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Luiso Volume III-il processo esecutivo, Appunti di Diritto Processuale Civile

Riassunto del terzo volume del manuale di diritto processuale civile-Luiso sul processo esecutivo

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 27/05/2018

Angela.Tamborrino
Angela.Tamborrino 🇮🇹

4.5

(21)

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Scarica Luiso Volume III-il processo esecutivo e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! IL PROCESSO ESECUTIVO ESECUZIONE DIRETTA E INDIRETTA Il diritto di azione e di difesa, previsti e garantiti dall’art.24 Cost. comprendono anche la tutela esecutiva. La norma costituzionale garantisce il diritto ad una tutela giurisdizionale efficace che si deve esplicitare in tutte le forme necessarie per la soddisfazione dei vari diritti: nella forma del processo di cognizione, cautelare e di esecuzione forzata. La Corte di Strasburgo ha più volte affermato che il diritto all’equo processo, previsto dall’art.6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, comprende anche la tutela esecutiva. E la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che, nella sostanza, impedivano la tutela esecutiva. All’inadempimento dell’obbligato si può reagire, in sede giurisdizionale esecutiva, con l’esecuzione forzata diretta o indiretta. • Si ha esecuzione diretta tutte le volte in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, il quale si attiva in luogo dell’inadempiente, compie ciò che quest’ultimo avrebbe dovuto fare, e fa conseguire all’avente diritto l’utilità che gli spetta secondo il diritto sostanziale. Poiché l’attività di ufficio è sostitutiva di quella che doveva tenere l’obbligato, è ovvio che il titolare del diritto non può ottenere di più (nè deve ottenere di meno) di quello che avrebbe ottenuto in virtù dell’adempimento spontaneo dell’obbligato. Questa tecnica ha un limite naturale: ovvero l’obbligo deve essere infungibile; per il titolare del diritto deve essere indifferente che la prestazione provenga personalmente del’’obbligato oppure da un terzo. Occorre precisare che la nozione di fungibilità/infungibilità è diversa da quella disciplinata dagli artt.1285 cc.; qui essa sta ad indicare la sostituibilità o meno, da parte di un terzo (cioè l’uff esecutivo), della prestazione inadempiuta dall’obbligato. Fanno parte degli obblighi infungibili tutti quelli, in cui l’adempimento personale da parte dell’obbligato è determinante o a causa del contenuto personale della prestazione o perché si stratta di obblighi di astensione: tutti gli obblighi di astensione sono infungibili. • Quando si è in presenza di obblighi infungibili si rende così necessaria l’esecuzione indiretta: occorre indurre l’obbligato ad adempiere, e ciò può essere ottenuto prevedendo che l’obbligato inadempiente vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento, conseguenze civili o penali: a) misure coercitive civili, quando sia previsto che a carico dell’inadempiente, sorge l’obbligo di pagare una certa somma di danaro, per ogni ulteriore periodo di inerzia o per ogni ulteriore violazione del dovere di astensione. La somma è quindi determinata con riferimento ad una unità temporale (giorno, settimana, mese)per l’inadempimento di obblighi di fare, e con riferimento ad ogni illecito 1 commesso per la violazione degli obblighi di astensione. Il beneficiario delle somme versate può essere lo Stato (o altro ente pubblico) oppure la controparte. b) misure coercitive penali, quando sia previsto che, verificatesi i presupposti della tutela esecutive, gli ulteriori inadempimenti dell’obbligato integrano un’ipotesi di reato. Nel nostro ordinamento, oltre che ad un’esecuzione indiretta generalizzata per tutte le prestazioni infungibili (art.614-bis cpc), il legislatore qua e là prevede ipotesi specifiche do esecuzione indiretta, talvolta adottando la tecnica civilistica e talaltra quella penalistica. L’esecuzione indiretta in astratto potrebbe essere usata sia per obblighi infungibili che per quelli fungibili, ma di solito è utilizzata solo per quelli infungibili, perché come tecnica esecutiva ha degli inconvenienti: a) gli strumenti coattivi operano sulla volontà dell’obbligato, e quindi possono essere inefficaci, ove l’obbligato sia particolarmente determinato a non adempiere. b) in secondo luogo, lo strumento coattivo di natura penale costituisce un ulteriore appesantimento per una giurisdizione, quella penale, che è già sovraccarico. c) lo strumento coattivo di natura civile, è un’arma spuntata nei confronti di chi non ha un patrimonio con cui rispondere dell’obbligazione pecuniaria. Al contrario invece, l’esecuzione indiretta non serve se l’obbligato ha un patrimonio talmente ingente da essere insensibile al pagamento della somma. (ex di Lucio Verazio che si divertiva a schiaffeggiare le persone che incontrava, ed era seguito da un servitore). Dobbiamo chiederci ora cosa accada nell’ipotesi in cui l’esecuzione indiretta sia utilizzata per un diritto (accertato poi) inesistente. Se il giudice, nella sede competente, dichiara che chi ha subito l’esecuzione indiretta aveva diritto di tenere oppure di non tenere il comportamento a lui ripetitivamente vietato o imposto, allora ha fatto bene quel soggetto a non ottemperare all’ordine del giudice: egli aveva il diritto di non ottemperare. Quindi, una volta riformato il provvedimento, cade la sanzione penale e, se si tratta di sanzione civile, le somme pagate gli devono essere restituite. I PRESUPPOSTI E IL CONTENUTO DELLE ISURE GIURISDIZ. ESECUTIVE Dal punto di vista generale esiste una differenza fondamentale fra la tutela dichiarativa (libro II cpc) e quella esecutiva. Infatti sono diversi i presupposti affinché la “macchina processuale” si attivi nelle due ipotesi. • il presupposto della tutela dichiarativa è costituito dalla semplice affermazione, da parte di chi richiede la tutela giurisdizionale, che esiste una situazione sostanziale che ha bisogno di quel tipo di tutela. 2 sentenze di condanna, in qualunque sede emesse hanno efficacia esecutiva. Ai titoli esecutivi giudiziali si possono ricondurre anche le ordinanze e dei decreti. La riforma del 2006 ha aggiunto l’espressione “e gli altri atti” alle parole “le sentenze e i provvedimenti”. con ciò si è voluto risolvere la questione dell’efficacia esecutiva del verbale di conciliazione giudiziale: la conciliazione è quel modo di chiusura del processo che snida quando le parti si trovano d’accordo per una risoluzione consensuale della controversia; l’accordo è recepito nel verbale della causa, che viene sottoscritto in udienza dalle parti e dal giudice, e costituisce titolo esecutivo (art. 185 cult comm cpc). Ci si chiedeva se tale verbale fosse titolo esecutivo giudiziale (quindi icone o per qualunque forma di esecuzione forzata) o stragiudiziale ( quindi idoneo solo per l’espropriazione e non anche per le altre forme di esecuzione). La modifica introdotta nel 2006 equipara quindi il verbale di conciliazione ai titoli esecutivi giudiziali. • la seconda categoria di titoli esecutivi, prevista dall’art. 474 cpc, è costituita dalle scritture private autenticate e dai titoli di credito; le cambiali, li assegni e gli altri titoli ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia. Le scritture private autenticate costituiscono titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di danaro in essi contenute. Quindi non tutti gli obblighi, contenuto in una scrittura privata sono suscettibili di dar luogo all’esecuzione forzata . Pertanto le scritture private sono titoli esecutivi solo per l’espropriazione, e non per le altre forme di esecuzione forzata. Così il contratto di compravendita, stipulato di fronte al notaio in forma di scrittura privata (e non di atto pubblico), è titolo esecutivo per l’obbligo del compratore di pagare il prezzo, e non lo è invece per l’obbligo del venditore di consegnare il bene: infatti, l’obbligo del compratore ha ad oggetto il pagamento di una somma, e quindi è titolo esecutivo; l’obbligo del venditore ha ad oggetto la consegna del bene, e quindi non è sotto questo aspetto titolo esecutivo. si noti inoltre, che quando l’art. 474 parla di scrutar privata fa riferimento non solo ai contratti, ma anche agli atti unilaterali. Per quanto riguarda invece i titoli di credito, la legge sulla cambiale e quella sull’assegno prevedono che questi siano titoli esecutivi solo se in regola con il bollo fin dal momento della ,oro emissione. Se non sono in regola con il bollo fin dall’origine, valgono come titoli di credito, però non hanno efficacia esecutiva. • la terza categoria è costituita dagli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. Come previsto dall’art. 474 III cpc, l’atto pubblico costituisce titolo esecutivo anche in relazione all’esecuzione per consegna e rilascio. Dunque quel contratto di compravendita che, se stipulato di fronte al notaio per scrittura privata autenticata è titolo esecutivo solo in relazione all’obbligo dell’acquirente di pagare il prezzo e non anche in relazione all’obbligo 5 del venditore di consegnare il bene, qualora, invece, di fronte allo stesso notaio sia stipulato per atto pubblico, costituisce titolo esecutivo sia a favore del venditore che dell’acquirente. Infine vi sono centinaia di altri titoli esecutivi che il legislatore individua qua e là in leggi speciali. L’efficacia del titolo esecutivo deve comunque essere prevista espressamente dal legislatore e non può essere attribuita in via di interpretazione analogica. Fra le varie fattispecie di titolo esecutivo, vi è la conciliazione stragiudiziale, cioè di quel procedimento, che è volto a favorire una soluzione negoziale della controversia. Proprio a questo scopo, cioè per invogliare le parti ad esperire il procedimento conciliativo, garantendo loro un risultato che il legislatore attribuisce all’accordo, raggiunto nelle sedi indicate dal legislatore, efficacia piena di titolo esecutivo. Infatti il verbale di conciliazione, autenticato dai legali che hanno assistito le parti oppure munito dell’exequatur del tribunale, costituisce titolo esecutivo “per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”. Altra interessante fattispecie è prevista dell’art. 12 Dlgs 124/2004. Sulla base di tale disposizione, ove il personale delle direzioni provinciali del lavoro, in occasione dello svolgimento della loro attività di vigilanza, verifichi la inosservanza, da parte del datore di lavoro di disposizioni da ci scaturisce la sussistenza di crediti a favore del lavoratore diffida lo stesso datore a corrispondere quanto dovuto. Tale diffida, decorsi 30 giorni senza che sia stato trovato un accordo fra il datore e il lavoratore, acquista efficacia di titolo esecutivo a favore del lavoratore per le somme ivi indicate. La particolarità di questa fattispecie sta che qui l’atto amministrativo della PA costituisce titolo esecutivo non a favore della PA stessa, ma a favore di un terzo. Ovviamente l’atto della PA non ha alcuna efficacia preclusiva, e quindi il datore di lavoro può far valere tutte le sue difese di merito. Inoltre, dal momento che non è previsto alcun onere di impugnativa, il datore di lavoro può far valere in sede di opposizione all’esecuzione anche le eventuali invalidità dell’atto. Quindi perché il legislatore attribuisce l’efficacia di titolo esecutivo a certi atti e non ad altri. In dottrina è prevalente l’opinione che riconduce il comune denominatore dell’efficacia esecutiva di certi atti a ciò che questi atti darebbero certezza dell’esistenza del diritto da tutelare. Tale accertamento scaturisce dagli atti indicati nell’art. 474 cpc, mentre non scaturisce da altri atti, ai quali il legislatore nega l’efficacia esecutiva, perché non danno sufficiente certezza dell’esistenza del diritto sostanziale da tutelare. Ma questa impostazione non convince. Però la certezza dell’esistenza del diritto da tutelare non è l’elemento fondamentale, che sta alla base della scelta del legislatore per l’individuazione dei titoli esecutivi. 6 In realtà ciò che conta è che il legislatore ritenga per motivi vari meritevole di tutela esecutiva una certa situazione sostanziale. Prendiamo ad ex il n.2 dell’art. 474 cc, laddove si stabilisce che sono titoli esecutivi le scritture private autenticate “relativamente alle obbligazioni di somme di danaro in essa contenute”: lo stesso atto è titolo esecutivo per i crediti pecuniari, ma non per gli obblighi di dare o di fare; ma la ratio della sua efficacia esecutiva non può stare in ciò, che l’uno è un diritto certo e l’atro no. Il legislatore volendo attribuire tutela esecutiva fa le seguente valutazione: fra il non dare efficacia esecutiva ai titoli di credito se non c’è certezza della loro provenienza, ed il rischiare un’esecuzione forzata ingiusta attribuendo tutela esecutiva ad un diritto che non esiste, è più opportuno correre il rischio di attribuire la tutela esecutiva ad un diritto inesistente. Quindi non la certezza dell’esistenza del diritto, ma altre ragioni stanno a fondamento dell’efficacia esecutiva attribuita ai titoli di credito. In definitiva, gli elementi che il legislatore prende in considerazione per attribuire la tutela esecutiva sono disomogenei. I fattori che il legislatore prende in considerazione in questo giudizio di “meritevolezza” della tutela esecutiva sono variabili, e la scelta è difficilmente sindacabile dal punto di vista della legittimazione costituzionale. Le considerazioni appena esposte consentono di chiarire i rapporti fra tutela dichiarativa ed esecutiva. La tutela esecutiva non è fornita a chiunque la richieda affermando di essere titolare di un diritto leso dall’inerzia dell’obbligato: occorre, che venga ad esistenza u diritto (processuale), il diritto di tulle esecutiva, diverso dal diritto (sostanziale), il diritto da tutelare. Se l’interessato non ha un titolo esecutivo stragiudiziale, deve procurarsene uno: il che può accadere solo attraverso un processo di cognizione (ordinario o sommario). In tal caso il processo di cognizione è “prostituito” ad una funzione diversa da quella propria: all’attore interessa procurarsi l’accesso alla tutela esecutiva tramite la formazione di un titolo esecutivo. Il provvedimento dichiarativo è solo una tappa vero la meta finale. IL TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE E DOCUMENTALE Oggetto della tutela esecutiva non è il titolo esecutivo, ma il diritto sostanziale da tutelare. ciò significa che l’esecuzione forzata costituisce l’attuazione non del provvedimento del giudice ma della situazione sostanziale protetta. Questa precisazione è avvenuta in sede di processo civile e non di processo amministrativo o penale, perché in questi ultimi l’esecuzione presuppone sempre un provvedimento giurisdizionale mentre nel processo civile l’esecuzione può prescinderne, in quanto esistono anche i titoli esecutivi stragiudiziali. L’esistenza dei titoli eseguiti stragiudiziali ha costretto a rimediare sulla specificazione del termine “esecuzione” si riferisce non al provvedimento 7 Per individuare i titoli esecutivi in senso documentale, occorre distinguere le ipotesi previste previste dall’art. 474 II (scritture private autenticate e titoli di credito) e quelle previste dalla’t. 474 I e III cpc (provvedimenti giudiziali e atti pubblici). Nel primo caso, il titolo esecutivo in senso documentale è rappresentato dall’originale del titolo esecutivo. Nel secondo caso, l’originale dell’atto resta custodito dal pubblico ufficiale che lo ha formato. il titolo esecutivo in senso documentale non è quindi costituito dall’originale dell’atto, ma da una sua copia. Siccome il titolo esecutivo in senso documentale è una copia, c’è il pericolo che entrino in circolazione una pluralità di titoli esecutivi in senso documentale. Il pericolo che vi siano in circolazione più titoli esecutivi è fronteggiato attraverso il meccanismo della spedizione in forma esecutiva ex art. 475 cpc. Tale meccanismo consiste nell’identificare la copia dell’atto, che costituisce titolo esecutivo in senso documentale, attraverso l’apposizione della formula riporta dall’art. 475 II cpc, e nel differenziarla così dalle altre eventuali copie. La stessa disciplina dell’atto pubblico si applica anche alle scritture private il cui originale per obbligo di legge o volontà delle parti, resta depositato presso il notaio che le ha autenticate. Le parole che connotano la spedizione in forma esecutiva (art. 475 III cpc) costituiscono un reperto di archeologia giuridica. La formula esecutiva veniva utilizzata prima della codificazione napoleonica, quando l’esecuzione forzata era attività amministrativa e non giurisdizionale. La pronuncia del giudice doveva venire recepita dalla pubblica amministrazione, divenendo così un atto amministrativo. La ricezione avveniva con quel “comandiamo” che all’epoca costituiva un ordine del funzionario amministrativo che, in nome o per conto del re, comandava agli altri funzioni di dare attuazione al titolo. Poi l’esecuzione forzata è diventata attività giurisdizionale; è rimasta la formula, però con funzione diversa: contrassegnare l’unica copia dell’atto esecutivo che può fungere da titolo esecutivo in senso documentale. La spedizione in forma esecutiva non ha alcuna incidenza sul diritto di procedere ad esecuzione forzata. Se un atto ha efficacia esecutiva, la mantiene anche se il titolo esecutivo in senso documentale manca della formula esecutiva. EFFICACIA TITOLO ESECUTIVO VERSO TERZI Gli atti giurisdizionali sono di regola, atti concreti, producono i loro effetti verso i soggetti in essi stessi nominativamente individuati. Anche il titolo esecutivo ha il carattere della concretezza: esso individua nominativamente i destinatari dei suoi effetti. Il problema è se si può avere un processo esecutivo contro soggetti diversi da quelli individuati nominativamente dal titolo esecutivo. Molte sono le norme che prevedono esplicitamente o implicitamente che un certo atto è efficace 10 verso soggetti doversi da quelli individuati nell’atto stesso. Per i provvedimenti giurisdizionali, l’art. 2909 cc prevede che la sentenza passata in giudicato ha effetti fra le parti, gli eredi e gli aventi causa. L’art. 111 cpc prevede che la sentenza emessa fra le parti originarie spiega i suoi effetti anche nei confronti del successore del diritto controverso. L’art. 1595 cc prevede che la sentenza emessa noi confronti del conduttore ha effetto anche verso il subconduttore. Queste norme (e le altre simili) non sono però idonee a risolvere il problema perché prevedono che i provvedimenti in questione hanno “effetti” verso certi terzi, ma non anche che costituiscono titolo esecutivo verso questi terzi. In altri termini, contattare che l’atto (che funge da titolo esecutivo) è efficace verso certi terzi non vuol dire necessariamente che esso sia utilizzabile come titolo esecutivo da e contro questi terzi. Bisogna prendere in esame le norme che trattano espressamente di efficacia del titolo esecutivo verso i terzi. Esaminiamo dapprima l’art.475 II cpc: la spedizione del titolo in forma esecutiva è possibile anche a favore di soggetti, non individuati nel titolo stesso come creditori, che siano “successori” dell’avente diritto. L’efficacia del titolo esecutivo a favore dei successori non è espressamente prevista nella norma, ma è da essa necessariamente presupposta. Dall’art.475 II cpc si ricava che, insieme alla successione nel diritto sostanziale, si ha successione anche nel diritto (processuale) alla tutela esecutiva, che spettava al dante causa. La successione si definisce, infatti come quel fenomeno in virtù del quale gli effetti prodottisi in relazione ad un’entità giuridica si mantengono anche in relazione ad un’altra entità giuridica. La situazione del successore, oggettivamente diversa da quella del dante causa ma connessa per pregiudizialità-dipendenza con quest’ultima, acquista la tutelabili esecutiva che aveva la situazione pregiudiziale. Poiché la successione è avvenuta dopo la formazione dell’atto-titolo esecutivo, l’atto in questione ha, nei confronti del successore, e relativamente al modo di essere del diritto pregiudiziale, gli stessi effetti preclusivi che ha verso il dante causa. L’efficacia preclusiva riguarda il solo diritto pregiudiziale, non anche il diritto dipendente. Il successore non ha obbligo di dimostrare, neppure documentalmente, al soggetto che deve spedire il titolo in forma esecutiva, la sua qualità di successore. La tutela contro falsi successori, che hanno ottenuto la copia esecutiva affermando esistente una successione che in realtà non si è verificata, è data dall’opposizione all’esecuzione, che può proporre chi si vede minacciata l’esecuzione da un falso successore. L’efficacia, a favore del successore, del titolo esecutivo formatosi a favore del dante causa ha la funzione di evitare la necessità di instaurare un processo di cognizione nei confronti del debitore, al solo fine di accertare l’esistenza della 11 successione. Orbene, di fronte a tali due rischi contrapposti, necessità di un processo di cognizione; possibilità che il titolo esecutivo sia utilizzato da chi non è effettivamente successore, il nostro ordinamento sceglie il secondo, rimettendo l’iniziativa dell’accertamento della qualità di successore all’eventuale contestazione dell’esecutato. Se l’esecutato non si oppone, non c’è contestazione e viene evitato un processo di cognizione. Nell’eventuale processo di opposizione spetta al creditore dimostrare ciò che ha affermato al momento in cui ha chiesto la spedizione del titolo esecutivo. Sulla base dell’art.477 cpc, il titolo esecutivo contro il de cuius ha efficacia contro gli eredi. Sul piano sostanziale si ha una situazione analoga, ma rovesciata, rispetto a quella prevista dall’art.475 cpc. L’erede è il titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità-dipendenza con l’obbligo del de cuius. La funzionalità della norma è quella di evitare l creditore la necessità di instaurare un processo di cognizione. Un accertamento preventivo costituirebbe un’inutile spedita di attività. Al contrario dell’art.475 cpc, che ricomprende qualsiasi ipotesi di successione, l’art.477 cpc prevede che non qualunque ipotesi in cui si crea un nesso di dipendenza tra l’obbligo contemplato nel titolo esecutivo e l’obbligo di cui è titolare il terzo, ma solo la successione a titolo universale. Ma la previsione dell’art.477 cpc è estensibile analogicamente a tutte le altre ipotesi di successione, in quanto sussiste l’aedem ratio. Infatti, la relazione esistente fra l’obbligo pregiudiziale di cui al titolo esecutivo e quello dipendente del terzo è identica vuoi nell’ipotesi di successione universale vuoi in tutte le altre di successione a titolo particolare negli obblighi. Ma ciò è irrilevante quando concentriamo l’attenzione su quel singolo obbligo consacrato nel titolo esecutivo: rispetto a quel singolo obbligo il nesso che sussiste tra la situazione pregiudiziale e la situazione dipendente è lo stesso. Poiché la successione ereditari dà luogo, sotto tutti i profili rilevanti, ad un fenomeno analogo alle altre ipotesi in cui si verifica la nascita di un obbligo dipendente da quello consacrato nel titolo, niente osta ad estendere la disciplina dell’art.477 cpc, al di là dell’ipotesi espressamente prevista, a condizione che l’atto, che funge da titolo esecutivo, sia efficace nei confronti del titolare dell’obbligo dipendente. Per quanto riguarda invece art.2909 cc, si applica quando è pronunziata una sentenza di condanna ed il terzo, dopo il passaggio in giudicato della stessa, divine titolare di un diritto o di un obbligo dipendenti da quello oggetto nella pronunzia stessa. Art.111 cpc, si applica quando lo stesso tipo di successione ha luogo nel corso del processo. 12 tutti gli altri atti del processo esecutivo. La norma consente di qualificare il precetto come un atto del processo esecutivo anteriore all’inizio dell’esecuzione forzata: da ciò si ricava che il processo esecutivo inizia prima dell’esecuzione forzata. Il precetto produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale: l’impianto della decadenza, l’interruzione e la sospensione della prescrizione e così via (art.2943 I cc). Rispetto alla citazione e al ricorso, il precetto presenta anche una diversità: nella citazione e nel riscorso, contestualmente all’indicazione del diritto di cui si chiede la tutela, è presente anche la richiesta del provvedimento del giudice; nel precetto la richiesta di intervento dell’ufficio esecutivo non è contestuale alla notifica del precetto, ma avviene successivamente. Il precetto perde efficacia se entro 90 gironi dalla notifica non è iniziata l’esecuzione forzata. Ex art.481 II cpc l’opposizione contro il precetto non sospende il processo esecutivo: tuttavia il creditore procedete, quando è presentata opposizione contro il precetto, non è obbligato a dar corso all’esecuzione forzata. • può procedere ugualmente assumendo la responsabilità dei danni per l’esecuzione ingiusta ex art.96 II cpc • oppure può aspettare l’esito del processo di opposizione. Se sceglie di aspettare, l’art.481 II cpc gli garantisce che il precetto non perde efficacia. La validità del precetto permane per tutta la durata del processo di opposizione. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, il termine di perenzione del precetto, essendo un termine di decadenza, è fatto salvo da un pignoramento effettuato tempestivamente. altri pignoramenti, successivi al primo, possono quindi essere effettuati ancorchè, rispetto ad essi, il termine di 90 giorni sia già decorso. STRUTTURA GENERALE DEL PROCESSO ESECUTIVO Gli articoli da 489 a 490 cpc sono redatti con riferimento all’espropriazione forzata, ma sono utilizzabili come parte generale del processo esecutivo, quindi anche con riferimento all’esecuzione in forma specifica. Come visto, l’esecuzione forzata non interviene per stabilire autoritativamente quali comportamenti siano leviti e quali doverosi. Lo scopo dell’esecuzione forzata è di procurare la soddisfazione di diritti correlati a obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti ed obblighi. Dal punto di vista strumentale, la cognizione forma il necessario presupposto di qualunque attività. Anche nel processo esecutivo i soggetti interessati, prima di compiere un’attività, fanno la “ricognizione” della situazione esistente per vedere se e come debbono agire. L’ufficio esecutivo, fa la ricognizione della sussistenza dei presupposti per emetterla: ciò non significa che l’ufficio esecutivo emetta una statuizione 15 circa il modo di essere di tali presupposti, in particolare della realtà sostanziale sulla quale la misura esecutiva va ad incidere. Se qualcuno afferma che l’esecuzione non deve aver luogo, perché non esiste il diritto da tutelare, deve aprire un processo dichiarativo e portare tale controversia nella sede propria dell’accertamento deludo di essere di tale diritto. Nel processo dichiarativo proprio perché esso ha la funzione di statuire sull’esistenza o più in generale sul modo di essere della realtà sostanziale, la risposta negativa del giudice va distinta in una risposta negativa di rito e in una risposta negativa di merito. Il giudice del processo dichiarativo può rifiutare la tutela per due ragioni: • mancano le condizioni processuali per statuire sulla realtà sostanziale • Perché manca la situazione di cui si è rischiate la tutela Tali pronunce negative hanno dovessi effetti: • la prima colloca i suoi effetti sul terreno processuale, non forma giudicato ex art.2909 cc, e non impedisce al soccombente di riproporre la domanda per chiedere la tutela dello stesso diritto sostanziale • la seconda ha un’efficacia di giudicato impedendo al soggetto soccombente di affermarsi titolare della situazione sostanziale. La struttura del processo dichiarativo, in stretta connessione con la sua funzione, è tale da consentire la ricezione, trattazione e decisione delle questioni di rito con gli stessi strumenti previsti per le questioni di merito. Nel processo esecutivo, non essendo propria di tale processo la funzione di accertare il modo di essere della realtà storica, le risposte dell’ufficio sono sempre due (affermativa o negativa) ma quella negativa non si sottodistingue in rifiuto per ragioni di merito ed in rifiuto depor ragioni di rito. Se l’ufficio esecutivo si convince che sussistono le condizioni per accogliere la domanda, emette il provvedimento; se si convince che manca una condizione per accogliere la domanda, rifiuta di emettere il provvedimento. anche dal punto di vista della forma vi è differenza fra processo dichiarativo ed esecutivo. Nel processo dichiarativo la forma del provvedimento è sempre la stessa, la sentenza; nel processo esecutivo la forma può essere diversa a seconda che la risposta dell’ufficio esecutivo sia negativa o positiva. • se l’ufficio esecutivo ritiene di rispondere positivamente alla richiesta, emette la misura esecutiva, che ha la forma prevista dalla legge (pignoramento, ordinanza di vendita ecc.) • se l’ufficio esecutivo ritine di rispondere negativamente, rifiuta di compiere l’atto che è stato richiesto Se l’interessato si lamenta del comportamento dell’ufficio, sostenendo che la misura esecutiva è stata illegittimamente rifiutata o concessa, la relativa controversia non può mai essere decisa nel processo esecutivo, 16 come invece accade nel processo di cognizione. Il processo esecutivo, poiché non è strutturato per risolvere le controversie relative al modo di essere della realtà sostanziale, non ha neanche la struttura idonea per risolvere le controversie che possono sorgere in ordine a questioni processuali. Mentre nel processo di cognizione le questioni di rito e di merito possono essere cumulate e risolte dallo stesso tipo di attività dell’organo giurisdizionale e delle parti, il processo esecutivo non è finalizzato a statuire circa il modo di essere della realtà sostanziale e quindi non è strutturato in modo indotto a decidere neppure delle questioni processuali che possono sorgere al suo interno. Ciò no significa che non ci sia “cognizione”, ma solo che tale cognizione è strumentale ad un provvedimento che non ha funzione decisoria. La rivelazione dei presupposti processuali segue la disciplina del primo libro del cpc, la quale stabilisce da chi e fino a che momento l’eventuale carenza del presupposto processuale può essere rilevata. Regola generale, è che i vizi dei presupposti processuali sono rilevabili anche d’ufficio. A tale regola generale e fanno eccezione le norme che restringono la rilevabilità del vizio quanto ai soggetti e quanto alle fasi del processo, nelle quali il vizio deve essere rilevato. Le norme in questione devono essere trasferite nell’ambito del processo esecutivo. Talvolta il legislatore prevede la prima udienza come termine ultimo per la rilevazione dei vizi di certi presupposti processuali. Nell’espropriazione forzata normalmente questa è l’udienza in cui si decide circa la vendita o assegnazione del bene. Nell’esecuzione per obblighi di fare o di non fare, è l’udienza fissata a seguito della presentazione del ricorso previsto dall’art.612 cpc. Nell’esecuzione per consegna e rilascio, dato che non ci sono udienze, le preclusioni riferite alla prima udienza non hanno modo di operare. In conclusione:se un vizio del processo, consiste nella carenza di un presupposto processuale, è rilevato neo tempi e nei modi previsti, l’ufficio esecutivo deve rifiutare l’emanazione dell’atto che gli è stato richiesto. Altra questione attiene alla nullità dei singoli atti del processo. La differenza tra la carenza di un presupposto processuale e la nullità dei singoli atti del processo sta in ciò, che la carenza del presupposto processuale produce la nullità di tutti gli atti del processo, mentre alla nullità dei singoli atti occorre applicare gli art.156 ss cpc; tali norme, non essendo espresse con terminologia propria del processo dichiarativo, possono essere stese senza adattamenti al processo esecutivo. Secondo l’art.157 cpc, la nullità dei singoli atti del processo è rilevabile dall’ufficio solo se lo prevede la legge. La nullità dei singoli atti può essere posta dall’ufficio esecutivo a fondamento del suo rifiuto di provvedere solo se la legge prevede che tale nullità possa essere rilevata d’ufficio, oppure se 17 Passiamo ora ad analizzare la composizione dell’ufficio esecutivo. Gli uffici giudiziari competenti per l’esecuzione forzata sono indicati dagli artt.9 e 26 cpc. in senso verticale, per l’esecuzione forzata è sempre competente il tribunale. In senso orizzontale, territorialmente competente per l’espropriazione immobiliare e mobiliare, è il giudice del luogo dove si trova il bene; per l’espropriazione presso terzi è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l’esecuzione forzata di obblighi degli obblighi di fare o di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto; per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio ritorna competente il giudice del luogo dove si trovano i beni. La competenza territoriale è ex artt.28 cpc, inderogabile dalla volontà delle parti. Quindi l’incompetenza è rilevabile anche di ufficio non solo dal giudice, ma anche dell’ufficiale giudiziario. Da non confondersi con la competenza per l’esecuzione ex art.9 e 26 cpc è la competenza per le cause di cognizione incidentali all’esecuzione, che sono veri e propri processi di cognizione, la la competenza per i quali è disciplinata dagli art.17 (competenza per valore) e 27 (competenza territoriale) cpc. L’uffcio esecutivo non è composto dal tribunale nel suo complesso, ma da uno o più giudici, ai quali vengono attribuite le mansioni di giudice dell’esecuzione. Assume ruolo importante l’ufficiale giudiziario che, in talune forme di esecuzione forzata, è l’unico soggetto a svolgere attività. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA Il processo con cui si tutelano esecutivamente i crediti relativi a somme di danaro è l’espropriazione forzata, disciplinata dal titolo II del libro III. Il fondamento dell’espropriazione forzata non sta nel cpc, ma nel cc, in particolare nell’art.2740, che va letto insieme all’art.2910. La responsabilità patrimoniale, di cui all’art.2740 cc, costituisce il fondamento di ogni forma di espropriazione forzata. Il secondo principio attiene al tipo di potere che i creditore ha sui beni del debitore. Ciò è chiarito dall’art.2910 cc, è la norma speculare all’art.2740 cc; la norma non dice che il creditore può impadronirsi dei beni del creditore per soddisfare il suo diritto: essa stabilisce che il creditore può far espropriare i beni del debitore, e non espropriare. Quindi il creditore ha un diritto processuale verso lo Stato, acciocché lo Stato eserciti il suo potere espropriativo nei confronti del debitore. Fra creditore, debitore e Stato si crea quindi una triangolazione: - lo Stato ha verso il debitore il potere di espropriare; - il creditore ha verso lo Stato il diritto (processuale) di ottenere che questo eserciti il potere di espropriare; il creditore ha verso il debitore il diritto (sostanziale) di credito. - il debitore, a sua volta, risponde con in propri beni dei suoi debiti non nel senso che i beni non sono suoi, ma nel senso che essi sono 20 soggetti al potere espropriativo dello Stato, che è esercitato allorché lo richieda un creditore che ne ha diritto. Il processo di espropriazione forzata passa attraverso tre momenti: 1) il primo è costituito dall’individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore. Quando l’art.2740 cc stabilisce che il debitore “risponde con tutti i suoi beni” non fa riferimento al bene materiale, ma al diritto sul bene. 2) il secondo momento è costituito dalla trasformazione del diritto pignorato. L’elemento attivo deve essere liquidato, trasforma in una somma di denaro. Tale fase non è necessaria quando oggetto del pignoramento è una somma di denaro. 3) il terzo momento è costituito dalla distribuzione del ricavato. Il diritto del debitore, oggetto del pignorato, è liquidato cioè trasformato in una somma di denaro, e con tale somma si paga il creditore. Se l’espropriazione forzata passa attraverso i tre momenti indicati (individuazione/conservazione; liquidazione; soddisfazione del creditore), siccome gli elementi attivi circolano in modo diverso sul piano del diritto sostanziale, ne consegue che l’esecuzione si deve adattare al diverso modo di circolazione. I modi di circolazione che il nostro ordinamento conosce riguardano i diritti sui beni mobili, diritti sui beni immobili, diritti di credito. In corrispondenza a queste tre forme esistono tre diverse forme di espropriazione forzata. Per completezza dobbiamo aggiungere che il nostro ordinamento prevede altre due forme speciali di espropriazione per ipotesi particolari: quando oggetto dell’esecuzione è la contitolari di un bene o di un diritto su un bene, si ha l’espropriazione di beni indivisi. Quando si realizza quel particolare fenomeno che è la responsabilità senza debito, allorché il terzo risponde con beni proprio di un debito altrui, si ha l’espropriazione contro il terzo proprietario, esecutivo ma non debitore. IL PIGNORAMENTO Ex art.491 cpc il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata. Il processo esecutivo inizia con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto. Il pignoramento è l’atto con cui si individuano e si conservano i diritti del debitore (elemento patrimoniale) sottoposti ad espropriazione. Gli elementi patrimoniali, per sere esportabili, devono essere trasferibili: un diritto non trasferibile non è neppure pignorabile. Se il diritto pignorato incontra limiti alla circolazione sul piano sostanziale, questi limiti si estendono anche all’espropriazione forzata. Il pignoramento, per raggiungere il proprio scopo, deve adattarsi ai diversi modi con cui i diritti circolano nel nostro ordinamento. Esistono tre forme di pignoramento: mobiliare, immobiliare, di crediti. Occorre soffermarsi sulla norma generale costituita dall’art.492 cpc, che è stata modificata dalla riforma del 2006. 21 - il primo comma dell’articolo indica l’elemento comune a tutti i pignoramenti, cioè l’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa all’esecutivo nelle forme volta per volta previste dalle singole forme di pignoramento di astenersi dal compiere qualunque atto, diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati e gli eventuali frutti di essi. - il secondo comma prevede che, con l’atto di pignoramento, l’ufficiale giudiziario debba invitare il debitore ad effettuare, presso la cancelleria del tribunale, la dichiarazione di residenza o l’elezione del domicilio in un comune del circondario del tribunale stesso. • Si noti in primo luogo che l’onere sorge per il debitore non direttamente dalla legge, ma dall’avviso effettuato all’atto del pignoramento. • In secondo luogo, l’onere per il debitore sussiste anche se la sua residenza o il domicilio si trovano nella circoscrizione del tribunale. dunque la ratio della norma non è tanto quella di rendere più facili le notificazioni o le comunicazioni (se così fosse, sarebbe stato sufficiente limitare l’onere ai casi, nei quali la residenza e il domicilio si trovano al di fuori del circondario del tribunale), quanto di verificare se il debitore ha effettivamente interesse al processo esecutivo. Il legislatore in mancanza della dichiarazione di cui sopra, le notificazioni e comunicazioni al debitore vengano effettuate in cancelleria. • In terzo luogo, le notificazioni e comunicazioni al debitore presso la cancelleria sono conseguenza non solo della mancata dichiarazione di residenza o domicilio del debitore, ma anche della sua “irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto”. Ciò significa che la dichiarazione del debitore deve corrispondere a verità: se egli afferma di essere residente oppure elegge domicilio in un certo luogo, e poi si appura che ciò non è vero, la dichiarazione non ha effetti. - il quarto e quinto comma dell’art.492 cpc introducono nel nostro sistema il dovere del debitore di “manifestare” il proprio patrimonio. Il presupposto perché tale potere divenga attuale è costituito dalla insufficienza dei beni pignorati, o dalla lunga durata della loro liquidazione. Quando ciò accade, l’ufficiale giudiziario invita il debitore a rendere nota l’esistenza di altri beni pignorabili, indicandone gli estremi (luogo in cui so trovano per i beni mobili, generalità del terzo debitore per i crediti). L’omessa o falsa dichiarazione del debitore costituisce un illecito penale ai sensi dell’art.388 cp. Se il debitore risponde positivamente all’invito, dichiarando l’esistenza di tali beni, il pignoramento si considera fin da quel momento efficace nei suoi confronti agli effetti penali ed anche della custodia. Ugualmente, i frutti prodotti dal bene dopo questo momento appartengono all’esecuzione. 22 di esibirgli. Della cosa mobile il debitore non ha la disponibilità perché tale cosa mobile è nel possesso o detenzione di terzo. In questi casi le possibilità sono due: o il terzo riconosce volontariamente che il bene posseduto è di proprietà del debitore e ne consente il pignoramento, o se rifiuta i consenso al pignoramento diretto, diviene necessario ricorrere al pignoramento presso terzi, in quanto occorre accertare la proprietà del bene mobile in capo al debitore, nel contraddittorio del terzo detentore o possessore. Gli art.514-516 cpc indicano una serie di cose mobili in relazione alla quale la pignorabilità è assolutamente (art.514) o parzialmente esclusa (art.515) o consenta in condizioni particolari di tempo (art.516). Sono irrilevanti le eventuali affermazioni del debitore esecutivo circa la non corrispondeva fra appartenenza e proprietà. se anche il debitore afferma che i beni, che si trovano in quei determinati luoghi, non sono suoi, ciò non esime l’ufficiale giudiziario dal procedere ugualmente al pignoramento. Ex art.517 cpc l’ufficiale giudiziario deve preferire i beni di maggior valore e di più sicura realizzazione (denaro, oggetti preziosi, titoli di credito) e, al di fuori di tali beni, dove scegliere le cose che possono essere liquidate più facilmente. L’ufficiale giudiziario man mano che individua i beni con i criteri dell’art.517 cpc, li descrive, mediante rappresentazione fotografica o altro strumento simile, con l’assistenza di uno stimatore. In altri termini, l’ufficiale giudiziario effettua prima un pignoramento provvisorio; poi interviene lo stimatore, che ha la possibilità di accedere al luogo in cui si trovano i beni pignorati. Una volta effettuata la stima, sulla scorta dei risultati di questa l’ufficiale giudiziario procede al pignoramento definitivo. L’ufficiale giudiziario trasmette copia del verbale di pignoramento al creditore e al debitore che lo richiedono. L’art.518 cpc VII prevede la possibilità di procedere al completamento del pignoramento, quando lo richieda il creditore entro il termine per il deposito dell’istanza di vendita. Disposizione analoga è contenuta nell’art.540-bis cpc: qualora, all’esito della vendita, la somma ricavato non sia sufficiente, il giudice dell’esecuzione, su sensatezza di uno dei creditori, ordina l’integrazione del pignoramento. Dopo aver redatto il verbale di pignoramento, l’ufficiale giudiziario provvede ad asportare i beni, per collocarli in un deposito. L’asportazione dei beni è fatta per evitare che il bene mobile possa essere sottratto all’esecuzione. 25 Ex art.521 cpc non può essere nominato custode il creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore, né il debitore o familiari con lui conviventi senza il consenso del creditore. La riforma del 2004 ha introdotto, con l’art.521-bis cpc, nuove modalità di pignoramento degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi. Gli autoveicoli sono beni mobili registrati: ciò significa che il pignoramento si effettua mediante un atto notificato e poi trascritto (art.2693 cc). Per pignorare un autoveicolo non c’è necessità di apprendere materialmente il bene. L’apprensione dell’autoveicoli diviene necessaria per la vendita dello stesso, in quanto la vendita forzata del bene mobile avviene in conspectu rei: cioè l’acquirente deve poter vedere o aver potuto vedere il bene. Il legislatore ha modificato i criteri di competenza stabilendo (art.26 II cpc) che competente è il giudice del luogo ove il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, e non il giudice del luogo ove si trova il bene. L’art.512-bis I cpc stabilisce poi che l’esecutivo deve consegnare l’autoveicolo all’istituto venite giudiziarie entro 10 giorni dal pignoramento. Se non lo consegna, gli organi di polizia che individuano un autoveicolo pignorato lo portano via e lo consegnano all’istituto vendite giudiziarie del luogo (art.512-bis IV cpc). B. Pignoramento immobiliare, che è disciplianto dagli art.555 ss.cpc. Il diritto deve ovviamente essere, dal punto di vista sostanziale, suscettibile di trasferimento: tali sono proprietà, usufrutto, nuda proprietà, diritto di superficie, enfiteusi. Non possono essere oggetto di espropriazione il diritto d’uso e abitazione (perchè non trasferibili) e le servitù (non trasferibili separatamente dal fondo a cui ineriscono). La situazione di titolarità del diritto sul bene immobile è di più facile accertamento. Esistono i pubblici registri immobiliari e l’usucapione, che è fenomeno percepibile all’esterno. In base all’art.170 disp.att. cpc, l’atto di pignoramento di un bene immobile deve essere sottoscritto dal creditore pignorante a norma dell’art.125 cpc, e quindi il creditore si assume la responsabilità della sua affermazione. L’individuazione del diritto sul bene avviene ex art.555 cpc. La descrizione del ben è effettuata dal creditore con gli estremi richiesti dal cc per la individuazione dell’immobile ipotecato (art.2826 cc) e cioè attraverso la tipologia del bene (terreno, fabbricato ecc) il comune in cui si trova e gli estremi catastali. Il creditore chiede dunque all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento del ben immobile, individuato e descritto in un atto che assume forma scritta, ed è da lui sottoscritto. L’ufficiale giudiziario aggiunge a tale atto la sua ingiunzione (art.492 cpc) e notifica il tutto al debitore esecutivo. Dopodiché si trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. Notifica e trascrizione sono i momenti che 26 determinano la decorrenza degli effetti del pignoramento: gli effetti verso il debitore decorrono dalla notifica e l’opponibilità del pignoramento ai terzi decorare dalla trascrizione. La disciplina della custodia del ben immobile pignorato è stata innovata nel 2006. Siccome, il pignoramento immobiliare non presuppone una situazione di possesso del bene in capo al debitore, è possibile effettuare il pignoramento anche del bene di cui il debitore magari è proprietario ma che non possiede. In tal caso la disciplina della custodia non si applica. Fin dal momento della notificazione del pignoramento, e quindi a prescindere dalla sua trascrizione, l’esecutato diviene ipso iure custode del bene (art.559 I cpc). Il giudice dell’esecuzione deve necessariamente sostituire l’esecutivo nella custodia del bene, se questo non è da lui “occupato”. Con tale espressione si deve intendere una situazione, in cui un terzo ha la materiale disponibilità del stesso, in virtù di un qualunque titolo o anche senza titolo. La sottoscrizione del debitore costituisce attività vincolata del giudice, senza che al riguardo egli abbia alcuna discrezionalità. La custodia dell’esecutivo cessa comunque (art.559 IV e V cpc) al momento nel quale viene disposta la vendita. in luogo dell’esecutivo, è nominato custode il soggetto incaricato della vendita o l’istituto venite giudiziarie. A ciò si fa eccezione nei casi, in cui la sostituzione sia reputata dal giudice dell’esecuzione inutile per la particolare natura dei beni. Per stabilire quando la sostituzione sia inutile, occorre individuare la ratio della sostituzione: occorre chiedersi perché il legislatore ha ritenuto opportuno che, al momento in cui inizia il subprocedimento di vendita, anche i beni occupati dall'esecutivo passino normalmente nella custodia di un terzo. L’art.559 VI cpc stabilisce che i provvedimenti di nomina e sostituzione del custode sono dati dal giudice con ordinanza non impugnabile, e dunque non modificabile o revocabile neppure nei limiti previsti dall’art.487 cpc. Ovviamente, il provvedimento del giudice è controllabile con l’opposizione agli atti esecutivi. L’art.560 cpc ha recepito le esperienze di alcuni tribunali, che avevano mostrato la necessità, in sede di espropriazione immobiliare, di una figura simile al curatore delle espropriazioni concausali. Rilevante in questa direzione è soprattutto l’art.560 V cpc, nella parte in cui dispone che “il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità”. Lo stesso art.560 V cpc stabilisce che spetta al giudice dell’esecuzione, nel disporre la vendita 27 L’ordinanza di assegnazione, era sottoponibile all’opposizione agli atti esecutivi ma solo per vizi processuali della stessa. Quand’anche il giudice dell’esecuzione, errando, avesse assegnato un credito di entità superiore a ella risultante dalla dichiarazione o dalla sentenza, e il terzo assegnato non avesse proposto opposizione agli atti esecutivi, ciò non gli avrebbe comunque impedito di far valere, l’effettiva somma che lui doveva pagare. Infatti, l’ordinanza esecutiva è pronunciata nell’esercizio di un potere non decisorio. Si innesta qui la riforma del 2012. Il legislatore ha dunque previsto (art.548 II cpc) che, se il terzo non invia la sua dichiarazione e neppure si presenta all’udienza, e il creditorie dichiara che non gli è pervenuta la sua dichiarazione, il giudice fissa un’altra udienza alla quale il terzo è invitato a comparire. L’ordinanza è notificata al terzo. Se anche a questa udienza il terzo non si presenta o, presentandosi, rifiuta di fare la dichiarazione “il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553”. La non contestazione ha effetti “ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”: ciò significa che nessuna efficacia di accertamento essa può produrre in ordine all’effettiva esistenza dell’obbligo del terzo. sicché il terzo potrà sempre contestare, attraverso un processo dichiarativo, di non essere debitore. L’art.548 III cpc prevede che il terzo può impugnare con l’opposizione agli atti esecutivi l’ordinanza di assegnazione “se prova di non avere avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o di forza maggiore”. In realtà la dizione letterale della norma non è precisa, perché la particella “ne” si riferisce all’ordinanza con il quale il giudice, si sensi del comma secondo, mancando la dichiarazione scritta del terzo, fissa un’udienza per la sua comparizione. Fin qui la riforma evita che l’inerzia del terzo debitore, equiparata dal codice del 1942 alla sua contestazione, costringa il creditore a procurarsi l’accertamento dell’obbligo del terzo in via preventiva e necessaria rispetto all’assegnazione del credito. Con il meccanismo previsto dall’art.548 cpc, l’accertamento dell’obbligo del terzo avviene in via successiva ed eventuale rispetto all’assegnazione del credito. Se, viceversa, il terzo pignorato rende una dichiarazione non conforme. invece il legislatore ha, anche qui, ritenuto di non fare precedere l’assegnazione dell’accertamento dell’obbligo del terzo, ed ha disposto (art.549 cpc) che “se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza”. 30 E’ evidente che l’ordinanza del giudice non è in grado di decidere dell’effettiva esistenza dell’obbligo del terzo, in quanto anche per essa è ripetuto che produce effetti ai soli fini del procedimento in corso. In altri termini, è sicuro che “i necessari accertamenti” del giudice del’esecuzione non sono effettuati con il fine di decidere una volta per tutte la questione relativa all’esistenza del credito pignorato. Resta da stabilire cosa accade se, “compiuti i necessari accertamenti”, il giudice non assegna il credito.In sostanza mentre in caso di assegnazione vi è la possibilità di aprire un processo di cognizione, esterno al processo esecutivo, in cui decidere se il terzo è o non è debitore, in caso di mancata assegnazione viene meno ogni possibilità di controversia esterna al processo esecutivo sullo stesso oggetto. Diviene quindi necessario individuare uno strumento cognitivo- contenzioso, a tutela del creditore procedente che si veda rifiutato l’assegnazione sulla base di un “accertamento” compiuto dal giudice dell’esecuzione e (quindi senza efficacia decisoria). GLI EFFETTI CONSERVATIVI DEL PIGNORAMENTO La disciplina degli effetti conservativi del pignoramento è contenuta nel codice covile. Per analizzare meglio i meccanismi previsti dal codice civile, occorre previamente individuare i pericoli che corre il creditore per il fatto che la tutela esecutiva, che egli richiede, non gli è concessa subito, ma dopo un determinato periodo di tempo. Intervallo di tempo in cui si possono verificare eventi capaci di pregiudicare la tutela esecutiva richiesta. a) I pericoli che egli corre sono due: da un lato, vi sono le modificazioni della realtà materiale che riguarda il bene su cui cade il diritto pignorato. b) dall’atro lato, vi sono le modificazioni attinenti alla titolarità del diritto pignorato, attraverso atti di disposizione idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito. L’ordinamento fa fronte a questo secondo pericolo modificando la disciplina ordinaria e prevedendo una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutivo dopo il pignoramento. Nell’individuazione di tale disciplina speciale occorre seguire il principio del minimo mezzo: l’alterazione delle regole ordinerei deve essere contenta nei limiti stranamente indispensabili al raggiungimento dello scopo. Esaminiamo dunque gli art.2912 ss.cc., tenendo conto che il pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che effettua il pignoramento. Ex art.2912 cc, il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato. I frutti che maturano dopo il pignoramento vengono acquisiti all’esecuzione, sia quelli civili che naturali. ciò è possibile perché, dal momento del pignoramento, il bene 31 è affidato alla custodia di un soggetto, che ha l’obbligo d’amministrarlo nell’interesse dell’esecuzione, percependone all’uopo i relativi frutti. Ex art.1148 cc i frutti sono percepiti dal possessore e quindi la percezione dei frutti è conseguenza della situazione possessoria. Si è già detto che con riguardo ai beni immobili non è affatto sicuro che il pignoramento cada su un bene, di cui l’esecutato abbia il possesso. Mentre nel pignoramento dei beni mobili, in tal caso l’esecutivo non perde il possesso del bene semplicemente perché non lo aveva in precedenza, e quindi l’art.2912 cc non può operare e gli eventuali frutti continuano ad essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione. - quindi se il bene immobile pignorato è in possesso dell’esecutivo, si applicano le norme sulla custodia: il debitore diviene custode del bene con i relativi obblighi ex art.2912 cc; e infine, i frutti maturati dopo il pignoramento sono percepiti solo materialmente dall’esecutato, che deve conservarli nell’interesse dell’esecuzione. - se il bene pignorato è posseduto da terzi al momento del pignoramento, allora il debitore esecutato non può diventare custode. Il debitore esecutato, possessore del bene al momento del pignoramento, perde dunque il possesso del bene: se ne mantiene la ma seriale disponibilità, ma nessuno acquista il possesso civilistico sul bene. ciò in quanto il creditore procedente, con il pignoramento, acquista un diritto non di natura sostanziale ma processuale. Ex art.2913 cc, gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengano nell’esecuzione. L’eccezione riguarda il possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblico registri. Il debitore esecutivo può far nascere a favore di un terzo, titolo originario un dirti sul bene pignorato sulla base della regola prevista dall’art.1153 cc (acquisto di buona fede di beni mobili). L’articolo sana no solo un difetto di titolarità ma anche un difetto di potere dispositivo. Se il terzo acquirente del bene mobile pignorato riceve il possesso in buona fede, acquista un diritto che è opponibile anche al creditore procedente. Per il pignoramento dei beni mobili il legislatore ha posto quindi una particolare attenzione alla custodia del bene., in quanto il custode avendo la materiale disponibilità, ha sempre la possibilità di sottrarre il bene all’esecuzione., consegnarono ad un terzo di buona fede. Il pregiudizio si verifica perché intercorre necessariamente un certo lasso di tempo fra il pignoramento e la vendita. La situazione è quindi simile (non identica) a quella che si verifica nel processo di cognizione, e che dà luogo alla successione nel diritto controverso. Gli strumenti astrattamente a disposizione dell’ordinamento per evitare il pregiudizio sono svariati. In primo luogo si potrebbe qualificare nullo l’atto di alienazione del bene pignorato: l’atto nullo non produce 32 consacrata in un atto avente data certa, ma il venditore non abbia trasmesso il possesso del bene mobile all’acquirente e lo abbia conservato presso di sé; il bene si trova quindi nei luoghi immobili apparenti al debitore (art.513 cpc) e qui è pignorato. L’acquirente del bene mobile propone opposizione di terzo ex art.619 cpc, dimostra che il bene gli era stato venduto con atto di data certa anteriore al pignoramento e vince l’opposizione. Possiamo ora ad esaminare l’art.2915 I cc. Tale norma detta una disciplina identica a quella che si ha quando un soggetto acquista un diritto sul quale grava un vincolo di indisponibilità. Anche in questo caso, se il vincolo è trascritto prima della trascrizione dell’atto di acquisto, il vincolo prevale sull’atto di acquisto (beni mobili o immobili registrati). Se invece è trascritto prima dell’atto di acquisto e poi il vincolo di indisponibilità, allora prevale il primo sul secondo. Nel caso di beni mobili o universalità di mobili è invece rilevante l’atto di data certa anteriore. Più complesso è l’art.2915 II cc. Occorre far riferimento agli art.2652 e 2653 cc. Essi prevedono una serie di domande giudiziali che sono soggette a trascrizione per essere opponibili a terzi. La trascrizione della domanda giudiziale ha un duplice effetto. Anzitutto ha un effetto di natura processuale: rispetto ai terzi la litispendenza si determina con riguardo al momento della trascrizione della domanda. Ove la trascrizione della domanda si anteriore alla trascrizione dell’acquisto del terzo contro il convenuto, la posizione dell’avente causa del convento è disciplinata dell’art.111 cc. Quindi la sentenza emessa al termine di quel processo è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto. Questi non può contestare il contenuto della sentenza emessa contro il suo date causa. Non potendo l’attore instaurare un ordinario processo di cognizione contro l’esecuzione forzata, si rende necessario che egli proponga la domanda all’interno del processo esecutivo, attraverso l’opposizione di terzo ex art.619 cpc. La trascrizione della domanda, oltre all’effetto processuale ha talvolta anche effetti sostanziali: ciò accade nell’ipotesi previste dall’art.2652 cc. La priorità della trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto rispetto alla trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa del convenuto comporta le stesse conseguenze dea rivendicazione: la sentenza è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto, che non può contestarne il contenuto. Viceversa la priorità della trascrizione dell’atto d’acquisto dell’avente causa rispetto alla trascrizione della domanda, da sola o insieme ad altri elementi, variamente previsti dall’art.2652 cc (buona fede, titolo oneroso, decorso del tempo), determina anche un titolo di preferenza sul piano sostanziale deludente causa verso l’attore. 35 Torniamo all’art.2915 II cc, sostituendo il creditore pignorante all’avente causa. Abbiamo già visto che l’attore, il quale trova trascritto il pignoramento prima della trascrizione della sua domanda di rivendicazione, è pregiudicato solo per il,fatto che deve far valere il suo diritto di proprietà all’interno del processo esecutivo (art.619 cpc); ma sul piano sostanziale egli non incontra ostacoli a far valere il suo diritto, all’interno del processo esecutivo con l’opposizione ex art.619 cpc. Altrettanto non accade quando il creditore pignorante, che è equiparato sotto questo profilo ad un avente causa del debitore esecutivo, abbia acquistato, in virtù della trascrizione del pignoramento una situazione sostanziale prevalente su quella dell’attore. Nelle stesse ipotesi, in cui l’avente causa del convenuto , che abbia trascritto il suo titolo prima della trascrizione della domanda, acquista sul piano sostanziale una posizione che l’attore non può più attaccare, anche il creditore pignorante contro il convenuto, con la trascrizione del pignoramento acquista una posizione inattaccabile da parte dell’opponente. Qualora per salvezza del diritto del subacquirente si renda necessaria, oltre all’anteriorità della trascino del suo titolo rispetto alla trascrizione della domanda, anche la presenza degli altri elementi variamente previsti dall’art.2652 cc (buona fede, titolo oneroso, decorso del tempo), la sussistenza di tali elementi deve essere valutata con riferimento al creditore pignorante. Dall’art.2916 cc ricaviamo due principi. Anzitutto, il pignoramento “congela” le ragioni di pressione dei vari creditori. In secondo luogo, il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all’interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento. Questa costituisce una delle differenze principali fra espropriazione singolare ed esportazione concausale. Nell’espropriazione concausale non possono farsi valere crediti sorti dopo la dichiarazione di insolvenza. Per quanto attiene l’art.2917 cc; gli effetti del pignoramento del credito sono l’inopponibilità all’esecuzione forzata degli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento dal titolare del diritto di credito pignorato. Il pignoramento rende indisponibile il credito in capo al debitore esecutato e gli atti di disposizione che il debitore esecutato compie dopo la notifica dell’atto previsto dall’art.543 cpc sono inefficaci processualmente verso il creditore procedente e i creditori intervenuti. Il terzo debitore, con la notifica dell’atto previsto dall’art.543, diventa custode (art.546 cpc). Quando oggetto del pignoramento è un bene mobile del debitore che si trova presso il terzo e occorre, quindi, far ricorso all’espropriazione presso terzi, il terzo assume gli obblighi della custodia del bene mobile. Quando oggetto del pignoramento è un credito, il terzo debitore è obbligato a non adempiere nei confronti del debitore esecutivo. Se il 36 terzo adempie nonostante l’intervenuto pignoramento ex art.2917 cc, il pagamento non è opponibile al creditore procedente. Sul piano processuale il terzo debitore è obbligato a corrispondere ugualmente la somma una seconda volta all’esecuzione forzata. Ove, i fatti estintivi del credito si sono prodotti anteriormente al pignoramento, oppure non dipendono da atti di disposizione dell’esecutivo, o da comportamenti volontari del terzo debitore, essi sono opponibili al debitore. LE VICENDE ANOMALE RELATIVE AL PIGNORAMENTO Ex art.493 I cpc ci può essere un’unica istanza di pignoramento e un solo atto di pignoramento a tutela di più creditori, anche sulla base di titoli esecutivi diversi. Si ha in tale ipotesi un pignoramento congiunto. L’art.523 cpc disciplina l’unione di pignoramenti. Più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente ad effettuare un pignoramento mobiliare. Si tratta di un’ipotesi in cui si verifica un unico pignoramento. L’art.493 II cpc, regola il pignoramento successivo. Una sentenza delle sezioni unite dalla Cassazione ha affermato che, nei casi di titolo esecutivo originariamente esistente, le vicende relative allo stesso (sospensione dell’esecuzione, riforma della sentenza di condanna ecc) che producono la sopravvenuta inefficacia non impediscono la prosecuzione del processo esecutivo da parte del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, purché ovviamente il suo intervento sia antecedente all’arresto della procedura esecutiva a seguito, della sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo del creditore procedente. Occorre distinguere fra vizi che questi è in grado di percepire, in auto relativi al pignoramento ed al titolo esecutivo, e vizi occulti, in quanto non percepibili dall’esame degli atti del processo esecutivo. Quanto visto consente di individuare un principio fondamentale: non possono aver luogo processi esecutivi diversi per lo stesso bene pignorato nei confronti dello stesso debitore. - Si possono quindi avere più processi esecutivi contro lo stesso soggetto per lo stesso credito su beni diversi (art.483 cpc); e in più creditori intorno alo stesso bene all’interno di un unico processo esecutivo; - non ci possono invece essere più processi esecutivi per lo stesso bene nei confronti del stesso esecutato perché non si possono avere più trasferimenti dello stesso bene: in quelli successivi al primo l’acquirente non comprerebbe più nulla. Se per errore, venissero portati avanti più processi esecutivi per lo stesso bene nei confronti del stesso esecutato, e venissero quindi effettuate più vendite forzate, secondo l’opinione comune dovrebbe 37 effettivamente versata. Se il versamento è stato effettuato, con una seconda ordinanza il giudice dispone la liberazione dal pignoramento dei beni; altrimenti dispone che il processo esecutivo vada avanti. in tal caso, la somma provvisoriamente versata rimane acquisita all’esecuzione. Per quanto attiene il problema della riduzione del pagamento. L’art.496 cpc stabilisce che, su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti di cui all’art.495, il giudice sentiti il creditore pignorate e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pagamento. L’ipotesi è che siano stati pignorati più beni, perché altrimenti la riduzione non sarebbe possibile. Con la riduzione del pignoramento, alcuni beni vengono liberati dal pignoramento e ritornano nella libera disponibilità del debitore esecutato. Istituto analogo è previsto dall’art.546 II cpc: nel caso di pignoramento di un pluralità di crediti nei confronti di più terzi debitori, il debitore può chiedere la riduzione dei pignoramenti o la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi, qyalirg la somma dei crediti pignorati ecceda l’entità del credito precettato, aumenta del 50%. Un ultimo istituto da esaminare è la cessazione dell’efficacia del pignoramento. Il pignoramento può perdere efficacia se il crepiterò procedente non iscrive tempestivamente a ruolo il processo esecutivo. L’art.518 VI cpc per l’esecuzione mobiliare; l’art.577 cpc per il pignoramento immobiliare stabiliscono che l’ufficiale giudiziario, effettuato il pignoramento, invia gli atti al difensore del creditore procedente, il quale deve depositarne un copia, da lui autenticata, nel termine indicato intasi norme, iscrivendo la causa a ruolo. La cessazione può inoltre derivare dall’art.497 cpc. Con il precetto deve essere seguito dal pignoramento in uterine minimo di 10 e massimo di 90 gironi la richiesta di liquidazione del bene, cioè la r i ch ies ta de l c red i tore d i passare a l la fase success iva dell’espropriazione. Tale fase non ha luogo quando oggetto del pignoramento è un quid che non deve essere liquidato, cioè una somma di danaro: in tal caso si passa immediatamente alla fase della distribuzione del ricavato. Quando il pignoramento diviene inefficace, dobbiamo tener conto dell’art.562 cpc in materia di espropriazione immobiliare, la quale prevede la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Se il pignoramento immobiliare perde efficacia, tuttavia rimane sempre nei registri immobiliari la sua trascrizione. Occorre, quindi, procedere alla 40 cancellazione della trascrizione. La cancellazione del piantonato si effettua trascrivendo una loro atto, nel quale si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace; la cancellazione è un’operazione giuridica e non materiale. Occorre infine esaminare gli art.2668-bis e 2669-te cc. Abbiamo già visto che la trascrizione delle donde giudiziali ha efficacia per 20 anni, prima della scadenza dei quali la trascrizione deve essere rinnovata, altrimenti perde effetti. L’art.2668-ter cc estende alla trascrizione del pignoramento la disciplina della trascino delle domande. Se l’esecuzione forzata dura più di 20 anni, prima della scadenza del ventennio dalla trascrizione del pignoramento, questa deve essere rinnovata: altrimenti la trascrizione del pignoramento perde effetti. Può infatti accadere che il processo esecutivo si estingua senza che vi sia un provvedimento formale , e quindi senza che si abbia un ondine di cancellazione della trascrizione. ottenere un ordine di cancellazione può non essere semplice, soprattuto a distanza di tempo, perché occorre notificare la richiesta di cancellazione agli interessati, i quali, a distanza di anni, possono non essere facilmente individuabili e/o reperibili. La disposizione contenuta nell’art.2668-te cc consente di non tener conto delle trascrizioni dei pignoramenti effettuate oltre i 20 anni prima. INTERVENTO DEI CREDITORI L’intervento dei creditori nell’espropriazione trova il suo fondamento nell’art.2741 cc, che va letto congiuntamente all’art.2740 cc. Come l’art.2740 cc stabilisce che il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, così l’art.2741 cc stabilisce che i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime si prelazione: privilegi, pegno e ipoteca. Dalla lettura congiunta degli artt.2740 e 2741cc si ricava he le ragioni di prelazione sono l’uno meccanismo che incide sul principio della par condicio dei creditori. Le cause di prelazione nascono dal diritto sostanziale: il processo deve rispettare le cause di prelazione che esistono sulla base del diritto sostanziale e di regola non crea ragioni di prelazione che non esistono sulla base del diritto sostanziale. Quindi gli art.2740 e 2741 cc devono essere letti unitamente come se dicessero: il debitore risponde nei confronti di tutti i suoi creditori, secondo le regole del diritto sostanziale, dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; la tutela esecutiva dei diritti di credito deve essere strutturata in modo tale da attuare le prescrizioni del diritto sostanziale, e da non alterare le scelte del legislatore sostanziale. 41 Fino alla riforma del 2006 tutti i creditori avevano la possibilità di intervenire nell’esecuzione aperta da uno di essi, per chiedere la soddisfazione del proprio diritto sulla base delle regole previste dal diritto sostanziale. - Modificando le scelte effettuate dal legislatore del 1942, l’art.499 I cpc limita l’intervento: a chi ha titolo esecutivo (anche successivo al pignoramento); a chi, al momento del pignoramento, ha un credito garantito da pegno, da prelazione scritta o da sequestro. - Per intervenire, il creditore deve depositare, nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, un ricorso contenente l’indicazione del credito e del titolo di esso nonché la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata:art.499 II cpc. Se l’intervento si fonda sulle scritture contabili, queste debbono essere allegate all’atto di intervento in copia autentica. La disposizione sembrerebbe escludere l’intervento tradivo, in quanto prevede che l’intervento abbia luogo prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione. Il creditore che non sia munito di titolo esecutivo, e che abbia il potere di intervenire nell’esecuzione deve notificare al debitore l’atto di intervento e copia autentica delle scritture contabili, se l’intervento ha luogo in virtù di esse. - L’art.499 V e VI cpc istituisce una sorta di procedimento di verificazione del credito per i soli creditori che sono legittimati ad intervenire, ma non hanno un titolo esecutivo. Con la stessa ordinata il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza dinanzi a sé per la comparizione del debitore e dei creditori non muniti di titolo esecutivo. L’ordinanza è notificata, a cura di una delle parti, ai creditori ed al debitore: per quest’ultimo, vale la disposizione di cui all’art.492 II cpc, e pertanto la notificazione gli sarà fatta i cancelleria, se non ha effettuato la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio, oppure se sia risultato irreperibile ad una successiva notificazione o comunicazione. All’udienza fissata, se il debitore non compare o, comparendo, riconosce l’esistenza in tutto o in parte dei crediti , questi acquisiscono il diritto di essere soddisfatti. Viceversa, se i crediti sono in tutto o in parte contestati, il creditore ha l’onere di proporre, nei 30 giorni successivi, una domanda idonea a munirlo di un titolo esecutivo. Nessun onera ha il creditore, se il processo volto ad ottenere il titolo esecutivo è già pendente, come necessariamente accade per i creditori sequestratari, in quanto altrimenti il sequestro sarebbe inefficace. I creditori che non rientrano in una di questa categorie non avranno alcuna possibilità di soddisfarsi, a meno che non ricorrano alla tutela di urgenza ex art.700 cpc, allegando il pregiudizio imminente ed irreparabile, che si concretizza nell’evaporarsi della garanzia patrimoniale del loro debitore. 42 Il creditore munito di semplice privilegio ha prelazione finché il bene rimane nel patrimonio del debitore; quando il bene esce dal patrimonio del debitore, viene ad estinguersi anche la prelazione. Al contrario, il diritto reale di garanzia ha sempre ad oggetto beni individuati; tutti i diritti reali di garanzia devono essere resi pubblici con i modi che l’ordinamento prevede. Il creditore mantiene così il diritto di prelazione nei confronti di qualunque soggetto divenga successivamente proprietario del bene. L’avvertimento che il creditore procedente deve dare a tali creditori, costituisce condizione necessaria per procedere alla vendita; sarebbe assurdo imporre al creditore pignorante l’obbligo di avvertire tutti quanti i creditori con prelazione. Però, abbiamo visto, anche i crepitio che non risultino iscritti nei pubblici registri perdono la loro prelazione con la vendita forzata del bene: eppure non è necessario che siano avvertiti. La diversità di trattamento si giustifica a seconda che si tratti di privilegio oppure di diritto reale di garanzia. Nel caso del privilegio il problema non si pone perché il privilegio sussiste fino a quando il bene permane nel patrimonio del debitore. Nel caso dei diritti reali di garanzia non iscritti, la vendita forzata ha un effetto estintivo della prelazione che la vendita di diritto comune non ha; il creditore munito di pegno può far valere il suo diritto contro qualunque soggetto a cui il proprietario trasferisca la proprietà del bene, ma non nei confronti dell’aggiudicatario. Per i diritti reali di garanzia che risultano iscritti nei pubblici registri scatta l’obbligo dell’art.498 cpc. Il creditore procedente dee notificare a costare un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede e del titolo. in mancanza di tale notifica, il giudice deve rifiutarsi si emettere l’ordinanza di vendita. Il creditore procedente, sulla base dell’art.567 II cpc, deve legare all’istanza di vendita i certificati delle trascrizioni ed iscrizioni; egli deve farsi rilasciare dalla conservatoria dei registri immobiliari un certificato in cui si attesta se vi sono e agli sono le iscrizioni di diritti reali di garanzia sul bene. E’ impossibile, quindi che si dia luogo alla vendita senza che siano stati avvertiti i creditori iscritti; il mancato avvertimento può derivare o da un errore del conservatore nel controllare i registri o da una disattenzione del giudice. In ambo i casi il creditori privilegiato che non sia stato avvertito, ha diritto al risarcimento dei danni da parte del creditore pignorante o da parte del conservatore, se l’eroe è imputabile a quest’ultimo. L’intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo. Gli art.528 (per espropriazione immobiliare), 551 (espropriazione dei crediti) e 565 (espropriazione immobiliare) distinguono i creditori intervenuti tempestivamente o tardivamente con riferimento ai creditori 45 chirografari, cioè ai creditori che non sono muniti di un diritto di prelazione. I creditori con prelazione, in qualunque momento del processo esecutivo intervengano, sono soddisfatti secondo l’ordine delle prelazioni previsto dal codice civile. Mentre i creditori chirografari tempestivi sono soddisfatti (dopo i creditori con prelazione) in ragione percentuale del loro credito, i creditori chirografari tardivi sono soddisfatti sul residuo che eventualmente avanza, dopo che siano stati soddisfatti per intero i chirografari tempestivi. Il momento che determina la tempestività dell’intervento normalmente è dato dalla prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione o di vendita, cioè l’udienza che apre la fase di l iquidazione. La specificazione “prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita” comporta che, se alla udienza fissata, per qualsiasi ragione, bene effettuato un rinvio ad un’udienza successiva, rilevante è la prima udienza e non quella in cui viene effettivamente autorizzata la vendita. Nel caso dell’art.525 III cpc, della piccola espropriazione mobiliare (che sia quando il valore dei beni pignorati non supera i 20.000,00 E) la tempestiva dell’intervento è misurata sull’istanza con cui il creditore pignorante chiede che sia fissata l’udienza per determinare le modalità di liquidazione. Ricordiamo che la fase di liquidazione si apre con il ricorso di un creditore munito di titolo esecutivo che chiede al giudice disporsi la vendita o la assegnazione del bene. A seguito di tale ricorso il giudice fissa l’udienza per stabilire le modalità di vendita o assegnazione. Quindi nella piccola espropriazione la tardività è anticipata rispetto a quella dell’espropriazione ordinaria. Per quanto riguarda l’espropriazione dei crediti, rilevante è la udienza di comparizione delle parti, fissata dal creditore pignorante con il ricorso ex art.543 n.4 cpc. In tale udienza qualora il terzo renda o abbia reso una dichiarazione conforme, ha luogo anche l’assegnazione del credito, ed processo esecutivo si chiude. Sicché, un intervento tardivo nell’espropriazione dei crediti è possibile solo se la dichiarazione è omessa o contestata, perché in tal caso il creditore avrà la possibilità materiale di intervenire, sia pur tardivamente. Se, invece il pignoramento si perfeziona con la conforme dichiarazione del terzo pignorato, il termine per l’intervento coincide con il momento in cui si chiude il processo esecutivo. Secondo l’art.499 IV cpc, ai creditori, che siano intervenuti tempestivamente il creditore pignorante ha facoltà di indicare, all’udienza o con atto notificato l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. Ma tali beni, che sono sufficienti per il creditore procedente, diventano insufficienti quando intervengono altri creditori. se i bei pignorati sono 46 tutto quanto c’è di attivo nel patrimonio del debitore, si verifica una situazione di incapienza. Si applicano quindi le regole di diritto sottrazione: si fa una lista di creditori da soddisfare, mettendo prima i creditori con prelazione nell’ordine previsto dal cc, poi i creditori chirografari in proporzione ai rispettivi crediti. Ma se la quantità dei beni pignorati deriva da una doverosa scelta del creditore procedente, il meccanismo della soddisfazione proporzionale non funziona più, pecche qui non siamo in una situazione di incapienza. Il creditore procedente può allora indicare agli intervenuti l’esistenza di altri beni, ed inviarli ad estendere il pignorato oppure ad anticarro a lui le spese, per effettuate l’estensione col proprio titolo. L’art.499 IV cpc omette di stabilire cosa accade se l’invito è effettuato dal creditore procedente ad un creditore intervenuto non munito di titolo esecutivo, e questi omette di anticipargli le spese necessarie all’estensione del pignoramento. Ma le conseguenze, ragionevolmente, saranno identiche: il creditore pignorante acquista una prelazione processale in sede di distribuzione. LA VENDITA E L’ASSEGNAZIONE IN GENERALE Nella seconda fase del processo d’espropriazione, il diritto pignorato viene liquidato, cioè trasformato in una somma di danaro, in modo da poter soddisfare il creditore procedente ed i creditori eventualmente intervenuti. La liquidazione non è necessaria se il bene pignorato consiste in una somma di danaro extra.517 II cpc; nel caso dell’art. 494 cult.comma cpc, cioè quando il debitore ha consegnato una somma di danaro come oggetto del pignoramento; ed infime nell’ipotesi dell’art.495 cpc, in seguito alla conversione del pignoramento. Negli altri casi occorre invece procedere alla liquidazione. Nel passaggio dalla fase del pignoramento a quella della liquidazione è fondamentale l’art.501 cpc, che prevede un termine minimo di 10 giorni dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita. Considerando ora che il pignoramento perde effetti decorsi 90 giorni dal giorno in cui è compiuto senza che sia chiesta l’assegnazione o la vendita, vediamo che, effettuato il pignorato, ci sono 80 giorni utili per proporre l’istanza di vendita. Il termine dilatorio previsto dall’art.501 cpc ha due funzioni: - consente al debitore di reagire al pignoramento, ad es. con una richiesta di conversione, con un’istanza di riduzione, con le opposizioni; - in secondo luogo, dà agli altri creditori un minimo di tempo per poter tempestivamente intervenire nell’esecuzione. Con riferimento al pignoramento dei crediti, il termine dilatorio è quello che va dalla notificazione dell’atto di pignoramento all’udienza fissata nello stesso 47 accenno all’assegnazione, perché se non dopo un previo tentativo di vendita. Importante è la disposizione contenuta sempre in questa parte degli art.530 e 569 cpc, “le parti devono proporre a pena di decadenza le opposizioni ali atti esecutivi se non sono già decadute dal diritto di proporle”. Abbiamo accennato che l’opposizione agli atti esecutivi apre un processo di cognizione, incidentale al processo esecutivo. Se all’udienza, non è ancora decorso il termine per proporre l’opposizione agli atti esecutivi pregressi, e comunque non è intervenuto un altro motivo di decadenza, le parti debbono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti esecutivi relative agli atti compiuti fino a quel momento. L’udienza di assegnazione o vendita forma quindi uno sbarramento nella proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, e nella rilevanza nelle nullità processuali. Nell’ulteriore corso del processo esecutivo potranno farsi valere solo le nullità originarie (formali ed extraformali) degli atti successivamente compiuti. Se le parti raggiungono un accordo sulla nullità, le controversia relativa ai vizi dell’atto viene risolta nel modo con cui le parti si sono trovate d’accordo, e il giudice, se l’accordo lo consente, può procedere a disporre la vendita del bene. se le parti non si mettono d’accordo, il giudice deve decidere le opposizioni agli atti esecutivi prima di disporre la vendita o la assegnazione del bene. Il provvedimento che dispone la vendita del bene è quindi successivo alla decisione dell’opposizione agli atti esecutivi. Il legislatore ha ritenuto necessario condizionare l’emanazione del provveduto di liquidazione al previo accertamento dell’inesistenza di nullità del processo esecutivo: non si può andare avanti con la vendita o con l’assegnazione, se non dopo aver risolto le questioni relative alla nullità degli atti del processo esecutivo. Ciò costituisce una caratteristica peculiare del processo esecutivo. Nel processo esecutivo vi sono due atti, che hanno effetti extraprocessuali “di merito”: la vendita forzata e la distribuzione del ricavato. Se è stata eccepita la nullità di un atto del processo esecutivo, e si è aperto un processo di cognizione incidentale per accertare tale nullità, qualora non vi fosse un meccanismo di raccordo fra i due processi niente impedirebbe al giudice del processo esecutivo di effettuare la vendita. Se dal processo di cognizione risultasse che il pignoramento era nullo e che il processo esecutivo doveva strutturarsi in maniera diversa, la conseguenza inevitabile sarebbe il travolgimento ex post degli effetti sostanziali. E ciò produrrebbe notevoli inconvenienti. 50 La previsione degli art.530 e 569 cpc ricostruisce normativamente la necessaria pregiudizialità fra il rito e il merito, che è automatica nel processo di cognizione. Se è sollevata una questione di rito con l’opposizione agli atti esecutivi, bisogna decidere la questione di rito prima di emettere la misura giurisdizionale di merito. come il giudice della cognizione. Gli art.530 e 569 cpc stabiliscono che si abbia la decisione, con sentenza, dell’opposizione agli atti esecutivi e solo successivamente la pronuncia dell’ordinanza di vendita o assegnazione (se la sentenza con cui si decide l’opposizione accerta che l’atto esecutivo è valido; se invece dovesse accertare che l’atto è nullo, ciò imporrebbe l’emanazione dell’ordinanza di vendita o di assegnazione). Queste norme non prendono in considerazione l’eventuale, possibile impugnazione della sentenza che decide sull’opposizione agli atti esecutivi: esse non dicono che cosa accade se è impugnata la sentenza con la quale si afferma la validità del processo esecutivo. La lacuna dipende dal fatto che, nella stesura originaria del codice del 1942, la sentenza che decideva l’opposizione agli atti esecutivi era inimpugnabile cioè non assoggettabile ad alcun mezzo di impugnazione. Ma in virtù dell’art.111 II Cost, la sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è suscettibile di impugnazione in Cassazione. La soluzione più corretta sembra essere che occorre attendere il giudicato, quindi la prima. Ciò per due motivi: - in primo luogo, il silenzio del legislatore non ha alcun significato. Quando gli art.530 e 569 cpc sono stati scritti, la sentenza che decideva l’opposizione gli atti esecutivi era inimpuganbile. - in secondo luogo, la pregiudizialità fra rito e merito deve essere mantenuta fin tanto che la parte ha diritto di far controllare con l’impugnazione la sentenza che decide l’opposizione. Siamo arrivati al punto in cui opposizioni agli atti non ce ne sono, oppure si è raggiunto un accordo, o c’è stata una sentenza passata in giudicato che le rigetta. Il giudice dispone con ordinanza la vendita forzata. Ma disporre la vendita o l’assegnazione significa anche attribuire un valore al bene. Ma è chiaro che la determinazione del valore fatta in quella sede dall’ufficiale giudiziario non può essere vincolante anche per quanto riguarda la vendita; sarà necessario procedere alla valutazione del bene ad opera di un soggetto competente cioè uno stimatore. LE SINGOLE FORME DI VENDITA FORZATA Nell’espropriazione immobiliare, la disciplina è unitaria per l’espropriazione diretta e per quella di beni mobili che il debitore ha 51 presso terzi. I modi di liquidazione del bene mobile sono essenzialmente due: - la vendita a mezzo commissionario - la vendita all’incanto. A.Vendita a mezzo commissionario E’ disciplinata dagli art.532 e 533 cpc. Essa consiste nell’affidare la vendita del bene mobile, preventivamente stimato da un esperto, per un prezzo minimo stabilito dal giudice, ad un soggetto il quale lo vende a trattativa privata, attraverso un contratto che egli stipula con l’acquirente. L’incarico è normalmente conferito all’istituto vendite giudiziarie e può essere conferito ad un soggetto diverso dall’istituto vendite, solo se si tratta di beni con caratteristiche peculiari, che consigliano di rivolgersi ad un commerciante specializzato nel settore (art.532 I cpc). La liquidazione avviene con un atto che ha la natura, le caratteristiche e gli effetti di un ordinario atto negoziale di compravendita di un bene mobile. In sostanza l’atto traslativo è delegato ad un terzo. Il commissionario ha diritto ad un compenso che stabilisce il giudice stesso. B. Vendita all’incanto L’altra modalità di vendita è la vendita all’incanto disciplinata dagli art. 534 e 537 cpc. Secondo l’art.534 cpc, la vendita può essere affidata al cancelliere, o all’ufficiale giudiziario, o ad un istituto all’uopo autorizzato. Di solito viene affidata agli istituti vendite giudiziarie, che sono società che hanno, tra le altre finalità, anche quella di procedere alla vendita forzata dei beni mobili. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto, viene fissata la data dell’incanto e nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca a ritirare i beni mobili del custode. L’aggiudicazione è fatta al maggior offerente. L’acquirente paga il prezzo e si porta via il bene, il soggetto incaricato della vendita versa all’esecuzione il ricavato, trattenendosi anche qui il compenso che per legge spetta all’incaricato. Nella vendita all’incanto dei beni mobili, il trasferimento della proprietà avviene al momento del pagamento del prezzo. Non si applica il principio consensualistico valido per i contratti (art.1376 cc). Può darsi che la vendita del bene mobile non abbia luogo in alcuna delle due forme. Abbiamo così l’ipotesi della vendita fallita, cioè della vendita non effettuata per mancanza di offerenti. L’art.538 cpc prevede due possibilità: che si abbia l’asseganzione del bene, su richiesta di uno o più crediti, per il valore di stima che il giudice ha determinato prima di procedere alla vendita dello stesso; 52 - nel caso di assegnazione pro soluto, il credito nei confronti del debitore esecutivo si è già estinto nel momento della assegnazione, per la somma corrispondente al valore dell’assegnazione stessa. Se il terzo debitore non paga, l’assegnatario deve provvedere alla tutela giudiziale del suo diritto di credito: per poter procedere all’esecuzione forzata deve avere un titolo esecutivo. Se il debitore esecutivo era già munito di un titolo esecutivo, l’assegnatario subentra nella possibilità di utilizzare tale titolo esecutivo ex art.475 cpc. se il debitore esecutato non aveva un titolo esecutivo può utilizzare come titolo esecutivo l’ordinanza di assegnazione. Gli art.548 I e 549 cpc prevedono la possibilità di fondare l’esecuzione contro il terzo sull’ordinanza di assegnazione. L’udienza in cui si stabiliscono le modalità per la vendita dell’immobile si svolge in modo analogo. Occorre premettere che il creditore procedente deve depositare entro 90 giorni dal pignoramento, deve essere allegata la documentazione prevista dall’art.567 cpc. A seguito della presentazione dell’istanza, il giudice incarica un esperto della stima del bene, e fissa l’udienza nella quale dispone la vendita del bene, e ne fissa le modalità. Le modalità di liquidazione del bene sono la vendita senza incanto (art. 570-572 cpc) e la vendita con incanto (artt.576 cpc): - La vendita senza incanto consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, offerta che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Possono partecipare tutti gli interessati (quindi anche i creditori), tranne il debitorie esecutato. Una forma particolare di modalità di offerta è quella fatta per persona da nominare, ad opera di un avvocato. costui può offrire una certa somma senza indicare il soggetto interessato all’acquisto; avvenuta l’aggiudicazione a suo favore (art.583), entro 3 giorni deve depositare in cancelleria il nome del vero acquirente. Da tale momento in poi la procedura prosegue con l’acquirente effettivo. Se non viene fatta la dichiarazione, l’aggiudicazione diviene definitiva a nome dell’avvocato. Si ricorre questa forma di offerta quando non si vuole far sapere che si è interessati all’acquisto del bene. Con il deposito in cancelleria dell’offerta in busta chiusa si deve versare una somma equivalente a 1/10 del prezzo offerto. Quando è scaduto il termine per il deposito, il giudice dell’esecuzione le apre e vede le offerte effettuate. Poi convoca tutte le parti del processo esecutivo e se l’offerta maggiore è superiore di almeno il 20% al valore di stima, l’immobile è immediatamente aggiudicato all’offerente (art.572 cpc). Altrimenti, si passa alla vendita all’incanto se il creditore procedente lo chiede, ovvero se il giudice lo ritiene opportuno. Qualora vi siano più offerte, il giudice 55 dell’esecuzione invita i più offerenti ad una gara sull’offerta più alta (art.573 cpc). Quando il giudice ritiene di accogliere l’offerta, deve emettere due decreti. con il primo stabilisce le modalità di versamento del prezzo; se il versamento non è effettuato, il giudice provvede ad una rivendita all’incanto del bene e la cauzione che aveva versato l’acquirente vien incamerata nelle casse dell’esecuzione; e se, nella rivendita, il bene spunta un prezzo minore, per la differenza resta obbligato il soggetto offerente ed inadempiente. Se, viceversa, l’acquirente versa la somma con le modalità e nei termini previsti dal primo decreto, allora il giudice emette un secondo decreto, il decreto di trasferimento, che è l’atto terminale del procedimento di liquidazione, e che ha l’effetto di trasferire all’acquirente il diritto pignorato al debitore. - L’altra modalità di liquidazione è la vendita all’incanto. Essa inizia con il bando di vendita, ex art.576 cc, che stabilisce il giorno e l’ora in cui, nell’udienza pubblica, in presenza del giudice, si procedere alla vendita. I soggetti che possono partecipare sono gli stessi della vendita senza incanto; gli offerenti debbono prestare la stessa cauzione. All’udienza (che può tenersi anche se non è presente un creditore munito di titolo esecutivo: art.631 cpc), il giudice procede alla vendita all’incanto ex art.581 cpc. Ciascun soggetto, legittimato a partecipare ex art.580 fa oralmente la sua offerta. Trascorsi 3 minuti dall’ultima offerta senza che ne siano fatte di maggiori, il bene viene aggiudicato all’ultimo offerente. Si sono quindi individuati, l’offerente e il prezzo di vendita. L’art.584 stabilisce che, entro 10 giorni dall’incanto, possono essere fatte delle offerte in aumento di almeno 1/5 del prezzo raggiunto nell’aggiudicazione. Qui si innesta una specie di vendita senza incanto, cioè si passa alla vendita con le offerte in cancelleria. Uno o più offerenti in aumento depositano la propria offerta; il giudice convoca gli offerenti e l’aggiudicatario per la gara prevista dall’art. 573 cpc, dopodiché il giudice procede nel modo già visto. L’offerente all’incanto, o il vincitore nella gara di cui sopra, deve versare il prezzo nel modo stabilito nel bando di vendita; se non versa il prezzo, si producono le stesse conseguenze viste in relazione alla vedenti senza incanto. - Parte della dottrina sostiene che il trasferimento del bene avviene al momento dell’aggiudicazione. - L’art.586 cpc sembra suggerire la soluzione contraria perché esso espressamente stabilisce che il decreto trasferisce il bene all’aggiudicatario; in secondo luogo, perché dichiara il decreto di trasferimento titolo per la trascrizione, e infine, perché la possibilità per il giudice di non pronunciare il decreto, non sarebbe compatibile con il già avvenuto trasferimento della proprietà. 56 Quindi il trasferimento avviene con il decreto e NON con l’aggiudicazione. Con il decreto di trasferimento si dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni ipotecarie. L’effetto purgativo della vendita forzata si ricava dall’art.586 I cpc. La disposizione è poco opportuna, perché l’estinzione dell’ipoteca a garanzia di un credito a lungo termine costringe il creditore ipotecario a partecipare all’espropriazione del bene ed a riprendersi la somma che gli spetta. Un’importante novità, introdotta dalla riforma del 2006, riguarda la possibilità che l’aggiudicatario finanzi il proprio acquisto mediante mutuo ipotecario. In questo caso, mutuante e mutuarlo possono stabilire, a garanzia del mutuante, che le somme siano versate all’esecuzione contestualmente all’iscrizione dell’ipoteca. Se questo accade, la trascrizione del decreto di trasferimento deve essere contestuale all’iscrizione ipotecaria (art.585 III cpc). Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio, cioè per ottenere la consegna del bene acquistato (art.586 II e III cpc). La norma prevede che il decreto contenga l’ingiunzione al debitore o al custode. Il pignoramento immobiliare è effettuato dall’ufficiale giudiziario sulla base delle indicazioni del creditore procedente, delle quali questi si assume la responsabilità. Il possesso del bene immobile da parte dell’esecutato NON costituisce requisito di validità del pignoramento. Con la notificazione del pignoramento immobiliare l’esecrato vede trasformato il suo possesso in custodia. Dobbiamo quindi distinguere le ipotesi in cui il bene immobile pignorato è assoggettato alla custodia del debitore esecutato (oppure di un terzo a cui il giudice abbia affidato tale compito), dalle ipotesi in cui il bene è nel possesso di un estraneo. Se il bene è nella materiale disponibilità del custode, il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio. Anzi, forse da tale punto di vista parlare di titolo esecutivo è eccessivo. La consegna del bene all’aggiudicatario da parte del custode costituisce l’adempimento di un dovere di natura processuale. Se il bene acquistato in vendita forzata è nel possesso di un terzo estraneo, il titolo esecutivo per il rilascio, in linea di principio, non ha effetti nei confronti di costui. Nei confronti del terzo, l’aggiudicatario del bene dovrà agire con i normali strumenti che il diritto sostanziale e processuale pongono a sua disposizione (rivendicazione o restituzione). Se il terzo possessore è un avente causa del debitore esecutato, in base ad un titolo inopponibile ex art.2913 ss cc, al creditore, il decreto di trasferimento è efficace nei suo confronti come titolo traslativo della proprietà, quindi ance come titolo esecutivo per il rilascio. Ex art.588 cpc, ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene immobile per la somma maggiore tra il valore del ben secondo stima da 57 limita peraltro a richiamare le regole che determinano l’inopponibilità ma parla anche dei “creditori intervenuti nell’esecuzione”. Abbiamo più volte visto che i creditori intervenuti beneficiano degli effetti utili del pignoramento. L’estensione degli effetti conservativi del pignoramento ai creditori intervenuti è una peculiarità del pignoramento che non consente l’alienazione della res pignorato all’alienazione della res litigiosa. Quindi dobbiamo cercare dei creditori, nei cui confronti gli atti di disposizione dell’esecutato sino inopponibili in misura maggiore di quanto lo sono rispetto al creditore pignorante; dobbiamo cercare un meccanismo di protezione del creditore intervenuto. Questo meccanismo è previsto a favore del creditore ipotecario dall’art. 2812cc, il quale distingue due categorie di terzi: i titolari di servitù, usufrutto, uso, abitazione (c.d. diritti reali minori); ed i titolari di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà (c.d. diritti reali maggiori). Il fenomeno ipotizzato è il seguente: dopo l’iscrizione dell’ipoteca sul bene, un terzo viene investito di un diritto appartenente alternativamente o alla prima o alla seconda categoria. a) (diritti reali maggiori) Nell’ipotesi in cui il terzo viene investito di un diritto appartenente alla seconda categoria, l’art.2812 III cc dà al creditore ipotecario il potere di espropriare il bene anche contro il terzo acquirente. Pertanto se, dopo l’iscrizione dell’ipoteca, il proprietario ha costituito sul bene ipotecato, a favore di terzi, un diritto di superficie, enfiteusi, piena o nuda proprietà, il creditore ipotecario può espropriare il bene, ma deve notificare il titolo esecutivo e il precetto al terzo acquirente, deve effettuare il pignoramento contro il terzo, che assume il ruolo di esecutato; la vendita forzata viene fatta contro il terzo acquirente, e l’aggiudicatario acquista un titolo contro il terzo acquirente. Se andiamo a rileggere l’art.2919cc, vediamo che tale norma stabilisce “a colui che ha subito l’espropriazione”; e colui che subisce l’espropriazione in questa ipotesi è il terzo acquirente, sul bene ipotecato, di un diritto appartenente alla seconda categoria di cui sopra. Il passaggio del bene ipotecato in varie mani non pregiudica quindi il creditore ipotecario, nel senso che questi lo può sempre colpire presso l’attuale proprietario o enfiteuta o superficiario o nudo proprietario che diventa il soggetto esecutato. b) (diritti reali minori) Per i diritti reali minori, appartenenti alla prima categoria di cui sopra, il meccanismo è invece diverso. Se non interviene nessuno, l’aggiudicatario acquista il bene senza l’usufrutto ma con la servitù; se interviene il creditore, l’aggiudicatario acquista il bene libero senza l’usufrutto e la servitù. 60 Perchè il legislatore, per i diritti di cui alla seconda categoria 8art.2812 III cc) prevede he l’espropriazione si faccia contro i titolari dei medesimi, e per i diritti di cui alla prima categoria (art.2812 I cc) che l’espropriazione si faccia ignorando i titolari di questi diritti? Nel codice civile francese, da cui è derivato il nostro attuale art.2812cc la ripetizione era diversa. Nel codice francese la ripartizione correva tra usufrutto, superficie, enfiteusi, nuda e piena proprietà da un lato, ed uso, abitazione e servitù dall’altro. La ragione è che l’espropriazione contro il titolare dei diritti di uso, abitazione e servitù non è possibile, mentre è possibile procedere contro il titolare dei diritti di usufrutto, enfiteusi, superficie, nuda piena proprietà, perché i diritti di uso, abitazione e servitù non sono trasferibili sul piano del diritto sostanziale. Nella originaria versione della norma la distinzione aveva un senso: esecutato era il titolare di un diritto suscettibile di essere trasferito. Il pasticcio nasce quando, recependo la regola, il legislatore italiano (probabilmente per una sua svista) inserire anche l’usufrutto, che è un diritto trasferibile, nella categoria di quelli trasferibili. E così, se ci si limita a leggere l’art.2812 cc non si capisce la ratio della distinzione. I titolari dei diritti indicati nell’art.2812 I cc non divengono esecutati, tranne l’usufruttuario; il loro diritto con la vendita forzata si estingue per incompatibilità, e si trasforma in una somma di denaro che è l’equivalente del diritto estinto (art.2812 II cc). I titolari dei diritti, che si estinguono con l’espropriazione, divengono quindi creditori privilegiati iscritti: privilegiati, perché hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografari; iscritti, perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. Essi rientrano nella previsione dell’art.498 cpc, e quindi debbono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo. Essi possono, pertanto, intervenire nel processo esecutivo come creditori potenziali e quindi far valere le loro ragioni sul ricavato. se, poi, hanno motivi di difesa nel merito, cioè ritengono di non dover subire l’effetto estintivo, possono far valere le loro ragioni con l’opposizione di terzo ex. art.619 cpc. Se invece, l’ipoteca è valida ed efficace, il loro diritto si trasforma in un credito avente ad oggetto una somma di denaro. L’inciso contenuto nell’art.2919 cc “salvi gli effetti del possesso di buona fede” lo abbiamo trovato anche nell’art.2913 cc, il quale stabilisce che gli atti di disposizione del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. La fattispecie dell’art.2913cc fa riferimento a un atto di disposizione che ampia il debitore esecutivo o più in generale il custode del bene mobile pignorato, il quale fa realizzare un acquisto a titolo originario a favore dell’acquirente, titolo che è prevalente rispetto a quello del creditore procedente, e quindi idoneo a sottrarre il bene dall’espropriazione. 61 Ove l’alienazione provenga dall’esecutivo, la portata dell’art.1153cc non è quella di sanare un difetto di titolarità. L’art.1153cc serve a sanare un difetto di potere dispositivo, a superare il vincolo di indisponibilità creato dal pignoramento. Nell’art.2919cc, invece acquirente di buona fede non è il terzo al quale il custode aliena il bene mobile pignorato, ma è l’aggiudicatario il quale fonderà il suo acquisto ex art.1153cc sul titolo astrattamente idoneo costituito dalla vendita o assegnazione forzata, sulla consegna del bene mobile, e sulla buona fede, consistete nella mancata conoscenza che il bene non appartiene a colui che ha subito l’espropriazione. La buona fede qui consiste nel fatto che l’acquirente in vendita forzata non sa che il ben è di proprietà di un terzo. Nel caso dell’art.2913cc la buona fede consiste nel non sapere che il bene è pignorato. Nell’ipotesi in cui l’esecutivo non fosse titolare del diritto pignorato e trasferito, il conflitto fra il terzo proprietario del bene e l’acquirente in vendita forzata si risolve normalmente (perchè la vendita forzata per regola generale dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo) a favore del terzo del terzo eccezionalmente (quando la vendita forzata dà luogo ad un acquatico a titolo originario) a favore dell’aggiudicatario. dobbiamo ora vedere la tutela di colui che, nel conflitto ipotizzato, rimane soccombente dall’acquaio a titolo originario. La disciplina è da dagli art.2920cc per la vendita, e 2926 per l’assegnazione. ex art.2920cc, se oggetto della vendita forzata è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà p altri diritti reali su di essa ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’espropriazione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede né possono ripetere dai creditori la somma loro distribuita. • il terzo può soddisfarsi sulla somma ricavata della vendita finché non sia stata distribuita , finché cioè essa è nelle casse dell’esecuzione. • se il terzo (ormai ex) proprietario non ha fatto valere le sue ragioni sulla somma, egli non può ripetere la somma dai creditori ai quali è stata distribuita. Ora, l’acquisto a titolo originario ex. art.1153cc presuppone un titolo astrattamente idoneo (in questo caso la vendita forzata); la consegna del bene; la buona fede (che consiste sulla mancata conoscenza che l’esecutivo non era proprietario del bene pignorato; la buona fede è presunta, art.1147cc, e pertanto ciò che rileva, in realtà è la malafede che, come tute le situazioni psicologiche, non si può provare in via diretta, ma solo in via indiziaria). Il terzo proprietario del bene mobile pignorato, una volta che sia avvenuta la vendita forzata deve valutare se è in grado di o no di dimostrare che l’acquirente sapeva che il bene non apparteneva all’esecutato. Una volta dimostrato che, a causa della carenza di buona 62 Per quanto riguarda le nullità le nullità extraformali rilevabili in ogni stato e grado del processo, esse come sappiamo, hanno la caratteristica di inficiare ogni singolo atto del processo, e quindi si riproducono anche in relazione agli atti compiti posteriormente all’udienza di vendita, recedoli nulli. Le nullità del procedimento di vendita hanno invece una diversa disciplina, proprio perché l’aggiudicatario o l’assegnatario è parte di tale fase procedimentale. Quindi se si verif ica una nul l i tà nel subprocedimento di vendita, essa è opponibile all’aggiudicatario, ma non fuori del processo, a processo concluso. A tale regola si fa eccezione nel caso in cui l’acquirente abbia colluso col creditore procedente, approfittando della nullità per rendersi acquirente. L’art.2929cc parla di nullità degli atti esecutivi, e non della mancanza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. Dobbiamo considerare che gli art,530 e 569 cpc, nel prevedere che il giudice posa procedere alla vendita forzata soltanto dopo aver risolto le questioni relative alle nullità degli atti esecutivi, che siano state fatte valere, non fanno altro che assicurare anche nel processo esecutivo quella pregiudizialità tra rito e merito che il processo di cognizione assicura in maniera automatica, imponendo al giudice di decidere delle questioni di rito prima di quelle di merito. LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO La distribuzione del ricavato è disciplinata in generale dagli art.509-512 cpc e dagli art.541 e 542 cpc per l’espropriazione mobiliare e dagli art. 596-598cpc per l’espropriante immobiliare. L’art.509 cpc stabilisce che la soma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate, multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario. Il primo e più rilevante problema ella distruzione del ricavato è l’ordine o traduzione dei crediti: 1) senza possibilità di deroga, anche in presenza di diritti di prelazione vi sono le spese della procedura. Hanno la precedenza perché costituiscono il corrispondente di ciò che è stato necessario fare per poter ottenere la somma da distribuire. 2) i creditori con diritto di prelazione: l’orine delle prelazioni è stabilito dall’art.2777cc. Se due crediti hanno lo stesso grado di prelazione, concorrono proporzionalmente tra loro. 3) i creditori chirografari tempestivi: ove la somma non sia sufficiente per tutti, si opera una ripartizione proporzionale. All’interno dei chirografari ci può essere un’ulteriore distinzione in virtù di quanto prevede l’art.499 IV cpc . Se l’intervenuto non segue l’invito del creditore procedente, quest’ultimo viene soddisfatto sul ricavato con preferenza rispetto al creditore intervenuto. 65 4) i creditori chirografari tardivi, cioè quelli intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione, o, nel caso di piccola espropriazione mobiliare, quelli intervenuti dopo il deposito dell’istanza con cui il creditore procedente chiede la fissazione dell’udienza per determinare le modalità di vendita o assegnazione. 5) l’esecutato per l’eventuale residuo. Dal punto di vista processuale, occorre distinguere a seconda che vi siano o non vi siano creditori intervenuti. se vi è un solo creditore da soddisfare, il giudice dell’esecuzione convoca le parti, e dispone il pagamento, a favore del creditore, di quanto gli è dovuto. Se invece vi sono più creditori da soddisfare, occorre procedere alla formazione di un piano di riparto. a) Per quanto riguarda la formazione del piano di riparto, vi sono differenze fra l’espropriazione mobiliare e quella immobiliare. Nell’espropriazione mobiliare i creditori possono presentare al giudice • un piano di riparto concordato tra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti i creditori; - l’art.541cpc stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede in conformità, se non c’è opposizione del debitore. - se c’è opposizione, si procede ai sensi dell’art.512cpc. - se non c’è opposizione del debitore, l’accordo dei creditori è vincolante per il giudice che non può discostarsene. • Se manca un piano di riparto concordato, ogni creditore ex art.542cpc, può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata “ognuno” vuol dire qualunque creditore intervenuto, anche non munito di titolo esecutivo. Il giudice prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti che possono approvarlo, e allora non c’è nessun problema; se invece qualcuno lo contesta, si procede ai sensi dell’art.512cpc per risolvere le contestazioni. b) Nell’espropriazione immobiliare le modalità di formazione del riparto sono diverse, pecche il giudice procede d’ufficio senza bisogno dell’istanza di parte. Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un’udienza; - il cancelliere avvisa i creditori intervenuti e il debitore dell’avvenuto deposito e dell’udienza fissata; le parti hanno 10 giorni per consultare il piano di riparto. Se all’udienza non compaiono o comparendo non si oppongono, il piano di riparto è approvato. - oppure è possibile che in udienza si trovino d’accordo tra di loro per modificarlo e anche qui il giudice non può che prendere atto che c’è un accordo tra le parti e dove modificare il piano di riparto. Se invece il piano di riparto è contestato e sulle contestazioni non si raggiunge un accordo, allora occorre procedere ai sensi dell’art.512cpc. 66 La questione più delicata riguarda la posizione del creditore, il cui credito si stato “contestato” dal debitore ex art.499 VI cpc. A favore dei creditori contestati, e che abbiano tempestivamente proposto la domanda volta ad ottenere un titolo esecutivo l’art.510 II e III cpc prevede che il giudice dell’esecuzione disponga l’accantonamento delle somme ad essi eventualmente spettanti. Il piano disidrato vien predisposto tenendo conto anche di questi creditori, dopo di che le somme che, in base al piano, ad essi spetterebbero, sono accantonate “per il tempo necessario affinché i predetti creditori possano munirsi di titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a 3 anni”. La distribuzione può avvenire anche prima del temine fissato, quando tutti i creditori, che ne avevano bisogno si sono muniti di titolo esecutivo. In ogni caso decorsi al massimo 3 anni, la somma comunque distribuita: se il creditore non ha fatto in tempo a munirsi di titolo esecutivo, la somma accantonata è assegnata al creditore successivo. La disposizione presenta profili di incostituzionalità. Se il principio in vissuto del quale la durata del processo non deve essere fonte di pregiudizio per la parte che ha ragione, è contrario ai principi costituzionali che rimanga insoddisfatto il creditore privilegiato, il quale sta ancora attendendo la sentenza quando scade il triennio. Ricordiamo che l’art.2741cc contiene una disposizione che non può essere disattesa sul piano processuale, dal momento che il legislatore processuale non può predisporre regole, che portino a soddisfare creditori che, per il legislatore sostanziale debbono essere soddisfatti dopo altri, e lasciare, invece, questi ultimi insoddisfatti. Approvato il piano di riparto o risolte le contestazioni, il processo esecutivo si chiude con l’emissione dei mandati di pagamento da parte del cancelliere. L’art.511cpc disciplina la domanda di sostituzione nel processo esecutivo a norma dell’art.499 II cpc. La domanda di sostituzione si effettua nelle forme della domanda di intervento ex art.499 IIcpc ma non è una donando di intervento. Al momento delle distribuzione del ricavato il giudice provvede ad assegnare al sostituente le somme che spettano al sostituto, ma prevede l’art.511cpc, le contestazioni sorte fra costoro non possono ritardare la distribuzione agli altri concorrenti. Pertanto, se sostituente e sostituito controvertono tra di loro, prima si stabilisce la somma che spetta sostituito; successivamente fra sostituente e sostituito si stabilisce a chi deve andare quella somma. Esaminiamo ora il problema relativo agli effetti della distribuzione del ricavato. Il giudice predispone un piano di riparto; il cancelliere emette i mandati di pagamento ai creditori e il residuo va al debitore. 67 esistano fra il creditore contestato e il debitore in ordine alla sussistenza e all’ammontare del credito. IL debitore e creditore sono vincolati dall’atto per le regole di diritto processuale e sostanziale. Ma i creditori concorrenti sono “terzi” rispetto all’accordo o alla sentenza. Normalmente i creditori sono vincolati agli atti di diritto sostanziale ed alle rinunce giurisdizionali fra debitore e creditore che accertano l’esistenza e l’ammontare del credito contestato. Tornando alle controversie ex art.512 cpc, occorre distinguere. - in primo luogo un creditore può opporre, relativamente all’esigenza ed all’ammontare del credito del creditore concorrente, le stesse difese che potrebbe fare il debitore. - se il debitore rimane inerte e non contesta la sussistenza o l’ammontare di un credito vantato nei suoi confronti, al posto suo, con gli stessi strumenti e negli stessi limiti lo può fare il creditore, in virtù del principio da cui scaturisce l’airone surrogatoria (art.2900cc). Quando invece si tratta di far valere la frode, la nullità o la simulazione, il creditore agisce iure proprio. in tal caso è ovviamente svincolato da quegli atti. Le parti che, ai sensi dell’art.512 I cpc, debbono essere sentite dal giudice dell’escussione sono tutte quelle che, se la contestazione è accolta vedono modificato nei loro confronti il piano di riparto. Si tratta di vedere chi è interessato a tale controversia e chi viceversa non è interessato. Chi riceve un pregiudizio dall’accoglimento della contestazione deve partecipare al processo. In pendenza del subprocedimento finalizzato alla risoluzione delle contestazioni, il processo esecutivo può essere totalmente o parzialmente sospeso (art.512 II cpc). E’ sospeso totalmente se la contestazione riguarda tutta quanta la distribuzione, cioè se l’accogliendo della contestazione porta alla modificazione del piano di riparto in relazione a tutti quanti i creditori; si ha una sospensione parziale quando vi sia una somma non controversa, cioè quando una parte del ricavato può essere distribuita, perché in relazione ad essa non sono state sollevate contestazioni. E’ questa un’ipotesi di sospensione obbligatoria, ma per provvedimento del giudice; non quindi automatica. E’ obbligatoria nel senso che, verificatosi quei presupposti, il giudice deve sospendere. Nei confronti dell’ordinanza che provvede sulla sospensione può essere proposto reclamo ai sensi dell’art.624 II cpc. Il processo esecutivo deve poi essere riassunto ai sensi dell’art.627cpc. Il giudice dell’esecuzione apporta al piano di distribuzione le consequenziali modifiche. - Se il credito è dichiarato inesistente, esso vien cancellato dal piano di riparto e la somma resasi libera è ridistribuita agli altri creditori secondo l’ordine loro proprio. 70 - se invece è riconosciuta una prelazione, sono disposte le necessarie modifiche al piano; e così via. Dobbiamo stabilire qual è l’oggetto dell’opposizione: se l’opposizione può riguardare solo i vizi processuali della stessa, o invece anche il “merito”. La soluzione più semplice è quella di limitare l’opposizione ai soli profili processuali. Tuttavia vi sono lenti che depongono nel senso di un ampliamento dell’oggetto dell’opposizione agli atti. Ciò permette di concludere il discorso relativo all’espropriazione prezzo terzi. Anche in quella sede, l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza con cui, ex art.549cpc, il giudice dell’esecuzione risolve la controversia fra creditore procedente e terzo esecutato relativa al credito pignorato, può riguardare non soltanto i profili di rito dell’ordinanza stessa, ma che le questioni di merito da essa affrontate e risolte. L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI In due ipotesi lo svolgimento del processo esecutivo è in parte modificato: l’espropriazione dei beni indivisi e l’espropriazione contro il terzo proprietario. Nell’espropriazione dei beni indivisi, il problema nasce dal fatto che fra gli elementi attivi del patrimonio, con cui il debitore risponde delle obbligazioni ex art.2740cpc, esiste la contitolari di un diritto reale espropriabile: proprietà, nuda proprietà, enfiteusi, superficie, usufrutto. La peculiarità si verifica quando non tutti i contitolari del diritto sono assoggettabili all’espropriazione, cioè quando non esiste un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto. L’art.599 I cpc non è del tutto preciso quando afferma:”possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore”. Invece bisogna intendere: anche quando non tutti i comproprietari sono sottoponibili ad esecuzione forzata. Il problema nasce quando i contitolari non sono tutti assoggettabili ed espropriazione, vuoi perché non tutti sono debitori , vuoi perché manca un titolo di esecutivo contro alcuno di essi. Sia nell’uno, che nell’altro caso la quota può essere sottoposta ad espropriazione perché anche una quota garantisce i creditori ex art.2740cc. Ovviamente in questo caso titolo esecutivo e precetto si notificano al solo debitore contitolare del diritto assoggettabile all’espropriazione. Si effettua poi il pignoramento nelle forme ordinarie nei confronti del debitore esecutato: il creditore pignoramento deve però ex art.599 cpc, dare avviso, agli altri contitolari, dell’avvenuto pignoramento. L’avviso ha l’effetto di far divenire i contitolari parti del processo esecutivo. “Parti” del processo esecutivo, infatti, sono non solo il creditore procedente e il debitore esecutato, ma anche i creditore intervenuti. 71 Parti non esecutate sono anche i contitolari, ed in quanto tali sono titolari di poteri e doveri processuali, e possono compiere atti all’interno del processo esecutivo. Insomma il pignoramento e l’avviso bloccano la situazione di fatto e di diritto della contitolari così com’è nel momento in cui i contitolari ricevono l’avviso. I contitolari, sono convocati dal giudice insieme al creditore e al debitore. Ex art.600cpc, il giudice provvede, se i creditori o i contitolari la richiedono e quando è possibile, alla separazione in natura della quota, spettante al debitore. La separazione costituisce una particolare forma di divisione, che ha luogo quando oggetto della contitolari sono beni fungibili; dal punto di vista del diritto sostanziale, i beni fungibili si caratterizzano per il fatto che sono determinati a numero, peso e misura, e ciascuna unità ha valore equivalente alle altre. Si opera quindi la separazione, in base all’unità di misurazione dei rispettivi beni, secondo la quota che spetta ai singoli soggetti. Quando un bene è fungibile, diviene possibile la divisione dello stesso attraverso operazioni materiali, che vengono compiute all’interno del processo esecutivo. dopo la separazione ciascun proprietario si prende la parte che gli spetta, e la parte dell’esecutato viene liquidata. Se invece la separazione non è possibile, perché la contitolari non ha ad oggetto una quantità di beni fungibili, oppure nessuno la chiede, al giudice si impone una scelta. Il giudice deve disporre che si proceda alla divisone del bene, tranne che ritenga più fruttuosa la vendita della nota indivisa. Se il giudice dispone la vendita della quota indivisa, l’aggiudicatario subentra al posto dell’esecutivo nella contitolari del diritto. Se il giudice ritiene che la vendita della quota può non dare un esito soddisfacente, dispone che si proceda alla divisone giudiziale del bene, in relazione alla quale l’art.181disp.att.cpc stabilisce che è competente per materia lo stesso giudice dell’esecuzione. La divisione giudiziale si opera con un processo di cognizione. Il processo divisionale può essere sostituito da un accordo negoziale, al quale deve partecipare anche il creditore pignorante. L’art.1114cc stabilisce che la divisione si opera preferibilmente in natura: ciasuno dei contitolari ha diritto, se possibile ad avere una parte del bene in proprietà esclusiva. Ciò, naturalmente, presuppone che il bene sia divisibile. Occorre tener distinta la separazione in natura della divisione in natura. La separazione è tipica dei beni fungibili, ed indica quella particolare modalità di realizzazione della divisione consistente in operazioni di misurazione e di separazione materiale del bene in tante parti corrispondenti alle quote. 72 b) Esaminiamo ora la seconda ipotesi di espropriazione contro il terzo proprietario, che riguarda i casi in cui il crede ha ottenuto una sentenza che dichiara inefficaci gli atti di alienazione del debitore, in quanto compiuti in suo pregiudizio. Il riferimento è in primo luogo all’azione revocatoria di cui agli art.2901cc e poi a tutte le altre ipotesi consimili in cui sono dichiarati inefficaci. In tutti questi casi si verifica una situazione simile a quella che si ha in seguito all’alienazione del bene oggetto di pegno o ipoteca. Nell’art. 2812cc gli atti di disposizione del proprietario del bene ipotecato non sono opponibili al creditore ipotecario. “Non opponibili” significa che non hanno effetto in pregiudizio del creditore ipotecario. Lo stesso problema si verifica con l’art.2901cc; l’accogliendo della domanda di revoca degli atti di disposizione porta alla dichiarazione di inefficacia degli stessi nei confini del creditore-attore. “Inefficacia” significa che tali atti non possono pregiudicare il creditore, ma ancora non sappiamo lo strumento tecnico con il quale si attua questa finalità. Ciò significa che l’accoglimento dell’azione revocatoria produce non un “rientro” del bene nel patrimonio del debitore alienante (sia pure a vantaggio del solo creditore) di tal che il creditore possa procedere all’esecuzione contro quest’ultimo in relazione a quel bene, sebbene la possibilità per il creditore di procedere all’espropriazione contro il terzo acquirente, nonostante che costui non sia debitore. Come il legislatore, nell’ipotesi di alienazione del bene ipotecato, non ha previsto che il creditore ipotecario possa espropriare il bene come se fosse ancora nel patrimonio di chi ha concesso l’ipoteca ma gli ha dato il potere di espropriare il bene nel patrimonio del terzo, così nell’azione revocatoria ha fornito il creditore del potere di aggredire esecutivamente il terzo, realizzando, quindi la stessa situazione dell’alienazione del bene ipotecato. Il terzo acquirente in base all’atto revocato continua ad essere proprietario del bene nei confronti di tutti, anche nei confronti del creditore, ma è soggetto al potere espropriativo di costui. Anche il terzo acquirente in vista di un atto revocato, come il terzo acquirente del bene ipotecato, a tutti gli effetti non è debitore, perché sul piano sostanziale non deve niente al creditore, deve soltanto sopportare, tollerare, subire l’espropriazione che viene ad incidere nel suo patrimonio. Vediamo ora come si svolge il processo esecutivo contro il terzo proprietario. L’art.603cpc stabilisce che “titolo esecutivo e precetto debbono essere notificati al terzo”; ma ovviamente al terzo non è fatto precetto di pagare, perchè egli non è debitore. il precetto va fatto al solo debitore, e va notificato, per conoscenza , anche al terzo proprietario, il quale ha diversi strumenti per evitare l’espropriazione. 75 Ex art.2858cc, il terzo acquirente dei beni ipotecati cha ha trascritto il titolo d’acquisto e che non è personalmente obbligato, se non preferisce pagare i creditori iscritti può rilasciare i beni agli stessi o liberali delle ipoteche; in mancanza, l’esecuzione segue contro di lui secondo le formule prescritte dal cpc. Pertanto il terzo può, a sua scelta: 1) pagare, adempiendo l’obbligo altrui. Pagando estingue il debito, ed estingue anche il potere di espropriazione del creditore; si ha così, una surrogazione legale nel diritto del creditore procedente (art. 1203cc). 2) chiedere la liberazione dei beni dalle ipoteche (art.2889cc e art. 792cpc). 3) rilasciare il bene ai creditori: cioè abbandona il bene ai creditori e l’espropriazione ha luogo nei confronti di un curatore speciale che nomina il tribunale. Ciò evita al terzo proprietario di comparire come esecutivo non debitore. Se non fa niente di tutto questo, il terzo proprietario assume la posizione di esecutato. Il pignoramento e gli atti di espropriazione si compiono nei suoi confronti, ed a lui si applicano tutte le disposizioni relative al debitore. Si verifica così una forma particolare di litisconsorzio necessario: in questo caso parti necessarie dell’espropriazione sono il debitore non esecutivo e l’esecutato non debitore. Tutti e due hanno gli stessi poteri e doveri, ma il divieto di rendersi acquirente in vendita forzata non vale per il terzo proprietario. Un’altra particolarità riguarda la distribuzione del ricavato: l’ordine di distribuzione è diverso rispetto a quello ordinario. I creditori che possono intervenire nell’espropriazione contro il terzo sono i creditori del terzo proprietario, e non i creditori del debitore, perché per questi ultimi il bene è efficacemente uscito dal patrimonio del loro debitore. Al contrario, nell’espropriazione contro il terzo possono intervenire i creditori del terzo, perché per essi il bene è nel patrimonio di costui. Pertanto, in sede di riparto avremo il seguente ordine: anzitutto il creditore ipotecario o il creditore che ha ottenuto la revoca dell’atto; poi i creditore dl terzo distinti in privilegiati, chirografari tempestivi e tardivi; infine, se avanza un residuo, questo deve essere consegnato al terzo e non al debitore. Il bene è quindi a tutti gli effetti un bene del terzo. Il terzo proprietario può, con l’opposizione all’esecuzione, contestare il diritto del creditore istante di procedere all’eccezione forzata. Se il terzo è processualmente equiparato al debitorie esecutato, ha gli stessi strumenti di difesa di costui. Dobbiamo tener conto che le condizioni, in presenza delle quali è lecita l’aggressione esecutiva del terzo, sono costituite da una fattispecie composta di due elementi: 1) che il creditore possa procedere all’espropriazione forzata nei confronti del debitore 76 2) che sussistano i presupposti particolari che consentono l’espropriazione di un bene, che non fa parte del patrimonio del debitore. Altra condizione perché il terzo sia legittimamente espropriato è che suscita il credito che il credito che l’ipoteca vuole garantire, perché altrimenti non esiste neppure il potere di procedere all’esecuzione forzata. Il terzo espropriato può quindi contestare la sussistenza dell’obbligo garantito. L’art.2859cc distingue a seconda che la domanda con la quale è stata chiesta la condanna del debitore sia anteriore o posteriore alla trascrizione dell’atto di acquisto del terzo proprietario. - se la domanda è anteriore alla tradizione dell’atto di acquisto del terzo, il terzo proprietario può opporre al creditore, in sede di opposizione all’esecuzione, soltanto le difese che ancora spettano al debitore dopo la condanna. - se invece la trascrizione è anteriore alla posizione della domanda di condanna del debitore, il terzo non è vincolato al contenuto della pronuncia e può fondare la sua opposizione all’esecuzione anche su difese che la sentenza preclude al debitore. L’anteriorità o posteriorità della domanda è valutata con riferimento alla proposizione della stessa, e non alla sua trascrizione, perché le domande dirette alla condanna al pagamento di una somma di denaro non sono soggette a trascrizione. La norma pone il terzo acquirente in una posizione diversa da quella del debitore condannato. Il debitore condannato non può far valere le “eccezioni non poste”, espressione con la quale si intende dire che non può contestare l’accertamento contenuto nella sentenza facendo valere difese precluse dalla regola sui limiti temporali di efficacia della sentenza stessa. Si applica a costui la regola generale, in virtù della quale il provvedimento giurisdizionale non è vincolante per chi non è stato parte del processo, perché il terzo nel processo non ha potuto spendere i suoi poteri di difesa. Pertanto - se il terzo trascrive il suo titolo d’acquisto prima della proposizione, da parte del creditore, della domanda di condanna del debitore, la pronuncia è utilizzabile come titolo esecutivo contro il terzo proprietario, ma la sentenza non è per lui vincolante. - se il terzo proprietario si oppone all’esecuzione, il creditore non può avvalersi, in sede di opposizione all’esecuzione, dell’efficacia preclusiva della sentenza emessa contro il debitore. Il creditore, se il terzo proprietario costata l’esistenza del credito, deve dimostrare ex novo la sussistenza del credito garantito e non può 77 Il problema si pone in razione ai diritti, relativi a un bene determinato, che non hanno natura reale, sebbene obbligatoria (locazione, comodato ecc). Occorre tener conto che determinate, per stabilire il tipo di tutela esecutiva, è la struttura dell’obbligo che rimane inadempiuto. Poiché l’ufficio esecutivo deve sostituire l’inattività dell’obbligato, è evidentemente il contenuto dell’obbligo (pagare, consegnare un bene ecc) e non già il contenuto del diritto. La struttura del diritto potrebbe essere rilevante sotto il profilo della tutela in forma specifica. L’elemento che distingue i diritti assoluti da quelli relativi sono le vicende estintive e costitutive di tali diritti, e soprattuto l’opponibilità di essi ai terzi. Nella servitù negativa e nell’obbligo di non fare, dal punto di vista strumentale, è identico il tipo di comportamento che devono tenere, il proprietario del fondo servite e il soggetto che si è obbligato. La differenza è che la servitù negativa è opponibile non solo all’attuale proprietario del fondo servente, ma anche a tutti i successivi proprietari; l’obbligo di non fare non è opponibile ai successivo proprietari. Essendo identica la struttura, sono invece diverse le condizioni di esistenza e di persistenza dei diritti assoluti e dei diritti relativi. Pertanto, tutti gli obblighi aventi ad oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte. La differenza le varie situazioni sostanziali può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste, ma, un volta stabilito che il diritto esiste, non ne può essere esclusa una tutela in forma specifica per ragioni strutturali. Alto problema da affrontare è quello degli obblighi relativi a quantità di cose indeterminate: una quantità di cose può diventare oggetto di un contratto in due modi diversi. a) se oggetto del contratto è una quantità di cose fungibili individuate si applica l’art.1377cc; il trasferimento della proprietà avviene comunque al momento del consenso. b) se invece il contratto ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, si applica l’art.1378cc. Poiché il bene non è identificato, il trasferimento della proprietà avviene con la specificazione, quando si separa dalla massa del gneiss la parte oggetto del contratto. L’ostacolo che impedisce l’esecuzione in forma specifica relativa ad obblighi di genere è l’art.2741cc, cioè il principio della par condicio creditorum. Un altro problema riguarda la necessità di ricorrere alla tutela esecutiva per la soddisfazione del diritto. L’obbligo inadempiuto può essere 80 correlato al diritto, di cui si chiede la tutela attraverso l’esecuzione stessa. L’evento diritto può sostituire all’attività dell’obbligato inadempiente l’attività di un altro soggetto, senza incontrare difficoltà in quanto tale sostituzione avviene attraverso l’esercizio di poteri di natura sostanziale, di cui è titolare l’avente diritto. L’esecuzione forzata diventa necessaria solo quando il titolare del diritto non può autonomamente procurarsi l’utilità che doveva procurargli l’obbligato inadempiente. Ciò perché l’esercizio di tali poteri urta contro la sfera giudica protetta dell’obbligato, sfera giuridica che può essere superata solo dall’ufficio esecutivo. - in sostanza finché l’avente diritto opera “in casa propria”, non vi è bisogno della tutela esecutiva; - quando invece deve operare “in casa altrui”, è necessario l’intervento dell’ufficio esecutivo. Per quanto attiene l’esecuzione indiretta, in cui si cerca di ottenere l’adempimento dell’obbligato stesso, attraverso l’irrogazione di sanzioni. Nell’esecuzione forzata diretta, l’inattività dell’obbligato viene ad essere sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo tiene, in luogo dell’obbligato, quei comportamenti che questi non ha tenuto. - La infungibilità può derivare da due cause: perché l’obbligo è assunto intuito personae, cioè l’avente diritto voleva proprio la prestazione personale da quel certo soggetto; - oppure perché l’obbligato si trova in una situazione di monopolio, e quindi la prestazione potrebbe, in astratto, essere fornita da chiunque, ma, in concreto, la soddisfazione può essere data solo da un certo soggetto (art.2597cc). Occorre infine tener conto del fatto che l’obbligo di astensione è sempre infungibile , poiché il comportamento consiste nel 2non fare” deve essere tenuto proprio ed esclusivamente dal soggetto obbligato, e non può essere surrogato da alcun altro soggetto. Nel diritto sostanziale è previsto talora l’obbligo di sopportare che l’avente diritto compia una certa attività nella sfera giuridica dell’obbligato. Si tratta di un comportamento di tolleranza, o di pati. L’obbligo di patì si differenzia dall’obbligo di non fare perché comporta lo svolgimento dell’attività protetta nella sfera giuridica dell’obbligato. L’obbligo di patì, al contrario è correlato ad un diritto altrui di invadere la sfera giuridica dell’obbligato, il quel deve appunto sopportare tale invasione. Dobbiamo distinguere gli obblighi di sopportare in relazione alla diversa struttura del diritto. In primo luogo vi sono gli obblighi di sopportare, correlati a un diritto il cui interesse sta nel risultato dell’attività che si deve compiere, nella sfera giuridica altrui, a proprie spese. 81 L’ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO Vediamo ora l’esecuzione per consegna e rilascio. Ex.art.2930cc, l’esecuzione per consegna o rilascio ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere di fatto a colui che ha diritto ad esercitarlo. Abbiamo il trasferimento della detenzione corpore del bene da colui che ha lo ius possessionis a colui che, secondo il titolo, ha lo ius possidenti. Tale trasferimento non opera alcuna modificazione della situazione sostanziale, che ha come oggetto il bene. E’ modificato solo il potere di fatto sul bene. La qualificazione in termini possessori della situazione, che si viene a creare attraverso l’acquisizione del potere di fatto sul bene, non dipende dall’esecuzione forzata, ma dalla situazione sostanziale a tutela della quale è stato svolto il processo esecutivo. L’avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto reale; acquista la detenzione, se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto personale di godimento. Quindi anche la situazione possessoria che si viene a creare in capo all’avente diritto, che riceve il bene, si differenzia in base al tipo di diritto a tutela del quale si è avuta l’esecuzione. L’obbligo di consegna o rilascio viene attuato con le forme degli art. 605cpc in modo sempre uguale, qualunque sia il diritto riconosciuto. I titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono ex.art.474 III cpc, quelli previsti dai numeri 1 e 3 dell’art.474 II cpc. Le scritture private autenticate ed i titoli di credito che abbiano per oggetto beni individuati (titoli rappresentativi art.1996 cc) non costituiscono, quindi titoli esecutivi idonei ad un’esecuzione per consegna e rilascio. Lo sono invece gli atti pubblici. Titolo esecutivo è anche il verbale di conciliazione giudiziale,che è ricompresi nel n.1 dell’art.474 II. Per quanto riguarda la posizione dei terzi, ex.art.474-477 cpc, il titolo esecutivo è utilizzabile, a certe condizioni, da o contro un soggetto diverso da colui, che nel titolo stesso è nominativamente individuato, rispettivamente come creditore o debitore. Tutte le volte in cui l’ufficiale giudiziario trova il bene nella materiale disponibilità di un soggetto diverso da colui che è obbligato alla consegna o rilascio secondo il titolo, l’esecuzione deve ugualmente aver luogo, anche in pregiudizio del terzo. - Uno degli effetti dell’espropriazione è la creazione di un titolo di acquisto fra l’esecutato e l’aggiudicatario. Se il bene è di proprietà di chi non è esecutato, questi (salva l’applicazione dell’art.1153cc) non subisce alcun effetto dell’espropriazione. - Nell’esecuzione per consegna o rilascio si verifica un diverso fenomeno: ipotizziamo che l’esecuzione dia compiuta e la determinazione corpore del bene sia trasferita dall’ufficio esecutivo al procedente. Se il bene era nella materiale disponibilità di un terzo, 82 Il prevignte art.609cpc prevedeva che ai beni mobili estranei al rilascio dovesse pensare il procedente: o mediante la custodia sul posto o trasportandole in altro luogo. Il nuovo art.609cpc prevede invece che all’avente diritto sia intimato di ritirare i beni. Se non li ritira, ed i beni hanno un valore superiore alle spese necessarie per l’asporto, la custodia e la vendita, essi sono affidati ad un custode, che li vende, e con il ricavato paga le spese che sono liquidate dal giudice dall’esecuzione. L’eventuale residuo va all’avente diritto sui beni. Se i beni hanno scarso valore, essi sono smaltiti o distrutti. L’art.610cpc fa comparire sulla scena del processo esecutivo il giudice dell’esecuzione, che normalmente rimane sullo sfondo. Quando si sollevano contestazioni che hanno bisogno di un processo di cognizione per essere decise: situazioni patologiche rispetto al normale svolgimento del procedimento per consegna o rilascio. Si è già detto che l’ufficio esecutivo, prima di agire, deve determinare la sua azione e valutare se compiere un determinato atto e quale deve esserne il contenuto. L’ufficiale giudiziario deve stabilire se e come determinare la propria attività, senza poter ricorrere all’ausilio del giudice dell’esecuzione. L’art.610cpc dà alle parti la possibilità di interpellare il giudice dell’esecuzione , per farlo intervenire nella determinazione di ciò che l’ufficiale giudiziario deve fare per proseguire l’esecuzione forzata. Lo strumento ha lo scopo di far superare l’ostacolo, e non di rallentare oppure ostacolare l’esecuzione. Le spese dell’esecuzione sono anticipate dalla parte istante e sono a carico dell’esecutato (art.95cpc). Tali spese comprendono, oltre alle spese vive, anche gli onorari dell’avvocato del creditore. Esse sono liquidate dal giudice dell’esecuzione ex.art.611cpc con decreto che è titolo esecutivo. Contro il decreto può esser fatta opposizione da parte dell’esecutato, per contestare che le spese siano in tutto o in parte dovute. Il decreto dà al procedente la possibilità di espropriazione forzata sui beni dell’esecutivo, per recuperare le spese dell’esecuzione per consegna o rilascio. L’ESECUZIONE PER OBBLIGHI DI FARE Gli art.2931 e 2933cc forniscono i profili generali dell’esecuzione per obblighi di fare. Spetta al giudice della cognizione stabilire se la distruzione del bene è di pregiudizio all’economia nazionale (art.2933 II). In sede id esecuzione forzata si tratta sempre e solo degli obblighi di fare: o perché non è adempiuto un obbligo di fare (art.2931cc); o perché non è adempiuto un obbligo di disfare (art.2933cc). 85 Anche qui l’attuazione della tutela esecutiva non modifica le situazioni sostanziali esistenti sul bene. Titolarità e contenuto dei diritti e degli obblighi rimangono identiche prima e dopo l’esecuzione. Nel 2009 strumento generale di tutela esecutiva indiretta (art.614-bis cpc). La costituzione o distruzione di un’opera costituisce il verso oggetto dell’esecuzione per obblighi di fare e di non fare. L’art.612cpc parla di esecuzione forzata “di una sentenza di condanna”: ciò costituisce una imprecisione terminologica. L’esecuzione forzata ha sempre per oggetto il diritto e non il provvedimento. Gli art.612 e 614-bis cpc sono le uniche norme, in materia di processo civile ordinario, che riferiscono l’esecuzione forzata alla sentenza, perché nel cpc, attualmente vigente sono stati eliminati tutti i riferimenti all’esecuzione “delle sentenze e dei provvedimenti”. L’art.612 sembrerebbe esigere una sentenza come titolo esecutivo per l’esecuzione degli obblighi di fare. Quindi si deve ritenere che anche i verbali di conciliazione giudiziale sono titoli esecutivi idonei all’esecuzione per obblighi di fare. Questa soluzione trova ora conferma nella nuova dizione dell’art.474 II n.1 laddove, accanto alle “sentenze” si parla di “altri atti” giudiziali. Vi sono poi norme speciali nei quali si prevede che titoli esecutivi stragiudiziali sino idonei a fondare un’esecuzione in forma specifica, e quindi anche un’esecuzione per obblighi di fare. L’esecutato viene individuato sulla base degli effetti concreti che produrrà l’esecuzione: titolo esecutivo e precetto debbono essere notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario, se questi è soggetto diverso dal precedente o dall’esecutato. Infatti, la costituzione o demolizione dell’opera incide, oltre che nella sfera giuridica del detentore corpore, anche nella sfera giuridica del proprietario. Decorsi 10 gironi dalla notifica del precetto, il creditore ricorre al giudice convoca l’esecutato, stabilisce con ordinanza le modalità dell’esecuzione, nomina l’ufficiale giudiziario che deve sovrintendere e chi materialmente deve compiere l’opera. Sui rapporti fra titolo esecutivo e ordinanza di determinazione delle modalità di esecuzione; di solito il titolo esecutivo individua il risultato che si deve raggiungere con l’esecuzione e l’ordinanza ex. art.612cpc stabilisce come si deve raggiungere questo risultato. Le modalità dell’esecuzione sono stabiliste soprattutto nell’interesse dell’esecutato, poiché l’interesse del creditore è teso al risultato e quindi è concentrato nel titolo esecutivo. Le spese sono a carico dell’esecutato; il giudice deve scegliere le modalità di esecuzione che garantiscano il risultato ma che non siano onerose più del necessario per l’esecutato. 86 In sede di esecuzione per obblighi di fare, può darsi che l’opera da costruire necessiti del rilascio di concessioni, autorizzazioni e simili da parte della pubblica amministrazione. Quindi l’ufficio esecutivo può richiedere tutte quelle autorizzazioni e concessioni che l’esecutato poteva e doveva chiedere e non ha richiesto. Se l’esecutivo le aveva richieste e gli erano stata rifiutate, l’ufficio esecutivo, che si sostituisce all’obbligato, può proporre le mpugnative possibili ed opportune in sede di contenzioso amministrativo. Se poi la pubblica amministrazione rifiuta definitivamente e legittimamente i necessari permessi, il diritto del procedente si trasforma in risarcimento del danno. L’ESECUZIONE INDIRETTA La riforma del 2009 ha introdotto, nel terzo libro del cpc, l’art.614-bis, il quale adotta la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l’avente diritto. stabilisce, detta norma, rubricata come “attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare”, che “ il giudice, con la sentenza di condanna… fissa…la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento”. Il primo dato da affrontare deriva da un dato testuale: mentre la rubrica dell’art.614-bis cpc, parla di obblighi di fare ingannabile, tale limitazione non è ripetuta nel resto della norma. Taluno ha ipotizzato l’utilizzabilità dell’esecuzione indiretta anche in materia di obblighi fungibili. Ma si tratta di conclusione non convincete. Per questa e per altre ragioni non è dunque convincente il tentativo di estere l’esecuzione indiretta anche alle fattispecie disciplinate dall’art.2932cc. • La nuova norma è collocata nel terzo libro del cc, nel titolo quarto dedicato all’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare: essa affida la concessione della tutela esecutiva al giudice della cognizione. Il legislatore è caduto nell’errore di vedere come oggetto dell’esecuzione non il diritto, ma il provvedimento. La conseguenza di un tale errore sistematico pone delicati problemi di coordinamento. • un corretto inquadramento sistematico avrebbe invece consentito di affidare il compito di determinare la sanzione pecuniaria al giudice dell’esecuzione, com accade per l’esecuzione degli obblighi di fare. Invece, il legislatore ritenuto che è compito del giudice della cognizione concedere la misura esecutiva, l’avente diritto sarà costretto a proporre una domanda di condanna in sede dichiarativa per ottenere la determinazione della sanzione pecuniaria. Il compito di concedere la misura esecutiva è attribuito al giudice della cognizione competente per la domanda di condanna: quindi il giudice di 87 - la prima è prevista dall’art.614-bis I cpc, laddove si esclude che l’esecuzione indiretta sia utilizzabile in materia di lavoro subordinato e parasubordinato. - la seconda è prevista sempre dall’art.614-bis I cpc, laddove si esclude la determinazione della misura esecutiva, ove “ciò sia manifestamente iniquo”. E’ necessario soffermarsi sui controlli, cui è sottoponibile la misura esecutiva. Questa è frutto dell’esercizio di un potere giurisdizionale dichiarativo, sicché il controllo sui suoi presupposti è preventivo rispetto alla concessione della stessa. Ne consegue che le eventuali censure debbono essere fatte valere attraverso i mezzi di impugnazione. Una diversa soluzione presuppone che tale misura possa essere concessa anche al di fuori di un processo di cognizione. E’ chiaro che l’utilizzabilità delle opposizioni esecutive non potrebbe essere esclusa. Il problema si pone nell’ipotesi in cui la misura coercitiva sia connessa dal giudice del cautelare. In tal caso sono utilizzabili i rimedi proprio dei provvedimenti cautelari: reclamo e revoca/modifica. Le contestazioni avverso i provvedimenti cautelari sono riservate al giudizio di merito, sicchè tali contestazioni non possono essere proposte incidentalmente in altra sede. Uno spunto può ricavarsi dall’art.669- duodecies cpc che contrappone le questioni proponibili in sede di attuazione del provvedimento cautelare a ogni altra questione, che va proposta nel giudizio di merito. Allora è in sede di merito, e solo in sede di merito, che si potrà controllare la conformità a diritto delle misure esecutive concesse con il provvedimento cautelare. Tale processo ovviamente potrà essere anche quello instaurato attraverso l’opposizione all’esecuzione. Una volta determinata la sanzione, resta da verificare cosa accade ove si verifichino i presupposti della sua applicazione. Ai sensi dell’art.614-bis I cpc, “il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute”. Dunque, non vi è necessità di una preventiva verifica dell’effettiva esistenza dell’illecito: il creditore potrà imitare precetto, unilateralmente affermando che sono venuti ad esistenza i presupposti della nascita dell’obbligo di corrispondere le somme. In applicazione dei principi generali, e secondo quanto abbiamo già visto, se la pronuncia che condanna al tacere infungibile o al non facesse è modificata nelle sedi a ciò deputate, le somme eventualmente pagate devono essere restituite. Ciò può accadere attraverso i mezzi di impugnazione per le misure concesse nel processo dichiarativo; attraverso il reclamo ed il processo di merito, per quelle connesse in sede cautelare. 90 Iniziando dall’ipotesi della caducazione, può accadere che il provvedimento di condannasi riformato o annullato, per ragioni di rito o di merito, attraverso i mezzi di impugnazione; se si tratta di provvedimento cautelare, esso può essere riformato in sede di reclamo, ovvero la sentenza di merito può essere di rigetto. In tutte queste ipotesi la misura esecutiva sarà travolta ex art.336 cpc. Può accadere sia la misura esecutiva stessa ad essere direttamene rimossa o modificata nelle stesse sedi, per ragioni specifiche ad essa attinenti. Quando la misura coercitiva è rimossa o in via diretta o indiretta, ciò comporta la sua caducazione retroattiva: nessun diritto potrà avanzare colui, a favore del quale era stata pronunciata la misura esecutiva; e le somme eventualmente riscosse dalla controparte gli andranno restituite. Passiamo ora all’ipotesi della sospensione: sia in sede di appello, che di reclamo potrà essere richiesta la sospensione della esecutività della sentenza di primo grado o della misura cautelare. In ambo i casi, se la sospensione è concessa, l’esito successivo dell’appello o del reclamo cautelare potrà essere alternativamente la conferma o la riforma del provvedimento impugnato o reclamato. - Nel caso di riforma vale quanto detto in precedenza - Nel caso in cui la misura esecutiva sia dapprima sospesa ma poi confermata in sede di appello o di reclamo, rimane da chiedersi se l’avente diritto possa pretendere il pagamenti delle somme maturate a titolo di sanzione nel periodo in cui la esecutività del provvedimento è stata sospesa. La risposta deve essere negativa. L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE L’opposizione all’esecuzione, che è disciplinata dagli art.615-616 cpc, ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata. Il diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere contestato vuoi per la carenza di ciò che si vuole tutelare, cuoi per la carenza del diritto alla tutela esecutiva. 1) Il primo profilo consiste nella mancanza del diritto alla tutela esecutiva, cioè del titolo esecutivo in senso sostanziale. Il titolo esecutivo in senso documentale è invece un atto del processo esecutivo. 2) Problemi particolari sorgono quando si nega l’esistenza del titolo esecutivo, allegando la nullità dell’atto, in cui il titolo esecutivo consiste. Si contesta l’efficacia esecutiva del titolo, perché la nullità dell’atto incide su tutti gli effetti dell’atto stesso, fra cui anche quelli escutivi, con la consequenziale inesistenza del diritto alla tutela esecutiva. Per i titoli stragiudiziali non i sono particolari problemi, ogni 91 nullità rilevante dell’atto può esser fatta valere in sede di opposizione dev’esecuzione. Ai titoli esecutivi giudiziali ex art.161 I cpc, si applica il principio della conversione della nullità in motivi di impugnazione. La nullità di una sentenza dev’essere fatta valere con i mezzi di controllo previsti. La perdita della possibilità di usare il mezzo di controllo sana i vizi dell’atto giudiziale, e li rende irrilevanti. 3) Il principio della conversione delle nullità dell’atto processuale in motivi di impugnazione, impedisce dunque di far valere la nullità del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione all’esecuzione. Lo stesso art.161 cpc, al secondo comma prevede che tale principio non trova applicazione quando il provvedimento manca della sottoscrizione del giudice. Dalla previsione contenuta nell’art.161 II cpc, la giurisprudenza e la dottrina hanno tratto la teoria dell’inesistenza del provvedimento giurisdizionale, in base alla quale all’atto inesistente non si applica il principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione. L’efficacia esecutiva di un provvedimento giurisdizionale dipende, da due diversi meccanismi: talvolta è disposta dalla legge (ex legge); certe volte nasce in virtù di un provvedimento del giudice (ope iudicis). - L’efficacia è sempre ex legge, perché è sempre la legge che prevede i presupposti, in presenza dei quali un atto è titolo esecutivo. Nell’efficacia ex legge la fattispecie che costituisce tale effetto giuridico, così come prevista dalla legge. è immediatamente rilevante e non mediata da una valutazione del giudice. - Nel secondo caso l’ordinamento attribuisce al giudice il potere di accertare i presupposti, previsti dalla legge per l’efficacia esecutiva del provvedimento. L’esecutività è legata all’accertamento e non direttamente alla loro esistenza. In tal caso, la fattispecie che attribuisce l’efficacia esecutiva è costituita dal provvedimento del giudice, e la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge. Le due ipotesi sopra fatte hanno una disciplina differenziata in sede di opposizione all’esecuzione. - Nell’ipotesi di esecutività ope iudicis, essendo rilevante la valutazione del giudice che ha accertato la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, e non immediatamente tali presupposti, sono precluse tutte le contestazioni relative alla effettiva sussistenza dei presupposti in questione. Nono è possibile contestare, in sede di opposizione all’esecuzione, la giustizia e fondatezza del provvedimento con cui il giudice ha dato o negato l’esecutività a quel determinato atto. - Nell’ipotesi di esecutività ex lege, in sede di opposizione all’esecuzione si può affermare che tali presupposti non esistono. Tale esternazione deve considerarsi un parere del tutto irrilevante che non può condizionare l’efficacia esecutiva dell’atto. 92 norma degli art.175 e seguenti”. Questa disposizione da un alto istituiva una sorta di competenza funzionale del giudice dell’esazione: era il giudice dell’esecuzione in quanto tale a svolgere il ruolo di giudice istruttore della causa di opposizione. Dall’altro lato, il richiamo agli art. 175 ss aveva fatto sorgere notevoli incertezze sul coordinamento fra la fase introduttiva della controversia e la fase di trattazione. Con riferimento al primo profilo, la c.d. competenza funzionale del giudice dell’esecuzione è venuta meno. Con riferimento al secondo profilo, invece, il passaggio dalla fase introduttiva alla fase di trattazione avviene attraverso la fissazione di un termine perentorio, entro il quale la parte interessata deve iscrivere la causa a ruolo e poi compiere un atto “secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito”. La legittimazione a proporre l’opposizione all’esecuzione spetta sempre all’esecutivo, e cioè al debitore e al terzo proprietario. L’opposizione può essere proposta anche in via surrogatoria ex.art.2900cc da un creditore dell’esecutivo nell’inerzia di quest’ultimo. Il creditore procedente è la controparte dell’opposizione all’esecuzione. I creditori, già intervenuti quando viene proposta l’opposizione , sono litisconsorzi necessari solo se sono muniti di titolo esecutivo. La rinuncia del creditore procedente è efficace incondizionatamente neo confronti del creditore sprovvisto di titolo esecutivo. Il creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo può portare avanti l’esecuzione da solo, nonostante la rinuncia del creditore procedente. Se il creditore procedente non può pregiudicare unilateralmente, con una propria manifestazione di volontà la posizione dell’intervenuto non può pregiudicarla nemmeno rimanendo soccombente nel processo di opposizione all’esecuzione. Il creditore intervenuto, che ha titolo esecutivo, è pertanto litisconsorte del creditore procedente nell’opposizione all’esecuzione. Se viene accolta un’opposizione all’esecuzione, questa travolge anche gli interventi dei creditori che, sebbene fossero minuti di titolo esecutivo, non hanno effettuato un pignoramento autonomo sul bene. al contrario, il creditore che interviene senza titolo esecutivo, finché non c’è distribuzione del ricavato, non ha poteri da spendere. Per arrivare alla vendita c’è bisogno di atti di impulso processuale da parte di un creditore con titolo esecutivo. Il creditore senza titolo fa solo una prenotazione sulla distribuzione del ricavato. Ora, l’eventuale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione pregiudica anche i creditori intervenuti, perché opera la chiusura del processo espropriativo anche nei loro confronti. I creditori intervenuti col titolo esecutivo sono parti necessarie del processo di opposizione all’esecuzione. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo possono partecipare al processo di opposizione in via d’intervento volontario (adesivo- 95 dipendente). Il processo di opposizione all’esecuzione è un ordinario processo di cognizione in cui si realizza un’inversione dell’iniziativa processuale. Quindi l’art.2697cc, che disciplina l’onere della prova, è applicato in base alla posizione sostanziale delle parti, e non all’iniziativa processuale. E’ il creditore procedente, convento opposto, a dover dimostrare i fatti costituitivi del diritto ed è il debitore esecutato, attore opponente, dover dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi del diritto del creditore. Se si contesta il diritto a procedere a esecuzione forzata, perché si nega l’esistenza del diritto sostanziale da tutelare, l’atto che ha efficacia di titolo esecutivo, ha anche una qualche efficacia di accertamento dell’esistenza del diritto. Sotto questo profilo spetta al debitore dimostrare l’esistenza dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, che allega per superare l’efficacia preclusiva che discende dall’atto-titolo esecutivo. In questi casi l’opposizione costituisce una provocato ad probandum: l’esecutivo nera, ed il procedente deve provare i fatti negati. Il creditore opposto può proporre lo stesso diritto, oppure un diritto connesso con quello di cui era stata chiesta la tutela esecutiva. L’accoglimento dell’opposizione, accompagnato dall’eventuale accoglimento della domanda riconvenzionale, non fa salva l’esecuzione. il creditore procedere, soccombente nella domanda di opposizione,e vittorioso nella domanda riconvenzione, può tutelarsi esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’esecuzione, pecche il titolo esecutivo deve sussistere dall’inizio alla fine dell’esecuzione, e qui il nuovo titolo esecutivo si forma solo al momento dell’accoglimento della domanda riconvenzionale. L’esecuzione in corso è caducata. La sentenza, che rigetta l’opposizione afferma l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata. Al contrario, la sentenza che accoglie l’opposizione nega l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata, ed equivale a quello che normalmente è il rigetto della domanda. L’accoglimento dell’opposizione ha un effetto costante: impedisce la prosecuzione del processo esecutivo ad una rinuncia agli atti. Quindi, si deve applicare l’art.632cpc: se l’opposizione è accolta prima della vendita, tutti gli atti compiuti perdono effetti; se invece, l’opposizione è accolta dopo la vendita, quest’ultima resta efficace, ed il ricavato è consegnato all’esecutivo vittorioso. Per l’efficacia della sentenza di rigetto della opposizione, il discorso è analogo. L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI L’opposizione ali atti esecutivi è lo strumento con il quale si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che li disciplinano. La distinzione fra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi è intesa come distinzione 96 fra l’an e il quomodo. con l’opposizione agli atti non si contesta che l’esecuzione si debba fare, ma si rileva che si sta procedendo in modo sbagliato, in quanto uno più atti del processo esecutivo sono nulli. Se il processo esecutivo si svolge senza che ve ne siano le condizioni, gli effetti che esso produce possono essere rimossi, se ingiusti dal punto di vista del diritto sostanziale, con strumenti anche esterni al processo esecutivo. - Se l’esecuzione non si doveva svolgere perché non vi era il diritto sostanziale da tutelare, si rimedia rimettendo chi ha subito l’esecuzione nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’esecuzione non si fosse svolta, operando le restituzioni e le integrazioni patrimoniali opportune. - Se l’esecuzione si svolge male, se c’è un vizio, ciò non è rimediabile al di fuori del processo stesso, salvo eccezioni come l’art.2929cc. Nel processo esecutivo nullo si verifica una distorsione negli effetti dell’esecuzione, che, a causa del vizio, non sono più quelli voluti dal sistema. I vizi relativi al quomodo, proprio perché interni al processo esecutivo, debbono trovare un loro rimedio all’interno del processo. L’opposizione agli atti costituisce l’unico strumento per operare il controllo, sulla conformità degli atti del processo alle prescrizioni normative che li riguardano. Il processo di cognizione e il processo esecutivo hanno struttura diversa. - La contestazione relativa alla conformità degli atti del processo di cognizione alle previsioni delle norme processuali entra a far parte del processo di concione mediante l’attività di un soggetto che introduce la questione di rito. - Nel processo esecutivo non c’è invece un ambiente idoneo a decidere, e quindi a risolvere le questioni di rito. Tale strumento è l’opposizione agli atti esecutivo: un processo di cognizione che ha, eccezionalmente, un oggetto processuale (valutazione e decisione della conformità dei comportamenti dei soggetti del processo esecutivo alle previsioni normative) e non sostanziale. Per individuare l’oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi, bisogna far riferimento alla disciplina della nullità degli atti: le nullità formali, che riguardano i singoli atti del processo, e le nullità extraformali, che riguardano le condizioni per l’emanazione del provvedimento di merito o, come anche si dice, i presupposti processuali. Al contrario, un vizio attinente ad un presupposto processuale inficia autonomamente tutti gli atti del processo. L’espressione “regolarità formale” del titolo esecutivo, utilizzata dal legislatore nell’art.617cpc, non deve trarre in inganno. Il legislatore non ha voluto che, usando il termine “nullità”, potessero sorgere incertezze circa le contestazioni relative all’efficacia del titolo esecutivo. Contestazioni che danno luogo ad un’opposizione all’esecuzione e non 97
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