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lo spazio nella tela, dalla tela allo spazio lo spazio come una tela, Tesine universitarie di Storia dell'arte contemporanea

Ho scelto di intraprendere questa tesi, ponendomi di fronte alla sopracitata considerazione, elaborata attraverso un dialogo avuto con l’artista e docen-te Gianni Caravaggio(Rocca San Giovanni 1968 artista italiano), per cerca-re di comprendere e razionalizzare le pratiche artistiche con la quale mi so-no approcciato e ho sviluppato dall’inizio del mio percorso accademico ad oggi.

Tipologia: Tesine universitarie

2018/2019

Caricato il 20/02/2019

jimmymilani
jimmymilani 🇮🇹

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Scarica lo spazio nella tela, dalla tela allo spazio lo spazio come una tela e più Tesine universitarie in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA MILANO Dipartimento di Arti Visive Corso di Pittura LO SPAZIO NELLA TELA, DALLA TELA ALLO SPAZIO , LO SPAZIO COME UNA TELA Relatore Tesi : Prof. Andrea Del Guercio Relatore Progetto: Prof. Gianni Caravaggio Docente d’indirizzo / coordinatore: Prof. Stefano Pizzi Gianmaria Milani Matricolla nº34155 Anno Accademico :2017\2018 Indice : riflessione di partenza (Sainte-Victoire di Cézanne) 3 Introduzione 4 Costruzione , Contestualizazione storica dell’argomento 5 E riflessioni Conclusione 36 Ringraziamenti Bibliografia 1 Introduzione: Ho scelto di intraprendere questa tesi, ponendomi di fronte alla sopracitata considerazione, elaborata attraverso un dialogo avuto con l’artista e docente Gianni Caravaggio(Rocca San Giovanni 1968 artista italiano), per cercare di comprendere e razionalizzare le pratiche artistiche con la quale mi sono approcciato e ho sviluppato dall’inizio del mio percorso accademico ad oggi. Partendo dunque da una base pittorica, o quanto meno da un immaginario bidimensionale, cerco di affrontare quelli che sono gli elementi cardine della pittura, come ad esempio, la superficie piatta e bianca della tela o la obbligata finzione che si crea nel giocare con i pennelli e i colori, nella perpetua vocazione alla ricerca di immagini naturali originarie, ma che per memoria storica, se trasposte nella tela, diventano copia e quindi finte rappresentazioni. Ma ciò non sott’intende per forza che non siano immagini autentiche. Quello che mi interessa, è l’intervento liberatorio nei confronti della pittura dai propri margini e perimetri, provando così ad uscire con un ideale pennellata volumetrica, parafrasando una celebre affermazione di Cézanne (Aix-en-Provence, 19 gennaio 1839 – Aix-en-Provence, 22 ottobre 1906, artista francese) in cui afferma che non si può che dipingere forme che non abbiamo un volume. In questo apparentemente semplice, ma in realtà complesso nodo, mi pongo io con il mio lavoro. Un ponte tra le pitture e gli elementi scultorei. Approcciandomi alla pittura non più solo direttamente attraverso la tela, ma trasmutando un determinato spazio in un supporto per la pratica pittorica. Non più quindi con colori a tubetto e pennelli, ma con elementi tridimensionali evocativi (spesso) della natura, così da generare delle immagini “paesaggistiche”. Inoltre questa tesi, a parte che per la soluzione pratica, mi serve in termini teorici per conoscere la storia e provenienza del mio lavoro, affinché io lo possa inserire e contestualizzare in un discorso storico più ampio. Costruzione e Contestualizazione storica dell’argomento : “Guardando le ultime tele che indagano “La Montagna di Sainte-Victoire” di Cézanne, siamo di fronte ad una soluzione in espressione non perfetta, d'un problema ancora misterioso anche allo stesso autore. Tale intuizione ci aiuta ad una complice partecipazione al fatto creativo, andando noi stessi a definire la costruzione dell’immagine. Della medesima intensità sono le emozioni che proviamo, per le stesse ragioni, davanti alle ultime pietà di Michelangelo (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564- artista italiano) , e se volessimo allargare l'immaginario della ambito creativo, le possiamo associare anche alle ultime composizioni di Beethoven (16 dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827- compositore e pianista tedesco).”11 Un'emozione minore la proviamo invece, davanti ad alcune opere in cui un chiaro proposito è risolto in espressioni perfette escludendo del tutto il fruitore all’atto creativo, relegandolo alla mera contemplazione. La condizione umana in ambito artistico, cerca spesso l'incertezza, in una sorta di gioco sostenuto dalla presa in considerazione di singole parti del lavoro, focalizzandosi a volte solo su alcuni elementi che, quasi per magia, riescono a vivere di vita propria, rivelandone una propria identità fedele alla realtà. “L'aspetto di scatola magica, di alcuni quadri da cavalletto, di piccolo o medio formato, è relazionato alla sconfinata distanza che coprono gli elementi rappresentati sulla superficie della tela e alla perfezione dei particolari lì dipinti, che si svelano solo ad un esame attento. La cornice di questo tipo di lavori è un contenitore psicologico per l'autore, quanto lo è per lo spettatore la sala che lo circonda. Nulla toglie che lo spazio all'interno del dipinto, possa prolungarsi ai suoi lati. Come questo ben altri dipinti, fin dalla meta dell'ottocento, spingono verso l'esterno e producono una sorta di pressione verso la cornice”22. Per esempio, guardando il quadro di Cézanne, che abbiamo preso in analisi, dove l’immagine è ottenuta solo con il colore, steso a piccole pezzature con direzioni e orientamenti differenti, si risale ad un’idea compositiva molto semplice: di per sé, il soggetto non ha una forma precisa. Non può essere trattato solo volumetricamente ma anche spazialmente. Prendendo spunto dallo scrivere del Longhi (Alba, 28 dicembre 1890 – Firenze, 3 giugno 1970 - storico dell'arte italiano) nel saggio “una breve ma veridica storia della pittura”, vorrei sottolineare il semplice 1 11 propria elaborazione sulla base di wim wenders (copyright 2017) - “I pixel di Cezanne” – Contrasto editore 22 propria elaborazione sulla base di Brian O’Doherty (2012) “Inside the White Cube - l’ideologia dello spazio espositivo”- Johan & Levi Editore. motivo per il quale sono partito da un dipinto di Cézanne piuttosto che da un’opera di un altro qualsiasi suo contemporaneo: “Cézanne finalmente - il più grande artista dell’età moderna - compone i tentativi formali di Courbet, coloristici di Manet, spaziali di Degas in un nuovo assoluto monumentale. Il testamento pittorico è “trailer la nature par le cylindre, la sphere, le còne, le tout mis en prospective, soit quel chaque objet au còté d’un objet, d’un plan se dirige vers un point central”; testamento voi vedete che potrebbe essere quello di Piero dei Franceschi o di Antonello da Messina. E nuovamente il suo gusto per le forme semplici, la sua sicurezza spaziale ci riportano per affinità gustative alle opere di quei grandi che egli non conobbe. Ma egli non conosce neppure la loro calma quasi intellettuale, il loro classico riposo: la sua sintesi di forma e colore cioè la sua resa unitaria di tutto il mondo visivo non ha la nettezza della prospettiva antica ma un respiro di modernità stilistica che io non potrei spiegarvi che di fronte alle opere…”33 Oltre che per una una questione legata al mio interessamento, unito al fatto che, in lui trovo forte l'idea di costruzione fisica attraverso l'insieme delle sue pennellate, e come già detto, di un primo tentativo di rottura dei confini, mi trovo in sintonia col il Longhi, quando sostiene che sia il più grande o quanto meno uno dei maggiori punti focali, di quel periodo storico. Punto di riferimento per i suoi contemporanei ma anche continuazione logica per i suoi più lontani predecessori. Sia tecnicamente che al relativo utilizzo del colore e alla sua composizione spaziale. Analizzando l’opera in questione, troviamo che una linea orizzontale, a due terzi dalla base, definisce l’orizzonte, dividendo il quadro in due parti distinte e separate. Continuando parzialmente ad inquadrarlo all'interno e nella parte inferiore, il colore definisce la multiforme varietà dei campi coltivati, degli alberi e delle case inserite tra essi. In contrapposizione, nella parte superiore domina, quasi come un simbolo totemico, l’inconfondibile profilo della montagna. Sono quindi elementi imprescindibili della rappresentazione la luce e l’aria. Qui emerge il miracolo: attraverso il colore che stende Cézanne sembra, socchiudendo gli occhi, che alcuni gesti inizino ad allontanarsi dal quadro. 33Roberto Longhi - (prima edizione 1914, edizione utilizzata 27 ago 2013) “Breve ma veridica storiadella pittura italiana” – Abscondita editore. Claude Monet- (9 March to 15 May 1960) - visione esposizione “Seasons and Moments “ MOMA, New York. Quando in occasione della grande retrospettiva “Season and moment” dedicata a Monet tenutasi al MOMA nel 1960, William C. Seitz (1914, Buffalo, Stato di New York, Stati Uniti- 26 ottobre 1974, Charlottesville, Virginia, Stati Uniti-curatore e storico dell’arte) curatore dell’esposizione, fece togliere le cornici, ci si rese conto di quanto i lavori dominassero la parete. Negli stessi anni in cui gli impressionsti iniziavano ad imporre il loro gesto pittorico, a Malaga nasceva Pablo Picasso. Personaggio chiave per tutta l’arte del XX secolo ed altrettanto fondamentale per le mie riflessioni. Superati i primi momenti figurativi, anche se risolti in maniera innovativa e personale, dal 1907 con “Les Demoiselles d’Avignon” affronta i temi che saranno in seguito definiti cubisti. 1 All’interno del Cubismo Analitico, l’artista perde qualsiasi contatto allontanandosi sempre di più della realtà ma si delineano i punti focali di una nuova gestione della superficie della tela e dello spazio Immediatamente dopo, nella fase del Cubismo Sintetico, con l’inserimento di lettere, numeri ed elementi plastici si trova un parziale rimandano alla realtà. Pablo Picasso, (1911) Still Life with Chair Caning- 29 x 37 cm - museo picasso. Nel 1911 Picasso incollò su un’opera, un pezzo di tela cerata, su cui era riprodotta l'impagliatura di una sedia, creando così uno dei primi collage della storia. Questo segna un passaggio irrevocabile verso il concetto di “distanza dallo spettatore”. Il cubismo non ha spostato di lato il piano pittorico, ma lo ha reso sporgente, in contro corrente dunque ai precedenti tentativi di definirlo. Sfaccettati, i piani dello spazio, vengono spinti in avanti ed avviene un cambiamento istantaneo. I molteplici punti di fuga si riversano nello spazio nella stanza. Il collage opacizza la superficie della tela, che ha alle spalle soltanto una parete o un vuoto. Davanti, uno spazio aperto. Così che l'osservatore, nel proprio immaginario illusionistico, non viene tenuto a distanza dalla superficie dell’opera. E’ questo il primo tentativo, da parte di un artista, di conquistare lo spazio che esiste di fronte alla superficie della tela, avvicinandosi allo spettatore stesso. Un passaggio oltre che storicamente importante e di riferimento per molti artisti che lo successero, è l’effetto che riesce ad ottenere facendo percepire la distanza che c’è tra l’oggetto rappresentato e la rappresentazione, che risulta inferiore a quella reale, avendo come risultato una situazione metapittorica che mette in contanto la fisicità del reale con l’illusione del dipinto. Questo è l’aspetto che più mi interessa e che sto cercando di svluppare anche nelle mie ricerche. L’inserimento di elementi plastici e reali all’interno di un lavoro, ritengo che fornisca allo spettatore una “vicinanza” tale da permettere una “confidenza” con l’opera che altrimenti, essa, non si riuscirebbe sostenere. Ritornando all’analisi storica legata al confronto pennellata/spazio, valutando cronologicamente le “scoperte” avvenute nella produzione artistica, possiamo procedere nelle seguenti riflessioni: Gli impressionisti lavorano sul concetto di luce in maniera rivoluzionaria, portando anche al di fuori delle chiuse pareti dello studio, il loro laboratorio creativo. Questo ovviamente grazie al contributo tecnologico dell’invenzione del colore in tubetto. I divisionisti e i puntinisti collocano al centro della loro indagine il colore, prendendo in analisi gli studi legati all’ottica, alla diffrazione del colore stesso e all’allora incessante sviluppo della tecnica fotografica. Picasso ed i cubisti producono nuove forme, frantumando l’idea di prospettiva e la collocazione delle stesse nello spazio mantenendo saldo però la volontà della rappresentazione del reale. Arrivano poi i nuovi rivisitati formalismi, dettati dalla metafisica dechirichiana, dove gli elementi rappresentati vivono lo spazio in funzione del messaggio intrinseco, provocando un senso di attesa e sospensione agli occhi di chi guarda. Esempio calzante è la serie di opere presentata per la prima volta nel 1934 nella cartella di dieci litografie che De Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978 – arista italiano) aveva pubblicato, a corredo di una raccolta di poemetti di Jean Cocteau (Maisons-Laffitte, 5 luglio 1889 1 Giacomo Balla, 'Il Giardino Futurista', (1916-1930) visione della ricostruzione a Nordenhake gallery nel 2003. Se prendiamo in analisi ad esempio “Il giardino futurista”, notiamo che di fatto viene indagata la materializzazione e la trasformazione fisica di un gesto pittorico in un'oggetto costituito da un volume fisico. L’11 marzo del 1915, insieme a Fortunato Depero (Fondo, 30 marzo 1892 – Rovereto, 29 novembre 1960- artista italiano), Giacomo Balla, autore dell’opera presa in analisi, firma il Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, che rappresenta una delle tappe più significative nell’evoluzione dell’estetica futurista. Con questo manifesto trova una completa maturazione la volontà del Futurismo di ridefinire ogni campo artistico secondo le sue teorie e di rifondare le forme stesse del mondo esterno fino a coinvolgere anche gli oggetti e gli ambienti della vita quotidiana. Questo lavoro ha uno status molto speciale, ed è considerato una delle prime installazioni nella storia dell'arte moderna. “Il giardino futurista” rappresenta il lato onmicomprensivo del futurismo in generale, così come l'arte di Balla in particolare. Esprime le qualità installative presenti nei suoi progetti di scultura e teatro, ma fa anche riferimenti giocosi agli oggetti di consumo prodotti industrialmente. Mostra un vero gesto futurista evidenziando i valori di un paradiso artificiale. “… Il futurismo pittorico si è svolto quale superamento e solidificazione dell’impressionismo, dinamismo plastico e plasmazione dell’atmosfera, compenetrazione di piani e stati d’animo … Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione … Il parolibero Marinetti ci disse con entusiasmo: «L’arte, prima di noi, fu ricordo, rievocazione angosciosa di un Oggetto perduto (felicità, amore, paesaggio) perciò nostalgia, statica, dolore, lontananza. Col Futurismo invece, l’arte diventa arte-azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, realtà brutale nell’arte, splendore geometrico delle forze, proiezione in avanti. Dunque l’arte diventa Presenza, nuovo Oggetto, nuova realtà creata con gli elementi astratti dell’universo. Le mani dell’artista passatista soffrivano per l’Oggetto perduto; le nostre mani spasimavano per un nuovo Oggetto da creare» … Le invenzioni contenute in questo manifesto sono creazioni assolute, integralmente generate dal Futurismo italiano. Nessun artista di Francia, di Russia, d’Inghilterra o di Germania intuì prima di noi qualche cosa di simile o di analogo. Soltanto il genio italiano, cioè il genio più costruttore e più architetto, poteva intuire il complesso plastico astratto. Con questo, il Futurismo ha determinato il suo Stile, che dominerà inevitabilmente su molti secoli di sensibilità.” 55 L’analisi di questa specifica opera di Giacomo Balla, calza perfettamente con alcune mie intuizioni recenti. L’artista cerca di riprodurre in maniera fittizia un giardino botanico, sostituendosi 1 55 Il manifesto "Ricostruzione futurista dell'universo", firmato nel 1915 da Giacomo Balla e Fortunato Depero. alla realtà ed al naturale processo del mondo vegetale, sostenedo così la tesi della “necessità di natura” da parte dell’uomo. In una serie di lavori che ho realizzato recentemente, dove ho inserito alcuni frammenti di erba sintetica, sottolineo la medesima urgenza. Anche se cerco di aggiungere una aspetto per me disarmante della nostra contemporaneità, legata alla finzione delle cose: oggi molto è finto, poco naturale e distante dagli equilibri universali. Contemporaneamente Kandinsky ( Mosca, 16 dicembre 1866 – Neuilly-sur-Seine, 13 dicembre 1944 - arista franco-russo ) sigla la “forma nello spazio”. Producendo non solo una nuova declinazione pittorica ma definendo i tratti estetici nel suo fondamentale saggio “Linea, punto e superficie”. Gli elementi descritti si posizionano sulla superficie abbandonando del tutto ogni relazione con il reale, la prospettiva e la rappresentazione. I temi trattati da Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939 - neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco) nella sua “interpretazione dei sogni” e gli altri studi sulla psicanalisi, libera la creatività dei surrealisti, sdoganando definitivamente il segno libero ed onirico, permettendo loro, attraverso pirotecniche rappresentazioni, la definizione di irreale. Nel 1913 Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968 – arista francese naturalizzato statunitense) presenta in un’esposizione ufficiale, il primo “ready-made” della storia, sostituendo definitivamente la tecnica pittorica tradizionale con un nuovo modo di fare arte, di matrice essenzialmente intellettuale. Ha inizio un processo che prosegue per tutto il Novecento, in cui l’opera d’arte perde i suoi connotati espressivi ed estetici per acquisire aspetti culturali e conoscitivi. L’invenzione di Duchamp è punto di partenza per le ricerche di carattere concettuale e performativo degli anni Cinquanta e Sessanta: tra queste in particolare vi è il Neo Dada, i cui principali protagonisti, gli americani Jasper Johns(Augusta, 15 maggio 1930 - artista statunitense) e Robert Rauschenberg (Port Arthur, 22 ottobre 1925 – Captiva Island, 12 maggio 2008 – artista e fotografo statunitense), approdano a un’idea di arte come specchio della società contemporanea, che è ormai in piena fase consumistica. E, in questa tesi è impossibile, non citare due tra le opere più importanti del genio Duchamp: la prima, dove conquista lo spazio pressoché inutilizzato del soffitto della sala espositiva durante “International Exhibition of Surrealism” del 1938 a New York, sospendendo 1200 sacchi di carbone direttamente al soffitto, trasformando l’intera esposizione in un paesaggio surreale e sospeso al di kurt schwitters, merzbau (1933) – un ambiente iniziato nel 1923 e distrutto nel 1943. L’artista tedesco (Hannover 1987 – Kendal 1948) determina l’inizio del concetto di uscita della tela, creando l’opera Merzbau, lavoro che si estente per tutto il volume dello studio ed occumpandone l’intero spazio. Questo lavoro, che si sviluppa ed espande in tutte le direzioni, è strettamente correlato anche al concetto di tempo ed alla relativa metamorfonsi legata ad esso. Per realizzare questa sua creazione operò circa tredici anni. L'opera era strutturata in base al volume dell’ambiente e risulta essere mutevole e polifonica, con una molteplicità di intuizioni, funzoni e concetti. L’autore trasforma così definitivamente lo spazio illusionistico del quadro tradizionale e tutto diventa reale, circoscritto nello spazio della stanza. I due conflitti mondiali del XX secolo mettono fine alle avanguardie storiche ma non pongono il limite alla ricerca artistica. Nascono nuovi elementi di indagine. Per esempio, i primi interventi spazialisti di Lucio Fontana (Rosario, 19 febbraio 1899 – Comabbio, 7 settembre 1968- artista nato in argentina ma vissuto in italia), già teorizzati nel “manifesto blanco” del 1946, in cui la così detta “arte nuova” prende i suoi elementi dalla natura, rendono l’artista argentino immediatamente protagonista e ricercatore allo stesso tempo. Ambiente spaziale con neon, veduta ambiente nell’esposizione “Lucio Fontana Ambienti/Environments”- 21 settembre 2017 25 febbraio 2018 presso hangar biccoca. 1 Scrive: “L'esistenza e la materia, sono una perfetta unità. Si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il cambiamento è la condizione essenziale dell'esistenza. Il movimento, la proprietà di evolversi e svilupparsi è la condizione base della materia. Questa esiste in movimento e in nessun'altra maniera. Il suo sviluppo è eterno. Il colore e il suono si trovano nella natura legati alla materia. Il colore in volume si sviluppa nello spazio adottando forme successive. La costruzione di forme voluminose in mutamento mediante una sostanza plastica e mobile. Disposti nello spazio agiscono in forma sincronica, integrano immagini dinamiche. La coscienza materialistica, ossia la necessità di cose chiaramente provabili, esige che le forme d'arte sorgano direttamente dall'individuo, soppresso qualunque adattamento alle forme naturali. Un'arte basata su forme create dal subcosciente, equilibrate dalla ragione, costituisce una reale espressione dell'essere. L'analisi e la sintesi, la meditazione e la spontaneità, la costruzione e la sensazione sono valori che concorrono alla sua integrazione in un'unità funzionale”.66 Tutto ciò si ritrova in particolar modo negli “ambienti spaziali“ (rivisti recentemente all’interno della mostra “AMBIENTI/ENVIRONMENTS allestita presso l’Hangar Bicocca- Milano, curata da Marina Pugliese (genova 1968 curatrice , storica e professoressa presso la California College of the Arts), Barbara Ferriani(italia milano 1960 restauratrice presso) e Vincente Todolì(italiano - ex direttore di importanti musei internazionali e adesso artistic advisor dell’Hangar Bicocca) creando situazioni e spazi in cui l’esperienza vissuta dall’utente, viene modellata a seconda del paesaggio che lo circonda e gesti dell’artista, simili a possibili pennellate sensibili, vivono di luce propria diventando neon o sagome dipinte con colori fosforescenti. Molti degli interventi visti all’interno della mostra allestita all’Hangar Bicocca, per esempio la struttura al neon fatta per la IX edizione della Triennale di Milano nel 1951, il cui movimento sembra prendere vita ed illuminare l’area circostante, sembra nascano dalla trasformazione di un semplice segno eseguito su un foglio. 66 propria elaborazione sulla base del “Manifesto Bianco(1946)” di lucio fontana - Buenos Aires . Un gesto pittorico o comunque grafico, nato dal disegno che diventa opera a tutto tondo, sconfinando ed infrangendo i termini di limite e perimetro. Così Lucio Fontana risponde al problema originario della superficie – fino a far sparire la tela e attaccare direttamente l'intonaco al muro. Nel corso della sua carriera ha investigato i concetti di spazio e luce, il vuoto e il cosmo e con il suo lavoro ha radicalmente trasformato la concezione tradizionale di pittura, scultura e spazio, superando la bidimensionalità della tela e anticipando diversi movimenti artistici degli anni ’60 e ’70, come Arte Concettuale, Pittura Analitica, Land Art e Arte Povera. 1 un'epicità, da peso all' artista». In questa drammaticità ha inserito il fuoco, la fuliggine, il caffè, il carbone... “Il primo carbone è del 1966. E' l'illuminazione di una condizione.”88 Una figura che indaga la pittura dicendo di voler uscire dal quadro e facendolo attraverso mezzi esterni ad essa. veduta mostra “PASCALI | SCIAMANO” a Fondazione cariero 2017 88 “Jannis Kounellis Pappagalli, fuoco e fuligine: sono un pittore della tradizione” (2006)- PAOLO VAGHEGGI - republica.it Nei medesimi anni, un giovane Pino Pascali (Bari, 19 ottobre 1935 – Roma, 11 settembre 1968 – artista italiano ), nato in Puglia ma trasferitosi presto nella capitale, dove si iscrive all'Accademia delle Belle Arti e frequenta le lezioni di Toti Scialoja (Roma, 16 dicembre 1914 – Roma, 1 marzo 1998 – artista italiano), comincia a lavorare come aiuto scenografo alla RAI. Nella sua ricerca fioriscono visionare ambientazioni con espliciti riferimenti alle sue profonde radici mediterranee, portando il proprio contributo attraverso una spinta innovativa e dettando precise modalità e fisionomie che mai si erano viste prima, lavorando in contrapposizione alle ricerche svolte dal suo compagno di corso Jannis Kounellis, rivolgendo il proprio immaginario ad elementi come l’acqua, la terra, le ipotetiche evocazioni delle creature che li abitano ed il mondo ludico dell’infanzia. Tutti punti focali che condivido anche nella mia attuale ricerca artistica. Nella recente retrospettiva allestita nella primavera 2017, intitolata PASCALI | SCIAMANO, curata da Francesco Stocchi (Roma-1975 curatore) , presso la Fondazione Carriero Milano, il visitatore, pur trovandosi di fronte ad una serie di singole opere create e pensate per una vita propria, coglie una forte connotazione scenografica di tutti gli ambienti, dove personalmente, leggo una struttura spaziale di una sensibilità prettamente pittorica dove lo spazio sembra trasformarsi in tela e le singole opere in immaginari tratti pittorici. veduta mostra “Il mare e il cielo”: Pino Pascali e Luigi Ghirri fondaazione Pino Pascali Questo approccio lo possiamo ritrovare specificatam ente nel singolo lavoro “32 mq di mare”, un tentativo riuscitissimo di conciliare il naturale con l’artificiale. In quest’opera, l’acqua è l’elemento primario, che da sempre affascina Pascali e in questa circostanza ricostruisce il “suo mare” in vaschette di zinco, ognuna delle quali contiene una variazione di tono dal celeste al blu. 1 Il risultato è come se veramente trasformasse in singole pennellate o in enormi pixel accostati l'uno affianco all'altro, l’intera costruzione, arrivando sì al concetto visivo di mare ma richiamandolo attraverso una assemblaggio di accostamenti tonali in una sorta di perpetua sfumatura spaziale che a livello di costituzione mi richiama un fare simile al fare di Cèzanne nell’opera Sainte-Victoire. Blinky Palermo. 1964. Untitled (Totem) d’accesso tra “dimensionalità” e “costruzione”. Molte di queste forme incuranti dell’ambiente e delle sue caratteristiche, attraversano porte e pareti in continuità con l’architettura senza essere condizionate dalla specificità del luogo in cui si sviluppano, ripercorrendo in questo modo l’intera storia della pittura murale”99 Un altro interessante pensiero che ho deciso di inserire e che apre nuove letture intrepertative sull’ oggeto quadro in quanto di sua natura non effettivamente bidimensionale ma fisicamente tridimensionale, capovolgendo così la “classica“ lettura della figura del dipinto e andando verso una lettura generale dell’ arte del 900 con giuste considerazioni da me condivise sulla vita degli elementi che uno spazio puo contenere: “sto facendo una cosa tridimensionale, ma per fare qualcosa di bidimensionale dovevo lavorare direttamente sulla parete. Perchè il quadro era sempre realizzato come oggetto tridimensionale. C’erano sempre telaio, la tela, tutte cose che gli davano un’altra dimensione. Se non si pensa alla pittura e alla scultura ma si pensa all’arte come qualcosa di tridimensionale o bidimensionale o a una combinanza delle due, allora non è obbligatorio pensarla in termini di pittura o altro. Quindi questo è un modo di operare che per me è il piu bidimensionale possibile. ci avevo già riflettuto in precedenza e ricordo di averne prlato con Judd una volta e di avergli detto ‘be, sai, al diavolo”1010 ”la parete è intesa come spazio assoluto, come la pagina di un libro. La prima è pubbca la seconda privata. Linee, punti, figure eccetera, sono collocate nello spazio delle parole, sono vie che portano alla comprensione della posizione del punto. I punti sono verificati dale parole “1111 1 99 comunicato stampa “sol lewitt between the lines” (2017) Francesco Stocchi e Rem Koolhaasa Fondazione cariero. 1010 trascrizione di un intervista con Sol LeWitt di paul cummings-(15luglio1974)- per il California Oral History Project for the archives ok American Art, Smithsonian Institution, whashingron DC. 1111 Sol LeWitt “commentaries”, in Sol LeWitt, catalogo della mostra the Museum of Modern art New York (1978) veduta nella mostra a Fondazione Cariero dell’opera “wall drawing #123A” In linea di massima, la maggior parte dei lavori visti all’interno della mostra mi hanno interessato e sarebbero potuti essere citati nella nostra successione di immagini, ma una sala in particolare mi ha interessato la stanza 4, e l’opera al suo interno “wall drawing #123A”. Presentata con la fedele ricostruzione già presentata nella galleria in cui il lavoro è stato esposto per la prima volta, la Addison gallery of America art, phillips academy, andover, MA nel 1991. L’opera è visibile nel contesto in cui è nata; quindi composta dalla riproduzione degli effettivi muri neo classici e col proprio pavimento intarsiato in legno, ma in questo caso, all’interno, della bianca sala di Fondazione Carriero, e quindi dando ancor piu di quanto non lo desse già in origine, l’idea di cornice. Una “cornicie spaziale”, qui una scenografia “indispensabile” che spezza ma allo stesso tempo riempie la stanza. ricreando ulteriori luoghi prospettivamente alterati dando l’idea di dissolversi attraverso l’ombra che scompare dietro la parte principale, dove si trova, la vera e propria opera, che essendo composta da bianche linee tremolanti, su sfondo nero, va cosi a confondersi con le ombre. I curatori nel ricreare l’apposita situazione in cui era inserito il wall drawing preso in cosiderazione, hanno ricreato una situazione più ambigua di quanto probabilmente non lo fosse all’inizio. Vedendola mi sono domandato, prima di averlo letto sul comunicato stampa, se fosse stato pensato veramente così dall’artista o meno, chiedendomi se quella cornice spaziale servisse per aiutare a concentrarsi sul punto di fuga, l’effettiva opera di Sol LeWitt e quindi entrandoci o pure per uscirne. Pino Pinelli, arte disseminta, veduta del gesto dell’artista, settembre 2015 Nella ricerca svolta per definire i tratti di questa tesi, tutta incentrata sulla correlazione tra segno, spazio dell’opera d’arte ed i propri confini, non potevo distrarmi dal non considerare il prezioso contributo apportato dalla pittura analitica e nello specifico dall’opera di Pino Pinelli (Catania, 1938 – artista italiano). La disseminazione di grandi elementi che riproducono il gesto tipico del pittore intento a pennellare la superficie della tela, di uno spazio, di un ambiente, ricostruisce similarmente quella pennellata di Cézanne con la quale ho iniziato questa disamina. L’immagine di pennellata che diventa spazio e la conquista di esso, è esplicito 1 Continuando a parlare di pittura analitica mi verrebbe da citare anche un altro artista principale e significativo di questo movimento: Giorgio Griffa (Torino, 29 marzo 1936, artista italiano), che in vari testi e interviste ha parlato molto anche dell’argomento che stiamo prendendo in considerazione. In una intervista rilasciata a Roberto Mastroianni(un filosofo italiano) e Giulio Caresio( giornalista scientifico italiano) , nel volume “Giorgio Griffa - Il paradosso del più nel meno”, l’artsita rispondendo ad alcune domande formula una interressante riflessione sul nostro argomento: “RM-Il parallelo che facevi prima tra Giotto e Magritte, tra “questa non è una pipa” e i due angeli che srotolano il giudizio universale, assume ora una valore più potente. C’è sempre stata la squadratura. Quando uno impara a disegnare, la prima cosa che gli viene insegnata è squadrare il foglio, è interessante che non si possa disegnare ovunque. GG-noi siamo figli dell’altissima stagione della prospettiva, di qui viene la necessità di strutturare lo spazio. Credo che, dal momento in cui lo spazio che viviamo si dimostra incompatibile con il foglio squadrato, non si debba buttare via l’esperienza della squadratura ma si debba riviverla percorrendo tale spazio invece di rappresentarlo. Anche qui, in fin dei conti, risulterà che la rappresentazione è inevitabile. GC-lo spazio euclideo e le proiezioni della geometria descrittiva, su cui si basava la nostra concezione di spazio –così come la prosppettiva in pittura – è evidente che diventino inadeguati ad abbaracciare la nuova più ampia idea di spazio che viene delineata da una serie di rivoluzioni del pensiero scientifico degli ultimi 150 anni di storia. In matematica lo spazio si astrae e si generalizzza, diventa multi dimensionale, topologico, vettoriale, e in fisica con la relatività si curva e si lega inscindibilmente al tempo, con la meccanica quantistica si affaccia in campo complesso… sfugge dalla gabbia euclidea. Ecco allora che quella che era “la” rappresentazione dello spazio si ridimensiona a “una” rappresentazione dello spazio. Un fatto che segna una nuova liberà in cui riemergono altre rappresentazioni dello spazio, e non solo geometriche o matematiche. Penso per esempio a quella poetica e bellissima degli aborigeni australiani riportata a galla da Chatwin nelle vie dei canti: anche il suono puo “squadrare” lo spazio. RM- non solo squadriamo il foglio da disegno ma, come abbiamo detto prima, squadriamo con la sezione aurea lo spazio sacro, lo spazio pubblico. Fuor di metafora, squadriamo l’ambiente per farne un mondo.”1212 Come per gli artitsti già citati, e tanti che non hanno trovato visibilità in questa tesi, dall’inizio degli anni ‘70 ad oggi, il focus del loro fare è stato il prodigarsi spaziando con interventi e riflessioni simili all’approcio che anch’io sto cercando di approffondire giusto per fare degli esempi da la mostra di . “indagare sulla riflessione, dalla tela allo sazio, lo spazio nella tela, lo spazio come tela”, senza però cavalcare direttamente il concetto di scultura o installazione, mi ha portato a indagare all’interno dell’immaginario visivo che cerca di comprende un intero ambiente. Ovviamente concentrandomi prevalentemente sul mezzo pittorico che riesco a fare convivere con elementi altri, permettendomi così di risolvere questo assai più complesso problema. L’utilizzo di elementi cartacei, di feltri o semplicemente altri materiali, vengono assemblati come fossero molteplici pennellate impresse su di una tela, solo che quest’ulima superficie bi- dimensionale è sostituita da un ambiente circostritto, esso sia una stanza o un’area all’aperto. Quei singoli elementi che compongono nell’insieme l’intera opera e che diventano espressione per descrive un soggeto/concetto, vivono anche singolarmente e danno vita così ad infinita possibilità di soluzioni e composizioni, sia estetiche che concettuali, mantenedo spesso inalterato il pensiero. Ho inizato, quello che si puo definire il mio percorso, col fare pittura, cercando ed indagando, elementi iconici uniti a contesti che sentivo miei, sperimentando e giocando attraverso montagne di carte e tele. Continuando e andando in profondità, in quell’immaginario che mi stavo crostruendo, la superfice piatta della tela, perquanto ancora sia alla base della mia espressività, ed è spesso il mezzo che si avvicina di più al risultato che ho in testa, è stata sostituita anche da un utilizzo di materiali differenti, che vanno a sostituire I vari piani pittorici diventando così elmenti fisci simili a pennellate , chiazze di colore cariche di una forte evocazione a rimandi spesso vicini a situazioni che si trovonao in un contesto naturale di realà. 1 1212 Giorgio Griffa: il paradosso del più nel meno. Libro di Giulio Caresio, Martina Cor-gnati e Roberto Mastroianni. Grisaudo editore. Il lavoro su tela mi offre soluzioni legate alla sperimentazione cromatica, ottenuta attraverso l’uso di pennellate, segni e tratti differenti che creano all’interno del dipinto più piani ed aiutano a distinguere così gli elementi gli uni dagli altri. Come se quasi fossero disgiunti fra loro ma che si mantengo uniti attraverso lo spazio neutro della tela stessa. Facendo si che anche questi distaccati piani , pennellate abbiano una propria indole quasi già di se e per sè evocativa. Sento la necessità di variare e indagare per far scivolare la tensione visiva, dalla tela alla stanza. I vari elementi, apparentemente distanti fra loro, rimangono uniti da quello spazio neutro che ritrovo nei vuoti e nelle neutralità che corrono fra uno e l’altro, mantenendo inalterata però l’armonia compositiva. Osservando così l’ambientazione che si è venuto a creare, emerge quell’inesattezza formale che ho riscontrato all’inizio di questa tesi, in riferimento alle pennellate di Cezanne: quella “incompiuta ma piacevole visione poetica ovattata” di cui parla Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone in riferimento al notturno squaciato da un “indefinita luce”, a cui Italo Calvino in Lezioni Americane cerca di andare contro, ma che in fin dei conti porta ad una completezza ideologica. Andando ancor più in profondità, mi sembra molto importante cercare di trovare una struttura teorica ben solida corrispondente al mio lavoro, sfogliando ancora il libro “il paradosso del più e del meno”, leggendo determinate considerazioni sul modo di operare di Giorgio Griffa, mi sono sentito di prendere a braccietto alcune sue riflessioni! Anche se visivamente i miei lavori sono molto differenti ho trovato un legame forte al suo modo di pensare. Provando ma non riuscendo in questo momento a trovare parole migliori a queste per avviccinarmi il più possibile al interpretazione del mio ”mondo “ e aiutarvi e aiutarmi a comprendere, ho deciso di prendere in prestito anche queste parole: “ L'uomo è essenzialmente “costruttore di mondi“ che mediante complessi processi di maneggio di interpretazione delle cose è in grado di produrre una configurazione di sé e della realtà. L'umano e il reale emergono nello spazio e nel tempo attraverso quella che potremmo chiamare una configurazione estetica che è al contempo attività interpretativa, produttiva e ordinatrice. La realtà, infatti, è formata da elementi simbolico-linguistici e materiali integrati tra loro e messi in forma dalla rappresentazione produttiva dell’essere umano. Il mondo si presenta quindi come l'apertura dello spazio tempo in cui trovano collocazione le cose e gli uomini. Medesimo approccio, anche se con risultati visivi decisamente differenti, lo riscontriamo in momenti più vicini a noi. Richard Long ad esempio, ed altri protagonisti della LAND ART, nei loro interventi ambientali, cercano di costruire il proprio fare artistico in spazi aperti, immersi nella natura, modificando in alcuni casi i confini ed i perimetri, manifestando così un’azione decisamente innovativa. In definitiva risposte certe non ce ne sono. Soltanto ipotesi. Anche attraverso il confronto con docenti, artisti che ho conosciuto e compagni di corso, spesso questi quesiti restano sospesi in cerca di soluzione. Ciò non toglie che tutto ciò sia fortemente presente in tutto quello che faccio e produco. A volte da una semplice osservazione o da una comune riflessione o ancora, da una banale intuizione, nascono dei lavori, che hanno trovato la loro origine dalla ricerca di un materiale piuttosto che un altro, da un medium o da un mezzo espressivo, finiti e definitivi. Ovvio, che quasi per un “effetto domino”, altri quesiti si rincorrono: quello che solo all’apparenza può sembrare semplice e facile a volte è la soluzione ad una domanda che ritorna alla mente da tempo e che purtroppo, spesso, nasconde un dubbio lacerante, “quello che ho prodotto è arte o solo un feticcio?” Nonostante non esistano regole scritte di cosa sia arte e cosa non lo sia, il trabocchetto della facile intuizione porta me, ma sono convinto anche molti altri, a sconfinare nel banale. Non esiste una definizione vera e propria di cosa sia l’arte, quantomeno in quella attuale. Possiamo considerare arte tutto quello che abbiamo letto e studiato fino ad oggi, ma nel presente? Ed ancora, nel futuro? Personalmente una idea me la sono fatta. Partendo dal presupposto che ritengo necessaria una formazione tecnica, con delle competenze adeguate, il concetto di arte si risolve con questa mia personalissima affermazione: può essere arte tutto ciò che viene creato da un artista che adopera un linguaggio consono al proprio pensiero, che unisca l’aspetto etico a quello estetico e che prima di esso non sia già stato realizzato con medisimo fine e modalità. In definitiva, che cosa è lo spazio? Lo spazio è sostanzialmente un concetto. Astratto nella massima analisi. Si può misurare un elemento, un solido all'interno dello spazio ma non lo spazio stesso. Si può rappresentare un oggetto nello spazio, lo si può dipingere o scolpire mettendo in atto le teorie della prospettiva o dei volumi plastici ma non si po' misurare in termini numerici. Attraverso l'utilizzo degli assi cartesiani (H, L, P) si può definire anche un senso prospettico tendente alla 1 ricostruzione visiva di un elemento, ma lo spazio in senso lato è una pura e semplice invenzione. Questo quanto meno in pittura. La superfice di un'opera, fin dai tempi più antichi ha prodotto quesiti in cerca di soluzioni. Nel '300 le tavole venivano circoscritte nelle cornici che facevano parte dell'opera stessa. Negli anni sessanta del XX secolo, Mario Schifano produceva dipinti dalle cornici invase e prima di lui i futuristi ed altri (cornici dove la pittura continuava). Con Fontana, Castellani, Manzoni ect. Lo spazio viene ridefinito e elevato ad elemento pittorico-artistico. Per Duchamp, prima di loro, lo spazio assumeva termini di Contenitore di oggetti. Non sempre propriamente artistici. per molti artisti contemporanei il concetto di spazio sostituisce il luogo, superficie sul quale fare una azione pittorica, da qui le installazioni sito sitospecifiche e le performance. Lo spazio quindi è da sempre il punto focale della ricerca artistica, che sia essa pittorica, scultorea o di altra natura. Il mio lavoro in tutto ciò allo stato attuale dove si colloca? Lungi da me peccare di presunzione e voler competere con i grandi della storia, ma fin dall'inizio è stato il mio focus. Da sempre ho interpretato lo spazio pensandolo come cosa fisica, fin dai primi acerbi interventi pittorici/installativi fino alle più recenti produzioni multi mediatiche. La soluzione non certo la trovo in questa tesi e nello studio di ciò che è stato fatto, detto e scritto prima di me, ma il quesito rimane aperto. La montagna di Cèzanne è solo un pretesto. Lo è stata per l'autore, per altri dopo di lui e lo è per me in questa ricerca. E' un elemento scenografico, che di fatto blocca lo sguardo e gli impedisce di cavalcare l'idea di spazio. E' di fatto un sipario, un muro. Proprio perché Cézanne stesso non riusciva a trovare quell'unità di misura per calcolare lo spazio che ancora nessuno ha trovato. Lo scenario contemporaneo forse, ma personalmente non ho ne le competenze ne le conoscenze, attraverso la fisica quantistica arriverà un giorno a definire il concetto di spazio non solo in termini filosofici ma anche in termini numerici, scientifici e misurabili. Ora il mio impegno è quello di trovare soluzioni altre. Di tipo stilistico, esecutivo ed artistico. Dove per artistico non intendo esclusivamente estetico ma anche etico. Lo spazio è per me una palestra dove allenare il mio fare ed il mio pensiero. Cercando e probabilmente non trovando soluzioni risolutive. Mi piace solo immaginare forse di poter portare anche il mio piccolo contributo a questo cruciale argomento. L'opera di Cézanne, come già sottolineato è solo un punto di partenza. Avrei potuto scegliere una qualsiasi opere del passato. Il concetto di spazio non cambia. Ogni singola tela, ogni singola opera d’arte è di fatto ingabbiata in uno spazio e la presunzione degli artisti è da sempre stata quella di volerlo rappresentare. Lo spazio allora cos'è, come lo si può misurare? In centimetri o, in questa epoca, in byte? In frame o in pennellate? E una installazione, dove magari un elemento della natura esce dal proprio spazio naturale ed entra i un luogo inventato dall'uomo, è misurabile? Quel famoso segno, quella pennella da cui sono partito ed è nata questa riflessione, tutto il lavoro svolto in questa tesi, rimane un tassello iniziale al quale ancora migliaia di artisti fanno riferimento. Quel mattone è si oggetto ma è anche elemento. Anzi assume la valenza di soggetto. Infinitesimale punto di partenza per cercare di definire almeno in termini pittorici uno spazio. É un po' come il gioco degli specchi, di immagini riflesse all'infinito, ma come diceva e sosteneva Zola, “anche gli specchi, prima di riflettere, dovrebbero riflettere”. Quindi la conclusione alla quale mi avvicino è quella del fare, in maniera quasi istintiva, animale, senza dimenticare ciò che è stato, cercando di declinare un mio creare ma senza cercare soluzioni. Se esistono, queste verranno naturalmente, come quando Newton scoprì la forza di gravità da una semplice mela. Ringraziamenti: Alla fine di questa esperienza chiamata tesi , che rappresenta un po’ il primo traguardo all’interno di questo frizzante e intricato ma costruttivo percorso accademico, è obblicgo mantenrere un piccolo spazio per ringraziare le persone che piu mi sono state vicine e mi hanno aiutato in questo in questo percorso artistico. Prima di tutto , vorrei dedicare due parole alla mia famiglia e ha mio padre in particolare, in quanto fin da piccolissimo grazie al loro lavoro ho avuto il primo contatto e avvicinamento a quello che noi chiamaiamo modo dell’arte . se pur con visioni e gusti molto differenti è una persona con la quale ho un confronto quotidiano e sincero, e sicuramente l’infarinatura che ho da quando son piccolissimo mi ha aiutato non solo nella costrzione di questa tesi ma di tutto il mio percorso accademico in generale. Un ringraziamento particolare va ai miei relatori di tesi e alle loro differenti ma sempre utili visioni sul lavoro e tutto ciò che lo circonda, ma non solo indispensabile è stato l’aiuto di entrmabi nella mia esperienza generale dal primo all’ ultimo giorno dentro e fuori queste antiche aule . chi piu legato a d un primo inserimento e alle prime esperienze in certi contesti e situazioni chi ha una più concreta 1 -Jannis Kounellis, Pappagallo, 1967 -veduta mostra “PASCALI | SCIAMANO” a Fondazione cariero 2017 -veduta mostra “Il mare e il cielo”: Pino Pascali e Luigi Ghirri fondaazione Pino Pascali -Blinky Palermo. 1964. Untitled (Totem) -Pino Pinelli, arte disseminta, veduta del gesto dell’artista, settembre 2015 -Giorgio Griffa, una retrospettiva 1968-2014 – veduta della mostra presso il CAC, Ginevra 2015 1
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