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Lo sviluppo umano sostenibile concetti metodologie trattazione statistica e connessioni con l'evoluzione dell'economia internazionale, Dispense di Economia

sviluppo umano sostenibile

Tipologia: Dispense

2014/2015

Caricato il 17/01/2015

baburru
baburru 🇮🇹

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Scarica Lo sviluppo umano sostenibile concetti metodologie trattazione statistica e connessioni con l'evoluzione dell'economia internazionale e più Dispense in PDF di Economia solo su Docsity! INTRODUZIONE Lo sviluppo, nelle sue controverse caratterizzazioni, è un argomento di stringente attualità, soprattutto se si pensa che buona parte del mondo non vi ha ancora accesso. I presente lavoro tenta di esporre un approccio alla problematica presentato a livello internazionale dall’agenzia dell’ONU UNDP (United Nations Development Programme): lo sviluppo umano sostenibile. Dopo aver tracciato una breve cronologia della storia dell’economia dello sviluppo (capitolo 1), verranno trattate le sfide alla teoria ortodossa lanciate dai basic needs e dallo sviluppo sostenibile (capitolo 2). Nel capitolo 3 si indagherà sulle basi filosofiche e culturali del concetto di sviluppo umano, esponendo in particolare la teoria delle capacità e dei funzionamenti di A.K. Sen, da cui i rapporti dell’UNDP hanno tratto l’approccio al problema. Verrà quindi esaminata proprio l’attività divulgativa dell’UNDP, e il tentativo di combinare i concetti di sviluppo umano e sviluppo sostenibile. Esaurita la parte storico-concettuale, verrà affrontato il problema della misurazione dello sviluppo umano, partendo dai tentativi di calcolo del benessere globale di uno stato, sia in ambito sociale, sia per la parte ambientale (capitolo 4). Nel capitolo 5 si esporrà la metodologia utilizzata dall’UNDP per il calcolo dell’indice dello sviluppo umano (Human Development Index = HDI), analizzando le ragioni della scelta dei tre indicatori che lo compongono e della tecnica di aggregazione. Riscontrata la mancanza di un indicatore di libertà nell’HDI, verrà discussa la possibilità e l’opportunità di tale esclusione, sia su base concettuale, sia in termini empirici (capitolo 6). Il settimo capitolo sarà dedicato alle elaborazioni statistiche fondamentali che si possono trarre dai dati utilizzati dall’UNDP per calcolare l’HDI, senza scordare una critica all’affidabilità delle cifre in questione. Sulla base dei risultati ottenuti, e ripartendo geograficamente e con i clusters derivanti dall’analisi delle dissomiglianze, il mondo in aree e regioni distinte, verrà studiato lo stato e il progresso nello sviluppo umano, tenendo presente le tematiche economiche e politiche più rilevanti a livello internazionale. L’ultimo capitolo riguarderà le critiche più frequenti rivolte allo sviluppo umano sostenibile e all’HDI, a cui si cercherà di rispondere, e una nuova proposta metodologica basata sull’insiemistica “fuzzy” per le elaborazioni legate allo sviluppo umano. 1 CAPITOLO 1 BREVE STORIA DELL' IDEA DI SVILUPPO 1.1 Dalle origini alla confusione con la crescita Prima di approfondire l'oggetto della tesi, lo sviluppo umano, si cercherà di ricostruire una breve, e quindi necessariamente incompleta e non esaustiva, cronaca dell'evoluzione dell'idea di sviluppo.1 Pochi concetti economici hanno assunto nel tempo un ventaglio di significati ampio come quello di sviluppo: H.W. Arndt afferma a proposito: "Lo sviluppo, nella vasta letteratura esistente sull'argomento, sembra comprendere tutti gli aspetti della società ottimale, la strada che ognuno di noi percorre verso la propria utopia".2 I "padri" dell'economia classica diedero grande rilievo al tema dello sviluppo, o "natural progress of opulence" secondo gli scritti di A. Smith; si può ricordare a riguardo l'importanza della dinamica divisione internazionale del lavoro - allargamento del mercato per lo stesso A. Smith e la forza espansiva del capitalismo per K. Marx. Dalla seconda metà dell'Ottocento le attenzioni degli economisti si spostarono: l'evoluzione del reddito venne considerata come scontata, e si concentrarono sulla distribuzione, l'unica variabile decisiva per i paesi progrediti secondo J.S. Mill (il resto del mondo era ignorato, se non disprezzato, per la sua presunta barbarie). Si dovette aspettare il clima politico instauratosi nel secondo dopoguerra per vedere risorgere l'idea di sviluppo. P. Streeten elenca quattro elementi dello scenario economico internazionale come cause della nascita, e poi ascesa della teoria dello sviluppo: la ricchezza diffusa dell'Occidente, in stridente contrasto con la povertà del resto del mondo; la guerra fredda, che indusse le superpotenze ad elaborare piani per il riscatto economico di paesi potenzialmente alleati; l'esplosione demografica, ritenuta uno dei principali ostacoli al progresso; la decolonizzazione, che implicò il risveglio delle coscienze nazionali.3 Probabilmente l'elemento decisivo che permise l'elaborazione di questa nuova branca della teoria economica fu il cambio di mentalità prodotto dalla seconda guerra 1I testi di riferimento sono stati: Arndt H.W. (1990) “Lo sviluppo economico. Storia di un’idea”, Il Mulino, Bologna; Meier G. M. (1988) “Il periodo formativo”, in Meier G. M., Seers D. (1988) “I pionieri dello sviluppo”, ASAL, Roma, pagg.15-39; Hirschman A.O. (1983) “Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo”, Rosenberg & Sellier, Torino, pagg.191-216; Sen A.K. (1992c) “Sviluppo: quale strada ora?”, in “Sen A.K. (1992a) “Risorse, valori e sviluppo”, Bollati Boringhieri, Torino, pagg.313-339; Streeten P. (1988) “Le dicotomie dello sviluppo”, in Meier G. M., Seers D. (1988) “I pionieri dello sviluppo”, ASAL, Roma, pagg.431-461; Streeten P. (1981) “Development perspectives”, MacMillan, London, pagg.100-132; Little I.M.D. (1982) “Economic development. Theory, policy, and international relations”, Twentieth Century Fund Book, 3-15; Volpi F. (1996) “Sviluppo” Jaca Book, Milano; World Bank (1991) “World development report 1991”, Oxford University Press, New York, pagg.31-51 2 Arndt H.W. (1990), op. cit., pag.9 3 Streeten P. (1981), op. cit., pagg.110-114 4 monetaria, abolizione delle indicizzazioni automatiche dei salari e dei sussidi generalizzati) e le barriere commerciali. Purtroppo, nell'attuare questi piani, molti governi operarono un brusco ridimensionamento dei programmi sociali, inasprendo le deprivazioni dei settori più disagiati delle popolazioni. Proprio questi ultimi però sarebbero stati tra i beneficiari della crescita successiva, in base alla processo di "sgocciolamento" (trickle-down), sostenuto dai teorici dell'offerta allora molto ascoltati. Il giudizio sugli effetti globali dell'aggiustamento strutturale è controverso. G.A. Cornia, R. Jolly e F. Stewart scrissero per l'Unicef nel 1987 il rapporto "Per un aggiustamento dal volto umano", che conteneva diversi rilievi sull'azione della Banca Mondiale negli anni precedenti.5 In particolare veniva messa in rilievo la brevità dei tempi con cui la Banca pretendeva risultati da parte dei paesi in fase di aggiustamento, che impediva di fatto una strategia di ristrutturazione attenta ai bisogni della gente. Pur ritenendo genericamente positiva la tensione versa la stabilità macroeconomica, gli autori dimostravano come un aggiustamento "dal volto umano", cioè rivolto alle esigenze di sviluppo dei cittadini, fosse nel lungo periodo più vantaggioso in termini di crescita dei consumi (soprattutto del 40% più povero della popolazione). La base teorica del rapporto deriva dalla teoria dei "basic needs", elaborata da un gruppo di studiosi, tra cui P. Streeten, all'inizio degli anni '80.6 Il precursore di questo approccio fu un economista liberale degli anni '50, J. Viner, il quale in pressochè totale solitudine (a parte il sostegno di P. Bauer), denunciò l'insufficienza della crescita e l'immoralità degli aiuti indiscriminati, ovvero non indirizzati esplicitamente al fine dell'abolizione della povertà.7 I basic needs sono i bisogni fondamentali, considerati come presupposto per l'opportunità di un tenore di vita adeguato. Rispetto all'impostazione delle politiche anti-povertà degli anni '70, l'enfasi non è più posta sull'obiettivo della riduzione della diseguaglianza, considerato astratto e di complessa implementazione, ma sulla possibilità oggettiva di fornire concrete risorse di base alle fasce di popolazione più indigenti. Solitamente i basic needs considerati sono sei: la nutrizione sufficiente, l'educazione primaria, la salute, l'igiene sanitaria, le disponibilità di acqua potabile e di abitazione con infrastrutture collegate ad essa.8 I basic needs sono interpretabili sia in termini di minime quantità specificate di beni come cibo, vestiti, riparo, acqua e medicine, sia soggettivamente come soddisfazione dei consumatori, messi in grado di guadagnare autonomamente il reddito per i basic needs. La prima versione lascia aperte molte questioni pratiche (ad esempio sull'ammontare ottimale o minimo di quantità) ma conduce a un forte appello morale sulla comunità internazionale, soprattutto sapendo 5 Cornia G.A., Jolly R., Stewart F. (1989) “Per un aggiustamento dal volto umano”, Franco Angeli, Milano 6 Streeten P. e altri (1981) “First things first: Meeting basic human needs in developing countries”, Oxford University Press, Oxford 7 Viner J. (1968) “Commercio internazionale e sviluppo economico”, Unione Tipografico-editrice Torinese, Torino, pagg.781-801 8 Streeten P. e altri (1981), op. cit., pag.93 5 che fornire i basic needs a tutti comporta una spesa pro-capite irrisoria. Per attuare questa politica i governi dovrebbero destinare una parte del proprio bilancio a politiche sociali selettive indirizzate ai poveri, di cui beneficerà indirettamente tutta la popolazione (è l'esatto contrario del trickle down ipotizzato negli anni '80). La non dimostrabilità di questo effetto diffusivo è valsa alla teoria dei basic needs la connotazione di "miserabilità" affibbiata dai critici, ovvero di attenzione esclusiva ai diseredati, senza riguardo per l'evoluzione del tenore di vita degli altri ceti sociali. Ora la teoria dello sviluppo, liberata dai miti9 che l'hanno afflitta per molti anni, si può dedicare ad obiettivi più ristretti ma più concreti, pervenendo così a una maggiore onestà intellettuale e praticabilità politica. 9 Dahrendorf R. (1991) “Imiti della politica di sviluppo”, Dossier Europa n.9, pagg.89-96 6 CAPITOLO 2 LO SVILUPPO SOSTENIBILE 2.1 Il problema ambientale in economia Per gli economisti classici le risorse ambientali erano un elemento fondamentale della produzione.1 Il fattore "terra", disponibile in quantità limitata, era il vincolo da cui scaturiva la rendita per D. Ricardo e il freno a una crescita demografica esponenziale perpetua per T.R. Malthus. Nonostante la possibilità del progresso tecnologico, la scarsità assoluta di terra avrebbe portato in un futuro imprecisato il sistema economico ad uno stadio di stazionarietà. K. Marx inserì la qualità ambientale tra le determinanti del conflitto tra le classi sociali. La contraddizione nasceva dalla decisione dei capitalisti di adottare tecniche produttive labour saving inquinanti, la cui conseguenza era la richiesta da parte dei lavoratori di salari maggiori per poter pagare le cure sanitarie di malattie derivanti dal degrado. Il neoclassicismo, fondato sull'individualismo metodologico, trascurò questo tema insieme al concetto stesso di crescita, per elaborare una scienza esatta, basato sull'equilibrio a cui tenderebbe naturalmente il mercato. La terra scompariva dalla funzione di produzione, per essere inglobata nel capitale. I prezzi erano interpretati come la spia e la guida di ogni comportamento razionale degli operatori, la qualità dell'ambiente era quindi adeguata alle preferenze dei singoli verso tale bene. Con la rivoluzione keynesiana tornò in auge la crescita, ma i teorici si occuparono soprattutto delle manovre di politica economica per garantirla in senso illimitato, con l'aiuto di una tecnologia in evoluzione continua. Negli anni '70, in seguito alla presa di coscienza, a livello scientifico e poi anche nella società, del crescente impatto dell'attività umana sulle risorse del pianeta, nacque l'ambientalismo. I pionieri di questo nuovo orientamento in economia furono K. Boulding e N. Georgescu-Roegen. Il primo contrappose il comportamento predatorio degli uomini, come cowboys in una prateria sconfinata, alla realtà di una comunità mondiale che può disporre solo di risorse limitate, come se si trovasse all'interno di un'enorme astronave. N. Georgescu-Roegen introdusse la disciplina della bioeconomia sottolineando l'interdipendenza tra attività economica ed ecosistema. Analizzando la trasformazione e il consumo di energia da parte della popolazione, teorizzò 1 Per la storia della problematica ambientale nella teoria economica si è fatto riferimento essenzialmente a: Pearce D.W., Turner R.K. (1991) “Economia delle risorse naturali e dell’ambiente”, Il Mulino, Bologna, pagg.17-40 9 accusati di violenza nei confronti della natura e dell'umanità, e H.E. Daly che, rifacendosi alla conclusioni di J.S. Mill, invocò lo stato stazionario per evitare i danni e le irreversibilità della crescita.13 Questi effetti negativi del capitalismo (di mercato e di stato) furono considerati come un sottoprodotto della scarsa attenzione prestata nelle società moderne alle tematiche comunitariste e solidariste. H.E. Daly accusa la teoria economica contemporanea di trascurare la scala, ovvero il volume fisico della produzione, e di concentrarsi esclusivamente sull'allocazione e la distribuzione.14 Mentre i prezzi e i trasferimenti possono costituire mezzi adatti per affrontare queste ultime due problematiche, sono ritenuti inadeguati per gestire i flussi di energia da e verso l'ambiente, le cui risorse non sono illimitate. Un concetto sviluppato negli anni '80 dall'economia ecologica è la cd. carrying capacity, o capacità di carico, definita come "il limite massimo di individui che l'ambiente e le risorse sono in grado di sostenere" dallo statistico belga Verhulst nel 1838, occupato a fornire una formalizzazione matematica del modello demografico malthusiano.15 Secondo i rapporti annuali "State of the world" del Worldwatch Institute, diretto da L.R. Brown, diverse zone della Terra avrebbero già superato, o sarebbero sul punto di farlo, la carrying capacity, come dimostrato dalle carestie, dalla desertificazione e dal fenomeno dell'erosione del suolo.16 Alcuni studiosi hanno pesantemente criticato questa interpretazione, tacciandola di catastrofismo e denunciando gli indebiti paragoni tra le evoluzioni delle comunità animali e umane; in particolare è stigmatizzata la pratica di trascurare la produttività crescente che permette alle società di utilizzare in modo sempre più efficiente le risorse.17 Le previsioni pessimistiche del rapporto FAO "Food, land and people"18 potrebbero essere smentite dal progresso tecnico; definire quanta popolazione può sopportare il pianeta mi pare tuttora impossibile. P.A. David accusa di millenarismo (nonchè di moralismo, antistoricismo ed elitarismo) la fiorente letteratura sui limiti alla crescita, spesso basata su previsioni a lungo termine condotte con modelli strutturalmente sbilanciati nella dinamica delle variabili, ma con coefficienti fissi (ipotesi di invarianza delle relazioni).19 Con questo tipo di modellistica, l'insostenibilità in un futuro più o meno remoto è inevitabile perchè già implicitamente teorizzata al momento della formulazione. 13 Daly H.E., Cobb jr. J.B. (1990) “For the common good”, Green Print, London 14 Daly H.E. (1992) “Allocation, distribution, and scale: towards an economics that is efficient, just, and sustanaible”, Ecological Economics, n.6, pagg.185-193 15 Tibaldi E. (1992 ) “Quanto può sostenere un ambiente? Quanto può sopportare una popolazione?”, Caos, n.2, pag.14 16 Brown L.R., Wolf B. (1988) “Lo sviluppo insostenibile”, in WWI “State of the world 1988”, Isedi, Milano, pagg.231- 232 17 Bailey R. (1993) “I falsi profeti dell’apocalisse”, Mondo economico, pagg.35-42 18 FAO (1984) “Food, land and people”, FAO Economic and Social Developmente Series, Roma 19 David P.A. (1979) “From growth to millenium: economics and the transformation of the idea of progress”, in Boskin M.J. (1979) “Economics and human welfare: essays in honor of Tibor Scitovsky”, Academic Press, New York, pagg.210-248 10 F. Hirsch basa invece la propria critica alla crescita su considerazioni di tipo sociologico: l'evolversi del sistema economico capitalista porta al moltiplicarsi dei beni "posizionali", il cui godimento è massimizzabile solo attraverso l'esclusione degli altri.20 I beni ambientali (soprattutto quelli di valore turistico) entrano a far parte di questa categoria quando il loro sfruttamento è tale da renderli "rari". F.E. Trainer invece auspica che i paesi in via di sviluppo non seguano l'esempio dei paesi industrializzati e che, assunto il fallimento delle teorie dello sviluppo tradizionali, applichino un modello di bassi consumi e autarchia.21 Mentre il dibattito, a volte anche molto aspro, tra ecocentristi e tecnocentristi sembrava arenarsi sulla contrapposizione tra le due visioni, sorse l'idea di sviluppo sostenibile, destinata a occupare una posizione predominante nelle discussioni sull'integrazione economia-ambiente degli anni successivi. 2.2 Il concetto di sviluppo sostenibile Il termine "sviluppo sostenibile" appare per la prima volta nel testo "World conservation strategy" dello IUCN (International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources) nel 1980, ma è solo con la pubblicazione delle conclusioni della World Commission on Environment and Development (WCED) "Our Common Future", detto comunemente Rapporto Bruntland, che si impone all'attenzione generale (1987).22 La definizione WCED è la seguente: "per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri".23 Come ogni definizione, è stata molto discussa, sia per la sua presunta semplicità ingannevole (O' Riondan), sia nei suoi contenuti. Per M. Redclift è un concetto che serve solo a oscurare le contraddizioni tra sviluppo economico e ambiente, poichè non implica una rottura del modello di crescita e di accumulazione lineare che mina i sistemi vitali del pianeta.24 Per altri studiosi lo sviluppo sostenibile è una sorta di rotta, un percorso non suscettibile di rigorosa precisazione, così come i concetti di democrazia e giustizia, ed è quindi anche di difficile implementazione.25 Il Rapporto Bruntland elenca sette imperativi strategici per poter raggiungere uno sviluppo sostenibile: 20 Hirsch F. (1981) “I limiti sociali allo sviluppo”, Bompiani, Milano 21 Trainer F.E. (1990) “Environmental significance of development theory”, Ecological Economics, n.2, pagg.277-286 22 WCED (1988) “Il futuro di noi tutti”, Bompiani, Milano 23 WCED (1988), op. cit., pag. 71 24 Redclift M. (1989) “Sustainable development: exploring the contradictions”, Metheuen, New York 25 Pearce D.W. (1990) “Un’economia verde per il pianeta”, Il Mulino, Bologna 11 • rianimare la crescita economica; • mutare la qualità della crescita; • soddisfare gli essenziali bisogni umani; • assicurare un livello demografico sostenibile; • conservare e aumentare la base delle risorse; • riorientare la tecnologia e gestire i rischi; • integrare ambiente ed economia nella formulazione delle decisioni. Si tratta di obiettivi ambiziosi ancora di realizzazione incerta. E' comunque evidente l'intenzione riformatrice dei processi economici internazionali, ma non rivoluzionaria, nè in senso teorico (non si invoca l'esigenza di una nuova scienza ecologico-economica), nè in senso pratico (non si reclama un nuovo ordine economico mondiale sovversivo rispetto a quello attuale). Per quanto riguarda l'interazione tra dinamica economica e ambiente, il livello e la forma dello sviluppo determinano l'ampiezza del fenomeno della miseria e del degrado delle risorse naturali. I più poveri esercitano una pressione maggiore sull'ambiente rispetto al resto della popolazione perchè costretti, nella lotta per la sopravvivenza, a uno sfruttamento più intenso di terre marginali e beni comuni limitati. A livello internazionale il fenomeno si evidenzia nel cd. "Dutch desease" descritto da S. El Serafy: l'aumento di prezzo dei beni dei beni commerciabili (tra cui i frutti delle risorse naturali) rispetto ai beni non commerciabili con l'estero incoraggia i paesi in via di sviluppo a sfruttare a fondo il capitale naturale.26 A sua volta il degrado ambientale influenza negativamente le prospettive di sviluppo futuro e rende ancora più disagevoli le condizioni dei meno abbienti, più esposti agli effetti dell'inquinamento in termini di salute e reddito. Lo sviluppo sostenibile è una condizione necessaria (ma non sufficiente) per spezzare questo circolo vizioso. La dinamica della qualità ambientale rispetto al reddito è di natura controversa: per alcuni tipi di inquinamento (es. concentrazione di solfuro di diossido) si rileva un andamento a U rovesciata, tale da far ipotizzare una sorta di curva di Kuznets ambientale, ma per altri (es. emissione di anidride carbonica) la relazione è sempre crescente.27 Il dramma sovente però è costituito dal fatto che i miglioramenti di qualità ambientale nei paesi sviluppati derivano dall' "esportazione" delle attività inquinanti nei paesi in vai di sviluppo, i quali si trovano così a soffrire di degrado delle risorse e sviluppo extravertito.28 I principi etici che sottostanno alla definizione WCED sono fondamentalmente due: 1. equità intragenerazionale 26 El Serafy S. (1995) “Measuring development: the role of environmental accounting”, International Social Science Journal, n.145, pagg.61-74 27 Pearce D.W. (1994) “Blueprint 4: capturing global environment value”, Earthscan, London 28 Pearce D.W., Atkinson G. (1993) “Capital theory and the measurement of sustanaible development: an indicator of weak sustanaibility”, Ecological Economics n.8, pagg.103-108
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