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Luigi Pirandello (italiano), Dispense di Italiano

Vita + poetica + analisi della novella “Il treno ha fischiato” di Luigi Pirandello

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 04/05/2024

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aurora-56 🇮🇹

6 documenti

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Scarica Luigi Pirandello (italiano) e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! LUIGI PIRANDELLO LA VITA⬎ Nato ad Agrigento nel 1867 da una famiglia agiata, ben presto abbandonerà l’isola per cercare la sua strada: si trasferisce, in un primo momento, a Roma per studiare lettere e, successivamente, a Bonn dove si laurea in glottologia. Tuttavia, porta dentro di sé un’immagine della Sicilia che resterà un riferimento costante della sua opera: una terra ancora feudale, immobile e chiusa, in cui l’apparire conta più dell’essere. Dopo la laurea, si sposa con una giovane siciliana benestante, da cui avrà tre figli, e si trasferisce a Roma dove, grazie ad un assegno mensile del padre, conta di dedicarsi totalmente alla letteratura: frequenta gli scrittori che si riuniscono attorno a Capuana, collabora a riviste letterarie, scrive le prime novelle e pubblica il romanzo L’esclusa. Anche Roma farà da sfondo a molte sue opere: non la città sontuosa e aristocratica celebrata da D’Annunzio ma un mondo anonimo di impiegati e burocrati, una città morta. Nel 1903 l’allagamento di una miniera di zolfo in cui il padre aveva investito, oltre al proprio capitale, anche la dote della moglie, riduce la famiglia sul lastrico. La notizia cause nella moglie di Pirandello una gravissima crisi, che compromette irrimediabilmente il suo equilibrio psichico: per sedici anni la vita matrimoniale prosegue tra esplosioni di gelosia morbosa, allontanamenti, infruttuosi tentativi di cura: questa è la ragione per cui, nel 1919, sarà costretto a farla internare in manicomio. Intanto la situazione economica costringe lo scrittore a lavorare duramente: la letteratura non è più un’occupazione disinteressata bensì un mezzo per mantenere la famiglia. Nel 1904 pubblica a puntate sulla Nuova Antologia il romanzo Il fu Mattia Pascal e, nel 1908, escono i saggi Arte e scienza e L’umorismo, grazie ai quali vince un posto di professore ordinario a Roma. Nel 1910, inoltre, esordisce come autore teatrale con La morsa e Lumie di Sicilia, ma per ora il suo interesse resta concentrato sulla narrative: in cinque anni pubblica i romanzi Suo marito (1911), I vecchi e i giovani (1913) e Si gira (1915), poi ribattezzato Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Gli anni della guerra sono per Pirandello un periodo di solitudine e di angoscia, oltre che per l'aggravarsi delle malattia della moglie, per la morte della madre, a cui è legatissimo, e per la prigionia in Germania del figlio Stefano, partito volontario. Ma è proprio in quegli anni che la sua attività teatrale incomincia a dare i frutti migliori, suscitando entusiasmi, scalpore e polemiche. Grazie alla sconvolgente novità delle sue opere Pirandello è acclamato come l’autore più famoso e discusso del teatro italiano. Nel 1921 i Sei personaggi in cerca d’autore sono fischiati a Roma, ma accolti trionfalmente a Milano; nei due anni successivi mietono consensi a Londra, Parigi e New York. Il successo internazionale cambia radicalmente la vita di Pirandello che, a quasi sessant’anni, abbandona l’insegnamento e fonda una sua compagnia, lasciandosi alle spalle la vita borghese e sedentaria svolta fino a quel momento per girovagare per i palcoscenici e gli alberghi di tutto il mondo; una giovane attrice, Marta Abba, diviene la sua ispiratrice e interprete prediletta. Continua a scrivere poesie e novelle, pubblica il romanzo Uno, nessuno e centomila e si avvicina con interesse al cinema; il suo massimo impegno, tuttavia, è ora rivolto verso la composizione e la messa in scena di sempre nuove commedie. Rispetto ai riconoscimenti del pubblico e della critica il suo atteggiamento resta ambiguo: da un lato li cerca e se ne compiace, dall’altro se ne dichiara imbarazzato e infastidito. Contradditori sono anche i suoi rapporti con la politica. Convinto che i problemi dell’uomo siano connaturati alla sua esistenza e non possano essere risolti da cambiamenti sociali e istituzionali, si dimostra superficiale e oscillante nelle prese di posizione pubbliche: dal radicalismo giovanile, fondato sulla denuncia del tradimento degli ideali risorgimentali, all’adesione al fascismo nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti. Negli anni successivi, nonostante la nomina ad accademico d’Italia, assume un atteggiamento sempre più distaccato dal regime, mentre la polizia politica lo cataloga tra coloro che portano il distintivo all’occhiello ma non nel cuore, lo accusa di approfittare dei viaggi all’estero per sbraitare contro il Fascismo e denuncia il carattere analitico e anatomizzatore della sua opera. Nell’ultimo periodo della sua vita il successo e le onorificenze non cancellano l’amarezza e il senso di isolamento. Nel 1936 mentre segue, negli stabilimenti di Cinecittà, le riprese di un film tratto dal Fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite e muore nella sua casa romana. LA POETICA LA VITA E LA FORMA⬎ Nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore Pirandello sintetizza in tre punti quelli che per tanti sono sono stati i travagli del suo spirito: l'inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabilmente sulla vuota astrazione delle parole; la molteplice personalità d’ognuno secondo tutte le possibilità d’essere che si trovano in ciascuno di noi; il tragico conflitto immanente tra la vita - che di continuo si muove e cambia - e la forma che la fissa, immutabile. Questi temi fondamentali ritornano, in varie forme e combinazioni, in tutte le sue opere narrative e teatrali. Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica. La realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro e, conformemente alla sua stessa definizione, è un flusso continuo, incandescente, indistinto. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta e individuale si irrigidisce e comincia a morire. Così avviene dell’identità personale dell’uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta nell’universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, in una personalità che vogliamo coerente ed unitaria. In realtà questa personalità è un’illusione. In effetti, mentre la vita è il flusso inarrestabile del cambiamento, la forma - fittizia e superficiale, incapace di rispecchiare il nostro intimo modo di essere - comprende tutti quei ruoli che rivestiamo nella società, i doveri e le abitudini che si siamo imposti, le immagini che gli altri si fanno di noi e quelle che noi stessi ci costruiamo. Tali strutture della società costringono l’uomo a cristallizzarsi in una maschera che lo intrappola e lo costringe in un ruolo fisso che è morte. La lotta tra queste due forze genera sofferenza, disagio e smarrimento. Ogni uomo considera così una verità che è multiforme. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Quella maschera che noi stessi ci imponiamo e che il contesto sociale ci impone implica il dramma dell’uomo: la realtà cambia continuamente ed egli non è in grado di trovare la propria identità. L’uomo è uno, nessuno, ma anche centomila. LA FRANTUMAZIONE DELL’IO⬎ Costretto ad indossare maschere ipocrite e soffocanti, corrispondenti ai diversi ruoli che di volta in volta ricopre o è costretto a ricoprire, l’uomo si illude di poter assumere un’identità definitiva, che in realtà NON avrà mai: chi cerca di liberarsi dalla prigione delle finzioni per mettere a nudo il suo vero volto scopre che la sua identità è inscindibile dalle maschere che indossa, che è impossibile dar voce alla propria autentica natura. Anche quando la sua istintiva tendenza alla libertà o un improvviso atto di consapevolezza lo spingono a volersi disfare della propria maschera è solo per indossare un’altra altrettanto limitativa rispetto alle infinite potenzialità del proprio essere. Il nostro io ci appare, così, come una continua lotta di più anime diverse e persino opposte, frutto dei diversi modi in cui ci vedono gli altri ma anche degli inganni che noi stessi ci costruiamo, per non essere costretti a percepire l'insensatezza della vita. L’unitarietà psicologia dell’individuo finisce per sgretolarsi, motivo per cui i personaggi pirandelliani non possono che adeguarsi passivamente alle maschere o, in alternativa, vivere drammaticamente il contrasto tra vita e forma. Questa teoria della frantumazione dell’io è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva sia di un soggetto forte. L’io si disgrega, si smarrisce e si perde. La crisi dell’idea di identità e di persona risente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell’individuo. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore: avvertire di non essere nessuno provoca angoscia e orrore, genera un senso di solitudine in cui non può riconoscersi. IL RELATIVISMO CONOSCITIVO⬎ Se non possiamo conoscere la verità su noi stessi, a maggior ragione non possiamo conoscerla a proposito del mondo esterno: non c’è, fuori di noi, una signora realtà uguale per tutti, che si possa descrivere oggettivamente ma, al contrario, tante realtà che ciascuno si costruisce a modo suo, dal suo particolare punto di vista. Uno stesso avvenimento viene visto e interpretato in maniera diversa a seconda di chi lo percepisce e lo giudica. Ciascuno, dunque, è solo e tragicamente privo della possibilità di instaurare un contatto autentico con gli altri. Le parole con le quali ci illudiamo di comunicare tra noi ci inchiodano alla solitudine e all'estraneità reciproca: tale relativismo genera il disorientamento, la crisi dell’uomo del ‘900. SENTIMENTO E RIFLESSIONE⬎ Pirandello è consapevole che, per dar voce a una simile visione del mondo, non è possibile appoggiarsi sulle tradizionali concezioni dell’arte. Nell’Umorismo prende le distanze tanto dalle poetiche veristiche e decadenti quanto dall’idea della poesia come intuizione pura. Lo scrittore umoristico - come egli definisce se stesso - deve far interagire la fiamma del sentimento con l’acqua diaccia della riflessione, che ne analizza e ne critica freddamente gli slanci: l'accostamento di questi atteggiamenti opposto mette a nudo le incongruenze dell’esperienza quotidiana, le sfasature tra ciò che appare e ciò che è. Così, anziché mirare all’ordine, alla coerenza e all’armonia, l’umorista crea opere scomposte e stridenti, che vogliono spiazzare il lettore e scardinare i meccanismi del senso comune. In questo quadro si colloca la distinzione tra comico e umoristico, illustrata da Pirandello con un esempio che è diventato famoso. Supponiamo di vedere una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avvertiamo che è il contrario di ciò che dovrebbe essere: fin qui siamo nell’ambito del comico. Ma se andiamo oltre questa impressione superficiale e mettiamo in funzione la riflessione, essa può suggerirci che quella signora non prova alcun piacere a pararsi in quella maniera e lo fa solo nell’illusione di poter trattenere l’amore del marito più giovane. Nasce allora un sentimento di pietà, opposto al precedente: processo di sdoppiamento, per cui l’umorista non può abbandonarsi a un sentimento senza avvertire subito, dentro di sé, qualcosa che lo turba e lo sconcerta, è chiamato da Pirandello il sentimento del contrario: un misto di riso e di pianto, di disprezzo e di compassione, di fronte alla pena di vivere così. LE NOVELLE IL TRENO HA FISCHIATO⬎ La novella Il treno ha fischiato fu pubblicata per la prima volta sul Corriere della Sera nel 1914 e, successivamente, fu inserita nella raccolta Novelle per un anno. Essa inizia in medias res con alcuni personaggi che citano termini medici relativi alla malattia mentale: solo al v. 18 si scopre l’uomo di cui stanno parlando, il contabile Belluca. All’improvviso un narratore apparentemente onnisciente spiega che bisogna diffidare dalle conclusioni immediate e superficiali a cui sono giunti i suoi colleghi, secondo i quali l’uomo avrebbe sofferto di un improvviso delirio. Successivamente, viene descritto il comportamento del contabile. In effetti, egli svolge l’arida mansione del computista ed è descritto come un impiegato mansueto, sottomesso e passivo: era, dunque, un uomo piuttosto mite, ligio al dovere, metodico e paziente ritenuto dai colleghi incapace di reagire, capire o provare sentimenti alcuno, tanto da essere definito casellario ambulante e vecchio somaro. I colleghi più volte avevano deriso o provocato Belluca sperando di ottenere qualche reazione ma questi non ha mai dato segni di opposizione. Al v. 45 inizia un lungo flashback che rivela la causa del presunto delirio di cui si stava parlando. Belluca, intrappolato in quello che risulta essere un lavoro degradante e insignificante, un giorno per magia si ribella alle insopportabili condizioni cui è costretto, generando lo stupore di tutti: egli arriva in ufficio con un ritardo di mezz’ora. Il suo aspetto, tuttavia, era completamente nuovo: gli occhi spalancati e luminosi, il viso allargato e le orecchie capaci di sentire suoni mai visti prima. Con questo atteggiamento ilare e di sfida, inoltre, non aveva lavorato per tutto il giorno e alla domanda del capo-ufficio risponde farneticando che il treno
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