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Limiti e Regole per gli Interventi e le Impugnazioni in un Processo Giudiziario, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Sui limiti e le regole che riguardano gli interventi e le impugnazioni in un processo giudiziario. Il testo copre argomenti come l'istituzione di giudici straordinari o speciali, il ruolo del cancelliere, la qualità di parte, l'intervento coatto, la responsabilità aggravata e attenuata, la revocazione in ius e le ordinanze del giudice istruttore. Vengono inoltre trattati i termini e la decorrenza, la prova documentale, il giuramento, la ricusazione del giudice, i mezzi di impugnazione e gravame, l'opposizione di terzo e il processo di esecuzione.

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

Caricato il 26/08/2013

palladineve
palladineve 🇮🇹

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Scarica Limiti e Regole per gli Interventi e le Impugnazioni in un Processo Giudiziario e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PARTE GENERALE Nozioni preliminari La giurisdizione La giurisdizione in generale L’attività dello Stato si suole riassumere in tre funzioni fondamentali: legislazione, giurisdizione, amministrazione. La funzione giurisdizionale rappresenta il necessario complemento della funzione legislativa, allo stesso modo che la sanzione è il necessario complemento del precetto. Principi costituzionali in tema di giurisdizione* La prima fondamentale norma che si interessa di giurisdizione è l’art. 24 della Costituzione. Questo articolo si struttura in quattro diverse proposizioni: 1. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi: quindi dove vi sia una situazione sostanziale vi deve essere una tutela giurisdizionale; 2. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento: il diritto di difesa assicura alle parti la possibilità di influire con la propria attività sul contenuto della decisione; 3. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione; 4. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Altri principi costituzionali di interesse sono: 101. - La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. 102. - La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. 103. - Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione 1 degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. 111. - Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. 112. - Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. 113. - Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa. La giurisdizione civile Le norme giuridiche pongono comandi e divieti, ma attribuiscono anche diritti e facoltà. La giurisdizione civile tende ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi garantiti dalla norma giuridica. La giurisdizione civile tende a riparare le conseguenze della trasgressione operando in modo da raggiungere l’effetto pratico previsto dalla norma stessa, a malgrado della contraria volontà o dell’inerzia dell’obbligato. Cognizione ed esecuzione L’attività del giudice diretta all’applicazione delle norme giuridiche al caso particolare, rappresenta la fase di “cognizione”. Tuttavia per assicurare la tutela giurisdizionale del diritto spesso non è sufficiente la sola applicazione della legge al caso particolare, ma può essere necessaria una fase ulteriore per eseguire il comando contenuto nella sentenza. Questa fase si chiama “esecuzione”. Forme della tutela giurisdizionale in sede di cognizione Si distinguono diverse forme tipiche di tutela giurisdizionale in base alla sentenza che viene pronunciata: 2 2 e la differenza deriva dalla diversa finalità delle due giurisdizioni. L’interesse pubblico alla repressione dei reati esige che ogni qualvolta viene commesso un reato sia provveduto, affinché sia applicata la sanzione e a tal fine un organo apposito dello Stato, il pubblico ministero, deve promuovere l’azione penale, anche se la persona offesa dal reato non si duole. Nel processo civile, per contro, vige il principio della domanda di parte che è sancito dall’articolo 2907 del codice civile e ribadito dall’articolo 99 del codice procedura civile. Il giudice può provvedere solo su domanda della parte interessata salvo nelle rare ipotesi tassativamente previste dalla legge, nelle quali l’azione civile può essere promossa dal pubblico ministero. Al potere di porre la domanda è complementare, come si è accennato, il potere di fornire la prova dei fatti che stanno a fondamento della domanda e per il convenuto il potere di provare i fatti che stanno a fondamento dell’eccezione. La legge vieta al Giudice di ritenere i fatti non provati e, salvo rare eccezioni, anche di esperire indagini d’ufficio, e riserva alla parte il potere di iniziativa nella raccolta del materiale probatorio. Questo uno dei principi fondamentali più caratteristici del processo civile: il principio dispositivo. Un altro principio fondamentale del processo civile è il principio del contraddittorio: il giudice non può di regola statuire sulla domanda dell’attore se non sia stata data dal convenuto la possibilità d’interloquire. In tal modo il convenuto può sempre opporre alle ragioni dell’attore le proprie difese e normalmente anche le eccezioni di cui dispone, salvo che qualche norma particolare non gli imponga di differire talune eccezioni o di proporle in altra sede. Il diritto processuale civile Il complesso delle norme, che regolano il processo e che sono contenute in massima parte nel codice di procedura civile, costituisce il diritto processuale civile. La legge processuale regola la forma e il tempo degli atti del processo e l’ordine in cui quegli atti si debbono compiere; vincola le parti nel loro agire e anche il Giudice nell’esercizio del suo potere dovere, nella formazione dei provvedimenti. Disposizioni generali La regolare costituzione del giudice* L’organo giudiziario La giurisdizione del giudice ordinario 5 I limiti della giurisdizione I limiti della giurisdizione sono di tre specie. Anzitutto il potere giurisdizionale non può oltrepassare i confini della sovranità statale della quale è un’esplicazione. Un secondo limite è di carattere costituzionale e deriva dal principio della divisione dei poteri. Il terzo limite distingue la giurisdizione dei giudici ordinari da quella dei giudici speciali. Il limite internazionale La giurisdizione italiana sussiste per le cause nelle quali sono convenuti cittadini italiani. La cittadinanza dell’attore non ha rilevanza: anche lo straniero può sempre adire la giurisdizione italiana. Per contro, l’art. 4 esclude di regola la giurisdizione italiana nelle cause in cui sia convenuto uno straniero. Ma lo stesso articolo stabilisce che anche lo straniero può essere convenuto davanti al giudice italiano, ove concorrono le seguenti situazioni particolari: A) quando lo straniero abbia eletto nel nostro stato residenza o domicilio; ovvero vi abbia nominato un rappresentante autorizzato stare in giudizio; o infine abbia accettato la giurisdizione italiana; B) Nelle controversie relative a beni situati nel territorio dello Stato; C) Nelle controversie relative a obbligazioni sorte o da eseguirsi nello Stato; D) nelle controversie connesse con altre pendenti davanti al giudice italiano oppure relative a provvedimenti cautelari da eseguirsi nello Stato o a rapporti dei quali il giudice italiano può conoscere; E) infine tutte le volte che nel caso analogo e reciproco il Giudice dello Stato, al quale lo straniero appartiene, può conoscere delle domande proposte contro il cittadino italiano. La giurisdizione italiana non può essere derogata per volontà delle parti favore di una giurisdizione straniera o di arbitri che pronuncino all’estero. Il limite costituzionale nei confronti del potere legislativo Il comando del giudice deve sempre avere la sua premessa in quello del legislatore e questo collegamento logico deve essere espresso nella motivazione; onde la costituzione stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati. Tuttavia il Giudice, prima di applicare la legge, deve accertarsi della sua validità e a tal fine deve esercitare un certo sindacato sulla legge. La questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di un giudizio, quando il giudice ritiene che la legge di cui dovrebbe fare applicazione sia incostituzionale, ovvero quando una delle parti eccepisce la incostituzionalità della legge. La semplice 6 6 eccezione di incostituzionalità della legge sollevata da una parte non spoglia senz’altro il Giudice del potere di conoscere la causa, perché il giudice deve rimettere il giudizio sulla questione alla corte, soltanto ove ritenga l’eccezione non manifestamente infondata. Il limite costituzionale nei confronti del potere esecutivo Il giudice civile può conoscere le controversie che abbiano per oggetto atti amministrativi: ma il suo potere subisce in queste controversie alcune restrizioni. Il giudice, al quale sia chiesta l’applicazione di un atto amministrativo ha, deve preliminarmente accertare la legittimità di esso; e se riconosce che l’atto amministrativo è illegittimo deve non applicarlo. La giurisdizione ordinaria e le giurisdizioni speciali Il nostro ordinamento distingue fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale: fanno parte della prima la giurisdizioni civile e quella penale; sono invece giurisdizioni speciali quella amministrativa e quelle con il potere di giudicare in particolari materie (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Tribunali Militari). La competenza I criteri per determinare la competenza La competenza costituisce la sfera di potere giurisdizionale attribuita a ciascun organo giudiziario in particolare. Il codice stabilisce diversi criteri che portano all’individuazione del giudice competente. In primo luogo si deve stabilire quale dei tre tipi di organi giudiziari, istituiti dal nostro ordinamento - il giudice di pace, il pretore e il tribunale - debba essere assegnata la causa: e questa prima determinazione deve essere fatta secondo i criteri della competenza per materia e per valore. Una volta individuato il tipo di giudice competente, deve essere stabilita la sede dell’organo giudiziario; e questa seconda determinazione deve essere fatta in base al criterio della competenza per territorio. La competenza territoriale a sua volta si suddistingue secondo che possa essere derogata dalla volontà delle parti oppure no. Si deve poi aggiungere la competenza per grado, che regola la ripartizione delle cause fra i diversi giudici nelle successive fasi del giudizio. La determinazione della competenza, stabilita in base ai destini criteri, può essere modificata per effetto della connessione. Ciò avviene quando più cause, che isolatamente considerate sarebbero di competenza di giudici diversi, vengono riunite davanti a un solo Giudice, in considerazione della relazione fra esse 7 • per le cause relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case; • per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità. Il pretore è competente per le cause, anche se relative beni immobili, di valore non superiore a 50 milioni che non siano di competenza del giudice di pace. Le controversie individuali di lavoro e le controversie in materia di previdenza di assistenza obbligatorie rientrano ora nella competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro. Per ragioni di materia il pretore è ancora competente: • per le azioni possessori, per le denunce di nuova opera e di danno temuto; • Per le cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e per quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie. • il tribunale è competente per tutte le cause che superano la competenza per valore del pretore e che non sono attribuite al pretore o al giudice di pace per ragione di materia. Il tribunale è sempre competente per le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone e ai diritti di onorificenza, per la querela di falso e in generale per le cause il cui valore non sia determinabile. La competenza per i procedimenti esecutivi è stabilita dall’articolo 16 col solo criterio della materia. Il pretore è competente per il procedimento di consegna e rilascio, per l’espropriazione forzata di cose mobili e per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare. Il tribunale è competente per la espropriazione forzata di cose immobili. Competenza per territorio Con denominazione tradizionale il giudice competente per territorio si dice foro. Il codice attribuisce carattere generale al foro del convenuto. Ciò significa che tutte le cause che non siano espressamente attribuite ad un altro foro speciale, sono di competenza del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio o, se residenza e domicilio sono sconosciuti, del luogo dove il convenuto dimora. Solo personalmente subentra il foro 10 10 dell’attore. Il foro generale della persona giuridica è stabilito nel luogo dove l’ente ha la sede o uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Le società non aventi personalità giuridica, le associazioni e i comitati hanno sede nel luogo dove svolgono la loro attività in modo continuativo. Il codice stabilisce poi una serie di fori speciali. Questi si dicono esclusivi, quando il convenuto ha facoltà di eccepire l’incompetenza se l’attore non adisce il giudice indicato, e facoltative invece quando l’attore ha facoltà di scegliere fra il giudice indicato e altri fori concorrenti generali o speciali. Competenze territoriali inderogabili Il codice regola poi alcuni fori speciali inderogabili. Nelle cause, nelle quali è parte un’amministrazione dello stato, è competente il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’avvocatura dello stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie della competenza per territorio. La competenza territoriale stabilita a favore dello stato è inderogabile e prevale anche sulle altre competenze inderogabili. La competenza per l’esecuzione forzata è stabilita mediante l’applicazione di diversi criteri. Se si tratta di esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. Se si tratta di espropriazione forzata su crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore. Se infine si tratta di obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. Per le cause di opposizione all’esecuzione forzata è competente normalmente il giudice del luogo dell’esecuzione e per le cause di opposizione agli atti esecutivi il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione. Per i procedimenti cautelari è competente il giudice competente per la causa di merito e se è pendente la causa per il merito è competente il giudice davanti al quale pende questa. Per i procedimenti possessori e per denuncia di nuova opera è inderogabile la competenza indicata nel paragrafo precedente, come si è detto. È inoltre inderogabile la competenza nelle cause in cui deve intervenire il pubblico ministero e nei casi in cui la legge espressamente lo dichiara. Deroga della competenza territoriale Con esclusione dei casi di competenza inderogabile appena visti, è consentito alle parti di modificare le regole stabilite dalla legge per la competenza territoriale non essendo queste ispirate a una ragione d’interesse pubblico. 11 Modificazioni della competenza derivanti da litispendenza, continenza e connessione La litispendenza La litispendenza si ha quando due cause identiche nei loro elementi soggettivi e oggettivi sono state proposte davanti a giudici diversi. Si tratta in realtà di una causa sola, che ha dato origine due processi. Per eliminare questa sconveniente duplicità è necessario far cessare uno dei due processi e precisamente quello iniziato dopo, che non aveva ragione di sorgere. Per sapere quale dei due processi è iniziato dopo occorre guardare alla data della notificazione della citazione. La continenza La continenza è il rapporto che intercede fra due cause, delle quali una ha un petitum più ampio, ma contiene in sé tutti gli elementi dell’altra. Es. c’è continenza fra un processo in cui è chiesto il mero accertamento della proprietà di un bene e in un altro in cui si agisce in rivendicazione per lo stesso bene; c’è continenza fra un processo in cui è chiesta la risoluzione del contratto e quello in cui è chiesta anche la condanna al risarcimento del danno. Anche in questo caso uno dei due processi va chiuso: prosegue il giudice adito per primo a condizione che sia competente anche per la causa pendente di fronte all’altro giudice; in caso contrario prosegue l’altro giudice. Naturalmente la causa del processo che si estingue deve essere trasferita nell’altro processo. La connessione La connessione si ha quando più cause hanno in comune alcuni elementi. La connessione meramente soggettiva non produce spostamento di competenza; le cause possono essere riunite soltanto quando appartengono alla competenza dello stesso Giudice. Invece la connessione oggettiva, cioè la parziale comunanza delle domande, produce lo spostamento della competenza territoriale inderogabile prevista dagli articoli 18 e 19, cioè del foro personale del convenuto. Il legislatore favorisce la riunione delle cause connesse per garantire l’uniformità delle decisioni, e anzi la riunione può divenire una esigenza assoluta, come nel caso di interdipendenza logica dei giudizi. L’accessorietà L’accessorietà è il rapporto logico giuridico che intercede fra due cause connesse soggettivamente e oggettivamente, una delle quali (accessoria) è subordinata all’altra (principale), nel senso che la decisione della domanda accessoria presuppone 12 12 con il regolamento, limitatamente alla sola questione di competenza, ovvero può essere impugnato integralmente con il gravare ordinario. Infine il regolamento deve essere chiesto dal giudice, anche se le parti non ne fanno domanda, nel caso di conflitto di competenza. L’istanza di regolamento di competenza si propone con speciale ricorso alla corte di cassazione nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza e viene trattata con un procedimento di forme più semplici dell’ordinario procedimento in cassazione. La proposizione del regolamento sospende il procedimento e i termini per le impugnazioni. Il regolamento di competenza non si può proporre avverso le sentenze del giudice di pace. Guarentigie e doveri del giudice. Astensione, ricusazione, responsabilità Le guarentigie La costituzione e le leggi sull’ordinamento giudiziario pongono una serie di guarentigie, per salvaguardare la magistratura da influenze o ingerenze degli altri poteri dello stato e in particolare del potere esecutivo. La costituzione afferma che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Suprema espressione di questa indipendenza organica è il consiglio superiore della magistratura. Il consiglio, che per la sua composizione offre le maggiori garanzie di autonomia rispetto agli organi del potere esecutivo, è competente a provvedere sulle assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Inoltre i giudici sono sottratti al vincolo di subordinazione gerarchica nell’esercizio della loro funzione. Il superiore gerarchico deve naturalmente vigilare sul diligente adempimento da parte del giudice dei compiti a lui affidati, ma non può interferire nelle decisioni, né dare ordini circa il contenuto dei provvedimenti che il giudice deve adottare. Le sentenze ed i provvedimenti del giudice non possono essere ripetute dai superiori, se non in sede di giudizio sulle impugnazioni che vengano proposte. Astensione e ricusazione Il giudice deve essere imparziale, vale a dire indifferente di fronte alle parti in lite. Da questa esigenza d’imparzialità discende il dovere del giudice di astenersi dal giudicare quando abbia un interesse personale anche indiretto nella causa, ovvero si trovi in una di quelle situazioni particolari, tassativamente prevedute dalla legge, nelle quali si 15 presume che egli non possa essere imparziale e sereno. Queste situazioni si identificano in relazioni speciali del Giudice con le parti in causa o con l’oggetto della causa. Se il giudice non osserva il dovere di astenersi, nei casi in cui l’astensione è obbligatoria, ciascuna delle parti può proporre istanza di ricusazione. L’istanza è proposta dalla parte o dal difensore nella forma del ricorso, contenente la specifica indicazione dei motivi e dei mezzi di prova. Il ricorso deve essere presentato prima della trattazione della causa; la sua presentazione sospende il processo. La pronuncia sulla ricusazione viene data nella forma dell’ordinanza non impugnabile. Quando viene accolta l’istanza di ricusazione, l’ordinanza deve contenere la designazione del giudice che dovrà sostituire il ricusato. La responsabilità Il giudice è responsabile per danni cagionati nell’esercizio delle sue funzioni per colpa grave e il danneggiato può rivolgersi allo stato per ottenere il risarcimento. Lo stato, che abbia risarcito il danneggiato, può agire con giudizio di rivalsa nei confronti del magistrato responsabile. Cancelliere, ufficiale giudiziario e ausiliari del giudice Il cancelliere Al cancelliere competono attribuzioni accessorie alla funzione del giudice e principalmente spetta a lui provvedere alla documentazione dell’attività giurisdizionale. Il cancelliere redige i processi verbali degli atti del giudice, ai quali deve assistere, certifica l’autenticità delle sentenze e dei provvedimenti, apponendo la sua sottoscrizione dopo quella del giudice, che compie varie altre attività particolari nello svolgimento del processo. L’ufficiale giudiziario L’ufficiale giudiziario ha importanti funzioni esecutive, inerenti al processo, che adempie con autonomia di poteri e di responsabilità. Basti ricordare che egli provvede alle notificazione degli atti processuali e al compimento di vari atti del processo esecutivo. Gli ausiliari occasionali Il giudice si trova talora nella necessità si utilizzare l’opera di soggetti estranei all’organo giudiziario. In questi casi il giudice può affidare, con formale provvedimento, a un 16 16 soggetto idoneo, l’incarico di provvedere a determinati compiti. Le figure più importanti di ausiliari del giudice sono il consulente tecnico e il custode. Il pubblico ministero Il pubblico ministero nel processo civile Presso le corti e i tribunali è costituito l’ufficio del pubblico ministero. Il pubblico ministero veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta regolare amministrazione della giustizia. Il pubblico ministero ha il dovere di astenersi negli stessi casi in cui si deve astenere il giudice, ma non è soggetto alle norme sulla ricusazione; sono inoltre a lui applicabili le norme sulla responsabilità del giudice. Diverse posizioni processuali del p.m. Il pubblico ministero può promuovere l’azione in veste d’attore nei casi stabiliti dalla legge. Esempi di potere d’iniziativa sono la dichiarazione d’assenza, la dichiarazione di morte presunta, l’impugnazione di matrimonio. L’indicazione dei casi in cui il pubblico ministero può promuovere l’azione è tassativa. Il pubblico ministero ha l’obbligo d’intervenire nel giudizio, oltre che nelle cause che potrebbe egli stesso proporre, nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione coniugale e di scioglimento del matrimonio, nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone e negli altri casi previsti dalla legge. Il pubblico ministero ha facoltà di intervenire in ogni altra causa, ove lo ravvisi opportuno per la tutela di un interesse pubblico. Per rendere possibile l’intervento del pubblico ministero, nei casi in cui questo intervento è obbligatorio, il giudice deve ordinare che siano a lui comunicati gli atti. In questi casi gli atti processuali compiuti in assenza del pubblico ministero sono nulli; e inoltre il pubblico ministero può impugnare per revocazione la sentenza pronunciata senza che egli sia stato sentito. Il pubblico ministero può dunque assumere nel processo una delle seguenti quattro posizioni: attore, interveniente obbligatorio, interveniente facoltativo, concludente nelle cause in cassazione. Figura giuridica del p.m. nel processo civile I poteri del pubblico ministero non si ricollegano ad uno specifico interesse. Si è voluto invero riconoscere nel pubblico ministero il tutore di particolari interessi pubblici amministrativi o morali dello stato. In alcuni casi peraltro l’azione del pubblico ministero è indirizzata a un fine più specifico, vale a dire alla tutela dell’interesse di un soggetto incapace. Il pubblico ministero assume allora la figura del sostituto processuale. 17 L’intervento coatto su istanza di parte L’intervento può essere provocato da una delle parti o dal giudice. In entrambi i casi il terzo diviene parte del processo, ma non per sua iniziativa. L’intervento su istanza di parte presuppone che la causa sia comune al terzo o che si faccia valere nei suoi confronti un’azione di garanzia. L’intervento per ordine del giudice Il giudice può disporre l’intervento quando ritiene che il processo si debba svolgere nei confronti di un terzo, al quale la causa sia comune. Il presupposto è dunque lo stesso di quello dell’intervento coatto a iniziativa di parte: deve sussistere un connessione fra il rapporto controverso e il rapporto di cui il terzo titolare. Successione nel diritto controverso e successione nel processo La successione nel processo luogo quando la parte viene meno per morte o per altra causa. La legge considera il caso della morte (anche presunta) della persona fisica; della estinzione della persona giuridica; degli altri eventi che producono la trasmissione universale di diritti. La successione a titolo universale produce sempre il trasferimento nel successore della legittimazione attiva o passiva, anche quando il diritto controverso, per il suo carattere personale, si sia estinto con la morte. Nel caso, invece, di trasmissione per atto tra vivi o successione a titolo particolare, il codice stabilisce che la qualità di parte rimane nell’alienante e nel successore universale i quali rimangono in giudizio in qualità di sostituti processuali dell’acquirente e del successore a titolo particolare. I difensori Figura giuridica del difensore Il processo si svolge attraverso una serie complicata di attività, le quali non possono essere adeguatamente compiute da chi non abbia una coltura tecnica giuridica. Tuttavia l’opera del difensore è imposta essenzialmente per una ragione di interesse pubblico e cioè per assicurare lo svolgimento ordinato e sereno del processo. Per poter adempiere la sua funzione, il difensore deve avere una qualifica adeguata. Davanti al pretore, al tribunale e alla corte d’appello il difensore deve essere una procuratore legalmente esercente; davanti alla corte di cassazione deve essere un avvocato inserito nell’apposito albo. Soltanto dinanzi al giudice di pace non è richiesto un difensore con particolare qualifica. Non è necessario il ministero del difensore, per 20 20 una ragione di economia, davanti al Giudice di pace nelle cause di valore non superiore a un milione e inoltre quando il giudice autorizza la parte a stare in giudizio di persona, in considerazione della natura ed entità della causa, nelle cause di lavoro e nelle cause di previdenza ed assistenza obbligatorie non eccedenti le lire 250 mila. La procura alle liti La procura alle liti è l’atto con il quale la parte designa il difensore attribuendogli un potere di rappresentanza. Può essere generale o speciale. È generale quando riguarda tutte le cause del cliente, ovvero le cause relative una determinata gestione o comprese entro una determinata circoscrizione; è invece speciale se riguarda una causa determinata. È necessaria la procura speciale per i giudizi in cassazione e in revocazione. La procura si estingue per revoca della parte o rinuncia del difensore. I Doveri Dovere di lealtà e probità Le parti e i difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con probità e lealtà. Il precetto legislativo comporta il divieto di comportamenti sleali nei confronti dell’avversario e altresì del mendacio concordato e del comportamento fraudolento di entrambe le parti per violare la legge. Responsabilità per le spese e per i danni Le spese. Onere di anticipazione. Obbligo del rimborso L’onere di anticipare la spesa, cioè di pagare nel momento in cui la spesa si rende necessaria, incombe sulla parte che abbia compiuto o richiesto l’atto che ha dato luogo alla spesa. L’obbligo di sopportare in definitiva le spese del giudizio incombe sulla parte soccombente, la quale viene condannata dal giudice a rimborsare al vincitore le spese anticipate. Nel processo esecutivo le spese stanno a carico del debitore. Responsabilità aggravata e attenuata La normale responsabilità della parte soccombente può essere aggravata o attenuata dal giudice in considerazione della eventuale mala fede o buona fede. La condanna alle spese La condanna alle spese deve essere pronunciata dal giudice nella sentenza ovvero nel provvedimento che chiude il processo davanti a lui. 21 Le cauzioni L’articolo 98 del codice accordava al convenuto la facoltà di chiedere che fosse ordinata all’attore la prestazione di una cauzione per il rimborso delle spese, quando vi fosse fondato timore che l’eventuale condanna potesse rimanere ineseguita. Quando l’istanza veniva accolta, l’attore doveva prestare la cauzione per ottenere la prosecuzione del processo. Peraltro questo istituto è stato dichiarato incostituzionale, perché contrastante con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Gli atti processuali Caratteri degli atti processuali Gli atti che compongono il processo e si formano nell’ambito di esso costituiscono gli atti processuali. Sono posti in essere dalle parti, dal giudice, dai componenti minori dell’organo giudiziario, dai soggetti occasionali del processo. Gli atti delle parti possono avere contenuto molto vario: istanze rivolte all’organo giudiziario, comunicazioni rivolte alle altre parti, attestazioni di verità. Gli atti del Giudice sono i provvedimenti, dei quali la legge regola particolarmente le figure tipiche più importanti. Più limitate e specifiche sono le categorie degli atti compiuti dagli uffici minori dell’organo giudiziario e dai soggetti occasionali del processo; le certificazioni e le comunicazioni del cancelliere, le modificazioni dell’ufficiale giudiziario ecc. Principi sulla forma Gli atti, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea allo scopo. Il legislatore ha inteso così esprimere la tendenza alla maggior scioltezza delle forme, che ha ispirato la riforma, ma ha poi lasciato al principio un margine di applicazione ristretto, avendo determinato la forma di tutti gli atti più importanti. Forma degli atti di parte. La sottoscrizione La sottoscrizione è elemento essenziale, perché da essa si desume la paternità del documento e quindi l’autenticità dell’atto. Tutti gli atti del processo debbono essere sottoscritti dalla parte, se questa sta in giudizio di persona, o dal procuratore, se è costituita per ministero del procuratore. L’udienza e il verbale 22 22 Le nullità L’inosservanza delle forme prescritte per il compimento di un atto processuale può avere per conseguenza la nullità dell’atto difettoso. Il codice contiene alcune regole generali sulla nullità derivante dal difetto di forma. Non sono qui presi in considerazione i vizi che potessero derivare da motivi sostanziali, come il difetto di legittimazione o di capacità delle parti; a queste ipotesi dunque non si possono riferire, almeno direttamente, le norme degli articoli 156 e seguenti. In tema di novità, l’articolo 156 pone tre regole: A) la nullità non può essere pronunciata se la legge non la commina espressamente; B) L’atto è nullo se manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo; C) la nullità in ogni caso si sana se lo scopo è raggiunto. In altre parole l’atto processuale è nullo, per difetto di requisiti formali, quando sia idoneo a conseguire l’effetto, che era per sua natura destinato a produrre, inoltre nei casi in cui la legge commina espressamente la nullità; peraltro la nullità è sanata se l’atto produce egualmente l’effetto suo proprio. La cosa giudicata* 25 IL PROCESSO DI COGNIZIONE1 Il processo di cognizione di primo grado Il processo di cognizione è il mezzo con il quale si impartisce una delle tre forme di tutela giurisdizionale conosciute sia nel nostro ordinamento che negli altri ordinamenti, a noi vicini. Le altre due forme sono quella esecutiva e quella cautelare, che rispondono a esigenze di tutela ovviamente diverse da quelle la cui cerca di rispondere il processo di cognizione. Il processo di primo grado si può suddividere in tre fasi diverse e ben distinte tra di loro e cioè: l’introduzione della causa, la trattazione della causa e la decisione della causa. Fanno parte dell’introduzione della causa quegli atti che servono ad individuare l’oggetto del processo, cioè la situazione sostanziale che dovrà essere autoritativamente dichiarata e il tipo di effetti che si chiedono al Giudice, ossia quale tutela si chiede al Giudice, sempre sul piano del diritto sostanziale cui la attività giurisdizionale è asservita. La fase di trattazione ha la funzione di preparare tutti quegli elementi che servono poi per la decisione: elementi di fatto, elementi di diritto e soprattutto, anche se non è una fase che si presenta in tutti processi, una eventuale attività di istruzione probatoria, che si rende necessaria quando tra le parti vi è controversia circa il modo di essere dei fatti storici. La fase decisoria è quella in cui 26 26 1 IL PROCESSO DI COGNIZIONE IN BREVE Il Codice di Procedura Civile regola vari tipi di processo civile, tra i quali il più importante è il processo di cognizione, che ha lo scopo di accertare un diritto controverso. La domanda dell'attore può chiedere al giudice una sentenza che abbia un contenuto di mero accertamento di una situazione, di condanna o di costituzione di una nuova situazione giuridica. Il processo di cognizione inizia con la citazione che l'attore notifica al convenuto, invitandolo a presentarsi davanti al giudice competente per valore (giudice di pace fino a cinque milioni di lire, pretore fino a venti milioni, tribunale oltre venti milioni ) o per materia, entro un termine stabilito dalla legge. Tra il giorno della notificazione e quello della prima udienza di comparizione debbono intercorrere almeno 60 giorni e 120 se il luogo della notificazione è all'estero. Costituitesi le parti o almeno una di esse (in tal caso si procede in contumacia nei confronti della parte non presente in giudizio) viene formato il fascicolo di ufficio. Successivamente, la causa viene iscritta a ruolo e assegnata al giudice per la sua istruzione: giudice istruttore scelto dal presidente del tribunale se la competenza spetta al tribunale; lo stesso giudice di pace o pretore se loro è la competenza. La trattazione della causa durante la fase istruttoria è orale, tuttavia il giudice può autorizzare comunicazioni scritte. Nella prima udienza il giudice interroga le parti e se possibile tenta la loro conciliazione; fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti devono compiere gli atti processuali; se ammissibili e rilevanti ammette i mezzi di prova e le prove. Questi sono proposti dalle parti o disposti di ufficio e sono: la consulenza tecnica, la verifica della scrittura privata, la querela di falso, la confessione giudiziale, l'interrogatorio, il giuramento, la testimonianza, l'ispezione, il rendimento dei conti. Esaurita l'istruzione, il giudice invita le parti a formulare interamente le proprie conclusioni e, con sentenza, decide la causa egli stesso salvo nei casi in cui la competenza spetti al tribunale. In tal caso il giudice istruttore decide la causa in funzione di giudice unico o rimette la causa avanti al collegio (costituito da tre giudici: giudice istruttore più altri due giudici) nelle ipotesi previste dalla legge. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva ma il giudice di appello (il tribunale per le sentenze del giudice di pace e del pretore e la Corte d'Appello per quelle del tribunale) può sospendere l'efficacia esecutiva quando ricorrono gravi motivi. Nel giudizio d'appello, adito dalla parte soccombente nei termini di legge, sono inammissibili le domande nuove e, salvo eccezioni, i nuovi mezzi di prova. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. Le sentenze pronunciate in grado di appello (che abbiano o meno confermato la sentenza di primo grado) o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione esclusivamente per motivi relativi a una cattiva applicazione delle norme di diritto e nei termini di legge. La sentenza di cassazione può essere pronunciata con o senza rinvio. Nel primo caso la sentenza oggetto del ricorso è cassata e la causa viene attribuita a un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza stessa affinché la decida. Nel secondo caso può trattarsi di una mera conferma della sentenza impugnata o di una decisione relativa alla giurisdizione o alla competenza. Altri mezzi di impugnazione sono la revocazione e l'opposizione di terzo. La decorrenza dei termini stabiliti dalla legge per proporre impugnazioni definisce l'iter del processo statuendo il cosiddetto passaggio in giudicato della sentenza e quindi la costituzione del titolo per ottenere, nel caso di decisione di condanna o costitutiva, l'adempimento della parte soccombente. l’organo giurisdizionale, sulla scorta di tutta l’attività fino ad allora svolta, emette il provvedimento. La citazione La citazione costituisce l’atto introduttivo del processo di cognizione ordinario. La funzione della domanda è duplice: da un lato, individua l’oggetto del processo, e cioè la situazione sostanziale e la tutela che si richiede al Giudice; dall’altro lato, porta questa richiesta di tutela giurisdizionale a conoscenza quanto meno di altri due soggetti ovvero la controparte, per il rispetto dell’articolo 24 della costituzione (diritto di difesa), e il giudice. Questa fase introduttiva della causa assume una forma diversa a seconda che riguardi il rito ordinario o il processo del lavoro nel quale prende il nome di ricorso. Le differenze intercorrenti tra questi due atti non sono tanto differenze di contenuto quanto il fatto che la citazione viene prima notificata alla controparte e successivamente depositata presso la cancelleria del giudice; il ricorso viene invece prima depositato presso la cancelleria del Giudice e successivamente portato a conoscenza della controparte. Secondo gli articoli 163 e 163 bis gli elementi della citazione sono i seguenti: 1. l’indicazione del giudice alla quale la domanda è rivolta; 2. l’indicazione delle parti; 3. l’indicazione della cosa oggetto della domanda: occorre distinguere il cosiddetto petitum immediato, che è il provvedimento che si chiede al Giudice, dal petitum mediato che è la situazione sostanziale dedotta in giudizio; 4. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda: vale a dire la causa petendi, la fattispecie costitutiva del diritto (es. rivendicando la proprietà di un bene la causa petendi sarà costituita dal contratto di acquisto, il petitum immediato dal provvedimento di accertamento del diritto, il petitum mediato dal diritto di proprietà sul bene stesso). La causa petendi riveste, all’interno del processo, un ruolo diversificato a seconda che si tratti di diritti autoindividuati o diritti eteroindividuati. I primi sono quelli che non hanno bisogno della causa petendi per essere individuati (i diritti assoluti in genere, i diritti reali, della personalità e anche i diritti personali di godimento, qualora abbiano ad oggetto un bene determinato); i secondi sono quelli che per essere individuati hanno bisogno della fattispecie costituiva poiché al moltiplicarsi delle fattispecie costitutive, si 27 Al che vi sia nullità della citazione con riferimento alla editio actionis, la sola costituzione del convenuto non è sufficiente a sanare tale nullità. La sanatoria può provenire soltanto da un’attività dell’attore, il quale faccia acquisire al processo l’elemento carente, e cioè integra la propria domanda individuando la situazione sostanziale controversa. La sanatoria conseguente ai vizi della editio actionis non ha efficacia retroattiva: gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono dal momento della rinnovazione della citazione e cioè dal momento della notificazione di tale atto, oppure dal momento della integrazione della domanda, e cioè del deposito, notificazione o scambio della stessa, a seconda dei casi. Le difese del convenuto Il convenuto si difende attraverso una comparsa di risposta, che è l’atto speculare della citazione, quantunque della citazione non abbia necessariamente contenuti. Se con la comparsa di risposta non si propongono nuove domande, essa costituisce un atto che fa parte della fase di trattazione. Alcune attività (nelle difese, eccezioni in senso lato e prove) possono essere compiute anche nel corso del processo. Invece, il convenuto deve, a pena di decadenza, nell’atto introduttivo, proporre le sue domande, cioè, introdurre in giudizio un diritto diverso di cui egli chiede la tutela. Gli strumenti che sono a disposizione del convenuto sono la domanda riconvenzionale e la chiamata in causa del terzo. La costituzione in giudizio e la trattazione della causa Successivamente alla notifica della citazione le parti debbono costituirsi in giudizio. I termini sono di 10 giorni per l’attore dalla notificazione dell’atto introduttivo e venti giorni per il convenuto prima dell’udienza di comparizione. Se una delle parti si costituisce nei termini suddetti, l’altra parte può costituirsi all’udienza stessa. Se invece nessuna delle parti si costituisce, il processo entra in uno stato di quiescenza per la durata di un anno. La parte che non si è costituita in giudizio è qualificata come contumace; si applicano quindi le speciali norme del procedimento in contumacia, degli articoli 290 e segg.. Se invece la parte si costituisce, però poi non si fa vedere alle udienze, si ha un fenomeno chiamato assenza che non comporta l’applicazione delle citate norme sulla contumacia. Altra conseguenza della costituzione in giudizio consiste nel fatto che le notificazioni e comunicazioni si fanno al procuratore costituito, per alcune ragioni di più agevole reperibilità. A questo punto segue l’iscrizione a ruolo e la designazione da parte del presidente del tribunale del giudice istruttore. Il giudice istruttore può dilazionare l’udienza di 30 30 comparizione fissata dall’attore, al fine di poter dedicare a ciascun udienza di prima comparizione il tempo necessario. Qualora all’udienza di prima comparizione non si presentino regolarmente le parti potremo avere due ipotesi: A) nessuno compare di fronte al Giudice: il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo. Tuttavia, tramite un atto di riassunzione, la causa può essere riaperta entro un anno dalla data di cancellazione. B) Compare solo il convenuto: questi può chiedere che si proceda in assenza dell’attore; in tal caso il processo va avanti. Se il convenuto tace, il giudice fissa un’altra udienza che viene comunicata al procuratore dell’attore. Se l’attore è assente anche alla nuova udienza, il giudice cancella la causa dal ruolo, ma qui senza l’anno di quiescenza come nel caso precedente. Il processo si estingue immediatamente. Entriamo adesso nella fase di trattazione della causa. La normativa vigente ha reintrodotto nel nostro ordinamento il principio di eventualità: tale principio consiste nella divisione della fase di trattazione in un primo momento, dedicato all’allegazione dei fatti, ed in un secondo momento, dedicato alla prova di quelli, fra i fatti allegati, che siano controversi. Tuttavia è stata abbandonata la versione rigida del principio di eventualità, propria del diritto del lavoro, separando la fase in cui si acquisiscono al processo i fatti controversi da quella dedicata all’acquisizione delle istanze istruttorie e dei documenti. In secondo luogo, e principalmente, nella prima udienza di trattazione sono possibili acquisizioni ulteriori, rispetto al contenuto degli atti introduttivi. Tali acquisizioni si ricollegano a due diversi fenomeni: A) da un lato abbiamo le nuove acquisizioni che discendono dall’attuazione del contraddittorio, e cioè costituiscono la replica all’esercizio di poteri processuali altrui. B) dall’altro lato abbiamo le nuove acquisizioni che non si ricollegano alla dialettica processuale, e cioè che non dipendono dall’esercizio di poteri processuali altrui, ma che configurano uno “ius poenitendi” della parte. In particolare, per quanto attiene al primo gruppo, avremo: 1. L’attore potrà proporre una domanda di accertamento incidentale o una “reconventio reconventionis” allorché il convenuto abbia contestato l’esistenza del diritto pregiudiziale, o, rispettivamente, abbia introdotto in giudizio, in via di domanda o di eccezione, una situazione sostanziale ulteriore rispetto a quella individuata con la citazione. 31 2. L’attore potrà chiamare in causa il terzo, indicato dal convenuto come il vero titolare del diritto o dell’obbligo dedotto in giudizio; potrà anche chiamare in garanzia il terzo, quando il convenuto, in via riconvenzionale, chieda l’accertamento di un proprio diritto incompatibile con quello dedotto in giudizio dall’attore e tale quindi che, se fatto valere in via principale, avrebbe consentito la chiamata in garanzia. 3. L’attore potrà poi, di fronte ad una domanda riconvenzionale o di accertamento incidentale, allegare fatti integrativi, modificativi o estintivi del diritto introdotto in tal modo in giudizio. Inoltre, non essendo costituzionalmente lecito precludere i poteri la cui splendida trova la sua ragion d’essere nelle difese della controparte, occorre integrare le lacunose previsioni della norma in esame nella misura che segue: 1. Per quanto riguarda la posizione dell’attore, egli potrà - oltre a proporre domande ed eccezioni - anche più in generale compiere ulteriori allegazione di fatti, quando tali allegazioni costituiscono la replica alle difese del convenuto. 2. Quanto visto finora vale non soltanto per l’attore, ma anche specularmente per il convenuto in ottemperanza del principio del contraddittorio. Il principio del contraddittorio riguarda non soltanto le parti ma anche il giudice il quale deve indicare a queste le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione. L’attiva partecipazione del Giudice al dialettico svolgimento del processo gli impone quindi di indicare alle parti, fin dalla prima udienza, quale sia, a suo avviso, la corretta impostazione in diritto della controversia; e le parti potranno, sulla base di questa indicazione, operare le opportune modifiche alle loro difese, e soprattutto introdurre in giudizio quei fatti, la cui allegazione era stata omessa nell’erroneo convincimento della loro irrilevanza. Una volta chiusa la fase processuale esaminata, ulteriori allegazioni non sono ammissibili, se non eccezionalmente, nell’ulteriore corso del processo di primo grado. Quando ciò è possibile si deve a due diversi gruppi di ipotesi: da un lato vi sono le sopravvenienze, in fatto o in diritto; dall’altro vi è il mancato funzionamento dei meccanismi di attuazione del contraddittorio. Per quanto riguarda il primo gruppo di casi, si può precisare: 32 32 Effettuato il controllo sul rito, cioè sulla regolarità del processo, il giudice passa all’esame del merito: comincia vedere quali elementi è necessario raccogliere per poter giungere ad una decisione di merito. Se la causa è matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, il giudice istruttore rimette le parti davanti al collegio, chiude cioè la fase di trattazione e passa alla fase di decisione. La causa è matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova essenzialmente in tre ipotesi: 1. La più frequente si ha quando la controversia fra le parti è una controversia solo in punto di diritto. 2. Quando vi sono punti controversi tra le parti, però questi fatti non pacifici sono costruiti attraverso una prova documentale. 3. Quando vi sono fatti controversi che non sono istituiti documentalmente e però nessuna delle parti fa istanza per l’assunzione di mezzi prova e non vi sono mezzi di prova ammissibili d’ufficio che siano in concreto utilizzabili in quel certo procedimento. Le questioni preliminari e pregiudiziali Perché la domanda dell’attore sia accolta occorre che la fattispecie costitutiva sia integrata e che non vi siano fatti impeditivi, modificativi, estintivi. In caso contrario il diritto non esiste, l’effetto giuridico non si produce, o se si è prodotto si estingue. In questo ultimo caso non è necessario che la causa sia completamente istruita. Infatti, qualora nel corso del processo il giudice rilevi l’esistenza di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo, rimetterà la causa in decisione su una questione preliminare. Le questioni pregiudiziali, astrattamente idonee alla definizione del giudizio, sono quelle che attengono ai presupposti processuali, cioè alle condizioni per la decisione del merito. Il giudice che rileva il vizio di un presupposto processuale, se si tratta di un presupposto processuale sanabile, deve dare dapprima le disposizioni per sanarlo, non può procedere ai sensi dell’articolo 187-3 rimettendo immediatamente la causa in decisione, cosa che invece farà: o quando il vizio del presupposto processuale è insanabile, o quando, pur essendo sanabile pur avendo dato disposizioni per sanarlo, le parti non si sono attivate. I provvedimenti sull’attività istruttoria e le ordinanze provvisionali Quando la causa bisogno dell’istruzione probatoria il giudice istruttore decide sull’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova e all’esito di questo giudizio assume mezzi di prova. Se sono fatte al Giudice istanze relative all’istruzione probatoria il potere 35 primario di decidere su queste istanze è del giudice istruttore. Sarà il giudice istruttore in prima persona ad esporsi in questo giudizio che verrà dato con un’ordinanza. Dobbiamo ora vedere come il giudice istruttore esercita i poteri che l’ordinamento gli attribuisce. Abbiamo visto che il giudice istruttore chiede alle parti i chiarimenti necessari e soprattutto indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione. Questa norma garantisce il principio del contraddittorio anche nei confronti dei poteri del giudice. In sostanza il giudice non può esercitare i poteri d’ufficio solitariamente, cioè senza prima invitare le parti ad esporre il loro punto di vista, ma deve fare in modo che della questione si possa decidere nel contraddittorio delle parti. L’istruzione probatoria Tutte le volte in cui le parti non danno una comune versione dei fatti storici allegati sarà necessaria un’attività istruttoria. Innanzitutto occorre operare una prima distinzione tra prove precostituite, come quelle documentali che non hanno bisogno di essere acquisite al processo attraverso uno speciale procedimento, e prove costituende ovvero quelle che devono essere formate all’interno del processo. I mezzi di prova si possono distinguere in tre categorie, a seconda del modo in cui si giunge a dimostrare nel processo l’esistenza del fatto allegato: 1. prove dirette: quelle nelle quali il giudice percepisce direttamente il fatto allegato con i propri sensi (es. l’ispezione); 2. prove indirette o rappresentative: quelle in cui tra il fatto storico e la percezione del giudice c’è uno strumento rappresentativo (es. la testimonianza); 3. prove critiche o presuntive o indiziarie: quelle risultanti dalla prova diretta o indiretta di un fatto secondario da cui il giudice deduce con un ragionamento critico, la prova del fatto primario. Per quanto riguarda le prove indirette, il problema che si pone consiste nel valutare l’attendibilità dello strumento rappresentativo. L’art. 116 dispone che il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento ovvero valutare secondo regole tratte dall’esperienza di tutti i giorni, le c.d. massime d’esperienza. Accanto alla prova liberamente valutabile sta la prova legale, ossia, la prova di cui il legislatore individua e da al Giudice la regola di valutazione, dicendo quindi che, in presenza di un determinato presupposto, il suo giudizio deve essere di attendibilità della 36 36 prova. Ovviamente, quando si tratta di prova legale, è esclusa la libera valutazione del giudice. Il nostro ordinamento conosce anche delle prove minori, i cosiddetti argomenti di prova: possono essere desunti dalle risposte delle parti all’interrogatorio libero, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire alle ispezioni ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo. L’argomento di prova, da solo, non è idoneo a far ritenere esistente un certo fatto, ma può essere usato solo come strumento per valutare, e, se del caso, integrare i mezzi di prova veri. Per quanto riguarda le presunzioni (prove indiziarie o critiche), si dividono in tre categorie: 1. presunzioni assolute (art. 2728): contro di esse non si ammette prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge (es. “culpa in eligendo” e art. 599 c.c.); 2. presunzioni legali semplici: dispensano da qualunque tipo di prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite e operano come inversione dell’onere della prova (es. art. 2054 c.c. sulla responsabilità del conducente); 3. presunzioni non stabilite dalla legge: l’art. 2729 c.c. dice che tali presunzioni sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Trattiamo ora dei poteri istruttori d’ufficio che sono: • ispezione di cose e di persone; • richiesta di informazioni alla Pubblica Amministrazione; • testimonianza “de relato”; • giuramento suppletorio; L’esercizio di tali poteri deve avvenire con riferimento ai fatti allegati dalle parti. Quando il giudice ha dei poteri istruttori significa che può utilizzare questi poteri istruttori per provare l'esistenza di fatti allegati dalle parti; non ha, dunque, poteri di allegazione d’ufficio. Vediamo ora il giudizio di ammissibilità e di rilevanza dei mezzi prova. Il giudizio di ammissibilità è un giudizio di diritto e riguarda limiti che l’ordinamento pone alla utilizzazione di determinati mezzi di prova. Il giudizio di rilevanza si fonda invece su esigenze di economia processuale e cioè sull’opportunità di acquisire al processo prove che poi servano al momento della decisione. I giudizi di ammissibilità e rilevanza sono effettuati in due momenti diversi, a seconda che si tratti di prove precostituite o 37 La scrittura privata è quel documento che contiene dei segni grafici enuncianti manifestazioni di volontà o di scienza e si distingue dall’atto pubblico perché non è formata da un pubblico ufficiale e conseguentemente si presenta come un testo scritto di cui bisogna pregiudizialmente stabilire l’imputabilità. L’imputabilità del contenuto della scrittura privata è risolto dall’ordinamento attraverso la sottoscrizione. A questa regola della “necessità della sottoscrizione” si fa eccezione soltanto in casi particolari (es. le annotazioni fatte dal creditore su un documento rimasto in suo possesso che tendono ad accertare la liberazione del debitore). Resta il problema di accertare la genuinità della sottoscrizione. I meccanismi sono tre: 1) il riconoscimento: può essere espresso o tacito. E’ espresso quando la parte dichiara espressamente di riconoscere la propria sottoscrizione. E’tacito quando la parte non si attiva (e l’ordinamento glielo impone) per disconoscere una sottoscrizione non propria. L’art. 215 c.p.c. stabilisce che il disconoscimento deve essere effettuato nella prima difesa successiva all’udienza in cui è prodotta la scrittura. 2) l’autenticazione: si ha quando la sottoscrizione è apposta in presenza di un pubblico ufficiale previa identificazione, da parte di questi, del sottoscrivente. 3) la verificazione: si ha quando si intende utilizzare una scrittura tempestivamente disconosciuta dalla controparte. Se chiesta in via incidentale la verificazione non sospende il procedimento in corso dal momento che si configura come una fase endoprocessuale. Può essere chiesta anche in via principale (quando ad esempio serva per la trascrizione); in questo caso è possibile trascrivere la domanda di verificazione con l’effetto di far retroagire alla data di tale trascrizione quella successiva ottenibile con la scrittura privata e la sentenza che ne accerta la sottoscrizione. Da un punto di vista tecnico, la verificazione si svolge attraverso la consulenza di un perito calligrafo e attraverso le c.d. “scritture di comparazione”. L’art. 2702 c.c. afferma che “la scrittura privata fa piena prova”, sottolineando così che la scrittura privata è una prova legale. Perché la scrittura privata sia opponibile, quanto alla data, rispetto ai terzi, cioè sia certo che quella scrittura è effettivamente venuta ad esistenza in una certa data e non è stata creata successivamente dalla parti con una retrodatazione, bisogna che accada una delle ipotesi previste dall’art. 2704 c.c.: 40 40 a) che la scrittura sia autenticata (in tal caso il pubblico ufficiale indica anche la data); b) che venga registrata; c) quando sopraggiunge un evento che da certezza che la scrittura non possa essere stata formata successivamente, come ad esempio nel caso della morte di una parte; d) quando la scrittura è stata riprodotta in un certo atto pubblico; e) dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca, in modo egualmente certo, l’anteriorità della formazione del documento. Segue: le altre prove documentali Vediamo velocemente alcuni documenti particolari: • Telegramma: gli artt. 2705 e 2706 prevedono che il telegramma abbia l’efficacia di una scrittura privata se il testo originale è sottoscritto dal mittente oppure se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo anche senza sottoscriverlo. • Telex e Fax: si pone il problema del luogo da cui è partito e in cui è arrivato. Per il fax esiste un’intestazione con indicato il numero di telefono del mittente e del destinatario oltre alla data e ora di invio (anche se tali dati, a onor del vero, sono facilmente alterabili). Per il telex la stessa cosa. • Scritture contabili dell’imprenditore: secondo l’art. 2709 le scritture contabili sono utilizzabili contro l’imprenditore. Lo sono anche a favore, nei rapporti che riguardano l’impresa, quando siano fatte valere contro un altro imprenditore che ugualmente abbia l’obbligo di tenere quelle certe scritture contabili. • Rappresentazioni meccaniche (filmati, registrazioni, floppy disk ecc.): naturalmente possono rappresentare o direttamente il fatto rilevante oppure la narrazione di un fatto rilevante. Hanno efficacia di prova legale a condizione che colui contro il quale sono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti e alle cose medesime. In tal caso occorrerà procedere ad un’indagine circa l’attendibilità di queste prove. • Copie di atti: gli artt. 2714 e 2715 stabiliscono che le copie di atti pubblici o scritture private, depositate presso pubblici depositari, hanno la stessa efficacia dell’originale. 41 • Fotocopie: l’art. 2719 stabilisce che hanno la stessa efficacia delle autentiche se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta. • Atti di ricognizione e rinnovazione: sono quegli atti che si compiono all’interno di quei rapporti con durata molto lunga nel tempo e in pratica hanno lo scopo di rinnovare il titolo originario. L’art. 2720 afferma che l’atto di ricognizione o rinnovazione fa piena prova delle dichiarazioni contenute nel documento originale, prova che può essere combattuta solo producendo l’originale per accertare che vi è stato un errore nella ricognizione o rinnovazione. Passiamo adesso ai profili dinamici della prova documentale cioè a come tali prove vengono ad inserirsi nel processo. Il meccanismo più semplice è naturalmente la produzione del documento che si ha inserendo quest’ultimo nel proprio fascicolo e dandone atto: o a verbale dell’udienza, o negli atti introduttivi ecc. La produzione di un documento è naturalmente possibile qualora sia nella materiale disponibilità della parte che vuole produrlo. In caso contrario, quando occorre acquisire al processo un documento in possesso di altro soggetto, si ricorre al meccanismo dell’esibizione. L’art. 210 c.p.c. prevede che il giudice possa ordinare, su istanza di parte, ad altra parte o a un terzo, di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo. Naturalmente se la parte cui viene rivolto l’ordine di esibizione nega di possedere il documento, l’altra deve dimostrare che invece la possiede. Prima di passare all’esame delle prove costituende occorre soffermarsi un attimo su un istituto a metà strada fra la prova documentale e la prova costituenda: la richiesta di informazioni alla Pubblica Amministrazione. L’art. 213 comincia dicendoci che, fuori dai casi degli artt. 210 e 211 (cioè l’esibizione), il giudice può richiedere d’ufficio informazioni scritte alla P.A. relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa che è necessario acquisire al processo. Una prima problematica interpretativa della norma è legata al significato di “fuori dai casi”. Il pensiero più diffuso è ancora quello di attribuire alla locuzione un significato avversativo: in tal caso l’utilizzabilità dell’istituto è ristretta all’ipotesi in cui il documento non è reperibile direttamente dalla parte perché la P.A. si rifiuterebbe legittimamente di dare quell’informazione. L’altra lettura, invece, può trasformare la stessa locuzione in “oltre che nei casi”. In tal caso, la richiesta di informazioni non è più un istituto che si 42 42 udienza. Se la parte non fa intimare i testimoni e questi non compaiono, la controparte può chiedere la decadenza della prova testimoniale. L’assunzione dei testimoni avviene previo loro giuramento, dopodiché il testimone dichiara le proprie generalità, i propri rapporti con le parti, quindi viene interrogato sui capitoli di prova. La confessione L’art. 2730 c.c. definisce la confessione come una dichiarazione che una parte fa della verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli ad altra parte. Il fatto storico, che di per sé non dice niente, può essere qualificato come favorevole o sfavorevole e quindi può avere o meno l’efficacia della confessione a seconda della fattispecie in cui questo fatto si va ad inserire. La confessione è una prova rispetto alla quale si rendono necessari dei requisiti di disponibilità soggettiva ed oggettiva. Per confessare è necessaria la capacità soggettiva di disposizione del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono e la disponibilità oggettiva del diritto stesso. L’efficacia della confessione trova la sua radice nella regola di comune esperienza per cui chi dichiara fatti a sé sfavorevoli dichiara la verità ed ha efficacia di piena prova, il che significa che il giudice non potrà mettere in dubbio quanto confessato. Vi sono però casi in cui la confessione non ha efficacia di prova legale bensì di prova liberamente valutabile. Ai sensi dell’art. 2733 ultimo comma, ad esempio, la confessione resa soltanto da alcuni dei litisconsorti “è liberamente apprezzabile dal giudice” (questo vale oltre che per il litisconsorzio necessario anche per quello unitario o quasi necessario). Nel litisconsorzio facoltativo semplice, invece, la confessione fa piena prova nell’ambito del rapporto che fa capo al soggetto che ha reso la confessione; non ha invece efficacia probatoria sui diritti paralleli che non fanno capo al soggetto che ha reso la confessione. Altro caso in cui la confessione si configura come prova liberamente apprezzabile è quella della “dichiarazione complessa”: in tal caso colui che dichiara fatti a sé sfavorevoli ne dichiara anche altri a sé favorevoli (es. dichiaro di aver preso una somma a mutuo ma anche di averla restituita). In tal caso il valore della prova testimoniale dipende dalla controparte: se questa contesta i fatti aggiunti favorevoli il giudice valuterà liberamente la testimonianza, in caso contrario saremo di fronte ad una prova legale (tenuta ferma l’inscindibilità delle dichiarazioni oggetto della confessione). 45 Altra ipotesi di confessione liberamente valutabile è quella prevista nell’art. 2735 c.c. secondo il quale “se la confessione è fatta da un terzo o se è contenuta in un testamento, è liberamente apprezzata dal giudice”. Detto questo possiamo passare alla natura giuridica della confessione: si tratta di una dichiarazione rivolta ad una persona determinata - non quindi di una dichiarazione al pubblico - in quanto o è resa nel processo o (se stragiudiziale) è resa o alla controparte o a un terzo. E’ quindi rilevante il soggetto a cui la dichiarazione è resa, dipendendo da ciò la diversa efficacia della confessione. La revoca della confessione può aver luogo soltanto per errore di fatto o violenza. Non basta dimostrare l’errore oggettivo nella dichiarazione confessoria, bisogna dimostrare l’errore soggettivo di chi l’ha resa nel momento in cui l’ha resa. La confessione può essere stragiudiziale o giudiziale. Quest’ultima può essere spontanea o provocata mediante interrogatorio formale (che è lo strumento con cui si cerca di acquisire al processo la confessione della parte). L’ammissione dell’interrogatorio formale avviene con ordinanza istruttoria del G.I. Una volta ammesso l’interrogatorio viene fissata la data di espletamento dello stesso. A questa udienza deve comparire personalmente la parte. Se la parte compare gli vengono letti gli articoli che sono formulati in senso sfavorevole alla parte che risponde, quindi sono già formulati come una confessione. In sostanza, se la parte risponde “si” alle domande, rende una confessione, perché le domande sono prospettate in modo da contenere fatti sfavorevoli alla parte che è interrogata. Se la parte non si presenta o presentandosi rifiuta di rispondere, senza che questo sia giustificato, l’art. 232 c.p.c. ci dice che il giudice al momento della decisione, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Il giuramento Il nostro ordinamento conosce tre forme di giuramento: il giuramento decisorio, il giuramento suppletorio e il giuramento estimatorio. Il giuramento decisorio è quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa. La dichiarazione che effettua la parte in tanto ha valore probatorio in quanto questa dichiarazione sia stata preceduta da un atto della controparte che invita a farla. Possiamo addirittura dire che il giuramento sia in realtà un mezzo di decisione della lite che il giudice poi recepisce formalmente nella sentenza. Proprio per questo motivo, però, l’ordinamento impone ancor più che per la confessione 46 46 dei limiti di ammissibilità. Anzitutto è da notare che la capacità di disporre del diritto deve risultare in capo a colui che deferisce il giuramento e non a chi lo presta. Altri limiti sono sanciti dall’art. 2739 c.c. come l’impossibilità di deferire il giuramento sopra un fatto illecito o per provare l’esistenza di un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta. L’art. 2739 ultimo comma ci dice che il giuramento può essere deferito su un fatto proprio (giuramento “de veritate”) o su un fatto altrui (giuramento “de scentia”); ciò è rilevante riguardo alla dichiarazione di ignorare (“non so, non ricordo”). In tal caso infatti, qualora si tratti di un giuramento “de veritate”, la giurisprudenza parifica l’ignorare al non voler giurare e quindi la parte soccombe. Invece, nel giuramento “de scentia”, la parte che non ricorda vince la causa. Vediamo ora il procedimento di deferimento e prestazione del giuramento. Il deferimento del giuramento è regolato dall’art. 233 c.p.c. E’uno di quegli atti che non rientrano nei poteri del difensore legale. Deve essere proposto dalla parte o da un procuratore speciale. Il giuramento deve essere deferito “in articoli separati in modo chiaro e specifico. Colui che si vede deferito il giuramento, oltre che a giurare e non giurare, può anche “riferire” il giuramento ovvero “rimandare la palla”, con la semplice inversione del verbo della formula, a colui che lo aveva deferito. Ciò è sempre possibile quando l’oggetto del giuramento è comune alle parti. Il giuramento, come tutte le prove costituende, è soggetto a provvedimento di ammissione da parte del giudice, che deve valutarne la ammissibilità e la rilevanza. Il fatto oggetto del giuramento deve essere tale per cui, una volta avuto il giuramento, non c’è da vedere assolutamente altro. Nel nostro ordinamento esiste anche il giuramento suppletorio che è deferito dal giudice nei casi di “semiplena probatio” e il giuramento estimatorio deferito anch’esso dal giudice quando occorre la valutazione di una cosa che ad esempio è andata distrutta. L’ispezione, l’esperimento giudiziale, il rendiconto L’ispezione può essere di cose o di persone ed è tipicamente una prova diretta, perché attraverso essa il giudice entra in contatto immediato con il fatto storico rilevante in causa. L’ispezione incontra dei limiti: si deve distinguere tra ispezione di luoghi e ispezione di persone anche se l’art. 118 c.p.c. non distingue espressamente. Secondo l’art. 118 c.p.c. l’ispezione deve apparire indispensabile per conoscere i fatti di causa (deve cioè 47 Altra ipotesi si ha quando il collegio definisce il giudizio decidendo questioni preliminari di merito (è chiaro che se ad esempio risulta provata l’inesistenza di un fatto costitutivo è inutile andare avanti nel procedimento). Riassumendo: si ha decisione di rito definitiva quando si dichiara mancante un presupposto per la pronuncia di merito; si ha decisione di merito definitiva quando viene accolta o rigettata la domanda. L’art. 279 n. 4 prevede anche l’ipotesi in cui il giudice non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa. Ciò avviene quando il G.I. ha erroneamente ritenuto definibile un giudizio per una questione pregiudiziale o preliminare. In tal caso non ha proceduto all’istruzione completa della causa e quindi, in fase di decisione, viene emessa una sentenza non definitiva di merito con cui viene stabilita la non rilevanza della questione preliminare o pregiudiziale e si ordina il proseguimento dell’istruttoria. Si capisce che in tale situazione può accadere che una parte risulti soccombente rispetto alla sentenza non definitiva ma che successivamente si veda vittoriosa dopo la sentenza definitiva (es. il convenuto che si vede rigettare un’eccezione di prescrizione con la non definitiva e poi il giudice dirà che il diritto non esisteva, togliendo ogni valore alla prima pronuncia). Per questo motivo l’ordinamento offre al soccombente della non definitiva la possibilità: a) di non fare niente, e la sentenza non definitiva passa in giudicato; b) di impugnare subito per far ridecidere al giudice d’appello la questione pregiudiziale o preliminare; c) di riservarsi l’impugnazione, riserva che sarà sciolta nel momento in cui sarà emessa la sentenza definitiva. Quest’ultima ipotesi è regolata dall’art. 340 c.p.c. il quale prevede che contro una sentenza non definitiva è possibile riservarsi l’appello purché tale riserva sia comunque fatta entro il termine per appellare e comunque non oltre la prima udienza davanti al giudice istruttore. Qualora non si arrivi mai ad una sentenza definitiva (perché magari il processo si estingue) l’art. 129 delle disp. att. c.p.c. prevede che la sentenza contro cui fu fatta la riserva acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui il provvedimento che pronuncia l’estinzione del processo diventa definitivo. Da questo momento iniziano a decorrere i termini per l’impugnazione (30 giorni se la non definitiva è stata notificata o un anno se non è stata notificata). La sentenza di condanna generica 50 50 Recita l’art. 278 c.p.c.: “quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione. In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.” Presupposti per la pronuncia di condanna generica sono quindi: a) nel processo si deve essere acquisita sufficiente certezza sull’esistenza del diritto e si deve ancora effettuare attività istruttoria per la quantificazione; b) la parte che ha fatto valere il diritto ne deve fare richiesta; c) la controparte non deve opporsi alla richiesta. La condanna generica non è sufficiente per instaurare un’esecuzione forzata poiché manca la quantificazione. Abbiamo poi due casi particolari: a) art. 2818 c.c. (ipoteca giudiziale): la sentenza di condanna generica è titolo sufficiente per l’iscrizione di una ipoteca giudiziale; b) art. 2953 c.c. (prescrizione): le prescrizioni più brevi di quelle decennali si trasformano in prescrizioni decennali quando i diritti, che si prescrivono in termini più brevi, sono oggetto di sentenze di condanna. La sentenza in caso di processo con cumulo oggettivo Ai sensi dell’art. 277 c.p.c. “il collegio, nel deliberare sul merito, deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni definendo il giudizio. Tuttavia il collegio, anche quando il G.I. gli ha rimesso la causa a norma dell’art. 187 primo comma, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria una ulteriore istruzione (...)”. Quest’ultima ipotesi può attuarsi in due diversi modi: 1) art. 279 n. 5: il collegio dispone la separazione delle cause prima di deciderle; 2) art. 277/2: “(...) se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza”. Occorre cioè che la parte faccia istanza e che la definizione delle cause “definibili” si di interesse apprezzabile. 51 Il primo caso non pone particolari problemi: in pratica abbiamo la creazione di una pluralità di processi, ognuno indipendente dall’altro. Il secondo caso è invece più delicato: le sentenze previste dall’art. 277 non sono “non definitive” ma “parzialmente definitive”. In altre parole le eventuali conseguenze non possono essere annullate dalle successive sentenze definitive, ma soltanto mitigate. Tutto ciò rileva riguardo alla questione dell’ammissibilità, anche per le sentenze parzialmente definitive, della riserva di impugnazione. A dire il vero fra le due situazione non vi è la stessa ratio: per le sentenze parzialmente definitive non ha senso stare ad aspettare una successiva pronuncia definitiva se questa non può influire di diritto sulla prima. Tuttavia, analizzando il problema sotto altra ottica, si prospetta una diversa soluzione: è vero infatti che nell’economia della controversia, la parte che deve valutare l’opportunità di impugnare, valuta la decisione della causa nella sua globalità. In altre parole ci sono casi in cui ad una parte può andar bene rimanere soccombente su una certa domanda e vittoriosa su un’altra. Per 30 anni giurisprudenza e dottrina non sono stati d’accordo sull’ammissibilità delle impugnazioni incidentali tardive, l’una per non ammetterle, l’altra si. Oggi la Cassazione, con alcune pronunce, sembra abbracciare la tesi della dottrina. Gli effetti della sentenza e la provvisoria esecuzione Vediamo ora gli effetti della sentenza. Anzitutto occorre distinguere due diversi piani: il problema dell’efficacia e quello dell’esecutività della sentenza. Per efficacia si intende la produzione degli effetti della sentenza, quali che essi siano. La esecutività della sentenza è invece una specie del genus della efficacia, e si riferisce a quell’effetto della pronuncia giurisdizionale che è la possibilità di fondare un’esecuzione forzata, quindi di acquistare efficacia di titolo esecutivo. La correzione della sentenza Ci sono casi in cui una sentenza può essere “corretta” senza bisogno di impugnarla. Gli artt. 287 e segg. disciplinano appunto la “correzione della sentenza” qualora si rilevi, inequivocabilmente, che c’è stato un errore da parte del giudice nel manifestare la propria volontà. I provvedimenti suscettibili di correzione sono: • le sentenze contro le quali non è proposto appello; • le ordinanze non revocabili. Gli elementi di cui si può avere la correzione riguardano ad esempio l’indicazione delle parti (nome, cognome ecc.), l’individuazione dei beni (es. se l’attore aveva agito in relazione a certi beni individuati catastalmente con i numeri 210 e 212 e il giudice si 52 52 La sospensione costituisce un arresto nella sequenza degli atti processuali a cui consegue una stasi del processo che entra in uno stato di quiescenza con la prospettiva di poter essere ripreso. Le ipotesi di sospensione sono raggruppabili in tre gruppi: a) sospensione propria: in presenza di “connessione per pregiudizialità” (cioè quando l’esistenza di una situazione sostanziale è fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale); naturalmente ciò è possibile solo qualora la questione pregiudiziale sia già oggetto di un separato processo davanti ad un altro giudice. In caso contrario lo stesso giudice avrebbe il potere di conoscere incidentalmente la situazione pregiudiziale (simultaneus processus). b) sospensione concordata: su istanza delle parti. Istituto desueto perché prevede la possibilità di ottenere una sospensione massima di quattro mesi quando sappiamo che in pratica fra un udienza e l’altra ne passano ormai sei, sette! c) sospensione impropria: quando nel corso di un giudizio ne sorge un altro collegato al primo che non può essere affrontato da solo per carenza di dimensione oggettiva. Ipotesi di sospensione impropria sono: 1. art. 48 I° comma: quando è proposto regolamento di competenza, i processi relativamente ai quali il regolamento è chiesto debbono essere sospesi; 2. art 367 I° comma: quando è proposto regolamento di giurisdizione; 3. art. 52 ultimo comma: ricusazione del giudice; 4. artt. 313 e 355: quando viene proposta querela di falso di fronte al giudice di pace, pretore o corte d’appello; 5. questioni di costituzionalità; 6. questioni sull’interpretazione di una norma comunitaria; 7. impugnazione immediata della sentenza non definitiva; 8. art. 398 ultimo comma: se contro la stessa sentenza è proposto sia ricorso in Cassazione sia revocazione, il ricorso in Cassazione può essere sospeso fino alla definizione della revocazione. Vediamo ora cosa succede quando le parti di due processi non sono le stesse. In tale ipotesi occorre stabilire caso per caso se il processo ad es. fra A e B è rilevante anche per C che è in causa con B. In caso affermativo il processo pregiudiziale si sospende altrimenti no. Ad esempio, la sentenza emessa fra conduttore e locatore fa stato nei confronti del subconduttore. 55 Altra problematica riguarda la pregiudizialità penale. Il legislatore del 1930 aveva fatto una doppia scelta: a) nel senso dell’efficacia del giudicato penale nel processo civile; b) nel senso che il processo civile si fermava nell’attesa della sentenza penale, tutte le volte in cui era pendente un processo penale che avrebbe potuto avere effetti all’interno del giudizio civile. Il legislatore del 1989, recepita la prima scelta, ha invece optato per una via totalmente diversa per quanto riguarda la seconda: ogni processo va avanti per conto proprio. Se poi il giudicato penale arriva in tempo utile per essere recepito nel processo civile, si recepisce; altrimenti non esplicherà alcun effetto nel processo civile, essendosi questo concluso. C’è però un’eccezione inerente alle azioni restitutorie e risarcitorie, quei diritti soggettivi cioè che trovano la loro origine nel reato e che portano, come conseguenza, alla restituzione o al risarcimento. Questo in due ipotesi: a) se si è avuta costituzione di parte civile e successivamente tale costituzione è stata volontariamente revocata, si ha la sospensione del processo civile in attesa della sentenza penale passata in giudicato; b) quando la domanda in sede civile è stata proposta dopo l’emanazione della sentenza penale di I° grado. Vediamo ora come è disciplinata la sospensione. Innanzitutto occorre distinguere fra le ipotesi in cui il processo si arresta automaticamente al solo verificarsi della fattispecie prevista dal legislatore e fra le ipotesi in cui spetta al giudice, con un suo provvedimento e dopo una sua valutazione di opportunità, disporre la sospensione. A sua volta, fra le prime ipotesi dobbiamo distinguere fra i casi in cui la sospensione opera automaticamente e quando invece deve essere comunque dichiarata dal giudice. Fanno parte della prima categoria per esempio le sospensioni per regolamento di competenza, rimessione degli atti alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia Europea; della seconda categoria fanno parte le ipotesi previste dall’art. 295 c.p.c. Nelle ipotesi di sospensione “legale” il provvedimento del giudice non è elemento costitutivo della fattispecie dell’effetto sospensione; la conseguenza è che se il giudice non sospende il processo gli atti successivi saranno comunque nulli ex art. 298 c.p.c. La stessa cosa non succede per quanto previsto dall’art. 295 c.p.c. dato che in questo caso il provvedimento del giudice è costitutivo della sospensione stessa. Vediamo ora gli effetti della sospensione. 56 56 La sospensione interrompe i termini in corso i quali ricominciano a decorrere ex novo dalla ripresa del processo. Durante la sospensione non possono essere compiuti gli atti del procedimento (ad eccezione dei provvedimenti cautelari e di certi provvedimenti ritenuti “urgenti” nei casi di sospensione per regolamento di competenza). L’interruzione L’istituto dell’interruzione serve a garantire l’effettività del contraddittorio allorché una parte si trova nell’impossibilità di continuare ad avvalersi dei propri poteri processuali. Per quanto riguarda la fattispecie a cui si applica l’istituto della interruzione dobbiamo distinguere: 1. eventi che attengono alla parte; 2. eventi che attengono al suo rappresentante legale; Le ipotesi che il legislatore prende in considerazione sono: 1. morte della parte (cui equiparare l’estinzione della persona giuridica); 2. morte del rappresentante legale (es. il padre che sta in giudizio per il figlio minore); 3. perdita della capacità della parte; 4. perdita della capacità del rappresentante legale; 5. cessazione della rappresentanza legale (es. quando il minore diventa maggiorenne). Iniziamo a distinguere a seconda di quando si verificano questi eventi rispetto al processo. 1. si verificano prima della proposizione della domanda giudiziale: se l’estinzione del soggetto si verifica rispetto alla parte, intesa come colui cui si imputano gli effetti processuali, il processo è inesistente. In tutti gli altri casi (es. morte del rappresentante legale) siamo in presenza di una nullità sanabile ai sensi dell’art. 182 c.p.c.; 2. si verificano dopo la notificazione della domanda ma prima della costituzione in giudizio: si ha l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 299 salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione; 3. si verificano tra la costituzione delle parti e l’udienza di discussione della causa: abbiamo allora tre sotto-ipotesi: • il fenomeno interruttivo ha riguardato un soggetto che si è costituito in giudizio attraverso un rappresentante tecnico. In tal caso l’interruzione non si 57 • se invece accoglie la domanda e dichiara l’estinzione, tale ordinanza è immediatamente reclamabile al collegio ai sensi dell’art. 178. Il collegio in tal caso può decidere con ordinanza non impugnabile l’accoglimento del reclamo (ma la questione può essere riproposta al momento della precisazione delle conclusioni) oppure respingerlo. In quest’ultimo caso emetterà sentenza dato che deve essere possibile la proposizione degli ordinari mezzi di impugnazione. Se viene eccepita davanti al collegio il provvedimento sarà: • una sentenza, se si ritiene che l’estinzione c’è stata; • un’ordinanza, se si ritiene che non ci sia stata e si debba ritornare in istruttoria; • ancora una sentenza, qualora si ritenga l’eccezione di estinzione infondata e la causa matura per la decisione. Per finire, oltre a non estinguere l’azione, l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti ad eccezione delle sentenze di merito (naturalmente non definitive o parzialmente definitive) e delle sentenze della Corte di Cassazione sulla competenza. Inoltre le prove raccolte valgono come argomenti di prova. Il procedimento innanzi al pretore ed al giudice di pace Il titolo secondo del secondo libro del codice di procedura civile analizza le norme particolari che riguardano il procedimento innanzi al pretore ed al giudice di pace lasciando applicabili, in via residuale, le norme del procedimento davanti al Tribunale. L’art. 312 amplia i poteri istruttori dei due giudici consentendo il ricorso alla prova testimoniale al di là dei limiti previsti dall’art. 257 I° comma. L’art. 313 prevede che, ove sia proposta querela di falso, il pretore o il giudice di pace sospendono il processo e lo rimettono di fronte al Tribunale. Il procedimento davanti al pretore è oggi completamente assimilato, tranne quello che vedremo, al procedimento dinanzi al G.I. del Tribunale nelle cause a decisione monocratica. Le uniche differenze che ormai residuano fra pretore e tribunale riguardano la fase decisoria, ed in particolare la possibilità, che ha solo il pretore, di svolgere tale fase in forma integralmente orale. Diverso è invece il procedimento davanti al giudice di pace. Anche per questo procedimento vale il principio di preclusione ma la distinzione fra la fase di allegazione dei fatti e la fase delle richieste istruttorie è meno netta. La discussione della causa avviene normalmente in forma orale ma nulla vieta che le parti depositino anche difese 60 60 scritte. La sentenza invece non può essere pronunziata in forma orale, come prevede l’art. 315 per il procedimento pretorile, ma è depositata nella cancelleria entro 15 giorni dalla discussione. Profili generali delle impugnazioni I mezzi di impugnazione sono rivolti alla rimozione o alla modificazione della sentenza emessa. Ci sono tre diversi profili in cui ciò può avvenire: a) la parte chiede la rimozione della sentenza perché afferma che il giudice ha sbagliato; b) può chiedere altresì la rimozione della sentenza perché non conforme al diritto; c) i mezzi di impugnazione possono addirittura essere utilizzati quando non vi è la necessità di proporli (perché ad esempio lo stesso effetto è raggiungibile con la proposizione di un nuovo giudizio). La necessità di usare i mezzi di impugnazione cessa di fronte a certe vicende: a) inesistenza della sentenza: se ad esempio una sentenza manca della sottoscrizione, non sarà solo viziata ma addirittura inesistente. In tal caso la parte interessata può o appellare (se è nei termini) o riproporre un nuovo giudizio sulla stessa situazione sostanziale o sull’inesistenza specifica della prima sentenza. b) sopravvenienza di nuovi elementi di fatto o di diritto che il primo giudice non poteva considerare. Anche in tal caso oltre all’appello è possibile instaurare un nuovo giudizio. Con questo abbiamo terminato l’inquadramento generale dei mezzi di impugnazione e abbiamo visto quindi come questi mezzi di impugnazione si graduano a seconda che siano spesi per far valere errori del giudice, per fa valere “l’ingiustizia” della pronuncia o addirittura come i mezzi di impugnazione possono porsi come strumenti alternativi alla riproposizione della domanda. Oggetto di impugnazione sono le sentenze, quindi sono escluse ordinanze e decreti. Naturalmente è rilevante la forma che la legge impone al provvedimento del giudice e non quella che viene data in concreto. In altre parole se il giudice emette un’ordinanza che “in realtà” è una sentenza, sarà possibile appellare. Per quanto riguarda il ricorso per Cassazione la giurisprudenza è concorde nel ritenere che qualunque forma il legislatore abbia dato al provvedimento, se esso è decisorio e 61 se contro di esso non sono previsti ulteriori mezzi di controllo, allora scatta la disposizione dell’art. 111 Costituzione. Ultimo profilo da esaminare: l’utilizzazione di certi mezzi di impugnazione dipende dalla qualificazione che il giudice abbia dato della situazione sostanziale dedotta in giudizio. Cioè a seconda che la decisione investa una certa situazione sostanziale o un’altra talvolta sono ammessi o non sono ammessi certi mezzi di impugnazione. A tal fine vale la qualificazione che ha fatto il giudice della situazione sostanziale e non quella effettiva. Giudicato formale e impugnazioni straordinarie I mezzi di impugnazione previsti nel nostro ordinamento sono elencati nell’art. 323 c.p.c. e sono: l’appello, il ricorso per Cassazione, la revocazione, l’opposizione di terzo e il regolamento di competenza. Non è viceversa un mezzo di impugnazione il regolamento di giurisdizione (che è invece un mezzo preventivo). La possibilità di esperire i mezzi di impugnazione fa sì che il legislatore ci dia la nozione di giudicato formale: l’art. 324 dice che si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta ad alcun mezzo di impugnazione (ordinario). L’enunciazione dell’art. 324 ci consente di dividere i mezzi di impugnazione in due grosse categorie: ordinari (per le sentenze non ancora passate in giudicato) e straordinari (per quelle passate in giudicato). Le impugnazioni straordinarie sono “azioni sotto veste di impugnazioni” e si caratterizzano rispetto alla riproposizione della domanda solo per la competenza, per il procedimento e per il regime di impugnazione della sentenza con cui viene decisa l’impugnazione straordinaria. Legittimazione e interesse a proporre impugnazione Dal punto di vista della legittimazione, l’art. 323 distingue fra: • mezzi di impugnazione proponibili dalle parti; • mezzi di impugnazione proponibili dai terzi; Per parte si deve intendere colui che ha assunto la qualità di parte processuale. Quindi, in caso di rappresentanza, si farà riferimento al rappresentato e non al rappresentante. Il mezzo di impugnazione utilizzabile da colui che non ha assunto la qualità di parte processuale è l’opposizione di terzo. In certi casi, tuttavia, i mezzi di impugnazione della parte sono utilizzabili anche da colui che non è stato parte nel precedente processo: 1. caso della successione nel processo ex art. 110 c.p.c.; 2. successione nel diritto controverso; 3. sostituzione processuale; 62 62 E’da notare che ci sono due ipotesi in cui lo scopo del legislatore di garantire l’unitarietà del giudizio di impugnazione non è assicurato: 1. nel caso in cui le due impugnazioni principali si incrocino (quando cioè sono proposte quasi contemporaneamente). 2. previsione dell’art. 332 c.p.c. Per questo motivo esiste il meccanismo della riunione delle impugnazioni separate di cui all’art. 335: tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, anche d’ufficio, in uno stesso processo. Infine occorre precisare che per la giurisprudenza l’impugnazione principale può sostituire l’impugnazione incidentale ma deve essere effettuata nel termine per proporre l’impugnazione incidentale. Questo perché in certi casi è stato ritenuto troppo oneroso per la parte dover magari rifare un atto quando aveva già preparato un’impugnazione principale. Veniamo ora alle impugnazioni incidentali tardive (art. 334). Le parti possono impugnare in via incidentale tardiva anche se nei loro confronti la sentenza è divenuta definitiva. Il fondamento dell’istituto è quello di consentire a chi ha accettato la sentenza di accettarla così com’è e quindi di poter essere restituito nel potere di impugnare nell’ipotesi in cui questa pronuncia venga messa in discussione da parte di altri soggetti. Inammissibilità, improcedibilità, estinzione dei giudizi di impugnazione L’inammissibilità e l’improcedibilità sono istituti peculiari dei mezzi di impugnazione, mentre l’estinzione è prevista anche per il processo di I° grado e non è un istituto che troviamo in tutti i mezzi di impugnazione ma soltanto in alcuni. Mentre in primo grado abbiamo a che fare con questioni di rito, che condizionano la decidibilità nel merito, e questioni di merito, per le impugnazioni abbiamo prima di tutto anche la valutazione della decidibilità dell’impugnazione. Quindi il giudice dell’impugnazione viene investito di poteri che si collocano in questo triplice ordine di pregiudizialità l’uno rispetto all’altro: 1. presupposti di decidibilità dell’impugnazione; 2. questioni di rito che coinvolgono l’intero giudizio; 3. questioni di merito. Iniziamo ad analizzare l’inammissibilità. Il nostro legislatore ne parla in quattro norme: 1. art. 331, cause inscindibili o tra loro dipendenti: se l’impugnazione non è proposta nei confronti di tutti i soggetti e nessuno provvede all’integrazione 65 del contraddittorio nel termine fissato dal giudice, l’impugnazione è dichiarata inammissibile; 2. art. 365, in tema di ricorso per Cassazione: la sottoscrizione del ricorso deve essere fatta da un avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale a pena di inammissibilità; 3. art. 366: il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità cinque elementi (indicazione delle parti, indicazione della sentenza o decisione impugnata, esposizione sommaria dei fatti della causa, i motivi per i quali si chiede la cassazione, l’indicazione della procura e dell’eventuale decreto di gratuito patrocinio). 4. art. 398, in tema di revocazione: la citazione deve indicare a pena di inammissibilità il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1,2,3,6 del giorno della scoperta o dell’accertamento del dolo e della falsità o del recupero dei documenti. Dall’esame di tali precetti normativi possiamo ricavare che l’inammissibilità riguarda un vizio dell’atto introduttivo, insanabile o sanabile all’origine ma in concreto non sanato. Questa considerazione ci permette di estendere l’inammissibilità ad altre ipotesi: • impugnazione proposta fuori termine; • impugnazione proposta con il mezzo sbagliato; • impugnazione proposta dalla parte che non è soccombente; • impugnazione proposta al giudice territorialmente incompetente; • nullità dell’atto introduttivo dell’impugnazione o della sua notificazione. Passiamo ora all’improcedibilità. Il legislatore ne parla in tre norme: 1. art. 348, in tema di appello: si ha improcedibilità quando a) l’appellante non si è costituito nei termini; b) se l’appellante costituito non si presenta alla prima udienza e neanche alla successiva appositamente fissata; 2. art. 369, in tema di ricorso per Cassazione: il ricorso e altri documenti devono essere depositati, a pena di improcedibilità, presso la cancelleria della Corte entro venti giorni dalla sua notificazione; 3. art. 399, in tema di revocazione: l’atto introduttivo deve essere depositato entro venti giorni dalla notificazione, a pena di improcedibilità, insieme a copia autentica della sentenza impugnata. Da queste norme ricaviamo che l’improcedibilità riguarda l’inattività dell’impugnante. Tuttavia, a differenza dell’inammissibilità, le ipotesi di improcedibilità sono tassative e non estensibili analogicamente onde evitare confusione con le ipotesi di estinzione. 66 66 L’effetto dell’inammissibilità e dell’improcedibilità è lo stesso e consiste nell’impossibilità di riproporre lo stesso appello anche se non è decorso il termine fissato dalla legge. Naturalmente la sentenza impugnata non necessariamente passa in giudicato. Questo per varie ipotesi: 1. concorso di più mezzi di impugnazione; 2. errore nella scelta del mezzo di impugnazione; 3. impugnazione di cause inscindibili o dipendenti; 4. quando la dichiarazione di inammissibilità è avvenuta perché non era ancora venuto ad esistenza nel provvedimento da impugnare un presupposto per esercitare il potere di impugnazione. L’ultimo istituto da esaminare è l’estinzione (art. 338). Come per il processo di primo grado possiamo avere estinzione per rinuncia agli atti o per inattività. L’estinzione per rinuncia agli atti determina il passaggio in giudicato della sentenza ma solo formalmente (dato che deriverà senz’altro da un accordo delle parti). Effetto espansivo della pronuncia d’impugnazione L’effetto espansivo della pronuncia d’impugnazione può essere interno (336/1) o esterno (336/2). Quello interno comporta che la riforma o la cassazione parziali producono effetti anche sulle parti della sentenza che non sono state impugnate ma che sono dipendenti dalla parte riformata o cassata. Qualche esempio: 1. quando sia stata emessa una pronuncia di condanna che abbia statuito sia sull’an che sul quantum e la sentenza è impugnata solo sull’an; 2. rapporto tra decisione nel merito e condanna alle spese; 3. regolamento di competenza. L’effetto espansivo esterno è molto simile a quello interno solo che interessa non parti della stessa sentenza ma più sentenze fra loro interdipendenti. L’ipotesi principale a cui si applica l’efficacia espansiva esterna è quella delle sentenze non definitive Mezzi di impugnazione e mezzi di gravame La grande distinzione che possiamo fare a proposito dei mezzi di impugnazione è fra: a) mezzi di gravame o impugnazioni sostitutive (la parte soccombente ha il potere di provocare direttamente il riesame della pronuncia impugnata semplicemente lamentandone l’ingiustizia, e, correlativamente, il giudice del mezzo di gravame viene investito del potere di riesaminare le questioni 67 Riepilogando: non è mai necessario l’appello incidentale per le questioni pregiudiziali di rito; non è necessario l’appello incidentale per le preliminari di merito se ed in quanto queste siano rimaste effettivamente questioni preliminari di merito e non si siano sviluppate in domande. Inoltre, secondo giurisprudenza costante, c’è un altro gruppo di ipotesi in cui è necessaria l’impugnazione incidentale e non è sufficiente la riproposizione della questione ex art. 346. Si tratta delle sentenze non definitive avverso le quali è stata proposta riserva di appello. L’appello incidentale va proposto con la comparsa di risposta, che deve essere depositata davanti al giudice d’appello almeno venti giorni prima dell’udienza di trattazione. Potremmo quindi avere: 1. un appello incidentale tempestivo: se nel momento in cui l’appellato deposita la comparsa di risposta contenente l’appello incidentale egli è ancora nei termini per proporre l’appello principale; 2. un appello incidentale tardivo: se al contrario, nel momento in cui l’appellato deposita la comparsa di risposta con l’appello incidentale, non ha più il potere di impugnare in via principale; 3. un appello incidentale inammissibile: se il convenuto deposita la sua comparsa di risposta contenente la impugnazione incidentale meno di venti giorni prima della udienza di trattazione di fronte al giudice d’appello. Analizziamo ora i limiti in cui davanti al giudice d’appello ci si possa trovare a discutere di questioni che non sono state dedotte nel giudizio di I° grado. Dobbiamo distinguere: 1. domande nuove: nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio; possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa; 2. eccezioni nuove: non sono proponibili nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio; 3. prove nuove: non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio. La giurisprudenza, nei giudizi di lavoro, ha limitato la portata del 70 70 divieto di inammissibilità di nuovi mezzi di prova alle sole prove costituende (salve quindi le prove documentali). 4. intervento di terzi: ai sensi dell’art. 344 nel giudizio di appello è ammesso soltanto l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art. 404. Questa norma ha il fine di risparmiare attività processuale dando la possibilità a quei soggetti che potrebbero proporre opposizione di terzo di intervenire subito. Il giudizio di appello è trattato dal collegio. Questo, alla prima udienza di trattazione, verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ne ordina l’integrazione o la notificazione oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello. Il collegio dichiara la contumacia dell’appellato o dell’appellante, provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, procede al tentativo di conciliazione. Tutti i provvedimenti sono dati con ordinanza e sono soggetti al riesame al momento della decisione. Un particolare potere del giudice di appello è quello di sospendere la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado. L’art. 283 stabilisce che la parte interessata può chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza al giudice d’appello con l’impugnazione principale o incidentale. In altre parole l’istanza non può essere semplicemente proposta ma deve essere fatta oggetto di impugnazione. La sospensione può essere richiesta quando ricorrano gravi motivi e ha l’effetto di sospendere l’efficacia esecutiva (se l’esecuzione non è ancora iniziata) o l’esecuzione (fatti salvi però gli effetti dell’esecuzione avutisi fino a tal punto). A questo punto il collegio o provvede con ordinanza ad ammettere le eventuali prove o fa precisare le conclusioni e rimette la causa in decisione. L’art. 356 ci dice che il giudice d’appello può: ammettere una prova nuova; ammettere una prova illegittimamente non ammessa dal giudice di primo grado; disporre la rinnovazione totale o parziale di una assunzione già avvenuta in primo grado. Le prime questione che il collegio deve affrontare sono quelle relative alla decidibilità dell’impugnazione. Seguono le questioni di rito non rilevate ed ancora rilevabili d’ufficio, quelle non rilevabili d’ufficio e le questioni rilevabili d’ufficio già decise in primo grado soltanto però se espressamente riproposte davanti a lui. Infine esamina il merito. La sentenza d’appello, come già detto, è sostitutiva della sentenza di primo grado. Con l’appello sarà inoltre possibile porre rimedio ad eventuali vizi del giudizio di primo grado tranne alcune eccezioni in cui il giudice d’appello, rilevato un certo vizio, annullerà 71 la sentenza di primo grado e rimetterà la causa davanti al giudice di primo grado. Queste eccezioni sono: 1. il giudice di primo grado ha dichiarato la carenza di giurisdizione; il giudice d’appello dichiara invece la sussistenza della stessa (se la norma non esistesse il giudice d’appello dovrebbe pronunciare nel merito); 2. il giudice d’appello rileva la nullità della notificazione della citazione introduttiva di primo grado (rito); 3. il giudice d’appello rileva la non integrazione di un litisconsorzio necessario (rito); 4. il giudice d’appello dichiara l’erronea estromissione di una parte (rito); 5. il giudice d’appello dichiara l’inesistenza della sentenza (rito); 6. il giudice d’appello dichiara che l’estinzione, pronunciata dal giudice di primo grado, in realtà non c’era (merito). Il ricorso per cassazione Ai sensi dell’art. 360 sono impugnabili per Cassazione le sentenze di appello e quelle in unico grado. Occorre aggiungere che secondo consolidata giurisprudenza sono ricorribili per Cassazione anche provvedimenti “formalmente” diversi dalla sentenza qualora abbiano però le prerogative di decisorietà e definitività di una sentenza. L’ultimo comma dell’art. 360 prevede che possano essere ricorse per Cassazione anche le sentenze appellabili qualora le parti siano d’accordo. Si viene a creare in tal modo un vero e proprio negozio processuale. Il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione in senso stretto; prevede come censure sottoponibili alla Corte cinque motivi elencati dall’art. 360: 1. per motivi attinenti alla giurisdizione; 2. per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza (salva l’ipotesi che si sia formato un giudicato interno sulla competenza); 3. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (l’errore è nell’interpretazione normativa; la falsa applicazione è quell’errore in cui incorre l’interprete allorché, individuata esattamente la portata precettiva della norma, la applica ad una fattispecie che non è quella della norma descritta); 4. per nullità della sentenza o del procedimento; 72 72 cinque giorni precedenti possono essere depositate le memorie che non possono contenere questioni nuove ma limitarsi a illustrare le questioni già avanzate con il ricorso e con il controricorso (tranne per le questioni rilevabili d’ufficio). Poi il giorno fissato per la discussione il relatore della causa espone lo svolgimento del giudizio, e termina con l’esposizione della sentenza impugnata e coi motivi del ricorso. Poi illustrano oralmente le loro ragioni gli avvocati del ricorrente e poi del resistente . Infine il P.M. da il suo parere sulla questione. 3. schema complesso: è la pronuncia a sezioni unite che si differenza dallo schema ordinario solo per la presenza di otto consiglieri più un presidente invece che quattro. L’art. 374 indica i casi in cui si pronuncia a sezioni unite: a) quando si decidono questioni di giurisdizione, comunque pervenute alla Corte; b) quando si tratti di decidere di ricorsi che pongono questioni che sono state decise in modo difforme dalle sezioni semplici, oppure quando si tratti di una questione di diritto di massima importanza; c) quando il ricorso riguarda più questioni, alcune da decidere a sezioni semplici e altre a sezioni unite (anche se la norma prevederebbe che si trattino prima quelle a sezioni unite e poi quelle a sezioni semplici, nella prassi le sezioni unite si occupano di tutte le questioni). Secondo l’art. 337, le sentenze soggette a ricorso per cassazione sono esecutive. Tuttavia è possibile ottenere la sospensione dell’esecutività di tali sentenze qualora “dalla esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno”. Il danno è grave quando il beneficio di chi ottiene l’esecuzione è grandemente sproporzionato rispetto al pregiudizio di chi subisce l’esecuzione o adempie. Passiamo ora ai provvedimenti che la Corte di Cassazione può emanare, ordinanze e sentenze, premettendo che: a) innanzitutto la Corte dovrà per prima cosa valutare i presupposti di decidibilità nel merito del ricorso e quindi esaminarne l’ammissibilità e la procedibilità; b) a questo punto la Corte dovrà affrontare i profili relativi alla corretta instaurazione dell’intero giudizio; c) andranno infine esaminati i profili di merito. L’ordinanza è emessa nei casi previsti dall’art. 375, in ogni altro caso avremo una sentenza. Vediamone il contenuto: 75 a) la più semplice delle sentenze di Cassazione è il rigetto del ricorso che si ha quando la Corte ritiene infondate le censure alla sentenza impugnata avanzate con l’atto di ricorso. Ciò determina la definitività della sentenza impugnata. b) può accadere che la Corte, pur ritenendo valide le lamentele del ricorrente, giunga ugualmente a respingere il ricorso: è il caso del rigetto con correzione dei motivi. Prima di cassare la sentenza la Corte deve valutare la causalità dell’errore commesso dal giudice della sentenza di appello e riconosciuto come tale dalle Corte. Siamo quindi in presenza di un errore esistente, ma che non ha inciso sul dispositivo, di un errore cioè che non è causale. La Corte, quindi, procederà alla sola correzione della motivazione in diritto. La correzione della motivazione non si può effettuare laddove il motivo di accoglimento o di rigetto cambi e tale cambiamento comporti una diversa portata precettiva. In questi casi è tuttavia possibile, se ve ne sono i presupposti, una cassazione sostitutiva, con pronuncia di merito. c) la Cassazione statuisce sulla giurisdizione e quindi emette una pronuncia che è definitiva in ordine alla questione di giurisdizione, con efficacia vincolante anche nei confronti dei giudici speciali. La stessa cosa vale anche in tema di competenza. d) abbiamo poi il caso di “cassazione senza rinvio” quando si giunge all’accertamento dell’impossibilità di arrivare ad una sentenza di merito. I casi sono: 1) difetto assoluto di giurisdizione (nei confronti di un giudice straniero o di un potere non giurisdizionale dello Stato); 2) causa che non poteva essere proposta (sia in senso oggettivo che soggettivo); 3) processo che non poteva essere proseguito (quando si verifica un ostacolo alla prosecuzione del processo stesso); Una volta che la Cassazione abbia riscontrato fondato il ricorso le situazioni che si possono dare sono alternativamente due: o sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, oppure la Corte ha già tutti gli elementi per poter emettere una pronuncia definitiva. Nel primo caso si avrà la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice che avrà il compito di effettuare questi ulteriori accertamenti di fatto. Nel 76 76 secondo caso, oltre all’annullamento, avremo anche la sostituzione della sentenza impugnata. La pronuncia della Corte di Cassazione nasce già come formalmente passata in giudicato, tuttavia esistono due strumenti attraverso i quali è possibile in qualche maniera incidere su di essa e sono la “correzione della sentenza” (con cui si potranno far valere omissioni o errori materiali o di calcolo) e la “revocazione per errore di fatto”. Ambedue gli strumenti debbono essere utilizzati mediante ricorso da proporre entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza di Cassazione, o entro un anno dal deposito della stessa. Il giudizio di rinvio Il processo di rinvio è un procedimento chiuso a nuove allegazioni e a nuove istanze istruttorie. Nel giudizio di rinvio non viene riaperto un nuovo giudizio di appello, ma si rifà il processo dal punto in cui è caduta la censura della Cassazione in poi; vengono sostituite l’attività viziata e quelle successive a quella viziata. 1. Se la Cassazione cassa per motivi di giurisdizione o competenza: il vizio del processo sussiste fin dall’atto introduttivo cosicché tutto il processo viene ad essere viziato; andrà quindi rifatto tutto il processo. 2. nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 n. 4): quando la Cassazione coglie nell’iter processuale un vizio di un atto che “contagia” di nullità tutti gli atti successivi collegati. Occorre andare a vedere dove si colloca il vizio genetico del processo: a) se si colloca nell’atto introduttivo del processo di primo grado occorrerà rifare tutto il processo; b) se si colloca nell’atto introduttivo del giudizio di appello allora andrà rifatto il giudizio di appello; c) se il vizio è nato all’interno della sentenza impugnata come atto: allora tutto quello che è da rifare è la sentenza come atto. 3. vizio di motivazione (art. 360 n. 5): è tutto l’iter della decisione che deve essere rifatto. 4. Cassazione per art. 360 n. 3: la violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale si colloca nel secondo e terzo momento dell’iter che porta alla decisione (ricordiamo i tre momenti: 1) ricostruzione dei fatti storici; 2) interpretazione e applicazione delle norme sostanziali a quei fatti 77 di revocazione e, se si tratta di uno dei motivi di revocazione c.d. straordinaria, le prove relative al dies a quo da cui sono cominciati a decorrere i trenta giorni per proporre la revocazione: cioè le prove relative alla scoperta del dolo, al recupero del documento, alla conoscenza della falsità della prova ecc. La citazione deve essere depositata nella cancelleria dell’ufficio giudiziario e le parti debbono costituirsi entro venti giorni dalla notificazione. Per il procedimento di revocazione valgono le norme generali del procedimento di fronte a quel giudice. E’possibile ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata se l’esecuzione non ha ancora avuto luogo. Si svolge poi una normale istruttoria con tutti gli accertamenti del caso. Occorre tenere presente che, nonostante la revocazione non sia sottoposta ad alcun termine finale di decadenza, nel periodo di tempo tra il passaggio in giudicato e la proposizione della revocazione le norme di diritto comune corrono: avremo quindi prescrizioni, decadenze, acquisti di terzi ecc. Vediamo ora le pronunci del giudice della revocazione: • pronunce di rito: inammissibilità o improcedibilità; • pronunce di merito: rigetto o accoglimento con relativo annullamento della sentenza impugnata. La sostituzione è possibile qualora l’istruttoria svolta sia sufficiente per una nuova pronuncia. In caso contrario il giudice pronuncia la revocazione con sentenza e rimette le parti in istruttoria. La revocazione della sentenza di revocazione non è possibile. L’opposizione di terzo Il mezzo di impugnazione disciplinato dall’art. 404, I° comma c.p.c., viene comunemente indicato come “opposizione di terzo ordinaria” e si caratterizza - insieme a quello previsto dal secondo comma dello stesso articolo, comunemente indicato come “opposizione di terzo revocatoria” - per essere utilizzabile esclusivamente dai terzi e cioè da chi non è stato parte del processo che ha portato alla emanazione della pronuncia che si vuole impugnare. La nozione di parte che ci interessa è quella di “parte processuale”. Il diritto che il terzo fa valere deve sussistere nei confronti di ambedue le parti originarie: questo non significa comunque che l’opponente debba poter reclamare la soddisfazione di esso da ciascuna delle due. La sentenza che si oppone non deve inoltre avere effetti vincolanti diretti o riflessi nei confronti dell’opponente. Il pregiudizio del terzo che ne giustifica l’opposizione presuppone: 80 80 • una pronuncia, anche non formalmente di condanna, che riconosca dovuto da parte del soccombente o di un terzo un certo comportamento; • una incompatibilità fra il comportamento imposto dalla pronuncia e quello che il soccombente o il terzo devono tenere nei confronti dell’opponente; • incompatibilità nel senso che, per regola di diritto sostanziale, chi deve tenere quel comportamento verso uno dei soggetti non deve tenerlo nei confronti dell’altro. A ciò consegue che, ove l’obbligato abbia tenuto per intero il comportamento impostogli, il pregiudizio ormai si è attuato e l’opposizione non ha più senso. Al terzo resta eventualmente la possibilità di agire in via ordinaria nei confronti della parte vittoriosa o in risarcimento dei danni nei confronti della parte soccombente. L’opposizione di terzo è comunemente ritenuta un rimedio facoltativo poiché il terzo può raggiungere lo stesso risultato anche con un’autonoma azione in via ordinaria. Oltre al terzo come titolare di un diritto autonomo, incompatibile e prevalente, la dottrina ha ammesso come legittimati all’opposizione di terzo anche il litisconsorte pretermesso e il falsamente rappresentato. Per quanto riguarda gli effetti dell’accoglimento dell’opposizione di terzo, si deve anzitutto constatare che, ove l’opposizione sia proposta dal litisconsorte necessario pretermesso, la soluzione è che il giudice, una volta riscontrato il vizio del contraddittorio, deve per ciò solo annullare la sentenza impugnata e, se questa è una sentenza di appello, rimettere la causa al giudice di I° grado in applicazione dell’art. 354 c.p.c. Se invece l’opposizione è proposta ad un giudice di primo grado, questi può o previamente annullare la decisione e successivamente emettere la pronuncia sostitutiva. Nel caso di opposizione proposta dal titolare del diritto autonomo, incompatibile e prevalente, l’eliminazione degli effetti della sentenza impugnata non risolve tutti i problemi in quanto, in certi casi, l’accoglimento dell’opposizione inciderà sul rapporto originario (es. doppia alienazione con susseguente obbligo al risarcimento del danno). Vediamo ora l’opposizione di terzo revocatoria. Mentre l’opposizione di terzo ordinaria è data ai soggetti non vincolati dal giudicato altrui, l’opposizione di terzo revocatoria è strumento a difesa dei terzi cui è invece opponibile il giudicato altrui. In questa direzione l’opposizione di terzo revocatoria è lo strumento necessario per chi vuole sottrarsi all’efficacia della sentenza altrui, allegando la sussistenza del dolo o della collusione. 81 Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente processuali, l’art. 404 ci dice che sono sottoponibili ad opposizione di terzo le “sentenze”. A questa previsione dobbiamo aggiungere la possibilità di impugnare il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo (opposizione di terzo revocatoria), sentenze emesse da alcuni giudici speciali (es. Tribunale regionale delle acque) e infine ogni altro provvedimento che presenti i caratteri della definitività e decisorietà anche se non formalmente sentenze. L’opposizione di terzo ordinaria non trova nessun termine per la proposizione. Al contrario, l’opposizione di terzo revocatoria deve essere proposta nel termine di trenta giorni dal momento in cui è stato scoperto il dolo o la collusione. Competente per l’opposizione è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza che si impugna. Il procedimento si svolge secondo le regole previste per il giudizio innanzi al giudice competente. IL PROCESSO DI ESECUZIONE2 L’esecuzione forzata nel quadro dell’ordinamento Il nostro ordinamento prevede due grosse categorie di interessi protetti: • alcune situazioni sostanziali si attuano fornendo al loro titolare dei poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e facendo obbligo agli altri di non frapporsi fra il titolare della situazione sostanziale e il bene stesso. • altre invece presuppongono una “attività” di un altro soggetto come nel caso del credito. L’esecuzione forzata è quello strumento che l’ordinamento prevede per porre rimedio all’inadempimento dell’obbligato quando il titolare della situazione sostanziale protetta non può in altro modo godere della stessa. Esecuzione diretta ed esecuzione indiretta In via generale, l’esecuzione può essere indiretta o diretta: 82 82 2 IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN BREVE. Se la parte soccombente non ottempera spontaneamente alla sentenza notificatale, il vincitore può instaurare un processo di esecuzione che può essere iniziato da parte del creditore anche con il semplice possesso di una cambiale, di un atto notarile, ecc. Il processo di esecuzione di solito assume la forma del processo di espropriazione forzata dei beni mobili (o immobili) del debitore, anche se detenuti da terzi; i beni sono prima pignorati dall'ufficiale giudiziario e poi venduti all'asta o assegnati in proprietà al creditore a soddisfazione del credito. Il processo di esecuzione può anche assumere la forma dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio dove si tratti di consegnare al creditore una determinata cosa mobile o immobile, e quella dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, a spese del debitore che non li abbia volontariamente adempiuti. siano “successori” dell’avente diritto. Allo stesso modo, ma con una situazione “rovesciata”, l’art. 477 prevede che il titolo esecutivo contro il deceduto abbia efficacia contro gli eredi. Questa ratio è riscontrabile in tutti i casi in cui si abbia la nascita di obblighi dipendenti da quello consacrato nel titolo esecutivo e l’atto, in cui il titolo esecutivo consiste, è vincolante anche per il titolare dell’obbligo dipendente. L’esistenza dell’obbligo dipendente sarà oggetto di accertamento solo quando l’esecutato contesti la sussistenza del fatto successorio. Ricapitolando il titolo esecutivo è utilizzabile da o contro un terzo quando: • il terzo è titolare di una situazione sostanziale di diritto o obbligo, sostanzialmente dipendente da quella accertata nel titolo esecutivo; • l’atto che funge da titolo esecutivo ha, verso il titolare della situazione dipendente ma con riferimento alla situazione pregiudiziale, gli stessi effetti che ha nei confronti del dante causa. La notificazione del titolo esecutivo e del precetto Secondo l’art. 479 il titolo esecutivo in senso documentale deve essere notificato all’esecutato prima dell’inizio dell’esecuzione forzata. Contestualmente o successivamente deve essergli notificato anche il precetto, atto disciplinato dall’art. 480, con cui si intima all’obbligato di adempiere entro un termine non inferiore a dieci giorni pena l’inizio dell’azione esecutiva. Il precetto perde efficacia se entro 90 giorni dalla sua notifica non è iniziata l’esecuzione forzata. L’opposizione al precetto non sospende l’esecuzione; la sospensione può essere disposta solo dal giudice. Struttura generale del processo esecutivo Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la differenza fondamentale fra processo dichiarativo (di cognizione) e processo esecutivo, consta nelle possibili soluzioni del processo stesso. La domanda dell’attore nel processo di cognizione può essere accolta o rigettata; nel processo di esecuzione, accertata la procedibilità, può solo essere accolta. L’eventuale opposizione all’esecuzione sarà oggetto di un apposito processo di cognizione incidentale ma non potrà mai essere discussa nell’esecuzione. Quindi l’unica ipotesi in cui l’esecuzione viene “rifiutata” attiene a questioni di rito. In altre parole l’unico provvedimento del giudice dell’esecuzione è l’accoglimento dal momento che il “rifiuto” per motivi di rito è appunto un “rifiuto” a provvedere. Le condizioni minime indispensabili per emettere una misura esecutiva sono le stesse richieste per arrivare alla pronuncia sul merito in un processo dichiarativo (giurisdizione, competenza, capacità e legittimazione delle parti, rappresentanza tecnica). 85 A chi obietta che nel processo esecutivo viene meno il principio del contraddittorio poiché la pronuncia è a senso unico si può semplicemente far notare che il problema è inquadrato nell’ottica sbagliata. L’esistenza del diritto va data per scontata. A questo punto però le parti possono intervenire alla pari sul “come” svolgere l’esecuzione. Passiamo ora ad analizzare la composizione dell’ufficio esecutivo. I giudici competenti per l’esecuzione forzata sono indicati negli art. 16 e 26 c.p.c.: • art. 16: per l’esecuzione forzata è sempre competente la Pretura, tranne che per l’espropriazione immobiliare per la quale è competente il Tribunale. • art. 26: territorialmente competente per l’espropriazione immobiliare e mobiliare è il giudice del luogo dove si trova il bene; per l’espropriazione dei crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto; per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio ritorna competente il giudice dove si trovano i beni. La competenza territoriale è inderogabile dalle parti. L’espropriazione forzata L’espropriazione forzata è il procedimento esecutivo mediante il quale si tutelano i crediti di somme di denaro. Trova il suo fondamento in due norme del codice civile e precisamente gli artt. 2740 (responsabilità patrimoniale del debitore) e 2910 (oggetto dell’espropriazione). Si svolge in tre momenti: 1. individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore mediante il pignoramento; 2. liquidazione dell’elemento attivo; 3. soddisfazione del creditore con la distribuzione del ricavato. Il pignoramento Ai sensi dell’art. 491 il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata con il quale si individuano e conservano i diritti del debitore da espropriare. Esistono tre forme principali di pignoramento: 1. mobiliare: la richiesta è fatta dal creditore procedente all’ufficiale giudiziario in forma libera. Onde evitare indagini incerte e difficoltose circa la proprietà dei beni da sottoporre a pignoramento, l’ordinamento prevede il principio dell’appartenenza che tiene conto della dislocazione spaziale 86 86 dei mobili. La scelta dei mobili da pignorare segue le regole degli artt. 513,514,515,516,517. L’ufficiale giudiziario, man mano che individua i beni li descrive nel verbale indicandone il valore approssimativo. Raggiunto un valore sufficiente alla soddisfazione del creditore, l’ufficiale giudiziario affida i beni in custodia o li porta via per collocarli in deposito. 2. immobiliare: l’individuazione dei beni da pignorare è in questo caso più semplice grazie all’esistenza di pubblici registri. E’sufficiente che il creditore individui i beni con gli estremi richiesti dal c.c.: natura del bene; comune in cui si trova; estremi catastali. Il creditore chiede all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento del bene immobile, individuato e descritto dal creditore stesso in un atto che assume forma scritta, ed è da lui sottoscritto. L’ufficiale giudiziario aggiunge a tale atto la sua ingiunzione e notifica il tutto al debitore esecutato. Dopodiché si trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. 3. di crediti: qui l’ordinamento non si accontenta della semplice affermazione del creditore ma esige un pieno accertamento dell’effettiva esistenza, in capo al debitore, o del credito o della proprietà del bene mobile. Il pignoramento si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere: a) l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; b) l’indicazione, almeno generica, delle somme o cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato; c) la citazione del terzo debitore a comparire davanti al pretore del luogo di sua residenza per rendere una certa dichiarazione. La posizione del terzo debitore, dal momento in cui gli viene notificato il pignoramento, è quella del custode e non può più adempiere nei confronti del debitore esecutato. All’udienza fissata con l’atto introduttivo, il terzo debitore deve confermare l’affermazione che il creditore ha fatto e cioè se è veramente debitore di quella somma. In caso negativo (se non si presenta o ne nega l’esistenza) occorre accertare l’esistenza del credito pignorato. Il pretore non procede d’ufficio all’accertamento ma lo fa su istanza di parte. Gli effetti conservativi del pignoramento* 87 Analizziamo adesso il secondo momento del processo d’espropriazione, il momento in cui il diritto pignorato viene liquidato. Naturalmente questa attività non è necessaria se il bene pignorato consiste in una somma di denaro. L’art. 501 prevede un termine minimo per la domanda di assegnazione o vendita di dieci giorni dalla data del pignoramento (tranne il caso in cui i beni pignorati siano deteriorabili). Tale termine dilatorio ha due funzioni: 1. consentire al debitore di reagire al pignoramento, per esempio con una istanza di conversione, di riduzione, con le opposizioni; 2. dare agli altri creditori un minimo di tempo per poter intervenire nell’esecuzione. Trascorso questo termine, l’art. 529 ci dice che il creditore procedente e i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. I modi per procedere alla liquidazione sono la vendita e l’assegnazione: • nella vendita il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell’esecutato può essere qualunque soggetto, tranne il debitore esecutato; • nell’assegnazione il diritto viene trasferito ad uno dei creditori. L’assegnazione può assumere due diverse configurazioni: 1. il creditore si rende assegnatario soddisfacendosi in tutto o in parte del proprio credito attraverso l’attribuzione del diritto pignorato (assegnazione satisfattiva). Ha il duplice effetto di trasferimento del diritto pignorato dal debitore al creditore e di estinzione del credito verso il debitore). 2. il creditore per rendersi assegnatario paga una somma di denaro (assegnazione vendita). La somma versata sarà oggetto di distribuzione come se il bene pignorato fosse stato venduto. I rapporti tra la vendita e l’assegnazione sono i seguenti: 1. vi sono beni che debbono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: i crediti pignorati che siano scaduti o che scadano entro 90 giorni. 2. vi sono beni che possono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: i titoli di credito e le cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato. 3. vi sono beni che debbono essere assegnati dopo un tentativo di vendita fallito: gli oggetti d’oro e d’argento non possono essere in nessun caso venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco. 90 90 4. tutti gli altri beni possono essere assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito. Per garantire che il prezzo di assegnazione non sia un prezzo di favore effettuato dai creditori in accordo tra loro all’interno del procedimento di espropriazione, viene stabilito un valore minimo di assegnazione che non sia inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente. Quindi il valore dell’assegnazione è il maggiore tra questi due valori: 1. il valore di stima del bene; 2. la somma delle spese di esecuzione e dei crediti che hanno prelazione e che sono collocati anteriormente al creditore offerente. Quando, decorsi i dieci giorni dal pignoramento (ed entro gli ottanta successivi) viene fatta un’istanza di vendita o di assegnazione, il giudice deve fissare un’udienza per sentire le parti circa l’assegnazione, il tempo e le modalità della vendita. Inoltre le parti devono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti esecutivi se non sono già decadute dal diritto di proporle. Qualora non ci siano opposizioni, si sia raggiunto un accordo o ci sia una sentenza che le rigetti, si arriva alla fase della vendita. Viene quindi nominato uno stimatore che provvede alla valutazione dei beni. Le singole forme di vendita forzata Iniziamo dall’espropriazione mobiliare. I modi di liquidazione del bene mobile sono essenzialmente due: 1. la vendita a mezzo commissionario: consiste nell’affidare la vendita del bene mobile previamente stimato ad un soggetto privato che lo vende con trattativa privata. 2. la vendita all’incanto: normalmente la vendita è affidata agli istituti vendite giudiziarie. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto, viene fissata la data dell’incanto e nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca a ritirare i beni mobili dal custode. Se la vendita fallisce abbiamo due possibilità: a) che si abbia l’assegnazione su richiesta di uno o più creditori; b) se nessuno chiede l’assegnazione, il giudice dispone una seconda vendita a prezzo libero. Vediamo ora come si liquidano i crediti. Per la perfezione del pignoramento, sono necessarie o una dichiarazione conforme del terzo o una sentenza che accerta l'esistenza del diritto di credito. Dopo di che il 91 rinnovamento si perfeziona e si può procedere alla liquidazione del credito. Tale liquidazione si ha necessariamente attraverso il trasferimento del credito ad un soggetto diverso da colui che ne era titolare, ossia il debitore esecutato. Il trasferimento del credito avviene secondo due modalità diverse a seconda che il credito sia già scaduto o scada entro 90 giorni, oppure che scada in un periodo successivo. Nel primo caso si ha una ipotesi di assegnazione coattiva che determina, dal punto di vista del diritto sostanziale, gli stessi effetti di una cessione credito. Naturalmente le eccezioni ottenibili dal terzo debitore non devono contrastare con il contenuto vincolante della dichiarazione della sentenza. Nel secondo caso i crediti possono essere assegnati, se i creditori ne fanno domanda, o venduti nel caso contrario. Se il credito è venduto significa che si troverà un soggetto il quale si rende cessionario di quel credito pagando una certa somma, che ovviamente sarà inferiore al valore nominale del credito. L’udienza con cui si stabiliscono le modalità per la vendita dell’immobile si svolge in modo analogo a tutte le altre forme di espropriazione. Di diverso ci sono solo le modalità con cui si arriva alla liquidazione del bene e che sono: a) la vendita senza incanto: consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, offerta che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Possono partecipare tutti gli interessati tranne il debitore esecutato. Se l’offerta maggiore non supera di ¼ il valore del bene stabilito è sufficiente il dissenso di un creditore per far respingere l’offerta e procedere con la vendita all’incanto. Negli altri casi è il giudice a stabilire se accettare il prezzo o tentare l’incanto. b) la vendita con incanto; Il decreto con cui il giudice pronuncia il trasferimento del diritto sul bene ha l’effetto di estinguere trascrizioni di pignoramenti e iscrizioni ipotecarie. Questo costringe il creditore ipotecario a partecipare all’espropriazione del bene ed a riprendersi la somma che gli spetta anche prima del termine che egli aveva pattuito. Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio, cioè per ottenere la consegna del bene acquistato, nei confronti del custode ma non nei confronti dei terzi possessori (verso i quali andranno spesi gli ordinari mezzi di tutela di diritto comune come la rivendicazione o la restituzione). Qualora l’incanto fallisca e non ci siano richieste di assegnazione il giudice può, o disporre un secondo incanto con prezzo base ribassato di 1/5, oppure procedere con l’amministrazione giudiziaria del bene. 92 92 sussistenza del credito del creditore procedente rientra invece nell’opposizione all’esecuzione ex art. 615. Secondo un principio generale, perché il giudice possa giungere a decidere nel merito, occorre che sussista l’interesse ad agire. Da questo deriva che: • il debitore potrà contestare la sussistenza dei crediti di tutti i creditori (tranne il procedente) e l’ammontare di tutti i crediti poiché ha interesse ad estinguere i debiti realmente esistenti; • il debitore non può contestare l’esistenza delle ragioni di prelazione; • i creditori possono contestare le ragioni di prelazione e l’ammontare dei crediti di altri creditori, se da ciò possono trarre un vantaggio; L’espropriazione di beni indivisi L’art. 599 prevede la possibilità di pignorare beni indivisi. In altre parole sarà possibile pignorare la contitolarità di un diritto reale. Il giudice, qualora il bene non sia fungibile e quindi divisibile in natura, dovrà valutare se sia più conveniente la vendita della quota o procedere alla divisione giudiziale del bene. L’espropriazione contro il terzo proprietario* Si ha espropriazione contro il terzo proprietario nelle due ipotesi previste dall’art. 602: 1. espropriazione di un bene gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui; 2. bene la cui alienazione da parte del debitore sia stata revocata per frode. Il processo esecutivo contro il terzo proprietario si apre con il precetto al debitore sul piano sostanziale e la notificazione di tale precetto e del titolo esecutivo al terzo proprietario. Quest’ultimo ha i seguenti strumenti per impedire l’espropriazione: 1. il terzo proprietario può pagare ponendo in essere l’adempimento di un debito altrui; 2. l’acquirente del bene ipotecato chiede la liberazione dei beni dalle ipoteche; 3. l’acquirente del bene ipotecato rilascia il bene ai creditori. Il debitore non esecutato e l’esecutato non debitore sono parti necessarie. Possono intervenire i creditori del terzo esecutato e non quelli del debitore non esecutato. Lo strumento con il quale l’esecutato si difende nei confronti delle pretese del creditore procedente è l’opposizione all’esecuzione, con la quale si contesta il diritto del creditore istante di procedere all’esecuzione forzata L’esecuzione in forma specifica* 95 Sappiamo che la tutela in via di esecuzione forzata ha luogo quando siamo di fronte alla violazione di un obbligo di comportamento da parte di un certo soggetto. Quando tale violazione consiste nel mancato pagamento di una somma di denaro, la tutela esecutiva si attua nelle forme dell’espropriazione forzata; quando riguarda un comportamento diverso l’ordinamento prevede due possibilità: 1. gli obblighi di consegna di una cosa determinata danno luogo all’esecuzione per consegna o rilascio; 2. ogni altro tipo di attività che l’obbligato omette di tenere dà luogo all’esecuzione per obblighi di fare. L’esecuzione per consegna e rilascio A differenza dell’espropriazione, l’esecuzione per consegna o rilascio consente al creditore procedente di perseguire il bene nei confronti del soggetto che è effettivamente in quel tempo detentore. Da un punto di vista procedurale l’esecuzione per consegna o rilascio inizia con un precetto che deve contenere la descrizione dei beni. L’ufficiale giudiziario procede con la ricerca del bene ovunque si trovi e lo consegna all’istante o a persona da lui designata. Il modo di trasferimento del possesso dell’immobile dipende dal modo in cui si esplica il possesso su quel bene, ed a quale diritto il titolo esecutivo si riferisce. L’immissione nel possesso può anche essere simbolica per i luoghi aperti. L’esecuzione per obblighi di fare A norma dell’art. 612, “chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al pretore che siano determinate le modalità dell’esecuzione”. Le spese di esecuzione sono a carico dell’esecutato e il giudice deve scegliere le modalità di esecuzione che garantiscano il risultato ma che non siano onerose più del necessario per l’esecutato. L’opposizione all’esecuzione L’oggetto dell’opposizione all’esecuzione è la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Manca il diritto a procedere ad esecuzione forzata sia quando la situazione sostanziale esiste ma non ha diritto alla tutela esecutiva sia quando c’è il diritto alla tutela esecutiva ma la situazione sostanziale è inesistente: 96 96 • mancanza di titolo esecutivo in senso sostanziale: l’opponente può negare il diritto a procedere a esecuzione sostenendo che la parte istante non ha tale diritto perché esso non è mai esistito o è venuto meno (inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo). L’opposizione agli atti esecutivi Sappiamo che nel processo esecutivo non c’è un ambiente idoneo a decidere e quindi a risolvere le questioni di rito. Per questo motivo, mentre nel processo di cognizione il giudice può decidere sul rito e sul merito, in quello esecutivo serve uno strumento che permetta di aprire un processo di cognizione per decidere sul rito. Tale è appunto l’opposizione agli atti esecutivi. Ex art. 617 l’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta entro cinque giorni: termine perentorio decorrente dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato. Vi sono differenze fra le due categorie di nullità degli atti del processo: • nullità formali: danno luogo ad un vizio dell’atto che è rilevabile, di regola, dalla sola parte interessata o dal giudice nei casi previsti dalla legge. La mancata proposizione dell’opposizione determina la sanatoria del vizio dell’atto processuale. • nullità extraformali: sono tutte rilevabili d’ufficio. Tutti gli atti del processo sono viziati per un loro vizio originario in quanto posti in essere in carenza di un presupposto processuale. L’opposizione agli atti esecutivi è uno strumento che può essere utilizzato da tutti coloro che sono parti del processo. Vediamone ora la procedura. Se l’esecuzione è proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, essa va proposta con citazione. Se è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione, si deve depositare il ricorso presso il giudice dell’esecuzione il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e da un termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. La sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è dichiarata non impugnabile dall’art. 618 (a parte il ricorso per Cassazione). Per stabilire se una sentenza va qualificata come opposizione all’esecuzione (ricorribile in appello) o opposizione agli atti esecutivi (ricorribile solo per Cassazione) fa fede la qualificazione che ha dato il giudice all’opposizione e non la reale natura della stessa. Le nullità del processo esecutivo perdono rilevanza con la sua chiusura e non possono essere fatte valere al di fuori del processo esecutivo. 97
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