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Luigi Provero, Massimo Vallerani - Storia Medievale, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto comprensivo di mappe e illustrazioni del testo Storia Medievale di Luigi Provero, adottato dal professore di storia medievale Andrea Gamberini dell'Università Statale di Milano

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 07/11/2020

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Scarica Luigi Provero, Massimo Vallerani - Storia Medievale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia Medievale L. Povero, M Vallerani ALESSANDRO LATROFA STORIA MEDIEVALE INDICE 1 Indice L’impero cristiano ..................................................................................................................................................... 4 Il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi .......................................................................................... 4 L’esercito, il Limes, i barbari ................................................................................................................................. 5 La cristianizzazione dell’impero........................................................................................................................... 6 Vescovi e monaci .................................................................................................................................................. 7 Barbari e regni........................................................................................................................................................... 9 Mobilità degli eserciti ........................................................................................................................................... 9 I nuovi regni .......................................................................................................................................................... 9 L’Italia ostrogota ................................................................................................................................................. 10 Anglosassoni, Vandali e Visigoti ...........................................................................................................................11 La simbiosi franca .................................................................................................................................................... 13 Clodoveo .............................................................................................................................................................. 13 Le chiese franche e la diffusione del monachesimo in Occidente .................................................................... 13 I regni e l’aristocrazia .......................................................................................................................................... 14 La rottura del Mediterraneo romano ..................................................................................................................... 16 Produzione e scambi in Occidente ..................................................................................................................... 16 Le ambizioni universali dell’impero di Giustiniano ............................................................................................. 18 Dibattiti teologici e identità locali ....................................................................................................................... 19 Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri ..................................................................................................................... 21 Nobili e re ............................................................................................................................................................. 21 Terre e uomini ...................................................................................................................................................... 22 Reti di scambio .................................................................................................................................................... 23 Nuovi quadri politici: il regno longobardo ..............................................................................................................25 I Longobardi in Italia ............................................................................................................................................25 Longobardi e Romani ......................................................................................................................................... 26 Crescita e fine del regno...................................................................................................................................... 27 Impero carolingio, ecclesia carolingia .................................................................................................................... 29 Dal regno all’Impero ........................................................................................................................................... 29 Conti, Vassalli e liberi .......................................................................................................................................... 30 Le chiese carolingie ............................................................................................................................................. 31 Dall’Impero ai regni ............................................................................................................................................. 32 Il mediterraneo bizantino ed islamico ................................................................................................................... 34 Le origini dell’Islam ............................................................................................................................................. 34 Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un Impero ................................................................................................. 35 Le articolazioni del mondo islamico e bizantino ............................................................................................... 36 Società e poteri nel X secolo .................................................................................................................................. 38 STORIA MEDIEVALE L’IMPERO CRISTIANO 4 La trasformazione del mondo romano L’impero cristiano Il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi Alla fine del II secolo l’espansione militare dell’Impero Romano raggiunse il suo apice, stabilizzandosi nei confini delineati dai Limes del Reno e del Danubio. Un territorio così vasto non poteva ovviamente essere popolato da civiltà omogenee: notevoli erano infatti le differenze linguistiche e tradizionali dei suoi abitanti che però erano sottomessi alla medesima organizzazione fiscale, statale e militare. A partire dal IV secolo in poi iniziò un processo che sarebbe culminato nella scissione nei due imperi di Oriente ed Occidente, scatenato da due eventi principali: 1. La fondazione di Costantinopoli (324). 2. La successione dell’imperatore Teodosio (395). Costantinopoli fu fondata nel 324 da Costantino sulle rovine dell’antica Bisanzio, principalmente come semplice residenza imperiale, con la peculiarità però di disporre di un piccolo Senato che rappresentava un’anomalia unica per l’impero, anche se si trattava di una misera appendice della vera organizzazione avente sede a Roma. Solo dal V secolo in poi Costantinopoli iniziò ad assumere i connotati di una vera e propria Capitale, soprattutto grazie al mutamento della struttura portante dello Stato che si divise in due grossi blocchi in seguito alla successione di Teodosio I, avvenuta nel 395. In seguito alla dura sconfitta subita ad Adrianopoli, Teodosio si convinse che l’impero era troppo vasto per essere governato diligentemente. Per questo motivo decise di dividerlo in due bocchi autonomi al cui comando ci sarebbero stati i suoi due figli in veste di nuovi imperatori:  Arcadio all’impero d’Oriente.  Onorio a quello di Occidente. Un impero così esteso aveva ovviamente bisogno di risorse molto importanti che andassero a soddisfare i tre principali capitoli di spesa:  L’impianto burocratico statale.  I costi della Capitale.  L’esercito. Il sistema di tassazione era molto articolato e basato sull’Annona, imposta rivolta ai proprietari terrieri che variava in funzione dell’estensione dei terreni e del numero di contadini che vi lavoravano. Le riscossioni erano invece compito dei Curiales. Data la sua incredibile estensione, la sopravvivenza stessa dell’Impero era legata saldamente alla sua capacità di scambiare risorse al suo interno, rendendo così ogni singola regione dipendente dalle altre, anche se spesso poste lontanissimo tra di loro: la fine dell’espansione militare sancì anche la fine dell’espansione economica di uno Stato che non poteva ridurre le voci di costo. STORIA MEDIEVALE L’IMPERO CRISTIANO 5 L’esercito, il Limes, i barbari L’esercito costituiva quindi la voce di spesa più onerosa che l’Impero doveva sostenere dato che: → Si trattava di un esercito stipendiato. → Era incredibilmente ampio dato che doveva far fronte alle mire espansionistiche delle popolazioni barbare che attaccavano i Limes. Era composto da due unità principali, i Comitatenses ed i Limitanei. Il confine, detto Limes, era una linea che tagliava in due il continente europeo all’altezza del Danubio e del Reno e consisteva in un’ampia fascia di territorio in cui i Romani e tutte le popolazioni che non facevano parte dell’impero intrattenevano rapporti di qualsiasi natura, dallo scambio commerciale al vero e proprio scontro fisico. Studi recenti hanno completamente rivalutato tutte le questioni etniche relative alle popolazioni che vivevano al di là del Limes, basandosi su due questioni strettamente correlate tra loro: 1. Non esiste tra loro una vera e propria identità oggettiva. 2. I gruppi non erano ben definiti, ma si basavano su una continua rielaborazione sociale e culturale detta Etnogenesi. L’appartenenza ad un popolo quindi si riduce alla percezione personale e alla volontà, messa continuamente in discussione, del singolo individuo di farne parte: il singolo fa parte di un gruppo ristretto perché si sente parte di esso, generalmente perché segue un capo militare e società più allargate riuscivano a perdurare nel tempo, risultando particolarmente efficaci in ambito militare, soprattutto quando popolazioni differenti riuscivano ad unirsi in previsione di un obiettivo comune. È quindi corretto attribuire un nome ad ogni singola popolazione, senza però dimenticare che sotto lo stesso nome non si trovavano uomini simili tra loro, accomunati da tradizioni o cultura, ma confederazioni di gruppi che seguivano il comandante considerato più abile. Tra il III e IV secolo l’organizzazione più appetibile sotto questo punto di vista era senza dubbio l’Impero Romano dato che offriva enormi ricchezze e molteplici possibilità lavorative, principalmente in campo militare: aveva infatti un costante bisogno di nuovi uomini e prometteva quindi uno stipendio ed una carriera a chiunque. L’interesse dei nomadi verso l’impero non nasce quindi da un’idea di invasione, ma da opportunità. L’esercito divenne quindi un laboratorio di identità che finì con l’accelerare il processo di Etnogenesi, in particolar modo quando accoglieva tra le sue file intere tribù che riuscivano a mantenere le proprie gerarchie sociali. Questo tipo di organizzazione ebbe un forte impatto anche da un punto di vista organizzativo dato che un esercito così composto era sicuramente più efficace, ma molto meno unito. Alla lunga questo processo di penetrazione nomade nell’esercito di confine portò al crollo del Limes, soprattutto in seguito alla discesa degli Unni che finì con lo spingere i Visigoti verso il Danubio. Giunti qui riuscirono ad insediarsi all’interno dei territori romani intorno al 375 e presto iniziarono i saccheggi: l’imperatore Valente decise quindi l’attacco, ma la battaglia del 378 ad Adrianopoli fu un disastro che costò ai romani una pesante sconfitta e la morte dell’imperatore stesso. Questa sconfitta segnò una divisione netta tra Oriente ed Occidente: a differenza del ben più debole Occidente, infatti, ad Oriente infatti non fu più permesso ai barbari di scalare i ranghi dell’esercito romano e non fu più permesso alle tribù di mantenere i propri ranghi sociali: fu un processo molto lento, tanto che il nuovo imperatore, Teodosio, per raggiungere la pace coi Visigoti fu costretto ad arruolarli mantenendo le cariche dei comandanti. Comitatenses forza mobile che accompagnava in giro l’imperatore Limitanei difendevano i confini STORIA MEDIEVALE L’IMPERO CRISTIANO 6 Il momento di svolta ad Occidente invece si può trovare nel V secolo, periodo in cui il Limes renano perse efficacia e permise l’ingresso nei territori imperiali a gruppi armati molto numerosi che portarono al sacco di Roma del 410. Tra i barbari che è bene ricordare, troviamo: La cristianizzazione dell’impero Il processo di cristianizzazione imperiale riesce a compiersi soprattutto grazie al concetto di Pluralità: → Pluralità dei Paganesimi: la religione romana, nei secoli, si era arricchita dei culti delle popolazioni sottomesse. → Pluralità dei riti salvifici: Il cristianesimo non fu l’unica religione a credere nella salvezza dopo la morte. → Pluralità dei cristianesimi: Le Sacre Scritture hanno lasciato libertà interpretativa a diverse correnti dello stesso pensiero, che divennero anche oggetto di scontri molto duri. → Pluralità dell’organizzazione ecclesiastica: prima della centralità papale la struttura organizzativa della Chiesa era quelle delle singole sedi vescovili. Con cristianizzazione dell’impero non va inteso il processo di diffusione della nuova religione, quanto una vera e propria trasformazione di tutta l’organizzazione imperiale in senso cristiano che comincia nel momento in cui il cristianesimo è solo una delle tante religioni minoritarie esistenti. Punto di partenza, quindi, sono le persecuzioni attuate nei confronti dei credenti a partire dal III secolo con l’imperatore Decio, che rompe con la tradizionale tolleranza dei suoi predecessori in funzione di un nuovo vero e proprio culto della personalità dell’imperatore, dovuta in parte al tentativo di consolidare tutti i territori annessi all’impero e, soprattutto, in chiave economica dato che i beni dei cristiani perseguiti venivano confiscati. Già dal IV secolo però si attua un cambiamento radicale dato che già dal 313 ai cristiani viene concessa la libertà di culto, fino al 380 quando il Cristianesimo diventa l’unica religione ufficiale attraverso tre tappe fondamentali: Un franco che alla fine del IV secolo divenne Comandante Supremo dell’esercito romano occidentale. Nel 392 si ribellò all’imperatore Valentiniano II uccidendolo. Morirà nel 394 per mano di Teodosio. Arbogaste Un Vandalo che prese il posto di Arbogaste al comando dell’esercito subito dopo la sua sconfitta. Servì Onorio, figlio di Teodosio, e riuscì a respingere i Visigoti, lasciando però campo libero ad altri popoli che riuscirono ad oltrepassare il Limes renano. Per questo motivo fu accusato di tradimento e condannato a morte a Ravenna nel 408 Stilicone Re dei Visigoti e comandante dell’esercito romano nei territori Illirici. Nel 396 si ribellò all’impero e la violenta reazione di Costantinopoli lo portò a spostarsi verso l’Italia dove fu sconfitto da Stilicone. Nel 409 assediò Roma e riuscì a saccheggiarla. Quest’importante re riuscì, dopo la morte, a smuovere un’iniziativa identitaria nel suo popolo che alla fine riuscì a creare un vero e proprio regno Visigoto autonomo Alarico Paganesimi Cristianesimi Organizzazione ecclesiastica Culti salvifici Pluralità 313 - Editto di Milano 325 - Concilio di Nicea 380 - Editto di Tessalonica STORIA MEDIEVALE BARBARI E REGNI 9 Barbari e regni Mobilità degli eserciti Per inquadrare la mobilità militare è necessario iniziare ad analizzare gli eventi dalla caduta del Limes renano avvenuta nel 406. Questo evento non va considerato casuale, ma si tratta di una vera e propria espressione di un dissesto strutturale dovuta all’estrema difficoltà per l’impero di tenere sotto controllo i vari eserciti: il sistema fiscale non era in grado di sostenere tutte le spese necessarie a sostenere l’esercito che cercava così altre entrate con iniziative non controllate, generando così enormi e confusi spostamenti di gruppi con un’identità ben definita, che alla lunga portarono al crollo dell’impero. → Visigoti: Il re Alarico portò più volte il suo popolo alla rivolta contro l’Impero, nel 410 arrivarono a saccheggiare Roma e ripararono in Calabria. Da qui, dopo la morte del re, si spostarono nel sud Francia dove fondarono un regno tra il 414 e il 418. → Vandali: Nello stesso periodo i Vandali oltrepassarono il Limes renano per stanziarsi temporaneamente nella penisola iberica fiano al 429 quando, re Genserico proseguì verso la Byzacena1 fondando un regno che durò più di un secolo. I Vandali sono stati il primo popolo germanico in grado di trasformare il potere militare in potere politico. → Unni: Si trattava di un gruppo di nomadi dall’incredibile forza militare che trovarono unità solo con l’avvento del re Attila che, nel 445, intraprese una serie di scorrerie ai danni dell’impero che proseguì fino alla sconfitta subita per mano di Ezio nel 451. Alla morte di Attila il gruppo si sciolse. Per tutto il V secolo, quindi, l’impero occidentale è vivo e attivo ma era evidente come la capacità d’azione degli imperatori fosse molto limitata. Questo declino si evidenziò ulteriormente nei decenni centrali del secolo, quando si avvicendarono sul trono veri e propri imperatori fantoccio controllati dai più influenti generali: nel 476 il generale Odoacre arrivò a deporre l’imperatore in carica, Romolo Augustolo, senza insediare un sostituto, evidenziando come un imperatore occidentale fosse assolutamente inutile dato che tutto il potere si andava catalizzando attorno all’imperatore orientale. Odoacre quindi propose un’importante autonomia militare riconosciuta dall’Impero orientale, ma il suo imperatore, Zenone, non ritenendolo affidabile fece in modo di consegnare l’Italia nelle mani dell’Ostrogoto Teodorico. La geografia europea quindi si delineava in questo modo: → Italia: Odoacre sostituito dagli Ostrogoti. → Gallia: Franchi a nord, Visigoti e Burgundi a sud. → Penisola Iberica: Svevi a nord, Visigoti. → Tunisia: Vandali. → Britannia: Angli e Sassoni. I nuovi regni L’Europa del V e VI secolo dimostra una paradossale differenza tra l’arretramento culturale, evidenziato dai reperti archeologici, a fronte di una forte continuità con l’Impero Romano da un punto di vista istituzionale e politico. 1 Tra la Tunisia e l’Algeria STORIA MEDIEVALE BARBARI E REGNI 10 La realtà dei fatti dimostra invece come un crollo della struttura esercito mise il potere nelle mani di una minoranza armata di origine germanica che invertì i ruoli: da esercito controllato dall’élite politica divenne la nuova classe dirigente. Questa nuova guida mantenne intatte tutte le forme di organizzazione sociale e amministrativa, semplificando oltremodo i complicati passaggi burocratici caratteristici dell’Impero: in questo modo nacque un nuovo sistema politico comune a tutti i nuovi regni, anche se non privo di differenze anche significative. Uno dei punti fondamentali fu il prelievo e la ridistribuzione delle ricchezze: se in età imperiale le tasse servivano per sostenere la capitale, stipendiare gli eserciti e mantenere l’apparato burocratico, nei nuovi regni queste necessità sono notevolmente ridimensionate dato che nessuno di questi ha una capitale da mantenere, la burocrazia era decisamente più leggera di quella romana e l’esercito era costituito dal popolo che veniva compensato dal re con la concessione di terre. Conseguenza di questi cambiamenti fu che quasi tutti smisero, presto o tardi, di riscuotere tasse, fermando così il principale motore della circolazione economica. Le conseguenze di questi cambiamenti furono enormi: in primo luogo si bloccarono praticamente tutti gli scambi commerciali e quindi venne meno l’interdipendenza caratteristica del periodo imperiale. Tutti i nuovi regni erano quindi molto più poveri di quanto non fosse stato l’impero; re più poveri che conservarono comunque la loro importanza rispetto all’aristocrazia dato che lo squilibrio economico, più moderato, restava sempre comunque in loro favore. Questo fu il motivo principale per cui la figura del re restò sempre al centro delle dinamiche politiche, polarizzando attorno a sé tutta l’aristocrazia. L’Italia ostrogota Destituito Romolo Augustolo, Odoacre si impegnò subito ad instaurare un nuovo governo equilibrato, basato in primo luogo su una stretta collaborazione con l’aristocrazia senatoria, fondamentale perché tra il 476 e il 489 l’Italia continuava ad essere amministrata da un’organizzazione di chiaro stampo romano. Dopo 13 anni di dominio equilibrato, l’Italia fu invasa dagli Ostrogoti su invito dell’imperatore Zenone che non gradì la presa di potere di Odoacre. Figura principale di questa invasione fu Teoderico, leader adatto al compito per via della sua innata capacità di colloquiare con l’aristocrazia romana. Nel 489 Teoderico scese in Italia avviando un processo di conquista abbastanza semplice dato che, dopo le prime sconfitte, l’aristocrazia romana abbandonò Odoacre che si rifugiò a Ravenna che fu messa sotto assedio fino al 493, anno in cui finalmente gli ostrogoti riuscirono a riunificare tutta la penisola. Il governo di Teoderico era basato sull’integrazione tra l’esercito germanico e l’amministrazione di stampo romano: questo era possibile solo grazie all’introduzione della personalità del diritto, ossia dalla possibilità di ogni cittadino di seguire le proprie leggi e, in caso di problemi, essere giudicato da uno iudex nel caso in cui fosse romano, o da un Comes se fosse stato goto. Non ci fu quindi nessuna trasformazione per nessun cittadino romano, ma profondi cambiamenti per la popolazione barbara che aveva sempre vissuto ai margini dell’impero, intrattenendo col vicino imperiale pochi rapporti, per lo più conflittuali: ora si trovava invece al centro di comando. In termini di integrazione è fondamentale anche il ruolo del consistorium, ossia un consiglio ristretto formato da rappresentanti goti e romani che rappresentava per il re il vero strumento di governo. Nonostante ciò però, le due popolazioni, si mantennero sempre su un livello complementare e mai simbiotico, tanto che l’unico punto di incontro tra le due popolazioni fu proprio il consistorium che, quando entrò in crisi, finì col mettere in crisi il regno intero. Come la maggior parte delle popolazioni germaniche, anche Teoderico e gli ostrogoti erano di religione ariana, e si trovarono a vivere in una regione in cui non solo la popolazione era interamente cattolica, ma anche nel periodo in cui la Chiesa iniziava a guadagnare potere ed importanza politica: scelta obbligata e coerente fu quella di mantenere il proprio credo, pur permettendo e anzi difendendo tutte le altre religioni presenti: questa posizione fu fondamentale nel momento in cui si trovò a dover assumere una posizione nel 498, in pieno scisma laurenziano, quando alla morte di Anastasio II il clero si spaccò talmente a fondo che vennero eletti due STORIA MEDIEVALE BARBARI E REGNI 11 nuovi papi (Simmaco e Lorenzo). La posizione di Teodorico fu al solito neutrale e alla fine decise di rimandare ogni decisione ad un Concilio. Il regno di Teoderico si caratterizza quindi per un’eccezionale stabilità che gli permise di espandere i propri possessi anche alla Dalmazia, a Pannonico e in Pannonia; una serie di accordi, matrimoni combinati e altri escamotage burocratici, Teoderico riuscì a trovare alleanze anche nel resto d’Europa. Come visto però, l’estrema debolezza del regno si trovava nella mancata integrazione tra i romani e i Goti, nel 518, infatti, questa difficile alleanza iniziò a vacillare a causa di alcune persecuzioni volute dall’imperatore Giustino nei confronti degli Ariani, cui Teodorico rispose con persecuzioni ai danni dei cattolici. Alla sua morte, nel 526, Teodorico lasciò il potere in mano alla figlia Amalasunta, che, alla morte del tutore Atalirco, sposò il cugino Teodato nella speranza di rafforzare un regno ormai estremamente debole: questo tentativo fallì miseramente dato che Amalasunta cercò la via del dialogo con i romani, chiedendo la protezione dell’imperatore Giustiniano; Teodato invece scelse la via delle armi, nel 535 quindi depose e uccise la moglie, dando così a Giustiniano un valido motivo per dichiarare guerra agli ostrogoti e quindi riconquistare l’Italia dopo una guerra durata oltre vent’anni. Anglosassoni, Vandali e Visigoti Oltre agli Ostrogoti, altri regni germanici si andarono definendo in altre zone dell’impero: → Inghilterra (Anglosassoni). → Nord Africa (Vandali). → Penisola iberica (Visigoti). Anglosassoni L’abbandono delle isole britanniche da parte dei romani lasciò campo libero ai Sassoni che dalla Germania iniziarono con piccoli saccheggi che diventarono ben presto veri e propri insediamenti stabili. Le numerose piccole occupazioni territoriali definirono una realtà politica estremamente frammentaria che si distinse per l’altissimo tasso di conflittualità e soprattutto per la netta distinzione tra l’aristocrazia, molto più povera che nel resto d’Europa, e il resto del popolo. È curioso notare come l’espansione degli anglosassoni in Britannia limitò fortemente quella del cristianesimo che, in queste terre, perse quasi completamente ogni forma di potere politico, fino a rendere trascurabile anche l’influenza religiosa. Molto diverso, invece, è la realtà irlandese perché non essendo mai stata sotto il dominio imperiale sviluppò fin da subito una cultura differente non basata sul concetto di città. Anche qui durante il VI secolo la frammentazione politica era importante, ma ogni re aveva potere politico e militare senza quello legislativo: ogni singolo regno era sottoposto a leggi comuni che i singoli regnanti non avevano il potere di modificare. Questa frammentazione rallentò di molto anche l’espansione del cristianesimo perché non c’era nessun re in grado di unire tutti i sudditi sotto il mantello della nuova fede. Non essendoci quindi sedi vescovili né città in grado di unire i fedeli, questi si videro costretti ad organizzarsi in grandi monasteri che divennero così veri e propri vescovadi. STORIA MEDIEVALE LA SIMBIOSI FRANCA 14 Accanto a quest’importantissima figura, poi, durante il VI secolo si va ad affiancare la figura del monastero che si afferma lentamente dapprima in modalità eremitica, ma via via sempre più riunita in comunità cenobitiche. L’importanza delle gesta di grandi monaci, come ad esempio Martino di Tours, trasformò i grandi monasteri divennero così un vero e proprio bacino di reclutamento per i futuri vescovi, dato che la loro identificazione come centri di spiritualità e cultura superiore li fece diventare meta privilegiata per gli aristocratici che decidevano di abbracciare la vita religiosa. Le prime esperienza monastiche italiane presero spunto dagli insegnamenti di San Gerolamo, operante alla fine del IV secolo, e si distinsero in numerose esperienze differenti per tutto il V e VI secolo. In questa varietà si distinse in modo particolare la Regola di San Benedetto da Norcia che in breve tempo divenne lo standard occidentale. La Regola si basa su semplici principi basati sulla conoscenza della natura umana affiancata da un’ascesi moderata che mette al centro la preghiera bandendo quasi completamente il lavoro. Da un punto di vista organizzativo, la comunità era molto semplice e basata sulla solidarietà orizzontale tra i monaci che sottostavano tutti ad un solo abate. Particolarità della Regola è il tentativo di conciliare comunità ed eremitismo: la vita cenobitica è alla base di tutto, solo i monaci spiritualmente più illuminati possono accedere alla via dell’eremita che promette un livello di perfezione superiore. Influenza importante fu anche quella del monachesimo irlandese dato che in questa regione, principalmente a causa della mancanza di una struttura cittadina vera e propria, i monasteri divennero centri di particolare importanza dato che svolgevano tutti quei compiti che altrove erano assolti dai vescovi. I regni e l’aristocrazia La causa principale dell’efficienza del regno franco va senza dubbio individuata nella capacità di Re Clodoveo di integrare il suo popolo con l’aristocrazia romana. Massima espressione di questa integrazione fu la scelta di redigere una versione scritta delle leggi franche, creando così la Lex Salica. Nella società franca non c’era un Re vero e proprio quindi il protagonista assoluto dell’impianto legislativo è il popolo che, per trovare pace e giustizia, fa affidamento a 4 uomini; al centro del sistema politico è invece presente l’assemblea degli uomini liberi. Il potere regio non viene mai citato nell’impianto legislativo perché in realtà è frutto di una prassi politica derivante da un sapiente uso del coordinamento dell’aristocrazia: i franchi organizzarono un controllo del territorio attraverso una fitta rete di Comes (conti) responsabili per il proprio distretto di giustizia, esercito e prelievo delle tasse. Non va dimenticato però che, pur essendo uno strumento fondamentale, i Comes non furono altro che una delle espressioni di un profondo legame tra la corona e l’aristocrazia: la corona resta sempre al centro dell’attenzione per via della sua estrema ricchezza e soprattutto grazie alla capacità redistributiva propria del re: i soldati non sono più stipendiati dallo stato, ma sono ricompensati con concessioni di terra. Questo rende superflua la complessa operazione di prelievo delle imposte, e in per questo motivo i Merovingi furono dei monarchi decisamente più poveri dei re precedenti. I Franchi restavano però la popolazione più ricca tra i loro contemporanei dato che sia le famiglie aristocratiche che le chiese erano in grado di accumulare grandi patrimoni fondiari; in questo contesto i Merovingi erano comunque la famiglia più ricca, in grado quindi di canalizzare attorno ad essi il favore di tutte le altre. Più complesso da comprendere è il legame esistente tra la corona ed il popolo: come vuole la tradizione germanica, il potere era infatti saldamente in mano all’assemblea dell’esercito. L’affermarsi di un carattere Principi della Regola Moderazione Flessibilità Capacità di accogliere diverse forme di ascesi Compiti dei Comes Amministrare la giustizia Gestire l'esercito Organizzare il prelievo fiscale STORIA MEDIEVALE LA SIMBIOSI FRANCA 15 dinastico della monarchia e, soprattutto, grazie alla forza della mediazione aristocratica, questa tradizione andava attenuandosi riducendo il ruolo dell’assemblea ad un semplice compito di ratifica delle leggi. Le assemblee furono quindi ridefinite, restavano il luogo deputato alle grandi decisioni e punto di partenza delle grandi spedizioni militari, ma perdendo la possibilità di eleggere il nuovo re persero anche la capacità di frammentare il regno in piccole realtà regionali: questo rimase peculiarità delle regole di successione al trono che in pochi anni formarono alcune regioni principali: → Austrasia – Nord est germanico. → Neustria – Nord ovest. → Burgundia – Sud est. → Aquitania – Sud Ovest. STORIA MEDIEVALE LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO 16 La rottura del Mediterraneo romano Produzione e scambi in Occidente Dato che le fonti scritte relative al periodo medievali non sono ricchissime, per ricostruire i funzionamenti economici diventa molto importante l’archeologia che ci mostra in che modo sia profondamente cambiata l’interpretazione economica nel corso dei secoli. Indicatore principale in questo senso sono i ritrovamenti di ceramica dato che è un prodotto comune a qualsiasi area geografica e l’analisi della composizione ci permette di stabilirne con certezza la provenienza. Grazie ai vari ritrovamenti si può quindi individuare una prima trasformazione importante dell’economica romana attorno al II secolo, periodo in cui l’impero arrestò la sua fase espansionistica e iniziò la costruzione dei limes del Reno e del Danubio. Da un punto di vista economico questo arresto pesò in modo importante dato che non annettendo più nuovi territori l’impero rinunciava anche ad appropriarsi di nuove ricchezze, modificando così la rottura di numerosi circuiti di scambio e la crisi di molte forme di produzione. Questa trasformazione ha 4 diverse chiavi di lettura: → Città. → Reti di scambio. → Forme di produzione. → Società contadina. Città Le città furono i primi centri colpiti dalla crisi dato che persero il loro ruolo di centro del potere e, soprattutto, di centro fiscale dell’impero. Con la caduta del sistema imperiale le élite si resero conto che per mantenere i propri privilegi dovevano valorizzare le proprie ricchezze, la terra, quindi iniziarono ad abbandonare le città causandone importanti crolli demografici. La trasformazione più radicale fu senza dubbio quella subita da Roma che, una volta venute meno le risorse provenienti dal resto dell’impero, fu costretta a contare solo sui fondi provenienti dal Lazio e dalle terre del Papa, motivo per cui subì un’importantissima riduzione della popolazione che scese da un milione di abitanti a 20.000 circa. Contrariamente a quanto possa sembrare, questa crisi non provocò la fine dell’urbanizzazione perché le città rimasero comunque dei centri fondamentali, soprattutto perché sedi vescovili; cambiarono certamente faccia, diventando in questi secoli profondamente diverse rispetto a prima. Poche città conservarono una natura prettamente commerciale, come ad esempio grandi porti del calibro di Marsiglia, ovunque però fu evidente una profonda fase di impoverimento. Reti di scambio In età antica tutte le reti di scambio erano incentrate sulle esigenze imperiali e sulla sua necessità di trasferire beni da una regione all’altra: la fine dell’unità imperiale ebbe quindi un impatto notevole sul piano economico. La prima di queste rotture fu causata dall’invasione vandala della Tunisia nel 439: interrompendo il flusso commerciale tra Cartagine e Roma, questo evento ebbe profonde ripercussioni su tre livelli: Trasformazione politica e militare Fine del dominio occidentale Interruzione dei meccanismi fiscali Fine dell'interscambio interregionale STORIA MEDIEVALE LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO 19 Il motivo per cui Giustiniano lasciò il segno fu comunque il suo tentativo militare di riconquistare l’Occidente per riunificare l’Impero. Queste campagne furono possibili per tre motivazioni principali: 1. La relativa tranquillità del Limes persiano permise di distrarre un esercito numeroso. 2. La riflessione giuridica permise un rafforzamento ideologico che rimise al centro il ruolo universale dell’Impero. 3. La politica fiscale permise una stabilità tale da garantire una prosperità duratura. Questo processo di riconquista partì con l’idea di rimettere in sicurezza gli scambi commerciali del Mediterraneo; dopo aver rimesso in piedi la flotta imperiale fu quindi possibile partire verso le coste occidentali dell’impero nordafricano dei Vandali che rappresentavano la peggior minaccia piratesca. Le truppe imperiali, guidate dal generale Belisario, conquistarono il regno vandalo con estrema facilità tra il 533 ed il 534, mettendo così in evidenza tutti i limiti del decadente regno vandalo che non aveva attuato nessuna politica di integrazione tra gli invasori e l’aristocrazia romana. Le altre campagne militari furono molto più faticose: l’espansione nei territori spagnoli dei Visigoti non riuscì mai ad estendersi oltre la fascia costiera compresa tra Valencia e Cadice e soprattutto l’Italia ostrogota fu oggetto di una campagna militare estenuante e incredibilmente lunga. Partendo dalla Sicilia e risalendo verso nord, le truppe di Belisario riuscirono ad espugnare Ravenna solo nel 540: questo portò ad un accordo che divise in due l’Italia, lasciando agli Ostrogoti la regione posta a nord del fiume Po. Questo debole accordo ebbe durata brevissima, l’anno successivo infatti salì sul trono ostrogoto il re Totila che riprese gli scontri e riuscì a rientrare in possesso di alcune regioni imperiali: la reazione di Giustiniano fu immediata, sostituì Belisario con Narsete e, passando dalla Dalmazia, riconquistò tutta l’Italia solo nel 553 dopo una guerra molto lunga e difficile. Subito dopo la riconquista Giustiniano emise la Prammatica Sanzione che restituiva all’aristocrazia senatoriale tutti i diritti acquisiti prima del regno di Totila e restituì dignità imperiale a Ravenna organizzando attorno al suo esarca tutto il quadro di governo italiano. Tutta la fragilità di questa regione venne alla luce pochi anni dopo, nel 568 infatti i Longobardi valicarono le Alpi e iniziarono una nuova guerra di conquista lunga ed estenuante: si impadronirono molto velocemente del Friuli per poi espandersi nella pianura padana verso la Tuscia e i ducati di Spoleto e Benevento. All’Impero restarono solo il Lazio, l’area di Ravenna e il controllo quasi completo delle coste. I territori di entrambi i fronti erano discontinui con molti punti di frizione. L’eredità territoriale di Giustiniano fu quindi molto fragile, anche l’Africa restò sotto il controllo imperiale per appena un secolo prima di cadere in mani arabe e l’Italia, che aveva un importante valore simbolico, cadde in mani longobarde con molta facilità. Dibattiti teologici e identità locali Per comprendere le importanti riforme in campo teologico effettuate da Giustiniano, è opportuno analizzare le profonde spaccature esistenti nel mondo ecclesiastico a partire dal V secolo. Superate le divisioni tra cattolici ed ariani, tipiche di tutto il IV secolo, il dibattito si spostò su un piano cristologico con l’analisi della compresenza in Cristo di una natura umana ed una divina: Cristo dev’essere STORIA MEDIEVALE LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO 20 pienamente Dio per garantire l’efficacia della sua missione di salvezza, ma al contempo dev’essere pienamente uomo affinché la sua sofferenza abbia un senso. Come possono coesistere queste due nature? Molto importante era anche il ruolo di Maria, posto al centro del dibattito da Nestorio, Vescovo di Costantinopoli nel 428: sostenendo questi la presenza in Cristo di due persone distinte (umana e divina), rifiutava il titolo mariano di Madre di Dio e lo sostituì con Madre di Cristo. Questa tesi fu condannata come eretica dal Concilio di Efeso del 431 su iniziativa dell’imperatore Teodosio II. Principale debolezza del Nestorianesimo era il modo insufficiente in cui fondava le due nature di Cristo: non era ben chiaro il coinvolgimento della figura del Figlio (natura divina) nella sofferenza della morte. Se le nature fossero distinte la morte dell’uomo non poteva coinvolgere la figura del Figlio, vanificando l’azione salvifica divina. In senso opposto si muoveva la tesi elaborata dai teologi di Alessandria, detta Monofisismo: umanità e divinità si fondono dando vita ad una sola natura in grado di soffrire come un uomo ma di salvare per effetto dell’influenza divina. Questa posizione fu condannata dal Concilio di Calcedonia del 451, voluto dall’imperatore Marciano, dato che la fusione delle due nature ne cancellava ogni specificità. In occasione di questo concilio fu trovato un compromesso, detto Diofisismo, che identificava in Cristo la coesistenza di due nature nettamente separate tra loro ma unite in modo indissolubile. Oltre che teologico, il dibattito assunse presto anche una connotazione politica: la posizione diofisita fu accolta da Roma, Antiochia, Costantinopoli ma rifiutata da Alessandria. Le sedi patriarcali erano nuovamente divise, ma stavolta il la centralità di Costantinopoli fece la differenza, tanto che il Concilio ne stabilì la supremazia rispetto a tutte le altre completando così in via definitiva il processo di trasformazione in unica capitale dell’impero. Questa decisione creò però una forte spaccatura perché le decisioni del Concilio furono ritenute inaccettabili da Alessandria; le tesi Monofisite infatti iniziarono a circolare e a diffondersi in tutta l’area del Mediterraneo meridionale. Il potere teologico era una pedina fondamentale del disegno universalista di Giustiniano dato che in questo periodo Stato e Chiesa sono due entità strettamente legate tra loro: compito dell’imperatore era quello di difendere la Chiesa quindi i suoi precetti dovevano necessariamente essere condivisi ed accettati da tutti i suoi sudditi. Giustiniano si mosse proprio in questo senso con la dura condanna ai Tre Capitoli, ossia testi diofisiti che richiamavano molto le tesi nestoriane, mirata a riavvicinare i monofisisti egiziani; questa mossa fu fallimentare perché tutte le chiese occidentali rigettarono le motivazioni imperiali con una contestazione che sfociò in un vero e proprio scisma che si sanificò solo nel secolo successivo. Alessandria RomaAntiochia Costantinopoli 1 - Posizione Diofisita STORIA MEDIEVALE NOBILI, CHIESE E RE: RICCHEZZE E POTERI 21 Il sistema di dominazione altomedievale Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri Nobili e re I regni altomedievali sono caratterizzati da un compromesso tra il dominio del sovrano e la forte influenza che i nobili aristocratici hanno su di esso. Tutti i regni che sono esistiti hanno in comune tra loro alcuni punti fondamentali: → Processi di ridistribuzione clientelare: la società medievale era decisamente più povera rispetto a quella romana, ciononostante l’aristocrazia cercava sempre in ogni modo di ottenere i favori della corona. → Carattere militare del potere regio: nonostante i re fossero garanti di pace e giustizia, le impostazioni germaniche li configurarono sempre come capi dell’esercito che così conservò sempre la doppia natura di seguito del re e esercito del popolo. Visigoti Nei primi anni del 600 il regno visigoto è in fase di consolidamento: nel 625 cadono gli ultimi territori ancora in mano ai bizantini, in questo modo si conclude la conquista della penisola iberica e, in termini religiosi, il processo di conversione al Cristianesimo ha ormai cancellato quasi ogni forma di Arianesimo. Queste premesse spiegano come il potere potesse cominciare a centralizzarsi attorno alla figura del re: è in questo periodo, infatti, che Recesvinto inizia la prima redazione di leggi scritte (654) e si conferma Toledo come capitale del regno. Un potere centralizzato non è però sinonimo di controllo completo da parte dell’aristocrazia, sono infatti numerosissimi i colpi di stato e le deposizioni dei sovrani; questi eventi però non fanno altro che confermare questa impostazione dato che i continui tentativi da parte dell’aristocrazia di appropriarsi della corona è indice di quanto questa fosse molto più importante del singolo potere locale. Nonostante il regno visigoto fosse senza dubbio la realtà politica più coesa di tutto l’Occidente, l’impegno regale non fu sufficiente a controllare a dovere tutto il reparto militare: se per tutto il VII secolo i Visigoti non furono coinvolti in particolari conflitti, l’arrivo delle truppe islamiche all’inizio dell’VIII mise in seria difficoltà il regno che cadde con relativa facilità. Isole Britanniche Al centro della società irlandese c’erano i monasteri, ma l’organizzazione politica era e rimase molto frammentata. Stesso livello di frammentazione è presente anche in Britannia, ma qui il processo di gerarchizzazione riuscì ad essere più efficace anche se il livello di urbanizzazione non riuscì a crescere: solo le città portuali conobbero un discreto sviluppo. Ci sono poche informazioni riguardo i rapporti interni tra i singoli regni della Britannia, ma si può affermare che: → Abbiamo notizia di alcuni regni organizzati decisamente meglio di altri → Tra il VII e l’VIII secolo sembrò emergere il regno di Mercia che si consolidò sotto il re Offa Franchi Tra il VII e l’VIII secolo si va definendo il ruolo dei Carolingi. Durante il VII secolo, inoltre, la ragguardevole estensione raggiunta da questo impero tende a ridursi, arrivando a delinearsi in più o meno tutta la Francia e la parte occidentale dell’attuale Germania. Non esistendo una capitale vera e propria, i Merovingi tendevano a spostarsi continuamente da una città all’altra seguendo le necessità, per lo più militari, del momento. STORIA MEDIEVALE NOBILI, CHIESE E RE: RICCHEZZE E POTERI 24 molto attivi sul mercato dato che cercavano di guadagnare dal surplus delle loro produzione: questo faceva preferire ovviamente il pagamento dei mansi in Corvée piuttosto che in denaro, dato che una manodopera gratuita permetteva al padrone di diventare un’importante forza commerciale, in grado di condizionare i mercati locali. La coniazione di moneta andò riducendosi notevolmente rispetto all’epoca romana, in questo modo la produzione centrale lasciò spazio a diverse piccole zecche locali che predilessero l’uso dell’argento. Il primo sistema accettato a livello europeo fu proposto dai Carolingi all’inizio del loro regno, e prevedeva: → La Libra: 400 grammi circa di argento → I Solidi: 20 solidi = 1 Libra → I Denarii: 12 denarii = 1 Solido La moneta non era però destinata all’uso corrente, veniva infatti per lo più spesa nelle contrattazioni terriere e nel commercio, tuttavia il loro utilizzo riaprì le reti commerciali del nord Europa che non potevano produrre Grano, olio e vino. La nuova forma di commercio diede vita agli Emporia, ossia centri abitati nati esclusivamente con finalità commerciali, generalmente vicino ai porti, e caratterizzati da un aumento demografico improvviso. Si assiste quindi alla rinascita di molte città come Londra e York. STORIA MEDIEVALE NUOVI QUADRI POLITICI: IL REGNO LONGOBARDO 25 Nuovi quadri politici: il regno longobardo I Longobardi in Italia Il regno longobardo si impose in Italia molto in ritardo rispetto agli altri regni germanici, in un contesto dominato in larga parte dai Franchi in un periodo di profonda riorganizzazione dell’impero Orientale. Di probabile origine scandinava, i Longobardi approdarono in un primo momento nella Germania Settentrionale, scesero poi in Pannonia (Ungheria) dove incontrarono l’esercito romano, di cui spesso riempirono le fila in qualità di mercenari. Attorno al 568 l’esercito longobardo, guidato da re Albonio, si mosse verso l’Italia, probabilmente spinto dalle rinnovate tensioni con gli Avari e attratti dalle possibilità di saccheggio nella penisola: quella che potrebbe sembrare una semplice avanzata per conquista, divenne una vera e propria migrazione dato che assieme agli uomini, tutti arruolati nell’esercito, si mossero anche donne e bambini e un numero molto elevato di altre popolazioni che si unirono all’esercito in marcia, diventano parte integrante del popolo e quindi nuovi longobardi a tutti gli effetti. Parlando di Longobardi, quindi, va tenuto conto che stiamo includendo in questa definizione tutte quelle persone che in un certo momento si identificarono come tali, quindi inclusivo di molti gruppi di uomini che non avevano niente in comune con coloro i quali per primi si mossero dalla Pannonia. Il processo di conquista della penisola fu molto lungo e sanguinoso e divise l’Italia in due grossi tronconi: → la parte longobarda, comprendente la pianura padana, la Tuscia e i ducati di Benevento e di Spoleto. → La parte bizantina, comprendente il Lazio, Ravenna, buona parte del Veneto, Marche, Liguria e buona parte del meridione. Questa discontinuità territoriale non fa che evidenziare come i rapporti di potere nel regno longobardo fossero strettamente legati all’esercito: pure essendo re, infatti, il potere effettivo di Albonio era molto limitato dato che il suo popolo era organizzato in Farae comandati da alcuni Duces che di fatto, oltre che capi militari, erano veri e propri governatori. L’espansione longobarda evidenzia tutto questo dato che, quando scesero, i duchi si diressero e stanziarono in regioni differenti assieme al loro seguito di popolo – esercito. Anche il re, ovviamente, era prima di tutto una guida militare solo nominalmente eletto dall’assemblea degli eserciti, in realtà deciso dai duchi sulla base di rapporti di forza. Ad Albonio, morto in battaglia nel 572, succedette Clefi che però cadde in guerra dopo soli due anni. A questo punto i Longobardi restarono senza re, dimostrando così l’assoluta autonomia dei duchi che non ritennero necessario una nuova guida una volta terminata la fase di conquista territoriale. Nel 584 Autari, figlio di Clefi, riuscì a salire al trono dato che i duchi ritennero necessaria la figura di un leader unico, va sottolineato come per la prima volta anche l’ascendenza fu un importante criterio di scelta che fu adottato anche in seguito: alla sua morte, infatti, fu nominato re Agilulfo, nuovo marito della vedova Teodolinda. Questa nuova concezione del potere regio ebbe un’ulteriore legittimazione quando si decise di elevare Pavia a capitale del regno. STORIA MEDIEVALE NUOVI QUADRI POLITICI: IL REGNO LONGOBARDO 26 Longobardi e Romani Né Agilulfo né Teodolinda furono dei longobardi purosangue, il primo era infatti e la seconda bavara. Di conseguenza neppure i loro discendenti, quasi tutti futuri sovrani del regno, poterono definirsi tali. Questa riflessione è importante per introdurre un’analisi sull’etnia longobarda che, a differenza di tutti gli altri regni medievali, non ha mai raggiunto un livello stabile dato che è sempre stato sotto un costante processo di costruzione. Questo fattore viene evidenziato in modo particolare nel la redazione dell’Origo gentis Langobarda in cui vengono raccontate tutte le vicende Longobarde dalle origini fino alla costituzione del regno italiano: punto di attenzione particolare di tutta l’opera sono i momenti in cui un determinato gruppo di persone decise di unirsi ed assumere un’identità collettiva. Dallo stanziamento in Italia in poi, la corte è sempre stata impegnata a cercare di fondere etnicamente i Longobardi con i Romani. Qualsiasi altra fonte scritta è molto vaga, e si limita a definire Longobardi tutti quegli uomini sottomessi al potere del re longobardo (così come sono definiti Romani tutti gli uomini rimasti in zone dell’Italia ancora controllate dall’Impero). Questo rende estremamente difficile marcare una linea definita relativa all’etnogenesi e ai rapporti tra le due popolazioni. Nell’incertezza, però, appare chiaro come durante l’invasione molti aristocratici romani persero i loro privilegi e le loro terre; spinti così ad abbandonare le loro regioni trovando riparo in quelle ancora imperiali riducendo il tutto ad una grossa macroarea regionale, dato che per lo più si diressero vero Roma o Ravenna. Se quindi durante i primi secoli la maggior parte degli abitanti italiani era composta da chi era sceso dalla Sassonia al seguito di Alboino, in breve tempo questa netta distinzione divenne più sfocata a causa di numerosi matrimoni misti, fusione delle tradizioni, limando molto le differenze etniche, lasciando però le evidenti differenze politiche. Unico vero baluardo etnico per i longobardi fu la loro fede ariana: al fianco di vescovi cattolici, in molte città era presente anche un vescovo ariano, per sottolineare la distinzione tra le due religioni. Questo elemento emerge con prepotenza durante il regno di Teodolinda, dato che oltre a non essere longobarda, la regina non era neppure ariana. Il re Agilulfo non si convertì mai alla religione della moglie, ma acconsentì a battezzare suo figlio Adaloaldo con rito cattolico e appoggiò la costruzione del monastero di Bobbio da parte di Colombano; pur non inaugurando una stagione di conversione per i re longobardi, questo fu l’inizio di un periodo di tolleranza e pacifica convivenza religiosa in tutto il regno, caratterizzato da una leggera tendenza verso il cattolicesimo. La coesistenza di una doppia fede all’interno del regno cominciava da un lato a togliere all’Arianesimo il primato di elemento di coesione etnica longobarda, dall’altro impedì ai vescovi di realizzare quel processo di simbiosi col potere caratteristico invece di altre regni, quindi non riuscirono a diventare elemento di coesione tra i sudditi e il re, né furono in grado di trasmettere ai re una cultura di governo di tradizione romana. Conseguenza più grave di questa situazione fu però una crescente forma di ostilità da parte del Papa ne confronti dei Longobardi, soprattutto per motivazioni politico – territoriali: la frammentazione di tutto il territorio italiano generò numerosi punti di tensione, in particolar modo in un contesto n cui l’assenza dell’impero iniziava a lasciare spazio al potere papale e alla sua sete di autonomia. Esempio concreto in questo senso fu l’operato di Papa Gregorio Magno, discendente diretto di un’importante famiglia senatoriale romana, e quindi massima espressione di questo tipo di cultura. Dopo aver realizzato l’inutilità della conservazione di molte tradizioni e simbologie legate al vecchio fasto imperiale, Gregorio fu uno degli ultimi Prefectus Urbis, dopodiché, giunto sul soglio papale, iniziò un processo di rifondazione che verrà portato avanti da tutti i suoi successori, modificando così enormemente il ruolo politico del Papa a Roma. La debolezza dell’Impero in Italia era un dato di fatto che costituiva un’importantissima risorsa per la Chiesa perché lasciava grande spazio di manovra ai vescovi che di fatto gestivano il potere politico oltre che quello spirituale: le Chiese possedevano enormi ricchezze e i Vescovi erano sempre rappresentanti di grand famiglie aristocratiche. Fu quindi Gregorio a utilizzare parte di questo patrimonio acquistare il grano necessario a soddisfare le necessità di tutta la città e soprattutto, muovere passi politici in autonomia, contrattando personalmente con i Longobardi un piano di equilibrio che permettesse una pacifica convivenza tra due popolazioni così strettamente legate su un piano territoriale. STORIA MEDIEVALE IMPERO CAROLINGIO, ECCLESIA CAROLINGIA 29 Impero carolingio, ecclesia carolingia Dal regno all’Impero Tra il VII e l’VIII secolo i regni Merovingi furono interessati dalla presa del potere da parte della famiglia dei Pipinidi, che si affermarono grazie a tre azioni in particolare: 1. Iniziativa militare 2. Clientelarismo con l’aristocrazia d’Austrasia 3. Occupazione della carica di Maestro di Palazzo Il punto più difficile da chiarire nell’ascesa al potere di questa famiglia fu l’effettivo ruolo del papato: secondo la leggenda, riportata negli Annali del regno dei Franchi, Papa Zaccaria si limitò ad affermare che sarebbe stato opportuno che diventasse re dei Franchi colui il quale effettivamente esercitasse il potere, indicando così Pipino il Breve, molto più probabilmente il Papa si limitò a prendere atto di una situazione già definita. Ad ogni modo, il colpo di stato si consumò con la chiusura del re merovingio Childerico in monastero e l’incoronazione di Pipino da parte del monaco Wynfrith, segnando oltretutto una novità nel cerimoniale franco. Nel 756 poi, papa Stefano II realizzò che i Franchi erano l’unica potenza in grado di difendere la Chiesa dalla minaccia militare longobarda, così raggiunse Pipino a Saint – Denis dove ufficializzò l’incoronazione col rito dell’unzione per lui e i suoi figli Carlo e Carlomanno. Questa ufficializzazione legò il regno franco e la chiesa in modo indissolubile, subito dopo questo rito, infatti, Pipino scese in Italia per liberare Ravenna da re Astolfo: dopo aver consegnato la città al Papa si investì dell’onere di protettore della Chiesa, consolidando così il proprio potere sui Franchi. Questa vittoria sui Longobardi non aprì un periodo di conflitti tra i due regni, tanto che alla morte di Pipino il Breve la vedova, Bertrada, cercò subito di stringere una nuova alleanza tramite il matrimonio dei figli con due figlie del re dei longobardi Desiderio. Questo tentativo durò però pochi anni, nel 771 Carlomanno morì lasciando l’intero regno nelle mani del fratello Carlo che invece, mosso da mire decisamente più espansionistiche, ruppe l’alleanza con i Longobardi. Il modello di successione al potere franco considerava il regno come parte del patrimonio del re, e quindi andava in successione tra tutti i figli maschi esattamente come tutti gli altri beni: solo per un caso i franchi ebbero quindi un impero unito con un solo sovrano: → Pipino: il fratello scelse la vita monastica → Carlo: divise il potere con Carlomanno fino al 771, data della sua morte → Ludovico il Pio: dopo la morte dei fratelli, regnò da solo dall’814 alla sua morte, nell’840 Rimasto unico re, Carlo avviò un’importante campagna espansionistica che lo portò ad annettere al suo regno i territori dell’attuale Francia, Belgio, Olanda, Germania, Svizzera, Austria e Italia, che restò la sua conquista più importante perché permise quel salto di qualità nei rapporti con la Chiesa che sfoceranno nell’incoronazione a nuovo Imperatore. Militarmente fu una conquista abbastanza semplice dato che la difesa longobarda si concentrò dapprima sulle Alpi, poi nella sola capitale Pavia, la cui caduta costò a Desiderio la deportazione in Francia. I movimenti verso la Spagna furono invece modesti, piccole battaglie che terminarono nell’813 con la formazione della Marca Hispanica, mentre invece fu molto importante l’espansione in Sassonia che aveva il STORIA MEDIEVALE IMPERO CAROLINGIO, ECCLESIA CAROLINGIA 30 fine di annettere i territori ed assimilarne completamente la popolazione: oltre all’azione militare è importante anche la connotazione religiosa della cosa, dato che i Sassoni erano principalmente pagani. L’enorme influenza dei Franchi, a questo punto, non si limitava entro i suoi confini: sia in Spagna che in Austria le Marche costituivano dei cuscinetti di protezione che, ad esempio nella valle del Danubio, costrinsero le popolazioni ad una sorta di assoggettamento grazie all’enorme stanziamento militare messo in atto. L’espansione territoriale corrispose anche ad una ripresa delle reti commerciali col Nord Europa: importanti furono gli scambi con l’anglosassone re Offa che, adottando anche politiche evidentemente ispirate dai franchi, dimostrò che i rapporti non erano solo di natura economica. La novità più importante, però, fu l’incoronazione ad Imperatore. Il giorno di Natale dell’anno 800, Papa Leone III fu ricondotto a Roma (da cui era dovuto fuggire per scappare dai suoi oppositori) da Carlo Magno e, riottenuti pieni poteri, lo incoronò Imperatore, sottolineando così il suo peso nettamente superiore a quello di qualsiasi altro re Occidentale. Questa incoronazione fu fondamentale anche per le esigenze papali dato che sottolineava nuovamente l’impegno di Carlo nel ruolo di Protettore della Chiesa: dal punto di vista papale, infatti, il significato del titolo era quello di un’associazione di Carlo alla figura di Costantino, la cui funzione principale era proprio quella di difesa della Chiesa di Roma. L’incoronazione però creò ovvie tensioni ideologiche con Bisanzio, capitale dell’altro Impero, perché era un chiaro atto di ostilità nei confronti di un Impero sempre più debole con a capo una debole reggente (Irene), e in preda a dure guerre di religione (movimento iconoclasta); l’incoronazione fu però solo un ulteriore aggravarsi di una situazione che era già tesa quando dalla nuova Capitale, Aquisgrana, Carlo iniziò a sostenere le azioni missionarie dirette ad est e a convocare concili ecclesiastici, influenzando così anche la politica religiosa della Chiesa. Conti, Vassalli e liberi Un Impero così vasto andava necessariamente incontro a problemi di gestione, per quanto Carlo potesse essere itinerante, non era assolutamente in grado di creare una forma di governo diretto, quindi l’efficacia del suo metodo consisteva nel coordinamento dell’aristocrazia e della Chiesa. Unità fondamentale dell’aristocrazia laica erano i Conti che di fatto sostituivano il Re nei suoi tre principali compiti: 1. Organizzazione dell’esercito 2. Amministrazione della giustizia 3. Prelievo delle tasse Alcune aree particolarmente grandi e di notevole importanza strategica, per lo più poste al confine del regno, erano definite Marche e governate da Marchesi. Sia i Conti che i Marchesi erano rappresentanti delle grandi famiglie aristocratiche, quindi la vera impresa dell’Imperatore fu quella di riuscire ad arginare la crescita del potere dei singoli in favore di quello della Corona: i compiti erano assegnati sempre in aree lontane dal luogo di provenienza e spesso, con cadenza temporale definita, venivano trasferiti in altri luoghi per evitare la costituzione di rapporti clientelari. In sostanza, il potere di queste cariche derivava direttamente dalla delega ricevuta, e mai dal potere personale del delegato. I legami tra l’Imperatore e il popolo, inoltre, era rafforzato dai missi regis, funzionari incaricati direttamente dal re le cui funzioni non sono ancora molto definite, ma sono certamente gli unici rappresentanti ufficiali dell’Imperatore che garantivano il collegamento tra centro e periferia controllando e, all’occorrenza, sostituendo Conti e Marchesi. Principali compiti dei Conti Esercito Giustizia Tasse STORIA MEDIEVALE IMPERO CAROLINGIO, ECCLESIA CAROLINGIA 31 Questa forma di fedeltà assunse una forma più definita intorno all’VIII secolo sotto Pipino III (Il Breve) in quello che viene comunemente definito Vassallaggio: era un Vassallo colui il quale giurava fedeltà militare ad un potente impegnandosi così a combattere per lui in cambio di terre e protezione. Esempio di questo rapporto è dato dal duca di Baviera Tassilone il quale, dopo anni di conflitti, si presentò alla corte di Pipino e si offrì a lui come vassallo, giurandogli fedeltà e supporto militare. Questa struttura vassallatica era diffusa in tutto il territorio franco, in questo modo l’Imperatore era riuscito a creare una vera e propria rete il cui controllo costituiva la sua vera forza nel momento in cui veniva tradotta in forza militare. Questo equilibrio tra ricchezza dell’Imperatore e potenza derivata dal controllo dell’Aristocrazia si ruppe nella seconda metà del IX secolo, quando si ridusse la capacità del Re di redistribuire la ricchezza tra i nobili e quindi si ridusse il livello di fedeltà di questi nei confronti dei successori di Carlo. Era molto importante quindi la capacità di saltare l’intermediazione aristocratica conservando sempre un rapporto diretto con gli uomini liberi, i Pauperes, dato che non era affatto raro vedere gruppi numerosi di contadini che chiedevano di essere difesi da un potente che tentava di sottometterli e controllarli. Raramente questi ottennero giustizia, un po’ perché la solidarietà tra la Corona e l’Aristocrazia era molto forte, quindi difficilmente la prima avrebbe deciso a sfavore della seconda, è importante però vedere come queste cause fossero abbastanza comuni, a dimostrazione del fatto che chiunque avesse accesso alla giustizia del Re. Le chiese carolingie Subito dopo l’incoronazione di Carlo Magno, quindi, si delineò un nuovo tipo di rapporto tra il papato e l’Impero. La Chiesa non assunse mai una posizione di vassallaggio perché i Chierici non potevano giurare, portare armi né tantomeno combattere; allo stesso modo nessun Vescovo divenne mai conte perché questa carica fu sempre affidata a dei laici. I resoconti giunti a noi, però, raccontano spesso di vescovi che hanno ottenuto la carica di Missi Regis considerandosi in tutto e per tutto collaboratori del Re dato che entrambi avevano lo stesso fine: la giustizia in terra e la salvezza in cielo. Gli strumenti utilizzati dai vescovi erano ovviamente quelli caratteristici della Chiesa: → Orientare i fedeli verso obbedienza e fedeltà al Re → Capacità culturali, necessarie per elaborare i testi necessari al governo → Ricchezze e clientelarismi della Chiesa In base a questa organizzazione, il Re dava ordini a Vassalli, Conti, Marchesi, ma anche a Vescovi e Abati giacché erano considerati in tutto e per tutto parte integrante delle milizie imperiali. Il discorso relativo agli Abati è ancora differente dato che nei monasteri non c’erano compiti di tipo pastorale: loro amministravano la Sanità ed erano centri di ascesi la cui spiritualità era in forte contrasto con la violenza del mondo circostante. Per tutelare i monasteri, l’Impero impose la Regola di San Benedetto come unico testo normativo da prendere in riferimento: la Regola non fu mai adottata alla lettera, ma fu un’importante dimostrazione di quanto l’Impero ritenesse necessario il dover intervenire direttamente nelle questioni interne della Chiesa, e di come questa fosse considerata poco più di un’articolazione esterna del regno. Le ampie concessioni, economiche e sociali, che l’Impero elargiva nei confronti della Chiesa vanno viste come un vero e proprio trasferimento di risorse dal fisco al clero, arrivando addirittura alla più importante concessione, ossia l’immunità. Qualunque funzionario laico regale non poteva riscuotere tasse dalla chiesa, o amministrare giustizia nei loro territori: di fatto le chiese diventano spazi inviolabili. Riguardo la giustizia, era prassi che fosse il clero a consegnare ai conti le persone da giudicare, fiscalmente non era altro che una grossa esenzione. STORIA MEDIEVALE IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO 34 Il mediterraneo bizantino ed islamico Le origini dell’Islam La società araba iniziò il suo sviluppo attorno alle due principali città della penisola, La Mecca e Yathrib la futura Medina). La popolazione araba era composta per lo più da tribù nomadi che consideravano molto importanti queste città per questioni religiose legate alla pietra nera Ka’ba, meta di veri e propri pellegrinaggi. Nei primi anni del VII secolo iniziò la sua opera di predicazione il profeta Muhammad (Maometto) perché convinto da una visione di Dio ad aver da Lui ottenuto il compito di declamarne la parola2, predicazione che ben presto si mise in conflitto con i grandi clan quraishiti che vedevano messi in pericolo i grandi guadagni derivanti dai pellegrinaggi alla Ka’ba. La situazione degenerò fino a quando, nel 622, Maometto fu costretto a fuggire da La Mecca a Yathrib che da allora prese il nome di “città del profeta”, ossia Medina; questa fuga (Egira) è considerata il momento fondativo della religione islamica perché è da questo momento che il messaggio religioso di Maometto cambia sostanzialmente di significato, diventando fortemente politico, tanto da riuscire ad organizzare una vera e propria comunità politico – militare. Questo episodio divenne un vero e proprio fattore aggregante per tutte le tribù arabe che garantirono in questo modo a Maometto la forza necessaria per tornare a La Mecca nel 630 e trasformare i pellegrinaggi alla Ka’ba in senso islamico. Alla sua morte, nel 632, Maometto era riuscito a trasformare la penisola araba in uno stato unitario guidato completamente dalla religione islamica; su questa base in pochi anni i primi califfi, successori di Maometto, riuscirono a invadere l’intero impero persiano e ad espandersi nel territorio bizantino, conquistando la Palestina e l’intero Nord Africa, arrivando fino alla Spagna Visigota nei primi anni dell’VIII secolo. È importante vedere come subito dopo la morte di Maometto, si manifestarono le prime divisioni interne legate alla sua successione, facenti capo a tre fazioni principali: → I Sunniti: facendo leva sulla tradizione coranica, ritenevano che il successore di Maometto dovesse provenire dalla sua stessa tribù → Gli Sciiti: seguaci del cugino di Maometto, il Califfo Alì, ritenevano che la famiglia fosse più importante della provenienza tribale, quindi il successore di Maometto doveva essere necessariamente un suo parente → I Kharigiti: contrarie ad entrambe le posizioni, ritenevano che la carica di Califfo dovesse basarsi solo sul merito del soggetto, indipendentemente dalla sua origine tribale o familiare Il 661 fu l’anno della rottura definitiva, la cui causa scatenante fu l’assassinio di Alì: la maggior parte della popolazione islamica decise per la fazione Sunnita, dando così vita alla dinastia degli Omayyadi. 2 Da declamazione (Qara’a) deriva Corano (Al Qur’an) Sunniti Si rifacevano alla Sunna (tradizione), il successore di Maometto doveva provenire dalla sua tribù Sciiti Seguaci di Alì, il successore di Maometto doveva provenire dalla sua famiglia Kharigiti Il Califfo doveva essere scelto unicamente per merito, indipendentemente dall'appartenenza tribale o familiare STORIA MEDIEVALE IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO 35 La società islamica era caratterizzata da due diseguaglianze fondamentali: → Islamici e non islamici → Arabi e non arabi La prima distinzione non fu mai causa di persecuzioni dato che gli islamici nutrivano un profondo rispetto per le altre religioni, in particolare per ebraismo e cristianesimo, dato che anche queste avevano una comune origine rivelata. La divisione tra arabi e non arabi non era formalizzata in nessun modo, ma in concreto tutti i non arabi erano di fatto esclusi da qualunque tipo di carica. Il periodo di dominazione omayyade portò diverse trasformazioni in questo senso. Come primo cambiamento la capitale fu spostata a Damasco, questo trasformò La mecca e Medina in semplici centri di rilevanza esclusivamente religiosa; in questo periodo che il Corano viene completato, interpretato e applicato, gettando così le basi dell’Islam teocratico che esiste anche oggi. Con l’affermazione dell’arabo come unica lingua ufficiale si completò il processo di affermazione dell’Islam come unica identità per tutto il popolo arabo. Questa affermazione ebbe ovviamente pesanti ripercussioni su tutto il piano economico rompendo completamente i rapporti commerciali di tutto il mediterraneo: la perdita delle province Nord – Africane fu un durissimo colpo per la politica agraria dell’Impero Bizantino che ora poteva contare solo sulla Sicilia per l’approvvigionamento alimentare. Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un Impero Tra il VII e l’VIII secolo, quindi, l’Impero Bizantino dovette affrontare l’affermazione di due importanti nuove realtà che ne modificarono completamente l’assetto economico e sociale: → L’espansione islamica: la perdita delle provincie Nord – Africane creò importanti problemi economici → La nascita dell’Impero carolingio: fu un problema più ideologico che pratico, la nomina di Carlo Magno ad Imperatore metteva in seria discussione l’importanza unitaria dell’Impero Bizantino che, di fatto, si riduceva ad un’importante potenza regionale La vera crisi dell’impero bizantino ha origine alla fine del VI secolo, quando cominciò lo sfaldamento dell’ambizioso progetto giustinianeo i cui importanti impegni militari avevano prosciugato le casse imperiali, causando anche un grosso malcontento tra le fila dell’esercito che vedeva pagati i propri stipendi in modo irregolare e discontinuativo. A questo problema si aggiungevano anche importanti tensioni religiose, soprattutto lungo il confine con l’Impero persiano che aveva conservato tutte quelle posizioni monofisite condannate dai concili del V e VI secolo. Una svolta sul piano militare si ebbe solo intorno al 610 con la salita al trono di Eraclio: questi riuscì ad affermarsi sull’Impero persiano, riducendone la minaccia, ma di fatto aprendo la strada al regno islamico. Molto più importante dei successi militari, fu il processo di riforma che cominciò a svilupparsi proprio in questo periodo: in seguito alla riduzione territoriale e alla costante pressione militare, gli imperatori da Eraclio in poi ritennero opportuno concentrare un importante numero di truppe in determinate zone dell’Impero, dando pieni poteri amministrativi ai capi militari. Dopo diversi secoli si abbandonò quindi il complesso sistema provinciale voluto da Costantino in favore di un’organizzazione su Temi: la parola latina Thema perse il suo originario significato legato al corpo militare, per indicare l’intera struttura istituzionale. Questa trasformazione, lenta e profonda, partì quindi da Eraclio, ma fu portata avanti da tutti i suoi successori per tutto il VII ed VIII secolo, modificando sostanzialmente l’impostazione classica di Costantino, in particolar modo su due punti fondamentali che modificarono strutturalmente l’impostazione stessa di tutto il sistema imperiale: → La distribuzione dei poteri → Il finanziamento dell’esercito Differenze rispetto all'Impero di Costantino Poteri civili e militari nelle mani della stessa persona Abbandono del sistema di finanziamento dell'esercito attraverso tasse e stipendi STORIA MEDIEVALE IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO 36 Altro punto di rottura bizantino rispetto all’età classica imperiale fu quella religiosa, dovuta all’affermazione del movimento Iconoclasta. L’iconoclasmo fu una corrente religiosa che ambiva ad un culto più puro, e cercava di raggiungere questa dimensione attraverso la distruzione di tutte le immagini sacre, viste come potenziale fonte di idolatria e politeismo. Il dibattito fu ampliamente teologico, e mise al centro la figura di Gesù Cristo: ritrarlo metteva ancora una volta in risalto la sua natura umana, a discapito di quella divina, separandole nuovamente come prima del concilio di Caledonia con i dibattiti sulle posizioni diofisite e monofisiste. A tal proposito, gli iconoduli, principali sostenitori delle immagini sacre, risposero proprio citando il suddetto concilio che aveva affermato l’unione delle due nature in Cristo, permettendo in questo modo implicitamente la rappresentazione di quella umana. Il dibattito teologico si spostò su quello politico già nel 730 quando l’imperatore Leone III vietò la venerazione delle immagini, creando così gravi conflitti sia all’interno che all’esterno dell’Impero: da un punto di vista interno, questa decisione mise in contrasto Imperatore e monasteri, per i monaci infatti il culto delle immagini ricopriva un ruolo molto importante. Da un punto di vista esterno, invece, questa posizione metteva l’Impero in netto contrasto con le posizioni della Chiesa di Roma e quindi con tutta la cristianità occidentale. Imperatori come Leone III e Costantino V abbracciarono l’iconoclasmo per motivazioni di natura politica dato che la loro esigenza era quella di rimettere la figura dell’Imperatore al centro della società bizantina e il diffusissimo culto dei Santi ne offuscava il ruolo di mediatori tra il popolo e Dio. Questa guerra alle immagini sacre raggiunse il suo apice nel 754 in occasione del concilio di Hierea in cui Costantino V riuscì a vietare il culto delle immagini, mettendosi ufficialmente contro le chiese occidentali che a questo Concilio non furono neppure convocate: questa condanna fu quindi opera della sola Chiesa Bizantina. Solo con Leone IV dal 775, e con la sua vedova che ne prese il posto nel 780, questa tendenza conobbe delle attenuazioni, per venire definitivamente annullata nel 787 con concilio di Nicea che ripristinò il culto delle immagini. Il movimento iconoclasta fu determinante anche nei rapporti tra l’Impero bizantino e la Chiesa occidentale che non prese mai una posizione ufficiale in merito, anche per posizioni politiche: fine del Papa era infatti quello di marginalizzare l’importanza dell’Impero bizantino rispetto al territorio italiano: questo aspetto divenne palese quando, alla caduta di Ravenna per mano longobarda, i bizantini non ebbero modo di intervenire costringendo il Papa a rivolgersi ai Pipinidi. Le articolazioni del mondo islamico e bizantino Nel 750 la dinastia Omayyadi lasciò il Califfato in favore degli Abbasidi, dinastia che restò al potere fino alla fine del XIII secolo. Questa nuova era si apre con numerosi cambiamenti rispetto a quando definito dagli Omayyadi: primo provvedimento fu lo spostamento della capitale nella neonata Baghdad, ed è in questo periodo gli Emiri3 iniziano a sganciarsi dal controllo del Califfo assumendo più libertà di azione. È nell’800 che il Califfo al – Rashid assegnò il governo del Nord – Africa all’emiro al – Aghlab, concedendogli il potere di trasmettere questo privilegio anche ai suoi eredi; alla fine del X secolo, invece, fu l’Egitto a rivendicare la propria autonomia. In Europa invece, in particolare nella penisola iberica, l’emirato di al – Andalus riuscì a far convivere pacificamente tutti i territori cristiani ancora presenti nell’area con una popolazione molto varia, composta 3 Delegati del Califfo chiamati a governare determinati territori Divisioni Interne ed Esterne Interna: Impero contro Monasteri Esterna:Bisanzio contro la Chiesa Romana STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO 39 2. Ungari: insediati nelle steppe dell’attuale Ungheria 3. Saraceni: pirati sparsi in diversi punti del Mediterraneo Saraceni Tradizionalmente sono sempre stati indicati come pirati provenienti dai territori sotto il dominio islamico, ma in realtà si tratta di gruppi di etnia mista, attivi a partire dagli anni ’60 del IX secolo, fu solo verso la fine dell’800 che questi diversi gruppi si organizzarono in basi più o meno stabili, la cui più celebre è senza dubbio Fraxinetum nella baia di Saint – Tropez da cui partirono numerose incursioni che terminarono solo nel 972, dopo che il conte di Arles ed il marchese di Torino si allearono e la distrussero. L’attività dei Saraceni non è mai stata finalizzata all’espansione territoriale, ma si limitarono ad atti di pirateria continui che lasciarono ben poche tracce scritte, rendendo così molto difficile il tentativo di definire la portata delle loro razzie Ungari Come per i Saraceni, anche per gli Ungari non sono disponibili molte fonti scritte dato che le loro incursioni sono sempre state facilitate dallo stato di estrema debolezza dei Re, infatti tra il IX e X secolo si ha notizia di una trentina di incursioni ungare ai danni di Italia e Germania. Abili cavallerizzi, riuscivano a muoversi agilmente tra le Alpi penetrando così a fondo nell’Impero, si ha infatti notizia di incursioni a Pavia e per tutta la Lorena. Oltre che saccheggiatori, gli Ungari si rivelarono anche preziosi alleati dato che registri militari ci dicono che spesso sono stati arruolati tra le file degli eserciti imperiali. Dopo aver semplificato la loro azione, l’evoluzione dell’Impero segna anche la loro fine dato che attorno alla metà del X secolo Ottone I guidò l’aristocrazia tedesca nella battaglia di Lechfeld che vide la disfatta finale di questa popolazione Normanni Nello stesso periodo, ma in luoghi completamente diversi, iniziarono a muoversi anche i Normanni, mossi dall’importante sviluppo delle rotte commerciali nel mare del Nord. Quasi tutti i commercianti erano costretti a navigare armati per difendersi dalle frequenti incursioni piratesche, trasformandosi così spesso in pirati a loro volta ogni volta che le occasioni lo permettevano. Questa realtà è molto frequente nei mari tra la Russia e l’Inghilterra: le zone di influenza dei Normanni sono talmente estese che questa popolazione prende un nome diverso a seconda della regione in cui ha operato. Il traffico commerciale ad est permetteva, grazie all’utilizzo di imbarcazioni a fondo piatto, di risalire i grandi fiumi. Questa opportunità portò i Vareghi a stanziarsi in insediamenti che presero il nome di Emporia che divennero in breve importantissimi centri di scambio commerciale: alcuni di questi crebbero tanto da diventare importanti centri, come Kiev o Novgorod. In Occidente l’azione militare dei Normanni si può scandire in tre periodi ben distinti: 1. Piccole incursioni sulle coste francesi e inglesi nello stretto della Manica attorno all’inizio del IX secolo 2. Col crescere delle difficoltà imperiali, crebbero anche le incursioni. Attorno alla metà del IX secolo grosse flotte risalirono i fiumi spingendosi fino a Parigi e Londra 3. Alla fine del IX secolo le incursioni si trasformarono in veri e propri insediamenti stabili: nel 911 questi furono riconosciuti da Carlo il Semplice che diede vita al Ducato di Normandia. La nascita del ducato di Normandia non può essere paragonato alla vicenda degli Ungari perché Carlo il Semplice era molto più debole di Ottone I, quindi non potendo permettersi uno scontro armato fu costretto a Nomi attribuiti ai Normanni Vareghi - Territori ad Est Vichinghi - Isole Britanniche Normanni - Nord della Francia STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO 40 trovare una pacificazione solo cedendo parte del territorio regio, dando il via ad un processo di assimilazione molto rapido dato che i normanni si convertirono subito al cristianesimo e trasformarono molto velocemente il loro territorio in un grande principato del tutto simile agli altri che caratterizzavano la zona. Il potere dei Re Nonostante l’evoluzione dei poteri regi seguisse linee molto diverse, si possono individuare alcune linee comuni a tutti. Ovunque, infatti, tar il X e XI secolo scomparve completamente l’attività legislativa dato che tutti i re intervenivano sulla vita politica del regno quasi esclusivamente tramite la concessione di diplomi4, finendo così col limitarsi a constatare l’esistenza di nuovi poteri signorili locali e pienamente autonomi. È importante sottolineare che tutti i nuovi diplomi prodotti in questo periodo non favorivano lo sviluppo di nuovi poteri autonomi, ma si limitavano a favorire quei poteri già esistenti che comunque avevano un forte rapporto di fedeltà col re. La crisi dell’Impero quindi non corrisponde ad una perdita di potere da parte della corona, ma piuttosto ad una profonda ridefinizione del suo ruolo sulla base di caratteri comuni in tutte le sue regioni: → Ridotta capacità di condizionare aristocrazia e chiese → Modalità d’azione non sulla base di leggi generali, ma su interventi specifici su singole realtà L’Impero finì quindi col dividersi in 4 regni principali: 1. Italia 2. Germania 3. Francia 4. Borgogna La Borgogna fu la dimensione che ebbe vita più breve: si affermò alla fine del IX secolo come territorio autonomo in un dominio compreso tra le Alpi e il Rodano, controllato dai Rodolfingi. Nel 933 questo dominio si allargò anche alla Provenza, ma con la morte di Rodolfo II si andò incontro ad una profonda crisi dinastica che si concluse solo nel 1034, quando il regno passò nelle mani del re di Germania Corrado II. Italia Data chiave della storia italiana è l’888, anno della morte di Carlo il Grosso, ultimo carolingio ad aver unito l’intero impero. Tra l’888 e il 961 l’Italia fu terreno di scontro di diversi potenti che si contendevano il trono, in particolar modo i marchesi del Friuli e quelli di Spoleto. Berengario del Friuli fu incoronato re nell’888 ma già l’anno successivo fu sconfitto e deposto da Guido di Spoleto che ottenne il titolo imperiale nell’891. Dal Nord – Est, zona ancora controllata da Berengario, il marchesato del Friuli si riprese alla morte di Guido (894) e regnò fino al 924, anno della sua morte. La storia di questi anni si può riassumere con l’opposizione delle due famiglie più influenti dell’aristocrazia italiana: → Berengario del Friuli → Guido di Spoleto → Gli Anscarici di Ivrea → Gli Adalbertini della Tuscia → Rodolfo di Borgogna 4 Concessioni accordate a singoli destinatari, quasi sempre chiese o collettività STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO 41 Tutta la politica italiana restò quindi ancorata allo scambio di corone avvenute tra queste famiglie, dal 924 Rodolfo di Borgogna subì gli scontri con Ugo di Provenza che riuscì ad insediarsi in Italia dal 926 al 946, anno in cui abdicò in favore del figlio Lotario. Alla morte di questo, nel 950, la corona tornò nelle mani del marchesato del Friuli con Berengario II, fino alla discesa in Italia del re di Germania Ottone I. Germania La morte di Ludovico il fanciullo nel 911 pose fine all’egemonia carolingia sul territorio dei franchi orientali, lasciando così spazio a nuovi pretendenti che daranno origine al nuovo Regno tedesco. In questo quadro si andò delineando una linea di politica elettiva del nuovo re, scelto dall’insieme dei duchi che dovettero fare i conti con la volontà di ogni singola famiglia aristocratica di riuscire a mantenere la corona quanto più a lungo possibile, introducendo quindi nei fatti un’importante tendenza dinastica: tutta la storia teutonica dal X secolo in avanti è infatti correlata da una continua lotta tra il principio elettivo ed il principio dinastico. Nel 911 salì al trono Corrado di Franconia, il cui regno fu costantemente minacciato dalla grande aristocrazia, guidata da Enrico di Sassonia, che non vedeva in lui un degno sovrano: alla morte di Corrado fu proprio Enrico a salire al trono e, per oltre un secolo, la corona fu saldamente nelle mani della sua famiglia. Il dominio sassone ampliò notevolmente i confini del regno Tedesco: nel 925 Enrico conquistò la Lotaringia e suo figlio, Ottone I, iniziò la discesa in Italia a partire dal 951. Al suo arrivo in Italia, Ottone trovò uno scenario in cui da un lato c’era in atto uno scontro tra le famiglie aristocratiche di Berengario e della potente regina Adelaide, vedova di Lotario, dall’altro la posizione stessa di Berengario che precedentemente si era messo sotto la protezione del re tedesco. Va sottolineato anche che lo stesso Ottone era coinvolto in conflitti interni col suo primogenito, Liutdolfo, che voleva affermare il suo dominio sula penisola. Dopo aver sposato la vedova Adelaide, l’intervento di Ottone diventa espressione della sua volontà di proteggerla sottolineando in questo modo la sua supremazia su Berengario II; al contempo, però, lo scontro col figlio si trasformò in un conflitto vero e proprio, quindi Ottone fu costretto a riconoscere Berengario come sovrano fino al 954, anno in cui riuscì a sottomettere Liutdolfo. Dopo aver sottomesso anche gli ungari nel 955, nel 961 Ottone poté riprendere la sua marcia di conquista in Italia che si concluse nel 962 con la sua incoronazione ad Imperatore. Alla morte di Ottone I, nel 973, l’impero era quindi composto dall’unione del regno di Germania e il Regno d’Italia. Si stabilizzarono le procedure di ascesa al trono: il re veniva eletto dai duchi, doveva scendere in Italia per prendere formalmente possesso di questi territori e, infine, doveva recarsi dal Papa per ricevere l’incoronazione imperiale. Nonostante fosse una carica elettiva, non stupisce il fatto che da Ottone I in poi si stabilizzò una vera e propria dinastia regale ed è facile capirne i motivi se si analizza la struttura dell’aristocrazia ducale, composta in gran parte da parenti di Ottone: sia Ottone I che il figlio Ottone II fecero in modo di occupare quanti più ducati possibile con membri della propria famiglia, questa tendenza andò avanti fino al regno di Enrico II che promosse l’ascesa alla nobiltà di altre famiglie. La continuità politica che caratterizzò il dominio degli Ottoni subì un cambio di rotta con la figura di Ottone III che mise al centro della sua opera il Renovatio Imperii Romanorum: fine era quello di rinnovare lo spirito dell’antico Impero Romano, quindi sia il linguaggio ufficiale che i vari cerimoniali si arricchirono di elementi Dinastia duchi di Sassonia Enrico I Ottone I Ottone II Ottone III Enrico II STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO 44 lavoratori, tutti chiusi in un sistema simbiotico in cui ognuno svolgeva il proprio compito per il bene di tutti gli altri. Questo modello si sviluppò ad opera di Adalbedone di Laon e Gerardo di Cambrai, due vescovi attivi nel Nord della Francia nei primi anni della dinastia Capetingia, in un momento in cui il potere regio era assolutamente incerto, sia da un punto di vista dinastico che da quello del controllo effettivo dei territori. Un altro modello, apparentemente opposto a questo, lo si trova nelle Paci di Dio che rappresenta un vero e proprio cerimoniale elaborato da alcuni vescovi del Sud della Francia: radunate un certo numero di reliquie, chiunque doveva giurare su queste il rispetto di determinate norme. La novità non è tanto nelle norme descritte, dato che sono quelle comuni del periodo, quanto nel fatto che nessun re le ha imposte, ma nascono dalla spinta del popolo stesso ispirato dalla chiesa: la pace di Dio non è altro che la pace del Re senza il Re. I due modelli politici descritti posso sembrare diametralmente opposti dato che il primo è espresso da testi di alto livello intellettuale e che quindi ebbe usa diffusione molto ridotta, il secondo invece nasce da un sistema di cerimoniali che ebbero un enorme impatto sulla società. Soprattutto però la tripartizione si basa sulla separazione di ruoli e competenze con al centro la figura del Vescovo, garante della salvezza eterna, le Paci di Dio invece, anche se sempre guidate da un Vescovo prevedevano che tutti facessero insieme lo stesso rito. Punto molto importante in comune tra i due modelli è la trasformazione del rapporto tra i vertici della Chiesa e i fedeli. La Chiesa è l’intera società, quindi l’appartenenza alla società passa inevitabilmente dalla totale sottomissione alla Fede: essere fedeli significa essere sudditi in un complesso di dominazione guidato dalla Fede. Nuove chiese, nuovi poteri Nel 909 Guglielmo di Aquitania fondò l’abbazia di Cluny, vicino Lione e l’affidò all’abate Bernone. Peculiarità assoluta di questo monastero è il fatto che, per la prima volta, il duca rinuncia spontaneamente ad esercitare qualsiasi forma di controllo sulla vita dei monaci, compreso il diritto di autonominare i propri abati, in totale autonomia rispetto al duca e al vescovo. I primi abati diedero un’impostazione che prevedeva una forma di vita religiosa molto particolare che in breve tempo rese famosa l’abbazia in tutta Europa: seppero dare un’interpretazione specifica alla Regola benedettina dando così alla preghiera un posto di rilievo assoluto nella vita dei monaci, vista ora come via preferenziale per il raggiungimento dell’ascesi. Le donazioni ricevute in cambio di preghiere da parte dei monaci fecero di questa fondazione un luogo estremamente ricco e potente che non fu mai un’istituzione politicamente destabilizzante perché, proprio in virtù di queste ricchezze, era in grado di stringere alleanze con i vari principati: questo portò un tale prestigio che già il secondo abate, Oddone fu incaricato di riformare la regola monastica. Le riforme di Oddone incontrarono molte resistenze nei vari monasteri perché nessuno voleva perdere la propria autonomia, così si sviluppò una vera e propria rete di monasteri collegati tra loro e coordinati dall’abazia di Lione: non nacque un nuovo ordine, ma una vera e propria congregazione guidata da priori che dipendevano tutti dall’abate di Cluny. Per tutto l’XI secolo questi priorati si diffusero in tutta Europa, fino a raggiungere l’apice del trionfo quando, nel 1088, Oddone fu nominato papa col nome di Urbano II. Il secolo XI fu anche caratterizzato da una nuova spinta riformatrice che guardava con interesse all’eremitismo: primo fra tutti fu Romualdo che nel 1023 fondò il monastero di Camaldoli: una comunità fortemente isolata dal mondo in un eremitismo collettivo, caratterizzato da isolamento, povertà e penitenza, che sostituirà il cenobitismo classico considerato troppo morbido. STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO 45 Ovviamente in questo contesto cambia radicalmente anche la figura del Vescovo che perde la funzione di elemento strutturale del potere regio in favore di un pieno controllo politico e sociale sulle città, basato su esplicite concessioni della corona. Già Ottone si rese artefice di concessioni molto importanti che assegnavano pieni poteri ai Vescovi che di fatto sostituivano i Conti in tutto e per tutto. Questa importantissima tendenza dipendeva principalmente dal fatto che, ormai, la successione dinastica dei conti era completamente al di fuori del controllo della corona: in caso di conflitti con una contea, l’Imperatore non poteva certo destituire l’aristocratico, rischiando di scatenare una rivolta, ma aveva il potere di ridurne i privilegi in favore del vescovo cittadino. Nel caso in cui il Vescovo fosse avverso alla corona, inoltre, il fatto che questo non potesse avere figli impediva categoricamente la possibilità che si formasse una dinastia e quindi il Re poteva indicare il successore a lui più gradito. I Vescovi erano uno strumento di potere estremamente efficace grazie alle strette relazioni che questi avevano con i laici della città: non è infatti raro trovare casi in cui la Chiesa sia riuscita a creare lo stesso identico livello di autonomia e potere, senza però avere nessun tipo di concessione imperiale. STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO 46 Poteri locali e poteri regi tra l’XI e il XIII secolo Le istituzioni della Chiesa e l’inquadramento religioso delle popolazioni fra XI e XIII secolo Nel corso dell’XI secolo, sulla spinta di Vescovi molto capaci, si mise in moto un processo di ripensamento delle funzioni della Chiesa che prese il generico nome di Riforma. I temi principali di questa nuova visione sono legati soprattutto all’esaltazione del carattere sacro del sacerdozio, quindi diventa fondamentale la lotta alla Simonia (divieto di vendita per denaro di tutto ciò che è considerato sacro), il celibato dei sacerdoti, che non potevano macchiare la sacralità del loro ruolo con rapporti carnali, e soprattutto la necessità che nessun condizionamento esterno potesse influenzare le decisioni prese dai vertici della Chiesa. Resistenze importanti a questa tendenza arrivarono sia dall’interno che dall’esterno: i quadri episcopali stessi, pur concordando con questa tendenza, si opposero all’eccesso di moralismo dei riformatori, mentre all’esterno l’Imperatore di vedeva privato di importanti prerogative che gli permettevano di controllare il cuore stesso della Chiesa. Per una riforma della Chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà dell’XI secolo Una spinta importante a dare il via alla spinta riformatrice arrivò principalmente dai Vescovi impegnati a riorganizzare le proprie diocesi al fine di difendere i beni ecclesiastici. Con Beni ecclesiastici non si intendono solo le ricchezze, ma anche un piano ideologico secondo il quale la funzione ecclesiastica era da considerarsi sacra. Accanto ai Vescovi, anche la curia imperiale si impegnò molto in quest’impresa, soprattutto sotto Enrico III che si pose come garante di questo processo riformatore, allargando il suo controllo anche alla sede romana. Nel 1046 Enrico scese per la prima volta in Italia per accogliere la richiesta d’aiuto della Chiesa in conflitto riguardo l’ascesa al soglio petrino. In competizione c’erano 3 pretendenti e l’intervento del sovrano fu accolto molto positivamente dai riformatori. La contesa fu immediatamente risolta da Enrico semplicemente con l’eliminazione dei tre pretendenti e procedendo con la nomina diretta di un quarto nome, Clemente II. In seguito questa divenne una consuetudine per l’elezione dei papi successivi. La sacralità del compito ecclesiastico era talmente importante che la compravendita delle cariche fu accostata al peccato di Simonia, ossia la volontà di comprare o vendere cose sacre con beni materiali che andava duramente condannata perché cercava di parametrare con cose umane dei valori divini. Oltre che puramente ideologica, questa questione aveva anche risvolti politici molti importanti dato che la vendita delle cariche era una pratica molto comune: i Vescovi provenivano tutti dall’alta aristocrazia e condividevano responsabilità di governo con i pubblici ufficiali, avendo quindi così incarichi pubblici. Per questo motivo si conformarono ad un sistema di scambi clientelari. In questo modo l’acquisto di una carica diventava un Temi della Riforma Lotta alla Simonia Celibato dei sacerdoti Vertici della Chiesa liberi da influenze esterne • Clemente II (1046 - 1047) • Damaso II (1048) • Leone IX (1049 - 1054) • Vittore II (1055 - 1057) Pontefici nominati da Erico III STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO 49 Questo episodio è molto importante perché segna la prova dell’avvenuto sconvolgimento dei pesi politici: il figlio dell’Imperatore che nominava i Papi si trovava ora a dover attendere, come un penitente, l’udienza di un Papa di fronte ad una porta sbarrata di un proprio castello. Questo accordo durò comunque molto poco e, in brevissimo tempo il Papa emise una nuova scomunica per il re e i Vescovi che a loro volta elessero l’Antipapa Clemente III nel 1080. Il successore del politicamente battuto Gregorio, Urbano II (1088 – 1099) riprese le trattative col Re, favorì il monachesimo benedettino e soprattutto convocò la Prima Crociata in Terra Santa. Per arrivare ad un compromesso definitivo bisognerà attendere il 1122, durante il Concordato di Worms tenuto tra il re Enrico V ed il Papa Callisto II; per effetto di questo accordo il sovrano rinuncia alla simbolica investitura ecclesiastica, ma il Vescovo, di contro, è tenuto a prestare giuramento di fedeltà prima di poter ottenere privilegi e proprietà. Questo accordo verrà ulteriormente sottoscritto e ratificato nel 1123 durante il Concilio Laterano I. Per arrivare ad un compromesso definitivo bisognerà attendere il 1122, durante il Concordato di Worms tenuto tra il re Enrico V ed il Papa Callisto II; per effetto di questo accordo il sovrano rinuncia alla simbolica investitura ecclesiastica, ma il Vescovo, di contro, è tenuto a prestare giuramento di fedeltà prima di poter ottenere privilegi e proprietà. Questo accordo verrà ulteriormente sottoscritto e ratificato nel 1123 durante il Concilio Laterano I. Pretese universali e definizione istituzionale della Chiesa La Santa Sede uscì notevolmente indebolita dalla lotta per le investiture, in questo periodo infatti furono nominati più antipapi che non pontefici eletti e riconosciuti dai cardinali riformati; lo scontro con Enrico, inoltre, aveva dimostrato che non era affatto difficile deporre un papa: era sufficiente convocare un concilio di vescovi fedeli. Nonostante queste debolezze, il papato che venne fuori da questo ciclo di riforme era strutturato in modo molto diverso: molto conteso, fortemente militarizzato, sottoposto al giudizio continuo di vescovi e regnanti, capace di intervenire e condizionare attivamente la politica di tutti i regni europei dato che la pretesa della Chiesa di Roma era quella di intervenire sulla salvezza delle anime di tutti i fedeli, indipendentemente dal regno di appartenenza. Questa visione della Christianitas permise alla Chiesa di elaborare una struttura istituzionale in grado di condizionare la politica di tutta Europa. Per mettere ordine a tutte le nuove normative religiose che si presentavano ad ogni concilio, vennero raccolti tutti i canoni registrati in un opera intitolata Decreto che, per molto tempo, rimase il principale riferimento di tutto il diritto ecclesiastico, studiato e commentato dai giuristi di tutta Europa. L’intervento dei canonisti era totale e riguardava qualsiasi tematica religiosa; partiva sempre da un caso concreto, analizzato nelle sue particolarità e nel suo contesto: non esisteva una legge valida sempre per tutti, ma c’erano sempre solo casi da risolvere con equità. Era però necessario definire dei principi validi in ogni situazione che indicasse la linea guida da seguire, e il primo di questi era senza dubbio la riorganizzazione gerarchica della Chiesa. Se da un lato tutti i vescovi erano sempre più radicati nelle proprie diocesi, dall’altro il papa cercava di costruire una rete di controllo sul territorio attraverso la figura dei legati apostolici che avevano il compito di giudicare i conflitti locali e, in casi estremi, invocare l’intervento di Roma: il potere dei vescovi era così notevolmente ridimensionato e comunque posto sotto il controllo continuo del pontefice. Tematiche del Decreto Elezioni Concili Concessioni di benefici Rapporti con le chiese locali Sacramenti Liturgia Clero parrocchiale Altro... STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO 50 Da sempre, infatti, i papi si sono arrogati il diritto di decidere nelle questioni più ostiche, quindi tutte le questioni furono ridistribuite all’interno della gerarchia ecclesiastica sulla base del livello di complessità: le materie di base erano di competenza del clero parrocchiale, altre erano attribuite al vescovo, mentre solo il papa poteva decidere quando l’imputato era lo stesso vescovo. Alla fine del XII secolo si affermò anche una nuova procedura rivolta alla risoluzione delle questioni legate al clero: l’inchiesta d’ufficio, Inquisitio: l’inchiesta partiva dalla Fama, ossia una voce collettiva riguardante un fatto causato dal comportamento errato di un uomo di chiesa. Dato che questi casi rischiavano di allontanare i fedeli dalla Chiesa, gli ecclesiastici venivano prontamente giudicati ed eventualmente puniti: la novità assoluta sta nel fatto che è proprio la Fama il motore dell’inchiesta, infatti il punto non era più l’accusare e perseguire una determinata persona, ma valutare se e quanto il suo comportamento potesse danneggiare l’istituzione Chiesa. Questo nuovo sistema permise un controllo capillare che raggiunse il suo apice sotto Innocenzo III il quale fece rimuovere un numero impressionante di Vescovi e sacerdoti. Questa nuova impostazione finì col cambiare anche il titolo del papa che, da Vicario di Pietro, divenne presto Vicario di Cristo in modo da sottolineare più marcatamente la sacralità del suo operato; per questo motivo accanto a lui si sviluppò un sacro collegio formato da cardinali, affiancato dalla curia che gestiva gli affari di governo e la Camera Apostolica che invece gestiva le ricche finanze della Chiesa, frutto delle decime versate da tutte le diocesi. Nelle grandi città episcopali si cercò di definire le regole disciplinari del clero secondo le regole già stabilite in epoca carolingia: tornarono quindi all’opera i canonici, ossia tutti quei chierici che prestavano servizio presso la cattedrale: si iniziarono a diffondere così le prime canoniche, ossia quegli edifici in cui i chierici potevano vivere una vita in comune, caratterizzata da penitenza, rinunce e povertà nell’adempimento dei loro doveri che generalmente non andavano oltre i classici compiti pastorali: celebrare messe, predicare e intessere la rete di relazioni con la popolazione urbana. Questo risveglio della religione coinvolse anche i monasteri che nell’XI e XII secolo si rinnovarono con la nascita di nuovi ordini molto importanti: i cistercensi e i certosini. I cistercensi presero il nome dal luogo in cui fu fondato il loro primo monastero, Citeaux; il loro abate, Roberto, predicava un ascetismo basato sul ritorno alle origini, cioè da preghiere e duro lavoro come penitenza e disciplina dell’anima. L’esperimento fu appoggiato dal vescovo di Lione, Ugo di Die¸ e addirittura papa Pasquale II guardò con attenzione questa nuova realtà, mettendola sotto la sua ala protettrice. Il 1108 fu un anno cruciale con la nomina ad abate di Stefano Harding che diede molta stabilità con la stesura della Carta di carità, una nuova regola dell’ordine che fu approvata da papa Callisto II. La fama e l’importanza dei cistercensi fu tale che nel 1150 si decise che una volta all’anno a Citeaux si dovesse tenere un capitolo generale che prendesse decisioni relative agli affari monastici valide per tutti i monasteri che nel 1153 erano già 343; questa esperienza fu determinante anche in campo politico dato che alcuni abati divennero figure di riferimento per tutto il mondo cristiano: è il caso di Bernardo di Chiaravalle che fu molto attivo in tutti i campi, dalla polemica con Cluny e i vecchi ordini monastici fino alla promozione di ordini militari cavallereschi come i Templari. L’attività politica di Bernardo tendeva ad affermare una chiesa combattente che difendesse una fede senza compromessi. Nel 1084 si sviluppò anche un’altra corrente monastica, detta dei Certosini, che cercavano un isolamento dal mondo: al suo interno il monastero era formato da molte celle isolate che affacciavano su un giardino chiuso molto piccolo. Caratteristica dei certosini fu quella di assumere una posizione che fondesse l’eremitismo dei STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO 51 padri del V secolo e il cenobitismo comune: per la maggior parte del tempo il monaco era chiuso nella sua cella dove pregava e consumava i suoi pasti in solitudine; non erano previste attività manuali né contatti con l’esterno, comprese le preghiere a favore dei laici che non erano permesse perché il monaco doveva pensare solo ad elevare la propria anima. Lo stesso distacco era previsto anche relativamente alla cose materiali: tutto doveva essere limitato nel numero, a partire dal numero stesso dei monaci, non più di 12, quello degli animali presenti nel monastero e il numero di oggetti posseduti da ogni singolo abate. Anche per i certosini si pose il problema di regolare il loro stile di vita: nel 1127 Guigo I mise insieme una serie di regolamenti di vecchi ordini monastici riadattati alle nuove esigenze dando alla raccolta il nome di Consuetudini: anche i certosini si affidarono al capitolo generale per definire le regole di vita da seguire. L’inserimento di questo nuovo ordine non fu facile e caratterizzato da numerosi scontri violenti a causa della loro esigenza di zone desertiche e la loro particolare interpretazione di questo concetto: con Deserto i certosini indicavano uno spazio ideale delimitato da confini concreti entro i quali capitavano spesso proprietà di altri; nessuno poteva più accedere oltre questi limiti dato che i monaci pretendevano l’isolamento, sostenuti nelle loro pretese assurde dai vescovi di riferimento. L’inquadramento religioso dei laici Nell’inquadramento giuridico della Chiesa dell’XI secolo, i laici avevano un ruolo estremamente marginale: consci della debolezza della carne, dovevano necessariamente sottomettersi al Clero per sperare nella salvezza. Sacramenti È Laico chiunque non sia stato consacrato a Dio, quindi tutti quei fedeli non insigniti del sacerdozio; dovevano ascoltare la parola di Dio tramite i chierici, ma non potevano cercare da soli le risposte che, non essendo illuminati, non potevano trovare in nessun modo. Questa separazione tra due mondi così lontani è ben descritta nel Decreto di Graziano: viene qui ribadita la differenza tra la natura regale dei chierici, liberi dai legami mondani, e quella popolare dei laici; nessun chierico poteva quindi essere accusato di alcunché da un laico dato che solo un altro chierico, di rango uguale o superiore, poteva testimoniare contro di loro. La rivalutazione del ruolo sacerdotale, inevitabilmente, finì col rivalutare anche l’importanza dei sacramenti, giacché solo questi potevano impartirli dato che erano l’unico modo per inquadrare la vita del laico in un’aurea di sacralità. Il Battesimo è il rito di entrata del fedele nella vita cristiana, mentre l’Eucarestia divenne presto il nucleo centrale della messa: solo attraverso il miracolo eucaristico il pane ed il vino si trasformavano nel vero corpo e sangue di Cristo, e solo questo miracolo ha il potere di rinnovare la grazia nel fedele, permettendogli così di continuare il suo personale percorso nella Fede. Verso la metà del XII secolo divenne molto importante anche la Confessione, necessaria perché per intraprendere un percorso di penitenza era necessario che il fedele riconoscesse il peccato e fosse disposto a confessarlo al prete, dimostrando così reale rammarico. Il Matrimonio permise al clero di stringere ulteriormente il controllo sulla vita sociale e privata dei fedeli, i loro rapporti sessuali che comunque continuarono ad essere considerato un peccato se non finalizzati alla procreazione e soprattutto le strategie di alleanza tra i signori, che comunque non potevano in nessun modo contrastare il libero consenso degli sposi. L’ultimo Sacramento, l’Estrema unzione, garantiva l’ingresso nel mondo ultraterreno, rivelandosi in realtà una potentissima arma di controllo e tenuta della società perché, aprendo un canale di comunicazione tra vivi e morti, portò all’invenzione del Purgatorio con le relative offerte fatte al clero affinché pregassero per i defunti in modo da velocizzarne l’ingresso in Paradiso. Sacramenti Battesimo Eucarestia Confessione Matrimonio Estrema unzione STORIA MEDIEVALE LA GUERRA, LA CHIESA, LA CAVALLERIA 54 dopo aver colpito solo piccole tribù ebree; fu seguita subito da una seconda, militarmente molto più organizzata, guidata da soldati normanni e francesi che riuscì facilmente ad arrivare fino a Gerusalemme. Questa seconda spedizione era composta da 4 armate differenti che si mossero in totale autonomia: → Lorenesi: guidati da Goffredo da Buglione → Francia meridionale: guidati dal Conte di Tolosa → Fedeli del duca Roberto di Normandia → Puglia: Contingenti dei Normanni d’Italia del Sud guidati da Boemondo da Taranto Loro compito primario era la liberazione dell’accesso alle vie di pellegrinaggio, solo in seguito la presa di Gerusalemme. I 4 eserciti si incontrarono a Costantinopoli, e da lì, spinti dall’Imperatore di Bisanzio, si unirono per proseguire verso Gerusalemme riuscendo nel tragitto a prendere molto facilmente Nicea (1097) ed Antiochia (1098); dato che non tutti erano intenzionati ad arrivare fino alla capitale della Palestina, qui gli eserciti si divisero e alcuni Lorenesi seguirono Baldovino, fratello di Goffredo, liberarono Edessa dove organizzarono una dominazione stabile. Giunti alle porte di Gerusalemme, gli eserciti rimasti organizzarono un assedio durato 5 settimane, e il 15 luglio 1099 riuscirono ad entrare in città: il 25 dicembre dello stesso anno Baldovino si fece incoronare Re e tutte le città liberate si organizzarono in principati autonomi, completamente slegati dai regni europei, che richiesero una presenza stabile degli eserciti cristiani che durò almeno due secoli. Il declino delle conquiste iniziò in realtà pochi decenni dopo la presa di Gerusalemme, tanto che nel 1144 Edessa cadde e re Luigi VII di Francia organizzò una Seconda Crociata col concorso dell’Imperatore Corrado III che però non aveva uno scopo ben definito, e quindi finì con una veloce disfatta europea. La disfatta totale, però, ci fu in occasione della Terza Crociata con la sconfitta subita dagli europei ad Hattin nel 1187 per mano del feroce Saladino, visir sunnita che dominava un vasto territorio tra Siria ed Egitto, che in seguito a questa vittoria poté riprendere Gerusalemme e tutti gli stati cristiani nati sulle coste palestinesi. La sconfitta portò ad una nuova spedizione che però ebbe esiti disastrosi, costando anche la vita all’Imperatore Federico I Barbarossa che annegò nel tentativo di guadare un fiume. L’apertura alla guerra santa da parte della chiesa permise la costituzione di nuovi ordini monastici, di natura prettamente militare, il cui scopo era quello di difendere i pellegrini in viaggio verso Gerusalemme: i primi furono i Cavalieri dell’ordine Ospedaliero di San Giovanni che furono riconosciuti dal papa nel 1112, seguirono presto i Cavalieri Templari che nacquero direttamente in Terrasanta nel 1119. La natura dei templari era decisamente più militare, ed inizialmente solo 8 cavalieri giurarono di fronte al patriarca di Gerusalemme di difendere i pellegrini, rispettare i voti di povertà, castità ed obbedienza pur continuando l’arte della guerra: l’ordine ebbe subito uno straordinario successo, tanto che in pochi anni crebbero centinaia di case dei templari in tutte le città europee che fecero di quest’ordine consiglieri e banchieri privati di molti re europei. Proprio questa fama e ricchezza fu la causa della loro caduta, causata dal re di Francia Filippo il bello. La forza militare ora era a tutti gli effetti diventata un elemento di stabilizzazione e di difesa della fede: la Chiesa diede all’attività bellica la dignità di forma di penitenza e salvezza per i laici, sacralizzando una guerra condotta sotto il segno della Croce. STORIA MEDIEVALE LA GUERRA, LA CHIESA, LA CAVALLERIA 55 Da guerrieri a cavalieri: la disciplina del ceto militare Nel corso del XI secolo la fluidità delle clientele armate rivelò la necessità di regolamentare una disciplina delle fedeltà e delle attività belliche; per raggiungere questo scopo si percorsero due vie principali: → Inserire i membri della milizia in un rapporto di fedeltà gerarchico → Imporre un modello di comportamento basato sull’etica del cavaliere L’idea di fedeltà al signore, giurata in fase di investitura, era sempre più spesso messa in secondo piano rispetto al desiderio di affermazione personale dei cavalieri, per questo motivo il servizio diventava sempre più subordinato all’importanza del feudo ricevuto. A complicare le cose c’era il fatto che sempre più spesso la fedeltà era concessa a più signori contemporaneamente, spesso regolate da accordi di Riserva di fedeltà, ossia eccezioni ben definite secondo cui il vassallo non avrebbe combattuto contro signori con cui aveva legami precedenti. Cambiò anche la natura stessa dei benefici materiali: nonostante l’atto di investitura fosse un vero e proprio atto di sottomissione, i benefici ricevuti erano considerati beni propri che potevano essere trasmessi in eredità ai figli: questo cambio di visione finì con l’aprire a rapporti di sub – vassallaggio, l’alienazione o addirittura la vendita del beneficio ricevuto fecero sì che il signore perdesse ogni forma di controllo sulla scelta del nuovo concessionario e quindi sulla garanzia di ricevere il servizio per cui il beneficio era stato inizialmente concesso. Il legame tra servizio e beneficio era ormai completamente scisso, tanto che in alcuni contratti del XII secolo non si fa più nemmeno menzione del Servitium dato che il feudo era ormai diventato un puro atto di benevolenza del signore che dava nelle mani del vassallo la disponibilità materiale del bene: la cultura giuridica del tempo poteva ormai solo prendere atto della situazione. Per contrastare questa tendenza in un primo momento vennero utilizzati gli strumenti messi a disposizione dal diritto feudale, si sperimentarono quindi delle Commise, ossia il sequestro del feudo in caso di disobbedienza. Questa soluzione però creava moltissimi scontri armati, quindi ricorreva a questo espediente solo chi aveva la certezza di avere un esercito tale da poter facilmente piegare il vassallo. Molto più diffuso fu invece il ricorso al feudo ligio, ossia una fedeltà privilegiata che si doveva ad un signore soltanto. Questo fu un evidente tentativo di gerarchizzare i rapporti di fedeltà che in alcuni casi funzionò molto bene: alla base dei rapporti c’era sempre una natura contrattuale. L’ideale cavalleresco e la socialità di corte Anche l’aristocrazia laica era convinta che l’attività bellica andasse regolamentata, per veicolare l’etica dei guerrieri prese piede un nuovo filone legato alla letteratura cavalleresca. I romanzi di questo genere ebbero un enorme successo e mostravano un’immagine molto idealizzata di quello che doveva essere il cavaliere perfetto: sceglieva sempre i nemici più forti, generalmente prepotenti, eretici e persecutori dei più deboli e li andava a cercare in un percorso che doveva essere formativo e propedeutico nella costruzione della propria identità. Lo status di cavaliere aveva dei riti d’ingresso ben precisi, legati ad un codice comportamentale che andò via via sempre più regolamentato; a tal proposito era molto importante il rito di addobbamento in cui il signore consegnava le armi dopo che il cavaliere aveva prestato giuramento e si era preparato alla notte di veglia in chiesa: era il momento in cui il giovane cadetto diventava un vero uomo. Pur essendo una figura molto romanzata, la realtà dei fatti preparava un nuovo soldato a nuovi obblighi reali in un contesto di alleanze estremamente mobili. Era quindi un vero e proprio rituale giuridico e sociale che innescava una serie di eventi a catena: ricevere le armi significava legittimare lo status di erede del cavaliere, il che scatenava ovviamente l’invidia e la relativa reazione negativa di tutti gli altri parenti che si trovavano estromessi dai beni del signore, preparando il campo per lunghe guerre di successione. Per questo motivo al rito di addobbamento partecipavano sempre tutti i principi locali e il loro seguito di nobili alleati: la parata di investimento era la festa in cui un nuovo alleato STORIA MEDIEVALE LA GUERRA, LA CHIESA, LA CAVALLERIA 56 andava ad arricchire le fila militare del principe, il quale sfruttava l’evento per mostrare a tutti la propria forza e presentare il nuovo alleato. L’addobbamento era solo il primo passo, cui seguiva la dimostrazione del valore e della forza personale nei numerosi tornei. Per quanto si cercasse di moralizzare l’attività bellica, le guerre medievali in realtà non avevano assolutamente nulla di eroico dato che generalmente si basavano su assedi più o meno lunghi dei castelli e attività di saccheggio di tutte le zone ad esso circostanti, in pratica l’esatto contrario rispetto alla definizione di difesa dei deboli. Le grandi battaglie erano estremamente pericolose, ma era sempre più frequente l’usanza di risparmiare quel nemico che si era dimostrato valoroso sul campo, generalmente per chiedere un riscatto in seguito. Gli scontri aperti erano comunque molto limitati, e sempre sottoposti a regole condivise dalle parti, per questo motivo finirono col limitarsi sempre più ad una semplice rappresentazione da effettuare in occasioni pubbliche: i tornei che si diffusero molto velocemente ed ebbero un successo straordinario perché si prestava perfettamente a diverse funzioni: → Simbolico: permetteva ai cavalieri di mostrare il proprio valore personale → Sociale: unico vero punto d’incontro tra cavalieri di rango differente → Politico: l’organizzatore aveva modo di mostrare a tutti le proprie capacità di coordinare le forze militari sul proprio territorio Secondo molti, quindi, l’affermazione della cavalleria rappresenta l’affermazione di un nuovo ceto sociale composto da guerrieri, per lo più di umili origini, che sono riusciti ad affermarsi anche se al suo interno racchiudeva gruppi sociali molto variegati tra loro. Questo nuovo ceto era comunque senza dubbio molto numeroso e, dato che era composto da gente che comunque apparteneva alla stessa professione, poteva permettere a chiunque di accedere almeno alla bassa aristocrazia, senza però mai cancellare le differenze di ricchezza o di prestigio sociale, anche se è da escludere nel modo più assoluto che l’addobbamento garantisse l’ingresso automatico nella nobiltà. Grandi aristocratici Vassalli minori, scudieri STORIA MEDIEVALE IL DOMINIO SIGNORILE 59 interessi in ogni villaggio: queste due forme diverse di potere coesistevano tranquillamente, portando a forme di convivenza che non potevano seguire una regola predefinita dato che erano influenzate dalle realtà mutevoli dei singoli villaggi. In questo contesto, quindi, le tasse erano distribuite tra i signori in modo proporzionale. Tutti questi poteri, poi, erano parte integrante dei singoli patrimoni signorili, e come tali erano inquadrati nell’asse ereditario: nasce così una vera e propria compravendita di diritti giurisdizionali come l’accesso ad una determinata imposta, facendo così in modo che ogni contadino era costretto a pagare diverse imposte a diversi signori. Chiese potenti e chiese private Chiese e dinastie sono stati il principale riferimento politico di tutto il medioevo, anche se con importanti differenze. Occorre ricordare, innanzitutto, che le chiese furono punti di immensi addensamenti fondiari dato che i laici donavano loro i loro possedimenti terrieri in cambio di preghiere dei monaci; a queste si aggiungano anche le donazioni che le grandi famiglie effettuavano ogni volta che un loro parente entrava in un monastero. Questi patrimoni divennero enormi in brevissimo tempo dato che non andavano incontro a divisioni successorie e il clero non aveva il diritto di vendere i propri beni. Oltre alle ricchezze, le chiese vantavano anche il diritto all’Immunità fin dai tempi del dominio carolingio: questa non portava una vera e propria fonte di potere, ma rappresentava un’importantissima esenzione fiscale che oltretutto trasmetteva perfettamente il messaggio secondo cui i terreni ecclesiastici avevano una precisa collocazione politica entro cui nessun laico poteva intervenire. Riguardo il rapporto con i sudditi, invece, tra chiesa e dinastia non ci sono particolari differenze degne di nota dato che in entrambi i casi si basava sulla minaccia e sulla violenza. Oltre ad essere assoluti protagoniste dello sviluppo delle signorie quindi, le chiese ne divennero in breve anche strumento grazie alla nascita di chiese private fondate e controllate dai signori; in tutti i villaggi erano presenti delle pievi, ossia diramazioni delle diocesi volute dai vescovi, fornite di fonte battesimale in modo da poter intercettare subito i neonati per farli entrare nella comunità cristiana. Accanto alle pievi, però, erano presenti moltissime cappelle e chiese minori nate grazie all’iniziativa dei signori locali e da questi controllate, in cui si svolgevano i riti quotidiani. Costruire una chiesa era, per i signori, il modo più semplice per impadronirsi di un centro simbolico della società: chi costruiva il castello doveva fornire la sussistenza della popolazione, la loro sicurezza e il loro accesso al sacro. Molto diverso, invece, è il discorso relativo ai monasteri privati dato che le funzioni stesse dei monaci erano differenti da quelle dei chierici: per un laico, la creazione di un monastero privato significava solo il garantirsi una preghiera costante effettuata da professionisti della materia. Il monastero privato, inoltre, aveva anche un’importante funzione di riserva patrimoniale giacché i signori potevano affidare importanti quote delle proprie ricchezze, sapendo che non sarebbero andate perdute in virtù delle restrizioni elencate precedentemente; questa strada non ebbe però largo successo perché già nell’XI secolo i monasteri iniziarono a svincolarsi dai signori che così perdevano gran parte del proprio patrimonio. Un significato importante lo si trova nelle motivazioni simboliche: l’aiuto spirituale garantito dalla preghiera dei monaci era riservato solo al signore e a tutta la sua famiglia, e proprio grazie all’atto di fondazione dell’edificio le dinastie avevano modo di definire con precisione quali fossero i membri di questa: fondare un monastero significava circoscrivere un perimetro entro cui erano definiti i legami familiari: entrando nell’asse ereditario, i giovani eredi avevano sempre la possibilità di ricostruire con precisione la propria ascendeza. Garanzie date dal castellano Sostentamento - concessione delle terre Sicurezza - fortificazione del villaggio Accesso al Sacro - costruzione di chiese minori STORIA MEDIEVALE IL DOMINIO SIGNORILE 60 Produzione e prelievo in un’età di sviluppo Nel corso dell’XI secolo, tutti i contadini diventarono sudditi, ne consegue che anche i signori trasformarono il loro status da proprietari terrieri a gestori di un potere pubblico che di fatto svolgeva tutte quelle mansioni che un tempo spettavano ai funzionari del re. Nasce quindi un attento controllo della popolazione strettamente legato all’oneroso impianto di prelievo fiscale, generalmente garantito dall’uso delle forze armate. Questa pressione era certamente frutto di una politica volta all’accumulo, ma in parte era anche dovuta alle grosse spese cui andava incontro il castellano per mantenere le fortificazioni, la cavalleria, le armi e lo stile di vita sfarzoso che includeva anche i frequenti doni fatti ai vassalli, necessari per il consolidamento del proprio potere. La pressione fiscale trasse vantaggio anche dal notevole aumento demografico che coinvolse tutte le città europee dall’XI al XIII secolo, dovuto in parte agli importanti flussi migratori e in parte al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini che ora potevano permettersi più figli, e quindi più manodopera. Anche le condizioni di lavoro conobbero un netto miglioramento, a partire dall’innovazione tecnologica che migliorò notevolmente gli strumenti utilizzati dai contadini, come ad esempio l’aratro a versoio che permetteva di scavare solchi più profondi che garantivano al seme maggiore protezione durante i freddi mesi invernali; questo portò anche ad una nuova turnazione dei campi che ora potevano essere lasciati a maggese più frequentemente, aumentandone così i cicli vitali. Queste novità permisero uno sforzo agrario diverso, finalizzato ora ad uno scopo economico che permettesse di accumulare risorse vendendone le eccedenze; ciò fu possibile solo in parte dato che l’innovativo sistema economico era comunque inserito in un sistema di dominazione signorile: il signore fu certamente colui il quale permise questo grande balzo in avanti, ma fu anche il maggior beneficiario di queste innovazioni perché potè aumentare pesantemente il prelievo fiscale ai danni dei propri coloni. In questo modo aumentò significativamente il numero delle imposte sia pubbliche che private. Inquadramento delle popolazioni rurali e l’azione politica contadina La maggior parte delle popolazioni era composta da contadini, insieme che in realtà racchiude numerosi sfaccettature molto diversificate che si svilupparono tra i due estremi, tutte comprese nella categoria dei Rustici: → Braccianti: nullatenenti che vivevano solo del frutto del proprio lavoro → Medi proprietari terrieri: potevano vivere con quanto prodotto nei loro terreni, o potevano affittarli per denaro Lo strato più elevato della società contadina riuscì a farsi strada nella politica grazie all’adesione a sistemi di protezione clientelare generalmente facenti capo alla chiese o al signore locale. In questo modo all’interno della comunità contadina si andò a formare un gruppo che emerse per alcuni caratteri peculiari come la forza economica o la gestione di incarichi particolari per conto del signore, dando così vita ai primi Comuni rurali, unici perché in grado di darsi in autonomia una piccola struttura istituzionale, dimostrando così che il potere del signore non era affatto assoluto ma contrattato. Imposte pubbliche Fodro - mantenimento dell'esercito Albergatoria - sostentamento dei costi per l'alloggio del re Imposte signorili Taglia - contributo ai costi di difesa Focatico - gravava sui nucli familiari Teloneo - pedaggi Ripatico - utilizzo dei fiumi Boscagio - utilizzo dei boschi Acquatico - utilizzo dell'acqua STORIA MEDIEVALE IL DOMINIO SIGNORILE 61 Documenti scritti che testimoniano questa svolta sono le Franchigie, ossia atti in cui entrambe le parti (signori e contadini) mettevano per iscritto i relativi diritti e doveri: un esempio poteva essere un atto in cui un signore alleggeriva il carico fiscale sui contadini in cambio del loro impegno nella ricostruzione del castello. Questi contratti erano vincolati a garanzie e penali¸ da attuare nel caso in cui una delle due parte fosse venuta meno ai propri doveri, anche se ovviamente sono direttamente proporzionali all’importanza dei soggetti, ad esempio la penale a favore di un contadino poteva arrivare a poche lire, che superavano il centinaio nel caso in cui si parlasse di un signore. Questa disparità è comunque sempre convissuta con la reciprocità degli impegni presi: ogni atto partiva dalla reciprocità del bisogno concordato, come ad esempio la protezione, il castello era infatti un bisogno assoluto del signore, ma era anche ciò che i contadini volevano da lui. Molto importanti erano anche le clausole iniziali, ossia tutte le garanzie relative alla giustizia e al possesso delle terre: per i contadini era di vitale importanza avere la certezza di avere sempre a che fare con un potere signorile che fosse regolato e limitato. Per concludere è importante citare anche le concessioni dei beni comuni, anche se si tratta di un campo che ha conservato ad oggi pochissima documentazione scritta. STORIA MEDIEVALE LE CITTÀ NELL’EUROPA MEDIEVALE 64 Proprio questo sviluppo, però, porta con sé un inevitabile processo di differenziazione sociale; la popolazione urbana del XII e XIII secolo va incontro così ad una stratificazione che crea diversi gruppi di diverso tipo, troviamo così piccola nobiltà, mercanti, nuovi ricchi che ambiscono ad entrare nella cerchia del governo cittadino, artigiani e capi bottega e, infine, salariati che sottostanno alle pressioni dei padroni. Queste divisioni erano poi presenti anche all’interno dei ceti che guidavano il comune dato che l’alta aristocrazia gradualmente fu costretta ad ammettere nuove famiglie borghesi nelle posizioni di comando, in particolare quelle che erano riuscite ad aumentare i profitti delle proprie attività commerciali, e cioè che potevano garantire i migliori rapporti commerciali: non era importante la ricchezza, ma la capacità di moltiplicare i profitti. Le improvvise ricchezze modificarono velocemente le antiche gerarchie consolidate, furono quindi necessari nuovi strumenti di governo perché la semplice capacità di dialogare col signore no nera decisamente più sufficiente. Fu la nuova élite borghese quindi a farsi strada per tutto il XIII secolo, appropriandosi dei posti di comando e del controllo economico delle città: per anni gli unici edifici pubblici laici furono le Halles7, molto prima della creazione dei comuni. Il sistema cittadino non si poteva comunque definire rappresentativo perché c’era un vero e proprio ceto artigianale non riconosciuto che ne restava esclusa: il prestigio sociale poteva essere raggiunto solo dai maestri, possessori degli strumenti più evoluti e costosi; chiunque usasse le mani per lavorare, maneggiando così cose sporche (sangue o pelle), macchiava la persona e veniva considerato un infame, ossia una persona senza diritti e senza rappresentanza. 7 Sale di rappresentanza dei mercanti STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO 65 I regni e i sistemi politici europei tra XI e XIII secolo I limiti dei regni nei secoli XI e XII Tutti i regni che si sono formati dopo la caduta dell’Impero carolingio presentavano, all’inizio del XII secolo, alcune debolezze strutturali comuni che di fatto limitavano notevolmente il potere di azione dei re. Tutte le grandi dinastie si basavano ancora sul concetto di alleanza matrimoniale, per diventare re di un regno anche molto lontano, quindi, era sufficiente sposare l’erede di quel principato; questo schema però era estremamente debole, e rischiava di saltare al minimo cambiamento delle alleanze aristocratiche. Nonostante ciò questa dinamica è stata in grado di disegnare quadri territoriali estremamente mutevoli: basta pensare alla Francia e alle sue mutazioni nel momento in cui il ducato di Aquitania fu unito alla corona inglese dei Plantageneti, proprio in virtù del matrimonio di Enrico II. Dati questi presupposti, disegnare una mappa geografica dell’Europa del XII secolo è estremamente difficile, oltretutto i regni veri e propri si distinguevano con difficoltà dai principati vicini che erano spesso anche molto più grandi. Ne consegue che i grandi regni erano, in questo momento storico, solo delle grandi potenze regionali. A questa territorialità molto dinamica, poi, va aggiunta la difficoltà tecnica legata al coordinamento feudale di tutte le signorie: nel XII secolo infatti i re erano signori solo parziali rispetto ai propri vassalli che avevano, a loro volta, dei valvassori8 che in realtà non avevano nessun obbligo di fedeltà nei confronti del re: il vassallo di un vassallo del re, non è un vassallo del re. L’ultimo grande limite comune a tutti i regni europei era la totale assenza di un vero e proprio apparato burocratico, dato che i vari compiti erano sempre in mano all’aristocrazia alternando decisioni a lui favorevoli ad altre a lui contrarie in quanto dovevano riuscire a conciliare il servizio al re con le proprie aspirazioni di crescita, cosa che ovviamente non era sempre possibile. L’Inghilterra dalla conquista al Duecento Guglielmo il Conquistatore arrivò in Inghilterra dalla Normandia nel 1066 e ne conquistò il trono sconfiggendo re Harold I nella battaglia di Hastings. La conquista del regno britannico fu molto veloce, e portò immediatamente ad una completa sostituzione della nobiltà esistente con alleati normanni che poterono fondare il loro dominio su una realtà già esistente, conservando tutte le istituzioni pubbliche che trovarono. Una delle principali istituzioni che venne conservata fu l’identificazione del re come detentore della pace, Guglielmo ne aveva particolarmente bisogno proprio per poter riportare l’ordine dopo la repressione dei baroni inglesi; per questo motivo quindi si impegnò a mantenere i diritti delle chiese e a governare il nuovo popolo nel rispetto delle leggi. La realtà fu però molto più complicata dato che i baroni normanni pretesero, oltre alle terre ottenute, anche la possibilità di governarle in totale autonomia: questo andava in netto contrasto col disegno della corona che non poteva permettersi di perdere il controllo sul popolo. A differenza di 8 Vassallo del vassallo • 1066 - 1087 Guglielmo il Conquistatore • 1087 - 1100Guglielmo II • 1100 - 1135Enrico I • 1135 - 1144 • Interregno di sua madre Matilde nel 1141Stefano Blois • 1154 - 1189Enrico II • 1189 - 1199 Riccardo cuor di Leone • 1199 - 1216 Giovanni Senzaterra • 1216 - 1272Enrico III STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO 66 tutti i regni europei, quello inglese riuscì a sviluppare prima, e meglio, tutti gli strumenti necessari a garantire una solida esistenza al suo dominio. Essendo ancora il vassallo di Normandia, la prima decisione presa fu quella di nominare un suo rappresentate, detto giustiziere, che lo sostituisse nei frequenti periodi in cui il trono era vacante: fu una novità fondamentale perché permise al re di garantire sempre un’idea di regno unito, che fosse indipendente dalla sua. Assieme al giustiziere, poi, introdusse anche la figura degli sceriffi che sostituirono i conti europei. Questi funzionari erano incaricati di amministrare la giustizia e le finanze. La principale conseguenza di questa nuova spinta unitaria fu che tutti gli abitanti inglesi divennero sudditi, anche i baroni non facevano eccezioni, e le terre loro concesse erano vincolate ad obblighi di fedeltà militare. È in questo periodo che nasce il feudalesimo inglese, basato su una rigida gerarchia formulata in proporzione alle terre possedute da ogni gruppo, che però non poteva avere lo stesso significato attribuito sull’Europa continentale dato che qui era veramente difficile fare una distinzione tra le terre ottenute dal re e quelle di proprietà dei singoli. Per risolvere le problematiche burocratiche alimentate da questa situazione, si ricorse al Domesday book, un vero e proprio censimento di tutti gli uomini e le terre inglesi: organizzato partendo dalle contee fino ad arrivare ad un livello di dettaglio molto elevato come i manor, ossia l’unità base dei possedimenti contadini. Per ognuno di questi possedimenti doveva essere indicato l’elenco completo dei beni ad esso ricollegabili accompagnati da una stima del loro valore preso in tre momenti diversi: 1. Ai tempi di Edoardo 2. Quando fu confermato da Guglielmo 3. Ora Il secondo successore di Guglielmo, il figlio Enrico I, cercò con insistenza di ricostruire un solido rapporto con la popolazione contro l’arroganza dei baroni; per questo motivo promulgò una Carta delle libertà che prometteva un ritorno alle vecchie usanze inglesi a discapito delle ingiuste imposte dai baroni: con questo provvedimento Enrico si innalzò a difensore del Regno oppresso limitando il potere dei Baroni attraverso il controllo delle loro successioni ereditarie. Questo equilibrio, incredibilmente precario, era il quadro ereditato da suo nipote Stefano di Blois che dovette anche affrontare una guerra di successione con sua madre, Matilde, figlia di Enrico. Il regno di Enrico II fu incentrata sul tentativo di risolvere questo stato di violenza bloccando le guerre civili che logoravano il potere regio: iniziò così il periodo più importante dell’Inghilterra dell’XII secolo per due motivazioni principali: → Presero forma le istituzioni monarchiche inglesi → Il matrimonio con Eleonora di Aquitania unì l’Inghilterra, la Normandia e l’Aquitania in un unico regno Con Enrico la corte diventa il centro di controllo di tutti gli affari locali e quindi centro di raccordo tra la corona e la comunità attraverso due sistemi principali: → Fisso: incentrato sulla figura del Giustiziere che diventa un vero e proprio primo ministro, delegato dal re a rappresentarlo in sua assenza affiancato dalla curia del re, laici ed ecclesiastici che dovevano approvare formalmente le decisioni del re. Non meno importante era la figura dello Scacchiere, responsabile delle finanze con potere di controllo su tutti i funzionari, sceriffi compresi Re Baroni Arcivescovi Vescovi Abati Nobili Uomini liberi STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO 69 Gnella zona delle Fiandra, ma soprattutto gli permise di smettere di difendersi dai vicini dandogli così la libertà di attuare una politica più aggressiva che lo portò più volte a tentare di invadere, senza successo, l’Inghilterra. Approfittando poi della crociata albigese, invocata dal papa nel 1209 contro il Conte di Tolosa, Filippo poté aprirsi una strada verso sud. Le truppe francesi, guidate da Simone di Montfort, riuscirono a sostituire il Conte e Filippo tentò di prendere la città sia nel 1219 che nel 1221, sempre senza successo. Sostenere tutte queste guerre, anche se vittoriose, richiedeva la capacità di tenere insieme tutti i vassalli, spesso riottosi, e quindi la concessione di numerose agevolazioni clientelari: in sostanza Filippo doveva necessariamente essere in grado di accumulare e mobilitare moltissime risorse economiche. Le spese del regno erano occupate per l’80% dall’esercito, quindi Filippo dovette lavorare molto per aumentare le sue entrate che erano composte per il 20% da tasse sulla città che ormai iniziavano a diventare un capitolo molto importante. Come aiuto in questo compito venne istituita la figura del Balivo, un funzionario che aveva l’incarico di rappresentare il governo, la giustizia e il fisco in un’area limitata del territorio. Grazie alla continua rendicontazione del suo operato di appositi libri di entrate e uscite, e grazie alla sua area di intervento molto limitata, il re poteva contare ora su un flusso certo e costante di denaro. La vera novità è comunque nelle entrate straordinarie, ossia le tasse feudali che vennero istituite da Filippo: partendo dall’idea di Sugerio secondo cui il re non doveva rendere omaggio a nessun vassallo, convertì questo concetto in termini economici, e impose una vera e propria tassa di successione da pagare per la riassegnazione dei feudi dopo la morte del signore. I regni spagnoli La Spagna dell’XI secolo era divisa in molte contee poste quasi esclusivamente nella parte settentrionale della penisola iberica, dato che il grosso di questo territorio era occupato dal dominio musulmano. In questo periodo, quindi, il regno spagnolo di fatto è composto da diverse contee di dimensione regionale la cui storia è spesso molto intrecciata dato che si assorbiranno a vicenda e separeranno più volte per via dinastica o matrimoniale. La Castiglia, ad esempio, assorbì il León; Navarra ed Aragona furono unite fino al 1134 per poi avere due sovrani diversi; Barcellona annesse al suo regno l’Aragona quando il duca Raimondo Berengario IV sposò la figlia di Ramiro II d’Aragona. Il mondo cristiano e quello musulmano non erano poi così nettamente separati come ci si aspetterebbe: erano molto frequenti scambi commerciali e soprattutto culturali, protezioni reciproche e alleanze, in particolar modo tra i regni di Castiglia, di Aragona e le città di frontiera; tuttavia la guerra all’infedele iniziava a diventare un motivo ricorrente nell’agenda politica dei re spagnoli, in particolar modo dopo che questi ricevettero l’appoggio del papa nel 1063 e nel 1085, vere e proprie pre – crociate che coinvolsero in particolar modo il re di Castiglia e quello di Aragona – Navarra. La guerra contro l’emirato degli Almoravidi la cominciò Alfonso VI di Castiglia che, dopo aver facilmente liberato Toledo nel 1085, riuscì a conquistare le Baleari e di Saragozza nel 1118, ma queste vittorie furono effimere perché gli Almoravidi ripresero subito le posizioni perdute; solo nei decenni successivi si mosse qualcosa di più concreto, anche se si può parlare più di semplici razzie che di spedizioni vere e proprie, come nel caso della cavalcata verso Cadice di Alfonso VII del 1133. Una grossa opportunità per i cristiani fu portata dalla crisi interna dell’emirato Almoravide, la loro rigidità sia religiosa che fiscale rese il governo nemico della popolazione, portando così ad una rivoluzione, guidata dagli Almohadi, che nacque in Marocco e in pochi decenni arrivò ad espandersi in tutta l’Andalusia: nel 1147 ormai Contee spagnole XI secolo Barcellona Navarra Aragona León Castiglia STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO 70 tutti i possedimenti arabi in Spagna erano sotto gli Almohadi che fecero di Siviglia la nuova capitale e arrestando così il processo di Reconquista. Nel 1211 papa Innocenzo III proclamò una vera e propria crociata contro l’infedele musulmano, così già dal 1212 lo scardinamento del regno arabo andò molto velocemente, portando i possedimenti del re di Castiglia in tutta l’Estremadura e in tutta l’Andalusia. Ne seguì un rapido processo di ripopolamento delle zone riconquistate, ma in realtà la creazione di nuovi villaggi cristiani, generalmente in zone di frontiera, era cominciata già nell’XI secolo, inquadrano così tutta la Reconquista in un mix di colonizzazione agraria e militare che trasformava così tutti i semplici abitanti in veri e propri contadini – soldati. È poi evidente che se nel settentrione della Spagna la componente cristiana era pressoché esclusiva, man mano che ci si sposta nelle zone liberate è sempre più facile trovare un mix di fedi religiose: le comunità erano composte da cristiani, musulmani ed ebrei. Questa particolarità portò presto dei problemi di natura etnica, infatti quando la presenza cristiana divenne più radicata, si cominciarono ad emarginare tutti gli ex infedeli musulmani che vennero presto ghettizzati in quartieri isolati delle città. I re vincitori definirono la divisione dei nuovi territori e le relative concessioni in totale libertà, garantendo così alle città spagnole un’autonomia protetta molto più efficace di quella garantita in Francia e quindi una consequenziale crescita molto più armonica. Questo condizionò inevitabilmente la struttura politica di tutto il regno dato che i re si trovarono di fronte gruppi sociali con una precisa identità ed organizzazione politica. La Germania e l’Impero Apparentemente la Germania dell’XI secolo ha un quadro politico molto più stabile di tutti gli altri regni europei: era divisa in quattro ducati tradizionali ben stretti nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche. Esistevano anche delle importanti Marche nelle zone di Frontiera (Austria e Brandeburgo per citarne un paio), ma i processi di espansione più importanti furono sempre guidate da questi quattro ducati. I dati demografici mostrano un’impressionante crescita del numero degli abitanti che alimentò una massiccia fase di migrazione verso Est, nonostante l’istituzione imperiale non fosse sempre presente. Tradizionalmente l’Imperatore veniva eletto dai reggenti dei ducati più importanti e trovava la base del proprio potere nel ducato di Franconia, che, per quanto importante, non era certo sufficiente a sbaragliare la concorrenza degli altri ducati. Da questa premessa nasce il maggior problema imperiale dell’XI secolo: la resistenza verso gli attacchi dei vassalli germanici ed italiani. Corrado II cercò di accentrare il potere nelle mani dell’Impero, riservando all’Imperatore l’ultimo giudizio nel caso di conflitti. Sotto Enrico IV il duro scontro col papato di Gregorio VII mise a dura prova la tenuta imperiale e soprattutto divenne chiaro a tutti i grandi ducati che il principio dinastico poteva essere messo in discussione: infatti i successori di Enrico V, Lotario III e Corrado III appartenevano a due famiglie differenti. Ducati della Germania Franconia Sassonia Baviera Svevia Enrico VI 1191 - 1197 Federico I 1155 - 1190 Corrado III 1138 - 1152 Lotario III 1133 - 1137 Enrico V 1111 - 1125 Enrico IV 1084 - 1105 STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO 71 Come in tutti gli altri casi, l’enorme potere dei grandi ducati proveniva interamente dal valore e dall’estensione dei territori di loro proprietà: rispetto al vassallaggio, questo particolare li rendeva indipendenti dall’Imperatore e questo particolare, unito alla successione dinastica del possesso, portò ben presto ad una frammentazione tale che permetteva ai potenti locali di evitare di rispondere al re in caso di conflitto. In questo contesto iniziò il dominio di Federico I Barbarossa che, come il re francese Luigi VII prima di lui, fece propria la figura di pacificatore del regno imponendo una pace generale in tutto il regno nel 1158. Forte del diritto feudale, Federico confiscò tutti i territori assegnati ai principi ribelli: era il periodo delle lotte interne tra i Welfen ed i Weiblingen9 che provocò uno stato di guerra generale all’interno dell’Impero che favorì il passaggio dei ducati da una famiglia all’altra. Per riportare l’ordine, Federico divise in più parti ogni ducato che riusciva a conquistare, frammentandone così la forza: accadde in Baviera tolta a Enrico il Leone nel 1180 e alla Sassonia che fu divisa in due ducati più piccoli: alla fine del suo regno i principi laici erano orami più di 20 e se ne contavano altrettanti ecclesiastici. Da un punto di vista legislativo, convocò la Dieta di Roncaglia nel 1158 in cui stabilì che ogni potere pubblico poteva esistere solo se concesso dal re attraverso un’investitura formale: questo consentiva all’Imperatore di pretendere la restituzione di tutti i poteri detenuti da mani private che sarebbero poi stati redistribuiti solo dietro esplicito riconoscimento di un’entità pubblica, non privata. Contestualmente, poi, vietò espressamente la possibilità di vendere i feudi, dividerli e di giurare fedeltà a più signori contemporaneamente, inasprendo sensibilmente le pene nei confronti dei vassalli infedeli. Questi provvedimenti in realtà erano diretti in particolar modo ai possedimenti italiani dove l’opposizione di alcune città lombarde aveva provocato un duro scontro con l’Impero. Le guerre italiane che ne derivarono durarono oltre 30 anni, e misero a dura prova la tenuta imperiale dato che Federico era costretto a chiedere l’aiuto delle grandi famiglie tedesche per sostenere le spedizioni. Tuttavia, la struttura resse e i principi tedeschi confermarono la fedeltà al re nonostante la non – vittoria sancita dalla pace di Costanza del 1183, anche se si trattava più di una fedeltà riconosciuta alla persona, non alla corona. Infatti, i primi dissidi tornarono prepotentemente sotto il regno del figlio di Federico, Enrico VI, che cercò di imporre nuovamente un diritto di successione dinastica. Nonostante il rifiuto dei principi tedeschi, la posizione di Enrico si rafforzò quando prese in moglie, nel 1186, l’ultima erede dei re Normanni Costanza di Altavilla da cui ebbe l’erede Federico II di Svevia: nonostante l’elezione di Tancredi di Lecce nel 1190 a re di Sicilia, Enrico 9 Corrispettivo tedesco dei Guelfi e Ghibellini italiani STORIA MEDIEVALE NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTÀ E COMUNI 74 Nuove strutture politiche nell’Italia medievale: città e comuni Nascita del comune consolare: una rappresentanza autonoma delle forze cittadine Alla metà dell’XI secolo, le città italiane si presentavano come una collettività priva di un capo unico, vere e proprie comunità di cittadini che si autogovernavano senza un preciso ordine gerarchico. I Conti imposti dai carolingi durante il IX secolo erano da tempo chiusi dentro i propri castelli, completamente disinteressati a quanto accadeva in città; i vescovi, invece, erano di gran lunga le figure più influenti che guidavano i cittadini, assicuravano la pace sociale e la religione e deteneva tutti i diritti pubblici. Nonostante ciò, i vescovi italiani non presero mai il posto dei conti, contrariamente a quanto accadde in Francia ed in Germania. I vescovi rappresentavano l’unità politica e religiosa dei cittadini, ma erano allo stesso tempo importanti signori feudali che avevano propri interessi economici da tutelare inquadrando i vassalli in una rete clientelare che evitasse rivolte che avrebbero portato alla loro destituzione: in tutte le città andava quindi cercato un equilibrio tra questi due aspetti, costretti a cooperare nonostante gli evidenti conflitti sociali. Le famiglie militari legate al vescovo trovavano nel servizio feudale un metodo efficace per preservare i propri possedimenti e la stabilità della propria successione dinastica, per estendere i propri confini, quindi, erano costretti a procedere con usurpazioni sui possedimenti dei vescovi: i conflitti erano ovviamente continui e venivano mediati dalla curia episcopale. Tutti gli imperatori dell’XI secolo intervennero in difesa degli ecclesiastici, ma il governo delle città non poteva limitarsi a questo. Tutti i cittadini erano gli abitanti semplici delle città, quindi non coinvolti in ruoli militari, e venivano distinti su una scala in cui contavano le ricchezze e i mestieri svolti. La parte alta era costituita da: → Giudici: fondamentali per dare forma ai governi cittadini. → Avvocati. → Notai. → Grandi mercanti: ceto tecnico necessario al governo in cerca di un ruolo politico più attivo. La parte bassa, invece, c’erano tutti gli altri, privi di qualifiche particolari e soggetti al volere del vescovo e alle angherie dei nobili. Tutte queste figure trovavano il punto d’incontro nella persona del Vescovo dato che era lui a dirimere le liti imponendo giuramenti collettivi sul rispetto delle regole: chi rompeva la tregua imposta dal Vescovo era semplicemente bandito dalla città. Questo sistema, in un modo o nell’altro, funzionava e per tutto l’XI secolo il numero di abitanti delle città crebbe in modo costante: divennero così centri decisionali che regolavano l’intera vita dei cittadini e del contado circostante. Questo aumento spinse i vescovi e le élite urbane a trovare una nuova figura che gestisse effettivamente il governo centrale urbano: nasce la figura dei Consoli, formato da un numero variabile di elementi, in carica per un anno, che si riunivano nel palazzo del vescovo per deliberare scelte di governo che, almeno inizialmente, andavano inevitabilmente a favore delle alti classi da cui provenivano. Colpisce il carattere elettivo della carica: non erano nominati da un loro superiore, ma venivano scelti dall’assemblea cittadina, detta Concio, che conferiva loro i poteri di governo. Questo era il vero criterio e la vera novità alla base della libertà delle città italiane: l’autonomia di scelta dei propri governanti che prendevano decisioni legittimate dalla maggioranza di un’assemblea cittadina eletta dal STORIA MEDIEVALE NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTÀ E COMUNI 75 popolo stesso. Fra cittadini ed istituzioni esisteva quindi un legame diretto rafforzato da un giuramento reciproco fatto tra i consoli e i cittadini: le nuove istituzioni comunali iniziarono ad agire subito nell’interesse della collettività prendendo decisioni che valevano per tutti. Questo portò ad una maturazione in tutti i settori possibili, compreso quello lessicale che portò, alla fine del XII secolo, alla coniazione del nuovo termine Comune, che da aggettivo diventerà ora un sostantivo volto ad indicare ciò che è comune. Le funzioni di governo: giustizia, economia e controllo del territorio Tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII le città si trovarono di fronte a sfide importantissime: → Aumenti demografici: dai centri vicini arrivarono nuove persone di tutti i ceti sociali, dai semplici contadini alla piccola nobiltà. → Ampliamento delle zone abitate: nascono i primi sobborghi, zone abitate lontane dalla prima cinta muraria. → Inserimento sociale dei nuovi arrivati: andavano integrati sia civilmente che politicamente. → Necessità di ampliare gli spazi di partecipazione politica: andavano riformulate le istituzioni politiche per dare spazio a tutte le nuove realtà. Occasioni di scontro continue erano fornite da liti dovute alle motivazioni più disparate come il possesso della terra o conflitti di lavoro tra mercanti ed artigiani, generalmente la risoluzione era compito del consolato che non necessitava del ricorso alla violenza, ma fu presto evidente che questa soluzione non era più sufficiente: la tematica divenne così materia per la magistratura che fondò così i primi tribunali; con l’aiuto dei notai, poi, a questi si affiancarono le prime corti comunali in cui chiunque poteva chiedere giustizia dei torti subiti. La giustizia aveva anche altri compiti, consentiva infatti ai ceti più poveri di accedere ad un tribunale nel caso in cui si fossero trovati in contenzioso con signori molto più potenti e soprattutto rendeva pubbliche le discussioni, in modo che facessero da monito per evitare che altri casi analoghi sfociassero nella violenza, ma soprattutto era responsabile del mantenimento dell’istituzione comunale, problema politico ed economico. Il mantenimento del comune aveva un costo elevato, ed era necessario che tutti i cittadini pagassero le tasse senza che si sentissero sudditi di un potere dispotico: nacque così un sistema fiscale che diventava ordinario per il contado, a rappresentare simbolicamente la dipendenza di questi dalla città vicina, e sempre straordinarie per i cittadini. Essere cittadini era un privilegio quindi, che però portava con sé importanti doveri che si focalizzavano principalmente nella contribuzione volontaria al sostentamento delle casse comunali: la maggior parte delle entrate venivano reinvestite in opere di manutenzione ordinaria: strade, edifici e soprattutto le mura necessitavano di lavori costanti. Chi non pagava perdeva lo status di cittadino e tutti i privilegi ad esso legati. Il legame tra la città e le campagne circostanti fu uno dei maggiori successi dell’urbanizzazione, i comuni estesero il loro dominio su tutto il territorio diocesano, conseguenza naturale della superiorità della città sulla campagna. Ovviamente non ci fu mai una vera e propria conquista militare, ma si cercò di ottenere il controllo dei territori vicini perché era importante avere libero accesso ai tutti i centri strategici disseminati sul territorio in caso di scontro militare con le altre città ed era fondamentale alla sopravvivenza stessa del sistema avere la libertà di imporre tasse ai contadini. I signori collaborarono a questo sviluppo mettendo a disposizione delle città le proprie fortezze: spesso diventavano veri e propri cittadini, ovviamente di spicco rispetto alla comunità, ma con gli stessi diritti e doveri, altre volte invece donavano il proprio castello per riottenerlo subito indietro sotto forma di feudo. Al contrario, invece, vennero riconosciuti privilegi molto importanti a tutte quelle comunità contadine che si sottraevano al controllo dei castelli per entrare a far parte della comunità cittadina: in questi casi veniva garantita loro la libertà, e spesso, sotto falso nome, venivano trasferiti in altri luoghi detti villefranche in cui vivevano come cittadini ma con una forma di dipendenza dalla città quasi rurale. STORIA MEDIEVALE NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTÀ E COMUNI 76 I domini sui contadi erano quasi sempre virtuali, non esistevano confini veri e propri e quindi questi centri erano oggetto di contesa tra le città: ad esempio tutto il lato occidentale della campagna senese era contesa da Arezzo. L’Italia era quindi composto da un mosaico di città profondamente diverse tra loro. Repubbliche marinare Erano città molto importanti situate sul mare, inizialmente solo tre, Genova, Pisa e Venezia cui poi si aggiunse anche Amalfi. Genova e Pisa erano già orientate verso un modello consolare, mentre Venezia era fortemente ancorata a quello regale con un Doge al comando. Il dominio sul Mediterraneo occidentale era fortemente conteso tra Genova e Pisa che crearono velocemente colonie sulle coste nordafricane e nella Sicilia liberata da poco dal dominio arabo; il controllo di Corsica e Sardegna costò loro anni di lotte. Venezia era la più ricca delle tre e riuscì a costruire un vasto dominio su tutte le coste del Mediterraneo orientale, spingendosi fino a Creta e Cipro. Lombardia Milano era già la città più potente di tutta l’Italia settentrionale e molto presto si lanciò alla conquista dei piccoli centri vicini. In questo modo divenne presto il centro nevralgico del settentrione, incrocio di traffici commerciali tra l’Italia e l’Impero. Le città più a sud crescevano velocemente attorno la via Emilia, in particolar modo Bologna, sede della prima università italiana. Toscana Le città del territorio toscano erano in perenne lotta tra loro per il controllo delle campagne vicine: → Pisa → Firenze → Siena → Arezzo → Lucca Umbria e Marche Le città di questa zona erano decisamente più piccole e dipendevano da un’economia agraria Le città italiane alla prova della guerra: lo scontro con Federico Barbarossa L’importanza del periodo federiciano è principalmente nella continua lotta tra l’identità dei comuni e l’Impero, nato da una incomprensione reciproca, il conflitto girava attorno alla difficoltà di costruire un dialogo tra Federico Barbarossa e i comuni lombardi. L’Italia, seppur apparentemente unita, mostrava usi e costumi completamente diversi da quelli caratteristici dell’Impero, qualsiasi nobile tedesco, infatti, avrebbe giudicato assurdo il sistema italiano dato che tutte le città si sarebbero dovute sottomettere all’Impero, la cavalleria un mondo chiuso riservato ai nobili e gli artigiani un ceto inferiore senza diritti politici: infatti il primo contatto tra queste due realtà fu molto duro. Nel 1153 arrivarono a Costanza, in udienza presso Federico, due ambasciatori di Lodi vestiti di stracci i quali lamentarono il fatto che Milano avesse distrutto la città. L’imperatore accolse le proteste degli ambasciatori perché non poteva permettere che una città si arrogasse il diritto di distruggerne un’altra, giacché questa era una prerogativa esclusivamente imperiale. STORIA MEDIEVALE NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTÀ E COMUNI 79 Il governo delle corporazioni nel Duecento Dalla seconda metà del ‘200, le corporazioni delle Arti si candidarono al governo delle città, facendo molta leva sulla novità di un sistema incentrato sul commercio, sul lavoro artigianale, equità nelle imposte e pace sociale. Tra il 1270 e il 1280 riuscirono a prevalere in molti comuni, instaurando così nuovi governi guidati dal gruppo dirigente delle Arti che presero nomi diversi nelle varie città, ma che produssero esperienze molto simili tra loro. Giunti al governo, si formarono al loro interno immediatamente dei gruppi egemoni che diressero tutta la politica governativa della città, formando così il Dominio delle Arti maggiori che portò ad un’alleanza, non sempre omogenea, tra i grandi commercianti e i banchieri cittadini che avevano un interesse comune nel bloccare la crescita economica dei commercianti ed artigiani minori. A Bologna, ad esempio, i banchieri finanziavano direttamente il comune ma i veri protagonisti della politica cittadina erano i notai, dimostrandosi attenti esecutori di una politica che controllava ogni singolo aspetto della città, portando così ad una rapidissima razionalizzazione burocratica nell’istituzione comunale: ovunque furono create liste in cui vennero censiti innanzitutto i cittadini divisi per parrocchie, poi i contribuenti, suddivisi per tipologia d’imposta cui erano tenuti (l’antico Fodro o il più moderno Estimo). Fu un’impresa titanica molto lunga, ma permise di adottare un vero e proprio sistema di tassazione proporzionale basato sull’effettiva ricchezza dei singoli, il che appariva come rivoluzionario perché per la prima volta venivano intaccati i patrimoni più ricchi, come da sempre richiesto dal popolo. In base a queste liste che dividevano la popolazione in residenti e contribuenti, fu possibile effettuare delle seconde liste in cui venivano elencati gli appartenenti al consiglio, alle corporazioni e agli uffici comunali, dando così la possibilità agli addetti ai lavori di incrociare i dati, isolando in questo modo gruppi particolari di persone: chi non pagava le tasse, chi no nera iscritto all’estimo, chi non si presentava in consiglio, e così via… Questa rivoluzione fu avviata col fine di riuscire a controllare in tempo reale le reali condizioni di tutti i cittadini in modo veloce e facilmente aggiornabile: era tutto registrato in quei registri che, di fatto, servivano a monitorare l’affidabilità dei cittadini. In questo contesto, quindi, anche la politica repressiva del comune cambiò per adeguarsi a questi nuovi strumenti: ulteriori elenchi servivano ad individuare tutti gli appartenenti a fazioni nemiche note: la giustizia divenne quindi più dura perché tutti potevano recarsi in tribunale per difendersi, quindi i giudici erano investiti di poteri speciali che gli permisero di intervenire tempestivamente per punire con severità le infrazioni contro l’ordine pubblico; si intervenì anche contro le speculazioni economiche fissando un tetto agli affitti delle abitazioni. Tutte le articolazioni amministrative del contado furono oggetto di ristrutturazione. Dopo aver cercato di instaurare un rapporto di fedeltà coi contadini, le pretese delle città aumentarono negli ultimi anni del Duecento: i territori furono divisi in zone amministrative che furono a loro volta divise in zone più piccole affidate ad un ufficiale cittadino; i castelli furono controllati direttamente da contingenti militari, anche questi di estrazione urbana. La tassazione del contado fu aggravata da quote di grano che dovevano essere consegnate alla città, formando coì, assieme agli estimi, una quota fissa di tassazione che variava a seconda del villaggio sulla base del numero di abitanti, criterio ingiusto perché non teneva conto della mobilità della popolazione, quindi erano costretti a pagare la stessa cifra a prescindere dalla reale situazione. Nonostante questo inasprimento, i governi delle corporazioni ottennero sempre un consenso maggiore di quelli podestarili. Questo successo dipese in gran parte da una reale compartecipazione agli interessi collettivi che fu possibile solo grazie al complesso sistema di rappresentanze che mettevano in contatto le corporazioni con i membri delle associazioni di mestiere: grazie alle corporazioni i rappresentanti di queste singole società Le corporazioni delle Arti e i vari nomi in Italia • Bologna: gli Anziani • Firenze e Perugia: i Priori • Siena: i Nove STORIA MEDIEVALE NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTÀ E COMUNI 80 erano eletti nei piccoli consigli societari, e da qui, a loro volta, eleggevano i Priori o gli Anziani. Grazie a questo sistema i governi popolari erano più legali e più partecipati, ma non per questo più duraturi. Le lotte di fazione si erano diffuse durante la guerra con Federico I e, soprattutto, contro Federico II, proprio in questo periodo, infatti, le città si divisero in gruppi di Guelfi, alleati del papa, e Ghibellini che invece sostenevano l’Imperatore, ovviamente sempre per un tornaconto personale e, quasi, mai per reale senso di appartenenza alla Chiesa o all’Impero. In molte città queste fazioni divennero vere e proprie istituzioni che esprimevano propri consigli comunali e, soprattutto, propri podestà, aumentando così esponenzialmente i conflitti aggiungendo anche questioni di fazione alle normali tensioni di classe. Proprio per questo motivo le corporazioni, anche se esplicitamente appartenenti ad una delle due parti, si schierò sempre contro l’eccesso di violenza idealizzando la pace come tema politico della città. Non era un segno di debolezza, semmai un tentativo di sostenere un fragile equilibrio continuando sempre ad esprimere un governo di parte. In questo contesto di divisione, si affermò il concetto di bene comune come fine ultimo della politica che prendeva spunto dalla Politica di Aristotele: “…Sono giusti e legittimi solo i governi che perseguono il bene di tutti…”. Ovviamente solo la corporazione riuscì a presentarsi come forza politica in grado di garantire questo risultato perché era l’unica a proporre un sistema consiliare aperto che inseguiva giustizia, equità e soprattutto la pace. Purtroppo però la realtà dei fatti era diversa dall’idealismo e il bene comune poteva essere raggiunto solo attraverso mezzi coercitivi o repressivi nei confronti degli avversari: in moltissime città l’esperienza corporativa fallì miseramente, i conflitti aumentarono e fecero saltare le istituzioni, il potere passò quindi nelle mani di un solo signore proveniente da famiglie nobiliari, detto Dominus, che si impose sulle città. Vediamo così a Milano imporsi la famiglia dei della Torre, a Cremona i Pallavicino, in Emilia Carlo d’Angiò. STORIA MEDIEVALE IL PAPATO, GLI ORDINI MENDICANTI E LA CRISI DELLA CHIESA 81 Crisi e inquadramento delle società europee Il papato, gli ordini mendicanti e la crisi della Chiesa La Chiesa del papa: apogeo e crisi del papato Durante il Concilio lateranense IV vennero prese moltissime decisioni relative al governo della Chiesa. Già con Innocenzo III venne approvata l’inquisizione nei confronti dei chierici, con annessa la trascrizione dei processi, in modo che non potessero esserci dubbi riguardo lo svolgimento e gli esiti degli stessi, che furono anche razionalizzati con l’introduzione del divieto, per i chierici, di partecipare alle Ordalie10. I Sacramenti furono inseriti in un processo di salvezza generale: i fedeli dovevano confessarsi almeno una volta all’anno e ricevere l’Eucarestia a Pasqua, il matrimonio doveva essere celebrato in chiesa ed erano assolutamente vietate le cerimonie segrete. Il frequentare la chiesa, quindi, diventava ora segno di adesione esplicita ai precetti voluti dal papa, ogni rifiuto, posizione eretica o eterodosse era punita con la scomunica immediata. La maggior parte dei canoni approvati provenivano da carteggi redatti da Innocenzo III, i vescovi infatti si erano limitati ad approvare i suoi decreti senza mai intervenire nel merito dato che si trattava quasi esclusivamente di istituzioni che riguardavano lo Stato della Chiesa, quindi l’autorità papale non veniva messa in discussione. Questo sviluppo burocratico, in forme sempre più accentrate che riconosceva un potere decisionale esclusivo del papa influenzò molto la riflessione fatta attorno al potere detenuto dal pontefice: verso la metà del 200 le correnti di pensiero favorevoli a questa deriva autoritaria formalizzarono un concetto di podestà assoluta, facendo quindi una distinzione tra il potere ordinario, in accordo con le leggi, ed un potere assoluto che il papa poteva esercitare ogni qual volta avesse la necessità di esprimersi per il bene della Chiesa, arrivando ad affermare che il papa era infallibile, in quanto guidato da Cristo in persona. Da Innocenzo III in poi questo dogma dell’infallibilità viene letto in senso letterale: era Pietro ad essere infallibile, e questo potere era parte della sua eredità verso ogni singolo pontefice che era quindi dotato di poteri divini. Questa infallibilità era basata sulla sua capacità di sciogliere tutti i nodi delle questioni rimaste in sospeso in modo completamente arbitrario, era lui a definire cosa fosse legge e cosa no, quando qualcosa fosse necessario e quando no, sempre e solo in funzione del bene della Chiesa. Naturale conseguenza fu un notevole rafforzamento delle prerogative dei legati pontifici che divennero veri e propri rappresentanti dell’autorità papale per tutte le questioni interne della Chiesa, superando anche l’autorità dei vescovi, la cui elezione doveva necessariamente essere sotto l’attento controllo del papa. Per ottenere questo risultato, non era raro che i pontefici trasferissero i vescovi da una sede all’altra fino ad arrivare, nel 1265, alla decisione di Clemente IV di arrogarsi la prerogativa di decidere in autonomia a chi assegnare le sedi vacanti. Questo stato di fatto creò ovviamente forti tensioni tra la cattedra di Pietro e i vescovi che per reagire diedero vita ad una corrente politica detta conciliarismo che si riteneva superiore al papa, dividendo i giuristi del 1200: alcuni pensavano che il papa non avesse l’autorità di decretare cose al di fuori di quanto stabilito dai concili ecumenici, altri invece erano convinti del fatto che il concilio non potesse prendere alcuna decisione senza l’approvazione del pontefice. Nel Duecento si assiste ad un completo rinnovamento dei Diritto della Chiesa, e alla base di queste riforme ci sono ancora una volta le lettere decretali del papa, scritte generalmente in risposta a richieste di pareri su determinati processi. Queste lettere furono raccolte in cinque raccolte, dette Cinque compilazioni, che diventeranno il principale testo di riferimento per regolare la Chiesa. 10 Prove del fuoco o dell’acqua, utilizzate per verificare che le affermazioni dell’imputato fossero vere STORIA MEDIEVALE IL PAPATO, GLI ORDINI MENDICANTI E LA CRISI DELLA CHIESA 84 I mendicanti e l’inquadramento dei fedeli Sia i domenicani che i francescani ebbero un tale successo che li mise, in tutta Europa, in diretta concorrenza col clero ordinario intorno al monopolio della cura dell’anima: le nuove chiese francescane furono costrette a riprendere i disegni dell’architettura classica, ampie basiliche a tre navate, per riuscire a contenere tutti i fedeli che accorrevano. Questo successo enorme lo si deve alla capacità di presa che i nuovi frati avevano sulla realtà comune di ogni cittadino. In particolare, nella loro opera di semplificazione teologica, i predicatori francescani si scagliarono contro la ricerca di fama terrena, indicando la superbia come vera origine di gran parte dei mali: superbia è la pretesa di cambiare il proprio stato sociale a qualsiasi costo, senza curarsi dei comportamenti morali. Unico rimedio è la penitenza e l’umiltà di ammettere che il proprio destino dipende solo da Dio. Fine della predicazione, quindi, è avvicinare il fedele alla confessione: la penitenza è un passaggio fondamentale per la salvezza. Il peccato assume ora un valore molto soggettivo dato che chiunque poteva peccare in modo diverso a seconda delle circostanze, quindi l’analisi dei propri comportamenti diventa un processo che deve necessariamente essere accompagnato da un sacerdote perché non tutti possono affrontarlo da soli: i fedeli non sapevano di peccare, né erano in grado di valutare la gravità delle loro azioni. Compito del sacerdote non è più un ascolto passivo, ma un’esortazione verso i fedeli ad analizzare con attenzione la propria coscienza. I fedeli continuavano a chiedere nuove forme di partecipazione alla vita religiosa e già Innocenzo III aveva invitato i fedeli ad adottare uno stile di vita quanto più simile possibile a quello monastico: grazie a questo esempio ascetico e di fratellanza, la Chiesa approvò la formazione di confraternite, associazioni di laici che dovevano avere uno statuto che ne regolasse le attività (momenti di preghiera, digiuni) come i monasteri e che si dedicavano alla carità pubblica, all’assistenza ai malati o alla creazione di ospedali per i pellegrini. Questi movimenti furono messi sotto la supervisione degli ordini mendicanti, tanto che nel 1289 papa Niccolò IV fondò il nuovo terz’ordine francescano, direttamente collegato ai frati minori. Nel 1254, Innocenzo IV assegnò i frati minori e i predicatori all’ufficio dell’Inquisizione i quali accettarono per dovere di servizio, anche di fronte il duro inasprimento delle metodologie utilizzate dalla Chiesa nella lotta all’eresia. L’inquisitio ex officio era diventata infatti una pratica molto diversa da quella originaria, le garanzie processuali erano pressoché nulle, e nella stragrande maggioranza dei casi non era neanche chiaro il motivo dell’imputazione: non era accusato tanto il credo di qualche eterodossia, quanto la semplice frequentazione di gruppi considerati eretici che erano classificati secondo una scala ben precisa in ordine di gravità delle proprie colpe: → I Ribelli: rifiutavano una conversione → I Relapsi: tornavano al credo eretico dopo essersi pentiti → I Fautori: ostacolavano l’Inquisizione → I Sospetti: rifiutavano di giurare fedeltà alla Chiesa Caratteristiche predica francescana Linguaggio comprensibile dal popolo Semplificazione di grandi temi teologici Capacità di mantenere viva l'attenzione Province assegnate agli inquisitori francescani Marca di Treviso Marca di Ancona Romagna Toscana Province assegnate agli inquisitori Domenicani Emilia Lombardia Piemonte Liguria Classificazione degli eretici Ribelli Relapsi Fautori Sospetti STORIA MEDIEVALE IL PAPATO, GLI ORDINI MENDICANTI E LA CRISI DELLA CHIESA 85 In una società in cui tutti erano potenzialmente colpevoli, gli interrogatori erano strutturati in modo da capire con quali persone l’imputato avesse avuto rapporti, quindi accusare qualcuno era il metodo più semplice e veloce per sottrarsi a processi anche lunghissimi. Il primo e più famoso inquisitore del tempo, il domenicano Bernardo Gui, scrisse addirittura un manuale che aiutava i colleghi inquisitori ad organizzare al meglio gli interrogatori, suggerendo più volte di premiare i delatori con una grazia completa. Nacque così una procedura standard: quando gli inquisitori arrivavano in un villaggio nuovo definivano un periodo di grazia di 15/30 giorni durante il quale ascoltavano tutti i rei confessi, scaduto il quale si iniziava con gli interrogatori di tutti i sospettati. Non era raro che interi villaggi fossero messi sotto accusa dato che l’inquisizione venne usata da molti come strumento di vendetta e risoluzione per conflitti interni alle comunità. ogni sospetto eretico veniva prelevato ed interrogato singolarmente per semplificare l’operazione dato che in questo modo le difese dell’interrogato erano più basse, e l’inquisitore poteva tranquillamente utilizzare la tortura nei casi più difficili. Fine dell’inquisizione, ad ogni modo, non era lo sterminio dell’eretico, ma il suo recupero tramite abiura e conversione dato che, per fini propagandistici, il miracolo della conversione era sicuramente più efficace di una condanna: accogliendo le leggi volute da Federico II, Innocenzo IV promulgò nel 1252 l’enciclica Ad extirpanda in cui condannava con la morte tutti gli eretici impenitenti che venivano quindi consegnati alle autorità laiche per essere messe al rogo. La difesa della Fede aveva così creato un nuovo ambito di potere: la difesa dell’ordine sociale voluto da Dio. Questo inevitabilmente portò ad un feroce scontro con tutte le autorità civili. L’uso politico dell’eresia: re e pontefici alla ricerca del carisma La lotta all’eresia divenne quindi un’importantissima arma politica, e lo dimostrano i frequenti scontri tra pontefici e re. Fin dal 1220, ad esempio, Federico II aveva accettato di combattere l’eresia al fianco delle Chiesa, reprimendo duramente i patarini presenti in Sicilia e promulgando molte leggi che andavano contro ogni eresia. Oltre a ciò, Federico fece anche un sapiente uso politico di quest’accusa, bollando come eretici i ribelli del regno e dei comuni italiani ed avendo così il pretesto per trasformarla in un’accusa di lesa maestà. Nel momento in cui i rapporti con la chiesa si incrinarono, fu il papa a muovere contro di lui le stesse accuse, tanto che lo dichiarò eretico durante il concilio di Lione del 1245: la lotta tra papa e imperatore si trasformò in una vera e propria crociata che andò avanti anche contro gli eredi di Federico. Anche dopo la sua morte, infatti, in Italia rimasero moltissime famiglie fedeli all’Imperatore, tra questi il più influente era senza dubbio il capo ghibellino Ezzelino da Romano, erede di nobili veneti che aveva creato un dominio tirannico e violento tra Verona, Treviso e Padova. La ferocia del suo dominio non poteva che essere opera del diavolo in persona, quindi richiedeva necessariamente una guerra condotta nel nome di Dio. Pur trattandosi di evidente propaganda, in questi anni si crea un legame indissolubile tra atti di governo e religiosi (estirpare l’eresia per difendere i più deboli) e tra tirannia e demonio (l’Anticristo): la politica stessa stava cambiando dato che, grazia all’enorme sforzo ecclesiastico, l’eresia era diventata un vero e proprio reato politico, quindi la Chiesa non poteva più essere l’unica a combatterla. Proprio in questo senso si colloca l’operato del re di Francia Filippo IV, il Bello in almeno due occasioni: 1. Lo scontro con papa Bonifacio VIII 2. Lo sterminio dei cavalieri Templari Lo scontro con Bonifacio VIII si basava su due cardini principali della politica pontificia: 1. La difesa dell’immunità della Chiesa dalle imposizioni fiscali 2. La difesa dell’immunità della Chiesa dalla giustizia del re STORIA MEDIEVALE IL PAPATO, GLI ORDINI MENDICANTI E LA CRISI DELLA CHIESA 86 Filippo II, infatti, li aveva infranti entrambi prima tassando il clero francese, poi processando un vescovo in un tribunale laico. Ovviamente la reazione di Bonifacio fu molto dura e in entrambe le occasioni minacciò il re di scomunica, riaffermando nuovamente la supremazia della chiesa su qualsiasi carica laica. Lo scontro, evidentemente, non era solo religioso, ma investiva il ben più ampio campo della possibilità di esercitare il potere su un determinato territorio. Bonifacio era un papa potente che salì al potere dopo le misteriose dimissioni del suo predecessore Celestino V, tra i suoi nemici principali c’era l’aristocratica famiglia romana dei Colonna e numerosissimi cardinali oppositori sparsi per mezza Europa. Lo scontro servì a Filippo non per dimostrare l’indipendenza della corona francese da qualsiasi potere superiore, ma addirittura per proporsi come difensore della Chiesa dato che stava accusando il pontefice di aver usurpato la cattedra di Pietro con mezzi illeciti: per questo motivo inviò una sua delegazione guidata dal cancelliere Guglielmo di Nogaret che arrestò Bonifacio ad Anagni nel 1303. La prematura morte del papa, appena un mese dopo il suo arresto, causò la più grande crisi del pontificato dell’età medievale dato che Filippo IV aprì un processo postumo che si interromperà e riaprirà più volte, nel 1303. 1308 e 1311. Al papa venivano rivolte accuse di ogni tipo, dalle perversioni sessuali alla demonologia, che contribuirono a diffondere l’immagine di un papa eretico che rappresentava una grave minaccia per la Chiesa e tutta la cristianità. Questo processo andava poi a braccetto con un’altra tematica portata avanti con vigore dal re francese: il processo contro i cavalieri Templari. L’ostilità del re nei confronti di questo ordine cavalleresco inizia nei primi anni del ‘300 per motivazioni per lo più economiche: il re aveva bisogno di soldi, e i Templari erano veri e propri banchieri che gli negarono un finanziamento. Non si sa se a causa di questo rifiuto, o più semplicemente per la volontà di appropriarsi dei loro possedimenti, ma la mattina del 7 ottobre Filippo fece arrestare tutti i cavalieri presenti sul regno: ancora una volta i capi d’accusa giravano attorno al concetto di eresia, quindi il re doveva necessariamente intervenire in quanto protettore della Fede e a causa di un papa dormiente che non era in grado di difendere la Chiesa. In pochi anni quindi, all’accusa di eresia si accostano le perversioni sessuali e la stregoneria che configurano sempre il ben più grave reato di lesa maestà. Allo stesso modo, anche papa Giovanni XXII accusò di eresia i suoi principali nemici, vescovi che si opponevano all’inquisizione, i principali principi ghibellini del centro Italia, Matteo Visconti e Federico da Montefeltro, due pericolosissimi ribelli dello Stato pontificio. Tutti questi processi, lanciati tra il 1315 ed il 1320, erano segno di un’evidente debolezza della Chiesa ormai confinata ad Avignone da un decennio sotto il diretto controllo del re di Francia. Questo settantennio di cattività avignonese, però, rappresentò un periodo di sviluppo amministrativo in cui i registri pontifici acquisirono una forma più matura e il controllo dei legati pontifici divenne molto più attento: istituzionalmente questo periodo di cattività non fu uno sfacelo, ma da un punto di vista politico il potere regio aveva dimostrato di essere molto più forte e resistente di quello ecclesiastico. Nel 1378 Urbano VI fu il primo papa che riuscì a tornare nella sede romana, ma la sua elezione fu duramente contestata dai vescovi francesi che elessero un nuovo antipapa, Clemente VII che si insediò ad Avignone: la divisione fu tale che per anni la Chiesa stessa fu spaccata in due, mettendo ancora più in evidenza la propria debolezza, tanto da mettere in discussione la stessa funzione ecclesiastica. Si sviluppò quindi un importante movimento riformatore che metteva al centro la conciliarità della Chiesa e la sua natura collettiva: il potere sovrano doveva essere affidato all’assemblea dei vescovi, e questo principio fu confermato nel Concilio di Basilea che identificò il concilio dei vescovi come la Chiesa stessa. Questa radicalità portò presto all’abbandono del partito riformatore da parte dei poteri laici, facendo sì che il movimento perse potere fino all’arrivo di papa Martino V che restaurò la supremazia papale, lasciando ai concili il solo potere di deporre un papa considerato eretico. STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI 89 Inghilterra Dopo il lungo regno di Edoardo I, i suoi successori misero immediatamente in mostra la debolezza strutturale della monarchia inglese: → Incapacità di finanziarsi → Eccessiva importanza dei baroni → Eccessiva importanza del Parlamento Nel corso del XIV secolo la monarchia inglese vide una successione molto veloce di diversi sovrani che vennero uccisi o deposti: → Edoardo II – imprigionato e deposto nel 1327 → Edoardo III – Impiegato nella guerra con la Francia → Riccardo III – costretto ad abdicare nel 1399 A questo poi, si devono aggiungere quei periodi, anche molto lunghi, in cui non c’era un vero e proprio re alla guida della nazione, ad esempio tra il 1420 ed il 1440 quando un reggente prese il posto di Enrico VI in quanto ancora bambino: il riempimento di questo vuoto fu l’oggetto di contesa di due poteri molto forti, il Parlamento e la nobiltà militare rappresentata dai Grandi. Per tutto il Trecento il Parlamento assunse il ruolo di vera e propria guida del potere regio, cercando soluzioni ai problemi finanziari del regno proponendo nuove tassazioni e quindi nuovi gettiti fiscali o intervenendo sui tetti salariali; si occupò anche di giustizia, ad esempio quando nel 1353 si oppose alle giurisdizioni dei tribunali ecclesiastici. Fu un periodo glorioso per il parlamento, ma insufficiente a garantire stabilità dato che i baroni agivano su due fronti, sia al suo interno che come signori locali con al seguito eserciti di cavalieri assoggettati ad un contratto di tipo semifeudale. Effetto di questa situazione fu un frazionamento del regno in tanti ducati semi – indipendenti in lotta tra loro per la conquista della corona. Nel 1453 questo scontro si focalizzò tra due nobili famiglie molto importanti, i Lancaster e gli York, che sfociò nella Guerra delle Due Rose (entrambe le famiglie avevano una Rosa nel loro simbolo) che si concluse solo nel 1485 con l’ascesa al trono della dinastia Tudor con Enrico VII, parente di entrambe le famiglie quindi soluzione di compromesso. l’unità dell’Inghilterra era ormai seriamente compromessa perché a nord le guerre con la Scozia si erano rivelate un buco nell’acqua dato che non risolsero le questioni in modo definitivo, mentre a sud tutti i territori francesi erano andati perduti con la Guerra dei cent’anni. STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI 90 Spagna Come nel resto d’Europa, anche in Spagna la lotta per il possesso della corona portò al cambiamento di alcune linee dinastiche, in particolar modo in Castiglia dove ogni successione rappresentò un problema dato che sia quella di Alfonso X che quella di Alfonso XI furono contestate. Un discendente dell’importante casata di Trastàmara, Ferdinando I d’Aragona, riuscì a salire sul trono d’Aragona, lasciando al figlio Alfonso V d’Aragona il Regno di Napoli che ora comprendeva anche la Sardegna, sottratta ai francesi. La struttura dei singoli regni era molto differente e molto lontana da una vera e propria unificazione politica; in tutti i regni le corone si dovettero scontrare con importanti assemblee rappresentative, dette Cortes, che però cambiavano molto nei vari regni: → Castiglia: qui le Cortes non comprendevano i nobili ma solo rappresentanti della varie città, i letrados, che avevano trovato una strada per accrescere la propria posizione sociale nel rapporto col re, diventandone così i principali sostenitori → Catalogna ed Aragona: le Cortes rappresentavano i 3 poteri del regno: Chiesa, Nobiltà e Città, quindi avevano un’influenza molto rilevante su governo e finanza, quindi i re dovevano rivolgersi a loro praticamente per qualsiasi cosa. In più, le Cortes crearono delle istituzioni permanenti, dette Deputazioni, che controllavano e talvolta amministravano direttamente tutta la politica del regno. Le corone di Castiglia ed Aragona, alla fine, si unirono per via matrimoniale nel 1469 quando Isabella di Castiglia sposa Ferdinando d’Aragona, erede al trono. L’Impero e i regni dell’est: crisi e flessibilità della forma monarchica Impero e Germania Fra il ‘200 ed il ‘300 l’Impero perse gran parte dei suoi territori: → I regni d’Italia: formalmente sotto l’Impero, ma da tempo abbandonato a sé stesso → La Borgogna: da tempo divisa tra il ducato, vassallaggio del re di Francia, e la contea, di fedeltà imperiale Gli ultimi Imperatori della dinastia di Lussemburgo prima, e i Boemi poi, si concentrarono sui territori della Germania dell’est, che trovarono una forma di stabilità politica solo sotto gli Asburgo. È difficile dimensionare l’importanza dell’Impero nei territori tedeschi, da un lato i candidati alla corona erano tutti molto deboli, dall’altro erano fortemente condizionati dai principi elettori, ridotti ormai solo a sette, che avevano di fatto in mano le redini del governo. Il Collegio degli elettori era convinto di essere superiore all’Imperatore perché, oltre al potere di eleggerlo, si impadronì anche di quello di deporlo. Anche i principi non elettori, tuttavia, godevano di importanti libertà: ad esempio gli Asburgo erano in corsa per la corona imperiale ma nel contempo anche in piena lotta per ottenere una piena autonomia del proprio ducato: Rodolfo IV rese pubblico il privilegio grande, un falso documento in cui veniva riconosciuta all’Austria un’autonomia totale che avrebbe fatto di lui un sovrano con gli stessi poteri dell’Imperatore e, allo stesso tempo, si adoperò molto per la crescita del potere ducale attraverso un’attenta promozione delle città, delle università e delle corporazioni austriache. L’Imperatore Carlo IV reagì molto male a questo bluff, fece infatti distruggere l’anello regale e tutti i segni distintivi del potere regio. STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI 91 Nonostante ciò, la famiglia Asburgo riuscì ad accedere alla corona imperiale nel 1438 con Alberto d’Asburgo: capostipite della dinastia imperiale, lasciò il trono nel 1452 al cugino Federico III, e questi al figlio Massimiliano I, considerato il fondatore dell’Impero asburgico, nel 1493. In queste circostanze era particolarmente difficile che un Imperatore riuscisse a riformare i ducati dando loro una metodologia di governo uniforme ed uguale per tutti, già nel 1495 la Dieta di Worms cercò di fondare un tribunale imperiale che fosse superiore ai singoli diritti locali, ma date le numerose lamentele questo non prese mai di fatto servizio: l’Impero era ancora diviso tra corona e principi, come dimostra il simbolo dell’aquila a due teste. Europa dell’Est Il Regno di Boemia era strettamente legato all’Impero dato che il suo re era un principe elettore. Il Regno di Ungheria è generalmente fatto iniziare in occasione della conversione di re Stefano, costantemente conteso da dinastie locali, si univa a momenti alterni con Boemia e Polonia. La Polonia si unì con il ducato di Lituania sotto la dinastia degli Jagelloni. Anche se apparentemente questi tre regni percorrevano strade differenti, storicamente sono molto unite tra loro dato che le complesse trame dinastiche le legarono prima con i principi europei, tedeschi e francesi in primis, poi tra di loro con interessanti sperimentazioni di governo: Ungheria e Boemia si unirono prima grazie ai figli di Carlo IV di Lussemburgo, poi grazie il re ungherese Mattia Corvino; si unirono sotto un’unica corona tutte e tre sotto la dinastia polacca degli Jagelloni. Tutte queste unioni furono possibili solo perché i loro re accettarono la possibilità di cedere parte del proprio potere regale ad una persona estranea al regno. In tutti e tre i casi la nobiltà era divisa in due grossi strati: → Un livello molto alto, composto da magnati economici, cavalieri e latifondisti → Un livello inferiore, fornito da piccola e media nobiltà Il sovrano aveva quindi solo una piccola funzione sovralocale, ben lontano dall’utopia di uno stato centralizzato. La predicazione del sacerdote riformatore boemo Jan Hus divise il regno in due: da una parte c’erano la Dieta e la città di Praga che difendevano le teorie del hussite, e la Moravia, guidata da Sigismondo, che le condannava. Questa spaccatura portò a 17 anni di guerre civili che terminarono solo nel 1436 quando Sigismondo riconobbe la Chiesa Hussita. La costituzione di un nuovo regno, la cui estensione andava dai confini imperiali alle regioni balcaniche, influenzò di molto i limiti territoriali dell’Europa orientale, dando vita a quello che diventerà il potente regno Ottomano. Nato da uno dei numerosi emirati presenti nella penisola anatolica, era composta da un’élite nomade e militare che si fece strada ad occidente con finalità commerciali, staccandosi dal dominio islamico pur mantenendo la sua fede musulmana. La sua espansione fu inarrestabile, tanto che nel 1453 prese Bisanzio, sotto Maometto II, facendone la sua capitale; presto oltrepassarono i Dardanelli, conquistando tutta la Macedonia, la Bulgaria e parte del regno di Ungheria. STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI 94 Questo rapporto non era sempre idilliaco, a spesso sfociò in conflitti tra le città e i territori circostanti che si manifestavano tramite lamentele al signore da parte del contado per le oppressioni subite dalle città, richieste di esenzioni o suppliche varie. Alcuni centri molto piccoli chiesero addirittura una vera e propria sovranità, dimostrando in questo modo quanto fosse imperfetta la sottomissione del contado e quanto invece contassero ancora i vecchi privilegi individuali: tutte le signorie locali rivendicarono una piena autonomia sui territori di loro pertinenza. I Visconti, i Savoia e la Chiesa furono molto generosi in questo senso, concedendo molti diritti feudali alla nuova generazione di principi, lasciando tuttavia intatto tutto il loro prestigio; questi atti avevano infatti una duplice funzione: 1. Riconoscere poteri signorili sul territorio che non potevano contrastare 2. Far riconoscere ai nuovi principi la supremazia politica del loro signore Il sistema funzionava perché comprendeva tutte le realtà dello Stato con cui poteva relazionarsi in modi differenti a seconda delle pretese, della forza e soprattutto dell’utilità di ognuna di esse. L’anello debole era il potere centrale che aveva comunque bisogno di legittimità e soprattutto di continuità politica, elemento non sempre raggiungibile a causa delle successioni non sempre ben definite. Questo problema in teoria non avrebbe dovuto riguardare i territori dell’Italia meridionale: Regno di Napoli e Sicilia. Le strade dei due territori si separarono quando, dopo i Vespri siciliani del 1282, la Sicilia passò sotto la corona aragonese che cominciò subito una politica di profonda valorizzazione del territorio investendo i baroni di privilegi, esenzioni e soprattutto compiti di autogoverno. Le frequenti crisi dovute all’instabilità dinastica dei baroni portarono velocemente al potere 4 vicari che si spartirono l’isola. Un problema molto simile si verificò anche nel regno di Napoli posto sotto la dominazione angioina quando, dopo la morte della regina Giovanna, la successione fu contesa dagli Angiò di Provenza e gli Angiò – Durazzo. La lunga guerra che ne derivò si spostò nel 1442 in Aragona dove il re Alfonso il Magnanimo sconfisse gli Angioini e unì il regno alla corona Aragonese, unificando così tutto il Mediterraneo occidentale sotto il suo dominio. I baroni italiani godevano già di ampi privilegi, che furono riconfermati ed aumentati nel 1443 da Alfonso che concesse anche diritti feudali che li trasformarono in veri Stati regionali. Fu in questo contesto che emerse la figura di Orsini, principe di Taranto, che riuscì a costruire un enorme dominio che comprendeva gran parte della Puglia e della Basilicata. Il suo vero obiettivo era quello di ottenere una totale indipendenza dal regno, riuscendoci solo in parte quando ottenne, nel 1462, il diritto di non prestare omaggio al re Ferrante d’Aragona, ma alla sua morte, l’anno seguente, lo stesso re si riprese tutto il principato. Anche gli stati repubblicani conobbero periodi di forte instabilità, a Firenze, ad esempio, dopo aver formalizzato il dominio sui territori e sulle città soggette, l’oligarchia che controllava le Arti cerco di riformare completamente la Repubblica. Nonostante le dure resistenze, nel XV secolo le cose iniziarono a cambiare quando la nuova classe politica cominciò a dare molto più peso alla tenuta dello stato che non a quella della repubblica: un’élite rivendicava l’autonomia politica, formando così un vertice ristretto che prendeva le decisioni affermando una vera e propria oligarchia. Riuscirono in quest’impresa soprattutto grazie all’istituzione del Monte delle prestanze, un istituto che stabilizzava il debito pubblico dello stato comprandolo e ricevendone gli interessi. Questo stesso sistema era in uso anche a Genova e Venezia che potevano contare su uno sviluppo economico incredibile dovuto all’estensione dei loro domini coloniali, volti al commercio con l’Africa e le isole dell’Egeo. Proprio a Venezia le istituzioni si resero conto che era necessario stabilizzare il governo, optarono così per un capo supremo con una carica vitalizia, il Doge, il cui potere era bilanciato da numerosi consigli ristretti. L’attenzione a questi equilibri fece del modello veneziano un sistema perfetto dato che nessuna istituzione aveva un controllo sulla vita pubblica superiore rispetto agli altri; dal 1297 in poi, vennero individuate le famiglie più prestigiose i cui nomi furono inseriti in un elenco fisso da cui dovevano uscire i consiglieri: solo i discendenti di queste famiglie potevano accedervi. STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ POLITICHE DEL BASSO MEDIOEVO. UN PROCESSO DI INTEGRAZIONE CONFLITTUALE 95 Società politiche del basso medioevo. Un processo di integrazione conflittuale Immagini e ideologie del re Nonostante tutte le problematiche, fra il XIV e il XV secolo la monarchia maturò completamente sia da un punto di vista rituale (incoronazione) che da quello giuridico grazie ad una serie di dottrine che giustificavano il potere del re: il sovrano era ormai potentissimo e trasmetteva l’idea di essere stato scelto e voluto direttamente da Dio come guida della società. Dalla metà del Duecento in poi, nelle corti cominciarono ad entrare numerosi giuristi che avevano maturato una certa esperienza nell’amministrazione regia, quindi conoscevano bene il funzionamento dell’istituzione ed erano così in grado di produrre le dottrine adatte allo scopo. La prima distinzione fondamentale che misero in piedi fu quella tra le due forme di potere possibili: Ordinario ed Ordinato da un lato, mediato da altri consigli e necessario per amministrare il regno, Assoluto dall’altro, il quale prevedeva una costante deroga con la quale il re era dispensato dal rispetto delle leggi. Il passo successivo fu il tentativo di limitare questo enorme potere, venne quindi istituita la causa necessaria, che consentiva al re di non rispettare le leggi, e che però poteva anche essere implicita e quindi non necessariamente dichiarata. Queste posizioni, ovviamente, scatenarono dure reazioni in tutta Europa: tutti i più grandi giuristi medievali concordarono nell’affermare che il re fosse certamente superiore, ma comunque sottoposto alle leggi, come tutti gli altri; la questione successoria e la facilità con cui un re poteva essere rimosso, poi, indebolirono di molto la figura del regno la cui guida non poteva avere nessun tipo di garanzia di continuità. Nacque così il concetto di Corona, ossia la vera depositaria dei diritti e dei doveri pubblici ora inalienabili e non più appartenenti al re. La figura del sovrano è quindi ora molto ridimensionata dato che diventa un semplice amministratore di beni e finanze più non sue; in Inghilterra questa novità prese immediatamente piede, mentre in Francia questo processo richiese più tempo. Qui la guerra dei Cent’anni, e il rischio concreto di avere un re straniero, misero in luce un concetto molto più complesso di regno: la Natio era un concetto naturale, quindi era naturale che fosse un re francese a governare sui francesi. Anche da un punto di vista religioso, le correnti filomonarchiche legavano indissolubilmente la figura del monarca alla sua missione divina, dandogli così un alone di sacralità che portò alla nascita del titolo di re Cristianissimo, a sottolineare il ruolo di difensori della Chiesa di questa nuova generazione di sovrani. Questo approccio giustificava anche la superiorità del re francese su tutte le altre figure, papa compreso, come dimostra il lungo conflitto fra Filippo II il Bello e Bonifacio VIII. Molto importante in questa riflessione fu l’apporto dei teologi che portarono l’esempio di tutti i re giusti citati nella Bibbia e sottolineando come la Giustizia fosse il primo compito del re, portata con la spada quando necessario. Questo senso di giustizia Potere Ordinario ed Ordinato Necessario ad amministrare il regno Potere Assoluto Sciolto dal rispetto delle leggi Regno: comunità di persone che appartenevano, per nascita, allo stesso Paese Amore del sovrano verso il popolo generato dalla giustizia Amore del popolo verso il sovrano generato dalla correttezza di questo STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ POLITICHE DEL BASSO MEDIOEVO. UN PROCESSO DI INTEGRAZIONE CONFLITTUALE 96 innato doveva generare nel sovrano un amore profondo per il proprio popolo, che avrebbe ricambiato con lo stesso amore, generato dalla correttezza del re verso di loro. Tutte queste virtù religiose collegate al re si tradussero ben presto in veri e propri poteri. L’amministrazione del regno: corti, ufficiali, fiscalità La presa di coscienza da parte della monarchia di questo nuovo Corpo del regno si tradusse nella formazione di un nuovo impianto burocratico a più livelli che rafforzarono notevolmente l’amministrazione centrale e la formazione di nuovi pubblici ufficiali. Da qui nacque tutto l’impianto fiscale che finanziò lo Stato e la sua politica di espansione. Le corti che si stringevano attorno ai sovrani avevano fondamentalmente 3 funzioni principali: 1. Consiglieri per il re 2. Assistenza al re nelle funzioni di governo 3. Amministrazione delle finanze Conseguenza diretta di queste corti furono tutti gli Organi centrali. La corte francese offre un esempio particolarmente chiaro di questa struttura burocratica centralizzata. Da una costola dell’antica curia si sviluppò il Consiglio del re, suo organo consultivo radunato a seconda delle necessità del momento: le funzioni della corte erano assegnate dall’Hotel del re che comprendeva tutti gli ufficiali, tutte le registrazioni contabili, invece, erano compito della Camera dei conti che era retta da due presidenti, un chierico ed un laico, e da 8 maestri. I compiti principali della Camera erano il controllo dei conti dei siniscalchi e dei balivi, che avveniva due volte all’anno, e residuali relativi alla giustizia che invece era affidata, per lo più, al Parlamento. In Francia e in Inghilterra gli ufficiali che rappresentavano il re erano sempre esistiti, la loro evoluzione infatti riguardò sostanzialmente il numero e la loro diffusione più capillare. Gli ufficiali principali erano i: → Balivi: responsabili di un’area abbastanza estesa → Prevosti: a capo di tutte quelle circoscrizioni minori che componevano l’area gestita dai Balivi In Francia questa divisione si definì molto meglio, irrigidendo così la scala gerarchia che la costituiva. Protezione dei poveri e dei deboli Rafforzamento della giustizia pubblica Misericordia Potere di Grazia il re poteva modificare le pene imposte dai giudici ed ascoltare le suppliche Amore verso il re Celebrazione della sua superiorità Fondamenti celesti del regno Rafforzava l'immagine della monarchia come guida della nazione Importanza del nuovo apparato burocratico •Favoriva una vita autonoma del regno: ora poteva sopravvivere anche senza re •Aumentava la potenza del regno nelle periferie grazie ad una rete capillare di ufficiali che rappresentavano il re •Permetteva la crescita del ceto medio grazie alla possbilità di accesso all'alfabetizzazione
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