio diverso dagli altri – da Amore, un dio. Nelle pastorali ferraresi vediamo che pastori parlano da soli. Ogni personaggio può aprirsi il suo spazio e parlare a sé stesso: o perché è ragionamento mentale e non vuole che altri sappiamo; o perché è nascosto nella scena e ‘osserva da fuori’. Nel mondo dell’Aminta, la normalità è il dialogo. Ecco perché il Satiro mette in atto monologhi. Satiro è diverso per classe sociale da pastori e ninfe. Rapporti tra personaggi una volta erano liberi, dettati dal desiderio. Satiro è personaggio separato e potremmo dire ‘del passato’, perché desiderio non interviene; personaggio senza inibizione. Altra novità fondamentale: Satiro non è un comico. Nel suo monologo (I SCENA, II ATTO), vediamo personaggio che muta; che partecipa alle sue decisioni. Struttura II atto: struttura triplice, a tre piani. Progressivo acquisto rapidità di velocità perché sta per accadere qualcosa fuori scena. I SCENA, II ATTO (Satiro solo) (V. 724): Satiro è figura tragica, non comica; segno di una nobiltà decaduta. Quello che gli rimane è la sua retorica. Elementi analogici e vocabolario metaforico del Satiro sono silvani – segno di persona che vive in mezzo alla natura. Satiro non ha solo desiderio sessuale, ma anche desiderio di Silvia. 27 “Dafne ha trattenuto Aminta dalla morte” – per Aminta il bene però è morire e il male è continuare a vivere. Il continuare a visionare il corpo di Silvia è ulteriore tormento perché ora sa cosa non potrà avere. Ricomparsa di versi a gradino. “Lo spirto. È viva?” è unico verso quinario. Manca qualcosa, manca una risposta per arrivare ad essere settenario. Nuova Rhésis di NERINA (messaggera. Si fa riferimento a Renata Nigrisuola, donna di corte. Qui come annunciatrice di sventura)   Silvia dopo essere scappata torna alla caccia, al suo vero interesse. Ci sono molte ninfe radunate nel bosco. Appare lupo con bava di sangue da non si sa dove, e Silvia lo colpisce sulla testa. Lupo torna dentro la selva e Silvia scompare con lui. Nerina cerca di inseguire Silvia ma, essendosi mossa tardi, la perde. Qua, nella selva più folta, vede la morte apparente di Silvia (dardo e velo insanguinato – ricorda Piramo e Tisbe). Vede 7 lupi che leccavano (verbo che arriva da Dante) sangue e ossa. IV ATTO Ergasto (Nuntio, Nunzio) è il messaggero del quarto atto. Si sa che i messaggeri portano sempre cattive notizie. Silvia si presenta per 2 scene consecutive, mai successo negli atti precedenti. II SCENA, IV ATTO (Nuntio, Choro, Silvia, Dafne) Versi a gradino  servono a mettere pathos. La battuta di Silvia è tra se e se (infatti è scritta tra parentesi). Interrompe ciò che stava dicendo Nuntio riguardo la morte di Aminta. Silvia non ha la forza di chiedere e parla tra sé. Noi sappiamo come Silvia si è salvata. Lupo stava leccando (insieme ad altri) ossa di un altro animale morto e, alla vista di Silvia, cerca di avvicinarsi a lei. Silvia lancia freccia ma lo manca. Non avendo altre frecce scappa e velo si incastra in un albero e torna verso casa. Silvia ha la retorica dell’amante – si riferisce al suo cuore definendolo “duro alpestre core”. Dafne rivela a Silvia di aver salvato Aminta dalla morte. Le narra anche che quando seppe della sua morte, Aminta partì. Questo non lascia Silvia indifferente e per la prima volta vediamo CAMBIAMENTO. Silvia si rende conto di essere la causa della morte di Aminta e chiede di sentire tutto il dolore. Dafne le chiede se pianto è d’amore e Silvia dice che è di pietà (in realtà non sa ancora riconoscere l’amore). Versi molto veloci e con pochi accenti, che ricordano Ariosto e scene cavalleresche. 30 Ergasto sembra ancora non capire. Aminta sa che Silvia è morta sbranata dai lupi e quindi per lui la morte migliore sarebbe la stessa dell’amata. Nelle pastorali ferraresi, i pastori annunciano sempre di andarsi a buttare da qualche parte (modalità suicidaria prescelta). Nuntio dice che, quando si è accorto di quello che voleva fare Aminta, cercò di fermarlo con un fascio di zendardo (cotone) ma si ruppe in mano. Anche qui prova della morte – riferimento sempre a Piramo e Tisbe (Ovidio). V ATTO Più breve degli altri atti. Compare nella scena personaggio che non si è mai visto: Elpino. I SCENA, V ATTO (Elpino, Choro) Elpino inizia con una lamentela. Discorso oscuro per chi lo ascolta e per il Choro. Ha segno distintivo: ribaltamento. Pensa che la gioia sia farla finita, quindi considera Aminta fortunato. Spera di prendere esempio da lui (lui ama Licori). Coro ci dice che amore trionfa anche sulla morte. Come se sapesse già come va a finire l’opera. Elpino ricorre a immagine della “rete” (rete d’amore). Caratteristiche attribuite qui ad Aminta sono femminili   “guancie tenere d’Aminta iscolorite in sì leggiadri modi che viola non è ch’impallidisca”. “Viso a viso, bocca a bocca”  il re Mezenzio metteva i carcerati faccia a faccia coi morti, congiungendoli bocca a bocca, fino a che non morivano soffocati. In quella posizione si accorgono l’uno e l’altro di essere vivi. Aminta, quindi, è caduto da un burrone ma si è salvato e raggiunto dalla ninfa è tra le sue braccia. 31 FRANCESCO PETRARCA È scrittore che scopre culto dei classici ed è per questo un autore di opere poetiche in latino. Neanche le sue opere in prosa sono scritte in volgare: è molto significativo che anche gli appunti per sé stesso, che scrive a fianco le poesie, sono in latino. Questo ci fa capire che Petrarca usa latino come lingua di comunicazione. È poeta laureato, che poteva permettersi un segretario. Ciononostante, scrive due opere in volgare, ma in maniera interessante hanno titolo in latino: 1. ‘Rerum Vulgarium Fragmenta’ (conosciuto come ‘Canzoniere’) 2. ‘Triumphi’ Queste due opere sono una sperimentazione e non si prefiggono scopi di diffusione e di sapere alle persone non dotte. Non sono concluse. Con Petrarca cominciamo ad avere testimonianza autografe degli autori. Ne abbiamo due che sono custodite nella biblioteca vaticana. Hanno numero di segnatura continua: Vaticano Latino 3195 e Vaticano Latino 3196. Sono diverse: prima è ‘copia in pulito’, ovvero trascrizione di testi già elaborati e messi ordinatamente con scrittura curatissima. Trascrizione era inizialmente affidata al segretario: Giovanni Malpaghini; seconda è codice convenzionale chiamato ‘codice degli abbozzi’, troviamo prove di poesie petrarchesche. (Macrotesto: testo composto da più testi). Rerum Vulgarium Fragmenta (Canzoniere) - è un sonetto (sonetto XXXV). Datazione: fine anni ’30. Struttura macrotestuale, in cui componimenti sono ordinati secondo logica. Componimenti sono 366, giorni dell’anno + 1. Si racconta situazione tipica della sofferenza dell’IO poetico che è data dalla mancata corresponsione di un desiderio da parte dell’oggetto d’amore (Laura). Oggetto desiderio è figura narrativa intorno alla quale è organizzato tutto il Canzoniere. Amore non è più colui che causa sofferenza, ma un compagno di conversazione in una situazione di riflessione che si fa più interna sulla condizione di sofferenza provocata dall’oggetto di sofferenza. Quindi amore ragiona col poeta. Prima parte: componimenti scritti quando Laura è ancora viva; seconda parte: componimenti scritti quando Laura è già morta. 32 Tancredi rivolge a Ghismunda e viceversa. Tutti caratterizzati da Latinismi, infatti un’altra caratterizzazione che compie Boccaccio è il senso diastratico. Compie delle scelte linguistiche che mirano a connotare il punto di vista di appartenenza sociale dei personaggi. Decameron – II 1 Questo brano non appartiene alle novelle, ma rappresenta la zona di cornice dove vengono rappresentate le vicende dei giovani che internamente al Decameron poi fungono da narratori interni. Rilevanti in una prospettiva storico-linguistica. Ci si chiede se stile di Boccaccio venga poi riprodotto da altri autori. -Ricchezza di aggettivi, tipica dei passi descrittivi. Aggettivi che non hanno semantica molto forte; hanno valore fondamentale. -Complicazione della struttura sintattica (secondo modello latino). Tale complicazione può essere ricondotta a due tipi di figure retoriche che comportano perturbazione dell’ordine sintattico. Sono: Prima procedura elementare: inversione. B-A invece di A-B. Seconda procedura elementare: distanziamento (elementi che ci aspettiamo sequenziali non lo sono). A…B.  Terza procedura elementare: combinazione. B…A. Imita latino, ma senza avere morfologia del latino. 1435: DISPUTA A FIRENZE SU ORIGINE DEL VOLGARE Il 400 è il secolo in cui c’è ricerca spassionata dei classici; culto classici latini e greci. Umanesimo ha conseguenze evidenti. Il 500 è il secolo cruciale: volgare viene normalizzato e diventa ufficiale. Secolo di crisi, crisi del volgare. “Crisi di crescita” legata a riscoperta dei classici, che comporta anche cambiamento lingue e uso del latino fa sì che ci siano cambiamenti in tutte le lingue europee (francese…). Italiano lingua meno toccata dall’umanesimo. Noi siamo nelle condizioni di leggere testo in volgare, ma altri cittadini europei con lingue di cultura potrebbero non riuscirci. C’è francese antico e francese medio. In italiano il cambiamento è meno sensibile. Episodi significativi, che ruotano tutti intorno ad un centro culturale (Firenze), che nel 400 aveva una funzione già di guida e salvaguardia nei confronti del volgare e della tradizione letteraria volgare che si è sviluppata. Firenze è luogo di importanti scrittori, come Dante. Episodio significativo è disputa su uso del volgare, tra due letterati umanisti, che non disdegnano però di trattare temi come questo.  Biondo Flavio (1392-1463): dice che al tempo di Roma si parlava una sola lingua, il latino, poi corrotta per l’avvento dei barbari. Dalla corruzione del latino nasce l’italiano, una lingua mescidata fra latino e lingue barbare (spec. Il longobardo). Insiste su questo aspetto di corruzione! Implica che lingua che ne deriva è lingua meno nobile, frutto di una mescolanza. Vengono messi finalmente in un rapporto storico corretto latino e volgare.  Leonardo Bruni (1404-1472): dice che ogni lingua ha una sua perfezione; non c’è differenza tra latino e volgare. 35 Già ai tempi di Roma esistevano due lingue (o meglio, due livelli di lingua) e da quello basso si sarebbe sviluppato italiano. Questo in sostanza è vero. All’epoca però frainteso, perché sembrava come se stesse dicendo che esistevano latino e volgare insieme. Disputa verrò vinta da BIONDO FLAVIO. LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472) Fiorentino di famiglia, è una figura di intellettuale molto singolare. Oltre ad essere interessato a problemi artistici/architettonici è anche scrittore e si preoccupa di problemi di ordine linguistico. Vuole incentivare uso del volgare come lingua, anche nella trattatistica. Scrive trattato che si chiama “De Pictura”. Fatto singolare, infatti lo scrive in latino e poi se lo traduce da solo in volgare. 1441: anno di iniziativa che fallisce miseramente. C’è concorso di poesia in volgare, proposto da Leon Battista Alberti a Firenze. Importante che Alberti si fa promotore di una iniziativa di questo genere. Alberti è autore di opera che rimane poi inedita, mai pubblicata: è la prima grammatica della nostra lingua “Grammatichetta vaticana”. Descrive strutture del volgare. Modello è fiorentino dell’epoca in uso. Descrizione SINCRONICA. Due tratti: articolo determinativo “el” (e non “il”) + uscita della prima persona singolare dell’imperfetto indicativo in “-o” e non in “-a”: ‘amavo’ e non ‘amava’ (< AMABAM). La sua “Grammatichetta” però non serve a nulla, per arrivare a usare questi tratti dovremo aspettare ancora molto tempo. ANGELO POLIZIANO – “RACCOLTA ARANGONESE” Regno di Lorenzo il Magnifico. Poliziano fu il più dotto umanista del tempo. Per incarico di Lorenzo Il Magnifico si occupa di una cosa molto particolare: rapporti con altre persone sono sempre politici e Lorenzo Il Magnifico ha potere di riconciliare Firenze con altre città. Quindi a Poliziano è commissionato il confezionamento di una antologia. Raccolta accompagnata da una prefazione – “Epistola critica”. PIETRO BEMBO (1470-1547)  Curò le edizioni aldine di Petrarca e Dante (1501-1502), perché sono state stampate da Aldo Manuzzio.  “Le prose della Volgar Lingua” (1525). Invenzione stampa ha effetti sconvolgenti perché invenzione caratteri mobili di Gutenberg comporta diffusione opere scritte. Famiglia nobile veneziana (era secondogenito). Letterato ecclesiastico e coltissimo, autore di opere in latino ma attentissimo ai fatti del volgare. Seconda edizione (1502) – Divina Commedia – Inferno 36 Molte parole scritte attaccate nella prima edizione perché le pronunciamo effettivamente così. Nella seconda edizione si staccano. Fatti fonetici “Pertractar” – “per trattar”. Introduzione di segni diacritici con accenti. È inventore dell’accento e degli apostrofi così come li conosciamo oggi! Bembo non viole aggiustare i versi, ma adotta delle convenzioni grafiche per rendere tutto più chiaro mantenendo versi inalterati. Restituisce tutto con grafica migliore! Introduce anche punteggiatura, ma non come la conosciamo oggi. Libro era al tempo oggetto a buon mercato, ma non spesa sostenibile tutti i giorni – si comprava per leggerlo ad alta voce agli altri (per questo inventa punteggiatura). Invenzione corsivo (nel pc abbiamo ‘italic’ per indicare corsivo per questo). Prima edizione (1501) - Petrarca Ci interessa l’indicazione che questo scritto è stato estratto sulla mano del poeta stesso. Si rifà al ‘Codice 3195’ del Vaticano. Possiamo dedurre che Bembo ha avuto tra le mani Codici Vaticani. PROSE DELLA VOLGAR LINGUA (1525) Tratto linguistico a forma di dialogo. Data di stampa è 1525 ma Bembo lavora per anni a questo trattato. Questa opera ha per oggetto il volgare e a quale forma delle tante ispirarsi, quale modello di riferimento ecc. Questa opera è in 3 libri (non volumi ma sezioni): sappiamo che nel 1510 il primo è già stato scritto. Insiste sul fatto che opera sia terminata nel 1516, perché letterato sconosciuto (Fortunio) pubblica una grammatica sul volgare e lui voleva ‘arrivare prima’. Nel dialogo abbiamo 4 personaggi illustri che si ritrovano in una giornata fredda di dicembre del 1502 a Venezia. Tre di questi sono ospitati dal quarto personaggio. Ospite è Carlo Bembo, fratello maggiore. Incarna posizioni di Pietro. Tre personaggi ospitati sono: -Ercole Strozzi - poeta del secondo 400; poeta che scrive in latino tutte le sue produzioni tranne cose che scriverà negli ultimissimi anni; è come se fosse prototipo letterato umanista del 400 che tra latino e volgare sceglierà sempre latino); -Giuliano De’ Medici - terzo figlio di Lorenzo De’ Medici. È l’incarnazione della grande tradizione culturale e politica fiorentina e del primato di Firenze come luogo in cui si è sempre mantenuta una alta tradizione letteraria del volgare. -Federico Fregoso – è genovese. È stato ecclesiastico. La sua funzione è quella di stimolare esposizione delle due tesi (volgare vs latino). Prose della Volgar Lingua 1-3 - Pietro Bembo Evoca figura fratello. Domanda di fondo è capire quale volgare utilizzare, non se usare volgare o latino. Dialogo inizia con quattro personaggi intorno al fuoco di un camino che arde. Ercole Strozzi sostiene che se tutti usassero latino non ci sarebbero fraintendimenti. A questo punto, Carlo Bembo gli risponde che non si meraviglia che lui abbia questa 37  Gian Giorgio Trìssino (1478-1550)  riporta nel dibattito cinquecentesco il ‘De Vulgari Eloquentia’. Si tratta di una sorta di damnatio memoriae, dovuto a ragioni che hanno a che fare con giudizio sprezzante di Dante verso fiorentino e fiorentini, e per questo era stato “eliminato” dalle sue opere. Presenta tesi dantesche già nel 1514 nei circoli di dotti di Firenze e Roma. Vuole aggiornarle e renderle più applicabili al contesto storico. Nel 1529, quindi, il ‘De Vulgari Eloquentia’ viene pubblicato ma in volgare. Questa traduzione comporta però forzatura sia nelle scelte linguistiche che nelle interpretazioni generali delle posizioni dantesche. Dice che criterio di selezione di cui parla Dante è criterio di mescolanza (ovvero, Dante ci parla di una lingua che deve scegliere accuratamente le sue forme per far sì che diventi illustre, aulica, curiale e cardinale). Queste forzature sono dovute al fatto che Trìssino prende come modello linguistico quello della Divina Commedia. (Esempio: traduce “Vulgari” come “Lingua italiana”).  Dialogo intorno alla nostra lingua – Nicolò Machiavelli  si chiama dialogo in quanto l’IO dello scrittore richiama sulla scena Dante stesso, il quale viene interrogato e poi costretto ad un pentimento. Pubblicato nel 1524, prima della pubblicazione del ‘De Vulgari Eloquentia’ di Trìssino. È interessante che Machiavelli opera distinzione mai fatta fino ad adesso: fiorentino VS toscano VS italiano (per Bembo, fiorentino e toscano sono equivalenti). Si domanda quale delle tre sia stata usata dai poeti, e si risponde che pensa sia la lingua fiorentina. Nutre risentimento nei confronti di Dante, in quanto ha cercato di diffamare la propria patria e di togliere reputazione alla sua lingua. Sostiene che Dante ha scritto il ‘De Vulgari Eloquentia’ per mostrare che la sua lingua non è fiorentino. Riflette sull’opportunità da parte di una lingua di introdurre nuove parole e non teme questa cosa, ha anzi apertura verso uso di parole che non sono locali. È destino della lingua, una volta che viene utilizzata in vari contesti (scambi comunicativi di persone che provengono da luoghi diversi), quello di acquisire nuove parole. Machiavelli sostiene che questo rappresenta una forma di allargamento e arricchimento: queste parole, una volta che entrano nel repertorio della propria lingua, si adattano (nei modi e nei casi) e diventano parole che assomigliano a quelle della lingua che le accoglie, e così diventano proprie della lingua. ACCADEMIA DELLA CRUSCA Viene fondata a Firenze nel 1583 per iniziativa di gruppo di persone colte, tra queste primeggia figura di Lionardo Salviati (muore nel 1589), che fu segretario accademia nei primi anni. Accademia della Crusca fu fondata con scopo di salvaguardare il volgare e si poneva obiettivo di conservazione. Attaccano Tasso – sua lingua non va bene per tante ragioni. Polemica talmente triste che non ce ne occuperemo. Nel 1612 fu pubblicata la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca. Fu primo vocabolario italiano ed europeo sia per vastità sia per cura nella 40 redazione delle voci. Salviati diede indicazioni per redazione vocabolario prima di morire. Conduzione passa in mano a Bastiano de Rossi. Inizialmente difficoltà scelta titolo: si era pensato a “Vocabolario della lingua tosca”; successivamente (1610) “Vocabolario della lingua toscana cavato dagli scrittori e dall’uso della città di Firenze”; alla fine venne scelto “Vocabolario degli Accademici della Crusca” – nessuna indicazione e delimitazione d’area. Nell’introduzione viene data indicazione cronologica molto netta: 1300-1400; secondo accademici della Crusca, il ‘300 è secolo d’oro da prendere in considerazione. Posizione Crusca: se tu autore appartieni a quel secolo, allora sarai preso in considerazione (considerate tutte le opere del ‘300, accertandosi che fossero o fiorentini o che avessero usato termini fiorentini). Come è costruita una voce nel Vocabolario degli Accademici della Crusca: Il lemma è scritto in maiuscoletto di fianco al quale troviamo la sua definizione. Paragonando questo ad altri esempi di vocabolari precedenti, vediamo che negli altri non c’è definizione ma si inseriscono solamente esempi di locuzioni che contengono la parola e poi delle etimologie probabili. Nel Vocabolario della Crusca c’è poi, dopo la definizione, il riferimento al latino: viene inserita corrispondenza in latino per consentire ai dotti di associarla. Dopodiché si passa all’esposizione di alcuni casi della parola indicando in modo abbreviato le opere in cui la troviamo. (Interessante come autori poco conosciuti vengano messi sullo stesso piano di altri famosi). Si passa poi a proverbi/frasi fatte in cui la parola è ricorrente. Infine, si introduce una parola che non viene reperita nelle opere letterarie ma, data la vicinanza semantica, viene messa in fondo al lemma. Rispetto a vocabolari attuali manca indicazione della categoria grammaticale ed etimologia. Alla prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, ne seguono altre. La seconda edizione è del 1623 ed è in sostanza la ristampa con alcune correzioni e aggiunta di alcune voci. L’edizione del 1691, invece, evidenzia alcuni cambiamenti importanti. Molta importanza viene data a Francesco Redi, un letterato con competenze anche scientifiche. Questo fa sì che da un lato ci sia lo svecchiamento del corpus di autori includendo anche quelli moderni, tra cui Torquato Tasso (prima c’era polemica!); inoltre, c’è anche allargamento di voci che fanno riferimento ad ambiti scientifici. Quarta edizione è del 1729/1738, dove viene di nuovo escluso Tasso. Polemiche rivolte verso Accademia della Crusca:  Benedetto Buonmattei (grammatico fiorentino) scrive una lettera nel 1677 a Francesco Redi, dove gli dice che vocabolario contiene troppe parole arcaiche e che 8 volte su 10 ‘inganna’.  Nel ‘700 opposizione alla Crusca perdura, con alcune voci di rilievo che trovano nel Vocabolario un avversario. Uno di questi è Giuseppe Baretti, che afferma 41 che Vocabolario è pieno di “stomachevoli vocaboli e modi di dire” presi da autori e da vicoli e bordelli della loro città.  Alessandro Verri scrive invece un articolo contro orientamento linguistico del Vocabolario tanto da rinunciare di farvi riferimento.  Polemiche al di fuori dell’Italia: si contrappone il francese all’italiano. Bouhours in “La manière de bien penser dans les ouvrages d’esprit”, sostiene che il francese è una lingua razionale mentre l’italiano è una lingua sentimentale. Lingua italiana è infatti lingua della poesia e del melodramma. Per fondare la sua tesi fa riferimento al fenomeno dell’ordine delle parole e sostiene che italiano è sentimentale perché mette le parole in un ordine molto mobile e facilmente modificabile a differenza del francese che utilizza un ordine sempre rispettato. È della stessa opinione Rivarol che nel 1784 in “De l’universalité de la langue française” fa riferimento a libertà sintattica dell’italiano. Siamo di fronte al fatto che il francese diventa la lingua di scambio dell’Europa, infatti si parla ovunque. MELCHIORRE CESAROTTI Nel 1785 scrive “Saggio sopra la lingua italiana”, ma nel 1800 ne pubblica una versione rivisitata che prenderà il nome di “Saggio sulla filosofia delle lingue”. Rispetto a prima edizione, dove l’oggetto di riflessione era la lingua italiana, nella seconda edizione l’oggetto di riflessione diventano i rapporti tra lingue. Siamo di fronte ad una posizione di grande modernità (Cesarotti era illuminista). Nell’introduzione di questo saggio troviamo delle proposizioni numerate che sono considerazioni che hanno valore generale. I  viene enunciato che non esiste superiorità di una lingua su un’altra. Tutte le lingue nascono povere e poi si arricchiscono. Tutte hanno difetti e pregi (= non esistono lingue che sono tutte semplici e tutte complesse) e tutte sono funzionali, servono infatti agli usi comuni della nazione. Infine, tutte possono essere migliorate. Emerge poi come non abbia senso l’operato della Crusca (ovvero prescegliere modello linguistico limitato nel tempo e nello spazio) e nemmeno confronto tra francese e italiano. II  torna a parlare della genesi di una lingua e dice che essa nasce dal fatto che i vari idiomi e varietà locali si mescolano. Dice poi che le strutture linguistiche di una lingua non sempre sono coerenti. Dal momento che le lingue nascono dal mescolamento di idiomi locali, che problema c’è nell’accogliere parole straniere? Nessuno, infatti tutti gli idiomi sono associabili e possono arricchirsi reciprocamente. Chi rifiuta parole 42 Modo di dire che si attribuisce a Manzoni, il quale lo usò per indicare la sua volontà di sistemare testo del romanzo per adattarsi il più possibile alla lingua fiorentina. Ultima redazione in stampa è del 1840-1842 (si chiama “QUARANTANA”). Esce a dispense – si legge fascicolo e si aspetta che esca quello dopo. Sappiamo che nella finzione del romanzo si presuppone che quanto viene raccontato sia un manoscritto anonimo ritrovato che viene riscritto adattato dall’autore. Narratore interno simula che contenuto del romanzo sia scritto secondo modello letterario settecentesco. Nell’introduzione al “Fermo e Lucia” si discute sull’adattamento scrittura dell’anonimo del ‘600. Manzoni l’ha riscritto utilizzando frasi tipiche lombarde e questo perché comprensibili all’Italia nella sua interezza. Interessante come Manzoni cerchi sempre di trovare soluzione per includere tutti. Se avesse conosciuto lingua utilizzata in tutta Italia e non solo ‘comprensibile’, l’avrebbe utilizzata al posto del lombardo. Per scrivere bene serve avere frasi che hanno significato preciso, senza oscillazioni; parole usate dal popolo o in prestito da altre lingue che siano in accordo tra tutti e usate senza difficoltà, usate sia nello scritto che nel parlato. Avere patrimonio chiaro di parole ha effetto di non dover consultare dizionario. LEOPARDI – ZIBALDONE (1821) ? Un primo tipo di riscontro che prova Manzoni per vedere se la sua lingua funziona è quella sui vocabolari. Tra tutti, il più consultato è quello della “Crusca Veronese”. Appone delle postille (scrive sui margini delle voci) e fa riflessioni acute. Si occupa della voce “fare” (es: “fare la minestra”; “fare l’amore” ecc.). Manzoni sta focalizzando la sua attenzione sempre di più sul toscano. Scrittori che utilizzano toscano del parlato – quindi devono essere comici. Obiettivo di Manzoni non è ricostruzione dell’uso popolare del fiorentino ma parla del fiorentino di uso colto. Per fare questo però, occorre fare ricerche sul campo. Lo fa in due modi: 1- Il primo è soggiorno a Firenze – soggiorno non lungo che inaugura questa fase chiamata “risciacquatura dei panni in Arno”. Qui riallaccia rapporti con persone che ritiene competenti. Cerca consulenti su uso vivo del fiorentino. Un esempio è Niccolini, autore teatrale. Si noti che non si tratta di consulenti popolari. A Niccolini e Cioni vengono sottoposte parti del romanzo e in un secondo momento vengono proposti elenchi di parole (è questo il fenomeno della “risciacquatura”). Posizione veramente radicale. Potremmo dire che è un ‘giacobino’ dal punto di vista linguistico. Correzioni dalla ‘ventisettana’ alla ‘quarantana’: 45 - Cerca formulazione meno letteraria più corrente e corrispondente ad uso vivo (es: da “in aspetto di” a “ad aspettar”). - Eliminazione di un pezzo della ventisettana per intero. - Forma apocopata del dimostrativo (es: da “quello” a “quel”). Sceglie forma del toscano e rende la lettura più veloce. Vuole avvicinarsi il più possibile ad un ritmo dell’oralità. - Cambio dell’uso tipicamente letterario dei pronomi di terza persona soggetto (es: da “egli” a “lui”) ma anche pronome zero (cioè non mette pronome soggetto). - Cambio sintassi utilizzando forme vive nell’uso comune. Con l’Italia unita può anche fornire indicazioni sui modi di ottenere un’unità linguistica attraverso presidenza di una commissione ministeriale. Il ministro dell’istruzione Emilio Broglio propone la presidenza di questa commissione ministeriale a Manzoni. Nel 1868 scrive “Unità della lingua e dei mezzi per diffonderla” – indica alcuni mezzi di politica linguistica che, a suo giudizio, vanno adottati per arrivare a un’unità linguistica. Il punto di fondo è che va scelto un modello linguistico e va applicato in maniera assidua a tutto il Paese. Secondo la prassi di Manzoni, modello linguistico è fiorentino. Come si può applicare a tutto il Paese? Secondo Manzoni, lo si può ottenere attraverso delle scelte che riguardano innanzitutto la scuola. Insegnanti toscani vengono dislocati in altre regioni d’Italia al fine di fornire modello linguistico di riferimento e dall’altra parte dovranno essere promossi viaggi d’istruzione degli insegnanti non toscani a Firenze, al fine di apprendere quel modello linguistico che poi dovranno insegnare. Per quanto riguarda strumenti lessico-grafici, Manzoni esorta alla compilazione di un grande vocabolario e a partire dal 1870 esce primo volume intitolato “Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze”. Il Vocabolario si inizia nel 1870 e si finisce nel 1897. Importante la parola “uso” – uso vivo. Vocabolario suscita scandalo e irritazione di Graziadio Isaia Ascoli (maggiore studioso di linguistica dell’800). Nato a Gorizia (zona di finzione linguistica) e poi si trasferisce a Milano. In contrapposizione con posizione di Manzoni. Manzoni vede modello di imposizione a modello linguistico per unità linguistica; Ascoli, da buon glottologo, pensa che uomo non può decidere su una cosa come la lingua. Scrive rivista scientifica nel 1873 – anno di morte di Manzoni - tutt’ora esistente: “Archivio glottologico italiano”. 46 Usa tono ironico e dice che i linguisti sono rappresentati come modesti operai che vanno capiti e supportati se si lamentano di fronte a questo tentativo del tutto inspiegabile perché non ha vere ragioni (eliminazione del dittongo). La sua posizione è che se questo tratto si è conservato nei secoli non c’è alcun motivo di eliminarlo se anche nell’uso familiare/popolare non si usa più. Poi riflette sul continuo termine di paragone manzoniano – Francia – contestando questa comparazione. Se termine di confronto è Parigi per la Francia, così deve essere Firenze per l’Italia e quindi se unità francese si basa su uso di Parigi deve fare lo stesso l’Italia sull’uso di Firenze. Anche Ascoli individua bisogno di unità linguistica, ma si ferma a valutare motivazioni per cui non si trovano nella situazione della Francia. Qui affianca la Germania, che essendo poco unita come l’Italia potrebbe trovarsi nella stessa situazione. In confronto con Germania, ci dice che non c’è necessariamente necessità di prendere preventivamente un luogo e confermare uso linguistico su quel luogo; infatti, ciò che rende unitario un Paese linguisticamente è l’“operosità”, ovvero attività culturale che unisce un popolo. In Italia, non abbiamo avuto quelle condizioni poiché questa unità intellettuale è mancata – ci sono livelli di analfabetismo altissimi e culto della forma, ovvero eccessiva cura della forma mentre non ci si occupa di rafforzamento dell’attività civile del Paese e sapere è concentrato in poche persone. Ci ricorda che Parigi svolge secolarmente un ruolo attivo di centro civile per tutta la Francia e quindi si chiede se Firenze ha svolto nel corso della storia questo ruolo. Se così fosse stato, tutti gli italiani si sarebbero conformati al fiorentino. Per Ascoli, la soluzione è incentivare questa attività civile culturale. 47 Inoltre, esercito è altra esperienza di contatto con persone che vengono da esperienze linguistiche diverse. Avvertono anche loro bisogno di corrispondere con persone a casa e quindi abbiamo casi di auto addestramento in un italiano popolare, da parte di analfabeti. Incremento della stampa di numerosissime copie di quotidiani. La radio diventa un fattore di unificazione linguistica soprattutto verso anni ’30, perché apparecchi radiofonici diventano economici. Diffusione del cinema che diventa un luogo di aggregazione e di informazione e fornisce modello linguistico attraverso doppiaggio dei film. Nel 1954 abbiamo le prime trasmissioni in TV. Il modello linguistico, quindi, viene percepito anche dalle persone che non escono di casa (es: anziani). La Legge Casati del 1859 imponeva obbligo scolastico per i primi 2 anni di 4 complessivi delle scuole elementari ma non prevedeva delle sanzioni per inadempienti. La Legge Coppino del 1877 prevedeva che elementari diventassero di 5 anni e obbligo di 3 e vengono previste sanzioni per inadempienti. Nel 1870, evasione è a livelli altissimi: il 62% dei bambini non va a scuola. Nel 1906 è il 47% dei bambini a non andare a scuola, ma questo varia molto da regione a regione. Con fascismo vengono introdotti programmi “Gentile” che prevedono obbligo di frequenza fino ai 14 anni, anche se effettivamente viene rispettato solo con introduzione della scuola media unitaria nel 1962. ITALIANO STANDARD VS ITALIANO NEO-STANDARD Italiano standard secondo Berruto può avere più di un’accezione. Un primo possibile valore della nozione di standard equivale a quello di ‘neutro’, non marcato su nessuna delle dimensioni di variazione. Un secondo valore è quello ‘normativo’, ovvero una varietà linguistica che è stata codificata come corretta e buona lingua, codificato dai manuali e dalla tradizione scolastica. Un ulteriore valore, semplificando molto, è quello di ‘normale’ e quindi quello più statisticamente diffuso. L’italiano neo standard secondo Sabatini  c’è diffusione e accettazione, nell’uso parlato e in quello scritto, di un tipo di lingua che si differenzia dallo “standard ufficiale”. È un “parlato-scritto” perché parlato si modella dallo scritto. (tabella pagina successiva!!!) 50 Aspetti diatopici Varietà Aspetti diamesici Aspetti diafasici e diastratici Varietà nazionali 1. Italiano standard 2. Italiano dell’uso medio [= italiano neo-standard] 1. Scritto e parlato- scritto 2. Parlato e scritto 1. Classi istruite – formale/classi popolari – no 2. Mediamente formale e informale Varietà regionali e locali 3. Italiano regionale delle classi istruite 4. Italiano regionale delle classi popolari (“italiano popolare”) 5. Dialetto regionale o provinciale 6. Dialetto locale 3. Parlato 4. Parlato e scritto 5. Parlato 6. Parlato 3. Informale 4. Uso unificato, con informalità più accentuata per dialetto 5. Informale 6. Informale Il primo settore da considerare è quello dei pronomi. Sistema dei pronomi è molto complesso e molto ricco: vi sono 28 forme pronominali che si dividono tra forme toniche (possiedono accento di parola proprio) e forme clitiche (atone, sono le forme pronominali che non hanno un accento di parola proprio e si appiccicano al verbo). La posizione del pronome clitico è uno dei pochissimi casi in cui l’italiano obbliga a quella posizione e non ad altre, cioè non può essere separato dal verbo da un’altra parola interposta, non posso dire ‘mi molto piace’ ‘deve piacere molto ti’. È una posizione contigua al verbo. Sia che sia davanti (proclitico) o dopo il verbo (enclitico). Il sistema pronominale non è privo di contraddizione ci sono varie forme 51 che sono polisemiche. Es. vi  voi\ma anche complemento oggetto\ in quel luogo ‘ vi sono tre laghi’. Una stessa forma ha più significati, è anche una questione di ricchezza, di distribuzione diversa di forme che hanno lo stesso valore distinte da un punto di vista anche diafasico se io uso ‘ella’ come allocutivo, stiamo parlando di un registro abbastanza elevato abbastanza in disuso. Ci sono delle deformità, per esempio: nel regime dei pronomi atoni, appare un pronome non atono ‘loro’ ‘Ho dato loro le mie figurine’. Un’altra questione che rende complicato il sistema è che nei pronomi sopravvive il sistema dei casi del latino che viene demolito nelle lingue romanze, sistema per cui i morfemi informano chi ascolta del ruolo logico sintattico del costituente. Noi abbiamo dei pronomi che in origine sono utilizzabili soltanto con valore di soggetto e altri con valore di complemento. Altro elemento complesso ‘Tu, te’ è un processo che porta in definitiva questo sistema ad essere semplificato. Una lingua nel momento in cui viene usata quotidianamente si sottopone a processi di semplificazione. Il sistema dei pronomi non poteva non essere semplificato. D’altra parte, i tratti non è che nascano tutti nel Novecento, la ragione per cui proliferano, è che c’è la necessità di cominciare in un codice che sia comune, l’italiano che si espande e si modifica. I tratti erano delle potenzialità. -Il caso più evidente è caso di alternanza, di posizione non ancora del tutto risolta. Da un lato ci sono forme pronominali toniche di terza persona “egli/ella” e dall’altro ci sono forme pronominali toniche di terza persona “lui/lei” (+ ‘essi/esse). In origine la differenziazione è di tipo anaforico deittico  “egli/ella” sono utilizzabili per richiamarsi a qualcosa che nell’orizzonte de nostro testo è stato già nominato. Quando uso “egli/ella” rimando a qualche referente. Con “lui/lei” il valore è anaforico ma hanno anche valenza deittica, cioè possono rimandare a qualcosa che non è stato nominato nel testo, ma che esiste nel contesto. Es: “Chi è stato?” – la risposta non può essere “È stato egli” ma “È stato lui”. “Lui/lei” hanno valore deittico. Possono rimandare a qualcosa che non è stato nominato ma, nelle correzioni Manzoniane, vi è abolizione di “egli/ella” a favore di “lui/lei” ma anche a favore del nulla, del ‘Pronome Zero’. Elemento che non viene espresso. -Pronomi atoni di terza persona con valore dativo, di complemento di termine. Per dire “a lui/a lei/a loro” cosa usiamo quando usiamo forma atona e non forma tonica? Per “a lui”, italiano standard prescrive “gli” – “Gli ho dato le figurine” Per “a lei”, italiano standard prescrive “le” – “Le ho dato le figurine” Per “a loro”, italiano standard prescrive “loro” – “Ho dato loro le figurine”. 52 Non è una soluzione chiara. Baricco: (3) Poi è successa una cosa che sembra non c’entrare niente invece c’entra Mantiene il pronome in posizione proclitica e verbo all’infinito. La Repubblica (4) usare il web e internet...per scambiarsi messaggi che con il calcio centrano poco. Univerbazione di ‘ci’ + entrare. Affermazione di ‘che’ con ruolo di aggettivo interrogativo invece di ‘quale’ (1) Che via facciamo per tornare a casa? (2) Che vestito ti metti stasera? (3) Che libri leggi? (4) Non so che regalo fargli per la sua festa (5) Non so che progetti abbia La forza di ‘che’, la sua brevità, prevale per economia, sull’uso specifico di quale. Una spinta alla semplificazione riguarda l’affermazione di ‘cosa’ come introduttore a spese di ‘ che cosa’ (7) Ma cosa stai dicendo??? ‘Che’ come introduttore di interrogativa (8) Che so? Ma di che si tratta? Che importa? -FENOMENI DI SCONCORDANZE DI NUMERO Abbiamo verbo al plurale e soggetto al singolare che ha semantica che comporta tratto della collettività. “Una quantità di uccelli volarono via”, “Una ventina di macchine”, “State contenti, umana gente”… VERBI I fenomeni che osserviamo sono fenomeni che usano tempi verbali per indicare aspetti modali, cioè giudizi del locutore sull’azione che enuncia attraverso verbo. 55 -Presente Pro-Futuro ------------------ME-------------------MA---------------- *ME = momento dell’enunciazione; MA = momento dell’accadimento. Presente: ME coincide con MA; Passato = MA è precedente ad ME; Futuro = MA è successivo ad ME. Quando presente viene adoperato al posto del futuro? Negli usi informali. “L’estate prossima vado in vacanza al mare” >>> “Andrò”. Succede che semplifichiamo sistema dei tempi dell’indicativo usando presente anche quando momento dell’accadimento non coincide con quello dell’enunciazione. Ci immaginiamo già nel futuro. -Usi dell’imperfetto “Volevo un chilo di zucchine” Tempo imperfetto particolare, è ‘imperfetto di cortesia’. Non intendiamo collocare questa azione anteriormente al momento dell’enunciazione. Imperfetto slegato da valore temporale e assume valore modale. Si potrebbe sostituire con “vorrei”. “Io facevo il ladro e tu la guardia” / “Ho sognato che correvo…” Questo si definisce ‘imperfetto ludico’. Usato per esprimere fantasie, finzione, costruzione di realtà fittizia. Usato con modalità analoghe in contesti di condizioni oniriche, quando raccontiamo un sogno. No azioni accadute in passato. È controfattuale. Parla di un’irrealtà. “Se venivi prima, trovavi ancora posto” Frase ipotetica, dove abbiamo protasi (subordinata introdotta dal ‘se’) e la apodosi (sovraordinata alla ipotetica) ed in entrambe c’è imperfetto. È ipotetica di terzo tipo. Ipotesi che poteva realizzarsi ma non si è realizzata. -Usi del Futuro “Avrà trovato un ingorgo, per questo non è ancora arrivato” 56 Questo si definisce ‘futuro epistemico’. Uso del verbo al futuro per esprimere fatti che si collocano in un segmento del passato. “Fra un mese ho finito esami e sono a posto” Uso del passato prossimo per rappresentare fatto futuro. Lo usiamo perché in questo caso ci immaginiamo, ci proiettiamo in un futuro in cui azione che deve ancora compiersi si è compiuta. Si parla spesso di ‘morte del congiuntivo’. Tendiamo a non usarlo più. Si tende ad usare imperfetto indicativo al posto del congiuntivo, ma ci sono casi in cui congiuntivo è saldo. Partiamo dal caso in cui congiuntivo è verbo reggente: “Che sia malato? Che sia partito?” Alcune forme esortative, in aree centro-meridionali, ricorrono al congiuntivo imperfetto al posto del presente. Forma diatopicamente marcata: “Lo dicesse lui!” Sostituzione del congiuntivo e del condizionale con imperfetto indicativo: “Se me lo dicevi, ci pensavo io” Formulazione mista, imperfetto o nella protasi o nella apodosi: “Se me lo dicevi, sarei venuto”/”Se me lo avessi detto, venivo io” IL ‘CHE’ POLIVALENTE Il “Che” come introduttore di subordinata che viene a ricoprire ruoli diversi, funzioni diverse che nel latino erano specificamente distinte. È sempre polivalente, è sempre complimentatole che assomma in sé più funzioni, più valori. “Aspetta, che te lo spiego” “Che” non è relativo, introduce subordinata, ma quale valore ha? Probabilmente causale, in senso ampio. “È stato Carlo che mi ha spinto” Non è un ‘che’ relativo. Difficile capire che valore abbia. “La sera che ti ho incontrato” Il ‘che’ sostituisce pronome relativo di caso obliquo come ‘di cui’/’per cui’. Casi del neo-standard, indica periodo di tempo.* *Se non ha valore temporale, siamo nel caso del sub-standard: 57 C’è elemento che viene disposto in prima posizione, il ‘tema’, quello che lo scrivente o parlante ritiene sia il tema intorno a cui predicherà qualcosa. Questo elemento a un certo punto rimane sospeso, non può stare in una posizione così isolata senza la presenza di preposizione che lo colloca in un ruolo sintattico di caso indiretto. La frase rimane sospesa. C’è pronome con valore anaforico, c’è elemento dislocato. Quello che manca rispetto alla dislocazione a sinistra è coerenza di natura sintattica tra natura degli elementi. “Giorgio, non gli ho detto nulla” Sintatticamente non accettabile dalla grammatica. Basterebbe aggiungere ‘A’ per avere dislocazione a sinistra. “I figli, Paolo non se ne cura affatto” Tema: i figli; ripresa nominale: ne. Ordine non marcato: Paolo non si cura affatto dei figli. -“C’E’” PRESENTATIVO C’è subordinazione. C’è elemento che introduce una subordinata. Questo elemento è un ‘che’. Complementatore è il ‘che’ ed è un elemento obbligatorio: il c’è/ci sono. Struttura del presentativo: “C’è X che…” Perché usiamo questa struttura? Funzionalità di dirci delle cose gradualmente. Tutto contenuto della frase è informativamente nuovo. “C’è Mario che ti aspetta” “C’è uno studente che chiede informazioni” LA FRASE SCISSA Elemento essenziale è il verbo ‘essere’ e subordinazione introdotta da ‘che’. Struttura: “è X che…” “è Mario che canta” “E’ lui che me l’ha detto” Come dice Berruto, l’elemento che viene isolato, separato nella frase scissa è l’elemento che costituisce un centro di interesse comunicativo, l’elemento su cui vogliamo rimarcare la nostra attenzione, metterlo in evidenzia, senza che questo elemento sia necessariamente il tema o il dato nuovo. Questa struttura è tipica delle discussioni, della contraddizione. Non solo mettere in evidenzia un elemento ma 60 mettere in contrapposizione a qualcosa che è stato detto prima o a qualcosa che si presuppone i nostri interlocutori credano. È una frase che ha pragmaticamente la funzione di rilevare la sua natura contrappositiva. Il ‘che’ non è relativo. È un caso tipo di ‘che polivalente’. La frase scissa permette lo spostamento di tanti elementi anche di complementi indiretti, e addirittura di intere frasi. (2) Che non lo vedo saranno ormai due anni Perché ribaltiamo ‘Che non lo vedo’? Per ragioni informative magari qualcuno ha chiesto? ‘ Da quanto è che non lo vedi?’ e la risposta  dove elemento dato ripreso per primo elemento nuovo dato per secondo. La frase scissa è frequentissima nell’italiano contemporaneo in forma interrogativa. (3) Dov’è che hai comprato quella borsa? Quand’è che partirai per la Spagna? Com’è che non sei più partito? Chi è che deve arrivare? -“E’ CHE…”, “NON E’ CHE…” Molto diffusa in Italia settentrionale ed in Toscana. Abbiamo l’elemento verbale, l’introduttore di una subordinata ma non c’è l’elemento che costituisce il centro dell’interesse. (1)  Io prima non leggevo il giornale...invece ora non è che lo leggo tutto, ma leggo le cose che mi interessano. Lo studio non è che mi abbia portato grandi soddisfazioni (2)  Non è che mi faresti un favore? Si ha anche nell’uso colto Eco (3) Non è che sapendo quanto costa la caduta di un impero se ne riduca il prezzo. È che è bene saperlo, per prevedere le disgrazie future. Non che la storia si ripeta in modo sempre uguale, né che si manifesti una volta in forma di tragedia e una volta in forma di farsa Croce (4) Le azioni umane sono sempre ispirate al mero utile individuale; e se un certo numero di esse sembra divergere di questo criterio, gli è che non si tiene conto di una 61 condizione, per virtù della quale anche le azioni che sembrano divergenti vengono ricondotte alla comune misura. -ALTRI CASI DI RIDONDANZE PRONOMINALI Costrutti che vengono banditi dalla grammatica scolastica tradizionale (1) A me mi piace -> ci rendiamo conto che è una dislocazione a sinistra. A me non me la fai A me, di questa faccenda nessuno mi aveva detto nulla Con il pronome ‘ne’ la ridondanza pronominale (2) Che ne pensi del mio nuovo libro? Tesi di laurea, si sta opacizzando il valore di questo ‘ne’. (3) Di ciò ne fu testimone il fatto che... -> ( Di ciò fu..) ...da una tale considerazione ne è derivata una maniera diversa iL vedere il problema Opacizzazione di ne, mentre ‘me mi’ non è tollerato. Il lessico è sottoposto a spinte di innovazioni sempre più forti. Qualità fortemente conservatrice  La caratteristica dell’italiano se confrontato con altre lingue di cultura europee, è la staticità. I cambiamenti dell’italiano sono stati moto ridotti fino a tempi recenti. Possiamo osservare questa caratteristica di conservatività dell’italiano anche attraverso dei numeri: Prendiamo il lavoro svolto da De Mauro, il Grande dizionario italiano dell’uso, 1999, costa di sei volumi. In un vocabolario di 140.000 lemmi: - 5000 parole già attestate nel Duecento; - 14000 risalgono al Trecento. Si può notare una base consistente di parole che risalgono all’origine stessa, sono partite da basi latine poi nel tempo si sono modificate e sono arrivati attraverso i loro mutamenti alle forme dell’italiano. Nessuno dei secoli successivi fornisce un numero di parole così alto come nel Trecento. Solo nell’Ottocento troviamo 14000. Nel Novecento abbiamo 30000 parole che trovano ospitalità in questo vocabolario. 62 - ingl. Hawk ‘falco’ e nelle controversie internazionali ‘sostenitore di una linea politica drastica e intransigente’. It. falco (GRADIT, 1966) (è diverso da ‘beefsteak’ ‘bistecca’ viene ripresa come parola poi adattata all’italiano. Nel caso di falco la parola già c’era ma non aveva il significato che ha hawk per l’inglese.) - ingl. To pay ‘essere vantaggioso, utile’; It. pagare (‘il crimine non paga’) grazie all’influenza inglese acquisisce nuova acquisizione semantica. - ingl. To save ‘registrare nella memoria centrale di un computer o su altro supporto i dati, archiviare i dati’; It. salvare (‘hai salvato il file della tesi??’) > Calco strutturale: materiale italiano ma struttura nuova in cui si dispone il materiale. - ingl. Skyscraper, It. Grattacielo; composto (grattare + cielo materiale italiano, ma viene composto a ricalco di una parola corrispondente inglese) italiano tende a mettere testa del sintagma a sinistra. Inglese a destra - ingl. Flatfoot; It. piedipiatti; testa del sintagma destra in inglese, a sinistra in italiano. Calco strutturale imperfetto -ingl.Outlawer;It.fuorilegge Calco strutturale perfetto. Corrispondenza la stessa. - ingl. Self-determination; It. autodeterminazione ‘capacità che popolazioni sufficientemente definite etnicamente e culturalmente hanno - ingl. Selfsufficient; It. autosufficiente - ingl. Selfgovernment; It. Autogoverno > Calco sintagmatico: siamo difronte alla combinazione di più parole che non sono univerbali. Primo tipo  AGGETTIVO + SOSTANTIVO. Spesso col passaggio dall’inglese all’italiano vede l’inversione dell’ordine delle parole. Come abbiamo detto in inglese la testa è solitamente a destra nei sintagmi dell’inglese e a sinistra nell’italiano (calco imperfetto). - ingl. Fiscal drag; It. drenaggio fiscale ‘incremento del prelievo fiscale imputabile alla crescita artificiosa dei redditi monetari dovuta all’inflazione’; - ingl. Underground economy; It. economia sommersa (-> sost. Il sommerso ‘insieme di beni o attività non dichiarati al fisco’) - ingl. New frontier; It. nuova frontiera. Secondo tipo  SOSTANTIVO + SOSTANTIVO giustapposti 65 (In italiano tradizionalmente non abbiamo sintagmi che mettono a stretto contatto un sostantivo con un sostantivo ma prevedono la loro messa in relazione attraverso una preposizione). - ingl. data base, data bank; It. base dati, banca dati; (se usiamo data base in italiano è un prestito) - ingl. press conference, press room; It. conferenza stampa, sala stampa; - ingl. shadow cabinet; It. governo ombra ‘membri dell’opposizione che svolgono compiti paralleli a quelli del governo ufficiale’ (-> ombra: ministro ombra, giunta ombra, finanziaria ombra) Terzo tipo  con NESSO PREPOSIZIONALE - ingl. count down; It. conto alla rovescia; - ingl. brain drain; It. fuga di cervelli. > Calco sintematico: Siamo di fronte a un calco sintagmatico ma ha qualcosa di specifico: gli elementi che compongono il sintagma hanno un significato proprio e nel momento in cui si compongono in questo sintagma mutano il loro significato complessivo. Ne acquisiscono uno proprio solo nella loro combinazione. - ingl. cold war; It. guerra fredda ‘stato di acuta tensione fra due Stati senza scontri militari’ - ingl. honeymoon; It. luna di miele Vi sono casi misti: un elemento del sintagma è mantenuto nella lingua d’origine (è un prestito) ed un altro elemento è selezionato nella lingua d’arrivo (italiano) come corrispondente a quello della lingua da cui si ricava il sintagma. Quindi abbiamo una forma che è per metà un calco e per metà un prestito. > Calco parziale (o calco prestito) - ingl. brain trust; It. trust di cervelli - ingl. generation gap; it. gap generazionale > Prestito camuffato: sembra un calco, ma è un calco solo in apparenza. Abbiamo la stessa procedura che noi vediamo nei calchi ma non c’è percezione di una comunanza di tratti semantici tra la parola in italiano e inglese e si procede come se fosse un prestito. Si prende una parola inglese e la si riporta in italiano senza considerare che in italiano ha significati diversi. - ingl. to realize; It. realizzare ‘ rendersi conto, comprendere’ e non ‘portare a compimento’ 66 - ingl. suggestion; It. suggestione ‘suggerimento’ - ingl. severe; It. severo ‘importante, preoccupante’ (detto spec. di patologie nel lessico della medicina) (severo viene dall’inglese senza considerare che in italiano ha significato diverso) - ingl. casual; It. casuale ‘disinvolto, informale’ (detto spec. di abbigliamento) Non c’è considerazione di un rapporto semantico che sono formalmente simili ma con tratti semantici diversi. Esempi recenti di prestito camuffato Questa operazione di ricalco, non è propriamente un ricalco, è una parola straniera che viene ripresa anche nella sua forma senza che sia messa in rapporto con i tratti semantici che la parola corrispondente in italiano possiede. È evidente che per essere prestito camuffato ci deve essere un’etimologia, una base comune tra le due lingue. In effetti tutti gli esempi che abbiamo visto sono esempi in cui l’inglese ha basi latine. 1. portale ‘porta monumentale (di chiesa o palazzo)’ ingl -> portal – portale ‘sito web di grandi dimensioni’ 2. Quotare ‘valutare dal punto di vista economico, fissare il prezzo, estens. Stimare ingl -> to quote – quotare ‘citare (con approvazione) --> ‘condividere’ 3. Nemesi ‘vendetta ineluttabile’ ingl -> nemesis – nemesi ‘nemico per eccellenza’ LE NEOFORMAZIONI ENDOGENE Una lingua arricchisce se stessa dal punto di vista lessicale senza ricorrere a parole, serbatoi lessicali esterni a se stessa. Distinzione fondamentale è quella tra derivazione (= almeno un elemento coinvolto nel processo formativo non è autonomo dal punto di vista lessicale) e composizione (= tutti gli elementi coinvolti nel processo di formazione verbale sono autonomi). Cosa si intende per autonomia lessicale? Parole che si possono usare anche separatamente dalla combinazione in cui figurano dentro l’elemento formato. Formazione per derivazione Si serve di almeno un elemento che non ha autonomia lessicale. - La parola nuova è ottenuta con la modifica di una base (parola già preesistente e lessicalmente autonoma) mediante un affisso (= elemento privo di autonomia a livello lessicale) 67 Quando osserviamo le procedure di formazione di un composto notiamo che gli elementi che lo costituiscono sono tutti elementi che dal punto di vista lessicale sono autonomi. Quindi hanno impiego nella lingua al di fuori del processo compositivo (non lo possiamo dire di suffissi prefissi suffissoidi e prefissoidi). Sono processi sempre vivi nella nostra lingua, hanno punto di riferimento il mondo classico, che ne fa largo uso. L’italiano poi li adopera in modi diversi con una continuità d’uso e con incremento crescente man mano che ci avviciniamo ad oggi (come appare nel dizionario GRADIT di De Mauro i 28.000 su 35.000 composti risalgono al 900). I composti sono strutture con due costituenti che possono avere categorie grammaticali diverse. Parola 1 Parola 2 Composto campo santo Camposanto alto piano Altopiano lava piatti Lavapiatti sali scendi Saliscendi senza tetto Senzatetto capo stazione Capostazione agro dolce Agrodolce  Risulta che il composto è sempre un nome (X+Y -> N). Eccezione: 1. Quando il composto è formato da due aggettivi il composto che ne deriva è anch’esso un aggettivo. A+A 2. Ci sono casi che riguardano l’italiano antico in cui il prodotto di un composto è un verbo. N + V - >V Qui vediamo le varie possibilità̀ (condizioni di felicità) combinatorie di elementi da un punto di vista della categoria grammaticale. Sono 20. Testa  elemento che conferisce da un punto di vista linguistico le sue caratteristiche a tutto il costituente, a tutto il sintagma. È come se noi andassimo a capire quale dei due elementi è quello dominante perché conferisce i suoi tratti all’intero composto. In un sintagma es. Luna di miele – Testa: è luna, luna è di genere femmine che viene esteso all’intero sintagma. Quali elementi del composto derivano dalla testa? (La testa conferisce) a) la categoria; b) i tratti sintattico-semantici; c) il genere Esempio: (1) Cassaforte 70 a) Cassaforte è un sostantivo. Cassa è sostantivo? Si; Forte? No, è aggettivo. Già qui la categoria grammaticale ci porta a dire che cassa è la testa perché conferisce la sua categoria grammaticale all’intero composto. b) La cassaforte è una cassa? Si, ha dei tratti semantici che condivide con cassa, si tratta di un contenitore ... (2) capostazione ---- testa: capo (3) terremoto ---- testa: moto (4) gentiluomo ----- testa: uomo 3 e 4 composti di lunga data, formati tanto tempo fa, quindi testa si trova a destra. (5) scuolabus ----- testa: bus testa a destra e non è italiano antico, è una struttura che si basa sull’inglese. Ricalco rispetta l’ordine degli elementi. (6) saliscendi due verbi che formano sostantivo, dal punto di vista della categoria non si sa quale sia la testa dal punto di vista dei tratti semantici non si sa, dal punto di vista del genere non si sa. Non sembra avere testa. (7) portalettere – lavapiatti – portaombrelli Qual è la testa? Non si sa Conclusione i composti possono anche non avere testa, sono chiamati composti esocentrici. LESSEMI COMPLESSI O UNITA’ LESSICALI SUPERIORI Quel referente il cui significato è dato dalla combinazione di più parole. Es. luna di miele. Sono sintagmi che presentano: 1. rapporto stabile tra forma e significato; 2. Ordine rigido della sequenza. 71 72
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