Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Lo spazio letterario dell'antica Grecia Antica, Appunti di Lingua Latina

la produzione e la circolazione del testo. i Greci e Roma

Tipologia: Appunti

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 18/04/2020

gahako
gahako 🇮🇹

4.5

(4)

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica Lo spazio letterario dell'antica Grecia Antica e più Appunti in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! LO SPAZIO LETTERARIO DELLA GRECIA ANTICA Direttori: Giuseppe Cambiano, Luciano Canfora, Diego Lanza Volume I LA PRODUZIONE E LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Tomo III I GRECI E ROMA SALERNO EDITRICE LO SPAZIO LETTERARIO DELLA GRECIA ANTICA Direttori: Giuseppe Cambiano, Luciano Canfora, Diego Lanza Volume I LA PRODUZIONE E LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Tomo I LA POLIS Volume I LA PR0DUZIONE E LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Tomo II L'ELLENISMO Volume I LA PRODUZIONE E LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Tomo III I GRECI E ROMA Volume II LA RICEZIONE E L'ATTUALIZZAZIONE DEL TESTO Volume III CRONOLOGIA E BIBLIOGRAFIA DELLA LETTERATURA GRECA SALERNO EDITRICE ROMA LO SPAZIO LETTERARIO DELLA GRECIA ANTICA Volume I LA PRODUZIONE E LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Tomo II I I GRECI E ROMA In redazione: CORRADO PETROCELLI Inserti iconografici: LUIGI TODISCO, GUGLIELMO CAVALLO {I libri) Traduzioni: Claudio Salone ha tradotto il saggio di KLAus ME1sTER ISBN 88-8402-147-2 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 1994 by Salerno Editrice S.r.l . , Roma. Sono rigorosamente vietati la ri­ produzione, la traduzione, l' adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la me­ morizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Saler- no Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. V I GRECI "INTELLETTUALI" NELL'IMPERO LA LETTERATURA POLITICA D E LLE "ÉLITE S " PROV I N C IALI volgere ad un pubblico molto piti vasto di quello della loro città, un pubblico costituito in linea di principio da tutti i parlanti greco entro e fuori l' impero, essi dunque per lo piti viaggiano da un capo all' altro di questo gigantesco comprensorio, o vi fanno circolare i propri scritti, e, per quello che qui ci interessa, utilizzano questo spazio anche per la loro attività politica, intesa naturalmente in senso lato, come "predicazione popolare".3 Tuttavia questi intel­ lettuali conservano quasi sempre un rapporto privilegiato con una singola città, che sia quella di origine o una di elezione : spesso vi esercitano cariche pubbliche o vi svolgono attività politica e di in­ tervento pubblico, volentieri ne rappresentano gli interessi di fronte ai governatori provinciali o allo stesso imperatore, non di rado ne raccolgono le tradizioni e le glorie in scritti destinati a conservarne il ricordo nel tempo. Di tutta questa attività a livello di "piccola patria" abbiamo ampia testimonianza per quanto ri­ guarda tanto le vicende biografiche dei singoli, quanto gli scritti che di alcuni di essi si conservano; cosi come d' altra parte si con­ servano tracce, anche nella produzione letteraria, degli interessi di tipo piti cosmopolitico di cui si è detto. È chiaro comunque che sempre di piti, via via che ci si inoltra nel II secolo, questi intellet­ tuali si rendono conto che solo facendosi conoscere ed apprezzare nei nuovi centri del potere, a Roma presso la corte imperiale, o nelle sedi amministrative locali del governo romano, potranno ot­ tenere autentica fama e prestigio. Ed è in realtà da questa parte che proviene la minaccia piti temibile al restaurato mondo della polis : Roma esercita sugli ingegni pi ti vivaci un' attrazione alla quale alla lunga sarà sempre piti difficile resistere ; e ciò non solo per grette considerazioni di opportunismo, come pretende Plutarco, il quale parla con disprezzo, nel suo Praecepta gerendae rei publicae, di coloro che ricercano le « lucrosissime funzioni di procuratori, e le ammi­ nistrazioni provinciali ».4 3 . Per questo concetto vd. P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell'impero romano, Messina-Firenze, D'Anna, 1978, p. 151 . 4. 814e . Sul fenomeno del progressivo reclutamento provinciale della classe diri­ gente dell' Impero vd. G. Salmeri, Dalle province a Roma: il rinnovamento del Senato, in Storia di Roma, cit., 1 112. I principi e il mondo, Torino, Einaudi, 1991, pp. 553-75 . Per l' inte- 13 PAO L O D E S I DERI Proprio Plutarco ci fornisce forse la migliore introduzione a questo mondo politico locale, alla cui vitalità egli ha sinceramente creduto, pur non nascondendosene i limiti.5 2. PLUTARCO E I PROBLEMI DELLA POLITICA CITTADINA Un nutrito gruppo di scritti compresi nei Moralia ruotano in modo vario attorno ai problemi della vita politica cittadina, e testi­ moniano dell' attenzione che l' intellettuale greco ha dedicato a questa realtà, della quale ha avuto esperienza diretta. Del resto an­ che le Vite rivelano un forte interesse per i temi politici ; e non è certo un caso che molti degli episodi e delle riflessioni che com­ paiono nelle biografie si ritrovino spesso negli scritti politici, usa­ ti in modo per cosi dire sistematico (questo non significa necessa­ riamente che questi siano stati composti piu tardi) . Due sono i te­ sti che affrontano direttamente questioni di questa natura, il già menzionato Praecepta gerendae rei publicae, e l'An seni res publica geren­ da sit ; 6 altri, come il De vitando aere alieno, o il De capienda ex inimicis utilitate, li presuppongono come sfondo di riflessioni che hanno grazione intellettuale resta fondamentale E. Gabba, Storici greci dell'Impero Romano da Augusto ai Severi, in « RSI », a. LXXI 1959, pp. 361-81. 5 . Su questo aspetto di Plutarco vd. C.P.Jones, Plutarch and Rome, Oxford, Claren­ don Press, 1971, pp. 1 10-21 ; J.-C. Carrière, À propos de la politique de Plutarque, in « DHA », a. III 1977, pp. 23r-51 ; P. Desideri, La vita politica cittadina nell'Impero: lettura dei 'Praecepta ger. reip.' e del/' 51.n seni resp. ger. sit', in « Athenaeum » , a. LXIV 1986, pp. 371-81 ; e la bibliografia citata alla n. 6. 6. Il primo dei due opuscoli è stato in questi ultimi anni ripetutamente edito, con introduzione, traduzione in lingua moderna e commento : nella Coli. Les Belles Let­ tres (Plutarque, Préceptes politiques, in Oeuvres Mora/es, Tome xilz, a cura di J.-C. Car­ rière, Paris 1984) ; nella collana Clasicos Politicos (Plutarco, Consejos Politicos, a cura di F. Gasco, Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1991) ; in Plutarco, Moralia III. Etica e politica, a cura di G. Pisani, Pordenone, Biblioteca dell' Immagine, 1992, pp. I-I66; nel Corpus Plutarchi Moralium (Plutarco, Precetti politici, a cura di A. Caiazza, Na­ poli, D'Auria, 1993) . Resta sempre molto utile l 'edizione, di poco piu vecchia, di E. Valgiglio, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1976. Quanto al secondo, se ne veda la re­ cente edizione, con introd., trad. frane. e comm. a cura di M. Cuvigny, nella Coli. Les Belles Lettres (Si la politique est /'ajfaire des vieillards, Tome XIII, Paris 1984) ; nonché quella, corredata da trad. it., di G. Pisani, in Plutarco, Moralia III, cit., pp. 16r-251 . Una trad. it. commentata, seguita da un saggio Il buon uso della vecchiaia, ne ha curata A. De Lazzer (Palermo, Sellerio, 1989) . 14 LA LETTE RATU RA POLITICA DE LLE "É LITE S " PROVI NCIALI un carattere piti spiccatamente morale. Dei primi, il Praecepta si presenta come una lettera di risposta indirizzata ad un giovane aristocratico, Menemaco di Sardi, che ha chiesto a Plutarco di ini­ ziarlo alla vita politica, mentre l'An seni è dedicato all' amico Eufa­ ne, un anziano uomo politico ateniese. Né l' uno né l' altro di que­ sti scritti possono essere considerati, a parte la èonfigurazione let­ teraria, dei veri e propri trattati politici ; 7 si potrebbero definire piuttosto dei manuali pratici di attività politica, che indicano quel­ li che devono essere gli obiettivi di questa attività, e gli strumenti piti adeguati per conseguirli. È dunque un discorso che ha di mira gli uomini, e i loro comportamenti, non le istituzioni o le strutture politiche, e che tuttavia ha poco a che vedere anche con la precet­ tistica di tipo "regale" (un tipo di scrittura che peraltro proprio in questo periodo conosce, come vedremo, un rigoglioso sviluppo), nella quale si manifesta, piti o meno apertamente, un intento en­ comiastico qui decisamente assente. L' idea fondamentale è che l' esercizicf della politica a livello cittadino è un obbligo al quale coloro eh�' hanno le qualità per dedicarvisi non possono sottrarsi, e dal quale non li esime neppure l' età avanzata. Nel Praecepta Plu­ tarco afferma che la passione per la politica è un requisito necessa­ rio ma non sufficiente ; si deve poter disporre anche di una serie di doti morali e di una adeguata preparazione culturale, che consen­ tano di affrontare con senso di responsabilità, ma anche con fred­ dezza e spregiudicatezza, i problemi spesso difficili che si pongo­ no di giorno in giorno nella vita di una città. È vero che non ci si deve piti preoccupare di problemi una volta cruciali, come in pri­ mo luogo quelli di carattere militare ; la pace universale instaurata dall' Impero di Roma ha spostato ben lontano dall' orizzonte delle singole città questioni di tale natura. Ma questo non significa che siano scomparsi i tradizionali problemi sociali ed economici, la cui 7. A questa categoria si potrebbe viceversa ricondurre il frammento De unius in re publica dominatione, populari statu, et paucorum imperio (826 a-827c), di cui vd. l'ed. nella Coli. Les Belles Lettres (Sur la monarchie, la démocratie et /'oligarchie, a cura di M. Cuvi­ gny, Tome x1/2, Paris 1984), quella di G. Pisani (Plutarco, Moralia III, cit., pp. 403-18) ; e ora quella (con intr. , trad. it. e comm.) di A. Caiazza nel Corpus P/utarchi Moralium (Monarchia, democrazia, oligarchia, Napoli, D'Auria, 1993). 15 PAO L O D E S I DERI chee, la definizione "lettera aperta ai Greci" che è stata data del Praecepta ) .9 Come accennavamo, caratteri simili a questi che abbiamo rile­ vato nel Praecepta e nell'An seni, presentano altri scritti "morali" di Plutarco, che toccano in maniera meno marginale di quello che può sembrare i problemi dell' organizzazione politica, e anche so­ ciale ed economica, delle città greche. Al di là delle considerazioni propriamente moralistiche, come quelle che fanno discendere la raccomandazione di non indebitarsi dall' esigenza di contenere le proprie esigenze, e di non farsi asservire dalle passioni, il De vitan­ do aere alieno, ad esempio, lascia filtrare con assoluta chiarezza messaggi di natura pili generale.10 Cosi emerge la preoccupazione per la situazione di indebitamento generalizzato delle città della Grecia, che non è pili un fatto privato, ma ha gravi conseguenze per l' economia e la società della regione : gli usurai « portano con­ tro la Grecia vasi pieni di obbligazioni e di contratti che sono al­ trettanti ceppi [ . . . ] seminano radici di debiti che producono in quantità affanni e interessi di cui sarà difficile liberarsi [ . . . ] queste radici, attorcigliandosi e proliferando torno torno, piegano e sof­ focano le città » (829ab). E nell' attacco agli usurai è notevole la considerazione « non coltivano i campi che strappano ai loro debi­ tori, né abitano le case dalle quali li cacciano, né apparecchiano le loro tavole né indossano le loro vesti » (829d) : dove si esprime la consapevolezza del carattere parassitario dell' attività finanziaria. Mentre in uno scritto che Plutarco stesso definisce una sorta di in­ tegrazione del Praecepta (86cd) , il De capienda ex inimicis utilitate,11 una lettera ad un amico (come il Praecepta e l'An seni) , questa volta Cornelio Pulcro, vengono approfonditi aspetti importanti del co- 9. T. Renoirte, Les 'Conseils politiques' de Plutarque. Une lettre ouverte aux Grecs à /'épo­ que de Trajan, Ree. de travaux d'hist. et de phil. de l'Université de Louvain, 1951 ; il li­ bro resta comunque un importante contributo all' interpretazione del testo plutar­ cheo. IO. Vd. l' ed. nella Coli. Les Belles Lettres (Il nefaut pas s'endetter, a cura di M. Cuvi­ gny, Tome xulI, Paris 1981). II . Vd. l' ed. nella Coli. Les Belles Lettres ( Comment tirer profit de ses ennemies, a cura di R. Klaerr, A. Philippon,J. Sirinelli, Tome 1/2, Paris 1989), e quella a cura di G. Pisani (Plutarco, Moralia III, cit., pp. 253-94) . 18 LA LETTE RATURA POLITICA DE LLE "ÉLITE S " PROV I NCIALI stume politico cittadino, considerato dal punto di vista delle dina­ miche dei rapporti interpersonali nell' ambito della classe emer­ gente. Considerazioni analoghe potrebbero farsi per il De cupidita­ te divitiarum 12 o il De se ipsum ci tra invidiam laudando, 13 e altri ancora dei Moralia ; ma anche alcuni dei discorsi di Dione di Prusa, con­ temporaneo di Plutarco e per certi aspetti a lui molto vicino, rive­ lano un analogo forte sfondo politico di riflessioni apparentemen­ te solo moralistiche : basta pensare al primo Sulla fama (Lxvi) o al secondo Sull'invidia (Lxxvm) . 3. LA NUOVA ORATORIA POLITICA Tra le forme espressive in prosa nessuna forse era stata caratteri­ stica della polis classica come l' oratoria. L' arte della parola pubbli­ ca, o retorica, strumento essenziale della vita della città democrati­ ca, si era anzi costituita in titolare per antonomasia della compe­ tenza della fissazione delle norme che regolano l' organizzazione del discorso; regole destinate a valere tanto per il discorso parlato quanto per quello scritto, cosi come un tutt'uno avrebbero dovuto essere considerate la vera e propria prestazione oratoria e la sua redazione scritta. L' oratoria politica e quella giudiziaria furono fin dall' inizio le due forme pili importanti di questa attività, certo perché erano quelle delle quali, in quanto funzionali a specifiche situazioni di rilevanza istituzionale nella vita della polis, meglio si identificava­ no le caratteristiche specifiche; 14 ma era emersa ben presto l' op­ portunità di attribuire il giusto rilievo, in una classificazione gene­ rale, a discorsi pubblici diversi, che rispondevano ad altri momenti 12. Vd. l' ed. a cura di G. Pisani {Plutarco, Moralia I. 'La serenità interiore' e altri testi sul­ la terapia dell'anima, Pordenone, Biblioteca dell' Immagine, 1989, pp. 471-99) . 13. Vd. l' ed. nella Coli. Les Belles Lettres { Comment se louer soi-meme sans exciter l'en­ vie, a cura di R. Klaerr e Y. Vernière, Tome v11/2, Paris 1974) , e quella a cura di G. Pisa­ ni {Plutarco, Moralia III, cit., pp. 295-353) . 14. Vd. ora rispettivamente L. Canfora, L'agorà : il discorso suasorio, e G. Avezzu, L'ora­ toria giudiziaria, in Lo spazio letterario della Grecia antica, dir. da G. Cambiano, L. Canfo­ ra, D. Lanza, voi. 1. La produzione e la circolazione del testo, to. 1. La polis, Roma, Salerno Editrice, 1992, pp. 379-95, 397-417. 19 PAO L O D E S I DERI di quella vita, non tanto meno significativi quanto pili dispersi : e per questi si parlò, in forma per cosi dire cumulativa, di oratoria epidittica, cioè di esibizioni a carattere pili propriamente decla­ matorio.15 Poteva trattarsi di discorsi destinati ad essere pronun­ ciati in occasione di feste cittadine e panelleniche, oppure di elogi funebri di singoli personaggi o di caduti in guerra, oppure pili ge­ nericamente di conferenze sugli argomenti pili vari, di fronte ad uditorii altrettanto vari. Per tutte queste manifestazioni di orato­ ria, che scandivano il tempo della sua esistenza quotidiana, la polis era venuta col tempo creando uno specifico apparato di addestra­ mento dei giovani, che costitui di fatto il nucleo della scuola supe­ riore ellenistica, e poi romana.16 Si erano anche formate, relativa­ mente alle modalità di esercizio dell' attività oratoria, scuole di pensiero diverse, che propugnavano tecniche formative diverse ; ciò risulta specialmente dalle notizie che ce ne fornisce un osser­ vatore e discepolo attento come Cicerone, in particolare nel De oratore. Queste divergenze finirono anche per interferire, almeno nella tarda età ellenistica, e in concomitanza con la progressiva acquisi­ zione da parte di Roma del predominio sul mondo greco, con i di­ versi orientamenti politici assunti nei confronti di quella potenza da singoli e da comunità. Una celebre testimonianza ce ne ha la­ sciato, proprio agli inizi dell' Impero, il retore e storico Dionigi di Alicarnasso nell' introduzione del De antiquis rhetoribus.17 Qui vie­ ne istituito un collegamento esplicito fra forme oratorie e atteg­ giamenti politici, nella misura in cui si identifica un tipo di discor­ so (definito di origine asiana) di cui viene denunciata, tanto per i modi espressivi che per i contenuti, la connotazione demagogica, al quale ne viene contrapposto un altro, ben diversamente ispirato, atto a frenare anziché ad eccitare le passioni popolari. Dionigi esulta perché quella che appare ormai, con Azio e l' ascesa di Au- 15. O.A. Russell, Greek Declamation, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1983. 16. H.-1. Marrou, Storia dell'educazione ne/l'antichità, trad. it. Roma, Edizioni Stu­ dium, 1950, pp. 265-78. 17. Vd. l' ed. degli opuscoli retorici di Dionigi a cura di G. Aujac nella Coli. Les Bel­ les Lettres (Paris 1978) . 20 LA LETTE RATURA POLITICA DE LLE "ÉLITE S " PROV I N C IALI "seconda sofistica" (Vite dei Sofisti, I , p. 481) .28 In ogni caso Filostrato non manca neppure di fare qualche cenno all' oratoria politica, che risulta anche per lui parte cospicua dell' attività di certi oratori, co­ me Dione, di cui ricorda espressamente i discorsi alle città (che, come vedremo, ci sono pervenuti in una quantità apprezzabile) . Analogamente Filostrato fa menzione, per quanto incidentalmen­ te, di discorsi politici di Scopeliano di Clazomene (Vite dei Sofisti, 1 21, p. 519), e del padre di Alessandro Peloplatone di Seleucia (Vite dei Sofisti, 11 5, p. 570) ; e ricorda che Marco Aurelio affidò a Teodoto di Atene la direzione dell' educazione dei giovani, « in quanto maestro di discorsi politici e vanto della retorica » (Vite dei Sofisti, 11 2, p. 567) . Tuttavia, per avere un' idea di quella che è stata l' importanza dell' oratoria politica in questo periodo, si può piu utilmente rifar­ si ai non pochi testi che se ne sono conservati; naturalmente biso­ gna subito precisare che le tipologie di questi discorsi sono molto varie, e che in certi casi la dimensione politica è piu apparente che reale, prevalendo su di essa _l' aspetto epidittico. Il gruppo piu con­ sistente di questi testi è certamente quello costituito da una larga parte degli ottanta logoi del corpus di Dione, il famoso filosofo-sofi­ sta di Prusa di Bitinia, soprannominato Crisostomo, vissuto fra l' e­ tà dei Flavi e il principato di Traiano.29 Di questa parte, i testi che meglio corrispondono al tipo tradizionale di discorso politico so­ no i cosiddetti « Bitinici » (xxxvm-u), che Dione ha pronunciato in massima parte nella sua città di origine (qualcuno in altre città della provincia, come Apamea, Nicomedia, Nicea, legate però a Prusa da interessi comuni) nella prima età traianea.3o C' è poi una 28. Desideri, Filostrato, cit., pp. 57-61. 29. Per un' analisi sistematica dei tipi di questi logo i vd. P. Desideri, Tipologia e varietà di funzione comunicativa degli scritti dionei, in « ANRW �. 11 33/5, Berlin-New York, de Gruyter, 1991, pp. 3903-59, 3926-29. Sulla personalità di Dione resta fondamentale H. von Arnim, Leben und itérke des Dio von Prusa, Berlin, Weidmann, 1898; vd. anche De­ sideri, Dione, cit.; C .P.Jones, The Roman World ofDio Chrysostom, Cambridge (Mass.)­ London, Harvard Univ. Press, 1978; G. Salmeri, La politica e il potere. Saggio su Dione di Prusa, Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università, 1982; e ora P. Desideri, s.v. Dion de Pruse 'Chrysostome', nel Dictionnaire des philosophes antiques, diretto da R. Goulet, Paris, Editions du CNRS, voi. 11 (in stampa). 30. Con l 'eccezione del discorso XLVI (Prima di filosofare, in patria ) , che si colloca in un contesto del tutto diverso (Desideri, Dione, cit., pp. 131-35). 23 PAO L O D E S I DERI serie di interventi su temi politici generali, svolti in tempi diversi in varie importanti città dell'Oriente greco : Rodi (xxxi), Alessan­ dria d'Egitto (xxx11), Tarso (xxxm-xxx1v) , Apamea-Celene (xxxv) . Altri discorsi, pur pronunciati in contesti cittadini, come il xm (ad Atene) , o il xxxvi (a Prusa) , o altri ancora che lasciano presuppor­ re un contesto analogo (v11 , Euboico ; x1, Troiano) , anche se toccano temi di possibile interesse politico hanno caratteristiche formali del tutto diverse. Limitandoci dunque a prendere in considerazio­ ne i primi due gruppi, possiamo dire che i « Bitinici » sono testi di discorsi pronunciati in sedi politiche (assemblee popolari, consigli ristretti) , il cui obiettivo è quello di proporre e cercare di realizza­ re un progetto di trasformazione urbanistica e sociale della città di Prusa e del suo territorio, sullo sfondo di un ancor pili ambizioso piano di riorganizzazione in senso politico dell' intera provincia di Bitinia; 3t tutta questa azione sviluppata da Diane, che rivesti in qualche momento anche cariche pubbliche (ed ebbe fino a un certo punto l' appoggio di Traiano) , trova conferma in alcune delle lettere "bitiniche" di Plinio.32 Siamo dunque di fronte ad un com­ plesso di testi che possono essere posti sullo stesso piano dei di­ scorsi politici di Demostene, o di Cicerone, anche se in Diane i li­ miti dell' autonomia dell' azione politica cittadina appaiono talora evidenti. Per quanto riguarda i discorsi del secondo gruppo, in questo ca­ so Diane non parla evidentemente in qualità di cittadino di quelle città, e l' intervento non si svolge necessariamente in una sede per cosi dire istituzionale ; esso acquista perciò connotati parzialmente diversi, in quanto all' elemento politico si affianca pili decisamente quello morale ; inoltre emerge talvolta, in maniera pili o meno esplicita, la circostanza che Diane è stato espressamente inviato dall' autorità imperiale per esercitare opera di persuasione nei confronti di città che hanno suscitato sospetti e preoccupazioni a Roma.33 Se da una parte dunque questi discorsi richiamano temi 3r . Per un' analisi dettagliata di questo progetto vd. Desideri, Diane cit., cap . v1 ; vd. anche Jones, The Roman World, cit., cap . 11 . 32 . Epist., x 81, 82, ecc. 33. Vd. specialmente XXXII 12, XXIV 4. 24 LA LETTERATURA POLITICA D ELLE "ÉLITE S " PROVI N CIALI tipici della predicazione cinica dell' epoca (quali li conosciamo da altri discorsi di Diane stesso, come i cosiddetti « Diogenici » , o dal­ la descrizione che ne dà Luciano nel Fuggitivi) , dall' altra si spiega­ no con una seconda dimensione politica del personaggio, quella che fa capo ai suoi rapporti, di altissimo livello, col mondo roma­ no, ai quali si riconducono poi discorsi politici a carattere teorico come i Sulla regalità (1-1v) , su cui torneremo pili avanti. In ogni ca­ so questi discorsi pronunciati in diverse città dell' Impero del tem­ po, nei quali viene messa in opera una strumentazione tecnica e viene presupposto un sistema di referenti culturali assolutamente omogenei, sono la prova migliore del carattere cosmopolitico di quel mondo, e dell' egemonia che in esso esercita la cultura greca. Numerosi testi oratori di tipo politico compaiono anche nel cor­ pus di Elio Aristide di Smirne,34 un altro celebre sofista d'Asia mi­ nore, di un paio di generazioni pili giovane di Diane; e anche qui, come nel corpus dionea {ma in misura decisamente minore), com­ paiono tanto discorsi pronunciati nella propria città o nella pro­ vincia (in questo caso l'Asia) , quanto in altre città dell'Oriente gre­ co. La dimensione pili letteraria dell' intellettuale di Smirne si ri­ vela già nel fatto che alcuni di questi discorsi sono in realtà delle lettere, pur scritte per essere recitate in pubblico, e con finalità in senso lato politiche.35 La fisionomia del personaggio è in ogni ca­ so molto diversa da quella di Dione : 36 in particolare non c' è trac­ cia in lui di quella passione politica cittadina che caratterizza in maniera cosi decisa l' intellettuale di Prusa. Per Aristide si può par­ lare senz' altro di amore per la sua "piccola patria", che però non si 34. Citati secondo l'ed. Keil (voi. 11, Berolini, Weidmann, 1898) . Un' analisi tipolo­ gica di questi discorsi dà B.P. Reardon, Courants littéraires grecques des Il' et III• siècles après ].-C. , Paris, Les Belles Lettres, 1971, pp. 124-42. 35. xvm, XXI, XXIV. Una lettera è anche XIX (Lettera su Smirne aJ?li imperatori ) , i cui contenuti fanno però capo ad un contesto diverso. 36. L' unica monografia complessiva resta quella di A. Boulanger (Aelius Aristide et la Sophistique dans la province d'Asie au Il' siècle de notre ère, Paris, De Boccard, 1923) ; vd. però la ricca voce Aristide (P. Aelius) di L. Pernot nel Dictionnaire des philosophes antiques diretto da R. Goulet, Paris, Editions du CNRS, voi. I 1989, pp. 358-66. Ha dedicato inol­ tre grandi cure al testo e all' interpretazione di questo autore C.A. Behr, di cui segna­ liamo in particolare l'ottima trad. inglese, con note ed appendice (P. Aelius Aristides, The Complete Works. Translated into EnJ?lish, Leiden, Brill, I 1986, 1 1 1981) . 25 PAO L O DES IDERI pone con energia il tema politico che pili gli sta a cuore, quello della concordia tra le città (41 sgg.) , che devono diventare « sorelle fra di loro » . Analoga funzione di rappresentanza, ma in un contesto ben di­ verso, Elio Aristide assume in una lettera 43 indirizzata agli im­ peratori Marco Aurelio e Commodo per chiedere aiuto in no­ me della città di Smirne colpita da un disastroso terremoto. Que­ sto testo è in effetti un esempio concreto di tipo di discorso poli­ tico che esula per cosi dire istituzionalmente dal mondo della polis, anche allargato al livello dell' organizzazione intercittadina del koinon provinciale; il discorso di fronte all' imperatore nel contesto di un' ambasceria cittadina (di cui questa lettera è la ver­ sione scritta) è ovviamente un momento importante della vita della nuova polis,44 ma sottolinea il carattere di subordinazio­ ne della struttura cittadina ad un organismo territoriale che la in­ globa. 4. ROMA E IL PRINCIPE Tra i discorsi di Elio Aristide ce n' è ancora uno che deve essere ricordato ; è un discorso che l' oratore pronunciò a Roma alla pre­ senza dell' imperatore Antonino Pio e della corte in una data non precisabile con certezza,45 e che è conservato nel corpus col titolo A Roma {xxvi) . Si tratta evidentemente di un discorso epidittico, ma il contenuto di pensiero politico travalica ampiamente i limiti del genere; sicché è legittimo trattarne in questa sede : forse pili di quanto non lo sia dei discorsi aristidei che abbiamo finora esami­ nato, nei quali troppo spesso la dimensione celebrativa oscura la sede politica. Pili che ad un elogio della città di Roma siamo qui di fronte ad una descrizione, certamente encomiastica, ma non priva di intelligenza, delle strutture dell' Impero, nei loro aspetti politici, 43. xxi, Lettera su Smirne agli imperatori, del 177. 44. Vd. ad esempio il riferimento plutarcheo in Praec. ger. reip., 805 a, con il commen­ to storico del Gasco ; Plutarco parla anche di missioni in generale a 819 a, e di missioni al governatore a 816 d. 45. Vd. Behr, op. cit., 1 1 p. 373 . 28 LA LETTERATURA POLITICA DE LLE "ÉLITE S " PROVI N C IALI sociali, economici, militari, religiosi.46 Qui basterà sottolineare due elementi, che appaiono particolarmente importanti. Da una parte c' è l' idea dell' Impero come una sorta di federazione di città, unite fra loro dal fatto di partecipare della comune cultura greca; dall' altra la convinzione che la superiorità dell' Impero romano su tutti i precedenti, tanto per estensione che per durata, dipende dal fatto di aver coinvolto nell' amministrazione le popolazioni a suo tempo vinte, concedendo agli elementi migliori, con la cittadinan­ za, la possibilità di colmare ogni differenza rispetto agli antichi vincitori. Per l' azione congiunta di questi due fattori, secondo Elio Aristide, il mondo è diventato veramente una "casa comune"; e si può dire perciò che i Romani « hanno aperto tutte le porte della terra, dato a chiunque la possibilità di vedere ogni cosa con i pro­ pri occhi, fissato norme comuni per tutti » (102) , e mantengono ovunque la pace e il benessere (103-4) . Ben al di là di quelli che so­ no gli schemi collaudati dell' « elogio di città » ,47 abbiamo dunque qui una teorizzazione politica, che naturalmente ingloba una con­ sistente porzione di aspirazioni collettive della classe superiore della parte orientale dell' Impero, alla quale Elio Aristide appartie­ ne, e comprende anche personali suggerimenti e raccomandazio­ ni dell' oratore all' imperatore stesso. Da questo punto di vista il di­ scorso di Elio Aristide ha molto in comune con un indirizzo di pensiero, e una produzione letteraria, che da tempo si proponeva l' ambizioso obiettivo di esercitare una funzione di controllo, o al­ meno di orientamento politico-ideologico, appunto nei confronti dell' imperatore. Nel corpus dello stesso Elio Aristide si è anzi con­ servato uno scritto (xxxv, All'imperatore), peraltro quasi certamen­ te pseudepigrafo, che si configura come il testo di un discorso in onore di un imperatore, non identificabile con certezza: e per la verità si tratta di un discorso che, a parte le debolezze stilistiche, si segnala solo per una tonalità fortemente adulatoria. 46. È stato il Rostovzev il primo a sfruttare in modo sistematico questo testo come documento storico (op . cit., pp. 151 sgg.) ; vd. poi ] . Bleicken, Der Preis des Aelius Aristi­ des auf das romische Weltreich, in � NAWG •, a. VII 1966, pp. 225-77, e ultimamente i due volumi di R. Klein (Die Romrede des Aelius Aristides. Einfuhrung, Darmstadt, Wissen­ schaftliche Buchgesellschaft, 1981; Die Romrede des Aelius Aristides, ibid., 1983) . 47. Una codificazione se ne può vedere in Quintiliano (m 7 26-27) . 29 PAO L O DES IDERI È possibile, anche se non se ne hanno tracce sicure, che una pubblicistica politica con al centro la figura del sovrano si sia avuta già in età ellenistica; è però certo che nella teoria politica accade­ mica è sempre stata fondamentale l' idea del filosofo re e, in subor­ dine, del filosofo consigliere del re ; 48 e che pure la media Stoa ha fatto propria questa dottrina: 49 anche se nella prima età imperiale romana lo Stoicismo è stata piuttosto la filosofia della resistenza al potere autocratico. L' idea del filosofo consigliere aveva comun­ que trovato a Roma larga applicazione già dalla tarda età repubbli­ cana, so ed era stata poi recepita da filosofi di tendenze stoiche co­ me Seneca e Musonio; essa si ritrova in due figure significative del platonismo eclettico del tempo, come quel Diane di Prusa e quel Plutarco che per molti aspetti sono risultati importanti in questa nostra panoramica. Diane afferma in pili luoghi che compito del filosofo è il governo degli uomini, « se gli è consentito » , e quanto meno il consiglio a chi governa; 51 e di Plutarco basta ricordare i due brevi scritti Ad principem ineruditum e Maxime cum principibus philosopho esse disserendum.sz Ma Diane non si limitava a teorizzare questo dovere del filoso­ fo. Almeno in quattro dei suoi discorsi, i già menzionati Sulla rega­ lità (I-Iv) , la cui redazione definitiva è da attribuire all' età traianea (ma che contengono elementi sicuramente riconducibili alla tarda età flavia) ,53 egli affronta in maniera diversa il tema delle virru del 48. Prima che accademica del resto questa concezione è pitagorica (vd. ora le mes­ se a punto rispettivamente di G. Casertano, I Pitagorici e il potere, in I filosofi e il potere nella società e nella cultura antica, a cura di G. Casertano, Napoli, Guida, 1988, pp. 15-27; e di M. Isnardi Parente, L'Accademia antica e la politica del primo Ellenismo, ibid., pp. 89- 117) . 49. A. Erskine, The Hellenistic Stoa: politica/ thought and action, London, Duckworth, 1990, pp. 64 sgg. 50. Vd. ultimamente E. Rawson, Roman Rulers and the Philosophic Adviser, in Philoso­ phia togata. Essays on Philosophy and Roman Society, a cura di M. Griffin-J. Barnes, Ox­ ford, Clarendon Press, 1989, pp. 233-57. 51 . Vd. specialmente il Rifiuto di carica in consiglio, xux; in generale Desideri, Diane, cit., pp. 376-82. 52. Su cui vd. ultimamente A. Squilloni, L'ideale del buon governante nel pensiero politi­ co di Plutarco, in • CCC », a. x 1989, pp. 225-43 . 53. Resto dell' avviso che nella prima parte del IV si debba riconoscere una sorta di pamphlet anti-imperiale, pensato al tempo dell' esilio sotto Domiziano. Non credo in- 30 LA LETTERATURA POLITICA DELLE "ÉLITES " PROVINCIALI fu messo al bando dell' impero ; in questo caso questi elementi sa­ rebbero stati rifusi, ma non tanto da diventare irriconoscibili, nel nuovo contesto discorsivo e ideologico dell' apprezzamento del­ l' Impero : un apprezzamento che resta, appunto, condizionato dalla verifica, affidata al filosofo, dell' effettiva presenza nel titolare del potere di quelle virru che sole possono fare di lui un re. Diver­ so l' impianto di una serie di testi Sulla regalità dei quali si sono conservati estratti nella Antologia di Stobeo, che li attribuisce ai pi­ tagorici Ecfanto, Diotogene, Stenida; 57 testi della cui datazione al- 1' età imperiale romana, pur probabile, non si può del resto essere certi. 58 Qui domina una concezione decisamente ieratica del po­ tere del re, che è quasi assimilato alla divinità, e il cui effettivo pos­ sesso delle virru regie non sembra poter essere messo in discussio­ ne se non dalla divinità stessa. La forma dell' esposizione è in que­ sti testi quella propria del trattato filosofico; e l' apoditticità del to­ no appare ben lontana dall' andamento discorsivo e dal frequente contraddittorio degli scritti dionei. È improbabile che essi possano essere considerati il prodotto di un'élite politica cittadina greca, al­ meno dell' età alto-imperiale; essi hanno il sapore inconfondibile della produzione di palazzo. 57. Vedine l 'edizione, corredata da una trad. fr., da un' intr. e da un ricco commento, che ne ha curata L. Delatte (Les Traités de la Royauté d'Ecphante, Diotogène et Sthénidas, Liège, Faculté de Philosophie et Lettres-Paris, Librairie E. Droz, 1942) . 58. Per i diversi punti di vista vd. il mio Diane, cit., p. 55 n. 68. 33 PIERLU I G I D O N I N I P LUTA R C O E L A RI NA S C ITA D E L P LATO N I S M O I. IL PLATONISMO E LA SOCIETÀ FRA I L I E I L I I SECOLO Poco meno di due secoli intercorrono fra la morte di Cicerone e la nascita di Galeno nel 129 e tanto bastò al platonismo dogmatico per affermarsi come la principale scuola filosofica. La simpatia di­ chiarata, anche se non proprio l' adesione formale da parte del maggior scienziato ed epistemologo del tempo, Galeno; la profes­ sione di fede platonica da parte di letterati eminenti, massimo fra essi il latino Apuleio; l' attenzione del nascente pensiero cristiano, testimoniata almeno da Giustino; il fatto stesso che fu proprio un platonico, Celso, il primo filosofo pagano a combattere con uno scritto polemico la nuova religione che si diffondeva nella società romana: tutti questi sono indizi importanti che ci dicono che ver­ so la metà del II secolo il platonismo si era ormai imposto come la filosofia largamente egemone. C' è forse qualcosa di singolare in questa trionfale resurrezione che non si appoggia all' opera di al­ cun personaggio di assoluto valore filosofico : perché lo stesso Ga­ leno non fu semplicemente un filosofo, né potrebbe essere consi­ derato puramente un platonico senza aggiungere strette riserve e limitazioni ; e la grandezza di Apuleio non sta certamente nelle operette filosofiche, che non superano il livello di un' onesta lette­ ratura scolastica se non quando assumono la veste brillante, ma anche piuttosto superficiale, dell' oratoria di effetto per un pubbli­ co di media cultura. Lo stesso Plutarco, scrittore versatile e dottis­ simo, che, dato lo stato delle testimonianze disponibili, appare a noi come la figura di maggior rilievo di quella stagione del plato­ nismo, non fu soltanto un filosofo e la sua opera pili specificamen­ te filosofica non raggiunge forse mai il livello speculativo attinto invece da esponenti di altre scuole meno favorite dal successo pubblico, come l' aristotelica che espresse il commentatore Ales­ sandro, oppure condannate al declino e alla scomparsa, come 35 PIERLUIG I DONIN I doro di Alessandria (ma del primo rimane almeno una vivida me­ moria attraverso l' opera di Cicerone, che ne fu allievo per sei mesi in Atene) . Si scrissero certamente molti commentari ai Dialoghi dei quali si è oggi perduta ogni traccia : l' unico esemplare fram­ mentariamente conservatosi di questo genere della letteratura fi­ losofica, il commento anonimo al Teeteto restituitoci da un papiro berlinese, s lascia spesso indovinare l' esistenza di una ricca tradi­ zione di esegesi dei testi platonici con la quale l' autore entra aper­ tamente in discussione o si crede in dovere di fare i conti almeno implicitamente. La datazione dell' anonimo è incerta, oscillando fra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del II d.C.; il livello del suo commento è per altro modestissimo, del tutto imparagonabile con i documenti conservatisi dell' esegesi aristotelica, alla quale potrebbero se mai avvicinarsi alcuni saggi di interpretazione pla­ tonica rimastici di Plutarco, in particolare il trattato Sulla generazio­ ne dell'anima nel 'Timeo', che affronta il problema delicato dell' in­ terpretazione filosofica di Timaeus, 35 ab, e la raccolta delle Questio­ ni platoniche, dieci non lunghi capitoli dedicati ad altrettante que­ stioni difficili poste dal testo e dalla filosofia del maestro (senza di­ menticare poi il fatto che in realtà Plutarco presuppone o implica l' interpretazione di luoghi platonici quasi in ogni passaggio in cui sfiori una tematica di qualche rilievo concettuale) . Il metodo ese­ getico dell' anonimo è piuttosto elementare : alla citazione del lemma platonico segue di norma una semplice parafrasi; qualche volta si aggiungono brevi considerazioni ispirate dalla polemica con altra corrente interpretativa o con una scuola rivale. Pili inte­ ressante il metodo di Plutarco, che in qualche modo ricorda quel­ lo impiegato dai grandi commentatori aristotelici : mediante la combinazione di passi tratti anche da opere diverse del maestro, ma da lui stesso, o da una precedente tradizione implicitamente accettata, ritenuti affini per la tematica, Plutarco mira a un' inter­ pretazione unificata della filosofia platonica che sia sempre fonda­ ta sui testi e del tutto coerente con l' immagine complessiva del 5. P. Berol., inv. 9782 v. Ediz. di H. Diels-W. Schubart, in « Berliner Klassikertexte • , I l 1905. PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO platonismo che egli s i è fatta (e che, come si dirà meglio in seguito, era abbastanza peculiare) . Si composero inoltre introduzioni alla lettura dei Dialoghi e ma­ nuali sistematici di filosofia platonica. Per ciascuno dei due generi abbiamo conservato almeno un esempio : è il caso, quanto al pri­ mo di essi, dell' Introduzione di Albino, professore eminente verso la metà del II secolo, tanto che il giovane Galeno si spostò da Per­ gamo a Smirne per ascoltarne le lezioni.6 È una brevissima guida alla lettura dei Dialoghi, di cui offre una classificazione sulla base della forma e del contenuto e per il cui studio suggerisce un piano ragionato. Un' esposizione sistematica della filosofia di Platone è invece il Didaskalikos, titolo d' uso abbondantemente ellittico il cui corrispondente greco completo potrebbe essere tradotto con « di­ scorso di insegnamento delle dottrine di Platone » .7 Di fatto, si tratta del maggior documento del medioplatonismo nella sua ver­ sione pit.i scolastica. È al centro di una grossa controversia moder­ na: attribuito dalla tradizione manoscritta a un Alcinoo altrimenti sconosciuto, fu assegnato dalla congettura di un filologo del seco­ lo scorso alla paternità del pit.i celebre Albino, supponendo una corruttela che nella trasmissione dei testi manoscritti ha ben po­ che probabilità di verificarsi. Questa ipotesi è oggi fortemente mi­ noritaria, tuttavia non proprio caduta; ma, indipendentemente dalla questione della paternità, la pertinenza del manuale a un ambiente medioplatonico del II secolo rimane sostanzialmente sicura. Occorre tuttavia tenere presente che il platonismo medio non conobbe mai una vera unità dottrinale e fu scosso da contrasti anche violenti : il Didaskalikos rappresenta cosi molto bene una corrente di interpretazione platonica, con ogni probabilità quella dominante, ma comunque una sola. Si tratta precisamente di quel­ la pit.i aperta all' alleanza con l' aristotelismo, di cui infatti si sco­ prono facilmente profonde influenze nell' esposizione della logica (dottrina delle categorie ; figure del sillogismo) , della metafisica, 6. Libr. propr., p. 97 6 sgg. M. L' episodio può essere datato verso il 150. 7. Ediz. di ]. Whittaker: Alcinoos, Enseignement des doctrines de Pia ton, Paris, Les Bel­ i es Lettres, 1990. 39 PIERLU IG I DONIN I presentata in modo tipicamente affine all' aristotelismo contem­ poraneo sotto il titolo di "teologia", infine dell' etica (dottrina della medietà virtuosa) . L' importanza di questa interpretazione aristo­ telizzante del platonismo è evidente, tanto dal fatto che la storia ne sanzionò infine il successo quando il neoplatonismo posterior­ mente a Plotino accolse l' interpretazione di Aristotele come una sua parte costitutiva; quanto dal consenso che essa immediata­ mente raccolse ai suoi tempi, quando sulle sue linee di fondo ope­ rarono autori come Apuleio, il commentatore del Teeteto e lo stes­ so Galeno. Il nucleo concettuale le è fornito da una metafisica che sposa il demiurgo del Timeo al dio-pensiero di Aristotele e da que­ sta mente demiurgica provvidente fa dipendere l' ordine del co­ smo, la cui descrizione è poi perseguita nei particolari seguendo soprattutto il Timeo, ma senza ignorare le opere fisiche e biologi­ che di Aristotele. Il Didaskalikos è anche stilisticamente notevole. Illustra infatti con evidenza 8 una serie di procedimenti che sono in realtà comu­ ni a tutti gli scrittori del medioplatonismo. La presenza del testo platonico, sempre fortissima in questi autori, non vincola tuttavia affatto nessuno di essi alla banalità delle citazioni letterali : Alci­ noo - e come lui quasi ogni platonico - sa mettere in opera un' in­ tera batteria di espedienti stilistici grazie ai quali interviene sulla forma esteriore del dettato platonico pur conservandone chiarissi­ ma la traccia e la memoria. Il piu semplice di questi espedienti è l' inversione : per es., se Platone nel Timeo aveva scritto che il co­ smo è « immune da vecchiezza e da malattia » , Alcinoo dirà invece che esso è « immune da malattia e da vecchiezza » . E se Platone aveva fatto entrare nella composizione della carne « acido e sale », Alcinoo varierà parlando di « sale e acido » . Analogamente, Plutar­ co e con lui altri platonici non ripetono semplicemente il Timeo dicendo con Platone che il demiurgo è « l' artefice e il padre » di questo universo : scrivono piuttosto che è « il padre e l' artefice » . Altre volte in una citazione platonica due o tre parole sono ripro- 8. Grazie a quanto ne ha segnalato Whittaker, nell' introduzione all' ediz. cit. sopra, pp. xvm-xxx, e in altri lavori là ricordati . 40 PLUTARCO E LA R INASCITA DEL PLATONI SMO Numenio rinfaccia a tutti gli academici, a cominciare da quelli pili antichi, incapaci anch' essi di conservarsi veramente fedeli a Plato­ ne, l' esemplare obbedienza degli epicurei ai dogmi del loro fon­ datore.13 Manifestamente, ci troviamo qui a leggere i documenti di un diverso genere letterario e pili che alla prosa scientifica della polemica di Plutarco dobbiamo pensare alla scrittura di un Lucia­ no. Letta in questa chiave, la contestazione che Numenio muove agli academici è anche piuttosto divertente : la disputa sulla rap­ presentazione catalettica, luogo classico delle discussioni fra aca­ demici e stoici a proposito del criterio della conoscenza e della ve­ rità, viene risibilmente svilita raccontando 14 le disavventure del- 1' avaro Lacide (il successore di Arcesilao alla guida dell'Academia) , che esce di casa avendo sigillato la dispensa e, trovandola al suo ri­ torno svuotata e regolarmente sigillata - i servi hanno scoperto il nascondiglio in cui Lacide riponeva il sigillo - è a poco a poco in­ dotto a diffidare della certezza delle rappresentazioni. E il contra­ sto filosofico fra Zenone e Arcesilao, già nobilmente rappresenta­ to da Cicerone negli Academici, è ridotto 1s da Numenio ai termini minimi del decoro : gelosie personali fra i due, incapacità di Zeno­ ne di rispondere ad Arcesilao, sua decisione di attaccare allora Pla­ tone, dato che un morto non può pili difendersi e con la mezza speranza che Arcesilao, assumendone il patrocinio, la smetta allo­ ra di prendersela direttamente con lui. La statura filosofica dei due tardi platonici non deve, natural­ mente, essere misurata proprio da questi testi. Attico rimase in onore fra i neoplatonici come un commentatore importante dei Dialoghi 16 e Numenio fu persino considerato come il modello che Plotino avrebbe plagiato.17 A dire il vero, ci sono nel platonismo medio costruzioni concettuali che ricordano la teoria plotiniana delle ipostasi anche pili da vicino che non la dottrina dei due, o tre, 13. Fr. 24 23 sgg. DP. 14. Fr. 26 DP. 15. Fr. 25 99 sgg. DP. 16. Si vedano i frr. IO e sgg. DP. 17. Porfirio, Vita Plot., 17. 43 PIERLU IG I DONIN I dèi di Numenio.18 Ma, respinta senza esitazioni l' accusa di plagio, si può in qualche modo accettare dalla tradizione antica l' accosta­ mento di Numenio a Plotino su tutt' altro piano, per lo meno se si pensa all' intensità con cui il primo parla 19 dell' esperienza di C:hi giunge a conoscere il bene : noi possiamo formarci una nozione dei corpi traendone i segni dagli og­ getti simili e dalle note che contraddistinguono gli oggetti che ci sono presenti ; ma il bene, invece, non c' è alcun mezzo di apprenderlo né muovendo da un oggetto presente, né da qualche sensibile che gli somi­ gli. Ma, come uno che, seduto in un posto di guardia, aguzzando la vista d' un solo colpo vede per un momento - unica, sola, isolata, circondata dai flutti - una piccola barca da pesca, uno di quegli scafi che non vanno in flottiglia, cosi appunto, distaccandosi lontano dai sensibili, si deve in­ contrare il bene, da soli lui solo, là dove non è né uomo, né altra creatura vivente, né un corpo, né grande, né piccolo, ma una solitudine meravi­ gliosa, indicibile e veramente inenarrabile, là dove il bene ha costume di indugiare e far festa e lui stesso è in pace, in benevolenza, lui che è tran­ quillità, che è sovrano, che serenamente fluttua al di sopra dell' essenza. Se invece uno, avvinto alle cose sensibili, si illude che il bene voli fino a lui e poi si gloria pensando di aver incontrato il bene, è nel pili completo errore. Perché realmente non facile, ma divina è la via che conduce a lui : e il meglio è, trascurando i sensibili, dedicandosi con giovanile entusia­ smo alle scienze matematiche, contemplando i numeri, cosi acquisire a forza di applicazione l'oggetto della scienza, che cosa è l' essere. Si sarà notato che nel frammento di Numenio sono le matema­ tiche la via regia consigliata per accedere alla conoscenza del bene, il quale poi - nonostante qualche suggestione delle immagini, co­ me il « fluttuare al di sopra dell' essenza » - sembra rimanere iden­ tico all' essere vero. Questa identità non sarà mantenuta in Ploti­ no; e non è comune a Plotino nemmeno il privilegiamento delle matematiche. Il fatto è che in Numenio si manifesta ancora una volta quella vena di pitagorismo che percorre tutta quanta la storia 18. Sulla teologia di Numenio, molto discussa, cfr. da ultimo M. Frede, Numenius, in • ANRW �. 11 36/z, Berlin-New York, de Gruyter, 1987, pp. 1034-75. Moderato di Gades e Apuleio sembrano aver prefigurato la triade di Plotino molto pili da vicino di Numenio: cfr. in proposito il mio volume già citato Le scuole, ecc., pp. 138 e 107. 19. Nel fr. 2 DP. 44 PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO del platonismo medio, probabilmente fin dai tempi di Eudoro; e per noi non risulta facile stabilire quelle distinzioni nette che le fonti talora ci invitano a fare, per es. quando presentano lo stesso Numenio come un « pitagorico » .20 Pitagorici come Moderato di Gades 21 e Nicomaco di Gerasa 22 appartengono di pieno diritto al­ la storia del platonismo antico e altrettanto vale per Numenio, il quale - è vero -23 considerava Platone non superiore a Pitagora, ma neanche a lui inferiore e riteneva che questo pitagorismo Pla­ tone l' avesse già trovato nel suo maestro Socrate ; ma costruiva an­ che una dottrina della gerarchia divina che aveva i suoi piu vicini paralleli nel platonicissimo e per di piu aristotelizzante Alcinoo. E qualche compromissione con il pitagorismo doveva esserci stata anche nel giovane Plutarco, per sua stessa ammissione : 24 prima, appunto, di assimilare completamente quella lezione dell'Acade­ mia platonica che avrebbe poi orientato il suo pensiero per tutta quanta la vita. 3. PLUTARCO E LA CAUTELA DEGLI ACADEMICI Questo passaggio da un brevissimo momento di infatuazione giovanile per le matematiche alla tradizione dell'Academia plato­ nica unitariamente sentita è realmente l' unica evoluzione che sia stato finora possibile documentare nella vita e nella riflessione di Plutarco ; ogni altro tentativo di tracciare una curva di sviluppo è fallito - e sono stati immaginati i piu diversi e contraddittori : una radicalizzazione scettica negli ultimi anni, o, al contrario, il pas­ saggio da un giovanile scetticismo a un' infatuazione mistica nella maturità.25 Quel che noi leggiamo di Plutarco, che non è poco, 20. Cfr. per es. i frammenti 1 a-c nel!' ediz. Des Places. Sulla possibilità di distingue- re platonici e pitagorici, cfr. l' art. cit. di Frede. 21. Cfr. la n. 18 . 22. Si veda il mio volume Le scuole, ecc. , cit., p . 140. 23. Fr. 24 18-20 e 51 sgg. DP. 24. De E, 387 f. 25. Di queste ipotesi hanno fatto giustizia soprattutto gli studi di F.E. Brenk, In Mist Appare/led. Religious Themes in Plutarch's Moralia and Lives, Leiden, Brill, 1977, e An Imperia I Heritage: Th� Religious Spirit of Plutarch of Chaironeia, in « ANRW » , 11 36/1, Ber­ lin-N ew York, de Gruyter, 1987, pp. 248-349. 45 PIERLU IG I DONIN I scnttl d i argomento politico (An seni respublica gerenda sit, Ad prindpem ineruditum, ecc.) ; scritti di teologia e filosofia religiosa (da nominarsi a uno a uno, perché, a parte il De superstitione, questo gruppo comprende quasi tutte le opere pili notevoli : De Iside et Osiride, De genio Socratis, De sera numinis vindicta, De defectu oraculorum, De E apud Delphos, De Pythiae oraculis) ; scritti di fisica e di scienza naturale 32 (De fade in orbe luna e, De primo frigido, ecc.) ; scritti di erudizione storica (De mulierum virtutibus, Quaestiones romanae, ecc.) ; scritti di storia letteraria (per es. De Herodoti malignitate) ; raccolte di argomento vario (tipicamente le Questioni conviviali, in cui si incontrano capitoli che toccano pili o meno tutti i temi e gli argomenti che costituiscono il fondamento di questa classifica­ zione) . Per chi non cerchi in queste opere soprattutto le tracce del siste­ ma di filosofia platonica, i trattati in forma non dialogica e gli scritti di predicazione morale (alcuni dei quali hanno peraltro an­ che un embrione di forma di dialogo) appaiono di solito poco al­ lettanti : ci si trova a leggere o il linguaggio tecnico della disquisi­ zione filosofica e della disputa fra le scuole, oppure {come accade teologici. Cfr. F.E. Brenk, Plutarch's Erotikos: The Drag down pulled up, in « ICL » , a. XIII 1989, pp. 457-71 . 32 . Per parte mia protesterei vibratamente contro l' intitolazione di un simile gruppo. Il De facie contiene certamente molta buona scienza astronomica e d' altro genere, ma non è affatto un trattato scientifico : discute un importante problema filo­ sofico, al quale è totalmente subordinato il contenuto che i moderni chiamano scien­ tifico. Si veda nel seguito del testo l' interpretazione che ne propongo e la bibliografia che cito in proposito. Ancora piu discutibile la classificazione del De primo frigido in questo gruppo : lo scritto (interpretato a rovescio dalla maggior parte dei moderni) discute in realtà un problema gnoseologico (si veda il mio saggio citato nella n. 27) . A conti fatti, ho l' impressione che resti disponibile per questa classe forse (forse) la sola raccolta delle Cause naturali, che potrebbe essere soltanto un insieme di appunti da elaborare in altre opere di tutt' altro genere. A mio giudizio, non c' è nessuna opera di Plutarco che meriti di essere definita semplicemente "scientifica". Su tutto il proble­ ma è ora da vedersi il saggio di A.M. Battegazzore, L'atteggiamento di Plutarco verso le scienze, in Plutarco e le scienze, a cura di I . Gallo, Genova, SAGEP, 1992, pp. 19-59, e in ge­ nerale gli altri saggi raccolti nel medesimo volume. PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO per lo pili negli scritti di divulgazione etica) s i ricade nella tradi­ zione della diatriba moraleggiante pili consueta in altri ambienti filosofici, come quello stoico. C' è tuttavia almeno una piccola perla anche fra questi scritti. Il De Iside et Osiride affronta certo un grosso problema speculativo che sta molto a cuore a Plutarco e la cui soluzione è davvero una delle peculiarità dell' autore rispetto all' intero mondo medioplatonico : l' origine del male è fatta risali­ re a un secondo principio malvagio che, senza mai prevalere com­ pletamente nell' universo, si oppone tuttavia all' azione benefica del supremo principio divino. Problema e soluzione sono tutt' al­ tro che banali ; ma acquistano anche maggior fascino grazie alla presentazione di Plutarco, che ne proietta la sostanza nel mito egi­ zio della morte del dio buono Osiride reinterpretato filosofica­ mente, certo, ma anche rivisitato con gli occhi rispettosi e stupe­ fatti del greco colto che, per aver assorbito una lunga serie di lettu­ re (da Omero a Erodoto a Platone) , si avvicina alle storie d'Egitto come a quelle in cui si è espressa una sapienza antica e arcana, oscuramente sentita come capace di suggerire risposte pili impor­ tanti e pili convincenti della stessa filosofia. La filosofia platonica - anzi : la filosofia greca tutta, dato che Plutarco compie nel De Iside l' ardita operazione di rileggere in senso dualistico quasi l' intera storia del pensiero precedente - 33 è si giunta alle stesse conclusio­ ni del mito egizio ed è ora in grado di interpretarlo correttamente, ma questo mito preesisteva alla filosofia e parlò veridicamente agli uomini ancor prima che i Greci ragionassero; e quando i filo­ sofi greci presero a ragionare, non aggiunsero nulla che già non fosse noto e dichiarato in quella antica storia sacra venuta da lon­ tano. L' inadeguatezza della filosofia davanti ai problemi ultimi e decisivi è, in fondo, un' altra delle conclusioni che Plutarco vedeva implicite nella cautela academica e nel motto delfico. Ma, in ma­ niera tipica di lui, questa conclusione non è esplicitata come una tesi dottrinale : è una suggestione vaga e sommessa, il risultato non di un sillogismo, ma di un racconto mitico che profuma di esoti- 33. Su De Iside 369 d-371 a è importante J. Mansfeld, Heresiography in Context. Hippo­ lytus' Elenchos as a Source for Greek Philosophy, Leiden, Brill, 1992, pp. 278-95. 49 PIERLU I G I D O N I N I smo. « Il mito - dirà nel De genio Socratis _ 34 ha un certo contatto con la verità, anche se manca di esattezza » . Ma di solito è la forma del dialogo quella che consente a Plutar­ co di dare le prove migliori di sé : è pur sempre la suggestione del modello platonico a ispirarlo, anche se siamo ben lontani, con lui, dalla maieutica socratica e dalla dialettica del maestro (il suo So­ crate è soprattutto l' uomo del demone e del segno divino; e per la dialettica mancherebbe l' indispensabile supporto dottrinale - la teoria delle idee, che in Plutarco forse ancor pit'.i che in altri me­ dioplatonici ha un ruolo affatto secondario) . Si tratta, per lo pit'.i, di dialoghi narrati ( dieghematici) , esposti da un personaggio che o vi prese già parte, o ne ebbe da altri la relazione; personaggi diversi intervengono, di solito esponendo non in brevi battute ma con di­ scorsi elaborati il proprio punto di vista e rivelando cosi insieme le proprie convinzioni e le peculiarità di un carattere anche molto individualizzato. Qualche volta (non sempre) un personaggio spicca sugli altri e prende in pugno la discussione prospettando la tesi che sembra conclusivamente racchiudere il punto di vista del- 1' autore stesso. Si pensi al De E. Un gruppo di giovani, fra i quali Plutarco (che, ormai maturo, a distanza di tempo ricorda e narra il dialogo di allora) si ritrova, non sappiamo per quale occasione, al santuario di Delfi in compagnia di un filosofo eminente, Ammo­ nio - che sarà pit'.i tardi 35 in Atene maestro a Plutarco di quell' in­ terpretazione prudentemente academica di Platone su cui è co­ struita l' intera opera del nostro. Si discute del significato della E che compare, misteriosa e incomprensibile ai pit'.i, fra i simboli del culto locale, e ognuno propone una sua diversa spiegazione ; Plu­ tarco, per es., la intende come un simbolo numerico (il cinque) che segnalerebbe l' eccellenza di questo fra tutti gli altri numeri, di tutti il pit'.i affine al dio : è, il suo, un eccesso giovanile di infatua­ zione per l' aritmologia di cui ben presto il giovane sarebbe stato curato alla scuola di Ammonio. Il quale, intanto, loda sobriamente 34. 589 f. 35. Non trovo motivi per abbandonare questa ipotesi, nonostante i prudenti rilievi di D. Babut, Plutarco y la Academia, in J. Garcia Lopez-E. Calderon Dorda, Estudios so­ bre Plutarco: paisaje y naturaleza, Madrid 1992, pp. 1-2. 50 PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO di glorie dell' antica Beozia, Plutarco non è , da platonico del suo tempo, interamente dalla parte dei congiurati : dietro la vicenda storica si nasconde infatti un problema che dai tempi di Platone si era già prospettato e che Aristotele aveva reso piu acuto; l' impatto recente del risorto aristotelismo sul platonismo rinnovato lo ri­ proponeva intatto. Era il problema della scelta della vita, in parti­ colare dell' opzione fra una vita filosofica e quella dedita all' azione politica. Da platonico, Plutarco conosce il dovere di rientrare nella caverna e di consacrarsi al bene della città; da platonico del suo tempo, troppo aveva però assorbito delle idee diffuse dall' aristote­ lismo per non apprezzare anche la scelta della teoresi filosofica. La sua copertissima indicazione nel De genio Socratis sarà in fondo un compromesso : alla congiura, ma non all' azione violenta partecipa anche il vero eroe dell' indipendenza tebana, Epaminonda, che in­ tende serbarsi puro dal sangue civile e che promette di riversare nella vita politica di Tebe ormai libera quell' educazione filosofica che gli stessi congiurati piu volte nel dialogo gli riconoscono e che ne fa una sorta di doppio tebano di Socrate, al pari di lui uomo ec­ cezionale e divino, cui la divinità comunica direttamente i suoi se­ gni disvelandogli un mondo che agli uomini soltanto d' azione ri­ mane inaccessibile. Epaminonda, come Socrate, racchiuderebbe dunque in sé il dono di saper conciliare la vera e buona attività politica con la pura teoresi filosofica. È ancora una volta, da parte di Plutarco, la scelta di una posizione di equilibrio, il tentativo di non rinunciare a nulla di quanto la tradizione filosofica che senti­ va sua gli aveva consegnato. E se la soluzione può apparire debole speculativamente, la proposta ne è resa invece tanto piu forte per non essere proclamata come in un programma di conferenzie­ re ; per essere sottilmente suggerita mobilitando la storia di un epi­ sodio insigne e la memoria di uomini e di dottrine illustri . Piu che mai leggendo il De genio Socratis bisogna evitare di separare lo scrittore dal filosofo: altrimenti lo scrittore apparirà prolisso e a momenti inutilmente saccente, il filosofo oscuro e insieme pueri­ le. Rivisitato nella sua unità, il saggio è invece un piccolo capola­ voro. Raramente Plutarco raggiunse risultati paragonabili alla felicità 53 PIERLUIG I DONIN I dello scritto sul demone socratico : forse non nell'Amatorius, 37 che pur è nella sua struttura complessa il dialogo pili simile, dato che intreccia il dibattito quasi filosofico sull' amore con una assai mo­ vimentata vicenda novellistica di nozze contrastate e rapimento di amante (dove è sorprendentemente la donna, pili matura ed esperta, a sequestrare il giovane amato) ; e certo nemmeno nel De sera numinis vindicta, dove il mito conclusivo - ancora una volta una storia sul destino dell' anima - può avvincere il lettore con la visio­ ne delle pene dell' oltretomba, ma non fa dimenticare la tesi della prima parte del dialogo, di cui anzi è al servizio : e non occorre una sensibilità moderna per trovare ripugnante l' idea che Plutarco vi difende, che la giustizia divina operi anche quando punisce nei tardi discendenti le colpe dei padri. Idee come questa parevano in­ tollerabili già all' aristotelico Alessandro. 38 Altri dialoghi invece, benché molto meno drammatici del De genio e dell'Amatorius e alcuni anche sostanzialmente privi di azio­ ne, ci colpiscono ugualmente per l' interesse della questione dibat­ tuta e per le suggestioni fantastiche che si accompagnano alla ri­ flessione. È questo il caso soprattutto dello scritto che si propone secondo il suo titolo (De facie in orbe lunae) di spiegare la natura e l' origine delle macchie che danno alla luna la parvenza di un volto umano. La gran parte del dialogo è occupata dall' esposizione di una spiegazione di elevato livello di divulgazione scientifica: due interlocutori di cui è fatta chiaramente capire l' affiliazione filoso­ fica all'Academia - uno è il ben noto fratello dell' autore, Lampria - combattono la teoria stoica e aristotelica dei luoghi naturali e dissertano del movimento degli astri e delle loro ombre, della ri­ flessione della luce e delle distanze relative dei corpi celesti al fine di corroborare la tesi della natura terrosa della luna: di gran lunga l' idea pili corretta che sia uscita dalle pagine di un filosofo antico, quando si pensi che per gli aristotelici i corpi celesti erano costi­ tuiti dell' improbabile quinta essenza (l' etere) e per gli stoici erano fatti tutti quanti di sostanza ignea. In questa prospettiva, la parven- 37. Cfr. sopra, n. 31 . 38 . Alessandro di Afrodisia, De fato, 202 4 sgg. B. 54 PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO za del volto lunare sarebbe i l risultato di ombre proiettate dai cor­ rugamenti della superficie solida e terrosa e della insufficiente ri­ flessione della luce solare da altre zone della superficie della luna. Si rimane sempre sorpresi dall' intelligenza dell' intuizione e dal- 1' apparato di dottrine ottiche, matematiche, astronomiche e fisi­ che che Plutarco è capace di mettere in opera a· favore di questa eccellente spiegazione. Ma si rimane, di solito, ancor pili sorpresi alla lettura della parte conclusiva dello scritto, in cui improvvisa­ mente un altro interlocutore (un Silla cartaginese, di cui è men­ zione anche altrove nelle pagine di Plutarco) ottiene l' ultima pa­ rola solo per narrare un grandioso mito. Qui la luna appare im­ provvisamente come una divinità vivente e animata, la sede cele­ ste in cui le anime-demoni, già uscite dai corpi cui furono unite nel soggiorno terreno, si spogliano ancora della loro parte mortale per risalire, divenute ormai puri intelletti, all' origine dell' intelli­ genza stessa la cui immagine sfolgora nel sole - una fantasia dove si adombra tutta la problematica platonica e aristotelica della pos­ sibilità di distinguere fra le diverse parti o le funzioni dell' anima un che di superiore, di impassibile e affine al divino. E il mito stes­ so si innesta su un' altra fantasia: Silla non ne è che il relatore, a lui il mito fu narrato da uno straniero che aveva visitato le isole nel- 1' Oceano in cui vivono demoni sapienti, alcuni dei quali deputati al servizio di un dio, Crono, che Zeus tiene prigioniero, immerso nel sonno. I viaggi dello straniero, la situazione delle isole, i costu­ mi dei demoni e degli abitanti umani delle isole sono pretesto di altri sviluppi fantasiosi. Ancora una volta, come nel De genio Socratis anche nel De facie il problema dell' interpretazione 39 è innanzitutto quello di capire se esiste un'unità tematica e, ancora una volta, la risposta è in un pro­ blema nascosto e schiettamente filosofico - di filosofia platonico­ aristotelica, come è naturale. Come molti medioplatonici, per es. Alcinoo e Apuleio, Plutarco accetta una classificazione gerarchica 39. Che ho cercato di approfondire nel saggio Science and Metaphysics: Platonism, Ari­ stotelianism, and Stoicism in Plutarch's On the Face in the Moon, in The Question of'Ec/ecti­ cism'. Studies in later Greek Philosophy, a cura di J.M. Diii on e A.A. Long, Berkeley- Los Angeles, Univ. of California Press, 1988, pp. 126-44. 55 PIERLU IG I DONIN I che, sebbene in subordine alle cause divine, Platone aveva anche ammesso cause di tipo fisico, condizioni materiali necessarie alla realizzazione di fenomeni che pur dipendono da principi di ordi­ ne superiore. Le anime umane posseggono innate attitudini alla divinazione, ma queste sono attivate da stati e condizioni partico­ lari della terra e dei luoghi, come le esalazioni : quando interven­ gano fenomeni fisici che ostacolano o interrompono quegli stati e quelle condizioni (per es. un terremoto, che può bloccare un' esa­ lazione del suolo) , scompare con ciò stesso l' oracolo. Ora, Lam­ pria è colui che conclude effettivamente il dialogo : sua è davvero l'ultima parola sul problema e tanto potrebbe bastare per far pen­ sare che la sua tesi è quella che Plutarco stesso condivideva. E cosi può essere : purché non si ricada nell' errore frequente di conside­ rare la tesi di Lampria come mero naturalismo o "aristotelismo" e si avverta che la conclusione di questo personaggio può coincide­ re con il pensiero di Plutarco solo perché Lampria è stato indotto a ricomprendere nella sua spiegazione anche le esigenze di fondo della tesi di Cleombroto. Avvertito infatti del pericolo di approda­ re a esiti di tipo naturalistico da Ammonio - comprensibilmente, anche in questo dialogo tutore di un' interpretazione metafisica e teologica del platonismo -, Lampria si sforza 44 alla fine di riam­ mettere nella sua spiegazione del funzionamento degli oracoli l' intervento divino e gli stessi demoni cari a Cleombroto : le esala­ zioni sono allora soltanto lo strumento e la condizione materiale della prof e zia, ma i demoni ne sono i regolatori e tutto, l' esalazio­ ne come il potere delle anime, ha origine nell' azione di qualche divinità. Lampria inserisce cosi i dati di una tesi troppo unilaterale, come quella di Cleombroto che giuocava tutto sui demoni, in una struttura piu ampia e comprensiva, che vuole essere quella com­ piutamente platonica e in cui quei dati sono inverati perché non piu assolutizzati né staccati dal tessuto coerente della filosofia aca­ demica. È la stessa operazione di Silla, che nel mito del De facie conservava pur sempre qualcosa delle conclusioni scientifiche di Lampria stesso e di Lucio; e se nel De facie l' iniziale e apparente 44. Def. orac., 436 e-437a. 58 PLUTARCO E LA RINASCITA DEL PLATONI SMO eccesso di raziocinio scientifico era finalmente bilanciato dalla narrazione mitica che introduceva la giusta dimensione metafisica e teologica del problema, nel De defectu il movimento del pensiero è quello opposto e da un' interpretazione alquanto bigottamente orientata verso il soprannaturale - un altro eccesso, che tuttavia può ancora raccomandarsi come una spiegazione di tipo platonico e academico del fenomeno in discussione : perché l' autorità che sta dietro la teoria dei demoni è quella di Senocrate - si passa a un' altra spiegazione in cui acquistano maggior rilievo le cause fisi­ che e naturali. Ma l' intenzione è nei due casi la stessa, il consegui­ mento di una posizione di equilibrio, la squalifica delle tesi troppo unilaterali. Si poteva evidentemente, secondo Plutarco, eccedere tanto nell' esaltare, quanto nel deprimere le cause naturali e la scienza che se ne serve. Talora si è voluto vedere nel De defectu quasi il presentimento, se non proprio l' annuncio della fine del mondo antico. Suggestioni per una simile lettura vengono facilmente dal tema principale del dialogo, che narra decadenze di oracoli e scomparire di culti ; un certo goCtt des ruines è poi qua e là innegabile in questo scritto e in altri di Plutarco. E certamente in questa chiave di lettura una forte, troppo forte importanza si è data alla digressione sulla morte del gran Pan, 45 che è in realtà soltanto un episodio funzionale alla tesi maggiore della mortalità dei demoni. Se una proposta di lettura di tipo un po' ingenuamente preromantico può invitare qualcuno a riprendere in mano questo dialogo e gli altri di Plutarco, che sia anch' essa la benvenuta, certo. Ma se senso dell' equilibrio, gusto della misura, ricerca dell' ordine e dell' armonia sono i requisiti ti­ pici della classicità, la proposta è probabilmente sbagliata e di clas­ sicità in Plutarco ve ne era ancora tanta; la coscienza di avere alle spalle una lunga e imponente tradizione non era affatto, in lui, stanchezza né presagio della fine. Il mondo di Plutarco è davvero quello da lui tante volte ritratto nelle cornici dei dialoghi, o nelle Questioni conviviali : un mondo di gente urbana in tutti i sensi della parola, governata dal gusto della misura, appassionata di cultura e 45. Ibid., 429 b sgg. 59 PIERLU IG I DONIN I di conversazioni pacate, in pace con se stessa e con l' ordine stabili­ to nel cosmo da un dio provvidente, sulla terra dall' imperatore ro­ mano. C' è anche - come negarlo? - la contemplazione nostalgica di un grande passato, quando i Greci contavano pili di quel che so­ no divenuti ora; ma sotto Roma si vive in pace e si restaurano or­ mai anche i templi e i luoghi santi dei culti antichi. Non c' è moti­ vo per recriminare sul passato e non c' è da aver paura del futuro. 60 LO STOIC I SMO DEI CETI D IR IGENTI esorcizzare e di neutralizzare il dolore e i l male, o di rimuovere anche i beni materiali in quanto la loro brama, soprattutto se in­ soddisfatta, può provocare apprensione, frustrazione, dolore. Tra sé e gli oggetti o gli eventi esterni (ed esterno è pure ciò che è per­ tinente al suo corpo, che non gli appartiene) il sapiente erige un autentico baluardo. I premi di questo atteggiamento, che può ap­ parire un po' rinunciatario nei confronti della vita, sono l' imper­ turbabilità, la libertà, la serenità. Il sapiente rinuncia a qualsiasi ri­ vendicazione sul mondo esterno ma, in compenso, giunge a eser­ citare su di esso una sorta di controllo, è ben munito contro tutto. E contro tutti, perché attentati alla sua serenità e alla sua libertà vengono non solo dalle cose e dagli eventi, ma anche, e in misura ancora maggiore, dagli uomini. Dai potenti, soprattutto, padroni, re e tiranni, che dispensano (o pretendono di dispensare) beni e mali, piaceri e dolori. Il filosofo non contende ai sovrani, né cerca di persuadere altri a farlo, ciò su cui essi hanno potere, come il corpo, il patrimonio, il buon nome, quanti dividono la vita con lui. Si accontenta di tenere saldamente in pugno ciò di cui nessun so­ vrano potrà mai impadronirsi : il suo giudizio e la sua facoltà di scelta. Per questo è lungi dal disprezzare re e tiranni o dall' opporsi ad essi (Diatr., 1 29 9 sgg.) . È noto che nel primo secolo dell' Impero potere imperiale e filosofia stoica entrarono spesso in rotta di col­ lisione. Ma, a partire dal regno di Traiano, sui loro rapporti tornò il sereno, anche perché probabilmente si venne a un accordo e a una divisione di campi.5 « Risolto il certamen dignitatis a favore di un uo­ mo solo - è stato scritto -, la libertas, opposta al principatus, non ha che due vie : suicidarsi con Catone o interiorizzarsi » .6 Adriano, se dobbiamo credere al biografo Elio Sparziano (Hist. Aug., Hadr., 16), ebbe Epitteto in summa familiaritate. I nomi di alcuni protago­ nisti di quell' antico conflitto (Trasea Peto, Elvidio Prisco, accanto 5. Un breve ma esauriente schizzo dei rapporti tra stoicismo e potere imperiale in M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1967, voi. 1 1 pp. 3-30; R.B. Rutherford, The Meditations of Marcus Aurelius. A Study, Ox­ ford, Clarendon Press, 1989, pp. 59-80. 6. A. Traina, Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca, Bologna, Pàtron, 19782 (1974) , p. IO. GUIDO CORTASSA a Bruto e a Catone) saranno citati da Marco Aurelio con ammira­ zione (1 14) ; eppure quei nomi hanno tutto il sapore di un tributo non certo falso ma un po' vuoto e velleitario alla tradizione : un omaggio meno formale avrebbe comportato per Marco Aurelio l' autodistruzione {come imperatore, s' intende) , e Marco Aurelio, come vedremo, fu lungi dal metterla in atto : mormorò contro il suo potere (« Bada di non cesarizzarti, di non immergerti nella porpora » , v1 30) , ma non arrivò mai a metterlo seriamente in di­ scuss10ne. Il sapiente ha però un altro buon motivo per non temere nulla di ciò che si trova al di fuori di lui. Epitteto ripropone con vigore la concezione immanentistica e provvidenziale della divinità che fu dello stoicismo fin dai suoi inizi : nel mondo è onnipresente una divinità razionale che a tutto dona ordine e perfezione e tutto di­ spone per il meglio (Diatr., 1 16) . Perché dunque addolorarsi della povertà, della malattia, della morte, che non solo non dipendono da noi e non possono pertanto arrecare alcun male, ma rientrano anche in un ordine provvidenziale? Il sapiente deve adeguare la sua volontà agli eventi, deve volere ciò che avviene (Diatr., 11 14 17) . Nulla è male, tutto ha una ragione : se non basta la prima bar­ riera protettiva che egli erige tra sé e il mondo, tra sé e il dolore, può contare sul potente soccorso della seconda. Dove non arriva l' analisi della natura del bene e del male, può arrivare la fede in Dio, che Epitteto esprime con toni suggestivi e commossi : Non dovremmo, mentre zappiamo, ariamo o mangiamo, cantare l' inno di lode a Dio : « Dio è grande, perché ci ha procurato questi arnesi grazie ai quali possiamo lavorare la terra; Dio è grande perché ci ha dato le ma­ ni, perché ci ha dato la gola e il ventre, perché ci fa crescere senza che ce ne accorgiamo, perché ci fa respirare anche durante il sonno »? Questo è l' inno che dovremmo innalzare in ogni circostanza, e dovremmo cantare l' inno piu solenne e piu divino, perché ci ha dato la facoltà di compren­ dere queste cose e di servirci di esse con ordine (Diatr., 1 16 16-18) . Espulso da Roma, Epitteto si recò a Nicopoli, in Epiro, e vi apri una scuola. Di questa sua professione ebbe un concetto altissimo. I veri maestri di filosofia, i quali nulla hanno a che fare con i molti che la professano indegnamente (Diatr., I I I 21) , sono ispirati da Dio, LO STOIC I SMO DEI CETI D IRIGENTI che fa loro da guida (Diatr., I I I 21 n) . Eppure la filosofia viene pro­ fessata nel modo pili autentico non a scuola ma fuori. Alla limpida enunciazione della natura del bene e del male di Diatribe, II 16, fa seguito, con una di quelle brusche impennate di tono che nelle Diatribe riflettono momenti di intensa partecipazione emotiva, una domanda secca e sferzante : « Qualcuno di voi si ricorda di questi principi fuori della scuola? » . A scuola sono tutti leoni, fuori volpi (Diatr., IV 5 37) . A chi esce dalla scuola di un filosofo non si chiede di conoscere bene i sillogismi, ma di saper morire, di essere in grado di sopportare le catene, la tortura, l' esilio (Diatr., II l 38) . Compito del filosofo non è l' elaborazione dei principi teorici di una dottrina, ma l' applicazione pratica di principi che non sono pili oggetto né di indagine né di discussione. Nella caratteristica, pittoresca fioritura di diminutivi dal valore fortemente spregiativo di cui Epitteto si serve per stigmatizzare ciò che è privo di valore per il sapiente (il corpicciuolo, la glori uzza, ecc.) c' è posto anche per un termine che designa la speculazione pura: theorematia, qual­ cosa come « elucubrazioncelle » (Diatr., II 21 17; I I I 5 15-17) . La filo­ sofia è scienza della vita (Diatr., IV l 64; cfr. Musonio, Diatr., I I I , p. IO 6 Hense ), fornisce le provviste per il viaggio della vita (Diatr., III 21 9) . Il sapiente è il testimone (Diatr., 1 29 47; III 24 112) e il messagge­ ro (Diatr., III l 37, 22 23) di Dio, e il primo a essere chiamato a dare pratica testimonianza nella vita dei principi che professa è il mae­ stro di filosofia (Diatr., III 21) . Però la perfetta sapienza, che si mo­ stra quotidianamente vivendo, non è facile da conseguire. Essa ri­ chiede un lungo, costante esercizio (Diatr., I 2 32, 4 18; III 3 14-16) . E non è detto che, nonostante l' impegno, non si possano avere delle cadute e degli insuccessi (Diatr., III 25) ; ma questo non deve indur­ re a desistere, né comporta una condanna inappellabile. Il sapiente che si delinea dalle pagine di Epitteto non ha le sembianze del su­ peruomo, arroccato in una perfezione acquisita una volta per tut­ te, bensi quelle di un uomo comune che ogni giorno lotta con se stesso, con gli altri e con gli eventi esterni per vivere e realizzare i suoi principi. La scuola di un filosofo è un ospedale (Diatr., I I I 23 30) , e la stessa struttura stilistico-compositiva delle Diatribe - al­ quanto disorganica, ripetitiva, irta di interrogative retoriche, di GUIDO CORTASSA per il sapiente, egli tuttavia, come non aspira a ottenerle a tutti i costi, cosi non le rifiuta categoricamente in via pregiudiziale ; se gli è dato, saprà salvaguardare la parte dominante della sua anima an­ che in questa condizione (Diatr., IV 5 6) . Lo stesso dicasi per il ma­ trimonio e per la procreazione dei figli, che talvolta appaiono in­ sieme alle cariche pubbliche come momenti qualificanti della par­ tecipazione alla vita associata (Diatr., 11 23 38; I I I 7 9, ecc.) .9 Sembra esserci, tuttavia, un' interpretazione pili alta del ruolo del sapiente e del filosofo che esclude ogni impegno sociale come un grave in­ tralcio alla sua missione : è quella del vero Cinico (Diatr., I I I 22 67) , i cui lineamenti in Epitteto vengono a confondersi con quelli del­ lo Stoico perfetto e militante, in un processo di assimilazione che ha tutte le premesse nei secolari contatti tra le due scuole.10 « lo ­ afferma Epitteto (Diatr., I I I 5 9) rivolgendosi solennemente a Dio ­ non ho mai ricoperto cariche perché tu non l'hai voluto; e non ne ho mai desiderate » . Ad ogni buon conto, Arriano trovò il modo di dare prova di grande devozione nei confronti del maestro e di fare, contemporaneamente, una brillante carriera politica. La figura del Cinico ideale, quale la concepiva Epitteto, era co­ munque molto lontana dallo spettacolo che offrivano i cinici del suo tempo. Laceri e sporchi, riducevano a vana ostentazione il lo­ ro distacco dal mondo (Diatr., III 22 10) . Non basta avvolgersi in un logoro mantello, dormire su un duro giaciglio, munirsi di una bi­ saccia e di un bastone e andare in giro a interrogare e a insultare quelli che si incontrano. Il vero Cinico (o, che è lo stesso, il vero fi­ losofo) si riconosce unicamente dal fatto che sa valutare quelli che sono i beni e i mali autentici, sa attribuire agli oggetti esterni il lo­ ro giusto valore. Il suo comportamento è privo di ostentazione, sobrio, misurato, dignitoso. Epitteto scende anche nei particolari : egli dovrà lavarsi e avere cura della sua persona (Diatr., 1v n) . Ven­ gono in mente le parole di Marco Aurelio : « Semplice e modesta è 9. In una luce del tutto positiva, specie in rapporto all' ideale di vita del filosofo, vedeva invece il matrimonio, l' amore gamico e la procreazione dei figli Musonio (Diatr., xmA-B, xiv, pp. 6']-76 Hense) . IO. Epitteto e il cinismo: Epiktet vom Kynismus, Herausgegeben und iibersetzt mit einem Kommentar vom M. Billerbeck, Leiden, Brill, 1978. 68 LO STOIC I SMO DE I CETI D IRIGENTI l' opera della filosofia: non indurmi ad assumere un atteggiamento grave » (Ix 29) . Il filosofo non ha bisogno di esibire in modo cla­ moroso la sua diversità dagli altri, non vive in modo eccezionale ma in modo piu vero e piu pieno. Ed è, a ben vedere, proprio la di­ fesa della vita, della vita pratica, che ispira ad Epitteto gli altri at­ tacchi contro filosofi e scuole filosofiche che si leggono nelle Dia­ tribe. Gli accademici, con il loro dubbio spinto fino all' assurdo, fi­ niscono per minare alla base l' esistenza quotidiana nei suoi aspetti piu elementari. A nessuno viene in mente di chiamare la pentola piatto o il mestolo spiedo : di qualche cosa bisogna pur ammettere che vi sia certezza. Un accademico meriterebbe che un servo, alla sua richiesta di mettere l' olio nel bagno, prendesse della salsa di pesce e gliela rovesciasse sul capo con il pretesto che le rappresen­ tazioni dell' olio e della salsa sono indistinguibili ; o che alla sua ri­ chiesta di avere una tisana gli fosse portato dell' aceto (Diatr., II 20 28-29) . Come si può facilmente notare, si tratta di argomenti tut­ t' altro che brillanti, ispirati al comune buon senso; Epitteto non analizza le teorie degli avversari, ma le liquida semplicemente co­ me assurde. Un trattamento analogo è riservato agli epicurei, la cui dottrina è ridotta a una volgare ed egoistica ricerca del piacere personale, tale da compromettere qualsiasi possibilità di una con­ vivenza civile (Diatr., 1 23 ; II 20 6 sgg.) . In realtà, come Epitteto ri­ vela uno scarso interesse speculativo, cosi non sembra neppure av­ vertire una seria esigenza di difendersi sul piano teorico. I principi sono quelli, non c' è piu nulla da scoprire, e sono cosi evidenti che non c' è bisogno di difenderli contro nessuno; al massimo si potrà mostrare che qualcuno, che pretende di essere un filosofo, sostie­ ne semplicemente delle assurdità. Filosofare non è né indagare né discutere e polemizzare : è applicare alla vita pratica i principi es­ senziali per viverla bene. La filosofia-scienza-della-vita si pone al centro degli interessi del sapiente per dominarne tutto l' orizzonte. Non ha bisogno di ancelle. La dialettica e la logica sono bensi utili, ma hanno solo una funzione strumentale ; il filosofo deve coltivarle, ma unica­ mente per ragionare in modo corretto e distinguere il vero dal fal­ so (Diatr., I 7, 17; 11 25) . Se da mezzi diventano fini, se l' interesse G U I D O C O RTASSA che suscitano diventa primario, allora se ne fraintende completa­ mente il valore. La passione per i sillogismi è, per Epitteto, l' em­ blema stesso dell' incapacità di intendere la vera natura della filo­ sofia. E di appassionati di sillogismi Epitteto afferma, con disgusto, di non vederne pochi attorno a sé (Diatr., I I I 6 r-4) . Anche lo studio della retorica è assente dall' orizzonte culturale del filosofo, quan­ do non significhi semplicemente ricerca della capacità di espri­ mersi con proprietà e chiarezza e giusta valorizzazione della paro­ la, che è dono di Dio (Diatr., 11 23) . O retore o filosofo: in Diatribe, I I I 23, e Encheiridion, 29, Epitteto sembra imporre una scelta di cam­ po senza compromessi. È da credere che egli vedesse, al tempo suo, un po' di confusione tra le due grandi protagoniste e avversa­ rie della paideia greca: ne fa fede, se non basta la sollecitudine con la quale affronta il problema, il sarcasmo di cui è venato l' accenno al grande fascino che esercita sul pubblico un "filosofo" come Dione di Prusa, proprio là dove viene proclamata nel modo pili chiaro la necessità di tenere distinte filosofia e retorica (Diatr., m 23 17) .11 Il filosofo non deve incantare con belle parole, ma migliorare i suoi discepoli : lui, Epitteto, è consapevole di usare una lingua pie­ na di solecismi e di barbarismi, ma è ben altro che un linguaggio puro ed elegante che si deve cercare entrando nella sua scuola (Diatr., I I I 9 14) . D' altra parte il filosofo respinge qualsiasi forma di cultura e di erudizione fine a se stessa. I libri, si legge in Diatribe, IV 4 2 sgg., servono solo in quanto possono contribuire alla formazio­ ne del sapiente e al raggiungimento del suo scopo, una vita ben vissuta e serena (l' ultimo brano del Manuale contiene un' esorta­ zione a tenere sempre presenti passi di vari autori utili a rammen­ tare i principi fondamentali della filosofia) , per il resto hanno lo stesso valore delle cose esterne, come le salutazioni e le cariche pubbliche. L'uomo di cultura che si rifugia nei libri per cercare la quiete e la pace è tanto lontano dal sapiente di Epitteto quanto lo è 11 . Epitteto, la retorica e Dione di Prosa; A. Brancacci, Rhetorike philosophousa. Dio­ ne Crisostomo nella cultura antica e bizantina, Napoli, Bibliopolis, 1985, pp. 28 sgg. Già Musonio polemizzava contro i filosofi che affidavano il loro successo a una dizione ricercata (fr. xux, p. 130 Hense = Gellio, v 1) . 70 LO S T O I C I S M O D E I CETI D I RIGENTI Anche in Marco Aurelio occupa una posizione di grande rilievo l' idea che quanto è fuori dell' uomo gli è del tutto indifferente, e che bene e male è solo ciò che dipende dal suo giudizio e dalla sua scelta morale. Questo concetto trova addirittura formulazioni pili icastiche e incisive : le cose stanno fuori della porta (Ix r5) , ciò che è al di fuori della mente non è nulla per la mente (vn 2) , le cose non toccano l' anima (Iv 3), tutti i moti che si producono nell' ani­ ma nascono nell' anima stessa, e non da ciò che avviene al suo esterno (v r9) , basta sopprimere l' opinione che una cosa ha procu­ rato un danno ed è soppresso anche il danno (Iv 7) . Il distacco di Marco Aurelio dal mondo esterno diventa pili esplicito atteggia­ mento di cautela nel rilievo particolare che acquista nei Pensieri (Iv r, v 20, VI 50, XI 37) un concetto già appartenuto allo stoicismo anti­ co (SVF, m 164) e poi ripreso da Epitteto (Ench., 2 2; fr. xxvn Schenkl) : il sapiente agisce sempre con riserva, cioè dicendo « se è possibile » . A questo punto non si vede proprio su quali armi possa ancora contare il mondo per muovere all' attacco della munitissi­ ma rocca del sapiente. Apparentemente Marco Aurelio aveva molte ragioni in meno dello schiavo Epitteto per mettersi al riparo dagli scacchi che ven­ gono dal mondo esterno e dall' opera dei potenti. Cesare era lui, il potere era lui. Eppure l' esigenza di interiorizzare il bene, il male e la libertà appare in lui non meno forte. Da che cosa e da chi poteva sentire il bisogno di difendersi l' imperatore? Certamente dalla precarietà della vita e dei suoi presunti beni, che nessuna posizio­ ne di privilegio può eliminare, ma forse anche dalla sua stessa con­ dizione, che in teoria avrebbe dovuto costituire un bel riparo, al­ meno rispetto a quella di Epitteto. Abbiamo non pochi indizi che Marco Aurelio vivesse la sua condizione con un certo disagio. Tra giis, in De M. Aurelii Antonini commentariis quaestiones selectae, Diss. Gottingae 1913, pp. 45-64, o di R. Stanton, The Cosmopolitan Ideas ofEpictetus and Marcus Aurelius, in « Phro­ nesis • , a. xm 1968, pp. 183-95. L' opera di Epitteto rimane inoltre costantemente sullo sfondo della recentissima, ampia ed acuta lettura dei Pensieri di Marco Aurelio di P. Hadot, La citadel/e intérieure. Introduction aux Pensées de Mare Aurèle, s.l . [ma Paris], Fayard, 1992. Utili si rivelano ovviamente, a questo proposito, anche i commenti, co­ me quello di cui è corredata l' edizione critica di Marco Aurelio curata da A.S.L. Far­ quharson, Oxford, Clarendon Press, 19682 (1944) . 73 G U I D O C O RTAS SA le raccomandazioni pili pressanti che rivolge a se stesso vi è quella di non lamentarsi della vita di corte (vm 9) e il suo scarso amore per i sillogismi non gli impedisce di imporsi di accettare un sillogi­ smo di questa sorta : « Dove è possibile vivere, là è anche possibile vivere bene; ma in una corte è possibile vivere; dunque in una corte è anche possibile vivere bene » (v 16) . Quando in Pensieri, vm 51 si legge che nulla impedisce di mantenere la mente pura, pru­ dente, saggia, giusta anche di fronte a chi uccide, squarta, copre di insulti, è pili che legittima l' impressione di essere in presenza di una ripresa del topos del sapiente impassibile e padrone di sé tra i tormenti un po' fiacca in bocca a un imperatore (per quanto Mar­ co Aurelio poteva pensare alla fine di certi suoi predecessori . . . ) , ma l'ultimo dei tre supplizi menzionati, a ben vedere, può essere senz' altro considerato pili realistico. In punto di morte, afferma altrove Marco Aurelio (x 36) , nessuno è cosi fortunato da non an­ darsene tra le critiche di gente che attende solo l' evento, ma nel suo caso ci sono tante ragioni in pili perché molti lo desiderino : qui, non c' è dubbio, l' imperatore riflette sulla sua particolare con­ dizione. Le critiche, le maledizioni, l' odio : il mondo poteva riser­ vare supplizi veri anche a un imperatore, e anche lui poteva cerca­ re riparo all' ombra del Portico accanto allo schiavo senza destare subito qualche perplessità. Se poi pensiamo che questo riparo era offerto da Epitteto a gente di condizione tutt' altro che umile, la presenza dell' imperatore apparirà ancora meno sorprendente.15 Tuttavia la certezza che nessun male può venire all' uomo dal­ l' esterno sembra derivare a Marco Aurelio pili ancora dall' idea che il cosmo, tutto pervaso da un principio divino e razionale, non conosce imperfezioni, e ogni cosa, anche ciò che a prima vista può apparire sgradevole o addirittura repellente, ha una sua bellezza e una sua ragione d' essere, se inserita nel piano razionale che pre­ siede al tutto. Questo concetto ritorna pili volte nei Pensieri, e per illustrarlo Marco Aurelio ricorre ad alcune delle immagini pili suggestive tra le molte che popolano le sue riflessioni : le screpola­ ture del pane, i fichi che si aprono quando sono troppo maturi, le 15. Sulla condizione sociale del pubblico di Epitteto si veda in partic. Brunt, op . cit. 74 LO S T O I C I S M O D E I CETI D I RIGENTI olive ormai prossime a marcire, le spighe che si chinano a terra, la fronte rugosa del leone, la schiuma che cola dalla bocca del cin­ ghiale, il volto dei vecchi, il veleno, le spine, il fango hanno an­ ch' essi una loro bellezza e una loro funzione nell' ambito del tut­ to : sarà in grado di accorgersene chi sia dotato di sensibilità parti­ colare, chi sia diventato veramente familiare con le opere della na­ tura e guardi ogni cosa con « occhi sapienti » (m 2, v1 36) . Il cosmo perfetto con il suo dio immanente è certo un cardine anche del pensiero di Epitteto, ma nelle riflessioni di Marco Aurelio sembra acquistare un rilievo di gran lunga maggiore, se si guarda alla fre­ quenza e all' intensità di tono con le quali viene proposto alla me­ ditazione. Cosi come sembrano avere un' incidenza molto mag­ giore due aspetti complementari di questa concezione del cosmo e della divinità: in primo luogo, l' uomo è parte integrante e inse­ parabile del cosmo perfetto, e pertanto, per comprenderne a fon­ do la natura e l' essenza, bisogna saper abbracciare con uno sguar­ do acuto e penetrante tutto il complesso di cui è parte, la sua strut­ tura, le sue leggi; in secondo luogo, poiché ciò che conferisce uni­ tà, ordine e perfezione al tutto è il principio razionale divino, e questo principio è presente nell' essere umano pili che in qualsiasi altro attraverso la sua parte razionale che ne è un frammento, il vincolo che unisce gli uomini è di gran lunga il pili saldo pur nel- 1' ambito di un contesto in cui nulla è separato dal tutto. Si potreb­ be certamente trovare pili in fretta un oggetto fatto di terra che non abbia alcun legame con un altro oggetto fatto di terra che un uomo che non abbia alcun legame con un altro uomo (1x 9) ; un uomo che si separa dai suoi simili è una mano mozza, un piede tronco, una testa tagliata (vm 34) , è un disertore (1v 29) . Ecco dun­ que l' imperativo che ritorna incessante nelle riflessioni di Marco Aurelio : vivere in armonia con il tutto, e in particolare con i propri simili, tutti quanti fratelli non perché nati dallo stesso sangue e dallo stesso seme, ma perché hanno in comune la ragione, e cioè una particella della divinità (n 1) .16 16. Altri passi notevoli : Ili 11; IV 4; V 16, 30; VII 9. 13, 22, 55, 72; Vili 2, 7, 12, 26; IX I, 9, 12, 16, 23; X I, 24; Xl 4, 8, 18, 20, 21; Xli 26, 30. 75 G U I D O C O RTASSA duro impegno - Marco Aurelio non potrebbe essere pili esplicito : la vita è una guerra (n 17) , è pili simile a una lotta che a una danza (vn 61) - di vivere concretamente, vincendo la propria debolezza e gli ostacoli esterni, i principi essenziali della filosofia. I quali, tra l' altro, se si bada all' essenziale, devono anche ridursi a pochi (111 10) . Della propria debolezza Marco Aurelio mostra pili volte di es­ sere ben conscio. Basti leggere il lungo, intenso colloquio con la propria anima, evidentemente restia ad assimilare le virru essen­ ziali, di Pensieri, x I, o questo duro rimprovero rivolto a se stesso : Ricordati da quanto tempo rimandi queste cose e quante volte, pur otte­ nendo dagli dèi sempre nuovi termini di scadenza, non sai trarne profit­ to. Devi comprendere una buona volta di quale cosmo sei una parte e di quale principio che dirige il cosmo sei un' emanazione, e inoltre che il tempo che ti è concesso è ben circoscritto : se non ne approfitti per rag­ giungere la serenità di spirito, svanirà, svanirai anche tu e non sarà piu possibile (n 4) . I « sacri principi » corrono pericolo ogni giorno, i loro nemici si chiamano paura, torpore, schiaviru ai bisogni del corpo (x 9) . Per questo Marco Aurelio può affermare che il sapiente dovrà bensi tendere sempre alla perfezione, ma accontentarsi anche di qual­ che progresso, non scoraggiarsi mai, riprovare sempre : Non lasciarti prendere dal disgusto, dall' abbattimento o dallo scoramen­ to se non sempre riesci a compiere ogni azione secondo i retti principi, ma, se hai fallito in qualche cosa, ricomincia da capo e ritieniti soddisfat­ to se le tue azioni sono per la maggior parte piu degne di un uomo, ed ama ciò a cui ritorni, e ritorna alla filosofia non come a un severo peda­ gogo, ma come i malati d'occhi ritornano alla spugnetta e all'uovo, come un altro malato ritorna all' empiastro, un altro alla lozione (v 9) . Gli studi sulla lingua e sullo stile dei Pensieri, che le stesse carat­ teristiche dell' opera impongono di non perdere mai di vista anche a chi sia principalmente interessato ai suoi contenuti,tB non hanno 18. La coscienza della necessità di tenere presenti gli stretti rapporti esistenti fra stile e contenuto nei Pensieri ispira molte pagine del citato volume di Rutherford. Si LO S T O I C I S M O D E I CETI D I RI G E N T I sottolineato in modo adeguato la frequenza di espressioni come « sempre » , « costantemente » , « fin dall' alba » , ecc. È probabile che la stesura dei Pensieri non sia frutto di rasserenanti pause tra cam­ pagne militari e impegni di governo. I Pensieri di Marco Aurelio sono pili la cronaca di una sapienza da conquistare (saldamente fondata sulle sue basi dottrinali, esente da dubbi, ma da conquista­ re) che l' espressione di una sapienza acquisita. Nessuno abbia la presunzione di definirsi un filosofo, aveva ammonito Epitteto (Diatr., m 21 23 ; Ench., 46) ; Marco Aurelio sembra sottoscriverlo. Quelle visioni di desolazione e di morte che il sapiente pone di fronte a se stesso fanno parte del duro esercizio a cui si sottopone, sono i terribili effetti dell' eventuale fallimento della terapia. O la filosofia (quel la filosofia) , o la disperazione (n 17) . Se l' uomo è parte integrante del cosmo, e in misura maggiore lo è della comunità di esseri razionali, tanto che la sua essenza ri­ sulta addirittura incomprensibile se non si muove dal tutto e « ascesso del cosmo è chi si separa dalla natura comune a tutti gli esseri » (1v 29) ; d' altra parte molte riflessioni contengono accorati inviti a raccogliersi in se stessi. Epitteto aveva invitato a parlare con se stessi (Diatr., m 14 2) ; anche questa volta la medesima idea è riproposta da Marco Aurelio in modo ben pili incisivo : Ricordati che ciò che tira i fili è quella forza che è nascosta dentro di noi : quella infatti [ . . . ] è la vita, quella è, se cosi si può dire, l' uomo (x 38) . Nulla di pili misero di colui che va indagando tutt' intorno su ogni cosa [ . . . ] e cerca di sapere, facendo congetture, ciò che avviene nell' anima del vicino, senza accorgersi che è sufficiente badare al demone che ha in sé e venerarlo con cuore sincero (n 13) . Scava dentro di te : dentro è la fonte del bene, che può zampillare sempre, se non smetti mai di scavare (vn 59) . Raccogliti in te stesso : il principio dirigente razionale ha una na­ tura tale da essere sufficiente a se stesso quando opera secondo giustizia e proprio in questo trova la sua pace (vm 28) . Gli uomini si cercano dei luoghi solitari in cui ritirarsi : dimore in campagna, sulle rive del mare, vedano altresi, fra i contributi pili recenti , ]. Dalfen, Formgesehichtliehe Untersuehungen zu den Selbstbetraehtungen Mare Aurels, Diss. Mtinchen, Bonn, Habelt, 1967; M. Alexan­ dre, Le travail de la sentenee ehez Mare Aurèle: philosophie et rhétorique, in Formes brèves. De la yvwµ17 à la pointe: métamorphoses de la sentenee, in « La Licorne. Publication de la Fa­ culté des Lettres et des Langues de l'Université de Poitiers • , a. 1979, fase. 3 pp. 125-58. 79 G U I D O C O RTASSA sui monti ; e anche tu sei solito sentire un ardente desiderio di tali cose. Tutto questo, però, rivela una grande ignoranza, perché ti è possibile riti­ rarti in te stesso in qualunque momento tu lo voglia. In nessun luogo, in­ fatti, l' uomo trova un rifugio pili sereno che nella sua anima (1v 3) . Due dimensioni opposte dell' uomo, dunque, tra le quali solo sporadicamente Marco Aurelio sembra tentare una conciliazione : « La ragione ha un frutto in pari tempo sociale e individuale » (1x rn). Quello che però non dice mai è come e in che misura questi due frutti possano coesistere e integrarsi. È vero che numerosi so­ no i passi in cui Marco Aurelio invita a operare per il bene dell'u­ manità intera in nome della fratellanza di tutti gli uomini nella co­ mune partecipazione alla ragione universale, ma la spinta all' iso­ lamento, a chiudersi in se stesso, all' introspezione è altrettanto chiara nell' imperatore. Nella posizione che occupava, Marco Aurelio era in grado di applicare pili di ogni altro il principio di operare per il bene di tut­ ta l' umanità e di trattare tutti gli uomini come fratelli e come esse­ ri razionali. Senza addentrarci in una valutazione della sua attività politica e legislativa che ci porterebbe lontani dallo scopo che si prefiggono queste pagine, è fin troppo facile rilevare che essa non corrispose ai principi da lui professati, o per lo meno non corri­ spose pienamente.19 Tuttavia Marco Aurelio avverte con grande chiarezza che non gli si deve chiedere troppo : Come sono meschini questi omiciattoli che fanno i politici e presumono di agire da filosofi! Bambini mocciosi ! Uomo, che fai tu dunque? Fa' quello che richiede ora la natura. Mettiti ali' opera, se ti è concesso, e non guardarti intorno per vedere se qualcuno lo saprà. Non sperare nella re­ pubblica di Platone, ma accontentati anche del minimo progresso, e ri­ tieni che non sia poca cosa anche questo piccolo risultato (1x 29) . Costruzioni politiche ideali e rivoluzionarie sono lontane dalle prospettive e dalle intenzioni del filosofo giunto al timone del- 19. Si vedano in partic. le osservazioni di G. Stanton, Marcus Aurelius, Emperor and Philosopher, in • Historia » , a. XVII I 1969, pp. 570-87, con le successive puntualizzazioni di B. Hendrickx, Once again : Marcus Aurelius, Emperor and Philosopher, in • Historia » , a. XXII I 1974, pp. 254-56. 80 LO S T O I C I S M O D E I CETI D I RIGENTI dai Pensieri (« A Rustico devo [ . . . ] l' essermi allontanato dalla reto­ rica » , I 7; « Agli dèi devo [ . . . ] il non aver fatto molti progressi nel­ la retorica » , I 17), anche se poi le sue tracce sono abbastanza chiare nella struttura di piu d'un passo e probabilmente la rottura con certe esperienze culturali della giovinezza fu meno drastica di quanto comunemente si pensi.24 Quanto ai sillogismi, l' imperato­ re ringrazia gli dèi di non aver indugiato a lungo nella loro analisi quando avverti la passione per la filosofia (I 17) , e d' altra parte con la filosofia non hanno molto a che fare se aiutano a vivere tanto quanto la ricchezza, la gloria e il piacere, e cioè per nulla {vm 1) . Il sapiente ha bisogno solo della filosofia, e la filosofia non ha bisogno di nulla. Nemmeno di discutere e di polemizzare : se Epitteto polemizza aspramente con altri indirizzi di pensiero, pur mantenendo lo scontro a un livello superficiale, Marco Aurelio non polemizza con nessuno. Non deve strappare alcun discepolo alle insidie delle teorie degli altri. Il suo unico interlocutore ha già fatto razionalmente le sue scelte, ha già ben delimitato il suo oriz­ zonte dottrinale. Solo che ora si tratta di vivere e di applicare i principi giorno per giorno, superando ogni ostacolo, esterno e in­ terno. L' imperatore può ripetere dieci volte, e piu, che il cosmo è governato da un principio razionale, ma non teme Epicuro e i suoi dèi beati e indifferenti : teme se stesso. la memoria. Poeti e filosofi nei 'Pensieri' di Marco Aurelio, Torino, Tirrenia Stampatori, 1989. 24. Sui rapporti tra lo stile dei Pensieri e la retorica, tra l altro : Alexandre, op . cit.; Brunt, Marcus Aurelius, cit., p. 4; Rutherford, op. cit., pp. 126 sgg.; R.J. Newman, Cotidie meditare. Theory and Practice of the "meditatio" in Imperia/ Stoicism, in « ANRW », 11 36/3, Clt. , pp. 1512 sg. SALVATORE N I C O S IA LA SECONDA S O F I STI CA I . SuL CONCETTO m "SECONDA SoFISTicA" Se non ci fossero pervenute le Vite di sofisti di Flavio Filostrato,1 la moderna storiografia letteraria difficilmente avrebbe individuato, in base al complesso di opere e di dati in nostro possesso, il con­ cetto di "Seconda Sofistica", e forse neppure il fenomeno che tale espressione ha finito col designare. E per molte ragioni.2 In primo luogo la denominazione. "Seconda Sofistica" (òwrépa ooqnonxfi) è una proposta definitoria avanzata dallo stesso Filo­ strato (la sofistica che viene dopo quella antica « dev' essere chia­ mata non "nuova", perché in realtà è antica anch' essa, ma piuttosto "seconda" » , p. 2 26 sgg.) , ma del tutto priva di attestazioni presso altri autori. Nei Prolegomeni al Panatenaico di Aristide si prospetta una diversa periodizzazione della retorica antica, distinguendo « tre ondate di oratori » ( -rpeìç <popaì pT)-r6pwv) : la prima, costituita dai discorsi degli uomini politici (Temistocle, Pericle) , si esprime­ va in forma non scritta (aypa<pwç V..eyev) ; la seconda, anch' essa ateniese, rappresentata da Demostene, Eschine, Isocrate e gli altri oratori del canone, faceva ricorso alla scrittura (èyypacpwç V..eyev) ; la terza infine, sviluppatasi in Asia Minore, « è quella di Erode, di Aristide e degli altri oratori del tempo » .3 Non seconda ondata, I. Cito i passi dell' opera di Filostrato (abbr. : VS) con l'indicazione della pagina e del rigo dell' ed. Kayser (Flavii Philostrati Opera, auctiora ed. C.L. Kayser, Lipsiae, Teubner, 1871, vol. 1 1 pp. 1-127) , e le singole biografie con il riferimento all' ordine pro­ gressivo ali' interno dei due libri in cui l' opera si divide. Per una valutazione dell' at­ tendibilità di Filostrato : C.P. Jones, The Reliability of Philostratus, in Approaches to the Second Sophistic ( « Papers Presented at the rn5th Annua! Meeting of the American Philological Association ») , a cura di GW. Bowersock, Pennsylvania Univ. Park, 1974, PP· 11-16. Trad. it. delle Vite : Flavio Filostrato, Vite dei sofisti, a cura di G.F. Brussich, Palermo, Sellerio, 1987. 2. Alcuni problemi relativi al concetto di "Seconda Sofistica" se li pone G. Ander­ son, The Second Sophistic: Some Problems of Perspective, nel voi. Antonine Li tera ture, a cura di D.A. Russell, Oxford, Clarendon Press, 1990, pp. 91-110. 3. Aristide, voi. 1 1 1 p . 737 Dindorf = FW. Lenz, The Aristeides Prolegomena ( « Mnemo­ syne » , Suppi. v), Lugduni Batavorum, Brill, 1959, p . 111 . 85 SALVAT O RE N I C O S IA scellaneo e paradossografico che di lui abbiamo. Interessante è an­ che il caso di Aristide : presente - a buon diritto, e con il dovuto ri­ lievo - nelle Vite, la sua biografia (n n) mostra la drastica semplifi­ cazione operata da Filostrato, rivelandosi inadeguata a cogliere la ricchezza e varietà della sua produzione, non tutta di contenuto retorico. Qualche problema pongono anche Dione di Prusa e Fa­ vorino. Filostrato li include entrambi (rispettivamente 1 7 e 1 8), ma con un certo imbarazzo, collocandoli nella prima sezione, quella dei « filosofi tenuti in conto di sofisti » (p. n 17 sg.) , che ini­ zia con Eudosso di Cnido e attraverso Leone di Bisanzio, Carnea­ de, ecc., si conclude appunto con Favorino. Tale esitazione è in ve­ rità determinata dalla particolare ottica in cui si colloca Filostrato, interessato ed affascinato dall' aspetto performativo del logos, dalle qualità dell' oratoria, e quasi del tutto indifferente alla valutazione dei contenuti. "Sofista" è per lui il grande parlatore in pubblico, l' oratore capace di trascinare le folle non per quello che dice ma per la maniera in cui lo dice, il virtuoso della parola, del gesto, del­ la voce, della battuta, della variazione, e soprattutto dell' improvvi­ sazione su un tema estemporaneo. E il termine "sofista" è da lui usato in senso altamente elogiativo, del tutto immune dalle con­ notazioni negative che esso si trascinava già da qualche secolo, e che sono ben presenti invece ad altri autori, a Diane, per es., o ad Aristide : due "sofisti" che avrebbero rifiutato entrambi energica­ mente quella qualifica, se si tiene conto degli innumerevoli attac­ chi "contro i sofisti" contenuti nell' opera di entrambi, e del fatto che la loro aspirazione era, semmai, ad essere qualificati diversa­ mente : filosofo Diane, e retore Aristide. Da un lato, dunque, disponiamo di un' opera, pur con le incon­ gruenze segnalate, sostanzialmente compatta, che offre un indi­ spensabile quadro di riferimento, e dall' altro di una tradizione frammentaria e in gran parte casuale che con quel quadro dev' es­ sere posta a riscontro. La prima rimane per noi la fonte principale del fenomeno. Dei 43 neosofisti biografati (inclusi Dione e Favo­ rino) , alcuni, anche dichiarati famosi, si riducono per noi a quella semplice biografia; di altri abbiamo soltanto qualche altra notizia di diversa provenienza; di quasi tutti sono andate perdute le innu- 88 LA S E C O N D A S O F I S T I CA merevoli opere citate, e solo di pochi (Diane, Favorino, Palemo­ ne, Aristide) possiamo acquisire una qualche conoscenza diretta attraverso le opere pervenuteci, poche o molte che siano. In tali condizioni, lo scritto filostrateo assume una funzione insostituibi­ le per la conoscenza di personaggi, scuole, stili, talenti, dati crono­ logici, per la delineazione di un clima culturale in cui l' oratore di­ venta personaggio pubblico e popolare, e per la ricostruzione di un fenomeno che non è soltanto retorico ma anche politico e so­ ciale. La tradizione che si può addurre a riscontro è costituita dalle opere pervenuteci degli autori già citati sopra, da notizie presenti in esse o sparse qua e là, dalla importantissima documentazione epigrafica. Dalla integrazione di tutti i dati recuperabili può dirsi in linea di massima che esce confermato, nelle linee generali, il quadro tracciato da Filostrato. Opere autobiografiche come i Di­ scorsi sacri di Aristide, che pure hanno tutt'altra finalità, rafforzano l' immagine di una società che colloca la retorica al pili alto grado nella gerarchia dei valori sociali, mentre la documentazione epi­ grafica offre puntuali conferme al ruolo politico e sociale dei so­ fisti. La dizione filostratea di "Seconda Sofistica" può dunque essere un' accettabile definizione per designare la straordinaria fioritura dell' oratoria greca nella provincia d'Asia, e via via in tutta la parte orientale dell' impero fino a Roma, nel periodo che va da Nerone ad Alessandro Severo. Essa si svolge secondo forme in parte tradi­ zionali e in parte nuove, assumendo un' importanza e un ruolo so­ cio-culturale ignoto alle età precedenti. Le Vite di Flavio Filostrato possono fornire la traccia fondamentale per la ricostruzione del fenomeno, a condizione di integrarne e correggerne i dati con fonti di tipo diverso, di escludere certi autori includendone altri,5 5. Come si evince dalla documentazione epigrafica (perspicuamente valorizza­ ta da Bowersock, cit. alla n. 20) , i sofisti furono assai pili numerosi dei pur molti che cita Filostrato. Per avere un' idea, basterà considerare che nessuna fonte accenna al­ i' attività oratoria di Claudio Pardala, un personaggio cui Aristide attribuisce • som­ ma competenza in materia di retorica tra i Greci del nostro tempo » (Discorsi sacri, L 27 Keil) . SALVATO RE N I C O S IA di riconoscere che la definizione è troppo stretta per alcuni di essi; e soprattutto di liberare il termine "sofistica" da ogni connotazio­ ne negativa, e di non pretendere di ricondurre ad essa - forti della pretesa della sofistica di pervadere di sé altre forme di espressione - tutta quanta la letteratura di quel periodo : a condizione, insom­ ma, di tenersi lontani sia dal pansofismo di Christ-Schmidt 6 che dal radicalismo di Wilamowitz, secondo il quale la Seconda Sofi­ stica era una Erfindung di Filostrato.7 2. QUALE ORATORIA? Grande sviluppo dell' oratoria, dunque. Ma quale oratoria? In­ nanzitutto quella tradizionale, che si era espressa e continuava ad esprimersi, consolidata da una prassi secolare, nelle forme canoni­ che del discorso giudiziario, deliberativo ed epidittico. L' ammini­ strazione della giustizia non è piu quella che poteva conferire, nel­ la dinamica della polis, un ruolo elevato alla sapienza giuridica, re­ torica, etografica, psicologica dell' oratore. Ma l' attività giudiziaria non è certamente cessata, e i processi si continua a celebrarli, sia pure in forme diverse, davanti al governatore della provincia {o ai suoi delegati) , nelle assise giudiziarie ( ayopà 01xwv) : e qui c' è bisogno di chi prenda la parola per difendere o accusare. Sofisti famosi non disdegnano di impegnarsi in tale attività: Nicete di Smirne eccelleva sia nel genere giudiziario sia in quello sofistico, anzi « adornava il primo con l' amplificazione sofistica e rinvigori­ va il secondo con il pungolo giudiziario » {VS, p. 24 20 sgg.; cfr. an­ che p. 29 15 sg.) ; Scopeliano di Clazomene esercitò l' avvocatura senza avidità e senza aggressività (p. 32 16 sgg.) , Palemone difese 6. Pur chiarendo le ragioni pratiche della propria periodizzazione, Christ-Schmid includono nella "Seconda Sofistica" storici come Arriano e Cassio Dione, geografi come Pausania, compilatori come Ateneo, onirocritici come Artemidoro, e tutti i ro­ manzieri : nella convinzione che « die Leitung der ganzen Literatur, insbesondere der Prosa, liegt in dieser Periode in den Handen der neuen oder zweiten Sophistik » (Ce­ schichte der Criechischen Literatur, Miinchen, Beck, 1924 (rist. 1961), n/2 p. 687: da ora in poi CCL). 7. U. van Wilamowitz, in una ree. dell' opera di Boulanger su Aristide (vd. n. 39) , in « Litteris » , a. I l 1925, p. 126 = Kleine Schriften, Berlin, Akademie Verlag, 1969, 111 p. 421. 90 LA SECONDA S O F I S T I CA vento culminante. Il giovane Erode Attico pronunzia (con scarso successo) un' orazione di saluto ( npooq>wv11nxòç A6yoç) davanti all' imperatore Adriano per conto degli Ateniesi (VS, p. 72 25 sgg.) , Palemone inaugura, su invito del medesimo imperatore, il tempio di Zeus Olimpio ad Atene (VS, p. 44 18 sgg.) , Aristide si impegna a celebrare di volta in volta l' èyxwµ1ov di Atene (Panatenaico, I Lenz­ Behr) e di Roma (A Roma, XXVI Keil) , la festa del tempio di Adria­ no a Cizico (Panegirico pronunziato a Cizico per il tempio, xxvn Keil) , il genetliaco di un rampollo di un' illustre famiglia pergamena (Discorso genetliaco per Apella, xxx Keil), o a levare il lamento sulla morte del proprio maestro Alessandro di Cozieo (Epitafio per Ales­ sandro, xxxn Keil, in forma di lettera inviata al Consiglio e al po­ polo di quella città) , o sulla distruzione del santuario di Eleusi ad opera dei barbari (Discorso eleusinio, xxn Keil) : senza dire dei molti "inni in prosa" in onore di varie divinità, pronunziati nelle circo­ stanze pili disparate (xxxvn-XLVI Keil) . Come si vede, non manca del tutto a questa oratoria lo spessore della realtà, né le è preclusa la possibilità di esercitare una concreta funzione che è di volta in volta giudiziaria, politica, culturale; non manca neppure a quella epidittica, la forma pili avulsa da ogni di­ mensione deliberativa, e la pili legata ad urgenze occasionali : e ba­ sterà osservare che, a parte l'Eiç 'Pwµ11v, persino il panegirico per il tempio di Cizico diventa veicolo dell' elementare ideologia poli­ tica di Aristide fondata sul riconoscimento del potere di Roma e sulla visione dell' impero come armonia universale. Gli spazi del- 1' oratoria non sono ampi, ma i limiti entro cui si muove l' oratore sono quelli imposti all' esercizio della parola pubblica dalla strut­ tura politica, sociale, giurisdizionale di un impero fortemente cen­ tralizzato : i limiti, insomma, della realtà e della storia. 3. LA MELETE Ma è proprio in relazione a questi limiti che assume il massimo rilievo un tipo di oratoria defunzionalizzata, consistente nella ese­ cuzione in pubblico di discorsi fittizi, non rispondenti a nessuna concreta esigenza di ordine politico e sociale, e privi di qualsiasi 93 SALVATO RE N I C O S IA referente nella realtà. È la cosi detta µt:ÀÉ•Tt (lat. declamatio ) , mera declamazione pubblica di orazioni giudiziarie senza imputati e senza tribunale, e di orazioni deliberative senza assemblee delibe­ ranti; discorsi di parata che a nessun bisogno rispondono se non a quello di dilettare, e di nient' altro debbono persuadere il pubblico se non del talento dell' oratore ; riproduzioni artificiali e spettaco­ lari delle tensioni, della forza argomentativa, delle emozioni pro­ prie dell' eloquenza reale : ma si ne materia. Non era un' invenzione della Seconda Sofistica.11 La tendenza della retorica a trasferirsi dalla realtà alla finzione, dal discorso al­ la letteratura, è antica. Opere come l'Encomio di Elena di Gorgia, l'Aiace e l' Odisseo di Antistene, il Busiride di Isocrate, e soprattutto i processi immaginari delle Tetralogie di Antifonte, sono rappresen­ tative di questa trasposizione. Nella prima età ellenistica, con ogni probabilità, si introducono nella scuola determinati temi (il tiran­ nicida, l' adultero, ecc.) come oggetto di esercitazione oratoria di tipo forense o deliberativo (Quintiliano, n 4 41 fictas ad imitationem fori consiliorumque materias ), e la circolazione di declamazioni su te­ mi fittizi è attestata da qualche frammento papiraceo (per es. P. Hibeh 15 = FGrHist, 105 A 6, I I I sec. a.C.) e dall' opera di Seneca il Vecchio {tra il I sec. a.C. e il I d.C.) , contenente excerpta di controver­ siae e di suasoria e : 12 che si riferiscono alla prassi oratoria latina (giu­ diziaria e deliberativa rispettivamente), ma rinviano ad un feno­ meno eminentemente greco, come dimostrano anche le molte notizie di declamatori greci altrimenti ignoti. L' esistenza di « esercitazioni » (questo è il significato originario di µt:À.frr1) oratorie fittizie su temi deliberativi o giudiziari è per­ ciò documentata assai prima della Seconda Sofistica, e del resto es­ se persisteranno anche dopo, ben oltre i limiti di quel movimento, fino alla tarda antichità e all' età bizantina (Libanio, Imerio, e an­ cora Coricio di Gaza nel VI sec.) . Ciò che appare nuovo nella tem- II. Sulla declamazione (origine, evoluzione, temi, teorie, esecuzione) è fonda­ mentale l' opera di D.A. Russell, Greek Declamation, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1983. 12. Ed.: L. Annaeus Seneca maior, Oratorum et rhetorum sententiae, divisiones, colores, ed. L. Hàkanson, Leipzig, Teubner, 1989. 94 LA S E C O N D A S O F I S T I CA perie della Seconda Sofistica è l' esaltazione della dimensione pubblica della melete, la sua rispondenza ai gusti e agli interessi di ampi strati della popolazione, la sua spettacolarizzazione, il rilievo assoluto del momento performativo, il ruolo sociale assunto dai "sofisti", l' interesse suscitato nei rappresentanti del potere costitui­ to : e cioè la trasformazione di quella che era pratica scolastica o esercizio per intenditori in un imponente fenomeno sociale e cul­ turale. I temi di queste declamazioni ci sono noti, a centinaia, dalle fonti piu disparate. Prevalgono, su quelli mitologici (Aristide ri­ scrive per es. l' ambasceria ad Achille, Discorso d' ambasdata ad Achil­ le, xvi Lenz-Behr) , e sui dilemmi etico-giuridici fittiziamente complicati e stravaganti (per es. : una ragazza violentata fa condan­ nare a morte il proprio violentatore : il figlio che nasce, spetta ai nonni paterni, o a quelli materni?, Antioco di Ege, VS, p. 75 32 sgg.) , gli argomenti tratti dalla storia remota della Grecia, il con­ flitto con la Persia, la guerra del Peloponneso, e soprattutto la lotta contro l' egemonia macedone, vale a dire l' evento drammatico di cui si sostanzia la grande oratoria greca del IV secolo a.C. Forte di una piu o meno approfondita conoscenza della storia, il sofista si immerge in questo passato di alcuni secoli prima, ne riproduce le situazioni e le tensioni secondo criteri di verosimiglianza storica, o di sofistica inversione della realtà, o di imparziale trattazione di due tesi opposte, traendone pretesto per discorsi sia deliberativi che giudiziari, e mescolando rigorosa ricostruzione storica e biz­ zarra rielaborazione fantastica. Cosi, per voce del sofista, « Gli Spartani si consultano sull' opportunità di erigere un muro » (Iseo l'Assiro, p. 27 11 sg.) , ma gli stessi possono esserne energicamente dissuasi (Aristide, p. 89 1 sg.) , « Pericle incita a continuare la guerra nonostante l' ostilità dell' oracolo di Delfi » (Alessandro Peloplato­ ne, p. 81 13 sgg.) , « I feriti di Sicilia chiedono di essere uccisi per mano degli stessi ateniesi in ritirata » (Erode Attico, p . 80 9 sgg.) , « Demade si rifiuta di ribellarsi ad Alessandro mentre è in India » (Ippodromo di Larissa, p. 119 32 sgg.) e « Senofonte vuole seguire Socrate nella morte » (Palemone, p. 53 13 sg.) . Al di là delle differenze stilistiche, della maggiore o minore ca- 95
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved