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lotta per le investiture, Appunti di Storia della Chiesa

lotta per le investiture. dalle origini agli sviluppi

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 06/06/2023

biancastagni
biancastagni 🇮🇹

5

(2)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica lotta per le investiture e più Appunti in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! LA LOTTA PER LE INVESTITURE (D'ACUNTO) CAPITOLO 1 L'impero era elemento di raccordo tra episcopati e comunità locali e l'essenza di un rapporto istituzionale tra un sovrano ed i “suoi” vescovi prende corpo durante l'età carolingia e si rafforza durante l'età ottoniana, tramite un'integrazione dei vescovi all'interno dei quadri del regnum, una sovrapposizione della carriera episcopale con quella amministrativa. Il rapporto con il potere politico non produceva la degenerazione dell'apparato ecclesiastico ma lo sottraeva agli orizzonti del localismo post carolingio. Dopo la caduta del regno, mancando il potere del sovrano e mancando una forte struttura burocratica, diventa il vescovo a doversi occupare della sua zona di influenza e questo porta ad una limitazione dell'influenza del vescovo che si concrentra su un territorio locale (localismo). Il rapporto con il potere politico lo sottrae a questo localismo, favorendo la sua integrazione nelle collettività locali. Tale sintesi di universalismo e dimensione locale dei monasteri diventa strumento efficace a sostegno della progettualità politica e religiosa. I monasteri diventano rimedio alla dispersione del patrimonio ecclesiastico e riserva patrimoniale per i laici; si andò rafforzando la connessione istituzionale tra corti, poteri locali e diocesi e monasteri, che consentono alle collettività di strutturarsi intorno a patrimoni condivisi. Alla metà dell' XI secolo, l'irruzione di una sensibilità antisimoniaca alla corte di Enrico III, pur senza voler mettere in discussione il sistema descritto, ma mirando alla purificazione di esso dalle pratiche illecite, provocò conflitti locali. Negli ambienti imperiali fu avvertito il rischio di una patrimonializzazione dei beni ecclesiasttici da parte dei vescovi e ciò portò ad interventi regi per scongiurare questa eventualità. Si diffuse in tutto l'occidente dal regno di Enrico III. Non è casuale che questa polemica si incroci con il tema della modalità della circolazione delle risorse economiche nelle istituzioni ecclesiastiche e alla condanna delle ingerenze laicali (si intende l'intromissione dei laici, Enrico III, nella gestione delle chiese) nella gestione delle chiese. Tale progetto riformatore di Enrico III non prevedeva l'esclusione delle autorità laiche dalla gestione della chiesa, ma una resaturazione dell'ordine, richiamando la chiesa all'osservanza della legislazione canonica, specialmente in materia di simonia (peccato della compravendita delle cariche ecclesiastiche). È interessante notare come Pier Damiani, personaggio di spicco della riforma, esaltando Enrico III, ne sottolinei la rottura con la tradizione imperiale. Enrico III non aveva interesse a mettere in evidenza questa discontinuità e Ovidio Capitani (storico) evidenzia che, leggendo i privilegi di Enrico (tutte le concessioni), il richiamo alla tradizione è continuo, richiamando spesso suoi predecessori, ponendo in risalto appunto la continuità delle istituzioni imperiali. L'interventismo del sovrano salico Enrico III (dinastia dei franchi sali da cui deriva il sovrano dell'impero) in fatto di politica ecclesiastica tocca il suo apice con il sinodo di Sutri del 20 dicembre 1046. All'inizio del 1045 c'è una rivolta della famiglia dei Crescenzi a Roma, che costringe alla fuga da Roma papa Benedetto IX, appartenente ad una famiglia nemica. I Crescenzi fanno eleggere al suo posto Silvestro III, membro della famiglia, che neanche dopo un mese fu deposto. Tornato sul soglio di Pietro, Benedetto IX cedette il pontificato dietro pagamento a Gregorio VI nel maggio 1045. Gregorio VI fu accolto con favore da chi aveva condannato la condotta dissoluta di Benedetto. Quando però, nell'autunno del 1046, Enrico III scese in Italia per farsi incoronare, a Pavia convocò un sinodo condannando la simonia. Dopo aver incontrato Gregorio VI, l'imperatore lo convocò ad un altro sinodo a Sutri a cui avrebbero dovuto partecipare anche Benedetto IX e Silvestro III. Solo Gregorio VI si presenta, fu condannato per simonia e venne deposto. Enrico III fa eleggere Clemente II, arcivescovo tedesco, che il 25 dicembre 1046 lo incoronò imperatore. Il nuovo papa muore meno di un anno dopo, e Benedetto IX cerca appoggio per tornare in carica. Ci fu l'elezione di Damaso II, a Natale del 1047. Brunone di Toul, vescovo della città, fu papa dal 1049 al 1054 con nome di Leone IX, sempre voluto da Enrico III. Lo storico Fliche considerava questo interventismo di Enrico III nell'elezione del papa come la massima espressione dell'ingerenza laicale nella vita della chiesa. Al contrario lo storico Tellenbach spiega come Enrico III fosse animato da profonde istanze spirituali. Anche Capitani sostiene che al sinodo di Sutri, egli non esaltava la sua funzione di protettore della chiesa, bensì sanciva l'inviolabilità dell'ordinamento clericale (fu un intervento non provocato dall'indegnità dei pontefici ma Enrico III si scaglia contro gli abusi, come la simonia, nella struttura ecclesiastica ed esercita la funzione di ordinamento ecclesiastico, da buon imperatore, svolgendo il suo ruolo senza motivi personali). CAPITOLO 2 Leone IX era vescovo di Toul, diocesi facente parte della chiesa dell'impero (Reichkirke), in cui era stato insediato dal cugino imperatore Corrado II. Fu scelto da Enrico III come papa dopo Clemente II e Damaso II ma conservò, come questi due predecessori, la sede vescovile a cui era preposto, condizione che solitamente non avveniva. Gli venne suggerito da Ildebrando di Soana di farsi eleggere regolarmente dal clero e dal popolo romano oltre all'investitura datagli dall'imperatore. Quindi il 12 febbraio 1049 venne consacrato. Questa scelta del papa di seguire la procedura canonica, non ritenendo sufficiente la nomina dell'imperatore è stata interpretata in passato come l'inizio della riforma ecclesiastica ostile all'ingerenza dell'imperatore nell'elezione papale. Leone IX si caratterizza per essere il primo vero papa imperiale dell'età delle riforme, in quanto con lui gli orientamenti riformatori di Enrico III poterono essere attuati, in quanto i suoi predecessori erano stati in carica troppo poco per atturare provvedimenti. La riforma di Leone IX fu all'insegna dell'imperializzazione del papato, mediante la quale la sede romana assorbì dall'impero molte caratteristiche. Questo fu possibile quando un gruppo di ecclesiastici vicini alla corte imperiale si concentrò intorno a Leone IX. Ildebrando, dopo il consiglio, venne eletto come arcidiacono ed economo della chiesa romana. Iniziava quindi a nascere una nuova clase dirigente che aveva nella lotta alla simonia la sua missione, ma individuava in questa un criterio discriminante per la selezione dei vertici (come per Ildebrando, che viene scelto dal papa per amicizia). Bonizzone fa coincidere l'inizio della riforma con il conferimento della carica di economo della chiesa romana ad Ildebrando, che è il primo episodio di rinnovamento del gruppo dirigente, che segnerà totalmente la rivoluzione della chiesa di Roma. Un gruppo di ecclesiastici provenienti dalla Lotaringia spiega l'equilibrio tra la chiesa di cui leone IX era a capo e l'impero di cui faceva parte (questo gruppo di ecclesiastici, un elite della lotaringia, fa da media tra roma e l'impero). Secondo Fliche questo gruppo aveva il merito di aver elaborato un programma pre-gregoriano che aveva saputo anticipare l'ideologia di Gregorio VII. Con il pontificato di leone IX l'assunzione delle caratteristiche tipiche del funzionamento dell'impero è visibile, a partire dall'imitazione dell'itineranza della curia, che prendeva esempio dalla corte imperiale (leone IX passa solo 9 mesi su 61 a roma, muovendosi, riprendendo l'idea della corte medievale che cambia da dopo Carlo V parlando già però del 500). Tale processo di imperializzazione del papato ebbe conseguenze sul gruppo di collaboratori: l'itineranza della curia comportava che roma fosse presiedata da persone fedeli a leone IX con modalità simili a quelle messe in atto nei periodi di vacanza della sede apostolica. C'è quindi una proiezione del papato verso le periferie geografiche della cristianità, con il papa che si muove per l'europa. Si passa ad un papato attivo, come testimonia l'aumento di produzione dei documenti pontifici e l'uniformazione della chiesa dal punto di vista formale. Questa era una conseguenza dell'imitazione del funzionamento delle fonti documentarie imperiali. Questa riorganizzazione della prassi cancelleresca di leone IX era possibile in quanto i vescovi partecipi avevano una grande cultura documentaria, seguendo il modello imperiale era stato possibile questo anche all'interno della chiesa. Leone IX infarcì la propria curia di chierici e monaci portatori di istanze riformatrici ma non imperiali. L'itinerario di leone IX era sovrapponibile con quello di enrico III e leone IX continuò a considerare compatibile il suo incarico con l'esercizio della funzione bellica (combatte i normanni con le armi e il papa fu a comando dell'esercito: prima di diventare papa accompagna il cugino nella sua campagna militare in italia). Pier Damiani prese le distanze da questa politica militaristica anni dopo la morte del papa condannando l'uso delle armi da parte degli ecclesiastici. Nel 1049 Pier Damiani condannava le forme di omosessualità tra gli ecclesiastici e ne invocava la deposizione ma la normativa del papa riguardo questa materia non era uguale ai provvedimenti auspicati da damiani. Nella curia si creò un dibattito tra chi si mostrava inflessibile verso i chierici peccatori, come Damiani, e altri sostenitori di tesi più moderate. Sappiamo anche che alcuni nella curia marciarono contro Pier Damiani. Questo conflitto riguardo le pene da infiliggere ai peccatori si vede anche sul tema delle ordinazioni simoniache, ovvero di che cosa volesse dire simonia effettivamente. Vi era un pluralità di orientamenti nella curia e le tesi di Damiani erano moderate in materia ed erano condivise dalla maggioranza del clero del regno. Ma questo invece si scontra con il rigore predicato da Umberto di Silvacandida, anche perché perfino l'ordinazione sacerdotale di pier damiani, se fosse passata la linea dell'adversus simoniacus ovvero ci riferiamo a Umberto di Silvacandida sarebbe stata messa in discussione in quanto egli stesso era stato consacrato da un simoniaco. Ma che cosa cos'è la simonia? La simonia è una parola che deriva appunto da Simon mago, il mago che viene narrato appunto all'interno degli atti degli apostoli egli offrì denaro in cambio di poter ricevere il potere di imporre le mani e di offrire lo Spirito Santo. Al che gli venne detto dagli Apostoli che ciò che stava dicendo era blasfemo perché nessun male nessun denaro umano avrebbero potuto comprare o imporre lo Spirito Santo. Nonostante Simon mago si pentì della sua richiesta fatta a Pietro, il suo nome restò legato al tentativo di ottenere una carica ecclesiastica versando denaro. Nonostante in tutto il medioevo la condanna formale della simonia non venne mai meno, Nella seconda metà dell'11° secolo si intensificarono le polemiche attorno a questa pratica tanto che si aprì un dibattito teologico che faticò a definire quali pratiche potessero essere ritenute simoniache. Si aprì Dunque una discussione teologica canonistica fuoribonda che verso la fine del secolo però andò a ridimensionarsi quando la regolarità e l'elezione dei Vescovi passano in secondo piano rispetto Ministero; i diaconi che invece avessero scelto il celibato e poi avesssero deciso di sposarsi, avrebbero perso il diaconato. In ambiente Milanese si osservava Dunque che era lecito conservare la funzione a coloro che erano già ammogliati anche prima dell'ordinazione. Questo diritto canonico conservò fino alla compilazione del “Corpus Iuris Canonici” una pluralità di comportamenti ammessi in base a questo policentrismo della chiesa. A partire dalla metà dell'undicesimo secolo poi con il rafforzamento del centralismo papale, la disciplina del celibato divenne sempre più rigorosa e uniforme. Leone IX nei sinodi romani del 1049 e del 1050 reiterò il divieto di congiungersi con le proprie mogli da parte dei sacerdoti e queste sarebbero state poi prese come Serve nel caso. nel sinodo del 59 noto per il decreto che porterà appunto al nuovo modo di eleggere il Papa si prevede anche il divieto di partecipare alle liturgie ufficiali da Chierici concubinari dunque non bisognava più partecipare alle messe effettuate da ecclesiastici che avevano moglie o avevano concubine. non vi era dunque più differenza tra matrimonio legale, concubinato. Pier Damiani in una lettera al Papa Nicolò II scrive che avendo una concubina, l'ecclesiastico si separa dalle membra di Cristo diventando corpo della prostituta riprendendo degli scritti degli Apostoli secondo cui fornicando si andava perdendo la giusta strada. Inoltre prende anche un altro tema Pier Damiani più originale, secondo cui se un padre profana con incesto sua figlia viene allontanato dalla chiesa e messo in prigione, dunque con ancora più severità deve esssere trattato chi profana una figlia spirituale, non di carne (tutti i figli della chiesa sono figli dell'ecclesiastico e quindi essendo l'ecclesiastico sposo della chiesa, tutti coloro che sono stati battezzati in quella chiesa vengono vincolati al sacerdote con un legame di figliolanza, creandosi il concetto di eresia nicolaitica). Nicola sosteneva che tutti i Chierici avevano la possibilità di congiungersi in matrimonio e poiché l’apostolo Pietro dichiara “nessun fornicatore avrà parte al regno di Cristo di Dio”, chi non ha diritto all'eredità del regno di Dio quindi chi è un fornicatore con Che diritto occupa la dignità di prelato della chiesa? quindi Chi effettua tale eresia dichiarata appunto illecita da Pietro stesso non può far parte appunto dei ranghi della chiesa. Pier Damiani considerò le spiegazioni a difesa di queste consuetudini ad esempio a Milano come ancora più gravi delle pratiche stesse. Non aveva senso distinguere tra chierici sposati legalmente e chi aveva concubine. Inoltre lo scisma del 1054 sancì la differenziazione nella disciplina celibataria fra Occidente e Oriente. Anche Umberto Silvacandida adduce argomenti poco dissimili da quelli di Pier Damiani nel difendere la castità i sacerdoti. Gregorio VII stesso sostiene che il connubio carnale del sacerdote lo lega al diavolo ovvero il capo stesso della sinagoga di Satana, un anti-chiesa che comprendeva l'imperatore Enrico IV i suoi seguaci. nel sinodo del 1075 il pontefice stabilisce che se qualche membro degli ordini ha preso moglie o ha concubina non potrà più svolgere il suo ministero. Gregorio VII aveva ben chiare le conseguenze del matrimonio del clero, in quanto il nicolaita si costruisce La dote dalle figlie avute dall'illecito matrimonio usando la proprietà della chiesa, quindi il peccato più grave del nicolaita consiste non nel commercio carnale bensì nell'uso sacrilego del patrimonio ecclesiastico: ecco a che cosa Mira Dunque il Papa, a evitare che il patrimonio della chiesa possa essere dato dai Vescovi in dote ai propri figli e dunque evitare una patrimonializzazione privata del patrimonio della chiesa. Le reazioni alle resistenze a questa offensiva non furono sporadiche ma proseguirono a lungo. Non fu raro il caso di donne che si ostinavano a risiedere con gli ecclesiastici e per loro Gregorio VII dispose lo Stato servile. Nel 1078 il pontefice vietò il matrimonio ai sacerdoti, ai diaconi e ai suddiaconi e ai figli dei sacerdoti vietò l'ordinazione e al clero in generale l'accumulo delle prebende, mettendo quindi un argine alla costituzione di una sorta di casta sacerdotale, che si passava di generazioni in generazione il controllo dei beni della chiesa. La nuova disciplina celibataria mostrò i suoi frutti a partire già dal pontificato di Urbano II e nel 1123 il primo concilio Lateranense, ponendo fine alla lotta per l’investiture proibì nel modo più assoluto ai sacerdoti e ai diaconi di vivere con le concubine o con le mogli. La fine del sistema della Reich Kirke portava con sé la netta distinzione della sfera temporale da quella secolare, come voluto da Umberto di Silvacandida nell'adversus simoniacos. Scisma del 1054 La disciplina del matrimonio del clero era una differenza tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa (chiese ortodosse per policentrismo). In oriente bizantino la castità era obbligatoria solo per i monaci, non per tutto il clero. Tale differenza fu sancita dallo scisma del 1054. Nel sistema antico, la posizione del vescovo di roma come successore di pietro non aveva mai smesso di essere riconosciuta ma di fatto le chiese d'oriente erano subordinate al basileus, ovvero l'imperatore. Qualcuno in maniera anacronistica ha parlato di cesaropapismo, ma tale categoria presuppone che l'imperatore d'oriente avesse usurpato il potere del papa, quando invece il supremo potere della chiesa di costantinopoli era deteunto dal patriarca. Le discussioni che portarono alla divisione del 1054 non vertono sul primato romano, ma era chiaro a leone IX e pier damiani che i nuovi contenuti della dottrina della chiesa di roma risultassero incompatibili con il sistema incentrato sulla centralità dell'imperatore (si erano battuti in occidente per distinguere le due sfere, in oriente non si poteva permettere la presenza di un imperatore così importante). Le rivendicazioni dell'universalità del potere papale cozzavano con la tradizione di attribuire tale connotazione all'imperatore d'oriente. Nella primavera del 1053 Leone IX incarica Umberto di Silvacandida di tradurre dal greco un pamphlet contro l'obbligo del pane azzimo nella liturgia a costantinopoli. Tale scritto che aveva lo scopo di attenuare le tensioni tra oriente e occidente divenne causa scatenante del conflitto perchè Argiro di Bari, catapano d'italia (rappresentante nell'italia bizantina del potere imperiale) aveva paura che la riconciliazione tra papa e impero bizantino avrebbe ridimensionato il suo potere politico. Dunque, con l'intento di far fallire le trattative, fece pervenire questo scritto proprio a Umberto, esponente più radicale della curia romana, timoroso che l'avvicinamento tra roma e costantinopoli avrebbe limitato l'intraprendenza del papato riformatore per cui tanto si era battuto. Umberto nella traduzione aggiunse al nome dell'autore anche il nome del patriarca, Michele Cerulario, provocando la rabbia di Leone IX, che convocò a Bari un concilio nel 1053. Il modo di pensare la trinità (in Oriente lo Spirito Santo non procede anche al figlio, come in Occidente) influiva anche sul modo di pensare la chiesa e la riflessione sul mistero della trinità aveva implicazioni anche politiche. Il contrasto diede origine ad una serie di scritti polemici scritti da Umberto ed altri collaboratori cardinali. Leone IX li inviò come legati a Costantinopoli all'inizio del 1054. Qui i legati intrattennnero buoni rapporti con l'imperatore ma non con il patriarca Michele Cerulario. La bolla di scomunica scritta da Leone IX verso Michele venne deposta dai legati sull'altare della basilica di Santa Sofia a luglio. Dopo un primo congedo dall'imperatore, i legati partirono,ma dietro le insistenze di Michele furono richiamati. Ci fu un inutile tentativo di riconciliazione, al seguito del quale i legati lasciarono poi definitivamente Costantinopoli. Quella del 1054 fu percepita dai contemporanei come una rottura temporanea, tanto è che nel 1058 papa Stefano IX affidò una missione esplorativa per cercare di riconciliare roma con costantinopoli all'abate di montecassino, futuro papa Vittore III, che in procinto di salpare fu raggiunto dalla notizia dell'elezione di abata e rinunciò al viaggio. Il nuovo patriarca di costantinopoli con intenti distensivi mandò una lettera al papa, non ricevendo però risposta. I rapporti andarono affievolendosi anche per la sempre più forte affermazione del primato di roma sul governo della chiesa oltre al riconoscimento al papa dell'attributo “universale”. Dunque questo scisma viene inteso non come una rottura forte tra le due chiese: in questo scisma a scomunicarsi a vicenda furono solo papa e patriarca di costantinopoli, vennero scomunicate solo le due figure, non tutta la chiesa d'oriente o d'occidente, mantenendo validi i riconoscimenti all'altra chiesa. Questo scisma si andò ad inquadrare in un periodo in cui l'autorità papale si stava rafforzando e non si riuscì a trovare il modo di riconciliare la divisione. Morto Leone IX, Umberto e il cardinale Bonifacio e l'arcivescovo Ildebrando si recano a magonza per consultarsi su enrico III. La scelta cadde su un parente dell'imperatore, il futuro papa Vittore II in linea con gli ordinamenti riformatori di enrico. Durante il suo pontificato, nel 1056 morì enrico III e suo figlio di 6 anni fu affidato alpapa che però morì meno di un anno dopo. Il nuovo papa Federico di Lorena, fratello di Goffredo il Barbuto, fu eletto sotto il nome di Stefano IX a soli 5 giorni dalla morte del predecessore. Con la morte di enrico III le strade dell'impero e del papato si trovano a divergere (impero ha connotazione tedesco e papato matura il suo primato). Alla morte di stefano IX l'aristocrazia romana elegge Benedetto X, mentre i cardinali che avevano giurato a Ildebrando di non eleggere nuovi papi prima del suo ritorno dalla Germania scapparono e a Siena elessero papa il vescovo di firenze che prese il nome di Nicolò II, che entrò a Roma grazie a Goffredo il barbuto, che era un marchese di Toscana, quindi appoggiò questo nuovo papa. L'appoggio militare era essenziale per affrontare la resistenza dei nobili romani, che volevano tornare al funzionamento normale della sede apostolica, sotto le loro volontà. Quella inaugurata da enrico III era stata una parentesi che aveva modificato la storia plurisecolare della resistenza al ceto dominante locale. Questa volta i nemici dei tuscolani si trovavano all'interno del mondo ecclesiastico godendo dell'appoggio militare di goffredo il barbuto e della moglie Beatrice di Canossa (madre di matilde) indispensabile per la stabilizzazione politica dell'italia centro meridionale, sia delle famiglie dell'aristocrazia romana. L'elezione di Nicolo II, che surclassa Benedetto X, fu il tramonto dei tuscolani come forza politica, capaci di impedire il naturale corso del papato. La stabilizzazione del controllo della sede apostolica da parte dei riformatori passava dall'individuazione di una procedura che li riparasse dalle ingerenze aristocratiche. Occorreva fissare delle norme per l'elezione papale, occasione che si presentò nel sinodo quaresimale del 1059, quando fu emanato il decreto sull'elezione pontificia (Decretum de electione papae). Questo ci è pervenuto in due redazioni: una autentica e una modificata dalla curia di Clemente III, che fu contrapposto a Gregorio VII da Enrico IV. Le differenze non sono eclatanti. Il compito di trovare un accordo sulla persona da eleggere è assegnato ai cardinali-vescovi esclusivamente. Nella versione originale, il riferimento a Clemente III (antipapa) era assente, mentre nel falso vi era un intervento del re evocando una posizione di assoluta importanza che invece in quella originale mancava. Ildebrando di Soana, Umberto di Silvacandida e Pier Damiani, insistendo sul ruolo dei cardinali-vescovi, avevano fatto un “colpo di mano”, mirato a trovare la giustificazione del fatto che essi avessero cancellato con la penna procedure secolari. Approvando il decreto del 1059, si garantivano il diritto esclusivo di eleggere il papa senza alcuna indulgenza da parte dell'aristocrazia romana eletto dai soli cardinali-vescovi, che avrebbero dovuto trovarlo nel seno della chiesa romana, soltanto se ritenuto idoneo. In caso contrario sarebbe potuto essere eletto anche un chierico di un'altra chiesa. In caso di bisogno le elezioni potevano avvenire anche fuori da Roma e i cardinali-vescovi avrebbero potuto procedere anche se pochi: questa sottolineatura richiamavano le circostanze in cui era stato eletto Nicolò II con solo una parte dei vescovi, in quanto altri avevano eletto Benedetto X su pressione dei tuscolani. Gregorio VII era stato eletto per acclamazione e i guibertisti (sostenitori di Guiberto, il futuro antipapa) non risparmiarono a Gregorio gli epiteti più duri, come Satana e apostatico, quindi eletto non seguendo il canone voluto dal 1059. Lo strumento per affrontare le future elezioni pontifice era pronto, ma gli stessi approvatori del decreto non ne rispettarono le procedure per i due successivi pontefici. Umberto di Silvacandida e Nicolo II morirono nel 1061, morendo così il perno ideologico del gruppo riformatore, il suo teorico più radicale, e colui che aveva garantito un equilibrio tra la nobiltà romana e la corte tedesca. Per la successione del papa, i riformatori scelsero il vescovo di Lucca che prese il nome di Alessandro II, anche se ebbe un'elezione non immediata, perchè ci volle molto tempo per insediare il papa a Roma, che dovette essere scortato militarmente. Nonostante fossero passati 2 mesi dalla morte di Nicolò II, dai riformatori non era partita alcuna iniziativa per coinvolgere la corte imperiale. Una delegazione di nobili romani andò in germania per chiedere ad Enrico IV di eleggere un nuovo pontefice, contrario ad Alessandro II. Questa spedizione convinse Agnese, madre di Enrico IV, che elesse il vescovo di Parma, Cadalo, con il nome di Onorio II ad ottobre, provocando un nuovo scisma. A questo sono legate battaglie militari, come quella del Campus Neronis dell'aprile del 1062 in cui i fautori di Alessandro II furono sconfitti e Onorio II prese possesso di Castel Sant'Angelo, mentre Alessandro si rifugiò in un monastero sempre a Roma. Il grande assente fu Goffredo il Barbuto che si era riappacificato con la corte tedesca e temeva un aumento della potenza dei normanni, alleati con Alessandro II. Ma l'insistenza della moglie lo convinse a raccogliere un forte esercito che costrinse entrambe le parti a ritirarsi nelle loro diocesi di provenzienza. Un nuovo intervento dei normanni con l'arrivo delle forze di Goffredo consentì a Alessandro II di tornare a Roma nel 1063, con l'uscita di scena di Cadalo. Lo scisma si era ricomposto ma aveva dimostrato ai riformatori che l'impero poteva essere un intralcio all'azione riformatrice, esemplare è Pier Damiani, che incarnava l'anima moderata del gruppo di riformatori in contrasto con l'estremismo. Pier Damiani si trovò in contrasto con il gruppo riformatore preponderante che era guidato da personaggi più estremisti, come Ildebrando di Soana. Nel 1064 Damiani chiese un concilio ma non venne effettuato in quanto ormai la corte aveva deciso di dare potere papale ad Alessandro II e una nuova assemblea poteva creare confusione. Dallo scisma di Cadalo usciva ridimensionato il ruolo ecclesiale del sovrano, in virtù dell'erosione delle sue prerogative sacrali. Gli scritti damianei degli anni '60 dimostrano quanto egli abbia contribuito nel processo di desacralizzazione del potere imperiale, con la sua elaborazione della dottrina del primato romano. Due punti di vista su Damiani: secondo alcuni non ebbe colto il senso dei tempi nuovi, non accorgendosi dei cambiamenti, mentre secondo altri avvenne il contrario, secondo cui egli stava mettendo in discussione l'equilibrio tradizionale del regnum e del sacerdotium, dunque, affermare che papa e re avessero le stesse funzioni e anzi che il papa ne avesse maggiori, era un modo per potenziare la chiesa mediante attribuzioni nuove e demistificare il potere politico, azione comunque innovativa, rendendosi conto del cambiamento dei tempi, facendo parte egli stesso della rivoluzione. Il potere regio può essere messo in discussione se quando chi lo detiene non obbedisca a Dio. Il papa coi cardinali sono considerati gli interpreti autentici e unici della volontà divina al di sopra del potere imperiale, ribaltando l'equilibrio del sistema dell'età carolingia. La dimitizzazione del potere politico è portato alle estreme conseguenze; lo scisma di Cadalo aveva convinto Pier Damiani che fosse impossibile redimere il mondo attraverso l'impero, che si schierava contro la chiesa in prima persona. (paragrafi sulla pataria da leggere). CAPITOLO 3 Nell'aprile del 1073 muore Alessandro II e occorre trovare una soluzione senza provocare un nuovo scisma, come quello del 1061. Venne eletto Ildebrando di Soana che per anni aveva tessuto i fili del papato in maniera silenziosa. Quest'elezione non fu un vera elezione e il danno inferto alle procedure fu ancora più grande. Con il pontificato di Gregorio VII fiorisce la libellistica ed è presente un registro del papa con le lettere scritte dal pontefice (pratica comune per i papi, ma abbiamo di molti pochi un registro ricco, quello di Gregorio Magno e di Giovanni VII, prima del 1200). Qui ci sono documenti e lettere importanti, scritte da collaboratori stretti del papa o da lui direttamente. Il registro si apre con un resoconto dell'elezione del Con il primo punto si rifà al principio per cui altre chiese facevano valere la propria legittimità poiché fondate dagli apostoli. Il papa dimostra che la chiesa di roma è stata fondata dal signore, che ha chiesto a Pietro di costruire la propria chiesa. Il vero protagonista non è la chiesa ma il papa in sé, unica autorità universale. L'imperializzazione del papato è fortissima, si passa dall'imitazione dei funzionamenti imperiale all'appropriazione degli elementi simbolici della tradizione imperiale! Sintomo del tentativo del papato di assorbire il monopolio del controllo del sacro è il monopolio della gestione dell'eredità romana e in particolare dell'imperialità romana. I Dictatus Papae miravano a ridimensionare le pretese imperiali e a legittimare la prassi di sciogliere i sudditi dal vincolo di fedeltà qualcora fosse giudicato iniquo il sovrano dal papa. Un danno oggettivo derivava all'impero dall'esclusione del controllo dell'impero della Reichkirke, dal fatto che il papa poteva riorganizzare le istituzioni monastiche ed ecclesiastiche. Il papa era al di sopra dell'ordinamento e poteva istituire nuove leggi e stabilire la loro canonicità. Il papa è reso santo, senza ombra di dubbio grazie ai meriti di san pietro che egli incarna. Gregorio VII fu santificato nel 1606, quindi la successiva storia del papato nel medioevo dimostra che questa pratica non sarà seguita alla lettera. I principi enunciati dal papa si scontrarono con la durezza di una realtà politica che non si voleva piegare alle volontà del papa. La notte di Natale del 1075 un fautore dell'imperatore Cencio, figlio del prefetto di Roma Stefano, attentò alla vita di Gregorio VII mentre celebrava la messa, senza riuscire ad ucciderlo. Enrico nel gennaio del 1076 convoca il sinodo di Worms con i vescovi tedeschi e lombardi. Essi denunciarono Gregorio VII per la sua elezione irregolare. Fu Ugo Candido, vescovo vicino all'imperatore, a scagliare gli attacchi peggiori al papa, accusandolo anche di essere l'amante di Matilde di Canossa. Tali argomenti portarono ad una lettera con cui i vescovi comunicarono che essi non lo consideravano più papa, perchè non lo era mai stato. Enrico IV confermava tutte le accuse. “Io disconosco apertamente ogni tuo diritto papale, in virtù della dignità di patrizio di Roma concessami da Dio e confermata dai romani, ti ordino di scendere dal trono della città”. Nel febbraio del 1076, Gregorio VII reagì scomunicando sia i vescovi del sinodo di Worms sia Enrico IV. Avvenne ciò che molti storici ritengono un evento mai visto prima: Gregorio VII dichiarava la possibilità di utilizzare di sciogliere e legare (potestas legandi e solvendi) in quanto vicario di Pietro. Si tratta di un fatto privo di precedenti che ribaltava l'abitudine dell'XI secolo di avere papi deposti da imperatori, ma non il contrario. In questo ribaltamento risiede la cifra della rivoluzione gregoriana e la forza dell'ideologia che la sorreggeva. In tale periodo riprende anche una lotta antisimoniaca: i vescovi di questo secolo creavano nessi di continuità per far riverberare su di loro l'ombra della santità del fondatore della diocesi. In questi anni si pose attenzione all'osservanza delle norme e la paura del potere e della censura del pontefice aumentava, strettamente connessa con la posizione dei vescovi, in quanto autorità dotate di poteri civili. Le loro preoccupazioni coincidevano con quelle dell'aristocrazia, spaventata dal successo di Enrico IV sui sassoni. I principi con l'appoggio dei vescovi procedettero ad una elezione per soppiantare il sovrano scomunicato; Enrico IV si impegnò quindi a riappacificarsi col papa. Gregorio VII promise il perdono dell'imperatore qualora si fosse sottomesso al re sotto tutela, non accettando il compromesso avrebbe rischiato di vedere eleggere un re al suo posto. Enrico IV doveva impedire in qualche modo al papa di arrivare in Germania, dove voleva guidare un sinodo con i principi tedeschi; l'altra opzione era quella di andargli incontro e questa fu la sua scelta. Sceso in Italia, Enrico IV seppe che il papa si era fermato nel castello di Canossa. Il 20 gennaio del 1077 la comitiva regi aveva raggiunto il castello dove stava Gregorio VII. Oltre alla padrona di casa c'erano vari esponenti dell'aristocrazia e l'abate Ugo di Cluny, padre spirituale di Enrico IV. Il papa non era ben disposto verso il sovrano vista anche la posizione di vantaggio che aveva. Enrico IV fa il primo passo e il 25 gennaio arriva al castello. Gregorio VII fornisce in una lettera ai principi tedeschi una cronaca dell'accaduto, riferendo che il re rimase 3 giorni dopo essersi spogliato dalle vesti regali in ginocchio davanti al castello, implorando perdono. Spinti dalle suppliche lo liberarono e riammisero alle grazie della comunione. La fermezza del papa si stava trasformando in tracotanza ed era inevitabile per lui la revoca della scomunica dell'imperatore (bacio di pace tra Gregorio e Enrico più un banchetto di riconciliazione). Questo episodio viene ricondotto alla pratica della deditio, pratiche di sottomissione alle quali doveva sottomettersi uno dei due contendenti del conflitto. A canossa , il sovrano si era comportato come un ribelle sconfitto facendo atto di sottomissione. Uno storico ritenne che l'iniziativa del sovrano fosse un rituale di sottomissione. L'episodio di canossa rappresenta l'esempio lampante dell'intimo rapporto tra umiltà e costrizione. La partita tra enrico e gregorio giocata a canossa dimostra la soluzione del conflitto per via rituale. L'intuizione di enrico a trasformare una deditio in un rito penitenziale mise gregorio VII davanti all'obbligo di concedere il perdono al penitente che si umiliava. Nella grande messa in scena di canossa gioca un ruolo decisivo il cambio di maschere: il ribelle si trasforma in penitente e costringe l'offeso vincitore a concedergli il perdono, pena la metamorfosi in un impietoso tiranno. Il rito lasciava aperti vari problemi: il suo risultato politico era ambiguo. L'episodio rappresenta un momento significativo simbolicamente e fu oggetto di interpretazioni divergenti. Non costituiva il punto di arrivo del processo ma solo una tappa intermedia. Il grande interrogativo fu: Gregorio VII aveva perdonato il sovrano e l'aveva sciolto solo dalla scomunica o aveva reintegrato nel pieno possesso dei suoi potere di re e di imperatore? I dubbi derivano da un'affermazione del pontefice del 1080, che minimizzava la soluzione di canossa, in un rinnovato conflitto, e si apprestò a scomunicare di nuovo Enrico. I sassoni e i principi tedeschi non erano contenti della pace col papa, per loro la soluzione di canossa non implicava il rinsediamento di Enrico IV sul trono e l'assemblea dei sassoni del 1077 elesse re di germania Rodolfo di svevia come se a canossa non fosse successo nulla. Gregorio VII non si schierò né con Enrico né con Rodolfo e continuò ad invocare una scorta per varcare le alpi e arrivare in germania, ma questa non arrivò. Non possiamo escludere che la sua scelta di indugiare a tornare nell'urbe derivasse anche dalla soluzione difficile a roma. Nel 1077 il prefetto urbano Cencio era stato ucciso da un attentato dal figlio di Stefano, che aveva cercato di uccidere gregorio VII. Cencio, quando morì il padre stefano si era visto rifiutare l'eredità della carica dal popolo romano, in favore di un altro Cencio anche lui figlio del prefetto Giovanni. Il prefetto urbano era la carica più importante per i laici a Roma, unico giudice che poteva condannare a morte e imprigionare i criminali. La morte di Cencio fu dura per Gregorio VII, di cui era molto amico. Morto il papa Alessandro ildebrando a dispetto della giustizia fu costituito papa da un nobile romano, Cencio. (uccidere Cencio voleva dire indebolire Gregorio VII nel personale). Questa fu un'uccisione motivo di mobilitazione. La sua morte descrisse la figura inedita del miles Christi, una novità legata alla trasformazione della riflessione degli ecclesiastici sulla domanda: in quale misura è possibile per un cristiano usare le armi e uccidere? Che posto hanno i laici nella chiesa e nella società? Quale società i rivoluzionari vogliono? Essi ricorsero alla teologia e al diritto canonico per risolvere i problemi. Cencio era stato dipinto come un laico molto devoto da pier damiani, a cui comunque non piaceva. La predicazione di cencio poteva trattare solo argomenti di natura morale senza togliere tempo al ruolo di prefetto che egli ricopriva (pier damiani attaccava questa posizione non rispettata). I confini tra gli ordines dovevano essere rispettati. La riforma gregoriana realizzava una visione gerarchica della chiesa mentre le aspirazioni dei laici sarebbero confluite nelle sette ereticali del XII secolo. Anche le ingerenze di cencio appaiono normali, intervento di aristocrazia nella scelta dei pontefici, che provoca imbarazzo. Quando cencio confessò l'intenzione di entrare in monastero al papa, questi glielo vietò per vivere la sua miliza per cristo. Gregorio VII voleva evitare di disperdere le forze. A Bonizzone quando gli venne chiesto il perchè la chiesa soffrisse mentre l'impero era molto forte e se era lecito per un cristiano combattere, rispose che la chiesa raggiunge il massimo della libertà quando è oppressa e che il martire fosse il perfetto cristiano. Cencio ucciso ha ottenuto la vera vittoria di un cristiano con il martirio. Inoltre dall'XI secolo durante Gregorio VII la rottura della collaborazione tra papa e imperatore pose il tema della milizia in modo nuovo (non si combatteva come sudditi del re ma come cristiani). Bonizzone, che era cristiano, scrive che un cristiano doveva combattere per il re celeste contro gli eretici (i cristiani erano tutti milites Dei). La milizia teorizzata dai riformatori aveva trovato una sistemazione giuridica, in realtà il diritto canonico non accolse questa esperienza conservando la concezione agostiniana della guerra giusta al servizio del re. Ancora più violente furono le reazioni dei polemisti filoimperiali secondo cui i gregoriani pensavano che le res ecclesiae fossero sacre e coloro che se impossessavano con illecitità fossero sacrileghi. Al contrario i filoimperiali pensavano sacrilego Gregorio VII. Al sinodo del 1078 le ordinazioni amministrative dagli scomunicati furono rese prive di validità. Gregorio VII fulminò una scomunica contro arcivescovi di Milano e di Ravenna, dove c'era Guiberto futuro antipapa, e scomunicò Enrico IV accusato di non aver mantenuto gli impegni di Canossa. Il papa voleva scrollarsi di dosso l'accusa di aver agito solo dalla smania di potere e scrive a pietro e paolo apostoli, spiegando quanto poco di volontario ci fosse nella sua biografia, essendo stato costretto ada accettare anche il papato. Non accusa enrico IV di essere il mandante del suo tentato omicidio del 1075 e scrive di come fossero stati pietro e paolo a fargli ottenere il soglio, quindi enrico IV agendo contro il papa stava offendendo gli apostoli e cristo. Perchè allora a canossa aveva perdonato il re? Ricorre qui il significato confuso della soluzione del papa dopo la prima scomunica dell'imperatore. Enrico aveva chiesto di essere sciolto dalla scomunica e il papa lo riammette nella chiesa ma non lo reintegra nel regno, infatti enrico IV si comporta male e due vescovi eleggono quindi re Rodolfo di svevia. Enrico IV aveva chiesto appoggio del papa che si manteneva neutrale e aveva chiesto una conferenza di pace minacciando una scomunica per chi impediva ciò. Enrico, impedendo l'incontro, è in corso alla scomunica e il papa gli toglie ogni potere e dignità regia. Il papa favorisce così Rodolfo. Questa è una prima volta nella storia in cui l'appoggio al papa può portare all'assoluzione dei peccati (apre la strada a urbano II nel sinodo a Clermont che invoca la prima crociata). Il re di Germania viene trattato come un qualsiasi conte di provincia. I principi del 1080 erano stati sviluppati in una lettera al vescovo di Metz, Ermanno. Gregorio VII pone una prima serie di casi storici. Il potere regio è un'invenzione della superbia umana, che deve sottostare a il potere divino. (neanche gli imperatori che la chiesa reputa santi hanno fatto miracoli, si devono comunque sottomettere alla chiesa). Gregorio VII vuole il DIVORZIO TRA IL POTERE POLITICO E L'IDENTITA' CRISTIANA. La risposta di Enrico IV non si fa attendere. Nel 1080, i vescovi italiani, tedeschi e borgognoni a lui fedeli, riunitisi nel sinodo di bressanone, alla pressenza del cardinale ugo candido rappresentante i cardinali, dichiararono deposto gregorio VII, elevando a papa Clemente III, arcivescovo di ravenna. Ildebrando, soprannominato papa Gregorio VII voleva anteporre i propri sogni alla parola di dio, comprando le cariche con il denaro. Così lo definì il sinodo, che non lo considerava eletto da dio ma da sé stesso, ebbe una condanna senza appello, che lo esplusero canonicamente e i cardinali approvarono questa scelta, dimostrando che enrico IV godeva dell'appoggio dell'episcopato sia del regno italico che in germania. Al sinodo di worms fu eletto clemente III per sottolineare la continuità con clemente II del 1046. iniziava uno scisma lungo e complicato. Clemente III aveva consenso nel regno italico e giunse a roma scortato da un esercito imperiale che lo fece insediare in città nel 1084, dove incoronò come imperatore enrico IV nel marzo ma due mesi dopo i normanni sotto la guida di roberto il guiscardo liberarono gregorio VII e lo portarono a salerno. Il papa gregorio morì nel 1085 ma lo scisma guibertino continuò, rappresentando una forte discontinuità rispetto agli altri conflitti per il controllo del papato, si scontrano due concezioni della chiesa opposte e che la rivoluzione di gregorio aveva reso inconciliabili. Tutti i libelli a sostegno di enrico IV ci pervengono solo da codici non italiani. Papa Paquale II stronca il culto di clemente III e dei suoi miracoli, riesumando il suo corpo e gettandolo nel tevere, cosa che accadde, per annullare la memoria e la presenza fisica di clemente. CAPITOLO 4 Il fronte riformatore fu scosso da una crisi lunga e difficile dopo la morte di Gregorio VII che avvenne il 25 maggio 1085. ci vuole quasi un anno Prima di eleggere Il suo successore, desiderio, con il nome di vittore terzo ma morì pochi mesi dopo indicando in un cluniacense il proprio successore, ovvero Urbano II punto Questo si iniziò a insediare a Roma mentre Clemente III cominciava a perdere terreno. Urbano II con solidò il legame con i Normanni e fece dell'Italia meridionale la propria base operativa. nell'Italia meridionale occorreva latinizzare le chiese di rito Greco ma non Ebbero successo i tentativi di riconciliazione con la chiesa ortodossa. al concilio di Piacenza del 1095 si tornò a discutere su vari temi: le ordinazioni fatte da Vescovi scismatici e simoniaci erano prive di validità, ma solo se l'ordinato conosceva questa condizione di chi gli conferiva l'ordinazione. valide erano pure le ordinazioni di vescovi divenuti in seguito scismatici e aichierici fu vietato di prestare il giuramento feudale ai signori laici. erano presenti al concilio gli ambasciatori dell'imperatore di Costantinopoli che invocavano l'aiuto dei Cavalieri occidentali per resistere all'invasione dei Turchi. la risposta del Pontefice arrivò al concilio di Clermont nel novembre 1096 dove i cavalieri furono inviati a prestare soccorso all’imperatore bizantino. l'esito della spedizione condusse alla conquista di Gerusalemme nell'estate del 1999. questa linea politica si scontrava con gli orientamenti dei riformatori radicali come i vallombrosiani e Urbano II invocava di fatto un ritorno all'ordine per realizzare una silenziosa ma non per questo meno efficace di quella dei toni drammatici realizzata da Gregorio VII. faceva da sfondo a tutto questo il superamento della riduzione tutta Gregoriana della simonia a problema politico e un innovativa concezione del ruolo del Papa a cui Gregorio VII non era pervenuto con altrettanta chiarezza. I vescovi ordinati irregolarmente o legati al fronte imperiale furono giustificati e arruolati. Non si trattatava di una posizione più morbida di gregorio. Con urbano II si cercava di rafforzare il fronte riformatore, per separarli dal fronte guibertista. (Urbano II capisce che continuare una lotta aspra come quella di gregorio VII non avrebbe portato ad una vittoria risolutiva quindi bisogna diminuire la differenza di supporto che ha la parte imperiale maggiore con quella papale che è minore: tutti i vescovi che tornano dalla parte del papa saranno perdonati per aumentare i suoi sostenitori, perchè lo scaccchiere italiano era mutato molto). Enrico IV aveva risposto con una nuova spedizione militare in italia nel 1091 ed espugnò il castello di canossa e urbano II si rifugia nel mezzogiorno. Con la morte di Urbano II nel 1099 dopo 15 anni di pontificato e l'elezione di pasquale II finiva un'epoca nella storia del papato. Nel 1100 era morto l'antipapa Clemente III ed enrico IV morì nel 1106. il passaggio al XII secolo mostra una svolta nei vertici supremi della società occidentale, nel 1099 alla morte di urbano II venne eletto Pasquale II. Prese possesso stabile a roma nel 1100 fino a 15 anni dopo. Questo controllo di
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