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Lo Cascio, forme dell’economia imperiale, Sintesi del corso di Storia Romana

elio lo cascio, analisi economia imperiale romana

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Lo Cascio, forme dell’economia imperiale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Lo Cascio, forme dell’economia imperiale Il dibattito storiografico sui caratteri dell’economia imperiale nei primi due secoli di delinea principalmente su due contrastanti linee. La prima è quella di B ücher , secondo cui l’evoluzione economica dell’occidente si muove in modo lineare e progressivo, attraversando un processo di 3 stadi dell’umanità: da un’economia domestica chiusa → si passa ad un’economia cittadina (basso medioevo) → per poi giungere ad un’economia nazionale (mondo moderno). La seconda invece è la linea di Meyer, secondo cui l’evoluzione economica dell’occidente è ciclica, per cui la storia della Grecia e quella di Roma possiedono forti analogie con la storia europea dal XIV al XIX secolo (schiavi antichi = proletari moderni). WEBER, tendando una terza via, sostiene che il “capitalismo antico” sia stato legato all’ espansione imperiale, alla guerra e alla conquista; questo raggiunse il suo apice in età tardorepubblicana, durante la quale alcuni ceti specifici accumularono enormi capitali. Quello che Weber chiama capitalismo antico, era basato sul lavoro umano, degli schiavi, che era vero e proprio capitale; infatti si ebbe la costituzione di aziende basate sul lavoro umano, che si inserirono che mercato. Quando veniva stabilita la pace con i sottomessi e quindi diminuivano le fonti di approvvigionamento dei capitali, gli schiavi, recedeva il sistema del “capitalismo antico”. Weber accettava di Meyer il riconoscimento di tratti moderni nell’economia antica, ma rifiutava il vederci la “fabbrica”; di Bücher invece, accettava l’esigenza concettuale di operare distinzioni per individuare una corretta definizione (fase) storica. Secondo Weber la pace imperiale fu “i germi di una malattia mortale” per l’impero stesso poiché la pace portava → alla diminuzione del capitale costituito dagli schiavi; tale diminuzione avviò un processo che culminò nella → vittoria della rendita sul profitto, nella vittoria dell’economia naturale su quella monetaria, nella vittoria della “copertura del fabbisogno”. Infine Weber sosteneva che gli aspetti di depressione e stagnazione di età imperiale, anticipavano il Medioevo; e che l’apogeo dell’impero era l’inizio del suo declino. ROSTOVZEV rappresenta l’opposta valutazione, rispetto a Weber, dello stile economico dell’età imperiale, con History (1926), capolavoro di storiografia modernizzante. Diversamente da Weber, per Rostovzev la pace imperiale fu occasione di sviluppo per un sano sistema economico. Rostovzev qualifica come “capitalismo feudale” quello che crollò a causa dell’alleanza tra borghesia e proletariato d’Italia, cioè l’egemonia dei due ordini privilegiati di Roma, quello equestre e il Senato, costituiti da grandi proprietari e uomini d’affari. (capitalismo feudale è ritenuto un ostacolo al sano sviluppo economico del mondo antico). → “capitalismo urbano” era fondato sul commercio, sull’agricoltura metodica e sull’industria, e fu la fase successiva al capitalismo feudale. Rappresentò il fattore di sviluppo economico e di pace. La pace favorì lo sviluppo economico, di cui la rappresentante fu la borghesia cittadina; l’urbanizzazione fu insieme il fattore principale e la manifestazione più evidente. Il ruolo di “imprenditori borghesi” fu assunto dai medi proprietari cittadini. Lo sviluppo del capitalismo urbano costituì la sua stessa degenerazione, causata dall’attività di sfruttamento delle classi inferiori da parte della classe media urbana; inoltre la ricchezza venne rinvestita in terra, e commercio e industria si decentrarono poiché le entrate derivavano principalmente dall’agricoltura. Questa situazione di immobilismo della struttura sociale, comportava l’impossibilità per i ceti bassi di poter ascendere socialmente e quindi → l’impedimento della crescita economica. Il conflitto di classi che ne nascerà, alla lunga porterà alla crisi. La valutazione complessiva di Rostovzev, del principato è positiva, poiché la pace imperiale comportò → la scomparsa delle forme più radicali e violente di acquisizione, a cui conseguì → l’occasione per il capitalismo antico di espandersi al di là dell’Italia dei dominatori → quindi le province crebbero economicamente, grazie alla borghesia cittadina che ne promosse lo sviluppo a spese della penisola. LA NUOVA ORTODOSSIA E I SUOI CRITICI Il dibattito legato all’economia imperiale, divide i “primitivisti” e i “modernizzanti”, i quali sostengono la presenza o l’assenza di atteggiamenti da homo oeconomicus nelle mentalità dei protagonisti economici antichi. Finley (seconda metà ‘900), formula la nuova ortodossia, secondo la quale la crescita economica è legata alla guerra e all’impero; la nuova ortodossia propone un’immagine statica dell’economia imperiale romana, dove il ruolo di commercio e manifattura sono molto limitati rispetto alla produzione dei beni primari. Inoltre insiste sulla vicinanza tra città antica e “città consumatrice”, che è dimora dei ceti proprietari. La nuova ortodossia nega che élites proprietarie siano attivamente coinvolte nel commercio e nella manifattura, nega qualsiasi forma di integrazione economica fra le città dell’impero, che sono viceversa autarchiche. Non esiste, quindi, secondo Finley un commercio interlocale. Sono molti i modelli elaborati contro la Nuova Ortodossia di Finley, nei quali viene rivalutata l’importanza del commercio interlocale nel quale erano coinvolte anche le élites proprietarie e l’aristocrazia senatoria. I modelli di contro a Finley mettono in rilievo un’apprezzabile crescita produttiva dell’impero nei primi due secoli del principato a causa dell’incremento demografico e della produttività, legato al diffondersi delle relazioni mercantili-monetarie e al processo di specializzazione. Inoltre, questi modelli, insistono sul ruolo sempre maggiore che andarono assumendo le economie provinciali. L’economia romana (come tutte le economie preindustriali) è vista di tipo duale nella quale accanto al settore di commercio e monetario, è presente un’area di autoconsumo (distinzione vita materiale/vita economica di Braudel). La crescita dell’economia dell’impero nei primi due secoli del principato, è connessa all’incremento del settore del mercato a spese del settore dell’autoconsumo. DALL’AUTOCONSUMO AL MERCATO L’incremento dell’area del mercato si realizzò grazie all’estensione geografica dei rapporti mercantili- monetari, specialmente nell’Occidente mediterraneo; ne sono indicatori concreti l’urbanizzazione e la monetarizzazione di aree sempre più ampie del mondo mediterraneo. L’urbanizzazione comportò l’incremento della popolazione impegnata nella produzione di beni non primari → il surplus dai produttori di tali beni corrispose all’incremento della produzione e della produttività agricola. Il processo di monetizzazione, più visibile in ambito urbano, mostra che è attraverso il tramite mercantile-monetario che città anche sono consumatrici derivavano dalle campagne questa incrementata quota di surplus agricolo. La conseguenza fu il recedere quantitativo dell’area dell’autoconsumo rispetto a quella del mercato, e quindi sviluppi sul piano dell’offerta dei beni e su quello della domanda. La mercantilizzazione del surplus dei beni primari comportò → l’espandersi dell’attività di produzione nei centri urbani che a sua volta determinò → una domanda crescente, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo. (si parla di beni che alimentano sia consumi delle élites cittadine, si quelli di massa). Un altro fattore della crescita del mercato fu la romanizzazione, che diffuse uno specifico stile di vita che comportò l’allargarsi e l’articolarsi dei consumi e quindi della domanda. L’estensione sociale del mercato è rappresentato in Italia e nelle province, dalla nascita dei mestieri bancari, e dal diffondersi dell’attività del credito d’asta, corrispondente allo sconto commerciale. Gli operatori bancari offrono servizi di intermediazione bancaria all’aristocrazia municipale, ai medi commercianti e proprietari, soprattutto nei porti e nei mercati locali, le nundinae. In Italia tale sviluppo fu precoce rispetto alle province; e significò, nella penisola, l’espandersi del “modo di produzione schiavistico” che assunse il ruolo centrale nell’economia romana. VILLA SCHIAVISTICA La nascita e lo sviluppo della villa schiavistica in alcune zone dell’Italia centrale tirrenica, documentati dagli scriptores de re rustica e dalla documentazione archeologica, corrispondono al processo di razionalizzazione e efficientizzazione della produzione dei beni primari. HOPKINS considera la struttura economica e sociale delle comunità italiche di II e III sec. come esito finale del processo di emigrazione nelle città italiche e a Roma, ma soprattutto in provincia, di buona parte delle popolazioni rurali, e di quello contemporaneo di immigrazione, in minor numero, di schiavi in Italia. La
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