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LUCIO CORTELLA INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO, Appunti di Filosofia

riassunto dell'introduzione alla Fenomenologia di Hegel basata sulla lezione del prof. Cortella. Gli appunti sono frutto di una mia rielaborazione personale, mentre il video della lezione è disponibile liberamente su YouTube

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 22/04/2020

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Scarica LUCIO CORTELLA INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! LUCIO CORTELLA INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO CENNI STORIOGRAFICI La Fenomenologia dello Spirito è la prima fra le grandi opere di Hegel, certamente la più celebre, anche per la sua oscurità e complessità. Esce nel 1807, Hegel allora non ha ancora 37 anni, l’ha conclusa l’anno precedente, conclude il suo periodo a Jena; è il periodo in cui Hegel viene chiamato dall’amico Schelling a tenere lezioni all’università di Jena, anche se non è un professore, è un professore a contratto diremmo adesso, libero docente pagato dagli studenti per tenere lezione. Il periodo di Jena dura 5 anni: dal 1801 al 1806, finisce con la battaglia di Jena dell’ottobre del 1806 esattamente pochi giorni dopo che Hegel aveva mandato gli ultimi manoscritti all’editore per stampare la Fenomenologia dello Spirito, che quindi conclude questo periodo. L’INFLUENZA DI SCHELLING È il periodo in cui Hegel collabora strettamente con Schelling, ed è fortemente influenzato dall’idea schellinghiana che l’Assoluto non sia più quello che avevano pensato i moderni: cioè non sia più il soggetto, la coscienza, ma sia essenzialmente qualcosa che è sintesi di soggetto e oggetto. Hegel prende questa idea da Schelling, il quale aveva elaborato questa idea nei primi anni di Jena, soprattutto con l’esposizione del suo sistema filosofico (1801). L’idea Schellinghiana è che l’Assoluto sia identità di soggetto e di oggetto. E Hegel a partire da questa idea, cioè che l’Assoluto non sia né soggetto né oggetto ma l’identità dei due, l’indifferenza dice Schelling, dei due. A partire da questo Hegel comincia a elaborare un sistema: lo chiamiamo il sistema jenese, cioè l’idea di partire da questa assoluta identità e a partire da questa articolare le diverse modalità in cui l’Assoluto si mostra, come Natura o come Spirito. CAMBIO DI PROGETTO. Hegel annuncia questo sistema per tutto il periodo jenese ma alla fine non lo pubblica, anzi ne risulta qualcosa di completamente diverso ed è la Fenomenologia dello Spirito. LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO SEGNA UN CAMBIO DI PROSPETTIVA Non è solo un cambio di progetto: in realtà quando esce la Fenomenologia dello Spirito esce qualcosa di profondamente diverso rispetto a quello a cui Hegel aveva lavorato in tutti quegli anni, e infatti Hegel segna un netto cambio di prospettiva rispetto alla filosofia di Schelling, rispetto alla filosofia dell’identità. Che cosa è allora la Fenomenologia dello Spirito? Nelle originarie intenzioni di Hegel è una introduzione al Sistema che sarebbe dovuto uscire, che in realtà non uscirà se non anni più tardi completamente mutato rispetto al Sistema a cui aveva lavorato nei 5-6 anni a Jena. Una introduzione al Sistema che ha la forma di una storia: la storia dello Spirito. E infatti questo significa Fenomenologia dello Spirito: è la storia delle varie manifestazioni dello Spirito, i vari modi in cui il fenomeno Spirito si manifesta. UNA STORIA DI FORMAZIONE Il tipo di storia che Hegel mostra con quest’opera è un processo di formazione della coscienza. Cioè la storia in essa contenuta è una storia di formazione. Anzi, dovremmo dire che è la storia di un’esperienza: l’esperienza che fa la coscienza, e grazie alla quale questa coscienza prende progressivamente coscienza di sé stessa, cioè di che cosa sia la sua natura. Hegel dice che alla fine saprà “la sua verità”, che cos’è la sua verità profonda. LO SCHEMA DELL’OPERA: Lo schema dunque che Hegel segue in quest’opera, è lo schema del romanzo di formazione, un genere letterario che si era affermato tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, il più celebre di questo è un’opera di Goethe, di solito tradotta come Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, ma sarebbe più corretta la traduzione Gli anni di formazione di Wilhelm Meister. In quel caso la formazione di un personaggio, Wilhelm Meister, questo schema della formazione, viene utilizzato da Hegel per parlare della formazione della coscienza. IL TITOLO ORIGINARIO DELL’OPERA: Tra l’altro è interessante sapere che il titolo originario dell’opera era Scienza dell’eperienza della coscienza. Quindi era un’introduzione che ha la forma di un’esperienza: Hegel sta descrivendo un’esperienza. La Fenomenologia dello Spirito è la descrizione di un’esperienza. Hegel aggiunge: è un’esperienza di fronte alla quale noi dobbiamo metterci semplicemente a guardare quello che accade in essa. L’ESPERIENZA NEGATIVA Che tipo di esperienza abbiamo qui introdotto da parte di Hegel? O meglio, che cosa intende Hegel con esperienza? Hegel non intende un accumulo di conoscenze. Noi abbiamo idee diverse di che cosa sia un’esperienza: spesso la intendiamo come qualcosa che abbiamo imparato, un po’ alla volta, abbiamo imparato una serie di cose, sappiamo di più di quello che sapevamo all’inizio, un accumularsi di esperienze, di informazioni: NON è quello che accade nella Fenomenologia dello Spirito. Pensiamo a un altro tipo di esperienza, l’idea che noi ci facciamo quando diciamo che abbiamo fatto un’esperienza. Spesso quando diciamo questo ci riferiamo a qualcosa di negativo, di doloroso, pensiamo quando abbiamo fatto un’esperienza dolorosa e dalla quale siamo usciti con un’idea del mondo, della vita, della nostra esistenza profondamente diversa da quella precedente. Cioè l’esperienza è stata così radicale, così critica che alla fine ha cambiato il nostro punto di vista, il modo in cui guardiamo alle cose. Ecco, NUOVO FIGURA La realtà, - conclusione del primo capitolo - è fatta di cose singolari -questo albero qui ed ora- e di cose universali: il qui in generale, l’ora in generale, l’albero in generale. Cioè la realtà è fatta di cose singolari e universali, di cose sensibili e non sensibili. Conclusione: l’esperienza negativa non è stata così negativa, certo abbiamo confutato il sapere da cui eravamo partiti, ma ha prodotto un nuovo sapere, cioè dal sapere di partenza messo in discussione, confutato, è emerso un risultato positivo: Hegel chiama questo modo di procedere negazione determinata. NEGAZIONE DETERMINATA E VIA DELLA DISPERAZIONE La negazione determinata è una negazione che non è solo negativa, cioè che ha certamente criticato, messo in discussione il punto di partenza da cui noi eravamo mossi, ma nel mentre ha criticato questo elemento ha prodotto qualcosa di nuovo: un nuovo sapere l’idea - oggetto di indagine del secondo capitolo, che Hegel chiama percezione - che il mondo è fatto di cose singolari e universali al tempo stesso, non solo di cose sensibili ma anche non sensibili al tempo stesso. Hegel parla quindi di questa esperienza della coscienza come della via del dubbio, anzi rincara la dose: è la via della disperazione. La coscienza è disperata perché in continuazione pensa di essere arrivata ad un risultato positivo ed in continuazione questo risultato positivo le si spezza tra le mani. Una via che produce in continuazione la smentita di sé. Produce nuovi saperi, nuove consapevolezze, e quindi in qualche misura questi e queste saranno in qualche misura destinati ad essere travolti. CAPITOLO II: PERCEZIONE Questo miscuglio di cose sensibili e non sensibili costituisce la seconda figura della Fenomenologia dello Spirito. Cosa evidente da questo secondo capitolo è che anche questo secondo sapere sarà destinato a fare la stessa fine del primo: cioè farà lo stesso tipo di esperienza, anch’esso tenderà ad assolutizzarsi (siamo certi che il mondo è fatto di cose singolari e universali, sensibili e non sensibili) ma sarà a sua volta smentito. Dalla negazione della certezza sensibile nasce una nuova convinzione, quella che Hegel chiama percezione. CAPITOLO III: INTELLETTO Dalla critica della percezione nascerà un terzo sapere a sua volta, una nuova convinzione, e cioè il fatto che il mondo naturale che sta di fronte a noi non è fatto neanche solo di cose sensibili mescolate a cose naturali, ma è fatto anche di leggi universali che lo tengono insieme, le cose del mondo non sono cose: il mondo è regolato da leggi che sono le leggi della fisica. Leggi universali che sono del tutto invisibili (noi non vediamo né tocchiamo la legge di gravitazione universale) sappiamo che ci sono e che reggono le cose sensibili ma non le vediamo. Il mondo è fatto non più di cose sensibili, neanche di un misto di cose sensibili e cose non sensibili, ma è fatto solo di leggi sovrasensibili: le leggi invisibili della fisica. Questa terza figura sarà chiamata da Hegel intelletto. È il sapere dell’intelletto: l’intelletto è questa capacità che abbiamo di andare al di là del meramente sensibile, al di là dei sensi, e il sapere dell’intelletto è quel sapere che ritiene che il mondo sia fatto appunto di leggi sovrasensibili, qui il riferimento è a Kant da un lato ma è anche la fisica newtoniana. Anche questa nuova esperienza è destinata a contraddirsi: cioè è destinata a negarsi perché l’intelletto pensa le leggi come qualcosa di indipendente da lui: il mondo è fatto di leggi universali, ma queste leggi sono in un mondo che noi non vediamo, sovrasensibile, non sensibile, che regge il mondo sensibile, che noi vediamo. Quindi il mondo sensibile che noi vediamo è una sorta di effetto sensibile di un mondo sovrasensibile che sta dietro, un sopra-mondo, Hegel lo chiama ultra-mondo, che sta dietro di questo e che dovrebbe in qualche modo causare su di noi questi effetti. L’intelletto pensa in questo modo: cioè che le leggi ultrasensibili siano indipendenti da lui, non si avvede però, e questo è il lavoro che fa la coscienza, che queste leggi indipendenti da lui sono in realtà strettamente intrecciate con lui: cioè hanno la loro origine nell’intelletto stesso. Siamo in uno dei passaggi e dei luoghi fondamentali della Fenomenologia dello Spirito, e dell’esperienza della coscienza: perché che cosa significa questo punto di arrivo dell’intelletto? Significa che il mondo oggettivo che sta di fronte a noi ha in realtà nel nostro pensiero la sua origine, cioè le leggi universali della fisica sono fatte di concetti, di operazioni intellettuali: hanno in quei concetti, in quelle operazioni logiche che noi usiamo, la loro origine. Senza quella logica dell’intelletto, senza la matematica, la logica che l’intelletto usa, quelle leggi non sarebbero in alcun modo avvicinabili. Insomma, quel mondo sovrasensibile che dovrebbe essere indipendente da noi e reggersi sulle sue gambe, in realtà ha la sua origine esattamente nell’intelletto. L’oggetto si mostra intimamente legato al soggetto, è strettamente intrecciato a lui. Molti leggono l’intera Fenomenologia dello Spirito come portatrice di questa tesi, e cioè che l’intero mondo dell’oggettività si debba ridurre al mondo della soggettività. In realtà questa tesi è per Hegel una tesi parziale e unilaterale. L’intelletto esprime una concezione che sarà destinata anch’essa a sua volta a essere superata, e i capitoli successivi mostrano la smentita di quella tesi che va per la maggiore, secondo la quale Hegel direbbe che l’intera oggettività si risolve nella soggettività, in realtà questa è la tesi della conclusione del terzo capitolo. Con questo capitolo si conclude anche la prima parte della Fenomenologia dello Spirito, nella quale la tesi conclusiva è che il mondo oggettivo si risolve nella soggettività. C’è una categoria finale di quel capitolo: la categoria di infinità. Dentro al concetto di infinità c’è esattamente questa idea della totale risoluzione dell’oggetto nel soggetto. E questa idea apre il capitolo successivo: il quarto, quello dedicato all’autocoscienza. CAPITOLO VI. L’AUTOCOSCIENZA: LA CONSAPEVOLEZZA DI SÉ Alla fine, la coscienza è divenuta consapevole che il mondo è identico a sé. Cioè, la consapevolezza di sé è identica alla consapevolezza della cosa. Quando noi sappiamo la cosa in realtà sappiamo noi stessi. Questa tesi per cui il sapere dell’oggetto è identico al sapere della cosa, significa autocoscienza, è la figura dell’autocoscienza. Il sapere è totalmente risolto nel sapersi, nel sapere di sé. Il mondo delle leggi (capitolo III, dell’intelletto) è il mondo del soggetto, così il mondo non è altro che autocoscienza. Il mondo è sapere di sé stesso, coscienza di sé. E questo è un sapere autosufficiente, anzi è il sapere autosufficiente per eccellenza, perché sembra non aver bisogno di nient’altro, cioè è tutto dentro all’autocoscienza. Il cammino qui sembra, da questo punto di vista, concluso, perché l’esperienza del mondo sembra concludersi con l’esperienza di sé. Il mondo è stato risolto nel sé, l’autocoscienza è la verità della coscienza, la conclusione dell’esperienza della coscienza è l’autocoscienza. L’ESIGENZA DI UN ALTRO SOGGETTO PER L’AUTOCOSCIENZA. In realtà Hegel qui comincia a dubitare di questa conclusione a cui è arrivato, perché come possiamo noi essere coscienti di noi stessi? Cioè come possiamo noi dire “io”, “io sono io”, “io sono cosciente di me”, senza l’esperienza di un tutto? Cioè come possiamo noi comprendere la nozione di io soggetto, di autocoscienza, di coscienza di sé, senza confrontarla con l’esperienza di un altro, rispetto al quale noi siamo io e l’altro è diverso da questo io? Ebbene, senza un altro soggetto, senza l’esperienza di un altro soggetto, io farò al massimo l’esperienza di una coscienza in generale, cioè io avrò l’idea di coscienza, che in realtà alla fine siccome non mi distinguo da un altro, questa coscienza di me sarà identica alla coscienza del mondo, cioè non avrò neanche la percezione che io sono diverso dal mondo, e che la mia coscienza è diversa dal mondo, la mia autocoscienza è identica al mondo: finché non faccio l’esperienza di un altro soggetto, non ho l’idea di che cosa sia un’autocoscienza. Quindi, l’idea di cosa sia la mia coscienza risulta indisgiungibile dall’idea di un’altra coscienza. Insomma, la coscienza senza l’altro non avrà che occhi per il mondo, non vedrà altro che il mondo, non riuscirà neanche a vedere sé stessa, quindi in che modo io che vedo le cose che stanno di fronte a me, potrò rivolgere lo sguardo verso di me e dire: “io sono io”? Questa è una cosa che sembra abbastanza semplice in realtà è complicata: com’è che il mio sguardo che generalmente è rivolto verso le cose del mondo, com’è che questo sguardo a un certo punto si gira, torna verso di sé, riflette, si flette su se stesso e guarda a se stesso: qual è l’esperienza che mi fa rivolgere lo sguardo verso di me? Tutti questi sono i problemi che Hegel investiga nel capitolo dell’Autocoscienza. Ecco allora la sua tesi: non è possibile l’autocoscienza, non è possibile cioè l’esperienza di sé stesso, il rivolgere lo sguardo verso sé stesso, senza l’esperienza di un altro. Il sapere apparentemente autosufficiente dell’autocoscienza, sembra che essa basti a sé stessa, questo sapere totalmente autosufficiente, si mostra alla fine debitore nei confronti di qualcosa che sta fuori di lui. E questa cosa che sta fuori di lui è la coscienza di un altro, un’altra autocoscienza. Questa è la tesi che Hegel illustra nel capitolo IV, l’autocoscienza è in sé e per sé, solo in quanto è in sé e per sé per un altro, solo in quanto c’è quest’altro, cioè solo in quanto è riconosciuta. Ecco la grande tesi del quarto capitolo: noi siamo noi stessi, perché siamo stati riconosciuti da un’altra autocoscienza. Dunque, non solo il mondo dipende dal soggetto (conclusione del capitolo III) ma anche il soggetto dipende dal mondo. Il soggetto dipende dagli altri soggetti: io sono tale perché un altro mi ha riconosciuto, quando l’altro mi ha riconosciuto ho potuto accorgermi di me stesso perché l’altro mi ha detto “guarda tu sei tu” e allora a questo punto io mi sono riconosciuto, mi sono visto: il riconoscimento di sé è dipendente dal riconoscimento di un altro, dunque il soggetto dipende dal mondo che sta fuori di lui, da un altro soggetto, non solo, Hegel aggiunge “io dipendo dagli oggetti che stanno fuori di me”. Nel capitolo IV Hegel mostra il soggetto che lavora il mondo: il soggetto che lavora produce oggetti, e negli oggetti che lui produce vede sé stesso, perché nell’oggetto che io faccio del risultato, del prodotto del mio lavoro, c’è la mia interiorità, c’è il mio intelletto, la mia personalità, e quando guardo gli oggetti che io ho prodotto, vedo me stesso. LA TESI DELLA FENOMENOLOGIA. Quindi quando io vedo me stesso, sono il risultato degli oggetti che stanno fuori di me, e degli altri soggetti che mi hanno riconosciuto. Insomma, ecco la vera tesi della Fenomenologia, che comincia ad affacciarsi qui nel quarto capitolo: i vari saperi della coscienza trascendono sempre se stessi, vanno sempre al di là di se stessi, hanno sempre bisogno di qualcosa che sta fuori, oltre se stessi, dipendono sempre da altro. Se dell’Assoluto, non si può dimostrare l’Assoluto e per una ragione semplice: una dimostrazione è sempre partire da una premessa e arrivare a una conclusione. Quindi se la conclusione deve essere l’Assoluto vuol dire che la premessa da cui siamo partiti è più Assoluto della conclusione, quindi questa impossibilità di partire da qualcosa che sia più Assoluto dell’Assoluto rende impossibile qualsiasi dimostrazione positiva dell’Assoluto. Dell’Assoluto non c’è dimostrazione possibile: l’unica dimostrazione possibile è quella negativa: attraverso cioè la confutazione, la negazione, la messa in discussione di tutte le varie forme inadeguate e insufficienti di esso. C’è solo la confutazione di tutti i saperi che negano la vera forma dell’Assoluto: l’esperienza della Fenomenologia dello Spirito è questo, cioè che tutti i saperi in cui noi pensavamo di raggiungere l’Assoluto erano inconsistenti, contraddittori, bisognosi di altro, dovevamo uscire da noi stessi, per capire qual è il vero sapere. L’unica dimostrazione possibile dell’Assoluto è la confutazione di ciò che lo nega. SUI MOTIVI PER CUI LA COSCIENZA TENDE AD ASSOLUTIZZARE Certo dice Hegel, l’Assoluto era presente fin dall’inizio, non ce ne eravamo accorti, questo è il senso per cui il sapere tende ad assolutizzarsi, è l’Assoluto che sta dentro fin dall’inizio, anche la certezza sensibile, anche la prima aurorale inadeguata forma di coscienza era in sé già Spirito, ma non sapeva di esserlo, non sapeva di essere quello che essa già era: Hegel dice che in sé era già Spirito, ma non lo era per sé, cioè non lo era ancora consapevolmente. Che cosa fa la Fenomenologia dello Spirito? Conduce quell’in sé a diventare per sé. Alla fine in sé e per sé coincidono: all’inizio sono divaricati, perché ciò che essa è in sé (Spirito) non è per sé, perché per sé è certezza sensibile. Alla fine, il Sapere Assoluto è in sé e per sé la stessa cosa, cioè è diventato consapevole di ciò che esso è realmente. Alla fine, la coscienza ha guadagnato l’Assoluto. Il suo cammino è stato una sorta di elevazione. Hegel parla in questi termini - elevazione dal finito all’Assoluto, ma è interessante notare che ci si eleva a ciò che già si era: fin dall’inizio la coscienza era Spirito, solo che non sapeva di esserlo, ha bisogno di questo cammino. Avevamo bisogno di questa lunga esperienza negativa per capire che cosa siamo. MEDIAZIONE E IMMEDIATEZZA Siamo un sapere, questo è l’Assoluto. Hegel dice che l’Assoluto è un Sapere Assoluto. L’Assoluto è l’esperienza che la coscienza ha fatto e la conclusione di questa esperienza. L’Assoluto non è una sostanza, l’assoluto non è una cosa, non è un ente, né un ente supremo, né un’essenza trascendente, l’Assoluto è solo la consapevolezza della coscienza: è una consapevolezza che racchiude al suo interno tutte le forme di sapere che essa ha attraversato e di cui ha visto in continuazione l’inadeguatezza e i bisogni di passare ad altro. Tutte forme di sapere che essa ha negato, alla fine abbiamo un sapere che non ha più bisogno di uscire da sé. Tutte le forme di sapere che l’hanno preceduto erano sempre presso altro, avevano bisogno di uscire da altro, alla fine questo sapere è autosufficiente, nel senso che ha dentro di sè tutte le mediazioni che prima erano fuori, cioè tutte le figure precedenti richiedevano mediazioni esterne: all’oggetto, agli altri soggetti, all’universale, ai concetti, ecc... Ora alla fine tutte queste mediazioni stanno dentro, quindi il sapere assoluto per Hegel alla fine è immediatezza e mediazione:  è immediatezza perché non ha più bisogno di uscire da sé, quindi è totalmente dentro di sé  è mediazione perché ha tutte le mediazioni dentro la sua consapevolezza, le ha dentro sé stesso. Un sapere è anche un sapersi, questo dice Hegel. Cioè dice che ha la forma del sè: è la consapevolezza di sé stesso. Cioè esso sa che esso è Spirito. Quindi è un sapere fondamentalmente riflessivo: sa la verità della storia della coscienza. E sa che questa verità è relazione: cioè che la realtà delle cose è il risultato di molteplici relazioni con i soggetti e con gli oggetti, cioè è rapporto logico. L’ASSOLUTO È SAPERE PURO Conclusione della Fenomenologia dello Spirito: tutte queste relazioni sono relazioni logiche, le possiamo tutte esprimere attraverso concetti, attraverso mediazioni. Dire che la verità è relazione e dire che la verità è mediazione e dire che è logica, perché ogni realtà contiene sé stessa e l’altro, mediazione tra soggetto e oggetto, tra individuale e universale, e alla fine Hegel questo dice nel capitolo conclusivo della Fenomenologia, quello dedicato al Sapere Assoluto, che questo sapere è un sapere puro. perché puro? Perché non ha più oggetto: la sua purezza è il fatto che tutta l’oggettività è risolta in questo sapere, ma questo sapere non è il sapere della coscienza singola, è il puro sapere, è pura relazione concettuale, è il pensiero nella sua purezza: cioè il pensiero non più soggettivo, perché soggettivo significa che c’è un oggetto di contro, ma qui l’oggetto è sparito, cioè si è risolto nella relazione, non è più questo soggetto opposto all’oggetto, la Fenomenologia dello Spirito dunque alla fine del suo percorso annuncia questo Sapere puro, che è la verità ultima. L’inevitabile conclusione della Fenomenologia dello Spirito è l’esposizione di questo risultato a cui la Fenomenologia è arrivata, la Fenomenologia ha detto che la verità è questo sapere puro, questo sapere puro è spirito, questo sapere puro è relazione logica, a questo punto avremo bisogno di un’opera che dica in maniera articolata come si espone articolatamente questo sapere: questo sarà il compito a cui Hegel lavorerà negli anni immediatamente successivi, ci metterà quasi 10 anni per arrivare alla pubblicazione della Scienza della Logica, la quale dirà esattamente come è fatto questo sapere logico a cui ha condotto il cammino fenomenologico.
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