Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Lo Stream of Consciousness nella letteratura modernista. Letteratura inglese A, Dispense di Letteratura Inglese

Appunti discorsivi e revisionati, quasi integralmente in italiano, tratti dal corso di letteratura inglese A della professoressa Teresa Prudente dell'Università degli Studi di Torino dell'anno accademico 2022-2023. Ill corso ha per oggetto le rappresentazione dello Stream of Consciousness nella letteratura modernista. Ad una parte introduttiva dedicata al contesto storico e culturale in cui la corrente modernista inglese nasce e ad una contestualizzazione sulla diffusione delle teorie psicanalitiche in Inghilterra, segue una parte in cui vengono analizzate le diverse tecniche di rappresentazione del flusso di coscienza. Segue l'analisi testuale di rappresentazioni del flusso di coscienza in contesti narrativi di prima e terza persona (V. Woolf, Modern Fiction e The Mark on the Wall; J. Joyce, The Sister e Penelope (incipit, dall'Ulysses); K. Mansfield, The Canary e A Cup of Tea; V. Woolf, Mrs Dalloway). In conclusione, una parte dedicata alla psicanalisi laciniata e scienze cognitive

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 23/01/2024

Alessandro_Antonio_Vercelli
Alessandro_Antonio_Vercelli 🇮🇹

4.7

(19)

35 documenti

1 / 56

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Lo Stream of Consciousness nella letteratura modernista. Letteratura inglese A e più Dispense in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Letteratura inglese A Professoressa Teresa Prudente Indice INTRODUZIONE AL CORSO ......................................................................................................................... 1 MODERNISMO. IL CONTESTO STORICO E CULTURALE ............................................................................... 2 Psychology ............................................................................................................................................................. 3 V. Woolf, Modern Fiction ...................................................................................................................................... 5 MODERNISMO. LE TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE ............................................................................. 11 D. Cohn, Transparent Minds ............................................................................................................................... 12 R. Humphrey, Stream oof Consciousness in the Modern Novel .......................................................................... 14 APPROFONDIMENTO: LA FIGURA DELLA FLANEUSE NELLA LETTERATUURA ......................................... 17 NARRAZIONI IN PRIMA PERSONA ............................................................................................................. 19 V. Woolf, The Mark on the Wall .......................................................................................................................... 19 J. Joyce, The Sisters ............................................................................................................................................. 29 J. Joyce, Ulysses, Penelope ................................................................................................................................. 36 K. Mansfield, The Canary .................................................................................................................................... 41 NARRAZIONI IN TERZA PERSONA ............................................................................................................ 43 K. Mansfield, A Cup of Tea ................................................................................................................................. 43 V. Woolf, Mrs. Dalloway ..................................................................................................................................... 46 IL PENSIERO DI LACAN E LE SCIENZE COGNITIVE SULLA COSCIENZA ..................................................... 50 Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 1 giovedì 16 febbraio 2023 Introduzione al corso Chiave di accesso a moodle: Modernism2023. Venerdì 24 febbraio lezione della dottoressa Borla sulla figura della flaneuse (donna che cammina per la città ricavando degli stimoli di pensiero e di espressione artistica). Lo studio è partito dalla figura della falneuse nel romanzo Misses Dalloway. 6 marzo alle 18.00 alla mediateca RAI: proiezione di un programma televisivo del 1974 in cui Lalla Romano viene intervistata a riguardo di Virginia Wolf. All’esame bisogna portare i testi primari (anche in formato digitale va bene). Il programma è uguale per frequentanti e non. Tutto il materiale è disponibile su Moodle. Tutto il materiale primario va affrontato in lingua originale. Nell’esame è sempre prevista la lettura e il commento di una parte del testo in lingua originale. Le lezioni sono in inglese. L’esame può essere dato in inglese o in italiano. La valuta- zione è espressa sul contenuto del colloquio e non sulla lingua. C’è la possibilità di consegnare una relazione almeno 7 giorni prima del giorno dell’esame. Se mandata per tempo, la relazione viene letta, corretta e rispedita indietro dalla professoressa. La relazione non toglie parte d’esame. Alla relazione viene però dato un voto. Quel voto è considerato come voto di partenza. L’esame si completa all’orale con una domanda relativa ad una parte di programma non esplorato dalla relazione. È richiesto un academic paper come formato testuale: scrittura argomentativa. Il modello quanto ad argomentazione è quello della tesi ridotto in un’estensione ragionevole (6/7-10 pagine). Si può approfondire qualcosa che interessa del corso. Non deve essere un riassunto di quanto spiegato in aula. La scrittura argomentativa è la scrittura che fonda tutto quello che dice. La recensione è il genere dell’opinione. Il testo accademico è quello dell’argomentazione. Ogni idea va provata con risultanze sul testo primario di cui ci si occupa e poi sulla bibliografia. Devono essere inserite note puntuali a tutto quello che si cita. Va inserita una bibliografica al fondo. Il paper può essere in inglese o in italiano. Se scritto in inglese si devono tenere tutte le linee dell’inglese accademico (non colloquia- lismi, non forme contratte etc.). Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 4 Dopo la scrittura di The Lighthouse la Woolf non ne fu più ossessionata. Quindi questo passaggio biografico permette di mostrare che Virginia Woolf paragona la propria scrittura ad un processo di terapia psicanalitica. La mente è rappresentata da Virginia Woolf come qualcosa di flessibile. Le stringenti categorie freudiane sono problematiche per Virginia Wolf. Quelle categorie così stringenti per la Wolf reprimevano la creatività. Freud è fondamentale per la sperimentazione modernista. Senza Freud il modernismo non avrebbe potuto nemmeno im- maginare di rappresentare il subconscio. Ci sono però delle divergenze tra modernisti e Freud. L’approccio di Freud è psicopatologico. Nei testi modernisti non è mai così. In Mrs. Dalloway abbiamo un personaggio che soffre di malattia mentale; alla fine si suicida; prima viene vistato da diversi dottori. Il personaggio di Septimus è rappresentato come malato mentalmente. Septimus è sicuramente un malato mentale: sente le voci (elemento autobiografico di Virginia Wolf). Questo personaggio viene curato da due medici, un generale e uno psichiatra. Il loro metodo di cura è fortemente criticato. Le visioni di Septimus gli forniscono una percezione maggiore di quella dei personaggi sani. e visioni e le allucinazioni gli forniscono delle sensazioni che ai personaggi normali sono precluse. Lui, per esempio, ha fortemente potenziato l’apparato fonico della lingua. Lui acquista abilità molto superiore alla media a livello linguistico. Gli stati di coscienza di questo personaggio vanno al di là di quelli degli altri personaggi. Se il controllo razionale sulla propria persona e sulla propria mente viene a mancare (come in Septimus), oltre ad essere una tragedia, questo permette di avere rivelazione di nuovi significati. L’ap- proccio solitamente psicopatologico di Freud è problematico per il modernismo. È una discussione aperta. Non ci sarebbe stato il tentativo di esplorazione da parte di Woolf e Joyce senza Freud. Joyce in Finnegan’s wake esplora il linguaggio del sogno. Senza Freud questi esperimenti non ci sarebbero stati di certo. Ad essere proble- matico per i modernisti è la creazione di categorie e i rapporti causa-effetto che Freud stabiliva nei suoi saggi. Questo meccanicismo è per noi un po’ semplicistico e falso. Al tempo però la scienza era appena nata. Già al tempo però gli scrittori modernisti hanno un’idea così complessa di ciò che accade nella nostra mente che la descrizione clinica di Freud non è abbastanza per loro. Freud, figlio del positivismo austriaco, pensa alla psica- nalisi come una scienza esatta, una scienza rigida che si occupi dell’anima. I modernisti hanno invece una con- cezione più complessa, più idealistica se vogliamo, dell’interiorità dell’uomo. Non è comunque un caso, ad esempio, che V. Woolf abbia sempre rifiutato di sottoporsi ad analisi. Si dice anche che lei abbia sempre rifiutato la terapia per paura che essa potesse prosciugare la sua vena creativa che forse gli derivava anche dalla forte instabilità che abitava la sua interiorità. In Gran Bretagna le teorie di Freud furono diffuse nella forma che a quelle teorie diede la dottoressa Melanie Kline. Questa dottoressa aveva deformato in parte le teorie orientandole maggiormente verso la vita del bambino. Freud non ha mai lavorato sui bambini e con i bambini. Noi colleghiamo Freud allo sviluppo del bambino e al complesso di Edipo. Questi fatti avvengono nei primi anni di vita e sono fuori dal nostro controllo. Freud era arrivato a quelle teorie attraverso l’analisi di pazienti adulti. L’analista austriaca che opera in Gran Bretagna Melanie Kline concentra il proprio lavoro di analisi proprio sui bambini. Questo passo non era stato compiuto da Freud. lei propone anche una nuova teoria sul super-io. Secondo Freud il super-io si sviluppa con il tempo. Secondo la Kline il super-io nasce invece con noi. Le teorie di Kline si trovano molto in Virginia Woolf. Kline osserva nei bambini un conflitto tra gli istinti e l’imposizione della società a reprimere questi istinti. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 5 V. Woolf, Modern Fiction Passiamo ora alla lettura del testo Modern Fiction di Virginia Woolf (1919). Noi conosciamo il modernismo come un movimento letterario sperimentale. Il saggio di Lewis mostra come l’idea di rappresentazione sia presente già nella nozione aristotelica di mimesis. L’arte rappresenta la realtà. Con la sperimentazione del secolo XX la rappresentazione è stata vista come estrema nel senso di scoraggiare lo spettatore o il lettore. L’arte visuale diventa astratta (si pensi al futurismo in Italia). in letteratura la mimesis si è rivolta verso l’interno. Questo è in parte vero nel senso che effettivamente viene rappresentata la vita interiore. Non è però vero se si pensa a questa affermazione come descrittiva di una letteratura solipsistica. L’idea della letteratura modernista come letteratura dell’interiorità se lo si intende come il famoso ripiegamento su se stessi. Non è l’io che parla dell’io, o meglio, non è tanto questo. Ciò di cui noi facciamo esperienza nella letteratura modernista è comunque realtà esperita da un soggetto. Il lettore che legge letteratura modernista si accorge che non ha di fronte una coscienza che riflette solo su se stessa. In realtà noi abbiamo della realtà informazioni abbondanti. Non sono però informazioni oggettive tratte dall’esterno, dalla terza persona. Di norma, sono infor- mazioni che noi apprendiamo per bocca o nei pensieri dei personaggi. Noi conosciamo la realtà mediata dalla percezione del personaggio. Quindi di fatto non sono solo pensieri ma sono percezioni. Sono percezioni che generano pensieri. Questo si ricollega al legame profondo tra corpo e mente di cui si parlava prima. La realtà, quindi, non è più una sola e stabile. Il tentativo è di riprodurre le modalità di percezione della realtà da parte di ciascun soggetto. I pensieri sono volontari e involontari insieme. Ci sono pensieri che seguono al pensiero razionale. Abbiamo però anche istinti e percezioni involontarie che trovano fondamento nelle teorie di Freud. L’articolo di Virginia Woolf è intitolato Modern Fiction perché qui lei parlava della letteratura contempora- nea. I modernisti non si chiamavano loro stessi modernisti, ovviamente. Virginia Woolf aveva scritto due ro- manzi ritenuti non sperimentali come i successivi. Il primo romanzo sperimentale di Woolf è Jacob’s room (1922). Quando la Woolf scrive nel 1919 Modern Fiction non ha ancora scritto romanzi sperimentali ma è una scrittrice ordinaria, ancora all’interno della norma. La Woolf qui dice che la fiction deve cambiare. I modernisti definiscono la realtà in maniera differente da come la realtà era definita nel secolo XIX. Nabo- chov, scrittore successivo, disse che realtà è l’unica parola che va sempre messa tra virgolette. Woolf qui, in questo articolo, dice che per loro la realtà è ciò che accade nella mente, è la percezione che la mente dà della realtà. La tradizione precedente viene definita materialista. Lo scopo dei modernisti non è di scartare la realtà. Gli scrittori materialisti scrivono a riguardo di cose inutili. Per Virginia Woolf la scrittura deve esprimere ciò che è vero e ciò che permane, che è eterno. Questo, secondo la Woolf non era ciò che era importante per gli scrittori precedenti, per i quali invece è importante la realtà come appare e quindi è importante l’esteriorità della realtà che per la Woolf è ingannevole e soprattutto transitoria, non permanente. Gli scrittori precedenti – definiti ma- terialisti – rappresentano la superficie del reale senza andare alla vera sua essenza profonda. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 6 Le tre espressioni chiave sono «materialist writers», «life itself» e «spiritual writers». La Woolf teorizza una contrapposizione tra scrittori materialisti e spiritualisti e sul loro modo di catturare la vita. Ciò che è fondamen- tale per i modernisti è una vaghezza volontaria nella quale emerge la vita vera («the life itself») o la cosa in sé («the thing itself»). Secondo la Woolf i materialisti intendono descrivere la vita reale dall’esterno attraverso il punto di vista di un narratore. Uno scrittore modernista ricostruisce una scena rappresentando ciò che accade nelle diverse menti di chi partecipa o esperisce la scena. La rappresentazione non ha per oggetto la mente ma l’ambiente circostante come percepito dalle singole menti. È una questione di punto di vista diverso sul mondo La Woolf dice poi che la prosa che ha successo in quel momento non è capace di afferrare la vita e riprodurla. Il più delle volte essa manca il bersaglio e non riesce a rappresentare la vita. La realtà è cambiata, si muove e non sta più negli abiti che noi le forniamo. Virginia Woolf dice che i tempi sono cambiati. Il panorama è quello dell’industrializzazione, della trasformazione urbana, del post-Prima guerra mondiale. La letteratura deve occu- parsi della vita. La Woolf cerca poi di spiegare rendendo più vago e definisce la vita spirito, verità, realtà. la definizione vera viene evitata ma vengono chiamate in causa le categorie filosofiche principali. la realtà è cam- biata, gli abiti non le si attagliano più. Gli abiti di cui si parla sono le convenzioni del romanzo. Il romanzo è storicamente connesso al racconto e alla rappresentazione della realtà. La realtà però è cambiata e allora non è più rappresentabile in quella forma ormai vecchia, obsoleta. Ciò che conta sono «the vision in our minds» e non «our minds» stessa. venerdì 17 febbraio 2023 Abbiamo visto le influenze culturali (articolo Lewis) che hanno agito nei confronti della rappresentazione modernista del subconscio. La psicologia non è sufficiente per spiegare la modalità di rappresentazione del subconscio da parte degli scrittori modernisti. Per questo abbiamo richiamato anche la fisiognomica e la frenologia. Si sono inoltre richia- mate le affermazioni di William James sulla rappresentazione del pensiero umano inteso come pensiero volon- tario. In relazione a ciò va riconosciuta a Freud una grande importanza per la rappresentazione modernista dello stream of consciusness come rappresentazione anche della percezione involontaria. A tal proposito si confronti il pdf di Psycoanalysis in Britain. Melanie Klein importò le pratiche freudiane a Londra ma le estese anche all’analisi psicologica dei bambini. La scrittura modernista è collegata anche con la scrittura della moderna metropoli in costruzione, ha a che fare con il passaggio dalla campagna alla città e con il divenire di ciò che noi intendiamo per città o metropoli. Tutto ciò era nuovo al tempo ma per noi è scontato. Il romanzo, fin dalla sua nascita è stato il genere che ha dipinto realisticamente la vita. Il romanzo è da sempre il genere del realistico. La poesia era vista come più legata all’espressione personale del soggetto (poesia lirica). Il romanzo è figlio della borghesia. Il romanzo, quindi, è tradizionalmente e stereotipicamente il genere in cui la realtà è descritta in modo oggettivo. La prosa di Woolf può essere definita poetic prose, prosa poetica. I generi quindi vengono mescolai. La prosa di Woolf ha molte delle caratteristiche della poesia (ad esempio le figure retoriche, la qualità fonosimbolica del testo ed altre). L’Ulysses è una prosa che si contamina con il genere epico. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 9 La scrittura deve concentrarsi sulla riproduzione delle modalità attraverso le quali il soggetto percepisce. Se la percezione è caos, la scrittura deve riprodurre quel caos. La scrittura non deve riprodurre un controllo che la nostra percezione non possiede. L’obiezione è ovviamente che ogni atto linguistico è un atto di sistemazione dell’esperienza in termini di organizzazione. Questa è la grande sfida che i modernisti colgono: proporre meno sovrastrutture, meno ordine rispetto a prima. La narrazione situa in automatico la registrazione della vicenda in una cornice temporale. Quando si narra in automatico si pone un tempo verbale. La narrazione ha per tempo prediletto il past simple. Il problema è che il presente del pensiero del personaggio si situa in un cornice narrativa al tempo passato. Si noti che quando si parla della mente si usano spesso termini lessicali molto fisici come ‘incidere’. In particolare, la Woolf cita il capitolo Ades dell’Ulysses di Joyce, ambientato nel cimitero. Woolf dice che «Joyce is spiritual». Qui la Woolf anticipa l’estetica tutta successiva a lei. Joyce è spirituale in contrapposizione agli altri scrittori che sono materialisti. Joyce vuole ad ogni costo rivelare il balenare di quella fiamma interiore (innermost) che fa balenare i propri messaggi attraverso il cervello. Il focus di Joyce non è la mente o l’interiorità. L’immagine che usa la Woolf per descrivere questo focus è dinamica, è quella della fiammella più interiore. Certo quindi Joyce si interessa all’interno rispetto agli scrittori materialisti. Questa fiammella interna però spe- disce i propri messaggi attraverso il cervello. Non è la mente! Brain è proprio l’elemento biologico. Woolf qui parla di brain e non di mind. Joyce è capace di eliminare dalla narrazione tutto il superfluo che prima lei aveva individuato. Toglie la coerenza, le indicazioni e tutto ciò che da generazioni veniva ritenuto necessario per la comprensione del lettore quando il lettrore viene a toccare ciò che non può né toccare né vedere. La willing suspenction of disbelief proviene da Coleridge. Molte cose derivano da Coleridge che è ritenuto quasi un precursore del subconscio. C’è una sorta di patto dato per scontato tra gli autori ed i lettori o gli spetta- tori. È uno degli aspetti fondamentali per l’estetica del XX secolo. Il lettore sospende volontariamente l’incre- dulità. In generi come la fantascienza, siamo maggiormente consapevoli di star volontariamente sospendendo la nostra incredulità. Per goderci quell’esperienza noi dobbiamo credere a quelle cose anche se sappiamo che non sono vere. Noi sappiamo anche che Mrs. Dalloway non esiste ma noi le crediamo in quanto persona. Coleridge aveva già teorizzato che ogni volta che noi ci relazioniamo con un’opera d’arte sospendiamo volontariamente la nostra incredulità. La Woolf fa riferimento a Coleridge in questo passaggio del suo saggio anche se non lo cita esplicitamente. Il mondo del romanzo non può essere né toccato né visto. Finora i narratori si sono concentrati sulla realtà esterna perché essa avrebbe dovuto garantire la credibilità. Per la coerenza allo stesso modo si sono basati su determinati elementi. È come se il narratore costruendo una casa volesse farci credere che quindi anche per forza in quella casa ci vive una persona. Per Woolf invece il focus è la persona stessa, il mondo visto attra- verso la sua sensibilità, la casa come da lui percepita e non la casa a prescindere da lui. Sono due punti di osservazione differenti che stravolgono sostanzialmente le prerogative dell’opera. Nel seguito del saggio di Woolf la psicologia è esplicitamente menzionata. In realtà si parla sia di psicologia che di psicanalisi. Siamo a pagina 162. A questo punto la Woolf ci parla dei narratori russi. La Woolf dedica un intero saggio agli scrittori russi. In questo saggio sui Russi è presente una riflessione molto interessante sulla traduzione (cfr.). Torniamo comunque alla citazione dei russi, in particolare Tchehov all’interno del nostro Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 10 saggio Modern Fiction. Leggendo un romanzo di Tchehov il lettore non trova quelle indicazioni a cui è abituato. La questione è di abituare gli occhi alla penombra per orientarsi in un romanzo di quel genere. La narrazione non è illuminata in maniera chiara e nitida. Il lettore deve orientarsi e discernere una cosa dall’altra. Il ruolo del lettore in questo genere di narrazione è molto più grande rispetto a quello nelle narrazioni tradizionali. Il lettore non è più guidato dal narratore nell’individuazione degli elementi importanti per la narrazione. la realtà è esperita attraverso il soggetto. Più il narratore è presente e meno il lettore ha spazio di azione. Bachtin in uno studio su Dostoevskij dice che il narratore lì non è monologico ma è dialogico, nel senso che non c’è il narratore che spiega le cose al lettore. Il narratore, quindi, non guida l’interpretazione degli eventi da parte del lettore in una certa direzione. Il narratore è invece dialogico, composto da più punti di vista appartenenti ai diversi personaggi che si trovano così a dialogare idealmente nella narrazione. Viene proposto quindi sostanzialmente una modifica del ruolo del narratore all’interno della narrazione. Que- sto però impone anche di uscire dagli schemi stagni dei generi comico e tragico. Per quanto riguarda gli scrittori russi si deve parlare anche dell’inconcludenza della prosa di molti di questi scrittori. Tradizionalmente le cose scritte devono avere un inizio, uno sviluppo ed una fine. Tradizionalmente tutti i personaggi devono avere una risoluzione. La Woolf ritrova nell’inconclusivness dei racconti russi l’incon- cludenza della vita stessa. Nella vita i conti non tornano mai fino in fondo. Anche alla Woolf sarà rimproverata l’inconcludenza delle narrazioni. Il lettore delle short stories dei Russi non finisce di leggere la storia con risposte. La situazione finale è quella di chi ha nuove domande che inizia a risuonare. Il lettore vuole consolazione, semplificazione della vita. Se però si vuole cattura la vita così com’è davvero, quelle aspettative non possono che essere deluse. Secondo la Woolf, lo sconcerto con cui il lettore rimane dopo aver letto storie come quelle dei Russi è buon segno perché vuol dire che si è stati molto più aderenti alla rappresentazione della realtà rispetto alle altre storie della tradizione. Gli eventi in questo tipo di narrazione sono giustapposti e non messi in relazione da rapporti di causa-effetto. Questo è positivo secondo il punto di vista di Woolf. Per la Woolf, il romanzo e la rappresentazione al suo interno non devono escludere nulla. Non esiste una materia adeguata da rappresentare nel romanzo perché tutto è materia che deve essere rappresentata e narrata dal romanzo. L’idea è che la narrazione e la finzione deve essere rinnovata. Non è un modo di distruggere il romanzo. Qui si sta tentando non di rifiutare la rappresentazione della realtà ma si sta cercando in verità di ridefinire la realtà. Auerbach in Mimesis cerca di individuare la nozione di realismo in tutte le epoche della tradizione lette- raria occidentale. L’idea di Auerbach è che la realtà che emerge in ogni epoca è diversa. Mimesis è un saggio alla base di tanta critica letteraria del Novecento anche se è stato spesso criticato per mancanza di sistematicità. È una lettura piuttosto impressionistica. Il metodo adottato è filologico in realtà quindi è un’opera valida. Auer- bach lì parte da Omero e arriva fino a Virginia Woolf. Auerbach definisce il punto di vista in To the Lighthouse come un punto di vista misto che trova la convergenza del narratore in terza persona e il personaggio in prima. È però una prospettiva paradossale perché sembra riuscire guardare dentro la coscienza del personaggio ma di Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 11 non vedere tutto dentro la coscienza. Auerbach lo definisce come una sorta di demone, uno spirito sospeso che vede più del solito nella coscienza di un altro ma non tutto. Questo ha molto a che fare con le teorizzazione delle tecniche della rappresentazione della coscienza. Modernismo. Le tecniche di rappresentazione Passiamo ora al punto 1.2. The techniques. Qui arriviamo al punto sulle tecniche di rappresentazione della coscienza. Stream of consciousness non definisce la tecnica ma solo il contenuto della narrazione. Lo si vede bene nella prefazione del testo del 1954 in bibliografia.a giovedì 23 febbraio 2023 C’è molta confusione sulla definizione di Stream of consciousness. Stream of consciousness è un’etichetta coniata in ambito psicologico dal filologo e psicologo Wiliam James. Non è quindi un’etichetta che nasce in sede letteraria. Stream of consciousness e inner monologue non sono la stessa cosa. Stream of consciousness si riferisce al contenuto della narrazione mentre inner monologue si riferisce alla tecnica letteraria. Quando noi parliamo di romanzi del flusso di coscienza pensiamo a qualcosa di simile all’episodio finale dell’Ulysses joiceano. Svevo in Italia scrive romanzi di flusso di coscienza. Joyce e Svevo furono amici siccome Joyce insegnava inglese a Svevo. La coscienza di Zeno però non è scritto come il capitolo Penelope dell’Ulysses. La coscienza è scritta sì in prima persona ma è pensata come forma scritta, è scritta in forma di diario. In Penelope invece noi siamo direttamente connessi con la mente del personaggio. Se si guarda poi all’Ulysses nella sua interezza, si capisce che quell’opera è quanto mai distante dalla Coscienza. Nell’Ulysses non siamo sempre in prima persona. Pene- lope è scritto in prima persona ma tutto il resto del libro no. Penelope però è raccontato non in forma organizzata, ma come resa immediata della percezione del mondo sulla mente del personaggio. Ci sono molte tecniche di resa dello stream of conscousness. C’è innanzitutto la narrazione in prima o in terza persona, c’è il pensiero in tempo reale, c’è la narrazione retrospettiva, c’è la modalità del diario (noi leggiamo ciò che il personaggio – narratore intradiegetico – ha organizzato in forma scritta). Il flusso di coscienza non è una tecnica letteraria. Flusso di coscienza come etichetta non ci dice niente a riguardo delle modalità di narrazione. à cfr. la definizione di flusso di coscienza data da Robert Humphrey in Stream of Conscousness in the Modern Novel, 1959. Noi abbiamo molti romanzi che hanno a che fare con ciò che sta nella mente dei personaggi. Importante è distinguere il flusso di coscienza dal monologo interiore. Humphrey propone di distinguere il flusso di coscienza dal romanzo psicologico. Ci sono molti romanzi che sono psicologici perché ci rendono la psiche del personag- gio. La novità dei romanzi modernisti, però, sta nel fatto che nel loro modo di rendere i processi della coscienza hanno cercato di includere anche tutto ciò che sta al di là del nostro pensare razionalmente e lucidamente. E qui entrano in gioco quelli che vengono definiti come stati preverbali. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 14 Cohn riporta un pezzo di approccio giornalistico di Capote da In the Cold Blood. Qui non siamo in un contesto di finzione. Capote non può aver visto nella mente e nei pensieri degli assassini che ha intervistato. Andiamo ora avanti in questo saggio. Qui viene citata Kate Hamburger, The Logic of Literature. Per la Ham- burger la rappresentazione della vita interiore dei personaggi è il nodo che al tempo stesso posiziona la narrazione finzionale al di fuori della realtà ed al tempo stesso costruisce una sembianza di un’altra realtà non reale. La definizione di scrittura di immaginazione nella Poetica di Aristotele è data dalla distinzione tra storia e finzione, tra storia e racconto. La mimesi è l’imitazione delle azioni umane. L’interpretazione che tutto questo filone di studi di linguistica stilistica arriva ad una concezione dell’opera d’arte che è la stessa del decostruzio- nismo: l’opera d’arte non è la copia della realtà ma è l’atto generativo di una nuova e diversa realtà. Ciò porta quindi ad una reinterpretazione del concetto aristotelico di mimesis. La mimesis non è imitazione ma è genera- zione di una nuova realtà disconnessa dal mondo reale per somiglianza. Con la lingua letteraria noi abbiamo un impiego della lingua che ammette contraddizioni, come la compre- senza temporale di passato e presente. Questa contraddizione prende origine proprio dal fatto che la scrittura d’immaginazione crea un nuovo mondo nel quale le menti dei personaggi sono trasparenti, la qual cosa non potrebbe succedere nel mondo reale. L’uso ordinario della lingua è orientato alla trasmissione di un messaggio. L’uso della lingua a fini artistici è invece un uso performativo. È questo uso performativo della lingua che per- mette la creazione di nuove realtà. Il genere della narrazione d’immaginazione è differente dalla produzione artistica di poesia, teatro e cinema. Il contesto narrativo permette di avere la pretesa di un narratore che può guardare nelle menti dei suoi personaggi. Quando noi leggiamo un racconto fantascientifico, questo ci è reso ancor maggiormente evidente. Quando noi leggiamo un racconto o un romanzo non ci chiediamo come sia possibile che il narratore legga la mente dei personaggi, cosa che non è possibile nella realtà. In realtà anche questa è una situazione fantascientifica, quella di una voce narrante in terza persona che può vedere nella mente dei personaggi. Cohn sottolinea proprio il fatto che questa circostanza nella vita reale non si può mai avere. Ciò che è fondamentale per Cohn è la cornice narrativa. È chiaro che nel teatro il personaggio fa il monologo ma il monologo è parlato, è linguaggio, è forma. Quello che noi possiamo fare con l’episodio di Penelope ed il focus sui livelli preverbali è di sentire i pensieri. È ovviamente fittizio anche il fatto di articolarli in un linguaggio, se sono preverbali. Comunque, tutto questo è precluso al teatro e ad altre forme di rappresentazione artistica. Lo stesso accade nel cinema. R. Humphrey, Stream oof Consciousness in the Modern Novel Prendiamo ora il saggio di Humphrey sullo Stream of consciousness. Leggiamo da pagina 1. Non bisogna pensare che lo stream of consciousness sia la coscienza che riflette su se stessa. Lo scrittore ha bisogno di descrivere delle cose e di narrare gli sviluppi delle cose del romanzo. Lo stream of consciousness è quindi la rappresentazione di come la realtà esterna viene processata dalla mente. Coscienza non deve essere confusa con parole come intelligenza o memoria che implicano un’attività della mente più ristretta. Coscienza indica l’intera area dell’attenzione mentale. I romanzi del flusso di coscienza si Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 15 concentrano quindi sull’intera area dell’attenzione mentale, dalla precoscienza all’elaborazione intelligente della mente. Qui Humphrey intende fare disambiguazione terminologica e quindi questo passaggio va letto con molta attenzione. È interessante pensare che per noi, in italiano, coscienza è sia conscousness sia conscience (etica). I romanzi psicologici hanno per focus la consapevolezza razionale, comunicabile. I romanzi psicologici quindi si occupano dei contenuti mentali come pensieri e come consapevolezza. La consapevolezza è la parte che si vede dell’icebearg, enormemente più piccola rispetto alla parte che non si vede (inconscio). I romanzi psicologici appartengono al premodernismo e quindi precedono la rivoluzione freudiana. Humphrey parla poi di coscienza discorsiva («speech level») e prediscorsiva («prespeech level»). Il flusso di coscienza si concentra in particolar modo sul livello prediscorsivo della coscienza. Concentrarsi sul livello di- scorsivo vuol dire concentrarsi su un pensiero già ordinato e organizzato dal linguaggio. Ma questo appartiene ad un livello di elaborazione successivoo rispetto al livello prediscorsivo. Un grosso problema di questi studi, essendo a cavallo tra diversi ambiti di studio (epistemologia, psicologia, psicologia clinica, filosofia etc), è la disambiguazione terminologica. Humphrey sottolinea poi che La recherche di Proust non è un romanzo di flusso di coscienza. Humphrey porta poi gli esempi di Ulysses, Mrs. Dalloway, To the Lighthouse e The Sound and the Fury. Humphrey si sofferma poi a spiegare che cosa William James intendesse quando coniava l’etichetta “stream of consciousness”. L’espressione monologue interieur proviene da Du Jarden, tradotta poi in inglese con inner monologue. Humphrey cerca di definire la coscienza basandosi su ciò che i romanzi di flusso di coscienza hanno messo in scena. Egli dice che la definizione di coscienza come rappresentata letterariamente non viene direttamente dalla filosofia e dalla psicologia. Lui cerca di scomporre il concetto di coscienza perché noi possiamo capire cos’è la coscienza in letteratura solo osservando la diversa rappresentazione che di essa danno autori diversi. Humphrey prende in analisi in particolare la rappresentazione che della coscienza fanno Joyce e Woolf. La metafora spaziale della camera della mente, della stanza della mente (chamber of the mind, cathedral of the mind) è un elemento che ricorre continuamente in V. Woolf. La metafora di questo genere è importante perché rende l’idea di qualcosa di privato, di circoscritto, di contenuto all’interno di un periodo. Spesso si parla anche della mente come un labirinto, immagine che rende l’idea della complessità. La rappresentazione della vita mentale fatta da questi romanzieri è maggiormente inclusiva rispetto alla rap- presentazione che ne dà la psicologia. Essa include infatti anche visioni, intuizioni, sensazioni e altri elementi. Per V. Woolf l’interesse della rappresentazione letteraria sta nella rappresentazione della realtà filtrata dalla mente. Humphrey parla poi di Dorothy Richardson. Questa scrittrice ha scritto diversi romanzi semiautobiografici. Lei produsse i primi romanzi di flusso di coscienza in inglese. È considerata il primo esempio di romanzo di flusso di coscienza. I romanzi di Dorothy Richardson sono sì complessi e pesanti ma anche più semplici da capire per la modalità semiautobiografica. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 16 Woolf nel saggio Room of one’s own ragiona sul fatto che una donna che voglia far letteratura non ha una tradizione alle spalle. Tutti i modelli letterari sono modelli maschili. La tradizione è fatta di romanzieri maschi. Lei dice che la tradizione non viene usata dalle scrittrici perché queste hanno bisogno di trovare il loro modo di fare letteratura. Le donne non possono fare letteratura con la tradizione maschile perché questo imporrebbe loro di parlare con le parole di uomini. Il saggio di Woolf concludeva sul fatto che il buono scrittore doveva avere una mente androgina, che sapesse mettere insieme il pensiero maschile e quello femminile. Questo dava anche molto fastidio al femminismo degli anni Settanta del secolo scorso. Ciò che Woolf lamentava per le donne, vale anche per gli scrittori non europei o statunitensi, per la comunità gay e per coloro che sono percepiti come “differenti” e che effettivamente avrebbero bisogno di trovare una tradizione e una voce del tutto personale e originale, senza essere costretti a parlare con le parole di altri (e spesso proprio di coloro ad opera dei quali subiscono la discriminazione). Ritorna sempre in Woolf l’elemento dell’ineffabilità. Abbiamo già visto che la Banfield aveva sostenuto che la mente non fosse mai del tutto chiara e comprensibile. Humphrey mette l’accento sul fatto che la scrittura di Woolf mira sempre alla scoperta di una verità ma alla fine si risolve sempre nella dichiarazione dell’inafferrabi- lità e dell’ineffabilità della verità. Humphrey lega maggiormente la coscienza di Woolf alla verità visto come qualcosa a cui si tende sempre ma che non si raggiunge mai davvero e che non si è mai in grado di esprimere del tutto. Humphrey individua nelle opere di Woolf la volontà di inglobare tutti i tipi di esperienza. Humphrey passa a poi ad analizzare Joyce. Nell’Ulysses, per Joyce l’esistenza è una commedia e l’uomo deve esser fatto oggetto di satira, in maniera gentile e non amara, per il suo incongruo e patetico ruolo centrale in essa. Ulysses è rappresentato come un libro che presenta la vita senza giudicarla. Questa è la retrocessione della voce narrante che non giudica mai. Il narratore non è uno sguardo che giudica, non è una terza persona che giudica. C’è un tentativo di rappresentare la vita in tutte le sue forme senza giudizio anche per le meschinità che compiono i personaggi. Anche V. Woolf dice che noi non possiamo vivere sempre dei moments of being ma viviamo soprattutto di moments of non-being. Torna poi l’importanza del ribaltamento delle gerarchie degli eventi importanti/non importanti. Si era visto ciò già in Modern Fiction. Non può essere considerato grande solo ciò che è ufficiale. Può essere chiave anche ciò che avviene nella vita ordinaria. Nell’ordinario possono aprirsi e schiudersi momenti di significazione. In Ulysses abbiamo diversi personaggi principali. Steven Daedalus è il protagonista del ritratto di un poeta come giovane uomo; Leopold Bloom è l’uomo medio; Molly Bloom è la moglie di Leopold. Quando noi acce- diamo alla mente di questi tre personaggi riconosciamo molte differenze che caratterizzano l’uno rispetto agli altri. Il contenuto mentale di Steven Daedalus è più intellettuale ma è anche troppo intellettuale. Leopold Bloom è molto più terra terra. È il personaggio con cui ci si immedesima maggiormente. Il punto di vista da cui gli eventi sono rappresentati in Ulysses è oggettivo. Si è concordi nel fatto che non si può mai dire che se si trova un personaggio come Steven nel Portrait of the artista s a young man che espone la sua teoria estetica, allora si può ipotizzare che quella sia la teoria estetica del Joyce-scrittore. Già negli anni Settanta si è capito che Joyce non sostiene le tesi esposte nel Portrait. La lettura che è stata proposta negli anni Settanta del Portrait è in chiave Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 19 Visto che ci concentriamo sulle tecniche di rappresentazione della coscienza, per la prossima settimana si pro- pone di leggere il testo per individuare: - narrative frame (person, time and space deixis). Contesto narrativo - Contenuto mentale rappresentato - Modalità di rappresentazione del contenuto mentale. giovedì 2 marzo 2023 Per Lacan la nostra coscienza è linguistica, prende forma con il linguaggio. Lacan ha lavorato molto sui testi di Joyce. La professoressa ha caricato alcuni testi di introduzione a Joyce e a Dubliners. Di Joyce si analizzerà The Sisters da Dubliners. La prima parte di Dubliners insiste sull’infanzia. La seconda tratta l’adolescenza. La terza riflette sulla vita adulta. La quarta riflette sulla vita pubblica. Le prime tre storie, quelle sull’infanzia, sono narrate in prima persona. Passando all’adolescenza e alle sezioni successive la narrazione è in terza persona. Ulysses fu pubblicato 10 anni dopo Dubliners. Anche Penelope in Ulysses è narrato in prima persona. Nella sezione 2.2.2, dedicata a Penelope, c’è un link che rimanda ad un approfondimento sulle teorie sul modo in cui le voci colla- borano nella narrazione di Ulysses. Penelope è diviso in 9 sezioni (sentences) separate da uno spazio bianco inserito graficamente. All’interno delle sezioni la scrittura è continua. Noi faremo la prima parte di Penelope. Narrazioni in prima persona V. Woolf, The Mark on the Wall à si fa in questo caso riferimento al documento drive caricato in Moodle. Questo testo è complesso perché gli eventi narrati sono molto sconnessi tra loro. Inoltre, il lessico è piuttosto complesso. A livello di registro abbiamo sia espressioni colloquiali, che rimandano al registro dell’oralità. In altri casi però, sempre in questo testo, abbiamo un lessico molto alto, appartenente ad un registro elevato. Nel testo c’è almeno un elemento che ci permette di dire che è una donna a scrivere. Questo elemento è il fatto che in un personaggio la voce narrante dice di essere un semplice housekeeper, ‘caslinga’. Noi immagi- niamo quindi direttamente che questo personaggio sia una donna. Questo è un elemento che ha a che fare con il pregiudizio di genere. Solo questo elemento ci fa capire che il soggetto che parla in prima persona è femminile. Nella traduzione italiana questo pone problemi perché la morfologia italiana manifesta subito il genere del per- sonaggio che dice «io». Nel materiale su Moodle verranno caricate due traduzioni di questo racconto breve. È opportuno guardarle per capire come varia la ricezione del testo e come cambia il testo passando da una lingua all’altra. Una di queste traduzioni è intitolata «La macchia sul muro» ma questo dà già una soluzione del racconto. Mark è molto più ambiguo. Con «la macchia» noi abbiamo già qualcosa di molto specifico. Inizialmente il soggetto che guarda e racconta pensa che il segno sul muro sia il buco lasciato da un chiodo tolto. Se però noi leggiamo il titolo tradotto Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 20 con «la macchia» capiamo già che il racconto avrà un altro sviluppo. Probabilmente «la macchia» è stato scelto anche per prossimità fonica con «the mark». Il problema della morfologia italiana poi, come si è detto, è legato al fatto che essa esplicita il genere del soggetto parlante. Non si riesce pertanto a mantenere l’ambiguità del testo originale. La narrazione inizia con «perhaps», ‘forse’, che ci cala direttamente in una narrazione soggettiva. Questo perhaps ci dice fin da subito che quella che segue non sarà una narrazione di certezze. Lo stesso vale per la frase presente poco oltre: «it must have been winter time». Questa è di nuovo un’ipotesi del narratore. La narrazione inizia al passato: «it was». Il narratore è intradiegetico. La deictic shift theory analizza come noi leggendo ci spostiamo dal qui ed ora della nostra vita reale al qui e ora della finzione. Noi leggendo questo racconto dobbiamo passare al mondo finzionale. Si tratta di un cambiamento del sistema deittico di riferimento. Un testo degli anni Novanta ha teorizzato questo. La premessa è quella della volontaria sospensione dell’incre- dulità. È il narratore ad indicarci dove ci si sposta in questo shift. Il narratore ci dice quali sono tempo, spazio e parlante della situazione nella quale noi ci dobbiamo spostare. In questo racconto noi dobbiamo spostarci nel passato, a metà gennaio. Questi sono gli elementi che conosciamo proprio dall’inizio del testo. In realtà però la narrazione sarà al presente, presentata nel tempo attuale del narratore. L’inizio della narrazione inizia però con uno spostamento nel passato tanto del lettore quanto della voce narrante. Solo dopo capiamo lo sdoppiamento dei piani tra il presente della narrazione ed il passato della narrazione. Solo più avanti la narrazione si presenterà nel presente. Fin dalle prime righe quindi si percepisce tutta l’incertezza che ci deriva da perhaps. Riconoscere questi procedimenti ci permette di capire come fanno certi tipi di scrittura a disorientare il lettore con tanta efficacia. Il tempo presente compare alla seconda riga con il tempo verbale presente di «it is necessary» e con il deittico temporale della contemporaneità «now». Noi in inglese abbiamo distal deictics (theese) e deictics of proximity (this). Quando il narratore dice «this house» noi capiamo che il narratore è davvero in quella casa mentre narra. Ci sono molte similitudini che permettono di dare dei referenti vicini alla nostra percezione ordinaria. È il caso della similitudine con le formiche che trasportano la foglia in modo febbrile. Metafore e similitudini sono state molto studiate anche dalla filosofia della mente. Non c’è accordo su come distinguere una similitudine da una metafora. A livello grammaticale, la teoria accettata comunemente prevede la presenza di as/like, ‘come’ che rende esplicita l’associazione della similitudine. Le metafore non sono espli- citate da un elemento grammaticale. A livello cognitivo, la similitudine, maggiormente esplicita, ci dà l’idea di una somiglianza e non di una perfetta identità. Nel caso della metafora invece la comparazione è totale e diventa una vera e propria equivalenza perfetta. Le metafore stabiliscono equivalenze nella nostra mente e ci permettono di visualizzare cose che non potremmo visualizzare nella nostra mente. La vita, ad esempio, è un concetto astratto. Se noi associamo la vita alla metafora del viaggio riusciamo a vedere qualcosa. Similitudini e metafore comunque dovrebbero aiutarci a visualizzare dei concetti astratti. Essendo però molto estese queste similitudini Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 21 presenti nel testo, finiscono per confonderci e per condurci in altre direzioni portandoci addirittura a dimenticare il concetto astratto di partenza. Le similitudini qui tendono a complicarci la faccenda. Inoltre, troviamo in questo testo anche molti puntini di sospensione. Ne troviamo molti anche nei romanzi della Mansfield. I puntini di sospensione hanno un impatto cognitivo diverso per ogni occasione e contesto. I puntini di sospensione spesso indicano che si potrebbe andare avanti a dire una cosa ma ci si interrompe lì. Una cosa che ricorre in tutte queste strategie, sia l’uso di metafore/similitudini che l’uso di sospensioni, è la volontà di dire che c’è qualcosa di più che non può essere detto dal linguaggio. È la stessa cosa che accade in Dante nel paradiso, quando il linguaggio non tiene più dietro alla visione e all’esperienza. Lì la scrittura dichiara tutta l’ineffabilità e l’inadeguatezza del linguaggio a quella rappresentazione e quindi spesso ricorre a metafore e similitudini. Fancy nella definizione di Coleridge è qualcosa di più connesso alla realtà, che ha una connessione alla realtà. Imagination nella definizione di Coleridge è qualcosa invece di maggiormente distaccato dalla realtà. Fancy non è solo la fantasia ma è più propriamente il fantasticare. Il fantasticare automatico succede nella quotidianità. Quando si vede una certa cosa ci torna sempre una certa immagine davanti agli occhi e nella mente. Questa cosa può essere del tutto insignificante. «Before us» ci fa capire che l’io non è da solo in quella casa. Torn asunder vuol dire proprio ‘strappare via’. L’immagine dello strappare è particolarmente importante perché è il movimento della mente che viene strappata da una parte ma rimanda anche ad elementi concreti. Noi siamo continuamente strappati via da persone e cose. Spesso è presente l’idea di vedere le persone come se si fosse a bordo di un treno in corsa. Noi non vediamo le azioni compiersi ma ne vediamo spesso soltanto un frame. Questo ha qualcosa a che fare con la frammenta- zione del pensiero che interrompe continuamente se stesso. Il treno usato come un elemento metaforico per rappresentare la vita appartiene allo stesso ambito semantico della metafora del viaggio della vita. L’idea di procedere nella vita appartiene ancora alla rappresentazione me- taforica della vita come un viaggio. Grammaticalmente ci troviamo nel tempo presente ma dal punto di vista del tempo in cui ci troviamo siamo in una situazione di assenza di tempo. Abbiamo quindi i vari piani narrativi ben definiti (il narratore è nel pre- sente, è in una stanza e sentiamo la sua voce narrante e abbiamo il segno sul muro davanti). Ci si sposta però in piani temporali passati ma non poche volte attraversiamo veri e propri piani atemporali, quelli del presente usato per fare delle considerazioni generali. Abbiamo quindi almeno tre piani temporali che si mischiano in questo passaggio. È importante la relazione tra ciò che noi esperiamo con i sensi e la nostra mente. C’è una continua interazione tra pensieri e il mondo reale nella sperimentazione della coscienza fatta dai modernisti. Tutto il delirio di pensieri in questo racconto è attività dalla visione fisica da parte della voce narrante di quel segno sul muro. È sempre interessante indagare la relazione tra la realtà concreta ed il pensiero astratto. I pensieri sono attivati e fatti Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 24 Qui il punto è come siamo percepiti dagli altri. Qui c’è in gioco la nostra consapevolezza del tipo di immagine di noi stessi che offriamo agli altri. È l’essere selfconscious. È il fatto per cui non possiamo mai essere spontanei e sinceri. C’è sempre l’idea di dover costruire qualcosa che gli altri devono vedere per poter definire noi stessi. venerdì 3 marzo 2023 Ci soffermiamo ora sull’uso del punto e virgola. Abbiamo un passo in cui il punto e virgola è usato per creare una lista. Gli elementi nella lista, grazie all’uso del punto e virgola risultano autonomi (sono una lista di cose differenti), più isolati ed al tempo stesso collegati l’uno all’altro. Questo è un buon esempio dell’uso che la Woolf fa del punto e virgola per rendere una separazione più marcata di quella generata dalla semplice virgola tra gli elementi di una lista ma al tempo stesso lasciandoli ancora collegati. È un uso tipico di Woolf del punto e virgola. Kathrine Mansfield usa moltissimo i punti di sospensione. Questo è un tratto peculiare che si riconosce im- mediatamente nell’apertura di The Canary (1922). Questi punti di sospensione usati nell’apertura del paragrafo ci danno la sensazione che ciò che sta scritto dopo è parte di un pensiero che c’era precedentemente e del quale il lettore non viene reso partecipe. Ciò che è raccontato quindi è una parte, una fetta di una realtà che non può essere trasmessa nella sua esperienza. Il lettore capisce che non ha tutti gli elementi a disposizione per una rappresentazione completa. In tutte le strutture narrative c’è un antefatto (una porzione di tempo esclusa dalla narrazione, se noi pensiamo ala narrazione come una porzione di esperienza). Nelle narrazioni convenzionali, diverse da quelle moderniste, la voce narrante ci fornisce una serie di elementi che ci permettono di capire le cose. Lo stesso accade nelle serie televisive. In forme di narrazione meno convenzionali (come quelle moderni- ste) le convenzioni narrative non sono rispettate. La presenza dei punti di sospensione ad inizio paragrafo ci fa percepire con evidenza che siamo di fronte ad una fetta di una situazione esperienziale che non viene rappresen- tata nella sua integrità perché irrappresentabile nella sua integrità. Spesso quando in conclusione di paragrafo si trovano i puntini di sospensione si indica che il paragrafo suc- cessivo sarà ambientato in un altro luogo ed in un altro momento temporale. Questo è stato paragonato alla dissolvenza incrociata nella rappresentazione cinematografica. Per tornare alla lista di elementi separati da punto e virgola in Woolf possiamo dire che lo stacco maggiore imposto dal punto e virgola simula la frammentazione dovuta al caos del mondo moderno. Avevamo visto il contesto di incertezza in cui la narrazione si apriva. Avevamo il perhaps in apertura e l’ipotetica poche righe dopo. La stessa cosa si ha in «I’m not sure about it» alcuni paragrafi dopo. L’idea è che l’incertezza non è legata solo alla percezione di una determinata situazione ma l’incertezza è cronica in tutta la vita, non si capisce mai con certezza una cosa. Abbiamo poi un uso di why che non è più comune oggi. Lì why è usato come interiezione e va intesa come ‘beh’. Di fatto abbiamo spesso in questo testo e nelle narrazioni brevi delle domande, spesso abbiamo domande generali. Non bisogna però confondere questo why con una domanda. Infatti, alla fine della frase non c’è un punto di domanda. L’idea è che noi diventiamo consapevoli di noi stessi per mezzo del modo in cui gli altri ci vedono. Ovvero, noi ci definiamo sulla base delle definizioni che gli altri ci attribuiscono. Questo era evidente nel passaggio del Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 25 «dressing up» che è un verbo tipico delle bambole: ci si mette un vestito proprio come si veste una bambola, con tutto ciò che di finzione ciò si porta con sé. Per quanto riguarda la frammentazione dell’individuo, si fa ora riferimento al passaggio della rottura del «looking glass», ovvero dello specchio. Questo passaggio segue immediatamente il passaggio del «dressing up the figure of myself». Ciò che rimane dell’individuo se lo specchio si rompe non è altro che il suo «shell», il suo guscio, un guscio vuoto fatto di mera apparenza. Bisogna essere consapevoli del fatto che c’è solo una percezione esteriore nelle relazioni umane. Gli altri di noi possono vedere solo l’esteriorità. Ciò che manca all’appello è la dimensione interiore dell’individuo. Non c’è una negazione di quanto la nostra esteriorità sia importante. Cia- scuno di noi è consapevole che ciascuno cerca di presentare all’esterno la versione migliore di se stessi perché gli altri funzionano come specchi. Noi abbiamo bisogno degli altri per riconoscerci. la percezione che gli altri hanno di noi ci permette di riconoscerci. La prosecuzione del ragionamento però è significativa. Se la nostra esperienza fosse solo costituita da ciò che noi proiettiamo all’esterno sarebbe una vita veramente povera la nostra. Fa dunque l’esempio del disagio che si prova quando si è davanti a delle persone che non si conoscono sui mezzi di trasporto. Queste persone vedono solo la nostra esteriorità perché non ci conoscono. Noi vediamo nello spec- chio degli occhi di quelle persone solo quello che loro vedono, ovvero la nostra esteriorità. Può succedere però che noi non ci riconosciamo in quello che quello specchio dell’esteriorità ci restituisce. L’idea è quella di guar- darsi in uno specchio in cui non ci si riconosce. Il problema per cui non cisi riconosce è che quello che lo specchio restituisce dell’individuo è solo la sua esteriorità. Ma l’individuo non è l’esteriorità. Questo è un insegnamento per i romanzieri. Se i romanzieri si concentrano solo sull’esteriorità, rendono un mondo fatto solo di involucri. Ciò che definisce veramente l’esperienza è la nostra interiorità, quella che lo specchio non ci restituisce. Ciò che è interessante è che non c’è una negazione del corpo e del fatto che il corpo è ciò per mezzo di cui noi ci rela- zioniamo con le altre persone. Non è la banale frase per cui conta l’interiorità e non l’esteriorità. È la constata- zione seria del fatto che il nostro corpo determina la relazione con gli altri e che la nostra percezione di noi passa attraverso il modo in cui gli altri vedono il nostro corpo. Da ciò, però, e dal disagio che si rileva nel non ricono- scersi nella propria esteriorità, si capisce l’importanza che si deve riservare per l’interiorità, soprattutto nella rappresentazione dei romanzi. Woolf parla poi di «the importance of these reflections». I personaggi nel romanzo non devono essere rap- presentati da una supposta prospettiva oggettiva. I personaggi del romanzo devono essere rappresentati attraverso il loro riflesso nella mente degli altri personaggi. Questo è il prospettivismo. Per noi è importante comprendere questo discorso sul punto di vista. Il personaggio non deve essere rappresentato in una maniera che si suppone oggettiva attraverso la voce narrante onnisciente ed oggettiva. I personaggi andrebbero descritti per mezzo della prospettiva degli altri personaggi, ovvero per mezzo del riflesso di un personaggio sul punto di vista degli altri. Questo è quello che accade proprio in Mrs. Dalloway. Non abbiamo una descrizione oggettiva fatta dal nar- ratore della signora Dalloway. Il romanzo inizia con la sua decisione di andare a comprare da sé i fiori. È significativo che il sottotitolo di Orlando sia A biography. L’idea è di vedere il personaggio tramite gli occhi degli altri personaggi. Questo non ci offre un punto di vista stabile. Questo afferma fortemente la natura non catalogabile dell’essere umano che non viene mai descritto da Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 26 Woolf per mezzo di un narratore oggettivo in terza persona ma viene sempre narrato attraverso il punto di vista degli altri personaggi. Il romanzo, quindi, è basato sul riflesso dei personaggi sugli altri. Questi riflessi quindi sono potenzialmente infiniti. Non si può quindi descrivere compiutamente un personaggio proprio come non è possibile descrivere compiutamente un essere umano. Non è possibile classificare la natura umana con etichette. La Woolf dice che Shakespeare e Dante sono stati in gradi di essere universali, ovvero di catturare qualcosa della natura umana che è valido per sempre, che è universale. Il romanziere non deve sprecare pagine nella descrizione della realtà esterna ed esteriore. Woolf in The Mark viene poi a ragionare su quanto siano pericolose le generalizzazioni. Le generalizzazioni sono «worthless». La Woolf in The Mark parla poi del «masculine point of view which govern our lives». La Woolf riflette sul fatto che l’ordine che la società impone alle vite è un ordine maschile. Ciò è dovuto al fatto che il potere è da lungo tempo in mano agli uomini. Anche in Mrs. Dalloway i due medici sono puntualmente uomini. In Mrs Dalloway abbiamo diverse figure maschili che rappresentano l’autorità. Ciò porta a ragionare sul fatto che la società tende a far confluire in categorie rigide ed ordinate tutto. Questo è ciò su cui si concentra Foucault nel suo ragionamento filosofico in Storia della follia. In The Mark si ragiona materialmente in forma narrativa sull’importanza del punto di vista. Si ragiona cioè su come la luce e la prospettiva condizioni la percezione di un certo punto di vista. Questo è evidente in «in certain lights». Abbiamo poi una similitudine con delle «Downs», delle colline calcaree. È interessante che vengano citate queste colline la cui origine è misteriosa e su cui ci sono molte interpretazioni a riguardo. Questo tende a fram- mentare ulteriormente ogni certezza. «What shall we say?» è uno dei casi in cui il narratore tenta un’inclusione del lettore nella sua voce con la prima persona plurale. È interessante ragionare su tutte le domande presenti nel testo. Ogni domanda funziona in maniera un po’ diversa. Ci sono domande a se stessi, domande rivolte ad altri. La casistica è varia. L’aggettivazione rimanda spesso verso un’espansione che rompa il guscio dell’individuo. È il caso di «spa- cious world». «A world which one could slice with one’s thought». Il termine slice torna anche nell’incipit di Mrs Dalloway. Là abbiamo l’immagine di Mrs Dalloway che scivola (slices) nella folla. È un’immagine liquida di movimento. To slip e to slice sono sinonimi, slip è più ‘slittare’, slice è ‘scivolare’. Qui viene detto che deve essere un mondo dove ciascuno può scivolare con i propri pensieri come un pesce che scivola nell’acqua con la sua pinna. È un’immagine simile a quella che abbiamo in The Waves. Lì l’immagine è riferita al fatto che la vita dell’uomo deve essere sia profondità che superficie, come un pesce che viaggia con la sua pinna che fende la superficie dell’acqua. L’idea è quella di una compresenza osmotica della profondità e della superfice. L’immersione del pesce di cui rimane in superficie la pinna è l’immersione nell’intimità ma con un attaccamento continuo alla superficie e all’esteriore. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 29 J. Joyce, The Sisters Con The Mark on the Wall abbiamo fatto esperienza di una sorta di immersion nell’immateriale mondo del pensiero che torna di tanto in tanto sulla sostanza del mondo. Leggendo The Sisters ci si accorge subito della differenza di quella voce del narratore rispetto a questa voce del narratore che abbiamo trovato in The Mark on the Wall. Anche The Sisters propone una narrazione in prima persona. La differenza sostanziale è però che la narrazione è nel passato. Nessuno pensa che la voce sia quella di Joyce siccome il narratore è un bambino. O pensiamo che sia Joyce bambino a parlare altrimenti non possiamo pensare che sia Joyce a parlare in prima persona in quel testo. Lì abbiamo quindi la costruzione di un personaggio. Bisogna quindi tenere in considerazione la costruzione del personaggio per mezzo della sua stessa voce in prima persona. La prima persona ci dovrebbe porre in intimità con il personaggio. Eppure, bisogna chiedersi se si è davvero intimi con i suoi pensieri. Questa di The Sisters inoltre è una narrazione retrospettiva. Non ci sono ingressi in terza persona. È oppor- tuno prestare attenzione alla lingua. Joyce ha studiato molto questo. Essendo narrazione retrospettiva possiamo dire che è un adulto che racconta qualcosa come esperito da un bambino. La lingua non è quella di un bambino, sebbene ci siano elementi propri di un bambino. Inoltre, la consapevolezza non è quella dell’adulto ma è quella del bambino. La narrazione è quindi il frutto della commistione di tutti questi elementi. giovedì 9 marzo 2023 Lacan lavora molto sulla scrittura di Joyce. Le scritture moderniste hanno prefigurato cose che dal puto di vista di filosofia e scienza sono state scoperte dopo questi scrittori. Non è un caso che Lacan abbia studiato così tanto Joyce e abbia preso i suoi testi come prova della sua idea del fatto che l’inconscio è strutturato in forma di linguaggio. Tutto il materiale per l’esame è stato caricato tranne il materiale relativo alla lezione che si terrà in mediateca. Ci sono tutti i testi primari e tutta la bibliografia necessaria su quei testi primari. In Moodle è presente un’ulteriore sezione, la numero 4, che è opzionale, facoltativa. Qui vengono proposte diverse traduzioni dei testi primari per provare a ragionare sulla resa in italiano di quei testi modernisti difficilmente traducibili in maniera efficace. Il source text è quello in lingua originale in ambito traduttivo mentre il target text è il risultato della traduzione. È interessante osservare gli espedienti traduttivi che finiscono per modificare il testo dii partenza offrendo al lettore un’esperienza di lettura del tutto diversa da quella del testo originale. Questo è un approfondimento aggiuntivo che può essere preparato in aggiunta al resto per l’esame. Da un unico source text si possono avere infiniti target texts. Torniamo dunque a The Sisters di Joyce. Nella cartella Moodle c’è del materiale introduttivo a Joyce e a Dubliners. Dubliners è considerato il lavoro più semplice di Joyce. Questa semplicità è però solo apparente. The sister sè stato il primo racconto breve scritto per Dubliners da Joyce. The Sisters risale al 1904. La pubblicazione di Dubliners risale al 1914. The Sisters fu pubblicata su una rivista letteraria di Dublino. Questa pubblicazione però fece scalpore perché dava un’immagine deprimente della gente di Dublino. L’editore cercò di contrattare Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 30 con Joyce una revisione di quei racconti per pubblicarli. La contrattazione dura dieci anni e si conclude dopo il ritorno a Dublino di Joyce dopo essere stato a Roma e Trieste. Joyce cerca di ricavare costantemente informazioni da Dublino anche quando non è più lì. Raccoglie mani- festi, giornali e informazioni anche grazie ai suoi parenti che erano rimasti a Dublino. L’editore di Dubliners è Grant Richards. I racconti di Dubliners sono stati scritti tutti tra il 1904 e il 1907. Abbiamo una lettera nel contributo bibliografico Critical companion to James Joyce che Joyce invia all’edi- tore nel 1906. Qui Joyce dice di aver scelto Dublino perché quella città è per lui un centro di paralisi. Queste poche righe contengono buona parte della poetica di Joyce. Joyce qui si dispone come concentrato sull’autobio- grafia della sua medesima esperienza in Dublino. Ciò che non è detto esplicitamente qui è che Dublino è al tempo stesso un luogo preciso ma la paralisi che affligge i suoi abitanti è una paralisi universale che può colpire ciascuno di noi. Si rileva quindi la coesistenza della massima precisone della sua esperienza autobiografica nella sua città e dell’universalità che condivide le medesime caratteristiche di quella situazione precisa. Sebbene l’Irlanda di Joyce risalga a cento anni fa, noi, Italiani di oggi, riusciamo a riconoscerci in quella rappresentazione. La preci- sione e la specificità tentano di rappresentare l’universalità della condizione umana. Joyce dice poi qui che ha tentato di rappresentare quella paralisi in quattro stadi: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. Il racconto più famoso della sezione conclusiva è l’ultimo racconto, The dead. C’è poi l’dea della deformazione. La categoria di realismo non è usata da Joyce per parlare di questa raccolta. Eppure, la rappresentazione di Dubliners sembra condividere le caratteristiche del realismo. Noi effettivamente non abbiamo mai una rappresentazione completa e compiuta della realtà. The Sister è la storia iniziale della raccolta ed è considerata come una sorta di manifesto della medesima. L’intento non è quello di rappresentare la modernità modernamente intesa ma piuttosto la moralità moderna latinamente ed etimologicamente intesa, ov- vero i mores, i costumi, gli usi, le abitudini degli uomini. Joyce scrive nel 1904 ad un suo compagno di classe, Costantine Curran, che ha intitolato Dubliners la sua racconta per mettere davanti ai Dublinesi uno specchio che li rappresenta in maniera non lusinghiera. Hemiplegia è una semiparalisi. L’intera città di Dublino è posseduta da questo tipo di paralisi. Ciò che è interessante è che i cittadini di ogni Paese e di ogni tempo possono identificarsi in questo ritratto della paralisi. Abbiamo tutti gli elementi per comprendere l’intento di Joyce in quest’opera. Non è una lettura semplice come possiamo immaginare di primo acchito. Il secondo saggio da studiare per l’analisi del linguaggio e della prospettiva in The Sister sbisogna fare solo la parte relativa a quel racconto (pp. 377-383). Prendiamo ora il commento critico a The Sisters, Epiphanies and Epicleti, contenuto nel file contenente The Sister. Epifania deriva da epifaino, ‘mostrare, apparire’. Nella tragedia greca l’epifania è il momento di massima tensione in cui una divinità si rivela e pone ordine alla situazione caotica che si è creata nella scena. L’Epifania è però anche la festa cattolica della presentazione di Gesù ai Magi. Le opere moderniste spesso ripropongono il concetto di epifania del tutto purificato dall’implicazione religiosa. In Woolf avevamo visto che le epifanie (i cosiddetti moments of being) venivano dalle cose ordinarie della vita. Lo stesso vale per Joyce e Joyce si Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 31 concentra soprattutto sugli aspetti più bassi e talvolta triviali della vita. Woolf, Joyce e Mansfield rappresentano la transitorietà e l’essenza effimera delle rivelazioni della vita ordinaria. La vita è piena di momenti privi di senso, i moments of non-being, momenti non negativi ma in cui si registra l’assenza della rivelazione del senso. Questo si trova anche in Mansfield. Lei chiama glimpsies le rapide occhiate che aprono uno scorcio, una piccola visione. L’idea di glimpsies dà l’idea di qualcosa di molto frammentato, dà l’idea di qualcosa che compare in maniera immediata davanti ai nostri occhi ma che poi come un flash scompare altrettanto rapidamente. Può accadere che per un istante il personaggio possa vedere qualcosa di rivelatorio per la sua vita e per il suo essere. Questa rivelazione però spesso non fa cambiare la vita del personaggio. Il personaggio potrebbe seguire quella rivelazione ma la maggior parte delle volte egli non lo fa ed essa, quindi, non cambia la sua vita. Spesso il personaggio vede rivelata la propria insoddisfazione nei confronti della vita ma questo non fa si che lui cambi qualcosa. Quei momenti di autocomprensione chiara del personaggio potrebbero portare a un cambiamento nella sua vita ma il personaggio non fa nulla per attuarlo. Insomma, le epiphanies di Joyce sono accostabili ai moments of being di Woolf e alle glimpsies di Mansfield. L’epiklesis è la transustanziazione del corpo di Cristo nel pane e nel vino. Cristo converte il pane di ogni giorno in molto di più di un semplice pezzo di pane. Questo è quello che l’artista fa. L’artista deve saper con- vertire il pane quotidiano, della vita di tutti i giorni, in qualcosa di maggiormente esplicito e permanente. Se Joyce non avesse fatto questo, Dubliners oggi non avrebbe nessuna rilevanza per chi non è di Dublino o non avrebbe proprio nessuna rilevanza, a un secolo di distanza. L’epiklesis religiosa, quindi, è stata di ispirazione per Joyce, così come il concetto di epifania. Leggiamo dunque ora The Sistesr. leggendo l’incipit di questo racconto noi leggiamo in realtà l’incipit dell’in- tera raccolta. Joyce ha voluto mettere questo racconto e non un altro in apertura per evidenti motivi. Il primo paragrafo si presenta come un vero manifesto per l’intera raccolta. Il racconto inizia facendo riferimento a qualcosa che è accaduto prima e che noi al momento non conosciamo. Noi quindi siamo gettati dentro la situazione senza sapere che cosa sta succedendo. Si allude anzi a qualcosa che noi proprio non conosciamo. Anche con The Mark noi pensavamo di trovarci in un tempo ed invece ci trovavamo in un altro. Qui in The Sisters l’incipit è al passato. Si dice che per un personaggio «non c’era più speranza», «era orami il suo terzo infarto». Non si sa se si tratti di infarto, ictus o cosa nello specifico. Qui c’è una ripresa del «lasciate ogni speranza voi ch’intrate» di Dante, Inferno III. nella prima fase non c’è inoltre alcuna deissi relativa al narratore. L’unica deissi è all’him per cui non c’era più speranza. Noi leggendo questa prima frase in automatico pensiamo di trovarci di fronte ad una narrazione al passato in terza persona a riguardo di quell’him, di quel personaggio visto in terza persona. La nostra mente si posiziona automaticamente in questa situazione. La narrazione è al passato in questo incipit, resa con un past simple. La metrica di questo primo periodo inoltre riproduce un andamento musicale a battute ribattute. L’andamento è ascendente. L’andamento è giam- bico. Joyce usa spesso questo metro. Spesso i periodi di Joyce sono costruiti metricamente. Dalla lettura del periodo successivo capiamo però che il narratore è invece intradiegetico siccome abbiamo un evidentissimo «I». Qui, quindi, si infrange la nostra aspettativa di una narrazione oggettiva in terza persona. La narrazione intradiegetica in prima persona però continua al passato. È quindi una narrazione retrospettiva. Il Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 34 Il dialogo diretto qui ci fa dimenticare di essere in una narrazione in prima persona. Questo in realtà è un finto dialogo diretto perché tutto è filtrato dalla narrazione della voce in prima persona. Gli ultimi punti di sospensione di questo primo frammento di discorso diretto creano suspense. Quando si legge il primo stralcio di discorso diretto si capisce che si sta parlando di una persona morta. Tutti i verbi erano al passato. Noi non sapevamo di chi si parlasse ma capivamo che probabilmente era qualcuno che era morto. Eppure, il narratore in prima persona evidentemente non si era accorto di questo perché deve chiedere esplicitamente ciò diverse righe dopo. Eppure, noi dovremmo capire le cose dopo il personaggio in prima persona che è calato nella situazione narrativa. Noi non sappiamo nulla di chi sia Mr. Cotter. Capiamo che è nella casa e che probabilmente è un amico dello zio. L’idea che emerge anche dall’Ulysses è che Dublino non sia poi tanto una città ma piuttosto un paese quanto a gossip. Joyce fu molto influenzato dalla rappresentazione teatrale. Ad esempio, anche qui abbiamo la narrazione che procede attraverso il dialogo. Si tenga presente che i primi studi critici effettuati da Joyce hanno per argomento il teatro e, tra gli altri, quello di Ibsen. L’intera conversazione qui allude a qualcosa che è il tabù per eccellenza, ovvero il sesso. I personaggi par- lando del sesso in modo che il bambino non lo capisca. Il non detto viene amplificato e la non dicibilità allo stesso modo. Abbiamo poi di nuovo una dissolvenza incrociata. Capiamo che la cena è terminata e che ora la voce narrante racconta di quando si è addormentato. Si parla qui di «unfinished sentences», frase incomplete, frasi lasciate sospese. Il narratore in prima persona dice che cercava di ricavare significato dalle sue frasi lasciate sospese. Questo è in realtà quello che fa il lettore per tutto Dubliners. Nel sogno il corpo è ridotto ad una faccia che appare all’io narrante. Il procedimento di facce che compaiono è lo stesso che si trova nel capitolo dedicato a Circe nell’Ulysses. Questo procedimento è stato riconosciuto come un’allucinazione di fatto. Qui il sogno propone un rovesciamento dei ruoli. Pleasant and vitious è un ossimoro. Vitious è proprio ‘cattivo’ qui. «It» qui indica poi la faccia. Non abbiamo «him» ma «it». Tutto è reso oggetto. Tutto ciò che sta accadendo non ci rimanda minimamente alle sorelle a cui rimanda il titolo del racconto. venerdì 10 marzo 2023 In The Canary di Katherine Mansfield la voce in prima persona si percepisce come un monologo teatrale. Questa modalità è distantissima dalla narrazione pur in prima persona del Penelope dall’Ulysses di Joyce. In Penelope non c’è punteggiatura e non ci sono pause. Inoltre, un monologo teatrale situa nello spazio il perso- naggio mentre da Penelepe noi non capiamo nulla sullo spazio circostante. La riduzione teatrale di Penelope, Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 35 che pur è stata tanto frequentata, modifica del tutto il testo, fino a partire dal fatto che la voce che noi sentiamo quando leggiamo il testo è la voce mentale del personaggio e non la sua voce parlata mentre nella rappresenta- zione teatrale la voce è emessa dalla bocca del personaggio. Certo Penelope si presta bene alla rappresentazione teatrale sperimentale. Nel caso di Katherine Mansfield abbiamo in programma anche un racconto con narratore in terza persona non affidabile, A Cup of Tea. Per quanto riguarda l’introduzione di Mrs Dalloway bisogna approfondire la questione leggendo quanto dice Ann Banfield su quel passo. K. Mansfield è il passo successivo rispetto a V. Woolf quanto a teorizzazione della rappresentazione della coscienza. Riprendiamo ora con The Sisters. Ci eravamo fermati dove il bambino stava ragionando sui suoi sentimenti. Qui abbiamo la riemersione di alcuni ricordi del bambino. Il bambino qui parla di qualcosa di misterioso e molto pesante. Abbiamo qui un paradosso legato al fatto che il libro che è scritto è molto complesso e questa comples- sità viene paragonata allo spessore, per permettere al bambino di comprendere la complessità. Nel corso del racconto nessun adulto rivolge grandi attenzioni al bambino. Gli unici scrupoli che ci si fa sono quelli di mandarlo a letto e di non parlare davanti a lui. Era ricorrente tra Ottocento e inizio Novecento l’idea degli adulti che non prestavano attenzione ai bambini. Il prete riesce qui a parlare al bambino con un linguaggio ritagliato su di lui. Il prete gli parla di cose che il bambino conosce per spiegargli cose che non conosce. Essere molto attenti verso i bisogni dei bambini è tipico del predatore pedofilo. Il bambino trascurato, privo di una rete famigliare solida intorno, viene adescato con attenzioni particolari ma non sincere. In questo caso il prete si comporta proprio così e questo fatto permette di leggere il racconto come narrazione di un’esperienza di abuso di minore. Il bambino passa poi a pensare al suo sogno. Quel sogno lo aveva spaventato. Ora, nella sua memoria, il sogno diventa qualcosa di esotico, ha a che fare con l’Arabia, con la Persia. Il bambino qui viaggia con la sua fantasia. Il prete con la sua figura, con il mistero della Chiesa deve aver rappresentato qualcosa di esotico per il bam- bino, qualcosa di extra-ordinario, di nuovo rispetto alla vita ordinaria. Lungo tutto il racconto è rintracciabile il campo semantico della luce e può essere studiato nel suo svilupparsi nei diversi momenti. Anche le nuvole sono un elemento che ritorna spesso. Si individua quindi l’alternanza tra luce ed oscurità. In Joyce abbiamo anche un racconto chiamato The Little Cloud e anche in altri passaggi si ragiona sull’alternanza tra luce e oscurità. Abbiamo poi l’ingresso in scena delle due sorelle, Nannie ed Eliza. Il titolo era The Sisters ma queste sorelle non sono mai presentate direttamente come tali. La relazione non è mai esplicitata. Questo è un elemento che ha a che fare con la narrazione prospettica. Non si dà cioè la spiegazione esplicita delle cose che i personaggi della vicenda sanno già e quindi non si individua la necessità di esplicitarle. Non ci vengono dati anche in questo passaggio le informazioni che ci sarebbero necessarie per capire tutti i fatti. Il narratore non ci dice che il prete viveva con le sue due sorelle Nannie ed Eliza. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 36 C’è una forte sottolineatura dell’atto performativo della veglia del morto. Tutto sembra molto teatrale al bam- bino. Si trovano poi segni di complicità tra il bambino ed il prete. Accadono cose che, se fossero insieme, li fareb- bero ridere. Nel sogno non vedeva tutto il corpo ma solo la faccia. Allo stesso modo anche dopo, a pagina 14 si sottolinea «face». Qui sembra che il punto di vista del bambino sia molto diverso da quello degli adulti, come se questa esperienza fosse la prima volta che il bambino viene in contatto con la morte. Abbiamo poi i classici luoghi comuni e le frasi fatte tipiche dei funeriali. «Beautiful death» e «beautiful corps» non sono espressioni troppo comuni. Di solito non si parla di death e corps come di beautiful things. Torna poi l’aggettivo queer, già usato da Old Cotter. Joyce aveva definito «scrupolous» il suo metodo di scrittura di Dubliners. Lo stesso aggettivo torna qui nel discorso diretto «he was too scrupulous always». Stupor è l’inebetimento, quasi lo stato catatonico. Il momento è tragico; eppure, qui prende il sopravvento il pettegolezzo. Ci sono alcuni passaggi agrammaticali nel racconto nel modo in cui le due sorelle parlano. Questi passaggi mirano a rappresentare la genuina natura orale e spontanea del dialogo. Queste due sorelle hanno dedicato tutta la loro vita al fratello prete. Inoltre, raramente in Irlanda le donne accedevano all’educazione di alto livello. Le strutture agrammaticali rendono anche questo. Il focus è molto centrato sulla chiacchiera. Quella chiacchiera si sviluppa proprio a partire dalle sorelle che sono in relazione strettissima con il morto e questo ci stupisce. Collettivamente, tutti stanno rimuovendo la morte. In quella situazione si parla di ogni cosa pur di non affro- natre il grande rimosso di tutte le nostre esistenze ovvero la morte. La chiacchiera prima è convenzionale e poi diventa maliziosa. Addirittura, la sorella si fa portare in questa chiacchiera. È evidente il tentativo disperato ed automatico di non provare fino in fondo quella disperazione che solo la morte, di fronte alla quale si è posti in questa situazione, dà. L’unico che sembra non rimuovere è proprio il bambino. Al bambino viene da ridere ma si censura. Ridere sarebbe fuori luogo ma molto più fuori luogo ed assurdo è il pettegolezzo nel funerale. Ma questa è un’esperienza comune che accade nella vita di tutti. Sicuramente il tema del grande rimosso apre la raccolta ed avrà un ruolo importante. Di fatto qui è il Dublinese che rimuove la cosa principale della vita ovvero la morte. Rimuovere la morte vuol dire vivere nella paralisi, vivere lontano dalla consapevolezza del reale. Que- sto si lega con il tema di tutta l’opera nelle dichiarazioni stesse di Joyce. J. Joyce, Ulysses, Penelope I tre personaggi principali dell’Ulysses sono Steven Daedalus, Leopold Bloom e sua moglie Molly Bloom. Il titolo e la vicenda narrata rimandano all’Odissea omerica. Abbiamo veri e propri schemi di mano di Joyce in cui viene spiegata la costruzione della vicenda narrata nell’Ulysses. Questi schemi sono nominati Gilbert e Linati dai nomi degli amici ai quali Joyce li aveva inviati. Nello schema Linati ogni capitolo dell’Ulysses è associato Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 39 Inizialmente i segni di punteggiatura che si trovano nei manoscritti antichi indicavano le pause nella lettura. Quei segni iniziavano a porre dei punti di separazione all’interno ella scriptura continua. I segni di punteggiatura erano quindi fisicamente le pause della voce di chi leggeva. In seguito, i segni di punteggiatura si sono evoluti ed hanno iniziato ad assumere funzioni sintattiche. Se si mette la punteggiatura a questo episodio non si inserisce solo un’indicazione di pausa per la lettura ma si inserisce un’indicazione di senso. Segni di punteggiatura diffe- renti danno interpretazioni e significati diversi al testo. Rimuovere i segni di punteggiatura dal testo vuol dire rimuovere le istruzioni per il lettore che legge Penelope e il monologo interiore di Molly. Molly inizia col pensare che è strano che Leopold le abbia chiesto di portargli a letto la colazione l’indomani mattina. Poi Molly pensa ai difetti che Leopold ha e a quelli che non ha. Una grande difficoltà è comprendere quando un pensiero termina e ne incomincia un altro. Qui i pensieri sono messi tutti attaccati, uno dopo l’altro e non separati in nessun modo. Ad un certo punto Molly pensa «him» ma non sappiamo subito chi sia questo «him». Capiamo però che in questo caso si tratta di Leopold che è educato nei confronti delle donne rispetto agli altri uomini. Leopold è un uomo molto orgoglioso ma non è sempre così. Se sta male non fa storie per andare in ospedale. Poi però se va in ospedale Molly pensa che deve stare attenta che lui non ci provi con un’infermiera. Se poi ci va vuole rimanere finché non lo cacciano. Molly poi pensa alla donna con cui Leopold scambia lettere che sembra una suora proprio come una suora sarebbe l’infermiera dell’ospedale. È molto interessante osservare il passare di questa mente da un pensiero all’altro collegato con i precedenti. giovedì 16 marzo 2023 Grande difficoltà si riscontra nella lettura di Penelope perché dobbiamo decidere noi dove inserire pause e connettivi sintattici. La lettura di questo testo viene di solito fatta tornando costantemente indietro nella frase e di fatto noi siamo costretti a fare questo per cercare di comprenderlo. Questo testo quindi ci impone di muoverci con la mente nello stesso modo in cui Molly fa con la sua. Molly torna costantemente indietro nei suoi pensieri proprio come noi dobbiamo costantemente tornare indietro nelle frasi. Molly pone cioè un tema dal quale si dipartono alcune variazioni seguite poi dal ritorno al tema iniziale. Secondo alcuni critici, questo movimento del pensiero sarebbe anche descritto fisicamente dal simbolo dell’infinito che Joyce associa al tempo in cui è am- bientato questo capitolo. Un critico letterario, Kenner, ha coniato l’espressione “the Uncle Charles Principle” per descrivere il calei- doscopico e camaleontico cambio di stili in Joyce. In un passaggio del Portrrait abbiamo Uncle Charles che va in bagno e il bagno, nel passaggio narrato in terza persona, è detto outhouse, termine di registro estremamente elevato per un gesto quotidiano. Secondo Lewis, Joyce aveva usato impropriamente il registro. Kenner parte di qui e critica Lewis dicendo che quel termine rappresenta il modo in cui Uncle Charles avrebbe chiamato il bagno date le sue pretese di nobiltà e di sublimità. Non è quindi un errore di Joyce ma è un espediente per mezzo del quale la narrazione aderisce linguisticamente a ciò che rappresenta. La modalità narrativa si modella per copiare e vestire meglio ciò che viene rappresentato. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 40 Andiamo ora al testo di Penelope analizzando i passaggi principali dell’analisi fatta da Cohn che è da studiare per l’esame. Cohn dice che l’unico esempio che abbiamo (fino agli anni ’70) di monologo autonomo è l’episodio Penelope di Ulysses. Quello è un tipo di testo nel quale noi facciamo esperienza non solo esclusivamente della mente che pensa ma anche della mente che pensa su se stessa, che pensa se stessa, senza nessuna interazione con la realtà esterna se non in piccoli punti in cui noi come lettori percepiamo la realtà filtrata attraverso la mente. nell’episodio non c’è in scena altro che la mente che pensa e che per la maggior parte del tempo pensa se stessa. Noi dobbiamo considerare però Penelope nel contesto del romanzo. Il lettore del romanzo arriva a Penelope quando già conosce molto sul personaggio di Molly Bloom. Cohn sottolinea l’incomunicatività dell’episodio ma allo stesso tempo sottolinea che questo episodio arriva alla fine del romanzo, quando noi già conosciamo (abbasta bene) Molly Bloom. Certo il testo di questo capitolo sarebbe stato più complesso e problematico se lo avessimo trovato prima di conoscere Molly. Cohn inoltre evidenzia che l’unica azione che Molly fa è di andare al bagno perché le sono venute le mestrua- zioni. Non ci viene però detto in maniera esplicita e formulata che il personaggio ora si alzerà ed andrà in bagno. Nella nostra mente noi non formuliamo una frase per spiegare quello che facciamo e allo stesso modo non lo fa Molly in questo capitolo. Questa lingua ha una qualità emozionale particolare. Questa lingua è molto emozionale. Poiché noi non ab- biamo segni di punteggiatura spesso ci accorgiamo che nella scrittura standard avremmo avuto un punto escla- mativo. Molto spesso abbiamo tessere che ci fanno capire che siamo in presenza di un’esclamazione («what arm»; «well done»). Ogni singola frase di questo monologo ha valore espressivo-esclamativo dato il contesto in cui questo testo è idealmente prodotto nella finzione del romanzo. In linea teorica questo testo non ha fine co- municativo con un lettore ma è un testo prodotto per se stessi da se stessi. Anche a livello pragmatico questo testo è davvero singolare. Cohn sottolinea anche che abbiamo un’importante commistione dei tempi verbali. Il tempo di questo episodio è scandito esclusivamente dallo sviluppo del pensiero nella mente. La mente non ha un tempo scandito dall’oro- logio. La prospettiva di Molly in questo capitolo è del tutto differente rispetto a quella del protagonista di The Mark on the Wall. Là il pensiero della mente traeva origine dall’osservazione mentre nel caso di Molly il perso- naggio è del tutto immerso ed immobile nell’oscurità. È molto singolare proprio l’ambientazione stessa in cui Joyce colloca, nella finzione, la produzione di questo testo. Nella più assoluta immobilità del corpo giacente nel letto, nel silenzio e nella quiete della notte, il testo è prodotto da una mente irrequieta e agitata. Si riscontra poi una grande confusione dei pronomi. Saltando la mente da un pensiero all’altro, i referenti dei pronomi iniziano a mescolarsi e diventano quasi incomprensibili dal lettore. Questa lingua, quindi, rappresenta come parla la mente, senza fini di comunicazione. La mente parla a se stessa e non ha bisogno dei molti elementi espliciti che servono di norma per comunicare con una persona diversa. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 41 K. Mansfield, The Canary Passiamo dunque ora a Katherine Mansfield. Woolf e Joyce impiegano il racconto breve come un esercizio in vista di scrivere il romanzo. Sia Joyce che Woolf sono interessati maggiormente al maggior dispiegamento temporale che il romanzo consente. Ricoeur dice che il modo in cui il tempo è riconfigurato nel romanzo resti- tuisce il modo in cui noi percepiamo e facciamo esperienza del tempo. Questo è probabilmente il motivo per cui Joyce e Woolf sono maggiormente interessati al romanzo. K. Mansfield, invece, non compose mai romanzi ma solo racconti. Katherine Mansfield morì piuttosto giovane e scrisse solo short stories. Il problema è che è difficile definire la short story, il racconto. Mansfield scrive anche racconti di 50 pagine. Quelle sono short stories o no? Forse Mansfield avrebbe scritto romanzi se avesse vissuto più a lungo. Probabilmente, però, per Mansfield la forma del racconto è perfetta per la sua idea di narrazione. È molto importante il non detto, ciò che viene lasciato fuori dal discorso narrativo nelle narrazioni di Mansfield. Tutta la narrazione di Mansfield punta verso la relegazione di qualcosa di centrale al di fuori della medesima. L’esten- sione del racconto è pertanto perfetta. Questi autori sono molto attenti agli spazi bianchi lasciati nella pagina. Spesso poi nelle stampe quegli spazi sono tagliati e rimane il solo punto a capo. Il vuoto e il bianco in una storia come The Canary hanno un significato molto maggiore del semplice vuoto sul foglio. Hanno un vero e proprio valore tematico e narrativo. Passiamo ora all’analisi del testo. Il racconto si apre con dei punti di sospensione che ci fanno capire che c’è qualcosa che sta prima rispetto a ciò che viene narrato. Ci dà l’idea del fatto che il racconto rappresenta solo una parte dei fatti e non la loro completezza. Quei puntini ci dicono che fin dall’inizio c’è qualcosa che non conosciamo. Nella narrazione in prima persona viene poi subito esplicitata la presenza presupposta di un interlocutore che però non viene mai rivelato esplicitamente. il saggio da studiare su questo testo ci propone di leggere questo racconto come un monologo teatrale. Inconsciamente quello «you» iniziale ci fa sentire chiamati in causa, pro- prio come in un monologo teatrale uno spettatore si sentirebbe chiamato a dover vedere in prima persona questo chiodo sulla porta. La traduzione di questo you però pone enormi problemi siccome può essere tanto inteso come ‘tu’ (informale), quando come ‘lei’ (formale). Se nella traduzione si lascia «vedi» si mantiene l’ambiguità sull’in- terlocutore ma si connota questo scambio dialogioco in senso informale. Se invece si decide di tradurre al ‘lei’ («vede»), l’impressione è del tutto differente. «Hop hop hop» è un’onomatopea. Le onomatopee sono molto importanti in questo racconto. La scrittura modernista dota tutto di un proprio linguaggio. In Ulysses anche i gatti hanno il loro linguaggio. Il miagolio non viene reso in maniera convenzionale con il solo «meow» ma è reso con «Mkgnao» prima e poi con «Mrkgnao» dopo e in altri modi ancora. Questo è indice proprio del tentativo centrale nell’Ulysse di far parlare ogni cosa con il proprio linguaggio, senza imporre sovrastrutture convenzionali al disordine del mondo. Inoltre, il gatto viene dotato di una vera e propria voce quando il gatto ronfa e il personaggio di Leopold attri- buisce un significato a quei ronf. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 44 Si torna sugli elementi che definiscono la persona all’interno della società, si torna sugli elementi che per- mettono ad una persona di essere considerata idonea o non idonea alla società. Il lettore si sente necessariamente coinvolto in questa narrazione ed in questo scambio. È certamente la pre- senza dello you che a livello illocutivo chiama dentro il lettore. È una cosa che avviene anche in modo inconscio. «A duck of a boy» significa ‘un tesoro di ragazzo’. Noi riteniamo che questa persona sia una donna in quanto fa pettegolezzo, attività tipicamente e stereotipica- mente associata alle donne. Anche se non ne siamo consapevoli, generalmente noi attribuiamo un genere ad una voce, soprattutto se è caratterizzata oralmente come quella di questo narratore. Gli uomini del tempo facevano pettegolezzo ma non usavano il loro tempo per fare gossip. La rappresentazione stereotipica del tempo rappre- sentava gli uomini in stanze fumatori a parlare di politica e le donne a parlare di gossip, di famiglia e di casa. Il fatto che noi immaginiamo questa voce come la voce di una donna è un fatto molto interessante che ci fa ragio- nare sulle nostre associazioni mentali preconcette. Noi sentiamo la voce di Rosemary attraverso la forma riportata dalla voce narrante. Non possiamo cioè essere sicuri del fatto che Rosemary ha parlato proprio così come la voce che narra in terza persona ci riporta. Noi possiamo immaginare che quelle riportate siano le parole testuali pronunciate dai personaggi solo sulla base della presunta onniscienza e oggettività che solitamente caratterizza il narratore in terza persona. Noi non sentiamo direttamente la voce di Rosemary ma la forma che ci riporta la voce narrante di quella sua voce che viene così parodizzata. Noi non possiamo sapere se Rosemary si sente davvero così male come ci viene riportata dalla voce narrante. Di fatto qui il discorso ha una funzione distorcente. Questa è una critica sociale molto forte. In questo racconto non si sopporta né Rosemary né quella voce che ci racconta le cose facendo gossip e della quale non si è sicuri di potersi fidare fino in fondo. Si ha cioè l’impressione che sia per prima la voce narrante (che si presu- merebbe oggettiva) a fare gossip anche a riguardo del personaggio di cui narra le vicende. Spesso quando si riporta in terza persona ciò che una persona ha detto di sé si danno dei giudizi solo tramite il tono della voce. Grande importanza in questo racconto ha il tono. Molte affermazioni sarcastiche si capiscono solo grazie all’intonazione che il lettore percepisce. Ci sono molte situazioni in cui il narratore riporta il punto di vista di Rosemary distaccandosi da esso evidentemente in maniera ironica. A seconda del tono con cui si legge questo testo il significato cambia e l’interpretazione muta. Per questo motivo un racconto breve come questo richiede più riletture da parte del lettore. Rosemary è dipinta dalla voce narrante come un personaggio illuso, che crede che qualcuno la ami follemente ma di fatto la voce narrante pensa che tutte queste sue fiducie siano false. Il distaccamento è reso con l’ironia nel discorso riportato. «He would explain» ‘diceva sempre’, è un habit in the past, abitudine nel passato da rendere all’imperfetto in italiano. Il problema è anche capire come il narratore è venuto a conoscere questa storia. Era presente quando la donna raccontava queste cose? Capiamo dunque che è veramente scarsa la certezza della credibilità di questo narratore. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 45 Va notato che la narrazione è svolta al passato per tutto il racconto. È quindi un narratore esterno che racconta vicende al passato. Nella traduzione sarebbe importante trovare un termine che si possa usare sia per un ragazzo che per la scatola per tradurre quell’«a duck» ripetuto. In inglese «a duck» vuol dire di fatto ‘un tesoro’, ‘un gioiellino’. In inglese quell’espressione si può dire tanto di una persona che di una scatola. In italiano è difficile trovare un termine che vada bene in maniera naturale per entrambe le attribuzioni. Qui di fatto la voce narrante parodizza un tic lingui- stico di Rosemary per la quale tutto è a duck, ‘un gioiellino’. Noi inconsciamente tendiamo a fidarci e a dare fiducia ad una voce narrante in terza persona sebbene questo sia un preconcetto ed in questo caso noi abbiamo elementi che lo mettono in grande discussione. Noi a dire il vero potremmo anche pensare che il tic linguistico della ripetizione di a duck per tutte le cose sia proprio della voce narrante e non di Rosemary visto che non siamo nelle virgolette quando questa espressione è impiegata. «She must have it» è un presente, non è più al passato come il resto della narrazione. «In some dim cavern of his mind» è sarcastico. Talvolta ci sono brani di conversazione che non sono inseriti nelle virgolette. Ci sono dei passaggi che sem- brerebbero solo dei pensieri ma che alla luce di quello che segue devono essere stati anche parola che però non viene esplicitata e segnalata. Forse l’assenza di virgolette che talvolta si rileva vuole rendere il modo misto che noi abbiamo di riportare le cose dette da altri. Noi usiamo sia discorso diretto riportato che discorso indiretto senza distinzione. Il punto dei soldi all’interno del discorso sulla società ha un ruolo centrale. È interessante ragionare sulla rappresentazione che di questa società emerge in relazione al discorso sui soldi. Nell’alta società si ritiene imba- razzante parlare di soldi. Non è un caso che proprio qui non compaiano le virgole del discorso diretto riportato. Forse è qualcosa in tono minore, che provoca imbarazzo. Abbiamo poi un commento alla vicenda che non sappiamo bene a che ricondurre ma che sembra appartenere al narratore: «Even if one is rich…». Qui viene detto che il negoziante fa addirittura un inchino a Rosemary che gli chiede di tenere da parte la scatola. È una reverenza eccessiva ma noi sappiamo anche che quel negozio ha pochi avventori e quindi sarebbe superfluo tenere da parte il prodotto. Probabilmente qui viene parodizzata l’illusione di Rosemary che vede in quel gesto un segno di massima riverenza nei suoi confronti. Potrebbe essere inoltre tanto sincera quanto ironica la risposta del negoziante che gli dice che certo gliela terrà da parte senza problemi. Nel caso in cui fosse ironica, questa frase potrebbe anche essere un commento ironico del narratore che prende in giro il personaggio di Ro- semary. In «have an extra-special tea» sembra esserci la lingua di Rosemary con il suo vezzo linguistico. È come dire oggi super speciale, non del tutto corretto e ammesso grammaticalmente. Il tè che vuole Rosemary è un extra- special tea. La ragazza che parla a Rosemary vuole una semplice «cup of tea». È una mendicante. A Rosemary Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 46 questa mendicante non dispiace perché sembra abbastanza ripulita, non sembra una mendicante. Qui si critica fortemente l’ipocrisia del sistema di valori di quella classe sociale. La nuova attrazione di Rosemary per questa mendicante rivela la sua ipocrisia: a lei interessa far collezione di cose e persone strane e l’interesse per questa mendicante sostituisce subito l’interesse per la scatola. La relazione tra Cenerentola e la Fata Madrina non è come quella tra due sorelle. È una relazione piuttosto sbilanciata. Il corsivo usato in «women were sisters» sembra dare un’enfasi nel senso di ‘erano davvero sorelle’. Rosmary vuol trovare qualcosa di eccitante in quel giorno, siccome già non ha potuto avere la scatola. «Longing to begin to be generous» indica la superficialità, la voglia di apparire generosi in una posa pura- mente esteriore. Auerbach nota analizzando To the Lightouse che il narratore sembra essere qualcuno che ha in parte il potere di essere nella mente dei personaggi ma di non poter vedere del tutto all’interno di quella mente. Auerbach chiama demone, daimon, questo tipo di narratore, un essere intermedio, a metà tra il celeste ed il terrestre. Quando abbiamo verbi come ‘sembrare’ in narrazioni di questo tipo l’interpretazione si complica siccome il sembrare implica sempre che ci sia qualcuno a cui sembra una cosa. Quel sembrare implica una soggettività che guarda e che stabilisce il paragone. Il problema è che, come in questo caso, la voce si propone come oggettiva ed in terza persona, non qualificata in altro modo che come una voce. Il passo in questione è qui «To be quite sincere, she looked rather stupid». Viene da chiedersi in molti passaggi dove è posizione il punto di vista. Il Bovarismo è molto influente sulle scritture moderniste. Abbiamo poi diversi punti in cui emerge che la visione non è oggettiva. Se una cosa sembra, quella visione non è oggettiva. Se una cosa sembra ad un’altra, deve esserci una mente soggettiva che stabilisce quella simili- tudine. La lettura di questo racconto rimanda al Madame Bovary di Flaubert. Rosemary legge la vita per mezzo dei libri. Emma Bovary legge letteratura da quattro soldi. Il mondo di questi personaggi quindi si struttura sugli intrecci della letteratura economica. La sua testa è piena di modelli che provengono dalla letteratura e così lei si approccia alla società. V. Woolf, Mrs. Dalloway Il personaggio principale del romanzo è Mrs. Dalloway, ovvero Clarissa Dalloway. La vicenda narrata in questo romanzo si svolge in un unico giorno. Non sappiamo esattamente che giorno sia. È un giorno di giugno. Non conosciamo l’anno in cui si svolge la vicenda ma deve essere un anno successivo alla I GM. C’è in diversi punti del romanzo una citazione di Shakespeare che ritorna nelle menti di Clarissa e di Septimus. Il tema pro- fondo del romanzo è la connessione nascosta e silenziosa che lega le menti. In Joyce le persone parlano con registri diversi e c’è anche la lingua irlandese. In Woolf la lingua è omogenea e non marcata linguisticamente. Non c’è alcun tentativo di rendere i pensieri in italiano o di rendere l’accento italiano nei dialoghi di quel personaggio che viene da Milano. Woolf, quindi, non era interessata a rappresentare le diverse caratteristiche linguistiche di ciascun personaggio– cosa che invece Joyce perseguiva. Woolf era Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 49 elementi per immaginarci Mrs. Dalloway non è neutra ma è soggettiva ed appartenente ad un uomo che partecipa della sua stessa classe sociale. «How many years now?» potrebbe essere una vera e propria domanda formulata nella mente del personaggio. In sostanza, spesso noi abbiamo in questo testo quoted monologue senza virgolette. Dal punto di vista grammaticale, «For Heaven […] do the same» è un perfetto inner monologue. Dopo questa lunga frase però viene un’indicazione tardiva: «can’t be dealt with». Di fatto in questo testo noi viviamo un continuo movimento dall’interno all’esterno della mente del perso- naggio. Noi spesso ci sentiamo dentro la mente del personaggio e poi di volta in volta, prima o dopo, ci viene detto esplicitamente che noi non siamo davvero nella mente del personaggio e che quello che leggiamo è qual- cosa di riportato, in qualche modo. Alla base di questo movimento dentro-fuori la mente del personaggio c’è fondamentalmente un ritmo che rispecchia il ritmo dell’alternanza dei tempi verbali, dei deittici e delle indica- zioni esplicite di impersonalità. Centrale e tipica è l’idea della pinna nell’acqua. Questa immagine può rendere la modalità del viaggio dei lettori nel testo. Leggendo questo testo ci si sente come se di tanto in tanto si riemergesse e si riprendesse aria. Abbiamo delle espressioni che prendono le distanze da ciò che viene detto, c’è un vero e proprio ritmo che spezza i punti in cui siamo direttamente nella mente del personaggio. È come un pesce che si immerge nell’interiorità del personaggio e che poi torna a galla ed esce per un momento da quella interiorità. à cfr. il saggio Il calzerotto marrone in AUERBACH, Mimesis. Secondo Ann Banfield la mente non è mai trasparente nemmeno a se stessa. Il testo di Wolf ci permette in alcuni momenti di coincidere con la mente del personaggio e poi subito ci fa riemergere e ci fa capire che noi stiamo guardando da fuori. Questo è legato a questa idea che l’interiorità, la mente non è mai indagabile fino in fondo chiaramente nemmeno per se stessi. Il continuo tornare a fare capolino della voce narrante, ritmato, rende il movimento di alternanza tra immer- sione nella coscienza del personaggio e riemersione all’esterno. Lo sguardo non è possibile per gli altri nella coscienza di un soggetto ma non è possibile nemmeno per il soggetto stesso. Può essere interessante analizzare questo testo raccogliendo gli elementi pratici e utili che in queste pagine vengono forniti per la comprensione del proseguimento del romanzo. Ed è interessante anche osservare la ma- niera in cui questi elementi vengono forniti, sempre in maniera obliqua. C’è poi una parte su Londra molto interessante perché c’è l’idea di una accumulazione di elementi. Lì viene spesso usato il punto e virgola e per il punto e virgola vale lo stesso discorso dei puntini di sospensione. In ogni punto, il punto e virgola ha una funzione differente e suscita un effetto differente. L’uso del punto e virgola serve per rendere la velocità delle accumulazioni nella descrizione della città di Londra. Viene però usato per la accu- mulazione all’interno della stessa coscienza. Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 50 giovedì 23 marzo 2023 Il pensiero di Lacan e le scienze cognitive sulla coscienza Oggi affronteremo l’approccio lacaniano e quello delle scienze cognitive alla coscienza. Lacan ha studiato molto Joyce e su lui ha scritto. La teoria lacaniana dell’inconscio strutturato come un lin- guaggio trova effettivamente spunti interessanti nella scrittura di Joyce. Lacan ha studiato soprattutto Finnegan’s Wake. Noi vedremo un intervento di un filosofo lacaniano, Sergio Benvenuto, che ha frequentato alcuni dei seminari lacaniani alla Sorbonne. Vedremo due passi specifici di questo lungo documento di quasi un’ora. Il punto centrale del primo estratto che vedremo è capire perché Lacan propone di ritornare a Freud e di apportare alle sue teorie alcune modifiche. Per Lacan noi siamo continuamente guidati da un desiderio continuo che non sarà mai colmato. L’uomo è sempre guidato dalla mancanza, insomma, dalla manque. L’interpretazione lacaniana è oltremodo dibattuta oggi. Estratto I: Il ritorno a Freud è proposto da Lacan in polemica con la psicologia dell’io, dell’ego che si diffon- deva in America. Il ritorno a Freud però è mediato da alcune modifiche. Freud era figlio del positivismo austriaco che lo portava a fondare la psicologia e le scienze umane su leggi simili a quelle della fisica di Newton. Freud, educato al positivismo, pensava che la psicanalisi sarebbe stata la scienza dell’anima. Lacan invece dice che la psicoanalisi è una scienza del tutto diversa. È una scienza che si fonda sul linguaggio. Lacan dice che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, questo è lo slogan. Questa frase proviene dalla linguistica strutturale che negli anni Cinquanta e Sessanta emergeva. Lacan si interessa alla linguistica e a De Saussure. Lacan trae i propri concetti fondamentali dalla linguistica in voga all’epoca, di matrice saussuriana. Lacan nota che la psicanalisi cura non con farmaci, non sul corpo, ma solo con il linguaggio. La psicoanalisi è conversazione, parola. Se l’analista cura attraverso parole e linguaggio, probabilmente allora l’inconscio è esso stesso linguaggio. È qual- cosa di simile a quello che la filosofia idealistica hegeliana ha fatto nella cultura occidentale. È un approccio di tipo idealistico, concettuale. Siccome l’analista opera con il linguaggio si può immaginare che l’inconscio stesso sia linguaggio. Freud nell’Interpretazione dei sogni propone un metodo linguistico di fatto per l’interpretazione dei sogni. Lacan però va più in profondità. Lacan mette in grande evidenza che per Freud l’interpretazione va fatta sulla superficie, sul linguaggio. Per Freud e Lacan non si deve fare come gli jungiani, ovvero non si deve andare a scavare in cerca di archetipi mitici. Nell’analizzare un sogno cioè, non si deve andare a ricercare il significato simbolico delle immagini e la sua relazione con il patrimonio archetipico del genere umano. Per Lacan e Freud bisogna piuttosto rimanere sulla superficie e interpretare innanzitutto da un punto di vista lingui- stico il sogno. Secondo Lacan l’inconscio non sta dentro l’individuo ma fuori. Lacan ha contribuito a liberarci dalla vita interiore. L’inconscio non sta nella cassa del corpo. L’inconscio sta fuori. Questo fuori è l’Altro ed è il linguag- gio. Questo perché noi nasciamo nel corpo della nostra madre ma il linguaggio che ci viene insegnato proviene sempre dall’esterno. L’inconscio quindi per Lacan viene sempre dall’esterno. Benvenuto cita un esempio che aveva fatto Freud, quello del sogno di Alessandro Magno del satiro danzante sullo scudo, fatto durante l’assedio della città di Tiro. L’interpretazione data nell’antichità all’indovino Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 51 interpellato da Alessandro Magno – reputata corretta da Freud – è che il satiroo stava, linguisticamente e lette- ralmente, per sa-tyros, ‘Tiro è tua’. Di fatto poi, di lì a poco, effettivamente, Alessandro magno avrebbe conqui- stato Tiro facendola propria. Come si è detto, Freud proviene da una attitudine positivista. Per Freud quindi la psicoanalisi è un adattamento della fisica newtoniana all’anima umana. Per Lacan il punto di riferimento è lo strutturalismo del tempo che nasce con la formulazione saussuriana della distinzione tra langue e parole. La langue è il concetto astratto del linguaggio. Parole è il linguaggio che noi usiamo nel pratico. Questa distinzione si rispecchia nella distinzione tra significato (concetto astratto) e significante (produzione fonetica pratica e materiale). Il fatto che noi usiamo una parola diversa in ciascuna lingua per nominare uno stesso oggetto dimostra, secondo Saussure, che il rap- porto tra la parola ed il concetto è arbitrario. La parola non contiene in sé il concetto. Nel programma c’è un testo di Brivich su Lacan e Joyce. La dialettica hegeliana è in Hegel una forza gene- rativa che permette una sintesi. In Lacan invece la dialettica è una forza disgregante, non si raggiunge mai una sintesi. Sia Lacan che Joyce prendono spunto dalla dialettica hegeliana. Importante è poi per Lacan l’idea che l’inconscio viene da fuori. Questa idea distrugge la normale visualiz- zazione che noi abbiamo dell’inconscio comunemente. Noi abbiamo solo l’illusione che l’inconscio sia nostro e che noi lo abbiamo creato. L’inconscio in realtà è sempre un confronto con l’Altro (l’Autre, the Other). L’Altro è la lingua in sé, che si manifesta negli altri individui ed in noi. Il paradosso è che l’inconscio è fatto di lingua ma la lingua non si trova in noi. Noi apprendiamo da forze esterne la lingua, non nasciamo con essa dentro di noi. È quindi la lingua a strutturare il nostro inconscio ma la lingua non è nostra, viene imposta dal di fuori. Il problema è che l’Altro è qualcosa al quale non ci riuniremo mai. Questa è la grande mancanza che è destinata a rimanere per sempre non colmata. Vediamo ora il secondo estratto. Vedremo anzitutto un estratto di uno dei seminari di Lacan. Lacan era solito organizzare dei seminari in cui potevano essere fatte delle domande a cui lui avrebbe risposto. Per Lacan la lingua che noi usiamo deve essere aderente al fatto che il nostro inconscio è fatto di lingua. La lingua logica e razionale non funziona perché impone un ordine, una logica ad una cosa che non è logica né ordinata. Per questo Lacan si esprime in maniera molto esoterica. Per lui non si possono costruire discorsi logici perché essi sono delle mistificazioni. Lui, quindi, parla in maniera mimetica rispetto al suo pensiero, in maniera non logica. Que- sto è l’unico modo sensato di parlare e di ragionare, secondo lui, assecondando il nostro inconscio che è fatto di linguaggio ma non linguaggio razionale. Lacan rappresenta l’essenza della sua teoria proprio con questo suo modo di tenere seminari e con questo suo modo di parlare. Da un seminario di Lacan: l’essere è perché parla, per Lacan. Non c’è essere che nel linguaggio. Il parlante quindi si crede essere. «In molti casi basta credersi per essere in un modo o nell’altro. Il minimo che si possa dire è che tutto ciò che si edifica tra gli animali detti umani è costruito, fabbricato, fondato sul linguaggio. Ciò non significa che gli altri animali sociali (formiche api o altri) per il solo fatto che noi ci dedichiamo loro dedi- candogli del tempo non abbiano un linguaggio, non abbiano qualcosa, solo non lo sappiamo e per questo siamo costretti a dire che è l’istinto e siamo costretti a legarli insieme. Sembra difficile non accorgersi che ciò che lega gli esseri umani tra loro sia in rapporto diretto con il linguaggio. Chiamo discorso quel non so che si fissa e si Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 54 Aubert era un lacaniano e joyceiano. Aubert ha preso parte ad alcuni seminari di Lacan. Lacan propone di distinguere il sintomo dal sinthòmo. Per Freud il sintomo era un segno linguistico che emerge nel discorso del paziente. Cogliendo il sinthòmo si può capire qual è il problema del soggetto. Questo vale per Freud ma non per Lacan. Per Lacan il sinthòmo è qualcosa di positivo. Esso è qualcosa che non va curato ma è in realtà un mecca- nismo di gestione per il soggetto della continua mancanza e della continua lontananza dal reale. Lacan parla di jouissance. Essa è un momento, un processo, un atto in cui si può godersi la propria situazione di continuo desiderio e di continua mancanza dall’oggetto del desiderio. È insomma un atteggiamento positivo nei confronti della propria mancanza. La jouissance è quindi un atto epifanico in cui si impiega la lingua in un modo che rende chiaro che non si ritiene possibile di potersi esprimere con il linguaggio ma al tempo stesso permette di godere di quella consapevolezza. Questo è il nodo più complicato. Non si capisce bene che cosa sia questo sinthòmo. Lacan si concentra sul come godersela nella situazione della consapevolezza della perpetua mancanza, della consapevolezza del fatto che si sarà sempre afflitti dal desiderio di qualcosa con cui non ci si potrà ricongiungere. La lingua creativa di Joyce è per Lacan la migliore che permette di percepire il nostro essere fatti di lingua nel senso di essere modellati dalla lingua e di poter esprimere se stessi per mezzo della lingua. Nelle pagine del saggio di Brivich alle pagine 6-7 contesta direttamente la teoria di Cohn sul Penelope di Joyce. Brivich contesta l’idea per cui Penelope sarebbe l’unico esempio di monologo interiore autonomo. Cohn cerca tutta una serie di indizi che permettano di capire che la lingua di Molly è in quel passaggio non comunica- tiva. In termini lacaniani però una lingua non comunicativa non esiste perché con una produzione linguistica ci si rivolge sempre a ciò che è assente, alla mancanza. Brivich nel capitolo Intersection permette di capire come il dialogo funziona in Joyce, soprattutto in Dubli- ners. Joyce rappresenta il dialogo come qualcosa che non permette davvero la comprensione. Vediamo ora l’approccio delle scienze cognitive. C’è stata una vera e propria rivoluzione a riguardo il modo di capire in che modo la mente funziona. Questa rivoluzione è appunto quella delle scienze cognitive. Bisogna distinguere tra cognitivo e cognitivista. Cognitivo è un termine neutro che si riferito alla cognizione. L’approccio cognitivo si sviluppa nella psicologia a partire dagli anni Cinquanta. Esso vede la mente come un computer. Questa visione è stata superata a partire dagli anni Novanta. I cognitivisti non propongono di vedere la mente come una macchina. La mente dai cognitivisti è vista come un modello più complesso di quello di un computer. Le scienze cognitive sono un tentativo di capire come funzionano i meccanismi della mente. Probabilmente alla base di ciò che per noi è coscienza ci sono immagini inconsce. La teoria cognitiva vuole dimostrare che i fattori che ci determinano non sono consci. La sfida delle scienze cognitive, quindi, è di cercare di dimostrare che noi non controlliamo nulla della nostra coscienza e che quindi la nostra coscienza non esiste. Per le scienze cognitive l’inconscio non è ciò che noi reprimiamo ma è semplicemente ciò di cui noi non siamo consapevoli. Non c’è quindi giudizio medico sull’inconscio. C’è l’idea che noi agiamo sulla base di mec- canismi che non sono chiari a noi. venerdì 24 marzo 2023 Letteratura inglese A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli 55 Bisogna tenere presente che la maggior parte delle cose scritte da Joyce sono in terza persona. Eveline sulla carta è un racconto in terza persona piuttosto tradizionale. Si entra però nella mente del perso- naggio femminile mai in maniera esplicita. Resta da capire dove si attua questo passaggio e quali sono i segnali linguistici. Bisogna prestare attenzione dove, a livello lessicale e sintattico, il linguaggio non sembra appartenere a un narratore neutro ma sembra portare su di sé i segni linguistici che solo un personaggio può avere. Bisogna prestare attenzione alla sintassi perché è moto interessante. È interessante prestare attenzione alle ripetizioni. Ogni racconto di Dubliners porta con sé qualcosa dei testi precedenti e anticipa qualcosa dei successivi, proprio come fa un essere umano. Eveline è il primo testo della sezione II di Dubliners, quella dedicata all’adolescenza. Sono stati inseriti i materiali relativi alla lezione su Lacan e sulla coscienza nel Novecento. Qui è presente un pezzo di un saggio di Sheldon Brevich. Qui Brevich polemizza direttamente con il saggio di D. Cohn preso in analisi da noi nel corso delle lezioni. Da una prospettiva lacaniana si interpreta l’intero fenomeno del pensiero in maniera diversa rispetto a quella tradizionale. Il rivolgersi all’altro nel linguaggio è inevitabile. Per Lacan è ineludibile la necessità di esprimerci con il discorso. Questa necessità c’è e impone di non poter fare a meno di usare il linguaggio per esprimerci. Nei primi mesi della nostra vita noi non abbiamo bisogno di questa media- zione. La lingua per Lacan è ciò di cui siamo fatti, la nostra forma, e al tempo stesso è anche una barriera siccome rappresenta la mediazione necessaria per il desiderio al di fuori dell’età neonatale. Il nostro desiderio è rivolto verso il reale ma questo desiderio non può mai essere saziato. Anche quando noi parliamo con noi stessi, in termini lacaniani, parliamo con l’Altro e stiamo manifestando il nostro bisogno dell’Altro. Non è insomma vera quanto sostenuto da D. Cohn ovvero che il monologo interiore autonomo come quello di Molly non ha intento comunicativo e non è rivolto a nessuno. Ogni discorso, soprattutto quello mentale, è comunque sempre rivolto a se stessi e al proprio Altro. Anche la percezione è sempre mediata dall’Altro. I dialoghi in Joyce non servono mai a chiarificare le cose. I dialoghi non servono mai a farsi capire reciprocamente ma funzionano proprio come un velo. Questo è quello che Brevich osserva nel suo saggio. L’ellissi che si vede agire costantemente in Joyce e in Mansfield rende fisicamente l’idea centrale di Lacan della mancanza. Per Lacan ogni atto comunicativo è un tentativo di gettarsi al di là di un vuoto che l’individuo non riesce mai a superare e a colmare. L’ordine simbolico, quello dominato dal linguaggio e dalla legge, è l’ordine in cui noi impariamo a vivere in una società usando il compromesso della lingua. In tutti i racconti che abbiamo preso in considerazione si vede in azione la lingua come compromesso sociale. La lingua è uno strumento funzionale al patto sociale. Il saggio di Hogan invece propone l’analisi di un passo di Ulysses scelto come esempio dei processi paralleli teorizzati dalle scienze cognitive.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved