Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Linguistica italiana: tra norma e variazione, Appunti di Linguistica

La disciplina della linguistica italiana, che si occupa di studiare le lingue in uso nel territorio italiano, sia quelle del passato che del presente. Si approfondisce il concetto di norma linguistica e di variazione, analizzando i diversi parametri che la determinano. Si evidenzia come la linguistica sia una disciplina descrittiva, che non si preoccupa di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma si limita a descrivere le varietà linguistiche presenti. utile per chi vuole approfondire la conoscenza della lingua italiana e delle sue varietà.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 16/06/2022

giorgia-leali-1
giorgia-leali-1 🇮🇹

6 documenti

1 / 49

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Linguistica italiana: tra norma e variazione e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! LEALI GIORGIA LINGUISTICA ITALIANA Che cos’è la linguistica italiana? Disciplina che studia la lingua che si usa in Italia, è una risposta intuitiva e corretta, ma solo in parte: la linguistica è una disciplina molto analitica, che punta molto alla precisione, e dovendo essere più precisi possiamo dire che la linguistica italiana sia una disciplina descrittiva che studia le lingue in uso nel territorio italiano, sia quelle del passato che del presente. La grammatica normativa è quella che ci dichiara quali sono le forme ritenute giuste e quali invece sono sbagliate e vengono automaticamente censurate. Tutti i manuali studiati a scuola hanno un’ottica normativa. Tutti partono da due assunti: 1. In Italia si parla e si scrive una lingua unitaria; 2. Ci sono due modi di parlare: uno giusto e uno sbagliato. Ci si basa quindi sull’idea di lingua come DOVREBBE essere idealmente. Possiamo dire quindi che le grammatiche sono prescrittive, ci prescrivono come andrebbero fatte e dette certe cose. Al contrario, la linguistica è descrittiva perché non si preoccupa di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (è un concetto inesistente in linguistica). Possiamo dire quindi che la linguistica italiana non comprende quei due assunti, e possiamo fare altre considerazioni: 1. Possiamo tutti constatare che in Italia non si usa una lingua unitaria, ma più varietà di lingua (e di dialetto) → l’italiano, comunque, è cambiato nel tempo, poiché per qualsiasi lingua esiste una variazione nel tempo (variazione diacronica), inoltre, la dimensione storica è importante per capire le variazioni dell’italiano di oggi, perché prevalgono alcune strutture piuttosto che altre. Le strutture dell’italiano di oggi sono anche il risultato del contatto dell’italiano con altre lingue (francese, spagnolo, inglese ecc), e quindi questi contatti più o meno coatti hanno determinato la fisionomia dell’italiano contemporaneo; 2. Per l’italiano esiste un complesso di norme, che ci consentono di compiere la scelta linguistica di volta in volta più adeguata al nostro scopo e alle circostanze della comunicazione. Che cos’è la norma di una lingua? Un insieme di regole, che riguardano tutti i livelli della lingua (fonologia, morfologia, sintassi, lessico, testualità), accettate da una comunità di parlanti e scriventi (o perlomeno accettato dalla stragrande maggioranza) in un determinato periodo e contesto storico- culturale. Un altro concetto legato a quello di “norma” è quello di “standard della lingua”, cioè quella particolare varietà di lingua che viene eletta come varietà di riferimento da una comunità di parlanti, ed è scelta solitamente perché dotata di una qualche particolarità di prestigio, conferito dall’uso letterario che ne è stato fatto a partire dal Trecento. Per lingua standard intendiamo un’espressione dotata di una sostanziale stabilità, garantita dalla codificazione grammaticale. In quanto standard una lingua ha funzione unificatrice, in grado di simboleggiare un’identità nazionale diversa dalle altre. Intendiamo infine un’espressione non marcata lungo gli assi della variazione. La varietà che corrisponde allo standard è il fiorentino, quella varietà che si è creata nel Trecento, epurata da quei tratti marcati del fiorentino locale: ad esempio la gorgia, cioè l’aspirazione della C, oppure la realizzazione più debole delle consonanti C e G, rendendole SC; la prima persona singolare dell’imperfetto indicativo in -o; la riduzione del dittongo uo > o. Se guardiamo all’asse diamesico del parlato-parlato, lo standard è comunque marcato lungo l’asse diatopico: se anche si attribuisce valore di pronuncia standard al cosiddetto fiorentino emendato, il riferimento sarà sempre in direzione di una varietà locale particolare. La variazione diatopica appare invece neutralizzata sul piano della scrittura Ci sono poi altri parametri di variazione di una lingua: di 1 49 LEALI GIORGIA 1. Diacronia 
 È il parametro di variazione legato alla dimensione cronologica. Tutte le lingue si evolvono nel tempo, e le innovazioni più numerose le troviamo soprattutto nel lessico. 2. Diatopia 
 È la variazione determinata dalla dimensione spaziale. 3. Diamesia 
 Quando ci si approccia ad un testo scritto si fanno scelte diverse da quando si parla: la lingua varia anche in base al mezzo che scegliamo: scritto o parlato. Il punto di più ampia convergenza risiede nella pianificazione del discorso, poiché la scrittura consente una progettazione, mentre il parlato ha possibilità di auto-correzione che però non si possono cancellare. Fra lingua scritta e lingua parlata è diversa anche la condizione del destinatario: chi ha sotto gli occhi un testo scritto può riesaminarlo, mentre il parlo è più fuggevole. 4. Diafasia 
 Riguarda il cambiamento della lingua in relazione alla situazione comunicativa: situazioni formali e situazioni informali. Tutti adottiamo una particolare varietà del codice in relazione al tipo di comunicazione in cui siamo coinvolti. Lungo l’asse diafasico si distingueranno ai due estremi le varietà più formali (maggiore impegno) e quelle più informali (immediatezza, spontaneità). Si delinea così una scala nella quale trovano posto i diversi registri della lingua. 5. Diastratia 
 Cioè la variazione della lingua in relazione alla classe sociale di appartenenza del parlante, e in relazione alle status sociale. Tra gli indicatori troviamo: l’istruzione scolastica, il tipo di occupazione o di attività lavorativa, le letture, altre occasioni di contatto passivo e attivo con la lingua scritta. 6. Diatecnia 
 Riguarda la variazione in relazione ai mezzi tecnici/tecnologici di cui si dispone, che ristrutturano la testualità tradizionale dell’italiano, facendo entrare usi, soprattutto dall’inglese, che prima non erano ammessi nella quotidianità. 1987, Gaetano Berruto, linguista, inventò un grafico: ci sono degli assi cartesiani: quello orizzontale rappresenta la variazione diamesica, in verticale viene rappresentata la diastratia. In alto si collocano le persone che hanno uno status elevato, più scendiamo più il livello di istruzione scenderà. L’asse obliquo è la diafasia, in alto vi è il polo più formale, in basso quello informale. Vi è poi la scritta “diatopia”, non rappresentata da un’asse ma solo da una scritta: tutti siamo influenzati dallo spazio, quindi tutte le manifestazioni di italiano sono influenzate da essa (è come se noi dovessimo presuppone che questa variazione riguardi tutte le varietà di italiano). Nel grafico vi è presente solo l’italiano standard che è: - Non connotato in diatopia; - Collocato verso il polo elevato della diafasia (formalità) e verso il polo elevato della diastratia (uso colto); - Collocato verso il polo dello scritto in diamesia. In una situazione ideale, lo standard non dovrebbe trovarsi in alto, ma dove c’è l’origine degli assi. Si trova lì perché la storia dell’italiano è la storia di una lingua per anni solo scritta e usata in situazioni formali, da persone molto colte. La storia dell’italiano ha condizionato la posizione dell’italiano standard attuale. di 2 49 LEALI GIORGIA linguistica, lessicale e delle forme, che lui stesso aveva sperimentato con gli stilnovisti, e prima di loro quelli della poetica siciliana. La poesia siciliana è fortemente debitrice della poesia provenzale. Ma cosa si intende per selezione? Tutti i derivati dal provenzale, vengono ridotti, soprattutto nella Commedia, e sono sfruttati perlopiù in rima. Anche i sostantivi che finivano col suffisso -ore, vengono sfrondati. Alcune di quelle forme sono ancora oggi normalissime, questo fa capire che il nostro italiano è fortemente vicino alla lingua di Dante (fulgore, splendore, valore, ecc). Non sempre però fa una selezione, soprattutto nell’ambito dei verbi: vi è la convivenza di più allotropi (a partire da una stessa parola di origine latina, a noi arrivano più forme che si sono evolute; per esempio: vizio e vezzo, sono ordinate dal latino vitium). Esempi di allotropi che si trovano nella Commedia sono “vertù”, “vertute”, “virtute”. Dante, rispetto ai sostantivi, fa una selezione inferiore: conserva più forme alternative. Ad esempio, s-emo e si-amo: la prima è la forma etimologica, che deriva dall’evoluzione del latino, la seconda è la più moderna. Un altro esempio riguarda i verbi della I e della II coniugazione declinati alla II pers.sing. che avevano l’uscita in -i, mentre invece il primo stadio del fiorentino prevedeva l’uscita in -e (tu ami → tu ame). Dante mantiene queste forme perché in lui convivono forme che appartengono a periodi cronologici diversi, di generazioni diverse di fiorentino (s-emo, si-amo). Un altra caratteristica è il pluristilismo, Dante cerca di rendere il registro di molte classi sociali, di persone che hanno provenienze geografiche diverse, e quindi è normale che ci siano forme diverse dal fiorentino canonico e che convivano queste forme di allotropi. Dante fa una selezione della tradizione, ma lui stesso conia delle nuove parole (neologismi), in particolare delle formazioni “parasintetiche”, costruite con la parasintesi → parole formate col simultaneo combinarsi a una base lessicale di un prefisso e di un suffisso (esempio “Dio” → “indiarsi”, entrare in Dio). LA LINGUA DI PETRARCA E BOCCACCIO Per Petrarca consideriamo la lingua del suo Rerum vulgarium fragmenta, dove invece possiamo parlare di monolinguismo, perché lui fa grandi pulizie del lessico poetico siciliano provenzale e francese e riduce molto di più di quanto faccia Dante per quello che riguarda gli allotropi fonomorfologici (es. meo e mio, e la seconda è quella che compare in modo più frequente). Un’altra innovazione è il fatto che nella sua poesia non troviamo più forme come pruova, priego, truova ecc…, ma forme che saranno poi quelle moderne (prova, prego, trova). Boccaccio invece è un po’ più simile a Dante, infatti anche per lui possiamo parlare di plurilinguismo. Lui usa, per ragioni di mimesi del parlato reale, forme che hanno un’origine anche non fiorentina. In lui esistono più livelli: livelli che riproducono il parlato delle sfere sociali più basse, ma anche livelli che riproducono quello più alto, livelli che variano in base alla provenienza. Un’altra particolarità è quella che riguarda la sintassi (costruzione del periodo). Nel Decameron, la sintassi latineggiante convive con soluzioni più moderne. Sempre ispirato al latino è l’uso delle inversioni, oppure anche la tmesi (la divisione di una parola in due parti (per lo più etimologicamente distinte) di cui una trova posto alla fine di un verso e l'altra all'inizio del verso successivo), e anche l’utilizzo del gerundio assoluto (il modo verbale del gerundio assoluto non è collegato con il soggetto della frase principale). Ciascuno di loro ha gettato le basi dell’italiano standard, decidendo quali soluzioni linguistiche portare aventi ed eliminare rispetto alla tradizione. Allo stesso modo hanno anche creato nuove soluzioni linguistiche. Dante, nel De vulgari eloquentia, vuole convincere gli studiosi del latino che anche il volgare può essere adatto alla prosa colta. Quest’opera è stata composta dal 1303 al 1305, egli aveva un progetto enciclopedico: esaminare tutti i volgari fino ad arrivare alla forma più particolareggiata, di 5 49 LEALI GIORGIA cioè il volgare familiare (volgare municipale, cioè nella sua forma più localizzata). L’opera però ci è arrivata incompiuta, disponendo solo del primo e del secondo libro. Nel I libro dice di che cosa parlerà: la lingua volgare, e fa notare come affianco al volgare esista anche una lingua secondaria e artificiale, cioè la grammatica latina. Poi, da uomo medievale, si domanda quale essere umano abbia parlato per primo, poiché lui stesso riconosce che il linguaggio è una facoltà solo degli esseri umani. La risposta, nella sua ottica, è che il primo uomo non può che essere Adamo, e questo ne consegue che la lingua di Adamo e l’ebraico coincidono, poiché la sua lingua è rimasta come appannaggio esclusivo della popolazione ebraica. Sempre nel I libro, rappresenta l’episodio della torre di Babele come episodio nefasto per l’essere umano, però dall’altra parte legge l’episodio in un’ottica socio- linguistica, e diventa una chiave per mostrare come le lingue siano soggette a variazione. Cerca di fare una genealogia delle lingua. Nella penisola italica individua tre variazioni: lingua d’oc, lingua d’oil e lingua del sì (italiano). Egli individua quindi anche in che modo complesso possono differenziarsi le lingue. Dante sostiene che queste tre lingue costituiscono l’”ydioma tripharium”. Lui vuole arrivare al “vulgare Latium”. Quando arriva a trattare il vulgare latium, svolge una rassegna empirica dei volgari italiani, alla ricerca del volgare illustre (trasparente, utilizzabile in contesto letterario), cardinale (da cardine, da punto di riferimento), aulico (usato nell’aula = palazzo reale) e curiale (utilizzato nelle corti). Queste devono essere le caratteristiche del volgare italiano ideale, e cerca quindi di vedere se in qualcuno dei volgari della penisola ci siano una di queste caratteristiche. Non trova nessun volgare che abbia queste caratteristiche, arrivando perfino a scartare il proprio volgare, il fiorentino, che presenta suoni aspri e non è riuscito a staccarsi dalle peculiarità locali. La riflessione di Dante è una delle prime riflessioni sullo stato e sulla varietà del plurilinguismo. Dopo il Trecento, si arriva ad un altro momento fondamentale, cioè la questione della lingua nel Cinquecento. Tra i due, il Quattrocento, l’età dell’umanesimo, vi è dalla riscoperta dei testi classici, e quindi un periodo di revival che ha conosciuto il latino nel suo aspetto classico, e quindi il volgare è passato in secondo piano. Già alla fine di quel secolo, sempre a Firenze, ricomincia un momento di rivalutazione del volgare, ad opera della corte medicea, perché Lorenzo de Medici ed altri letterati come Poliziano, decidono di ridare lustro al volgare iniziando a comporre opere in fiorentino. Questa scelta aveva anche un riflesso politico, perché Lorenzo de Medici voleva proporsi come alternativa alla corte papale. Il protagonista del XVI secolo è Pietro Bembo, con il suo Prose della volgar lingua, pubblicato nel 1525. Egli, veneziano, propone una grammatica scritta in forma dialogica che diventa modello per i letterati fiorentini non. Prima di riflettere sul volgare, Bembo mostra un’attenzione anche per il latino, grazie alla sua formazione umanista, e quindi anche lui scriveva opere in latino, ma aveva in mente il latino dei grandi classici della letteratura latina, e quindi aveva due grandi riferimenti: Cicerone per la prosa, e Virgilio per la poesia. Alla base del suo lavoro c’è la teoria dell’imitazione. Per il volgare invece aveva come punti Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa (10° giornata), ed è proprio loro che indica come riferimenti. Bembo non ama molto il pluristilismo dantesco, lui guarda al fiorentino di un’epoca precedente, ecco perché possiamo parlare di teoria arcaizzante: quando si scrive letteratura bisogna prendere a modello gli scrittori fiorentini del Trecento. L’opera si compone di un dialogo tra vari personaggi, di cui ognuno si fa portatore di una teoria linguistica opposta a quella dell’autore, ovviamente poi a prevalere è quella di Bembo. La prima teoria è quella della superiorità del latino, ereditata dalla posizione degli umanisti, ed è la prima ad essere liquidata. di 6 49 LEALI GIORGIA Ormai la fortuna del latino non è più la stessa di quella che ha avuto durante l’umanesimo. La seconda è la teoria fiorentinista, sostenuta da Machiavelli, e la smonta sostenendo che il fiorentino si era corrotto, perché aveva ammesso forme del parlato popolare, incluso quello contadino. Vi è anche la teoria cortigiana, tra i cui esponenti vi sono Vincenzo Calmeta e Baldassare Castiglione, che sostenevano che la lingua usata nelle corti fosse adatta anche all’ambito letterario. Non era però una teoria che aveva un fondamento teorico, poiché non c’era nessun libro che codificava quella prassi. Bembo non ha fatto in tempo a difendere la sua teoria da tutte le possibili alternative che sono venute successivamente. Una delle altre teorie è la teoria italiana di Trìssino, il quale pubblica nel 1529 “Il castellano”, e la sua teoria si fondava su una lettura personale del de Vulgari Eloquentia, dove sostiene che Dante nella ricerca di quel volgare volesse proprio far emergere la presenza di una lingua italiana in grado di unificare linguisticamente la penisola. Quindi secondo lui già Dante parla di una lingua italiana, anche se il poeta non lo afferma esplicitamente. Per Trìssino non è importante scrivere come scrivono Dante e Boccaccio, quindi non si affida alla mimesi. Il monolinguismo praticato da Bembo non è accettato da Trìssino. Successivamente, c’è qualcuno che cerca di conciliare la teoria di Bembo con la teoria fiorentinista, ed è Varchi, un teorico. Nel suo Ercolano, edito nel 1570, cerca di dare risalto alle qualità del fiorentino vivo. Cerca di affiancare al principio di autorità degli scrittori, principio che segue anche Bembo, il principio dell’autorità popolare, cioè che bisogna scrivere come parla il popolo, però guardando il popolo nelle manifestazioni di medietà. L’ultimo personaggio che entra in dialogo con la proposta di Bembo è Lionardo Salviati, uno dei fondatori dell’Accademia della Crusca, fondata nel 1582. Bembo dice agli scrittori di guardare solo Petrarca e Boccaccio, mentre Salviati e coloro che fondarono l’Accademia, con sede a Firenze, sostenevano che era possibile rifarsi a tutte le scritture del Trecento purché fossero fiorentine e toscane. Quindi, identifica il valore, non tanto nell’uso letterario, quanto nella provenienza diatopica. L’Accademia ha dato luce al primo dizionario storico della lingua italiana, dando vita a un’importante attività lessicografica, presa poi a modello in tutta Europa. La prima edizione del vocabolario risale al 1612 ed è stata elaborata con alcuni criteri, in cui si guardano a moltissimi autori toscani, sia letterati che non. Il canone della prima edizione è un canone arcaizzante, poiché quei signori continuano a proporre come lingua di riferimento la lingua toscana del Trecento. La prima e la seconda edizione vennero contestate da molti letterati e intellettuali, e fece scalpore il fatto che le due edizioni escludessero dal canone Torquato Tasso, ma lui non scriveva attenendosi al modello arcaizzante, in lui vi erano molti latinismi ed espressioni settentrionali. Il vocabolario ha avuto 5 edizioni totali, e il canone muta lungo esse, perché le proteste degli intellettuali riescono a far mutare le idee iniziali, per esempio nella terza edizione (1691), due accademici della crusca, allievi di Galilei, riescono a convincere e ad ammettere anche le innovazioni e i concetti nuovi delle opere di Galileo, e poi fu incluso anche Tasso. Tra coloro che si scagliarono contro le idee dell’Accademia e la presenza di quel canone arcaizzante, possiamo ricordare i fratelli Verri e l’ambiente che ruotava attorno alla rivista milanese del “Caffé”. Oltre ai fratelli Verri, un altro oppositore è stato Melchiorre Cesarotti, autore del Saggio sulla filosofia delle lingue (pieno illuminismo), che diversamente dagli altri era favorevole non solo all’accrescimento del vocabolario tecnico-scientifico ma anche all’inserimento di voci dialettali appartenenti ad altri regioni e anche i prestiti di parole di altre lingue. Egli si rende conto che nessuna lingua può essere perfetta, pura ed esaustiva senza l’apporto di contributi esterni, e ogni lingua è sempre migliorabile e arricchibile. Interrotta nel 1923 la sua attività lessicografica, l’Accademia esiste ancora oggi, e ha ripreso la sua attività con il TLIO, il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, ripreso poi dal CNR. Oggi si di 7 49 LEALI GIORGIA non adatta più i prestiti. Entrano anche parole con nessi consonantici che non sono usuali nell’italiano tradizionale e che provengono dal greco (eczema, pneumatico ecc), che designano scoperte moderne. Sono sempre più numerose le parole invariabili, tipo euro. 
 Questo dimostra come il tentativo di autarchia linguistica del fascismo fallisca. L’ultima vera questione linguistica del Novecento si deve a Pasolini, sensibile ai mutamenti antropologici, si interessa anche dei mutamenti che riguardano l’italiano dell’epoca, sollevando delle nuovi questioni linguistiche, e si tratta di interventi pubblicati sulla rivista Rinascita. Pasolini si rende conto che negli anni ’60 si è ormai spostato il centro delle novità linguistiche, che non è più Firenze, ma nemmeno Roma, bensì il cosiddetto triangolo industriale: Torino, Milano, Genova. Secondo lui, in quel territorio si irradia un nuovo italiano, l’italiano tecnologico, dovuto alla nascita di una nuova classe egemone che viene dal capitalismo. Parallelamente a ciò si interroga sulla sorte dei dialetti in una realtà tecnologica e industriale, poiché secondo lui rappresentavano l’unicità dall’omologazione. In realtà la previsione di Pasolini (dialetti soppressi dall’italiano) non si è verificata del tutto. Un’altra questione, importante come momento, concerne l’italiano burocratico, che si è sempre pensato dovesse essere altisonante, mentre adesso si stanno facendo delle linee guida per riuscire a “semplificarlo”, rendere più accessibile alla comprensione di tutti. LE STRUTTURE DELL’ITALIANO STANDARD In linguistica, quando parliamo di struttura intendiamo gli elementi che vanno a costituire la lingua in quanto sistema complesso. L’idea di considerare una lingua come un sistema complesso si deve a Ferdinand de Saussure, che possiamo considerare il padre della linguistica generale e ideatore di concetti. Tra il 1906 e il 1911 ha tenuto un corso all’Università di Ginevra e dagli appunti dei suoi studenti è nato il corso “linguistica generale”. Vedere la lingua come un sistema implica che noi consideriamo la lingua come una serie di elementi tra loro combinati. Ciascuna lettera e ciascun morfema acquisisce un valore in rapporto agli altri elementi del sistema. LA FONETICA E LA FONOLOGIA La fonetica è il ramo della linguistica che studia i suoni linguistici prodotti dall’apparato di fonazione umano, essa tratta il settore che tratta dei suoni o foni. Il fono è il suono di una lingua, la minima entità fonico-acustica, considerato nel suo aspetto puramente fisico (caratteristiche articolatorie e uditive). I foni rappresentano semplicemente unità sonore così come vengono prodotte dai parlanti. C’è un margine di variazione tra il fono A prodotto da qualcuno e il fono B prodotto da un altro. La branca gemella della fonetica è la fonologia/ fonematica, che si occupa dei suoni in quanto elementi che contribuiscono al funzionamento di un sistema linguistico, cioè come entità astratte, come rappresentazioni mentali; essa tratta i fonemi. La fonologia studia i fonemi, cioè le più piccole unità di suono che hanno valore distintivo in una lingua. Il fono (concreto) è la realizzazione del fonema (astratto). I segni grafici che riproducono i foni e i fonemi sono le lettere o grafemi, il cui insieme costituisce il sistema alfabetico. Trubeckoj, facente parte della scuola di Praga, impostata sull’idea di strutturalismo, fonda il concetto di coppia minima, che serve per capire quando un suono è un fonema oppure no. “Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra loro senza con ciò mutare il significato delle parole o renderle irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due diversi fenomeni” (rana/tana, pésca/pèsca). di 10 49 LEALI GIORGIA 18/03 Quando pronunciamo “Infero” e “interno”, nel primo caso siamo obbligati a pronunciare quel tipo di nasale, è il modo in cui noi articoliamo la parola che ci obbliga a selezionare una nasale al posto di un’altra. L’ultimo punto riguarda un confronto inter linguistico. AFI: Alfabeto Fonetico Internazionale, presentato per la prima volta nel 1889 Digramma: unione di due lettere. Vi sono grafemi dell’alfabeto greco, ma anche del latino, alcuni sono anche inventati, per rispondere all’idea di avere un solo simbolo per un suono. Vengono poi usati una serie di diacritici. Le carte IPA elaborate negli anni successivi, ci consentono di dare le trascrizioni di qualsiasi lingua nel mondo, sia foneticamente che fonologicamente. L’APPARATO FONATORIO In italiano e in buona parte delle lingue del mondo, i suoni linguistici si producono solo nella fase di espirazione dell’aria, quindi sono egressivi: l’aria esce dai polmoni, si incanala nella trachea e poi passa nella laringe, dove trova il primo ostacolo. L’articolazione dei suoni avviene sostanzialmente per l’incontro con degli ostacoli, il primo fra tutti sono le corde vocali. La prima opzione prevede che le pliche delle corde si accostino e quindi l’aria, passando attraverso, le fa vibrare: si produce un suono sonoro. Quando l’aria passa attraverso le corde e le pliche rimangono accostate alle pareti della laringe, l’aria passa senza incontrare ostacoli: produciamo un suono sordo. Le consonanti possono essere sia sonore che sorde, le vocali solo sonore. IL CONCETTO DI VOCALE Le vocali, da un punto di vista fonologico, costituiscono il nucleo di una sillaba. Le consonanti invece non possono occupare il nucleo della sillaba, ma accompagnano il suono vocalico, occupando i margini della sillaba. Ad esempio, a-spra = la sillabazione fonologica e fonetica è diversa dalla di 11 49 LEALI GIORGIA sillabazione tradizionale, legata alla scrittura e alla necessità di conservare degli aspetti legati all’etimologia. Tra tutti i suoni, le vocali hanno il grado più elevato di sonorità. Dal punto di vista fonetico invece, una vocale è quel fono prodotto in modo che l’afflusso dell’aria proveniente dai polmoni non incontra ostacoli: quando noi pronunciamo le vocali, dopo le corde vocali, l’aria non incontra nessun altro ostacolo. I criteri per classificare le vocali: - La posizione della lingua nel momento dell’articolazione; - Il grado di apertura della bocca; - La posizione delle labbra. Gli ultimi due sono parametri che si intersecano. L’italiano standard ha 7 fonemi vocalici (5 per gli italiani regionali). Un modo per capire meglio il perché di queste definizioni, può derivarci dalla rappresentazione iconica nel cavo orale di questi suoni = TRAPEZIO VOCALICO LE CONSONANTI Definiamo consonante un fono prodotto dal passaggio non libero dell’aria attraverso il canale orale. Anche in questo caso, per classificare le consonanti, ci affidiamo a tre parametri: - Modo di articolazione; - Luogo di articolazione; - La sordità o la sonorità. I modi di articolazione delle consonanti sono 6: - Occlusive, si crea una occlusione totale rilasciata all’improvviso (p, b, c, g, ecc); - Fricative, sono prodotte occludendo parzialmente il cavo orale e creando una specie di fruscio all’interno del cavo (f, v ecc); di 12 49 LEALI GIORGIA essere più estesi rispetto alla regione, oppure in una regione possono coesistere più fenomeni. C’è una sistematicità in questo tipo di pronunce: i parlanti delle varietà settentrionali pronunciano le vocali toniche che si trovano in sillabe aperte come vocali chiuse, viceversa, si tende a pronunciare “aperte” quelle vocali toniche che si trovano in sillaba chiusa. L’eccezione a questa regola si trova nelle sillabe chiuse da consonanti nasali. In presenza di sillabe chiuse dalle nasali le vocali toniche dovrebbero essere realizzate da vocali aperte. Gli italiani regionali del sud Italia, in particolare Sicilia, Calabria e Puglia, hanno un sistema vocalico tonico costituito da 5 vocali tutte aperte, e quindi rispetto allo standard può esserci una grande distanza tra le realizzazioni meridionali estreme e le realizzazioni dello standard, questo perché dipende dai dialetti soggiacenti, costituiti da un sistema vocalico tonico di 5 vocali. Ci sono delle varietà che nel corso del tempo cambiano, considerate più prestigiose per motivi che non riguardano le caratteristiche strutturali ma per motivi extra linguistici, e nello specifico sono la varietà settentrionale lombarda milanese (grazie allo stile di vita promosso dal periodo della “Milano da bere” e anche dalla pubblicità e televisione) e quella romana (grazie al cinema). Viceversa, ci sono alcuni italiani regionali stigmatizzati perché associati ad un mondo non molto “legale” e sono soprattutto le varietà meridionali. Sempre legato alla fonetica regionale è la pronuncia dei dittonghi. La schwa è un elemento del parlato dialettale, non dell’italiano standard. Ad esempio, i parlanti settentrionali pronunciano “gli”, “sc”, “gn”, “z”, le realizzano come deboli, quando invece andrebbero rafforzate. Il fatto che nello standard siano raddoppiate, ci fa rendere conto dei diversi errori che i bambini fanno quando imparano a scrivere. Diverso tra lo standard e le altre varietà è il fatto che nello standard è attiva l’opposizione fonematica, in grado di costruire coppie minime, tra /s/ (fricativa sorda) e /z/ (fricativa sonora). Assimilazione: - Assimilazione progressiva, nel senso che la nasale ha “inglobato” la dentale (va dal primo elemento verso il secondo) - esempio di “mondo”; - Assimilazione regressiva, va nel verso opposto - esempio di “pane”. di 15 49 LEALI GIORGIA La gorgia è quel fenomeno per cui in posizione inter vocalica le occlusive, e in particolare le occlusive velari e dentali sorde, vengono realizzate come aspirate. È un tratto tipicamente molto toscano. Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno che consiste nella pronuncia rafforzata della consonante iniziale di parola quando questa sia preceduta da determinate parole, terminanti in vocale, che hanno la proprietà di provocare il rafforzamento. Le parole che provocano il raddoppiamento sono i monosillabi accentati, tipo le preposizioni “a” e “da”, oppure l’avverbio “più”, le parole “città” ecc, e alcuni bisillabi piani, come “ogni”. Tutte le parole tronche provocano lo sdoppiamento fonosintattico, quelle che hanno l’accento sull’ultima sillaba. Altro fenomeno è l’elisione, la caduta di vocale finale davanti a parola iniziante per vocale. Il troncamento, o apocope, è la caduta della parte finale di una parola, sia davanti a vocale sia davanti a consonante. Può essere vocalico oppure sillabico. Questo fenomeno riguarda solo le vocali atone. LA MORFOLOGIA Il termine morfologia in realtà concerneva lo studio delle forme degli animali, l’anatomia comparata. Da questo significato veterinario è passato poi alla grammatica e alla linguistica, quindi possiamo definirla come la branca della linguistica che analizza il modo in cui le lingue storiche naturali mettono in opera meccanismi di modificazione delle forme delle parole ai fini della comunicazione. È, essenzialmente, il settore relativo alla forma delle parole. Parliamo invece di morfosintassi quando ci occupiamo della relazione tra la forma e la funzione, tra la forma e il suo uso in unione con altre parole. Esattamente come la fonetica e la fonologia ci sono dei concetti di basi: morfema e morfo. di 16 49 LEALI GIORGIA Per morfema intendiamo l’unità linguistica minima dotata di significato, il quale può essere collegabile ad un’entità reale ma anche concettuale e astratta. Ad esempio, la parola “topo”, possiamo distinguere “top-“ da “-o”: “top-“ è un morfema lessicale, mentre “o” è un morfema grammaticale, rimandando un significato nell’organizzazione grammaticale. I morfemi possono manifestarsi in morfo, cioè la manifestazione linguistica dei morfemi dotata di una certa variabilità. I morfemi grammaticali sono quei morfemi che ci danno informazioni di categorie grammaticali, che ineriscono alla struttura della lingua e possono essere divisi in morfemi flessionali (per esempio quelli che se attaccati a un morfema lessicale consentono di dare informazioni di numero, di genere e anche di caso, o anche di tempo, modo, diatesi ecc) e i morfemi derivativi (quelli che ci permettono di creare nuove parole in forma alterata). I morfemi lessicali sono quelle porzioni della parola semanticamente pieni (gatt-, top-, formaggi-, ecc) e semanticamente vuoti o funzionali (dai al cane). Però possiamo considerare anche i morfemi grammaticali, in un certo senso, dotati di un significato, solo che è un significato di tipo funzionale, che stabilisce rapporti tra parole. Distinguere tra queste due macro categorie serve per fare un ragionamento sulle possibilità di accrescimento linguistico di una lingua: i morfemi lessicali appartengono a classi aperte, mentre i morfemi grammaticali appartengono a classi chiuse o difficilmente incrementali (ad esempio la parola “over”, usata in italiano, ma specializzatosi in precise collocazioni per indicare una fascia d’età). Inoltre, i morfemi lessicali sono forme tendenzialmente libere, mentre i morfemi grammaticali sono forme legate, devono per forza connettersi ai primi. Altri morfemi che possono esser utili nella categorizzazione, sono appunto i concetti di base e di affissi. Ad esempio, “inalberavano”, la base è costituita da “alber”, sulla base possiamo costruire delle parole nuove, alla sua dx e alla sua sx è possibile aggiungere degli affissi. Ciascuno di questi suffissi veicola un’informazione grammaticale (in questo caso, non è sempre così). Noi non possiamo decidere in che ordine collocare questi elementi, ma sono le strutture che ci obbligano a seguire un ordine, l’ordine sintagmatico. I MORFEMI FLESSIVI La morfologia flessionale si occupa di studiare e descrivere la flessione delle parole, cioè la loro modificazione formale in relazione alle diverse funzioni grammaticali. IL CASO, l’espressione morfica del ruolo sintattico di un elemento linguistico nominale. L’italiano ha abbandonato il caso a favore delle preposizioni. La maggior parte delle nostre parole deriva però dal caso accusativo, ma possiamo riscontrare che ci sono dei relitti del caso in italiano e li vediamo nel sistema pronominale tonico (io, tu egli→me, te, se→mi, ti, gli). Rispetto al latino, l’italiano ha semplificato. Nell’italiano contemporaneo si sono verificate però a l t re sempl i f i caz ion i . di 17 49 LEALI GIORGIA - Identità individuale: la polirematica cane poliziotto può comparire in isolamento ed essere pronunciata tra pause; i suoi componenti isolati invece possono essere pronunciati in isolamento mantenendo lo stesso significato del composto. Dattiloscritto, eliocentrico, internare, aerofagia, ematofago, cronologia ecc: in essi appaiono in posizione iniziale, finale o sia iniziale sia finale, costituenti di etimologia greca che non si possono considerare parole libere; morfemi come dattilo-, elio-, nauta-, fagìa-, emato- sono prefissoidi e suffissoidi o semi parole. Sempre nell’ambito dei composti, quando noi consideriamo una parola composta è bene considerare la “testa”, il centro del composto. Essa è riconoscibile perché assegna al composto la sua categoria (portabagagli, la testa è “porta(are)” e trasferisce il tratto semantico (umano) al composto). Non sempre è possibile individuare la testa del composto, per esempio in agrodolce nessuno dei due componenti è il centro del composto. È un composto esocentrico perché la sua testa si trova all’esterno del composto, che in realtà non c’è. Le categorie del sistema morfologico sono le parti del discorso. I greci ne individuarono otto: nome, verbo, participio, articolo, pronome, avverbio, preposizione, congiunzione. I latini adottarono questa classificazione eliminando l’articolo e aggiungendo l’interiezione. La grammaticografia italiana si è basata sullo schema dei latini reintroducendo però l’articolo. Così le parti del discorso sono nove: - Nome; - Articolo, distinto in determinativo, che designa una classe, una categoria, indica una persona o un oggetto noto; e indeterminativo, che indica il metro di una classe, un oggetto o persona generica. - Aggettivo, quella parte del discorso, variabile in genere e numero, che serve a modificare il nome a cui si riferisce dal punto di vista della qualità o della determinazione. - Pronome, - Verbo, - Avverbio, - Preposizione, - Congiunzione, - Interiezione Alla base della distinzione delle diverse parti del discorso possiamo individuare questi criteri: - Criterio logico-contenutistico, che si basa sul contenuto di ciò che le stesse categorie indicano.
 in relazione a questo criterio possiamo distinguere: - Parole piene, che hanno un contenuto semantico significativo; - Parole vuote, che hanno un debole contenuto semantico, e che hanno piuttosto un ruolo grammaticale. - Criterio funzionale, che si basa sulla funzione esercitata dalla parola, come quella di collegare o congiungere altri elementi; - Criterio distribuzionale, che si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto alle altre nella frase. LESSICO Con la parola “lessico” intendiamo l’insieme delle parole di cui dispone una lingua. Non esiste nessun parlante che dispone in maniera attiva e passiva di tutte le parole di una lingua, e in realtà non esiste nemmeno un unico dizionario in grado di raccogliere tutte le parole, appartenenti sia al di 20 49 LEALI GIORGIA presente che al passato di una lingua. La parola “parola” si usa per designare gli oggetti del lessico, ma in linguistica si parla di lessema, cioè l’unità base del lessico. All’interno dell’etichetta lessema ci finiscono sia unità singole che unità plurali. Consideriamo lessema sia parole costituite dalla stessa radice semantica, sia quelle parole che sono costituite sia dalla base lessicale sia dal morfema flessionale. Bisogna distinguere tra “lessema” e “lemma”. Il lemma è il lessema che si presenta all’interno dei dizionari, i quali ci obbligano a delle convenzioni per registrare le parole. Le convenzioni cambiano da lingua a lingua. Il lemma è il lessema in una certa forma posto con un certo assetto morfologico all’interno di un dizionario. L’insieme dei lemmi costituisce il lemmario. Sul piano diacronico è possibile individuare la variazione del rapporto fra i due settori nel tempo: la grammaticalizzazione consiste nel passaggio di elementi lessicali al sistema grammaticale, viceversa, la lessicalizzazione consiste nel passaggio di un elemento grammaticale a elemento lessicale. Rientrano nella composizione del lessico italiano voci provenienti dal latino, neologismi, prestiti, derivati ecc. Il bagaglio latino è composto da parole che provengono dal latino volgare o parlato di epoca imperiale. Queste voci si sono modificate subendo trasformazioni fonetiche e morfologiche. A queste parole fanno riscontro altre parole provenienti dal latino, ma che sono derivate per via dotta, attinte dal lessico latino in momenti diversi della storia linguistica dell’italiano. Il settore della linguistica che si occupa di studiare e descrivere l’evoluzione delle parole dal latino all’italiano è chiamato grammatica storica dell’italiano. I neologismi sono parole nuove, create in momenti diversi della storia linguistica in base a diversi tipi e modalità di formazione. Vi sono neologismi combinatori, che si formano per derivazione attraverso affissi, oppure per composizione, componendo una parola attraverso l’unione di due parole o parti di esse; e neologismi semantici, cioè voci preesistenti che possono acquisire nuovi significati. Ai neologismi si oppongono gli arcaismi, voci entrate nel lessico italiano molti secoli fa e oggi invecchiate, usate raramente, che hanno impiego soprattutto letterario. I prestiti si distinguono in prestiti di necessità, cioè parole importate insieme a oggetti o usi di un popolo straniero prima sconosciuti, e prestiti di lusso, voci in un certo modo superflue, motivate dal prestigio del modello straniero. Non tutti i prestiti linguistici sono visibili allo stesso modo. Nel caso di “Iphone”, “Smartphone” si parla di prestiti non integrati, perché non si adatto alle regole fono-morfologiche della lingua italiana. Questi prestiti non si adattano più come una volta per svariati motivi: c’è meno nazionalismo, c’è una questione di prestigio, c’è la globalizzazione ecc. Parliamo invece di prestiti integrati, facendo riferimento a quei prestiti adattati al sistema fono- morfologico della lingua che acquisisce la voce. Con calco definiamo un tipo particolare di prestito: si ha calco semantico quando una parola della lingua accogliente acquisisce il significato di una parola straniera; si ha calco strutturale quando si forma con elementi indigeni una parola composta o un’unità polirematica, copiando una parola straniera (grattacielo, skyscraper). Castellani parla di anglomania o morbus anglicus, per spiegare la presenza massiccia di prestiti di parole inglesi. Il concetto di gallomania è lo stesso di anglomania ma riferito al francese, soprattutto nel ‘700 , quando era il francese la lingua più influente in Italia. L’arricchimento di prestiti da altre lingue può riguardare anche varietà che sono presenti sul suolo italiano ma che non sono ufficiali, e sono i dialettalismi. Per geo-sinonimo si intendono quelle parole che hanno una forma diversa, ma hanno lo stesso significato e sono diffuse in aree diverse della penisola italiana (la parole “grembiule” può essere detta in modi diversi “faudal, scusal, grambial, ecc”). di 21 49 LEALI GIORGIA Tra i meccanismi di formazione di parole nuove vi è l’onomatopea. Le voci onomatopeiche si formano imitando suoni e rumori. Un altro meccanismo è l’antonomasia, la formazione di un nome comune da un nome proprio. Robert Ruegg ha sottoposto un questionario per chiedere loro come menzionavano alcuni concetti, ad esempio, per il concetto di “bambinaia” sono emersi molti sinonimi, come “balia asciutta” “governanta” “bonne” “nurse”, alcuni presi dall’inglese e altri dal francese. Noi possiamo distinguere tra prestiti di lusso, cioè parole di cui non abbiamo bisogno, di cui avremmo dei sostituenti, e prestiti di necessità, quelle parole che indicano un’identità, un fenomeno nuovi e quindi importiamo sia il concetto sia la parola. Il prestito di necessità in realtà non è mai veramente di necessità, perché se noi volessimo adottare una parola alle nostre regole fono-morfologiche potremmo farlo. Un’altra questione, legata ai contatti tra le lingue, è la possibilità di creare dei calchi (grattacielo - skyscraper, lotta di classe - klassenkampf). Nel caso degli esempi citati si parla di calco strutturale. Si parla invece di calco semantico con parole tipo “parlamento”. • L’italiano colloca i determinanti (o elementi modificatori) a dx dei determinati, quindi frasi e sintagmi come sbucciare le patate (verbo determinato + nome determinante); anche i composti sono costruiti normalmente con il modificatore a dx: si ha così sbucciapatate e non patasbuccio. In questo senso si ha un ordine tradizionale. • My friend’s lover, blue collar. Termini che portati in italiano dall’inglese o lingue simili appariranno al parlante come costruiti in maniera anomala, in ordine inverso. I composti ad ordine inverso sono perlopiù forme culte che sono originate di norma da elementi provenienti dal latino o dal greco oppure possono essere dei calchi di composti tratti da lingue non romanze: è il caso di ferrovia, autostrada, audioleso. Il determinante vi appare in prima posizione. SEMANTICA Semantica, o studio del significato. I rapporti che legano tra loro le parole in relazione al significato: - Sinonimia, è il rapporto che lega due parole con significante diverso e significato uguale. - Polisemia, consiste nella pluralità di significati per un singolo significante. Parliamo di polisemia sincronica per una parola con un’unica etimologia e più di un significato. - Omonimia, stessa parola ma con due etimologie diverse. - Omografia, parole scritte uguali ma con pronuncia diversa; - Omofoni, identica pronuncia. - Antonimia, rapporto di opposizione tra significati. - Iperonimia, il rapporto tra un termine dal significato più ampio rispetto a uno con un significato più ristretto. - Iponimia, rapporto tra un termine più ristretto e uno più ampio. - Antonomasia, usare al posto di un nome proprio un epiteto che esprime una qualità caratterizzante del designato. - Eufemismo, usare un significante che non denomina direttamente il significato. SINTASSI Per sintassi si intende una sotto-branca delle linguistica, essa studia le modalità e le regole in base alle quali fonemi, morfemi, lessico, sintagmi si combinano tra loro in un certo ordine, e non in un altro, per formare frasi e come le frasi si combinano tra loro in un periodo o in un testo. Che cos’ una frase? Frase come concetto pluridimensionale che sappia equilibrare l’approccio pragmatico, semantico e sintattico. Possiamo definirla come l’unità di massima estensione della di 22 49 LEALI GIORGIA LA TESTUALITÀ Il testo è l’unità fondamentale dell’attività linguistica, dotata dei caratteri di unità, completezza e autonomia per rispondere a una precisa volontà comunicativa. Il testo è un messaggio che assume un senso solo se collocato in una situazione comunicativa. Per essere considerato un testo, un insieme di frasi deve possedere due requisiti fondamentali: coesione e coerenza. La coesione di un testo si realizza attraverso i rapporti grammaticali (concordanze, morfosintassi, lessico ecc) e l’ordine delle parole. Vi sono degli elementi che contribuiscono a legare tra loro le parti del testo. Tali elementi vengono detti coesivi: forme sostituenti e segnali discorsivi. La primaria funzione coesiva delle forme sostituenti è dovuta al fatto che partecipano al fenomeno della foricità, rimandano a espressioni linguistiche precedenti o seguenti che ne determinano il riferimento. Tra le forme sostituenti vi sono i pronomi, i nomi, gli aggettivi, i verbi, le perifrasi, anafora, catafora, iperonimi, iponimi e sinonimi. La coesione può essere data anche dall’ellissi. La seconda categoria è quella dei segnali discorsivi, elementi che appartengono a varie categorie grammaticali e che hanno tra le funzioni primarie di indicare l’articolazione del testo. Possono fungere da connettivi le congiunzioni, le interiezioni, i sintagmi verbali, i sintagmi preposizionali, le espressioni frasali. Le parole sottolineate servono per creare adesione emotiva. - “guarda” serve per attirare l’attenzione; - “ovviamente” funge da modulatore, ma anche da riempitivo, per prendere tempo; - “eh no”, “mi spiace” ecc, sono segnali discorsivi, e servono a gestire i turni della conversazione e a modulare i turni stessi, garantendo la coesione del testo. Tra i segnali discorsivi possiamo far rientrare anche i connettivi testuali, che consentono di dare una struttura razionale e logica al testo. I connettivi sono solitamente avverbi che servono a collegare porzioni di testo e stabilire rapporti logici. L’altra proprietà è la coerenza, che consiste nel collegamento logico di tutti i suoi contenuti e nella sua continuità semantica. Essa è suddivisa in vari tipi: - Coerenza tematica 
 Tema: argomento di cui si sta parlando; rema: qualcosa che si dice intorno ad esso. L’organizzazione di tema e rema è in relazione anche al testo in cui compare, che può essere analizzato come una sequenza di coppie tema-rema. Abbiamo varie progressioni tematiche possibili: - lineare: il rema di una frase diventa il tema della frase dopo, - a tema costante: il tema del primo enunciato rimane invariato nei successivi: - a temi derivati da un ipertema o iperrema: l’ipertema viene progressivamente scomposto nelle sue parti costitutive; - con sviluppo di tema o di rema dissociato: il rema del primo enunciato viene scomposto nei due elementi che lo costituiscono; - a salti: ogni enunciato presenta un tema diverso. - Coerenza logica 
 Le azioni sono collegate tra loro da rapporti logici. - Coerenza semantica.
 Riguarda la compatibilità tra i significati delle parole, dei sintagmi o delle proposizioni. Insieme alla coesione e alla coerenza vi sono altri 5 principi pragmatici: di 25 49 LEALI GIORGIA - Intenzionalità, riguarda l’atteggiamento del parlante o dello scrivente. Da un lato, l’emittente può produrre un testo poco coeso e di scarsa coerenza, dall’altro può significare che, al di là della volontà dell’emittente, il testo sia in qualche misura privo dei due requisiti e pur tuttavia ne venga riconosciuta l’intenzionalità. - Accettabilità, è la volontà del destinatario di riconoscere l’atto linguistico del mittente come testo tanto coeso e coerente quanto è necessario per intendere il contenuto comunicativo. - Informatività, è il grado di informazione veicolata dal testo, e riguarda in primo luogo il contenuto del testo, ma ha a che fare anche con i singoli elementi linguistici che lo compongono. - Situazionalità, è la dipendenza del testo dalla situazione in cui è prodotto. - Intertestualità, è il rapporto tra un testo con uno o più testi già conosciuti in precedenza. Oltre ai sette principi costitutivi, esistono anche dei principi regolativi che esprimono il controllo circa l’uso dei testi: - Efficienza, è il grado di impegno che un testo richiede nell’essere prodotto e correttamente inteso. - Efficacia, è la capacità di un testo di fissarsi nella memoria del destinatario e di creare le condizioni favorevoli al raggiungimento del fine per cui è stato prodotto. - Appropriatezza, è l’accordo tra i contenuti e l’impostazione testuale. La tipologia testuale di Werlich è la tipologia con la quale tendiamo a classificare i testi già a scuola, prevede 5 tipi di testo. Werlich ha ideato questa classificazione mettendosi nei panni di chi produce il testo. TESTO NARRATIVO TESTO DESCRITTIVO TESTO ESPOSITIVO TESTO REGOLATIVO TESTO ARGOMENTATIV O Esso registra un’azione, un processo nello svolgersi del tempo; è legato alla matrice cognitiva che presiede le percezioni temporali. Rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensione spaziale ed è correlato alla matrice cognitiva che consente di cogliere le percezioni spaziali. È finalizzato all’organizzazione e alla trasmissione di concetti e conoscenze attraverso procedimenti di analisi e di sintesi. È collegato alla matrice cognitiva che permette la comprensione di concetti generali e particolari. Ha lo scopo di indicare regole, dare istruzioni. È correlato alla matrice cognitiva che pianifica il comportamento futuro. Ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario. È collegato alla matrice cognitiva relativa al giudizio. Letteratura, articoli di giornale, biografie, resoconti di viaggi ecc. In questi casi avremo la coincidenza tra fabula (ordine naturale degli eventi) e intreccio (reale disposizione degli eventi nel racconto). Spesso viene usato l’imperfetto, che con il presente, rende l’idea della staticità. La sintassi è fortemente nominale e vi è la presenta di precise indicazione spaziale. Lezioni, manuali, saggi di divulgazione, articoli giornalistici, enciclopedie, poesia didattica. Leggi, regolamenti, statuti, regole, istruzioni. Saggi scientifici, recensioni critiche, articoli di fondo, arringhe, dibattiti ecc. di 26 49 LEALI GIORGIA Sono da considerare anche il rapporto col referente e il punto di vista. Negli anni ’80 Francesco Sabatini, linguista italiano, propone una tipologia testuale alternativa, che si mette nei panni del ricevente, e considera come parametro il vincolo interpretazionale posto dall’autore al lettore. Cioè quanta libertà ha il lettore di interpretare il testo, e questa libertà dipende dalla presenza e dall’assenza di alcuni elementi linguistici. Sabatini distingue 3 categorie: - Testi con discorso molto vincolante; - Testi con discorso mediamente vincolante, - Testi con discorso poco vincolante. Considera poi 3 criteri: - La materia di base; - Il genere del discorso; - La forma testuale. Sabatini considera dei parametri linguistici al fine di comprendere il testo. La punteggiatura dell’italiano contemporaneo è molto meno logica rispetto alla punteggiatura standard e poi si è anche ridotto il numero dei segni interpuntivi. La punteggiatura deve tenere conto di due fattori: essa è da un lato connessa alla struttura sintattica del discorso, dall’altro è anche riflesso dell’intonazione, quindi legata al parlato. Le funzioni principali sono: - Funzione segmentatrice-sintattica, consiste nel segmentare un testo distanziando i diversi componenti di esso e nel segnalare le divisioni e i rapporti sintattici all’interno della frase; - Funzione enunciativa, legata a fattori espressivi come riflesso del parlato; - Funzione emotivo-intonativa, con la quale alcuni segni di interpunzione danno alla frase una particolare linea intonativa; - Funzione metalinguistica, consiste nell’uso di determinati segni interruttori per inserire elementi di spiegazione relativi a parti dell’enunciato. Caratterizzato da procedimenti di analessi (si interrompe il racconto per raccontare eventi accaduti precedentemente) e di prolessi (raccontare fatti successivi). Gli oggetti: oggetti reali particolari (considerati nella loro concretezza e individualità), oggetti reali generici (considerati nelle loro caratteristiche sovraindividuali), oggetti fittivi particolari (protagonista eponimo), oggetti fittivi generici (inteso come insieme di caratteristiche proprie di ogni oggetto cosi designato). Lessico tecnicizzante di vocaboli comuni. Esposizione del tema rispetto al quale si dichiara una tesi; argomenti a favore della tesi; antitesi e gli argomenti contro questa, infine, conclusione. TESTO DESCRITTIVO TESTO ESPOSITIVO TESTO REGOLATIVO TESTO ARGOMENTATIV O TESTO NARRATIVO di 27 49 LEALI GIORGIA assente al nord. Per il prestigio conferito soprattutto alle varietà regionali settentrionali, e in particolare al milanese, si sono diffusi in tutta la penisola tratti propri di quella varietà, come ad esempio: - La tendenza a chiudere la vocale “e” seguita da una nasale in sillaba chiusa; - La sonorizzazione della “s” intervocalica; - La sonorizzazione dell’affricativa alveolare iniziale di parola; - La riduzione del sistema pronominale con i pronomi soggetto “lui, lei, loro” usati nel parlato in sostituzione di “egli, ella, essi, esse”; la cancellazione di “ella" non solo nel parlato ma anche nello scritto; l’uso di “egli” come dativo sia per il maschile che per il femminile; l’uso di “gli” in luogo di loro, a loro, a essi e a esse. - L’uso ridondante di “neh”. Altro livello di analisi di come l’italiano neostandard si differenzia dallo standard e come si realizza. - Il “che” polivalente, cioè l’uso della congiunzione “che” con significato generico, come introduttore di subordinate che nell’italiano standard avrebbero più spesso congiunzioni subordinate semanticamente più precise; - La semplificazione della congiunzione verbale: il presente indicativo usato al posto del futuro; il futuro per esprimere una probabilità, una supposizione (futuro epistemico) o una necessità; il passato prossimo al posto del passato remoto anche per eventi molto lontani nel tempo; l’imperfetto, oltre al rapporto temporale usato per: - Indicare un rapporto aspettuale; - Esprimere la modalità contro-fattuale, ossia per esprimere il periodo ipotetico dell’irrealtà; - Per esprimere la modalità ludica; - Con una funzione conversazionale, attenuativa, di cortesia; - Imperfetto di pianificazione, per la pianificazione di un evento futuro (nello standard si dovrebbe usare il futuro semplice (domani volevo andare al cinema = parlo di un evento futuro, ma la pianificazione è stata fatta prima dell’azione e ciò ci induce a usare l’imperfetto) - L’espansione dell’uso dell’indicativo in sostituzione del congiuntivo; - L’infinito usato nelle istruzioni; nella tematizzazione del verbo; nel foreigner talk, ossia nel linguaggio semplificato per i parlanti nativi quando parlano con gli stranieri; - La progressiva scomparsa del gerundio composto per esprimere l’anteriorità rispetto alla reggente e il parallelo affermarsi del gerundio presente cosiddetto “iconico”. La sintassi dell’italiano neostandard presenta le strutture della sintassi marcata, quindi le dislocazioni, l’anacoluto, frase scissa e “c’è” presentativo. Per il lessico invece c’è da osservare i due fattori che influenzano il lessico del neostandard: - L’espressività, che si manifesta con forme colloquiali: - Forme connotate regionalmente; - Neologismi; - Occasionalismi Tra i meccanismi di formazione derivazionali prediletti dell’italiano dell’uso medio spiccano, coerentemente alla ricerca di espressività, gli elativi iper-, super-, maxi-, più fortunati del suffisso - issimo, perché più affini alla struttura della lingua italiana; tra i molti suffissi produttivi, si possono citare invece -oso, -ista, -isma, -bile, -ese, produttivo anche negli anglicismi. Gli anglicismi costituiscono la sottospecie già abbondante di forestierismi presenti nell’italiano neostandard. La loro presenza è abbondante e giustificata nei domini comunicativi tecnico professionali o scientifici, come l’informatica, l’economia e la finanza, che li usano per scopi speciali. Gli anglicismi di 30 49 LEALI GIORGIA collaterali dell’aziendalese e i plastismi, ossia quelle espressioni logorate dall’uso che impoveriscono il lessico e la capacità dei parlanti di selezionare o inventare l’espressione di volta in volta più appropriata (a livello di, a monte, quant’altro ecc). - La semplificazione, che si manifesta nell’uso di genericismi, quelle parole dalla semantica molto vaga (tizio, roba ecc). L’etichetta “italiano neostandard” è stata proposta per sottolineare la continuità con lo standard e l’accettabilità nella norma dei fenomeni innovativi della lingua contemporanea. LE VARIETÀ DIATOPICHE Le macrovarietà diatopiche: - Settentrionali (linea La Spezia - Rimini); - Centrali (Roma -Ancona); - Meridionali; - Meridionali estreme (Salento, Calabria meridionale, Sicilia); - Sardo. Ricognizione dei fenomeni tipici di ciascuna varietà. Quando si pensa agli italiani regionali, bisogna pensare a un continuum, cioè una realtà sfumata in cui possiamo individuare un polo elevato (italiano neostandard regionale non cosi marcato geograficamente) e un polo basso, che corrisponde ai dialetti soggiacenti. I dialetti italianizzati sono il risultato dell’influsso dell’italiano sulle parlate locali, in una reazione di superstrato. Assistiamo così alla frequente nascita di nuove parole, dialettali per i tratti fonetici ma introdotte a partire dalla lingua, per designare nuovi referenti. FENOMENI TIPICI DELLE VARIETÀ SETTENTRIONALI In fonetica: Il primo punto si r i f e r i s c e a l l o scempiamento delle geminali doppie. Per la morfo-sintassi: - L’articolo determinativo precede spesso i nomi di persona, sia maschili che femminili; - Si usa il passato prossimo anche per avvertimenti e azioni accadute in un passato lontano, là dove lo standard richiede il passato remoto. Questo fenomeno, espandendosi dal nord, si è ormai pressoché generalizzato. - La negazione di una frase prevede l’uso di “mica”, “ho capito”, mica sono stupido; - La forma verbale dell’italiano “sto” seguita dal gerundio, che indica l’azione durante il suo svolgimento è realizzata con la costruzione “sono dietro a”, “sono dietro a mangiare” ecc. di 31 49 LEALI GIORGIA FENOMENI TIPICI DELLE VARIETÀ TOSCANE Per la morfosintassi: - L’uso del dimostrativo “codesto” per indicare qualcosa che è lontano da chi scrive/parla e vicino a chi ascolta; - L’uso di “costì” e “costà” che servono a indicare un luogo dov’è la persona a cui si parla o si scrive. “Costì” e “costà” sono sostituiti da “lì” e “là” ; - L’utilizzo del pronome “tu” complemento anche come soggetto; - L’uso del tipo morfologico “noi si va”. FENOMENI TIPICI DELLE VARIETÀ MEDIANE Per la morfosintassi: - l’uso enfatico della congiunzione che nelle interrogative: che ti va di andare al cinema? - La preposizione da dopo il verbo dare: mi deve da dare molte cose; - L’accusativo preceduto dalla preposizione a: hai visto a tuo padre? - La sostituzione della congiunzione interrogativa perché con che + verbo + a fare: che ridi a fare? - Il verbo stare viene usato al posto di essere per indicare lo stato in luogo: dove sei? Sto a Termini. 21/04 FENOMENI DELLE VARIETÀ MERIDIONALI Per la morfosintassi: - L’uso transitivo dei verbi intransitivi quali salire, scendere, entrare, uscire; - Il congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente: ma facesse un po’ quello che vuole; - Gli usi non normativi del congiuntivo e condizionale tra protasi e apodosi per periodo ipotetico, a volte con ripetizione del doppio congiuntivo o del doppio condizionale, a volte con l’inversione dei tempi in protasi e apodosi: se dicessi, facesse; se direi faresti; se farei dicessi; - Il participio passato dopo verbi di volontà, con corruzione priva della congiunzione subordinante che seguita dal congiuntivo: al posto di voglio che mi compri quella maglietta si ha voglio comprata quella maglietta; - La negazione realizzata da senza + participio passato: ho messo i pantaloni senza lavati - L’uso dei verbi transitivi che reggono l’oggetto animato, preceduto dalla preposizione a: ho visto a Luigi. di 32 49 LEALI GIORGIA mentre i tecnicismi collaterali possono anche essere usati in maniera interscambiabili rispetto a unità lessicali differenti, senza dispersione di significato. • Neologismi, sigle, voci polirematiche, eponimi. • La lingua della moda: terminologia molto simile a quella di un sottocodice + vocabolario allusivo impressionistico che non ha le stesse proprietà di monosemia e precisione che hanno i linguaggi settoriali in senso stretto. • Lingua della cronaca sportiva: tecnicismi propri legati a determinati sport + uso di figure retoriche anche banalizzate da meccanismi metaforici. • Interscambio fra le lingue speciali e la lingua comune: è infatti normale il passaggio alla lingua comune di tecnicismi propri del vocabolario di una lingua speciale (es tutti i termini della psicanalisi, come io, super-io, inconscio, nevrastenico, depresso); all’inverso è pure frequente che una lingua attinga il proprio vocabolario o parte di esso dal lessico comune, specializzando il significato di parole già esistenti; ciò è possibile anche per i sottocodici, ma questi ultimi generalmente coniano nuove parole con dei meccanismi di formazione loro propri. Generalmente i sottocodici in senso stretto preferiscono coniare nuove parole con i loro formanti. Se parliamo di sottocodice ci concentriamo sull’argomento della varietà diafasica, quando parliamo di registro guardiamo soprattutto la situazione comunicativa in relazione alla formalità/informalità. ITALIANO BUROCRATICO O AZIENDALESE Anche in questo caso rimaniamo sul polo alto della diafasia. Parlando dello schema di Berruto, oggi è più conveniente guardare l’aziendalese, poiché l’italiano burocratico è sparito. L’italiano burocratico è quell’italiano che, a partire dall’unificazione del regno d’Italia, viene utilizzato dagli uffici pubblici amministrativi di uno Stato. La lingua della burocrazia unisce il carattere di sottocodice a quello di registro formale. Nell’italiano burocratico abbiamo elementi del sottocodice giuridico ma anche economico finanziario, quindi possono comparire tecnicismi di varia natura. Caratteristiche: - Lessico: tecnicismi di varia natura come minutazione per “fare la minuta” oppure tassativo discrezionale; suffissi in -ale. - Connettivi culti: codesto, testè, ove; c’è una spiccata tendenza anche alla nominalizzazione e cioè il luogo di dire per esempio l’utente a potrà accendere un conto in valuta esterna nell’italiano burocratico troveremo una frase come per l’accensione di un conto in valuta estera l’utente dovrà operare ecc. - Frasi fatte e sintagmi preconfezionati e come per esempio in deroga a, in merito a, ai sensi di. - Predilezione per gli eufemismi: in luogo di spazzino o netturbino troveremo operatore ecologico, il bidello è denominato operatore scolastico; - Sintassi e testualità: sintassi impersonale con l’effetto di depersonalizzazione; uso del participio presente, frasi al gerundio, il futuro semplice con valore deontico. - Nella macro-sintassi predominano subordinazioni di alta complessità Una delle caratteristiche è l’elevata conservabilità. L’italiano burocratico tende a mettere una distanza con l’utente, e questo si manifesta anche nella sintassi e nella testualità, soprattutto attraverso il “si” impersonale. Un altro aspetto legato alla tendenza a scrivere in modo eufemistico è l’uso del futuro semplice con valore deontico, cioè con valore imperativo. di 35 49 LEALI GIORGIA Calvino si era reso conto che l’italiano burocratico, anche si rivolge alla maggior parte dei cittadini, si sforza di risultare il più incomprensibile possibile. Un esempio di italiano burocratico: - Disorientante, a causa delle perifrasi ridondanti; - Uso di latinismi (es. viciniore = più vicino), allentandosi dall’italiano comune; - Nominalizzazione (“In considerazione della possibilità che si verifichi…”) L’italiano burocratico non è più contemplato nello schema di Antonelli, perché ormai ha perso il prestigio che lo contraddistingueva, oggi il centro del potere è espresso dalle realtà aziendali e non più dall’amministrazione pubblica. Anche perché al linguaggio delle aziende è associata un’idea di efficienza che gli uffici pubblici statali non hanno, anzi, oggi c’è lo stereotipo dell’ufficio pubblico come luogo dei perdigiorno. In qualche modo, l’aziendalese non è completamente avulso dall’italiano burocratico, perché recupera alcune sue “cattive” abitudini, perché ritornano le locuzioni (in merito a, in relazione a …), ecc, però l’aziendalese non poggia sull’italiano standard, ma sull’italiano neostandard, attingendo moltissimi termini dall’inglese, alcuni sono prestiti di necessità, altri sono prestiti di lusso che rimandano a quell’idea di efficienza e avanguardia legata al prestigio della lingua inglese ITALIANO NEOMEDIALE Dall’asse del polo scritto ci spostiamo all’asse del polo parlato. Nello schema di Berruto non c’è l’italiano neomediale, anche se lui riconosce la presenza di una comunicazione mediata dal computer. Oggi però non possiamo parlare di italiano digitale mediato solo dal computer, quindi si è passato al concetto di comunicazione mediata tecnicamente (CMT). Alcuni dei tratti fondamentali che caratterizzano la scrittura in rete: - Atteggiamento disinibito verso la scrittura; - Brevità: frammentarietà (spesso siamo di fronte a testi che non manifestano la coerenza e la prosa classica, perché quando scriviamo diamo per implicito moltissime info supponendo che anche gli interlocutori le condividano); - Vivacità espressiva a scapito della struttura logica del discorso. Alcune delle principali caratteristiche linguistiche: - Fatti grafici e ortografici 
 lapsus digiti (errore di digitazione), spesso indotto da ragioni tecniche (come la dimensione e la struttura delle tastiere o l’intervento di automatismi) e dalle circostanze di scrittura improntante alla fretta e alla scarsa attenzione; errori di scrizione dovuti allo scarso dominio delle norme ortografiche e interpuntive: tachigrafie (cmq, nn, xké) e abbreviazioni; simbolismi e altri artifici grafico-alfabetici con funzione espressiva, empatica. - Scrizioni espressive
 il k politico (karissimo rettore); germanismi grafici (nah per no); scrizioni deformate a scopo ludico (chatty, phirla) o di resa della prosodia (nooo); le scrizioni CamelCase che intervallano lettere maiuscole in stringhe di lettere minuscole; sono sfruttate nei Wiki, per indicare parole attive (cioè collegamenti interni), ma pure negli hashtag, in twitter o nei nickname di forum e chat. di 36 49 LEALI GIORGIA - Lessico 
 registro informale, spesso di significato generico (roba, affare, coso); verbi fraseologici (darsi delle arie, darsi una calmata) e i verbi pronominali, come prendersela, averci, esserci, e altri, tutti funzionali all’espressività. A questa caratteristica risponde la frequenza d’uso di alterativi, soprattutto diminutivi, con valore affettivo o attenuativo (le va un attimo stretto); ugualmente frequenti sono i superlativi enfatici (ne sono sicurissimo), estesi anche a sostantivi e locuzioni avverbiali o con valore aggettivale (un ragazzo perbenissimo), o locuzioni come un sacco di, un tubo ecc. Componente significativa di giovanilismi, che nella CMT tracimano nelle scritture di utenti più giovani anagraficamente, che pure assorbono le convenzioni e i nuovi canoni di scrittura digitale. Un’ulteriore componente significativa è costituita dai forestierismi e neologismi, come i verbi denominali o deverbali, tutti confluiti nella prima classe flessiva italiana: chattare, cliccare, postare, twittare ecc. Specifiche della CMT sono le rideterminazioni semantiche cui sono sottoposte alcune voci di uso comune: cadere “perdere il collegamento”, registrarsi “iscriversi a un servizio”. Altri servizi della CMT e le loro caratteristiche: - Specificità della posta elettronica. 
 La posta elettronica ha come antenato al lettera, che prevedeva un’impostazione testuale molto precisa, e in qualche modo ha eredità la fissità della testualità tradizionale, però anche la posta elettronica viene percepita come un mezzo sincrono. - Wiki e blog - Social network 
 La qualità dell’italiano sui social è un’italiano neostandard colloquiale molto orientato verso l’oralità e a volte molto ricco di turpiloquio - Servizi di microblogging (twitter), l’hashtag e la sua influenza sulla strutturazione dei testi 
 In questi servizi si vede in che senso la scrittura mediata sta cambiando/configurando alcune abitudini della scrittura. L’hashtag, tra queste funzionalità, ci obbliga a strutturare il testo in un certo modo rinunciando ad alcune strutture. 
 Se guardiamo il lessico, possiamo vedere la grande abbondanza di parole con formanti iperbolici o relativi, o aggettivi molto enfatici. Questa preponderanza è presente per far spiccare le proprie parole su quelle degli altri (è l’equivalente dell’urlato). LE VARIETÀ DIASTRATICHE (asse verticale nel diagramma Berruto-Antonelli) Variazione della lingua in relazione all’età, all’istruzione e al proprio status socio-economico. I GERGHI Quando parliamo di gergo storico ci riferiamo alla lingua propria di una cerchia di persone che si colloca ai margini della città e la usa solo all’intero nella propria cerchia (gerghi di giostrai, saltimbanchi, criminali o anche di attività artigianali). La finalità dei gerghi è promuovere il senso di appartenenza di una comunità, di coesione interna, con l’obbiettivo e il risultato di escludere però coloro che non fanno parte della comunità. Un’altra finalità è essere volontariamente criptici rispetto al resto della società. Possiamo poi identificare un altro gruppo, i gerghi transitori. Ad esempio, il gergo giovanile (giovanilese) è un gergo transitorio, che usiamo fino ad un certo punto della nostra vita, così come il gergo militare o il gergo del carcere. Più che essere legato alla variabile distratica, è legato anche alla varietà diafasica. di 37 49 LEALI GIORGIA L’italiano popolare si è estinto? Il tasso di analfabetismo è in regressione, persone che sono esclusivamente dialettofone ormai appartengono a fasce molto anziane, per questo potremmo credere che questa varietà sia in corso di dimissione. E invece, vi è una nuova categoria di semicolti, per lo più italofoni giovani in possesso di un titolo di studio, spesso poco consapevoli delle loro lacune, e il loro italiano popolare non si manifesta solo nelle scritture private, bensì anche in scritture formali (la corrispondenza elettronica professionale), anche a carattere ufficiale (tesi di laurea, comunicazioni burocratico-aziendali). Le ragioni di questo collasso della norma, e della competenza scrittoria, vanno rintracciate nella desacralizzazione della scrittura, accelerata dalla “graforrea” digitale, che ha favorito l’abbassamento dei meccanismi di controllo e l’innalzamento della soglia di tolleranza all’emergere dei tratti sub-standard. Si parla, infatti, di analfabetismo di ritorno, cioè la sostanziale incapacità a comporre ma anche a intendere in modo corretto un testo. Questo fenomeno non è inedito: nella storia (socio)linguistica si verifica ogni volta che l’utenza della scrittura si amplia (cfr. alfabetizzazione in epico post-unitaria) DIAMESIA L’ultimo asse dello schema Berruto e dello schema di Antonelli è l’asse diamesico, relativo alla variazione del mezzo di comunicazione. IL PARLATO FONICO I tratti del parlato fonico: - Scarsa accuratezza della produzione di un enunciato, che porta a fenomeni di allegro (forme tronche: dir, son, far; forme aferetiche: sto “questo”, notte “buonanotte”; forme abbreviate: cine, bici, moto); - Scarsa pianificazione del discorso, con conseguente frammentazione dello stesso, insieme a riprogettazione, ripetizioni ecc; - Stretto legame con il contesto, che si esprime attraverso deittici e segnali discorsivi, che servono a stabilire il contatto con l’ascoltatore (senti, guarda, capisco); - Sul piano lessicale, uso di genericismi (coso, roba). Simula il parlato spontaneo ma ha dei tratti del parlato scritto, ecco perché diciamo “parlato scritto fonico”. - deittici = parole che puntano al contesto Viceversa, dall’altra parte dell’asse vi è LO SCRITTO, o scritto grafico, perché si manifesta attraverso l’utilizzo di grafemi. - Maggiore pianificazione del testo. La pianificazione è anche vincolata alle specificità richieste da ciascuna tipologia testuale (ad es un’accurata paragrafazione nei saggi; una struttura a elenco nei testi burocratici ecc); - Ricchezza di connettivi che collegano le diverse porzioni testuali, assicurando una struttura coesa; - Elevata coerenza del testo; - Maggiore varietà del lessico rispetto al parlato fonico. Il lessico dello scritto grafico possiede, solitamente, una maggiore densità lessicale. Alcuni esercizi: di 40 49 LEALI GIORGIA Siamo su un polo scritto, varietà dell’italiano burocratico. Quali tratti possiamo riconoscere: - onde = connettivo desueto, arcaizzante, aulico; - Nonché = connettivo aulico, molto formale; - Dichiarante = part.presente in funzione nominale, del tutto disusato al di fuori di questa varietà; - Coniuge = vocabolo di registro formale; - E/o = deriva dall’inglese, è una delle possibilità che l’italiano neostandard ha ereditato modellandosi sull’inglese; - La frase, che non termina, ci permette di rivelare l’ipotassi, cioè l’utilizzo di periodi lunghi con varie subordinate; - I suffisait in -ale - saldo, versamento = fanno parte del sottocodice finanziario; - ILOR = acronimo - “è stato ristrutturato” = impersonale Italiano colloquiale informale, scaduto nel trascurato. - Mentre che = connettivo a-normativo - Turpiloquio (permette di scendere in diastratia) - Presenza del gergo giovanile (sentirsi da Dio, strafocarsi, pulotti, centomila (iperbole) volte meglio) - Mh = interiezione - Tirare giù sorsate = costruzione analitica tipica del parlate - Chi fa da se fa per tre = espressione idiomatica, spunta nel parlato informale Italiano popolare tradizionale. - concrezioni dell’articolo, che viene attaccato al nome (liniziativa, linsicuressa); - Linsicuressa = tratto dialettale settentrionale; - Assenza di accento (ce ne = ce n’è); - Uso delle maiuscolo ideologico; - Anacoluto all’inizio, cambia il soggetto dalla prima alla seconda frase = scarsa pianificazione del discorso che deriva da una scarsa padronanza della sintassi scritta. di 41 49 LEALI GIORGIA - Manca anche la punteggiatura, a pare qualche virgola sporadica Italiano semicolto - Ernia lombale = malaproprismo, dovrebbe essere “ernia lombare”. 
 bene placido = nello standard sarebbe “benestare” - Dare del voi = arcaismo - Contesto campano, quindi l’autore ha la pressione del sostrato campano che agisce sulla sua scrittura; - Conto di = colloquiale - Professoressa, buongiorno = si percepisce l’oralità LE VARIETÀ DI APPRENDIMENTO La varietà di apprendimento o interlingua è definita come un sistema linguistico a sé stante che risulta dal tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della lingua obbiettivo (Selinker). - Ha carattere sistematico e transitorio; - Le varietà di apprendimento costituiscono un continuum; i due poli del continuum sono la “fase del silenzio” e la “lingua obbiettivo”; - Delicatezza della “fase del silenzio”. Le varietà di apprendimento costituiscono un continuum, suddiviso convenzionalmente in tre livelli: 1. Varietà pre-basica; 2. Varietà basica; 3. Varietà post-basica LA VARIETÀ PRE-BASICA Gli enunciati sono formati prevalentemente da nomi. Non c’è morfosintassi, è tutto costruito sui sostantivi, alcune frasi complesse possono essere presente perché prese così, non analizzate. I parlanti delle varietà pre-basiche si appoggiano moltissimo all’interlocutore, che ha il ruolo di interpretare/ricostruire il messaggio LA VARIETÀ POST BASICHE Vanno dal B1 al C2, e il principio pragmatico non c’è più, domina il principio sintattico. LA FOSSILIZZAZIONE E LE SUE CAUSE - È un’interruzione nel processo di apprendimento e di approssimazione alla lingua target; - Spesso è temporaneo; tutti noi, quando apprendiamo una LS/L2, sperimentiamo uno o più periodi di fossilizzazione; - Ha molteplici cause, esterne e interne all’apprendente: - Qualità dell’input (diversificato, anche formale o solo sub-standard o foreigner talk/acquisito solo in contesto naturale o anche in ambiente strutturato come la classe); - Motivazione dell’apprendente, spesso legata al progetto migratorio; - Distanza sociale e psicologica rispetto alla comunità dei nativi. L’ERRORE E LA CORREZIONE DELL’ITALIANO L2 - È sistematico; - È indotto dall’ipergeneralizzazione delle norme apprese (es. spenduto al posto di speso, sul modello di mangiato, pensato, creduto, veduto etc); di 42 49 LEALI GIORGIA Temporalità: l’ordine in cui un non nativo acquisisce l’ordine dei tempi verbali. Altra sequenza è quella relativa alla subordinazione: l’acquisizione del subordinate. STRATEGIE PER UN BUON PARLATO DELL’INSEGNANTE Quando impostiamo la progressione della didattica degli argomenti grammaticali, dobbiamo tenere conto delle sequenze acquisizionali: non dobbiamo anticipare una struttura se non abbiamo focalizzato quelle che la precedono nella sequenza. Anche nel parlato, l’insegnate dovrebbe tenere conto di queste sequenze e tararlo sul livello di competenza dei suoi allievi. Le strategie: - Riformulazione e spiegazione; - Ripetizione di parole piene, rilevanti per il messaggio, compresa la ri-esplicitazione lessicale degli elementi analogici pronominali; - Contestualizzazione. LA GRAMMATICA: MODELLI DI INSEGNAMENTO LE DEFINIZIONI DI GRAMMATICA • L’insieme delle regole di una lingua che ne governano i sistemi fonologico, morfo-sintattico e lessicale. • La descrizione completa di una lingua, cioè dei suoi principi di organizzazione. • La teoria della competenza linguistica dei parlanti - Noam Chomsky: la competenza è l’insieme delle conoscenze grammaticali che rendono possibile al parlante comprendere e produrre infinite frasi mai sentite in precedenza, mentre l’esecuzione è la manifestazione della competenza nell’uso effettivo della lingua. LA GRAMMATICA COME SISTEMA DELL’AGIRE SOCIALE Secondo le teorie basate sull’uso e secondo la linguistica cognitivo-funzionale, la grammatica è un prodotto di un insieme di processi storici e ontogenetici cui collettivamente ci si riferisce come grammaticalizzazione. Le strutture linguistiche emergono dall’uso e dall’imitazione, oltre che da fattori socioculturali sottesi all’uso linguistico stesso. L’apprendente impara non solo le forme convenzionali ma anche il loro uso convenzionale, cioè le regole di appropriatezza. REGOLE E REGOLARITÀ Col termine regola ci riferiamo di solito a singoli elementi verbali autosufficienti, che esprimono che c’è un rapporto costante tra fenomeni osservabili; quando parliamo di regola usiamo categorie dicotomiche che esprimono valori come accettabile/non accettabile, giusto/sbagliato ecc. Vi sono tre tipi di regole: - Regole formali, si considerano i comportamenti strutturali di categorie grammaticali quali articoli, nomi, aggettivi, verbi. - Regole categoriali di tipo semantico; di 45 49 LEALI GIORGIA - Regole categoriali aperte a variazione (l’italiano è una lingua SVO, ma possiamo costruire anche frasi del tipo OSV). Con regolarità intendiamo i comportamenti ricorrenti, in qualche misura prevedibili, e che a differenza delle regole formali non sono obbligatorie. REGOLARITÀ DISCORSIVE Esse sono affrontate dalla linguistica interazionale, una sotto branca della pragmatica, che considera la grammatica come un sistema organizzato dell’interazione sociale. - Regolarità delle coppie adiacenti, è un tipo di regolarità costituita dal significato derivante dalla collocazione di determinati enunciati in particolari sequenze interattive. - Regolarità nei turni di parola (completamento anticipatorio); - Regolarità pragmatiche, che chiamano in causa fattori della situazione sociale in cui avviene la comunicazione. La pragmatica è la scienza del linguaggio in relazione ai suoi utenti. Le regolarità pragmatiche sono regolarità che sottostanno al significato pragmatico e che chiamano in causa componenti della situazione sociale in cui l’evento comunicativo ha luogo. - Regolarità e conoscenze semantiche, che prefigurano e determinano le attese dell’interlocutore, regolano l’interpretazione di ciò che si ascolta e incidono sull’organizzazione stessa dell’informazione; - Regolarità e competenza etnolinguistica, è la capacità di identificare, e di usare, norme sociali relative a quei comportamenti comunicativi che influenzano la buona riuscita della comunicazione in culture determinate. - Regolarità nella sequenza di episodi. DIDATTICA TRADIZIONALE-TRASMISSIVA - Dal più piccolo al più grande 
 se pensiamo alla grammatica della scuola elementare, ricordiamo che siamo partiti dagli elementi più piccoli, ma in realtà così è più difficile, perché bisogna partire in astratto; è più opportuno partire dalle frasi intere e osservare le frasi semplici per far notare le due proprietà principali della lingua: noi non possiamo collocare le parole nelle ordine che preferiamo, ma l’ordine è vincolato. - Il criterio nozionale-semantico non basta 
 per riconoscere le categorie siamo abituati a usare criteri di tipo nozionale-semantici (es la definizione di soggetto), ma alcune volte esso è contraddittorio, anche per concetti che noi riteniamo basilari. 
 Da qualche tempo è tornato di moda l’uso di scrivere diari → qui verrebbe da dire che il soggetto sia “diari”, mentre in realtà è “l’uso”. È meglio ragionare sulle proprietà distributive- sintattiche degli elementi, piuttosto che una definizione basata sulla semantica. - Analisi logica e sua alternativa (modello valenziale) 
 l’analisi logica non funziona perché non si basa sulla logica, ma su criteri intuitivi di assegnazione di significato. I vari complementi presenti in una frase sono fondati su criteri di tipo semantico e intuitivo. Ciò che sta dietro l’analisi logica è la semantica. L’analisi logica era stata introdotta già dall’unificazione del regno d’Italia per facilitare l’apprendimento del latino. Come alternativa possiamo adottare il modello valenziale. - Dalla grammatica trasmisi alla grammatica pedagogica 
 di 46 49 LEALI GIORGIA IL MODELLO VALENZIALE Sabatini dice che avere un modello serve per spiegare in maniera chiara e convincente gli oggetti che osserviamo e permette di cogliere il rapporto del tutto con le sue parti. In ambito scientifico s’intende per modello uno schema teorico che in un certo campo cerchi di ridurre una varietà di fenomeni agli elementi fondamentali e di tali fenomeni dia una spiegazione unitaria. Un buono modello deve essere potente, economico e predittivo, deve cioè spiegare con un unico principio il maggior numero possibile di casi noti o prevedibili. Deve, inoltre, avere capacità euristiche: deve favorire anche la scoperta di nuovi aspetti dell’oggetto in osservazione. Nel campo degli studi grammaticali queste proprietà sono state dimostrante nel modello valenziale, che: - Spinge l’alunno a utilizzare la propria competenza; - Impegna la mente in un constante esercizio di analisi semantica delle parole in un campo di autonomia dai vari possibili contesti situazionali della comunicazione; - Offre una spiegazione fortemente unitaria di molti aspetti del meccanismo della lingua e quindi propone traguardi di conoscenza che si sommano progressivamente; - Mette in pieno risalto le funzioni dei singoli elementi e mostra come a una stessa funzione possano corrispondere espressioni formali diverse, abituando quindi l’alunno a servirsi di formulazioni diverse; - Si presta per una rappresentazione delle strutture frasari mediante schemi grafici di forte impressività e che corrispondono all’organizzazione simultanea e intrinsecamente radicale e non lineare degli elementi nella mente del parlante. - È facilmente applicabile alla descrizione di altre lingue, specialmente di quelle geneticamente affini (latino e lingue romanze) e permette di istituire immediati confronti sul piano delle strutture linguistiche. Uno degli scopi della didattica sarebbe incentivare la competenza e la capacità di riflessione sulle lingue, favorendo i cosiddetti transfer positivi. La trattazione tradizionale presenta la frase come una struttura che si sviluppa partendo dal “soggetto”, come elemento fondamentale del quale il verbo “predica qualcosa”, e prosegue con altri eventuali “complementi” che si susseguono in una catena che cresce linearmente. Questa concezione presenta la frase secondo una prospettiva informativa esterna, che mette in evidenza un attore principale e accumula via via altre informazioni sui fatti descritti, ma non fa emergere con chiarezza il meccanismo interno della frase. Per comprendere come si costruisce la frase, bisogna scegliere come punto di partenza l’elemento che regola i rapporti sintattici tra i pezzi principali della frase. Questo elemento motore è il verbo, che con le sue “valenze” chiama a sé gli “argomenti” e forma il nucleo della frase. Il significato del verbo coglie l’essenza dell’evento ed è quindi l’elemento dinamico che mette in moto il meccanismo centrale della frase. Conoscendo il significato del verbo nella sua lingua, il parlante sa quali elementi indispensabili bisogna aggiungere a quel verbo perché si formi intorno ad esso una frase. di 47 49
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved