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Luigi Daniele, Diritto dell' UE, unione europea, ultima edizione, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

solo capitolo 5, tutela giurisdizionale

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Luigi Daniele, Diritto dell' UE, unione europea, ultima edizione e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! IL SISTEMA EUROPEO DI TUTELA GIURISDIZIONALE ○ Introduzione Il sistema di tutela giurisdizionale assicura la protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell'Unione. È ripartito su due livelli di tutela: • Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE), a sua volta articolata in: - Corte di giustizia - Tribunale - Tribunale della funzione pubblica • organi giurisdizionali degli Stati membri Questi due organi giurisdizionali non sono in rapporto gerarchico, bensì in rapporto di coerenza, ovvero devono essere coerenti tra le loro decisioni. - Competenze della Corte di giustizia Alla Corte di giustizia spettano in via esclusiva alcune competenze dirette, attribuitale dall'art. 19, par. 3, lett. a) TUE: 1 Ricorso per infrazione o inadempimento → riguarda la pretesa violazione da parte di uno Stato membro di obblighi derivanti dai trattati 2 Ricorso d'annullamento → riguarda la pretesa illegittimità di atti delle istituzioni 3 Ricorso in carenza → riguarda l'illegittimità delle omissioni attribuibili alle istituzioni 4 Ricorso per risarcimento → riguarda la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni Altre competenze dirette riguardano controversie minoris generis. Collegato in qualche modo al ricorso d'annullamento è il caso dell'eccezione di inapplicabilità (art. 277 TFUE): nel caso di un atto di portata generale adottato da un'istituzione, un organo o un organismo dell'Unione, è possibile avvalersi dei motivi previsti per l'annullamento, anche se scaduto il termine per quest'ultimo, per invocare davanti alla Corte l'inapplicabilità dell'atto stesso. - Competenze delle giurisdizioni nazionali Al di fuori di tali azioni vige la piena competenza dei giudici nazionali: infatti l'art. 19, par. 1, 2°c. TUE dispone “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione” → competenza generale dei giudici nazionali rispetto alla competenza speciale della Corte. Per evitare che, nell'applicare il diritto dell'Unione, i giudici nazionali possano pregiudicare la sua uniformità, i trattati hanno previsto uno strumento di collegamento tra giudici nazionali e Corte di giustizia: il rinvio pregiudiziale, grazie al quale il giudice nazionale ha la facoltà, e talvolta l'obbligo, di deferire alla Corte questioni riguardanti il diritto dell'Unione, con l'obiettivo di preservarne il carattere uniforme anche nel momento applicativo. Il rinvio pregiudiziale diventa così una competenza indiretta della Corte di giustizia, attribuitale dall'art. 19, par. 3, lett. b) TUE. - Tutela giurisdizionale effettiva Il sistema di tutela giurisdizionale europeo così ripartito dovrebbe rispettare il principio di tutela giurisdizionale effettiva, espresso negli artt. 6 e 13 CEDU e nell'art. 47 Carta. Infatti il titolare di una posizione giuridica soggettiva derivante da norme dell'Unione: - da un lato, deve poter esperire un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice nazionale contro un atto che pregiudichi la sua posizione - dall'altro, deve poter ottenere il controllo giurisdizionale della validità di tale atto In altre parole, questo sistema punta a far sì che non vi siano lacune, casi nei quali un soggetto sia privo del giudice competente e quindi manchi un rimedio giurisdizionale effettivo per la protezione della sua posizione giuridica. Nel caso in cui non ci fosse un rimedio né a livello nazionale né a livello di Corte di giustizia, una tale lacuna dovrebbe essere colmata attraverso un'interpretazione evolutiva delle norme applicabili. Tuttavia qualche dubbio sul rispetto del principio di tutela giurisdizionale effettiva si pone in Fase contenziosa 5 Se lo Stato non si conforma spontaneamente al parere motivato, lasciando trascorrere invano il termine in esso fissato, la Commissione può adire alla Corte di giustizia (è una facoltà, non un obbligo). 6 Una volta presentato il ricorso, però, l'eventuale eliminazione della violazione da parte dello Stato è irrilevante sull'esito del giudizio → la situazione di infrazione si “cristallizza” al momento della presentazione del ricorso. 7 La Corte può: • respingere il ricorso → accerta che non c'è stata la violazione • accogliere il ricorso → accerta che c'è stata una violazione degli obblighi incombenti sullo Stato In questo secondo caso, la Corte emana una sentenza di mero accertamento . Nonostante il procedimento contenzioso si concluda con una sentenza di mero accertamento, questa ha comunque degli effetti giuridici, in quanto obbliga lo Stato membro a prendere i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza (art. 260, par. 1 TFUE), anche se questa non indica né gli adempimenti che lo Stato deve fare né il termine entro cui dovrà provvedere. Tuttavia dalla sentenza Commissione vs. Italia (13 luglio 1972) si può dedurre che lo Stato membro debba: a cessare immediatamente di applicare i provvedimenti nazionali che hanno causato la violazione dell'obbligo; b adottare al più presto tutti i provvedimenti necessari (ad esempio di natura abrogativa o modificativa) per eliminare completamente la situazione che aveva dato vita all'infrazione. Inoltre è implicito che i giudici nazionali debbano immediatamente disapplicare la norma in questione. Secondo procedimento di infrazione 1 Qualora lo Stato non rispetti la sentenza che ha accertato l'infrazione, adottando le misure necessaria per adeguarvisi, e dopo aver eventualmente presentato le proprie osservazioni, la Commissione può avviare un secondo procedimento davanti alla Corte. 2 La Commissione, nella presentazione del ricorso, deve precisare l'importo della somma forfettaria o della penalità che lo Stato deve versare che sia adeguato alle circostanze. 3 Se la Corte riconosce che lo Stato non si è conformato alla precedente sentenza, emana una sentenza di condanna, con la quale lo condanna al pagamento di: • una somma forfettaria → monetizzazione della violazione • o di una penalità (o penalità di mora) → più persiste la violazione, più lo Stato dovrà pagare È stato inserito nell'art. 260, par. 2 TFUE dopo Maastricht, in quanto in origine era soltanto un ulteriore procedimento che conduceva ad una seconda sentenza di accertamento. Nella normativa italiana è stato previsto un diritto di rivalsa dello Stato qualora la violazione sia imputabile a enti autonomi (Regioni o Province), se entro 3 mesi il Governo adotta un decreto che obbliga gli enti a rimborsare allo Stato quella somma → questo atto costituisce un titolo esecutivo (art. 43, par. da 4 a 6 legge 234/2012) [vedi anche artt. 14 e 15 della Legge 234/2012] • Iniziativa di uno Stato membro art. 259 TFUE 1 Qualora uno Stato ritenga che un altro Stato abbia violato gli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, prima di rivolgere il ricorso alla Corte, deve rivolgersi alla Commissione. 2 La Commissione deve porre lo Stato in condizione di presentare in contraddittorio le sue osservazioni scritte e orali. 3 Successivamente la Commissione adotta un parere motivato, e il procedimento segue le forme previste dall'art. 258. Ma se questo non è stato formulato entro 3 mesi dalla domanda, lo Stato può ricorrere direttamente alla Corte. 4 Se la Corte accerta la violazione, emana una sentenza di mero accertamento, con gli stessi effetti di quella che emana alla fine del procedimento avviato dalla Commissione. Però il potere di chiedere la comminazione di una sanzione pecuniaria è riservato alla Commissione ○ Ricorso per annullamento artt. 263-264 - Oggetto Atti delle istituzioni che siano in contrasto con il diritto dell'Unione. Il ricorso per annullamento è la forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità per gli atti delle istituzioni. - La teoria del “monopolio sul controllo di legittimità” Esistono anche altre procedure che consentono un controllo di legittimità (eccezione di invalidità; questioni pregiudiziali di validità, ecc.) ma in ogni caso la Corte afferma di avere il monopolio sul controllo di legittimità degli atti delle istituzioni, essa si ritiene l'unico organo competente a dichiarare invalido un atto, cosa che invece i giudici nazionali non possono mai fare. La vera e propria teorizzazione del monopolio risale al caso Foto-Frost (sentenza 22 ottobre 1987): - la Corte afferma innanzitutto che se un giudice nazionale potesse autonomamente valutare la validità di un atto delle istituzioni, ognuno di essi potrebbe giungere a conclusioni diverse, minando così l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione; - sulla base di queste considerazioni, afferma poi che “la coerenza del sistema esige che sia riservato alla Corte il potere di dichiarare l'invalidità dell'atto” → competenza esclusiva Nel caso un giudice nazionale nutra dei dubbi sulla validità di un atto delle istituzioni, dovrà sottoporre una questione pregiudiziale di validità alla Corte. - Atti impugnabili (art. 263, 1°c. TFUE) Gli atti impugnabili nel ricorso per annullamento sono: - atti legislativi - atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri - atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo “destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi” - atti degli organi o organismi dell'Unione “destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi” Al di fuori degli atti legislativi, il criterio per l'impugnabilità di un atto non legislativo è la produzione di effetti giuridici nei confronti di terzi, che nel caso di Consiglio, Commissione e BCE è automatico, stabilendo l'impugnabilità solamente di regolamenti, direttive e decisioni, mentre per gli altri soggetti il criterio dev'essere verificato di volta in volta. Pertanto i soggetti dotati di legittimazione passiva, ovvero che possono esser portati dinanzi alla Corte, sono tutte le istituzioni (eccetto Corte di giustizia e Corte dei conti), gli organi e gli organismi dell'Unione. - Soggetti ricorrenti I soggetti legittimati a ricorrere, quindi dotati di legittimazione attiva, si suddividono in 3 categorie. - Ricorrenti privilegiati (art. 263, 2°c. TFUE): • Stati membri (*) • Parlamento europeo • Consiglio • Commissione Il loro diritto di ricorso ha portata generale: possono ricorrere contro qualunque atto impugnabile e non devono dimostrare un interesse (soggettivo) a ricorrere, essendo loro considerati portatori di interessi generali. (*) Per Stati membri si intendono “le sole autorità di Governo degli Stati membri” e non anche gli esecutivi di regioni e di comunità autonome. Perciò una regione che voglia impugnare un atto delle istituzioni deve rispettare le condizioni previste per le persone fisiche o giuridiche; tuttavia in Italia la Legge La Loggia attribuisce a Regioni e Province autonome il potere di sollecitare il ricorso, oppure di obbligare il Governo a presentarlo qualora la richiesta provenga da una deliberazione della Conferenza Stato-Regioni. - Ricorrenti intermedi (art. 263, 3°c. TFUE): • Corte dei conti • Banca centrale europea • Comitato delle regioni Il loro diritto di ricorso è limitato, in quanto specificamente finalizzato a “salvaguardare le proprie prerogative”; in genere si tratta di casi nei quali l'errata scelta della base giuridica di un atto compromette queste istituzioni. - Ricorrenti non privilegiati (art. 263, 4°c. TFUE): • persone fisiche • persone giuridiche Essendo un caso eccezionale che i singoli possano ottenere l'annullamento di un atto delle istituzioni, il diritto di ricorso di una persona fisica o giuridica è limitato a soli 3 casi, nei quali rileva il rapporto stabilito tra il ricorrente e il contenuto dell'atto: •.1 “atti adottati nei suoi confronti” = atti di cui il ricorrente sia il destinatario, quindi si tratta di misure individuali (es. decisioni in materia di concorrenza; misure restrittive a carico di persone fisiche o giuridiche adottate nell'ambito PESC) In tal caso occorre soltanto dimostrare di avere interesse a ricorrere, nel senso che la posizione giuridica del ricorrente è pregiudicata dalla permanenza dell'atto impugnato •.2 “atti che la riguardano direttamente e individualmente” = atti vincolanti o comunque produttivi di effetti di cui il ricorrente non sia formalmente il destinatario, ma che lo riguardano in due modi (maggior onere probatorio): - direttamente (interesse diretto) → non ci sono atti nazionali intermedi (es. per i regolamenti), oppure se ci sono le autorità nazionali non hanno alcuna discrezionalità - individualmente (interesse individuale) → l'atto in questione tocca il ricorrente “a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifica alla stessa stregua dei destinatari” ( = formula Plaumann, derivante dalla sentenza Plaumann, 1963); in altre parole per dimostrare l'interesse individuale non è sufficiente che il ricorrente appartenga ad una categoria astrattamente individuata, seppur ristretta, di soggetti, ma deve dimostrare che l'atto produce effetti giuridici solo sulla sua posizione giuridica, oppure tali effetti sono diversi e più gravi sulla sua posizione rispetto a quelli che si producono sulle posizioni giuridiche di altri soggetti → l'atto deve pregiudicarlo in modo speciale rispetto a tutti gli altri destinatari. Queste due prime categorie corrispondono sostanzialmente alle due ipotesi di ricorso che erano previste dall'art. 230, 4°c. TCE. Tuttavia le notevoli difficoltà dovute all'onere probatorio di dimostrare interesse diretto ed interesse individuale avevano spinto molti a chiedere un'attenuazione del rigore finora mostrato della giurisprudenza, soprattutto per il rischio che si formino lacune nel sistema di tutela giurisdizionale, qualora soggetti pregiudicati da un atto non riescano a dimostrare di esserne direttamente ma soprattutto individualmente danneggiati, producendosi così una violazione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva (artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 Carta), diritto che proprio questo sistema di tutela europeo si pone come obiettivo fondamentale (*) [§ paragrafo sopra]. •.3 “atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d'esecuzione” Sulla base delle considerazioni di cui sopra, questa terza ipotesi sembra una deroga rispetto alla precedente, in quanto è sufficiente dimostrare l'interesse diretto, e non l'interesse individuale, anche se limitato ai soli atti regolamentari che non comportano misure d'esecuzione (a dire il vero è una categoria nuova e ancora di incerta definizione). (*) Casistica Il problema della mancanza di un rimedio giurisdizionale effettivo si è posto in due casi importanti: nazionali di esecuzione, ma che imponeva dei comportamenti negativi (erano revocate delle posizioni di vantaggio precedentemente concesse) e come tale pregiudicava i ricorrenti, i quali però non riuscivano a dimostrare di essere direttamente colpiti dal regolamento. Nel caso UPA l'avvocato generale Jacobs sostiene un'impostazione in casi del genere: vanno interpretati meno restrittivamente i requisiti di ricevibilità e un soggetto può essere “individualmente riguardato da un atto comunitario nel caso in cui, in ragione delle circostanze di fatto a lui particolari, tale atto pregiudichi o possa pregiudicare in modo sostanziale i suoi interessi” → fa leva sull'importanza del pregiudizio (attuale o potenziale) subito dal ricorrente. Nel di poco successivo caso Jégo-Quéré il Tribunale di primo grado condivide l'impostazione dell'avv. gen. Jacobs: “al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei singoli, una persona fisica o giuridica deve ritenersi individualmente interessata da una disposizione comunitaria di portata generale che la riguarda direttamente, ove la disposizione di cui trattasi indica, in maniera certa ed attuale, sulla sua sfera giuridica limitando i suoi diritti ovvero imponendole obblighi per tenere conto del diritto ad un rimedio giudiziario effettivo” → da leva sul carattere certo ed attuale del pregiudizio. → Nessuno di tali suggerimenti è stato accolto dalla Corte di giustizia! I motivi di ammissibilità del ricorso addotti dai ricorrenti vertevano sul fatto che, anche se non potevano dimostrare gli interessi individuale e collettivo, se la Corte non avesse accolto il ricorso, essi sarebbero rimasti privi di tutela, con relativa violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (art. 6 e 13 CEDU, art. 47 Carta), non potendo in altro modo ottenere un rimedio quando si trattava di comportamenti negativi. Nella sentenza UPA la Corte invece rifiuta che i requisiti di ammissibilità possano essere interpretati diversamente a seconda che il ricorrente disponga o meno di un rimedio giurisdizionale effettivo a livello nazionale, perché un caso del genere comporterebbe che “per ogni caso specifico, il giudice comunitario esamini e interpreti il diritto processuale nazionale”, il che esula dalle sue competenze. Per questi motivi, la Corte pone sui giudici nazionali l'onere di interpretare le norme processuali del loro ordinamento al fine di consentire ai soggetti interessati di esperire i rimedi giudiziari effettivi contro atti comunitari invalidi, in attesa che sia lo Stato stesso a riformare il sistema giurisdizionale → la Corte, piuttosto che modificare in via interpretativa i presupposti di ammissibilità, aprendone le “maglie”, preferisce scaricare sui giudici interni la responsabilità di interpretare le norme in modo conforme. Quest'impostazione è ribadita dalla Corte nella sentenza Jégo-Quéré, che annulla la precedente sentenza del Tribunale; da questa emerge che, in via di pura ipotesi, la Corte ammette la possibilità di situazioni in cui l'ordinamento nazionale non offra ai soggetti un rimedio né diretto né indiretto che consenta una tutela giurisdizione effettiva (salvo violare la regola e subirne le conseguenze), anche se le ritiene estremamente rare ed improbabili, ma questo basta per mettere in dubbio quell'assoluta completezza del sistema di tutela giurisdizionale che la Corte ha sempre preteso. → Sulla base di questi casi è stata inserita la terza categoria di atti. Nel recente caso Telefónica SA vs. Commissione (19 dicembre 2013) la Corte riconsidera gli argomenti del caso UPA, e tra questi considera nuovamente anche gli atti contro i quali non è possibile esperire un ricorso e che comporterebbero una violazione della tutela giurisdizionale effettiva, che sono stati utilizzati per forzare le condizioni di ricevibilità del ricorsi individuali. - Vizi di legittimità (art. 263, 2°c. TFUE) I vizi che possono motivare un ricorso per annullamento possono essere: • incompetenza : a sua volta può essere: - incompetenza interna → istituzione che emette l'atto non ha il potere di farlo, perché tale potere spetta ad altra istituzione (violazione del principio dell'equilibrio istituzionale) - incompetenza esterna → nessuna istituzione ha il potere di emanare l'atto in questione, perché tale potere non rientra affatto nelle competenze dell'Unione (violazione del principio d'attribuzione) • violazione delle forme sostanziali : quando non sono rispettati quei requisiti formali di tale importanza da influire sul contenuto dell'atto, e in genere possono essere: - violazione nel procedimento seguito per l'emanazione dell'atto - violazione dell'obbligo di motivazione, ovvero quando questa è del tutto assente oppure è insufficiente • violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione : è la violazione di qualunque norma giuridica superiore rispetto all'atto impugnato, compresi principi generali, diritti fondamentali, principi del diritto internazionale generale, accordi internazionali; è espressione del principio della gerarchia delle fonti dell'Unione, ed è il vizio più frequentemente invocato, in quando ingloba sostanzialmente i precedenti due vizi • sviamento di potere : quando un'istituzione emana un atto che ha il potere di adottare, perseguendo però scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito (molto raro) - Termine di ricorso (art. 263, 6°c. TFUE) Il termine per presentare il ricorso è di due mesi, che decorre: - dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, se l'atto è stato pubblicato - dalla notificazione, se l'atto è stato notificato al destinatario - in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell'atto. È considerato un termine perentorio e di ordine pubblico, scaduto il quale non è più possibile ricorrere, né a livello europeo né davanti al giudice interno (c.d. “preclusione TWD”). In rari casi, però, il termine è stato interpretato in maniera elastica: il caso Polonia vs. Commissione (26 giugno 2012) riguardava un regolamento che danneggiava la Polonia, ma che all'epoca dell'emanazione non era ancora entrata nell'Unione europea → la Corte ha accolto il ricorso, anche se fuori dal termine, per tener conto del diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale effettiva. - Efficacia della sentenza L'art. 264 TFUE disciplina gli effetti della sentenza di annullamento: - regola generale → 1°c.: “Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato” → efficacia erga omnes (portata generale) ed ex tunc (retroattiva) - eccezione → 2°c.: “Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi” → limitazione dell'efficacia: ratione personarum (atto annullato solo nei confronti dei ricorrente) e decorrenza degli effetti ex nunc o da un momento successivo particolare Quest'ultimo potere discrezionale della Corte è stato giustificato in base a considerazioni di certezza del diritto e tutela dell'affidamento. La sentenza della Corte è di mero annullamento, si limita ad eliminare l'atto viziato, ma se questo non sia sufficiente, l'istituzione che ha emanato l'atto in questione è tenuta a prendere provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza (art. 266, 1°c. TFUE). ○ Rinvio pregiudiziale art. 267 TFUE - Caratteristiche generali Il rinvio pregiudiziale è uno strumento di collaborazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia. Si ispira ad analoghi procedimenti tipici degli ordinamenti italiano e tedesco. La Corte è l'unica ad avere una competenza pregiudiziale: essa può o deve essere chiamata a pronunciarsi su questioni di diritto dell'Unione in seguito al rinvio operato da un organo giurisdizionale nazionale, il quale ritiene necessaria, per emanare la sua sentenza, una decisione della Corte sulla questione; non è invece possibile un rinvio pregiudiziale al Tribunale → è una competenza pregiudiziale esclusiva. Perciò la pronuncia della Corte ha natura pregiudiziale: - in senso temporale: precede la sentenza del giudice nazionale - in senso funzionale: è strumentale rispetto all'emanazione di tale sentenza. È una competenza indiretta, in quanto l'iniziativa di rivolgersi alla Corte non è assunta direttamente dalle parti interessate, ma è una decisione che può prendere soltanto il giudice nazionale. È anche una competenza limitata, perché la Corte può esaminare soltanto le questioni di diritto dell'Unione, perciò conosce la controversia solo attraverso la domanda del giudice nazionale. Infine è una competenza imperativa, nel senso che il giudice nazionale ha sempre la facoltà, e talvolta l'obbligo, di operare il rinvio alla Corte, non può mai esserne impedito da norme processuali nazionali. Nell'ambito italiano il problema si è presentato nei casi in cui il giudice non riteneva di dover operare il rinvio in quanto la Cassazione aveva già pronunciato una sentenza su un caso analogo → quest'obbligo per il giudice di applicare la sentenza della Cassazione svuoterebbe di fatto il potere di rinvio, perciò la Corte è intervenuta affermando che il giudice mantiene sempre e comunque la sua facoltà di rinvio. La competenza pregiudiziale è considerata talmente importante dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte, che questa ha sempre censurato ogni disposizione nazionale che ostacoli o limiti la facoltà dei giudici di operare rinvio ai sensi dell'art. 267. A quest'ultimo riguarda si veda la casistica. Caso Peterbroeck (14 dicembre 1995): riguarda il riconoscimento del potere del giudice, che è l'unico che può sollevare rinvio in Belgio, di esaminare d'ufficio elementi di diritto europeo anche se il suo ordinamento nazionale non gli da questo potere → secondo la Corte la mancanza del potere pregiudiziale del giudice a livello nazionale può essere integrato con il diritto europeo. Caso Kelly vs. National University of Ireland (21 luglio 2011): riguarda un caso di discriminazione lavorativa in base al sesso, nel quale la Corte viene investita del se il carattere ispiratore del processo nazionale amministrativo abbia delle negatività per quanto riguarda il rinvio pregiudiziale: tale processo è basato su un regime inquisitorio in cui è la pubblica autorità a dover indagare e soprattutto a decidere se ricorrere al rinvio pregiudiziale, il che andrebbe a sfavore del ricorrente, che per questo invocava un processo di carattere accusatorio → secondo la Corte è indifferente il tipo di processo nazionale, purché il giudice nazionale conservi intatta la facoltà di sollevare questioni sul diritto europeo. - Ragioni e finalità del rinvio pregiudiziale Le ragioni che hanno portato ad inserire uno strumento del genere sono legate ad alcune caratteristiche tipiche dell'ordinamento dell'Unione: - da un lato, il sistema decentralizzato di applicazione del diritto europeo - dall'altro, l'efficacia diretta della maggior parte delle norme europee Queste caratteristiche rendono frequente l'insorgere di controversie tra privati e autorità pubblica sull'applicazione del diritto dell'Unione, controversie per le quali i trattati non attribuiscono una competenza diretta alla Corte, e di conseguenza vanno instaurate dinanzi ai giudici nazionali. Lo scopo del rinvio pregiudiziale è duplice: - evitare che ciascun giudice nazionale interpreti e verifichi la validità delle norme europee in maniera autonoma, col rischio di infrangere l'unitaria applicazione del diritto dell'Unione - offrire ai giudici nazionali uno strumento di collaborazione per superare le difficoltà interpretative che il diritto dell'Unione può sollevare. Per il grande ruolo che ricopre, il rinvio pregiudiziale è stato di enorme importanza per lo sviluppo del diritto dell'Unione: con tale meccanismo sono stati affermati principi cardine del sistema europeo, quali l'efficacia diretta e il primato del diritto dell'Unione. - Strumento di tutela giurisdizionale effettiva Il rinvio pregiudiziale non è un potere dei singoli, questi possono solo eventualmente sollecitare il giudice ad attivarlo. Nonostante ciò, è stato considerato dalla Corte uno strumento di tutela giurisdizionale effettiva: come già detto, uno dei suoi scopi è quello di aiutare il giudice nazionale a superare le difficoltà interpretative poste dal diritto dell'Unione, se venisse tolta questa possibilità, Successivamente in uso improprio e persino abusivo del rinvio pregiudiziale ha costretto la Corte a verificare la rilevanza delle questioni pregiudiziali, arrivando addirittura a rigettare l'ordinanza di rinvio, anche se in casi piuttosto rari. Sulla base di ciò la giurisprudenza ha elaborato alcune ipotesi nelle quali la domanda non è ammissibile: - questioni fittizie → la lite dinanzi al giudice nazionale viene costruita dalle parti, che sono d'accordo tra di loro sull'interpretazione da dare alle norme dell'Unione, e vogliono solo ottenere una pronuncia della Corte che avrà efficacia erga omnes; - questioni manifestamente irrilevanti → la norma europea oggetto della questione pregiudiziale è manifestamente inapplicabile alla fattispecie nel caso nazionale; - questioni puramente ipotetiche → questioni che, o per la loro genericità o per il fatto che presentano, non rispondono ad un effettivo bisogno del giudice nazionale per la soluzione della controversia, ma riguardano un problema che non ha alcuna attinenza con la questione principale. Oggi l'atteggiamento della Corte è orientato verso una sorta di presunzione di rilevanza: essa è tenuta ad emanare una decisione pregiudiziale ogniqualvolta “le questioni sollevate dal giudice nazionale vertano sull'interpretazione di una norma comunitaria”. In pratica alla Corte basta che il giudice nazionale abbia indicato i motivi per i quali è necessaria la risposta, oppure è sufficiente dimostrare anche solo che la rilevanza non possa essere esclusa. Casistica: Questioni fittizie: caso Foglia vs. Novello (11 marzo 1980): riguardava il pagamento alle autorità francesi di tasse ad effetto equivalente sui vini importati da Foglia dall'Italia in Francia per conto di Novello, tasse che non sono state contestate da nessuno dei due al momento del pagamento → secondo la Corte le parti volevano eliminare la tassa in questione attraverso il rinvio pregiudiziale. Questioni manifestamente irrilevanti: caso Di Donna (27 giugno 2013) : la sig. Di Donna, italiana, si lamentava contro un ente pubblico della regola della “mediazione civile obbligatoria”, recentemente introdotta nell'ambito civilistico nel nostro ordinamento → la Corte ha ritenuto manifestamente irrilevante la questione in quanto era nel frattempo intervenuta una sentenza della Corte costituzionale italiana che aveva dichiarato incostituzionale questo strumento di propedeuticità, fatto che secondo la Corte “toglie interesse” al rinvio pregiudiziale. Questioni puramente ipotetiche: caso Consiglio Nazionale dei Geologi vs. AGCM (18 luglio 2013): il giudice amministrativo italiano si trova ad affrontare il problema della validità di una decisione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che censura il codice deontologico dei geologi, dal momento che avrebbe finito per incidere sulle tariffe applicate dai geologi uniformandone le condotte e spingendoli ad attuare un meccanismo molto vicino al trust, espressamente vietato da norme europee. Tuttavia davanti al TAR ed al Consiglio di Stato viene in rilievo il problema del se certe preclusioni processuali siano o meno compatibili con il rinvio pregiudiziale e del se l'obbligo del rinvio sia o meno compatibile con il principio della ragionevole durata del processo → la Corte ritiene tali questioni non rilevanti per la soluzione del caso concreto. - Nozione di “giurisdizione nazionale” La questione pregiudiziale può essere sollevata soltanto da un “organo giurisdizionale nazionale” (art. 267, 2° e 3°c. TFUE). È una nozione autonoma, non sempre coincidente con le definizioni ricavabili dagli ordinamenti degli Stati membri. • Requisito fondamentale: funzione giurisdizionale È possibile che dei giudici per il diritto interno non siano considerati tali ai fini del rinvio pregiudiziale qualora esercito funzioni non giurisdizionali. Viceversa dei soggetti che non sono considerati giudici nell'ordinamento interno possono invece operare il rinvio ai sensi dell'art. 267 se esercitano funzioni giurisdizionali. Il requisito fondamentale è quindi l'esercizio della funzione giurisdizionale, ovvero il giudice deve essere chiamato “a statuire nell'ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale”. Questo è stato affermato nel caso Job Centre (19 ottobre 1995), nel quale era stata rigettata la domanda pregiudiziale in quanto sollevata dal Tribunale di Milano che in quel caso stava svolgendo funzione amministrativa, riguardante una rifiutata omologazione ai fini Regola generale: giudice di ultima istanza ha l'obbligo di rinvio. Quella di giudice di ultima istanza è una nozione giurisdizionale, non istituzionale, che dipende dalla possibilità concreta di proporre un'impugnazione contro le decisioni del giudice, al di là della posizione che occupa nel rango giudiziario nazionale, e per l'impugnazione vanno presi in considerazione soltanto i rimedi ordinari. Tale obbligo per il giudice di ultimo grado ha una duplice ratio: - un errore del giudice nel risolvere questioni di diritto dell'Unione in un giudizio di ultima istanza resterebbe senza ulteriore rimedio → obbligo di rinvio come estrema forma di tutela offerta ai soggetti per la corretta applicazione giudiziaria del diritto dell'Unione; - l'erronea soluzione data da un giudice di ultima istanza a questioni di diritto dell'Unione rischia di essere accolta in numerose altre pronunce giudiziarie, sia per la regola del precedente nei paesi di common law, sia per il prestigio e l'importanza di tali sentenze, così da consolidarsi, nonostante la sua non correttezza. Tuttavia la Corte ha introdotto degli elementi di flessibilità: innanzitutto affermando che anche i giudici di ultima istanza “dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia sul punto di diritto comunitario”, hanno quindi discrezionalità nel valutare la necessità della pronuncia della Corte, e quindi il solo fatto che le parti abbiano sollevato questioni di diritto dell'Unione non comporta obbligo di rinvio; inoltre individuando alcune ipotesi nelle quali, anche per questioni rilevanti, non è necessario il rinvio → hanno perciò un obbligo condizionato. Eccezione: giudice di ultima istanza ha la facoltà di rinvio quando: • la questione è materialmente identica ad un'altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale • la risposta alle questioni sollevate risulta da una giurisprudenza costanze della Corte, che risolve il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere (in tal caso il giudice è tenuto o ad applicare il precedente o a rinviare) • la corretta applicazione del diritto dell'Unione è talmente evidente da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione → teoria dell'atto chiaro (affermata nel caso CILFIT, 6 ottobre 1982); quest'ultima è l'ipotesi maggiormente abusata, e per questo la Corte ha cercato di definirne l'ambito di applicazione, imponendo al giudice le seguenti verifiche: - convincersi che la stessa soluzione si imporrebbe anche ai giudici di altri Stati membri e alla Corte di giustizia - raffrontare le diverse versioni linguistiche delle norme dell'Unione - tener conto della non necessaria coincidenza tra il significato di una medesima nozione giuridica nel diritto dell'Unione e nel diritto interno - ricollocare la norme dell'Unione nel suo contesto e alla luce delle sue finalità Nel caso in cui il giudice di ultima istanza non rispetto il suo obbligo di rinvio, esiste comunque un rimedio: ci si può rivolgere al giudice di merito per contestare l'abusiva competenza del giudice di ultimo grado. La Corte EDU, dapprima nel caso Michaud (6 dicembre 2012), che ha poi trovato concreta applicazione nel caso Dhahbi vs. Italia (8 aprile 2014), ha ritenuto che quando un giudice di ultima istanza ha mancato di rinviare alla Corte di giustizia, e se non sussiste nessuna delle 3 ipotesi sopra dette, allora lo Stato cui il giudice appartiene ha commesso una violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva; però questo è valido sono nell'ambito di questioni di diritto dell'Unione. - Oggetto del rinvio Art. 267, 1°c.: “La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a sull'interpretazione dei trattati; b sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione.” • Questioni pregiudiziali d'interpretazione Possono avere ad oggetto: • trattati → intesi come TUE e TFUE nella versione applicabile ratione temporis ai fatti della causa pendente, compresi i protocolli e gli allegati, e tenendo conto degli emendamenti o degli adattamenti apportati, ad esempio in occasione dell'adesione di nuovi Stati membri • atti compiuti dalle istituzioni → è una categoria ampia, che copre pressoché qualsiasi proposizione europea, ma in particolare comprende: - tutti gli atti di cui all'art. 288 TFUE (inclusi gli atti non vincolanti) - atti atipici - accordi internazionali - atti privi di efficacia diretta Non rientrano invece nella competenza pregiudiziale della Corte gli accordi o e convenzioni concluse tra gli Stati membri, per le quali in ognuna è stato necessario inserire una clausola che attribuisca la competenza alla Corte. Nell'ambito del rinvio pregiudiziale, la Corte non può procedere: - all'applicazione della norma dell'Unione nella fattispecie oggetto del giudizio pendente davanti al giudice nazionale (anche se spesso le risposte della Corte vanno al di là di un'interpretazione meramente astratta della norma dell'Unione) - all'interpretazione di norme degli Stati membri, che spetta al giudice nazionale - a dichiarare l'incompatibilità di una norma nazionale con norme dell'Unione, anche questa competenza del giudice nazionale che ha operato il rinvio Tuttavia qualora il giudice nazionale chieda alla Corte un giudizio sulla compatibilità di specifiche norme interne con il diritto dell'Unione, la Corte, ferma restando la sua incompetenza i tali casi, in genere riformula la norma interna alla luce del diritto europeo, in modo da fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione che gli consentano di valutare tale compatibilità → è questo il cosiddetto uso alternativo del rinvio pregiudiziale, ovvero quando è utilizzato per ottenere dalla Corte un giudizio indiretto sulla compatibilità tra norme interne e diritto dell'Unione. Inoltre la Corte accetta di pronunciarsi anche su questioni interpretative che abbiano ad oggetto norme interne, le quali a loro volta richiamano norme dell'Unione, ma soltanto se queste ultime sono chiare ed univoche. • Questioni pregiudiziali di validità Possono avere ad oggetto soltanto: • atti compiuti dalle istituzioni Tale controllo si aggiunge ai controlli di validità sugli atti istituzionali effettuati con il ricorso di legittimità (art. 263 TFUE), l'eccezione d'invalidità (art. 277 TFUE), e indirettamente con l'azione di danni da responsabilità extracontrattuale (art. 268 TFUE). Tra tutti, però, la questione pregiudiziale di validità ha una forte analogia con il ricorso d'annullamento per quanto riguarda: - l'oggetto: tutti gli atti di cui all'art. 263 - motivi di invalidità: gli stessi dell'art. 263 Invece se ne differenzia per alcuni aspetti: - la questione di validità che riguardi un regolamento o una decisione rivolta a tersi non è sottoposta alle condizioni restrittive dell'art. 263, 4°c. - la questione di validità non dev'essere proposta entro 2 mesi (art. 263, 5°c.), ma può esser fatta anche a distanza di anni; tuttavia ciò non è possibile se risulta che il ricorrente avrebbe potuto presentare il ricorso d'annullamento entro i due mesi ma non l'ha fatto. - Valore delle sentenze pregiudiziali Valore temporale: - in genere valore retroattivo (ex tunc ) → secondo la Corte l'interpretazione contenuta in una sentenza pregiudiziale “chiarisce il
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