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Luigi Pirandello, 1867-1936: Ciaula scopre la luna, Appunti di Italiano

Una breve biografia di Luigi Pirandello, uno dei grandi innovatori della prosa del ‘900, e una sintesi della novella “Ciaula scopre la luna”. La novella, che ha influssi veristi, presenta un’analisi psicologica profonda e un umorismo lucido e disincantato. Il protagonista, Ciaula, rappresenta una regressione infantile e vive solo di impulso, irrazionalità e sensazioni. Il documento potrebbe essere utile come appunti o sintesi del corso per gli studenti di letteratura italiana.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 25/01/2023

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Scarica Luigi Pirandello, 1867-1936: Ciaula scopre la luna e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! LUIGI PIRANDELLO, 1867-1936 Rispetto a Svevo è un autore che ha seguito un percorso un po’ più canonico, narratore, drammaturgo, poeta, saggista; è molto più prolifico. È uno dei grandi innovatori della prosa del ‘900 per motivi analoghi e diversi: è simile a Svevo dal punto di vista dell’analisi psicologica, non lo è dal punto di vista del modo di raccontare e delle riflessioni. Nasce ad Agrigento e inizialmente continua con la linea siciliana iniziata da Verga, le sue prime opere non sono molto distanti da quelle veriste presentando tuttavia differenze sostanziali nella narrazione ed in alcuni dettagli che celano una lettura psicologica molto più profonda. Il padre di Pirandello era un direttore delle miniere di zolfo, quindi conosceva da vicino l’ambiente. Si trasferisce a Roma dopo la laurea, negli anni ’90. Per un periodo fa l'insegnante di italiano, entra di ruolo piuttosto tardi. Infine si sposa. L’evento che cambia la sua vita è il fatto che la moglie che lui amava moltissimo, Maria Antonietta Portulano, si ammala di una malattia mentale. Per questo motivo è costretto ad abbandonare molti dei suoi progetti lavorativi per seguire la malattia della moglie. Nel 1903 inoltre la solfatara di famiglia viene completamente allagata e quindi la famiglia deve affrontare un grave dissesto economico (oltre alle spese sanitarie già gravose per la malattia della moglie) che segna molto Pirandello. Solamente negli anni ’20 si riprende un po’ e si lega a Marta Abba, un’attrice. Pirandello ebbe molto successo in vita, tanto che ottenne il Nobel. Morì di polmonite ed il suo fu un funerale molto umile e dimesso. ● Ciaula scopre la luna La prima fase della produzione di Pirandello ha influssi veristi, scrive molte novelle, una delle quali “Ciaula scopre la luna” il cui punto di partenza e ambientazione sono analoghi a quelli di Rosso Malpelo: l’ambientazione è simile, siamo in una solfatara, Trama: In una miniera in Sicilia (“la buca della Cace”), una sera il sorvegliante Cacciagallina, con la pistola in pugno, ordina ai suoi lavoratori di continuare a lavorare tutta la notte per finire il carico della giornata. Cacciagallina se la prende in particolar modo con un vecchio minatore, cieco da un occhio, chiamato Zi’ Scarda. Mentre tutti i minatori, però, si rifiutano e tornano in paese, solo il vecchio Zi’ Scarda rimane, insieme al caruso Ciàula. Anche se molto stanco, il ragazzo, “che aveva più di trent’anni (e poteva averne anche sette o settanta, scemo com’era)”, non può che rimanere, obbedendo agli ordini di Zi’ Scarda. Ciàula è del resto abituato alla scarsa luce della miniera, dove non ha paura del buio ed anzi si trova perfettamente a proprio agio come un animale nel suo ambiente naturale. Ciàula ha piuttosto un altro tipo di terrore: quello dell’oscurità che troverà all’uscita della cava, all’aria aperta nella notte. Il panico è dovuto ad un’esperienza tragica: tempo prima uno scoppio nelle gallerie ha ferito a un occhio Zi’ Scarda e ucciso il figlio di quest’ultimo; e Ciàula era scappato a nascondersi in una cavità lontano da tutti, restandovi per molte ore con la lanterna rotta. Quando a tentoni era uscito dalle gallerie deserte nella notte senza luna - quando lui si sarebbe aspettato di trovare la luce del sole, come tutti gli altri giorni - gli aveva instillato la terribile paura di trovarsi da solo senza vedere nulla di ciò che lo circondava. Si capisce allora che il dover rimanere a scavare nella miniera con Zi’ Scarda diventi un motivo di angoscia per il povero Ciàula, soprattutto quando, schiacciato dal carico pesantissimo che sta trasportando sulle spalle, si avvicina all’ingresso della miniera dove sa che lo coglierà il buio terrificante della notte. In realtà, il finale è a sorpresa: Ciàula esce dalla cava e, per la prima volta, vede la Luna che rischiara ed illumina il paesaggio circostante. La tensione si scioglie quindi in una commozione liberatoria. Zi’ Scarda = vecchio, malandato e non più adatto a lavorare ma tenuto nella miniera perché vi ha perso il figlio quattro anni prima. Ciaula è il suo sottoposto e viene trattato un po’ come una bestia secondo una logica di sopraffazione (come Malpelo trattava Ranocchio). Il narratore è poco connotato, non scende al livello dei miniatori e quindi non presenta la caratteristica verista, si esclude dal contesto. Nella presentazione di Zi’ Scarda c’è un dettaglio che Verga non avrebbe mai raccontato: la lacrima (quando aspetta che gli scenda dall’occhio sano e gli tocchi le labbra). Il dettaglio fondamentale è che è un’azione dettata dall’inconscio, non è consapevole. E’ questa la grande novità: le novelle di Pirandello, anche quelle di ambientazione strettamente verista, hanno un umorismo lucido e disincantato, c’è la presenza di alcuni elementi di indagine dell’inconscio (che ovviamente nella narrativa verista non esisteva neanche). Verga aveva descritto Rosso come un personaggio che si era costruito una morale molto solida, in modo razionale, lucido nell’analisi della realtà e che aveva saputo crearsi un sistema di vita di darwinismo sociale molto secco; Ciaula invece è quasi un subumano, non dotato di capacità intellettive normali (il suo nome in siciliano vuol dire cornacchia). Con Ciaula c’è una regressione infantile, sembra un bambino di tre/quattro anni che vive solo di impulso, irrazionalità e sensazioni. Tutto ciò che prova Ciaula è determinato da sensazioni inconsce (es. la paura del buio deriva dal trauma della mina esplosa). Ciaula non ha paura della miniera, anzi rappresenta la sua quotidianità, ma collega la morte con l’ascesa nel mondo soprastante di notte. Era abituato ad addormentarsi subito dopo il lavoro su un saccone con i compagni e quindi non affrontava mai la notte. L’uscita solitario nel mondo buio gli provoca una paura assurda. “Che poteva importare a Ciàula che ci fosse la luna”: la luna dal punto di vista letterario è uno dei soggetti più importanti, è qualcosa di altro da noi, di metafisico. Ciaula non ha questa dimensione cognitiva, ma in questo episodio anche lui subisce questa epifania: contingenza vuole che la luna lo salvi dalla paura, e quindi anche se non comprende il valore della luna come astro percepisce comunque una sorta di enfasi. La luna diventa quasi un’entità mitologica e benefica, come una dea ex machina. Con gli anni ’90 Pirandello inizia la sua riflessione e inizia a scrivere novelle (che verranno raccolte negli anni venti ne “novelle per un anno”, quindi una al giorno, sono tantissime) e romanzi. Il primo romanzo viene pubblicato nel 1901 ma lo aveva scritto intorno al ’93, si intitola “L’esclusa” (in origine era Marta Aiala). Ambientato in Sicilia, potrebbe sembrare simile alla "storia di una capinera”. Marta è vittima di una serie di pregiudizi nel paese in cui nasce: viene accusata di tradimento nei confronti del marito, ma è un fatto che non è avvenuto ma non riesce a provarlo. Un fatto inesistente quindi produce conseguenze reali: viene cacciata di casa, vive una serie di sciagure, è completamente emarginata dalla comunità sociale. Ad un certo punto Marta cede alla corte di quel Gregorio che ci aveva provato (con il quale era stata accusata ingiustamente del tradimento): infine quindi, ironia della sorte, dopo aver commesso il reato del quale era stata accusata il marito la accetta finalmente con sé, accettando perfino un figlio non suo. Ripresa delle tecniche veriste, la narrazione è in terza persona, ripresi i discorsi liberi indiretti, però c’è il tema della realtà ripresa da punti di vista differenti. Il lettore si deve immedesimare nel paese, non nel narratore. La percezione di Marta rimane relativa al personaggio. Relativismo gnoseologico: la verità non è altro che il risultato di un’opinione, non esiste una verità assoluta nei rapporti umani e sociali, l’uomo può credere ad una verità ma nel momento in cui ognuno dice la propria verità non potremo mai sapere fino in fondo quale sia la verità e quale la costruzione della mente e della psiche di un altro. La conoscenza è relativa al mio punto di vista, io sono come mi percepisco io o come mi percepiscono gli altri? Se è vero che la verità non è concepibile umanamente il relativismo gnoseologico Anche i sensi con il fischio sembrano acquistare una nuova capacità. Vuole degli istanti nei quali, anche solo per immaginazione, pensare ad una vita diversa, illudersi che ci possa essere altro. Dopo la rivelazione si rende conto che vuole degli istanti in cui anche solo con il pensiero può pensare e vivere una vita diversa con la mente, illudersi che in quell’istante ci possa essere altro, per far uscire quel fluire di emozioni che aveva represso. L’uomo ha delle convenzioni, riti ecc… che quotidianamente rispetta, si auto inganna: - la famiglia ognuno ha un ruolo, si crea un equilibrio che però potrebbe essere non sano, ci ritagliamo un ruolo anche se in realtà vorremmo anche essere altro. Noi stessi finiamo per sovrapporci all’immagine che la famiglia ha di noi. E’ un equilibrio sbagliato, ci auto inganniamo. - nel lavoro è presente la trappola economica, il tentativo di fare carriera, di arrivare avanti, magari dentro di noi la vita ci fa desiderare tutt’altro. Questa forma paralizza la vita: bloccando la spinta delle pulsioni si blocca la tendenza a vivere il momento, l’attimo. Il soggetto in tutti i suoi desideri e aspirazioni viene distrutto l’individuo si crea una maschera e un personaggio, tutti recitiamo una parte, per questo ama il tema del teatro nel teatro. Ci sono due soluzioni: - L’adeguamento → per inconsapevolezza (i più felici) o per ipocrisia - La consapevolezza → vivere in modo molto amaro, avendo di fondo una fortissima auto ironia, l’uomo che è consapevole della gabbia vive guardandosi vivere ● Il fu Mattia Pascal È il romanzo più famoso di Pirandello, strutturato in diciotto capitoli con tre snodi principali. All’inizio è presentato il fu Mattia Pascal che non è più né Mattia né Adriano Meis, che raccoglie aspetti di entrambi, che ha perso la sua dignità sociale rinchiuso in una biblioteca dato per morto Nei primi capitoli è raccontata la storia del giovane Pascal a Miragno e delle sue vicende amorose che lo portano al matrimonio con Romilda e alla convivenza fastidiosa con la suocera. È una situazione ricorrente nelle opere di Pirandello. Al capitolo sette avviene l’imprevisto, lo snodo costituito dalla fuga, dalla vincita alla roulette e dalla finta morte e da lì parte la sua vita in qualità di Adriano Meis, che tenta di scappare dalla propria identità e di crearne una nuova, specchio delle sue emozioni profonde. Il desiderio di sposarsi con Adriana e il furto che subisce mettono Adriano in una condizione critica: non ha documenti, lui non esiste non può né sposarsi né denunciare. Adriano si opera all’occhio strabico: sembra trovare la sua posizione e comprendere che non può vivere senza la propria forma, senza la propria identità, non può esistere al di fuori delle dinamiche sociali. Alla fine di questa seconda sezione decide di provare a riprendere i panni di Mattia, finge un suicidio sul Tevere dove lascia i suoi vestiti e torna a Miragno sperando di potersi riappropriare di una condizione che gli garantisca un’identità. Il problema è che la vita a Miragno è andata avanti, lui ha imbalsamato Mattia Pascal, ma gli altri hanno continuato a vivere: in primis la moglie Romilda che si è sposata con Pomino. La verità dei fatti è disarmante, non può più tornare nei panni di Mattia Pascal, non avrebbe senso dato che ormai tutto quello che aveva è cambiato definitivamente, la sua vecchia vita non esiste più. Lui non esiste più: si pone al di fuori di tutte e due le vite e al di fuori della forma, in un tempo fermo, mette dei fiori sulla sua finta tomba. Ha perso l’identità sociale, ufficiale ma anche individuale, di padre, di marito è solamente il fu Mattia Pascal. La riflessione di Pirandello si sposta su vari binari: il contrasto forma e vita continua ad essere evidente, ma la domanda è se è sostenibile una vita al di fuori della forma, l’abbandonarsi al flusso insensato dei desideri senza una gabbia sociale. ● La produzione teatrale Dal 1916 al 1925 Pirandello inizia a dedicarsi al teatro e fonderà una compagnia teatrale. È interessante che scelga questo tipo di produzione letteraria, mettendo in scena molte delle sue novelle: il teatro è il luogo migliore per presentare la sua concezione di maschera sociale, di vita come recita di una parte. A questo punto Pirandello arriva ad estremizzare questa teoria, quando mette in scena sei personaggi in cerca di autore: il dramma presenta un palcoscenico dove una compagnia di attori sta preparando una commedia (situazione meta-teatrale), improvvisamente mentre gli attori provano fanno irruzione sei personaggi il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, ovvero i personaggi rifiutati dallo scrittore, che vogliono che gli attori mettano in scena la loro vicenda. La compagnia è smarrita e prova ad acconsentire, i personaggi raccontano la loro storia, apparentemente da dramma tipico ottocentesco (vd. trama), con un finale tragico. Pirandello si blocca perché gli attori devono mettere in scena quello che i personaggi raccontano, ma il contrasto è insanabile, gli attori anche se si sforzano non riescono a non rendere finto quello che recitano e i personaggi si arrabbiano. L’incomunicabilità della scena culmina con la fine della tragedia, che lascia lo spettatore a bocca aperta. L’attore e il personaggio si scindono completamente, l’individualità dell’attore gli impedisce di immedesimarsi completamente nel personaggio: questo è chiaramente uno specchio della vita, quando dobbiamo recitare una parte che non ci appartiene e ci accorgiamo di essere falsi e insoddisfatti della nostra messa in scena. I sei personaggi sono la vita, le istanze profonde, gli attori sono la forma, l’ingabbiamento fallimentare. Sempre di questi anni è anche la rappresentazione del Così è se vi pare: in un paese arrivano due forestieri, suocera e genero (quella che non compare mai nella prima parte del dramma è la moglie/figli), che si accusano a vicenda di follia; il paese vocifera perché la figlia sembra che non possa vedere la madre, nonostante tutti siano nello stesso paese, la madre è costretta a vederla dal cortile di casa, sembra che l’uomo la tenga segregata. Questi due personaggi singolarmente entrano in questa casa e iniziano a dare due versioni diverse: il genero dice che la suocera è impazzita dopo la morte della figlia e crede che la nuova moglie sia lei, loro glielo lasciano credere per non farla agitare, ma gliela fanno vedere solo da lontano. I paesani si dispiacciono davanti a questa versione, provano compassione per il giovane, finchè la vecchia non arriva a raccontare che è lui il folle, che entrato in crisi ha immaginato la morte della moglie e non l’ha più riconosciuta e allora gliel’hanno fatta sposare di nuovo. Insomma lei si fingerebbe pazza per non fare entrare in crisi il genero e per salvaguardare il matrimonio della figlia. Alla fine l’idea che viene ai curiosi del paese è quella di chiedere alla signora stessa che entra in scena, carica di aspettative: ma lei conclude con questa frase ‘io sono la seconda moglie del signor Ponza e la seconda moglie del signor Frole, sono colei che mi si crede’→ non può interrompere l’equilibrio che permette alla sua famiglia di vivere serenamente, lei non ha un’identità o meglio ce l’aveva ma ora non può più riappropriarsene. Ancora una volta la dichiarazione di Pirandello è di impossibilità, di inconoscibilità del reale, cosa che va di pari passo con il tema della follia, perché la signora alla fine fa capire che non può rompere l’idillio perché la follia dei personaggi ha costruito una realtà parallela che li ha fatti uscire dal dolore e dall’inganno. È lo stesso tema che emerge, anche se diversamente, nell’Enrico IV: c’è un giovane che prende parte ad una cavalcata in costume con degli amici, lui veste i panni di Enrico IV, unico nome con cui viene chiamato per tutta l’opera. Il ragazzo viene sbalzato da cavallo, batte la testa e impazzisce, convincendosi di essere davvero il re di Germania ed esigendo che gli si mostri rispetto. I parenti lo assecondano, trasformano la sua villa in una sorta di palazzo reale e lo circondano di servi e cortigiani, in questa corte protetta Enrico vive per dodici anni finché improvvisamente rinsavisce. Si ritrova già maturo, solo, capisce di aver perso tutta la sua giovinezza, il suo amore Matilde Spina (la sera della cavalcata faceva la marchesa) → si scopre che Tito Belcredi, rivale in amore, lo aveva fatto cadere da cavallo e aveva sposato la donna. Quando Enrico si sveglia si accorge di essere completamente escluso dalla vita e decide di fingersi ancora pazzo per otto anni: il dramma inizia qui, ovvero nel momento in cui arrivano al castello Matilde e la figlia Frida, che ha più o meno l’età della madre il giorno della cavalcata, il fidanzato di Frida e Belcredi, in più c’è un medico che millanta di poter guarire Enrico. Sono tutti travestiti per continuare la finzione, fanno l’incontro ed Enrico sta al gioco, facendo apposta delle domande, dei discorsi allusivi a Matilde (che a un certo punto pensa di essere stata riconosciuta). Il medico ha un’idea geniale: vuole preparare un incontro tra Enrico, Matilde e la figlia Frida, entrambe vestite da contessa di toscana, la visione della figlia così simile alla madre permetterà al pazzo di riprendersi. Addirittura dice che sarà come un orologio bloccato che torna a segnare il suo tempo. Enrico rivela la sua sanità ai suoi servi e anche a Belcredi, nel frattempo arriva Frida travestita, quando Enrico entra e la vede si impressiona tantissimo, anche perché sa di non essere pazzo e vedendo questa donna simile a Matilde pensa di essere tornato pazzo. Irrompono tutti gli altri, i servi hanno rivelato che non è più pazzo, Matilde vuole riportarlo in società ma lui non può più inserirsi, vede in Frida l’unica che può riportarlo al passato, una possibilità di salvezza, la abbraccia e Belcredi lo allontana, Enrico allora lo uccide infilzandolo con la spada. Un po’ perché le sue pulsioni passate prendono il sopravvento e un po’ perché con questo gesto decide di conservare l’immagine di pazzo per scampare alla vita di fuori: è una condanna e una liberazione al tempo stesso. PIRANDELLO – approfondimento Pirandello e la moglie hanno un matrimonio non facile, combinato dalle famiglie per interessi economici. La dote di Antonietta fu usata da Stefano Pirandello per rilevare una miniera di zolfo ad Aragona. Si sposano il 27 gennaio del 1894 ad Agrigento e si trasferiscono a Roma. Dopo la crisi, venuta meno "la roba", l’identità di Antonietta inizia a sfaldarsi. La moglie inizia a sfogarsi anche nei confronti della figlia e la situazione diventa insostenibile. Nel 1899 la moglie si ammala e nel 1919 Antonietta viene ricoverata. ● Il rapporto con il fascismo Il 17 settembre del 1924 Pirandello manda una lettera in cui chiede di firmare il manifesto del partito nazional fascista. Pirandello quindi aderisce al partito, il rapporto tra la sua letteratura è il fascismo è molto controverso e ci sono opinioni contrastanti. Già nel dicembre del 1922 Pirandello in un’intervista al giornale “la Sicilia” si dichiarò un precursore del fascimo. Inoltre nell’ottobre del 23 si reca in America per partecipare a diverse conferenze organizzate per dissipare le diffidenze degli americani nei confronti del fascismo, quindi si occupa anche di propaganda. Nelle sue opere perciò non si vede mai alcun riferimento al fascismo, perché si dichiara estremamente contrario all’arte fascista (“facendo arte fascista si fa della polemica e nient’altro”). La morte fu molto umile e dimessa, disperde le sue ceneri, nessuno lo può piangere, disprezza il momento sontuoso della morte fascista. ● Le tematiche pirandelliane - Follia: strumento attraverso il quale l’uomo può uscire dalla condizione di disagio individuale e sociale dell’uomo. Soltanto i pazzi possono avere l’ardire di dire la verità. “Chi osa ribellarsi è pazzo e forse proprio questa follia si prospetta come unica alternativa ad una società malata e rigidamente strutturata”. Per vivere nella società bisogna vivere nella forma. La figura delle donne Ci sono due generazioni: quella di Fana e della madre assunta da una parte, e dall’altra la figura di Nina e di Beatrice. - Saracena: la sua figura è fondamentale in quanto rappresenta la trasgressività, una figura molto ingombrante e scomoda per i protagonisti che cerca di convincere Beatrice a comportarsi in determinati modi all'interno della vicenda. - Assunta e Fana: si muovono all’interno della tradizione, presentano comportamenti remissivi e subalterni. - Nina: è dominata dal potere che il signor Ciampa impone su di lei, è obbligata a stare in casa. - Beatrice: decide non esita di fronte a niente, muove i fili dei “pupi” che ha intorno in modo lucido, razionale, moderno. - Ciampa: conosce bene la sua natura e i suoi limiti, afferma che “lo spirito santo entra in noi e si fa pupo” per dire che ogni giorno ciascuno interpreta un pupo diverso per avere certi riconoscimenti da parte della società. Il mondo è determinato da comportamenti che dipendono dalla società, dai pensieri e dalle dicerie delle varie persone; questa condizione è di dipendenza da principi di rispettabilità ed utilità. La follia viene interpretata come mezzo di sopravvivenza individuale: Beatrice sa di non essere folle, ma apparendo tale agli occhi degli altri risanerebbe la situazione. ● Le novelle La Patente Viene pubblicata nel 1911 sul “Corriere della sera”, ha a che fare con il tema dell'impossibilità dell’uomo di avere una sua identità. Società legata al malocchio, alla sfortuna, ci credono molto anche anche i giudici. Rosario Chiàrchiaro è un padre di famiglia che per la maschera da jettatore che gli è stata attribuita è costretto ad una vita di emarginazione. La storia inizia con un’accusa contro i due uomini per diffamazione e la scena è abbastanza grottesca: Pirandello mostra il suo pessimismo e la sua concezione nella vita degli uomini. Rosario vuole che la sua maschera diventi la sua vera identità. Utilizza la credenza che sia uno jettatore come uno strumento per i propri scopi: “Di qualcosa pur dovrò vivere”. - la storia è quella di Rosario Chiàrchiaro, padre di famiglia emarginato dalla società che per la maschera da jettatore che gli viene calata addosso - vuole che la sua maschera diventi la sua vera identità - Il giudice istruttore D'Andrea rappresenta il sognatore, mentre Rosario propone un'esasperata logica della conciliabilità degli opposti - Chiàrchiaro da vittima diventa persecutore: anziché subire passivamente la repulsione degli altri, preferisce auto-ghettizzarsi Rosario se da una parte viene considerato un je dall’altra lui non si sente in questo modo; utilizza questa commozione popolare come strumento. Ritorna il tema della maschera che impone la società su ogni singolo individuo. Inoltre agisce in maniera impulsiva, spesso mostra atteggiamenti che provengono dalla rabbia e dalla frustrazione, nonostante questo però è sempre in grado di controllarsi e difendere la propria immagine. Anche in questo caso Pirandello vuole mostrare un mondo dominato da superstizioni, credenze anche grottesche che caratterizzano la società. La morte addosso È pubblicata nel 1924 nella “rassegna italiana” che rientra nella raccolta “Novelle per un anno" anche se non lo portò a termine. È incentrata sui temi della morte e della vita; l’idea della vita che sfugge come treno che si perde. Da questa novella è stata fatta anche un’opera teatrale, “L’uomo dal fiore in bocca”. Pirandello affronta il tema dell’uomo di fronte alla consapevolezza della morte. Trama: la scena si svolge in un bar della stazione, di un piccolo paesino sconosciuto, dove il protagonista, “l’uomo dal fiore in bocca”, afflitto da una malattia che lo condurrà alla morte nel giro di pochi mesi; incontra un avventore, un uomo comune sposato,con delle figlie che dichiara “di aver perso per un minuto il treno” e adesso si ritrova in quel paesino in attesa che faccia giorno per ripartire col treno successivo, con il quale inizia a dialogare tutta la notte. Dai guai familiari esposti dall’avventore, l'uomo dal fiore in bocca prende subito spunto per iniziare una serie di riflessioni sull'esistenza, sull’importanza della quotidianità e dei dettagli delle cose. Ma ciò che all'inizio potrebbe sembrare nient'altro che una fissazione maniacale per i particolari, che lo porta a fare una dettagliata descrizione del modo in cui alcuni giovani negozianti confezionano dei pacchetti e della disposizione dei mobili nelle sale d’aspetto dei dottori,si rivela in realtà l'unico punto di contatto con la vita rimasto all’uomo prima di morire. Infatti l’uomo spiega che gli è estremamente utile passare ore e ore davanti alla vetrina dei negozi perché avverte il bisogno di attaccarsi alla vita “come un rampicante attorno alle sbarre di una cancellata” poichè il protagonista si sente solo di fronte alla morte; ma sola è anche sua moglie, la cui ombra appare solamente due volte di sfuggita da dietro un cantone nel corso della vicenda. Nel protagonista è viva una forte contraddizione: da un lato prova una profonda pietà per la donna, che il suo unico desiderio è quello di volergli stare accanto fino alla fine dei suoi giorni; dall'altro però, la detesta perché vorrebbe tenerlo in casa con sé, accudendolo fino alla morte, non facendogli mancare nulla e negandogli, quindi, quel gusto della vita che “l’uomo dal fiore in bocca” ora va cercando in tutte le piccole cose di ogni giorno. Dall’altro lato però il suo profondo legame con la donna è espressamente reso noto dalla continua ricerca della sua ombra, della sua presenza. Su questo scenario di pietà e dolore si conclude la vicenda, con un'estrema volontà di attaccamento alla vita e di speranza, tramite il proprio permanere nella memoria altrui. La gran voglia dell’uomo di conoscere la vita al punto di immaginarla trova riscontro nelle battute conclusive del protagonista che rivolgendosi all’avventore, gli chiede di raccogliergli un bel “cespuglietto di erba” una volta arrivato a destinazione e dato che i fili d’erba rappresentano la vita dell’uomo dal fiore in bocca tanto più grande è il mazzetto e tanto più vivrà. I personaggi: - Il primo rappresenta la normalità, l’uomo comune con i suoi problemi di tutti i giorn - Il secondo è l’uomo incontrato in stazione, che sa di essere destinato ad una morte imminente; ha compreso la futilità e la convenzionalità della vita quotidiana e borghese. - La vera protagonista tuttavia è la vita. Le tematiche: - il relativismo della realtà - l’incomunicabilità tra gli uomini 6 curiosità su Pirandello - Chi è quel bell’uomo nello specchio? - Un professore irresistibile - Sei personaggi in cerca d’autore - La mamma è sempre la mamma → rapporto molto stretto con la madre Caterina, quando scopre che il padre la tradisce lo segue e sputa in faccia all’amante di lui. - Folle di gelosia o folle e basta? - Il matrimonio tormentato con Antonietta tra gelosia e follia
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