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L'Università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi, Dispense di Storia Medievale E Moderna

Riassunto esaustivo dell'omonimo libro di G. P. Bruzzi e J, Verger

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 29/06/2024

vittorio-spatuzzi
vittorio-spatuzzi 🇮🇹

4.5

(22)

8 documenti

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Scarica L'Università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi e più Dispense in PDF di Storia Medievale E Moderna solo su Docsity! INTRODUZIONE Università e umanesimo, un rapporto difficile Il rapporto tra cultura umanistica ed università si svolse in tempi e modi diversi in tutt’Europa. Principe di tale rapporto fu senza dubbio il libro, sempre più circolante grazie all’invenzione della stampa di metà XV secolo. Ulteriore sviluppo della cultura umanistica fu la grande circolazione degli stessi intellettuali e oltre la loro integrazione nel sistema d’insegnamento universitario che impresse tale sviluppo intellettuale: emblematico il caso di Petrarca (†1374) chiamato presso lo Studio fiorentino. Ma si dovrà aspettare il XVI secolo per far si che la sapienza umanistica si diffonda per tutt’Europa, anche nei territori germano-slavi, fino ad ora periferici nella produzione culturale continentale. Nonostante le diverse modalità, le università italiane diedero l’avvio alla diffusione di nuove idee in tutto il continente, grazie alla consueta peregrinatio academica che aveva come meta privilegiata proprio gli Studia della Penisola. Varie personalità intellettuali dei secoli XV e XVI come l’olandese Rodolfo Agricola (†1485) — che ricorda con devozione filiale il suo maestro Guarino Guarini (†1460) — l’inglese John Colet (†1519), Erasmo da Rotterdam (†1536), percepirono le università italiane come luoghi dove accrescere la propria cultura, fucina del nuovo pensiero: proprio qui la polemica anti-scolastica trovò il suo campo d’azione privilegiato. In generale le cattedre universitarie divennero luoghi di trasmissione delle nuove tendenze intellettuali, rispettose degli ideali civili, creando una nuova idea di uomo a partire dalla purificazione della propria mente: atto simbolico che François Rabelais (†1553) fa compiere a Ponocrate, nuovo maestro di Gargantua, sottratto dalle grinfie intellettuali di Thubal Holoferne, dottore in Sorbona. Dall’altra parte all’interno delle universitates la nuova cultura umanistica fu in un primo momento vista con cautela e sospetto: il nuovo sviluppo intellettuale e filosofico prevedeva spesso la contraddizione come grimaldello per lo studio dell’uomo (Montaigne, La Boétie), spesso in antitesi con concetti pienamente universitari: le auctoritates, in primis la Bibbia e i testi dei Padri, ma anche le tipologie dell’apprendimento come la lectio, quaestio e disputatio, caratteristiche della cultura scolastica, propriamente medievale. L’antagonismo perpetuato dalla cultura umanistica nei confronti di quella universitaria suscitò in ambienti accademici una forte reazione all’inserimento di nuove e più precise materie: greco, ebraico, matematica, fisica applicata, etc.; un antagonismo riassumibile nel fortunato giudizio di Juan Luis Vives (†1540) nei confronti della Sorbona, definita «una vecchia in pieno delirio di senilità». Non a caso molti centri di studio umanistici si formarono all’esterno del circuito universitario pubblico, ad esempio nei collegi e nei convitti universitari come a Cracovia, Cambridge, Oxford, Lovanio, quest’ultimo punto di forza degli intellettuali erasmiani. Importanti furono le fondazioni di accademie, sia letterarie che scientifiche. In generale per questo periodo si registra la tendenza da parte delle università di non riconoscere queste nuove formazioni di scuole di alta formazione come ugualmente valenti. Tali sviluppi definiscono nuovi assetti geografici: affianco ai classici Studia come Parigi e Bologna, se ne affermarono di nuovi o aumentò il credito di altri, come Montpellier, Padova, Lovanio, Cracovia, questa meta privilegiata per gli studi scientifici degli intellettuali provenienti dal Sacro Romano Impero. Molte carriere scientifiche di XVI e XVII secolo — Tycho Brahe, Copernico, Cartesio — erano ai margini del sistema universitario; va precisato che questa non era una regola: molti intellettuali, ad esempio Galileo, furono attivi in entrambi i campi. Sebbene fosse percepibile una sorta di ostilità alle novità scientifiche in seno alle università, esse non ostacolarono l’effettivo sviluppo del sapere durante l’età moderna: risulterebbe anacronistico affermare il contrario. Tuttavia sulla trasmissione universitaria ci fu un effettivo muro nei confronti del progresso scientifico: ad esempio Galeno fu auctoritas indiscussa della medicina nel primo periodo moderno, preferito ai nuovi studi di Paracelso (†1541) e William Harvey (†1657); ugualmente lo studio del diritto moderno ebbe una lento approdo nel mondo degli Studi pubblici, preferendo quello romano. Su questa repulsione alle novità si basa tutta la critica storiografica verso le università ed il loro declino durante l’epoca moderna, giudizio recentemente messo in discussione. Le nuove posizione storiografiche tendono invece a notare un ampliamento numerico di sedi universitarie: oltre ad un significativo aumento in Spagna e SRI — spaccato in due dalla Riforma — vi sono le prime fondazioni nelle Province Unite — Leida nel 1574, prima università calvinista — oltre alla creazione di Studia al di là dell’Atlantico, come l’università di Mexico, Lima (1551) ed Harvard (1638). Altre esperienze che mirarono a tale modello istituzionale sono i collegi gesuitici, il Gymnasium illustre, come quello di Rinteln in Germania, e centri di studi ebraici creati per ostacolare il processo di integrazione culturale che orientava molti Giudei verso le università cristiane. Stato, fede, università La moltiplicazione dei centri di studio superiore è da imputare anche ad i nuovi protagonisti economici: gli Stati Nazionali che iniziarono a prendere il posto all’investimento pontificio verso l’istruzione di alto livello; un esempio sono i moltissimi dei palazzi eretti tra XVI e XVII secolo, opere dovute alla cooptazione tra realtà statali, magnatizie ed in parte alla secolarizzazione di edifici religiosi, ora in mano ad enti pubblici. In ambito propriamente propedeutico, le artes furono scorporate dall’ambiente universitario destinandole alla formazione pre-universitaria, inserendole nei centinaia di collegi creati da gesuiti, oratoriali, barnabiti, nelle scuole pubbliche controllate dalle comunità cittadine, ma anche affidate a precettori privati. In tutto ciò dal XVI secolo si manifestò una grande espansione dei tassi di scolarizzazione: da un lato per arginare/espandere i successi della Riforma protestante, dall’altro per creare un vero e proprio ceto dirigenziale-burocratico, proprio degli stati moderni. Oramai le universitates, così come l’intera Europa, erano uscite dall’universalismo imperiale e pontificio tramite il passaggio dell’interesse dell’istruzione in mano allo Stato: gli incarichi amministrativi passarono sempre di più dal clero al laicato, offrendo la possibilità anche a personaggi di umile origine di affrancarsi e diventare membri apicali della loro generazione, come ad esempio Thomas Cromwell (†1540), sebbene bisogna specificare che l’ideale e la forma dello studente povero, tipicamente medievale, viene a scomparire dal XV secolo, vuoi per gli effetti della crisi economica post-peste, vuoi per una sempre più marcata chiusura di quel mondo da parte dei ceti borghesi e piccolo-nobiliari, che consolidarono dal XVII secolo un ceto di dignitari togati, come ad esempio gli amministratori delle colonie del Dominion spagnolo: i letrados. Un buon curriculum divenne necessario anche a quella nobiltà interessata ad avanzare a corte e ricoprire posizioni di comando: l’università divenne uno dei meccanismi cui resta affidata la stabilità del sistema delle gerarchie sociali. Gradualmente scomparirono quei privilegi che permettevano ai poveri di accedervi e nel momento in cui ceti meno abbienti riuscivano a farlo erano visti con sospetto (come un potenziale fattore di sovversione dell’ordine sociale); solo con l’età dei Lumi i principii meritocratici videro nuovamente comprendere all’interno del sistema universitario persone meno agiate. Il titolo di laurea in se, come nel Medioevo, non costituiva un vero e proprio riconoscimento sociale: molti studenti non si laureavano, semmai ci fu una crescita di accademie od insegnamenti privati, luoghi predisposti all’insegnamento delle arti cavalleresche (danza, scherma, fortificazione militare, lingue, etc.). Le crisi economico-sociale e demografica che caratterizzò il XVII secolo divenne un disincentivo ad accedere a studi universitari, soprattutto in Spagna ed Inghilterra: al loro interno tale periodo venne caratterizzato da una reazione neo-scolastica dovuta ad un forte conservatorismo pedagogico. Importante fu anche il rapporto tra università e politica che andò a crearsi durante l’età moderna: uno sviluppo omogeneo sempre più caratterizzato dal controllo dell’amministrazione statale su questioni relative all’università, dopo una fase d’incertezza istituzionale dovuta alle guerre di religione. Nelle università italiane furono invece i collegi dottorali a frapporsi tra studenti e politica. In generale l’università in età moderna perse quella caratteristica di potere studentesco che tanta parte aveva avuto nel periodo medievale, rafforzando il ruolo della componente dottorale, interlocutore meno scomodo per lo Stato, che impose determinati strumenti di controllo e di governo sugli Studi pubblici. In questo contesto si svilupparono quelle istanze che maturarono mutamenti spirituali fondamentali per la crescita in senso storico di nuove dinamiche di pensiero: il passaggio dall’età barocca a quella dei Lumi. In una prima modernità caratterizzata dal forte scontro tra religione e ragione, porta quest’ultima a prevalere generando tra XVII e XVIII secolo una “crisi della coscienza europea”, non più caratterizzata da una forte religiosità quanto dai nuovi sviluppi scientifici. L’evoluzione culturale in atto innescò il sistema tradizionale universitario, ben bilanciato tra difesa delle tradizioni e radicale mutamento. Le due facoltà cardine degli Studia medievali, le arti e teologia furono declassate nella formazione pre-universitaria. Si svilupparono affianco alle università — oltre alle scuole in mano agli ordini religiosi o indirizzate verso una componente aristocratica — veri e propri centri tecnici di studio superiore caratterizzati dalla specializzazione di discipline tecnico-ingegneristiche, anche militari, che videro un enorme ampliamento dell’offerta formativa. L’incapacità di stare al passo con i tempi rese le università meno appetibili al ceto intellettuale che durante l’età moderna si contrappose agli asfissianti dogmi accademici. Una chiusura anche voluta dal ceto dottorale, ostile verso ogni forma di innovazione, avvertita come un pericolo per gli equilibri sociali. In realtà nella maggior parte dei casi il mondo universitario e para-universitario risultavano complementari. Sicuramente il conformismo universitario lamentato dai philosophes era percepito: Baruch Spinoza (†1677) rifiutò una cattedra a Heidelberg poiché non si sentiva garantito nei termini di libertas philosophandi; ugualmente il “caso Galilei” vide l’allontanamento dalle università italiane tutta quella frangia che supportava lo scienziato toscano; ancora, nella Francia del XVIII secolo ogni ideale che andava contro l’assolutismo regio veniva ostracizzato. Conformismo religioso e politico che riguardava più l’istituzione che gli uomini che vi operavano, talvolta veri e propri protagonisti dello sviluppo scientifico moderno. Crisi e rinnovamento La crisi universitaria in termini demografici, che vede un crollo a cavallo tra XVII e XVIII secolo (Oxford e Cambridge vedono dimezzati i loro effettivi, ancor di più le università olandesi), non dev’essere spiegata Durante la fase umanistica, si iniziò a delineare una forma “duale” universitaria: gli Studia ebbero uno sviluppo affiancati da circoli paralleli di letterati-cortigiani, in particolare nell’area veneta. Anche a Firenze, con l’università trasferita a Pisa, e Roma con la Curia e lo Studium Urbis. All’elezione di Niccolò V (†1455) il Bracciolini era attivo nella segreteria della curia, mentre Lorenzo Valla (†1457) si vede insegnante di retorica presso l’università; famoso è il loro scontro intellettuale («illa nostra antiqua» v.s. «Vallenses»). Università ed umanesimo in Europa In Francia i primi sviluppi in senso umanistico avvennero come reazione al Petrarca e alla perdita della sede di Avignone. Dopo una prima fase di espansione — nel 1380 il College de Navarre offriva degli insegnamenti umanistici — il circuito universitario francese va incontro ad una stagnazione, solo verso la metà del XV secolo ci fu l’affermazione definitiva di studi umanistici nei curricula universitari: si parla di “seconda generazione” tra cui si affermò Jean Jouffroy (†1473), allevo di Valla a Pavia nel 1461. In area germanica fondamentale fu la “mediazione” dell’università di Pavia; molti studiosi al rientro in patria portarono con sé testi petrarcheschi e classici e sebbene un’iniziale lenta ma diffusa acculturazione, dagli anni ’60 il territorio del SRI si mostrò molto ricettivo alla novità umanistica nei programmi accademici, nonostante moltissimi intellettuali continuarono a studiare in Italia come ad esempio Rodolfo Agricola, presente negli Studia di Pavia e Ferrara, il quale si formò sulla retorica ciceroniana. LE UNIVERSITÀ ITALIANE Nel 1796 un funzionario napoleonico comunicò con stupore che a Bologna era ancora attiva l’Universitas Scholarium, mostrando un criticismo verso una paventata ostentazione medievale; in realtà la preminenza di elementi medievali era soltanto formale, forse per via del retaggio storico che le si voleva dare. Infatti dalla fine del XIV secolo e per i due secoli successivi, si realizzò un mutamento profondo delle strutture didattiche, dei rapporti e della condizione di maestri e allievi e dello status scientifico delle discipline. La concezione culturale umanistica entrò nel mondo universitario da fine Trecento, più tardiva invece fu l’influenza formale sull’organizzazione didattica, solo a fine XV secolo. Le università nell’età del Rinascimento L’ingresso della cultura umanistica nelle università rappresentò un catalizzatore per le tendenze culturali delle humanae litterae con l’introduzione di lingue classiche, semitiche, medicina, scienze naturalistiche, etc. Nonostante la parallela, e spesso più nota, attività dei dotti umanistici — come segretari, cancellieri e diplomatici — ed il riferimento ad un circolo di letterati ristretto, come nel caso di Ferrara, gli Studia permettevano una rete di rapporti maggiore, un’enorme possibilità di diffondere le novitates. Un esempio è il già citato Manuele Crisolora, insegnante di greco a Firenze per gli anni 1397-1400, il quale tradusse in latino la Repubblica ed ebbe allievi famosi, quali Leonardo Bruni e Guarino Guarini. Altri magisteri umanistici importanti furono quello di Lorenzo Valla a Pavia, oltre l’insegnamento dello stesso Guarino a Ferrara, che Rodolfo Agricola chiamava «pater nostro Guarino». L’attività umanistica uscì ben presto dai meri risvolti letterari anche quando non si sconfinò apertamente nella filosofia: il lavoro storico-filologico su testi giuridici, medici e scientifici metteva in discussione l’ordinamento tradizionale delle discipline. Lorenzo Valla criticò la giurisprudenza dei “moderni”, privi di peritia letteraria. La novità nell’organizzazione didattica fu ad esempio quella di Bologna, dove l’ars notaria passò dalle arti all’università di diritto. Il Naturalismo entrò nella formazione medica, assieme alla sperimentazione, soprattutto in campo anatomico. In generale si può affermare che nella Penisola la diffusione universitaria di stampo umanistica fu favorita da una carattere meno scolastico dell’insegnamento rispetto a Francia ed Inghilterra. Gli Studia italiani ebbero un rapporto privilegiato col principe e la sua corte; spesso si preferiva il circolo chiuso, ad esempio l’Accademia neo-platonica raccolta attorno alla figura di Marsilio Ficino (†1499), mostrando caratteristiche di una “umanistica”, come nel caso della Firenze dei Medici. Se nel capoluogo toscano l’Umanesimo sbocciò fuori dalle aule universitarie, a Bologna, Padova e Ferrara si manifestò massimamente negli Studia. Nel frattempo il potere si iniziò ad insinuare all’interno dei circuiti didattici attraverso riconoscimenti formali dell’autorità sovrana, come ad esempio il privilegio pontificio per la creazione delle Studium generale a Catania nel 1444: oltre alla teologia e ai diritti vi sono anche «tutte le altre arti liberali, sia greche che latine». Nonostante ciò, dal punto di vista strutturale gli atenei rimasero ancorati alla tradizione tardo-medievale; solo nel XVIII secolo avvennero delle riforme corpose. Infatti nella prima età moderna gli esami e i gradi accademici restarono immutati: si mantenne il ruolo corporativo dei collegi dottorali e spesso anche le universitates scholarium, sebbene svuotate di effettivo peso decisionale e politico. In generale, nonostante alcune congiunture comuni — come ad esempio le Guerre d’Italia, crisi dei Comuni, principati e dominazioni estere — gli atenei della Penisola ebbero tutti delle loro peculiarità. Bologna Per quanto riguarda l’università felsinea, fortunata è l’espressione «uno Studio fatto di uomini» di Pasquier, a mostrare una centralità delle universitates scholarium e dei collegi dottorali, nonché delle nationes; un modello molto diffuso in Italia, sia per filiazione diretta (Padova) che per interazione (Pisa, Ferrara, Pavia, Perugia, Catania). Infatti tale modello fu alla base di molte fondazioni di XV secolo. Già nella seconda metà del XIV secolo nello Studium ebbe maggior peso l’elemento cittadino, prediligendo un reclutamento meno internazionale come i secoli precedenti. Ci fu un declino netto delle universitates di studenti a partire dal Quattrocento. La nuova funzione sociale dell’ateneo colpì soprattutto lo studente, “punto debole” della rete sociale universitaria, privilegiando una riproduzione di una casta chiusa di professionisti e burocrati. Altra figura colpita da tale riassetto fu il rettore degli studenti; ci fu una riduzione progressiva dei rettori: prima uno per universitas, poi uno per “materia”, fino a giungere al XVI secolo con uno solo; tale ruolo dal 1580 sfugge alle universitates, un’abdicazione volontaria di una istituzione in crisi. Di controparte, un peso maggiore lo assunsero le nationes tramite il superamento dell’autogoverno studentesco dovuto alla diffusione del patronage di personalità eminenti, protrettrici o fondatori di collegi e nationes. Ci fu un rafforzamento anche della componente dottorale, tramite un controllo corporativo dell’iter universitario (esame e licentia). Nel 1432 il governatore pontificio Marco Condulmeri (†1465 ca.) assegnò ai collegi il controllo della gabella grossa (dazio della mercanzia) da cui erano provenivano i fondi per gli stipendi dei lettori. Provvedimento confermato a più riprese, fino all’entrata in città di Giulio II (†1513) nel 1509, ma anche durante il XVI secolo. Il ceto dottorale era vicino agli interessi del ceto mercantile, nonostante l’appartenenze formale alla nobiltà dal 1530, nominati conti palatini da Carlo V (†1558). Per quanto riguarda il rapporto con la città, il XV secolo fu caratterizzato da vari conflitti di fazione che opponevano i Canetoli ai Bentivoglio con la consacrazione di questi ultimi verso metà secolo, sebbene la loro signoria non fu forte come in altri comuni della Penisola. Nel 1459 Bornio da Sala († 1465 ca.) denunciò a Pio II (†1464) le turpitudini dei cittadini bolognesi rispetto alla purezza dei maestri; sebbene sembra una contraddizione, in realtà il rapporto tra Studium e ceto dirigente locale andò a crescere: mentre il papato dello scisma d’Occidente intervenne solo con misure assistenziali e circostanziate sull’ateneo, i dottori dello Studium entrarono sempre di più nella vita politica locale, come ad esempio Giovanni da Legnano (†1381). Fenomeno causato anche dalla provincializzazione sempre più accentuata del reclutamento dottorale e studentesco. In ogni caso lo Studium portava un indotto economico essenziale per Bologna: il governo cittadino, soprattutto dopo la rivolta del 1376, tentò di estendere il suo controllo sull’insegnamento con un ufficio pubblico creato ad hoc: i Riformatori dello Studio che dal 1380 ca. nominarono i lettori. Altri provvedimenti di tipo burocratico — come ad esempio i rotuli ed i quartironi degli stipendi e, dal 1509, l’Assunteria di Studio (emanata dal senato cittadino) — portarono un ulteriore controllo della città sull’università. Molteplici furono gli interventi perpetuati da Roma: il cardinale Bessarione, legato pontificio in città per gli anni 1450-1455, fece introdurre le cattedre di greco, ebraico, matematica e metafisica. Niccolò V (†1455) fissò le letture e gli stipendi. In generale molto attivo in questo periodo fu il ruolo dei legati pontifici, il cui intervento fu caratterizzato da una politica universitaria impossibile per un organismo cittadino diviso dalle costanti lotte interne: la creazione dell’Archiginnasio nel 1563 e Ordinazioni del 1639 — attuate dal cardinale legato Giulio Sacchetti, le quali lasciano il dazio sulla mercatura ai collegi — sono misure attuate in ottica anti-oligarchica. Padova La Bolla d’Oro del 1406 regalò la sudditanza di Padova alla Serenissima: in ambito universitario Venezia si impegnò «pro amplificatione studii» provocando così un vantaggio reciproco: Venezia ebbe uno Studio degno della sua nuova natura territoriale, Padova venne tutelata rispetto ad altre città venete che vantavano privilegi scolastici, come Treviso e Verona. Il primo provvedimento protezionistico (monopolio sul Veneto) avvenne proprio l’anno successivo alla Bolla; tale disposizione fu fatta rispettare anche con la coercizione: nel 1611 fu richiamata in funzione anti-gesuitica, già espulsi dal territorio veneziano nel 1606. Tale legislazione protezionistica si diffuse successivamente anche in Italia e nel resto d’Europa, rendendo lo Studium padovano da municipale a statale. Venezia attuò diversi interventi durante tutto il XV secolo: nel 1417, dopo la riconquista della città, venne creata una magistratura veneziana addetta all’università, i Riformatori dello Studio con controllo sulla condotta dei lettori, censura, politiche scolastiche e commercio librario; in questo modo il controllo municipale si allentò sempre di più, anche tramite manovre ad hoc: Venezia evitò di concedere privilegi per i dottori padovani per indebolire la presa dell’oligarchia urbana sullo Studium. I Sacri collegi padovani non raggiunsero mai l’autonomia dei collegi dottorali bolognesi, infatti nella città felsinea questi mantennero il controllo dei cespiti di pagamento (gabella grossa), a Padova erano invece salariati pubblici. Al contrario le universitates degli studenti ebbero un ruolo più forte, si rafforzarono le nationes ed i rettori-studenti rimasero influenti nella politica scolastica, perdendo la facoltà di nomina dei lettori, ma continuando a rappresentare gli scolari; ad esempio nello scontro del 1591 tra lo Studium ed il Collegio gesuitico padovano, furono i rettori a protestare contro la violazione del privilegio di Padova sull’insegnamento; sostenuti spesso dal senato veneziano che pero a poco a poco si appropriò delle prerogative studentesche. Da Pavia a Catania All’assetto istituzionale bolognese-padovano fecero riferimento in genere gli Studia sorti in seguito. Ancora nel XVI secolo la struttura corporativa (collegi dottorali e universitates) appariva la più adatta per l’impianto scolastico; le nuove condizioni di nascita non furono più spontanee ma legate alla volontà del potere centrale, come ad esempio Napoli e Roma: nella città partenopea il rettore-professore ed il prefetto che lo affiancava erano nominati dal re, anche sotto i d’Angiò ed i d’Aragona; lo Studium Urbis, fin dalla metà del XV secolo, vide il pontefice nominare il rettore su una lista di nomi proposta dal Senato romano, mentre tra i collegi dottorali prevale quello degli Avvocati Concistoriali (espressione della Curia). Tra XV e XVI secolo le ingerenze signorili sugli scolari aumentarono, tuttavia la tormentata situazione politica italiana creava spesso instabilità, come nel caso di Pavia che vede alternarsi Visconti, Sforza, francesi e spagnoli. In ogni caso si registrò un intervento del potere centrale sempre più importante, dapprima come mediatore della richiesta a papi ed imperatori per legittimare la nascita degli Studia, come nel caso di Pavia (Carlo IV nel 1361 e Bonifacio IX nel 1389), Ferrara (Bonifacio IX nel 1391), Torino (antipapa avignonese Benedetto XIII nel 1405), Catania (Eugenio IV nel 1434). L’intervento dei principi si fece però più sostenuto con il potenziamento, la riforma o lo spostamento di centri universitari: Lorenzo de’ Medici (†1492) chiuse lo Studio fiorentino e riformò quello pisano nel 1472. Questa estensione della giurisdizione statale avvenne in circostanze diverse, ma sono individuabili alcune tendenze comuni: - Nuova condizione dello studente: non più parte di organismi corporativi che concorrevano al governo dell’ateneo, ma semplice utente di un servizio pubblico. Questo passaggio avvenne gradualmente, che si espresse inizialmente con disposizioni disciplinari contro la conflittualità tra scolari: a) Padova: nel 1560 Venezia approfittò di scontri tra studenti per estromettere gli scolari dalla scelta dei lettori. b) Pisa: nel 1544 Cosimo I (†1574) diede nuovi statiti favorevoli alla libertas studentesca. Tuttavia in pochi anni nominò un provveditore di fiducia (e fa imporre il giuramento). c) Pavia: fin dal XV secolo il rettore venne svuotato della sua giurisdizione, scomparendo definitivamente a fine XVI secolo. d) Siena: nel 1590 Ferdinando I (†1564) concede agli studenti di eleggere un loro rettore, infatti prima doveva essere uno scolaro del Collegio della casa di Sapienza, vicino all’oligarchia cittadina. Tuttavia non applicò una vera e propria giurisdizione su ultramontani e “sapienziani”. e) Perugia: turbolenze tra gli studenti causarono interventi dei governatori pontifici. Le universitas si divisero in nationes, il rettore scomparve tra XVI e XVII secolo. - Collegi dottorali: in posizione strategica nel collegamento con la società civile; generalmente dottori cittadini, ma non tutti impegnati nell’insegnamento; omogenei ai patriziati urbani, ma non sempre in linea con i consigli cittadini con i quali spesso entrarono in conflitto circa le nomine dei lettori e dei magistrati degli Studia. Anche qui vi sono casi diversi in base alla loro composizione: a) Pisa: tutti i dottori dello Studium. b) Napoli: realtà autonoma. c) Torino: radicati nel patriziato. d) Pavia e Perugia: appoggiati dal potere centrale, diventarono egemoni nei rispettivi Studia. e) Roma: collegio di riferimento che ricopriva spesso anche cariche pubbliche — Avvocati Concistoriali. - Estensione delle prerogative: appoggio dei governi territoriali anche in campi extradidattici come ad esempio nelle funzioni giudiziarie o sul controllo della professione medica, come ad esempio a Bologna dove non figura in questi anni una corporazione dei medici non universitaria. Ius Doctorandi anche in assenza dello Studium, come nel caso di Cesena, dal 1524, con Clemente VII. In altri contesti, sulla base del privilegio di addottoramento si sviluppò un’attività didattica che portò — solo nel XVII e XVIII secolo — all’istituzione di Studia [Urbino, Camerino, Reggio]. Privilegi simili erano detenuti da collegi di Milano, Palermo e Firenze dove l’ordine potè dare gradi accademici in arti e teologia. Tali collegi risultarono fondamentali circa la nascita di nuovi Studia (Fermo, Macerata, Messina, Mantova, Sassari, Cagliari, Parma) che ebbero sviluppi diversi: Sassari fu gesuitica fino al 1765, altrove occuparono solo alcune cattedre ma diedero in qualche modo una spinta allo sviluppo universitario in tal senso. Nel 1600 Ranuccio I Farnese (†1622) affidò ai gesuiti la direzione della parte non giuridica e medica dell’ateneo di Parma secondo il modello del collegio romano: forte disciplina e nessuna tolleranza per gli eretici con l’assegnazione della cattedra di filosofia ai gesuiti per evitare possibili “errori” dottrinali. In generale l’apporto gesuita alle università fu fondamentale nel superamento delle corporazioni di retaggio medievale. Decadenza e riforme Dalla metà del XVII alla fine del XVIII secolo le università italiane risultano sedi di una cultura conformistica e dominante dai collegi professionali; alternativa a tale sistema ancorato al passato erano le accademie, collegi per nobili, scuole gesuitiche ed apprendimento privato. Molto comune in ambiente universitario era una sorta di disordine finanziario il che portava spesso ad una rottura della didattica con stipendi non pagati che generavano interruzioni delle lezioni, anche a causa di un corpo docente più che sovrabbondante. Iniziò ad essere comune la vendita di gradi accademici, con l’università che iniziò ad assumere forma di sede di riproduzione sociale, un canale di abilitazione alle cattedre. Nel secondo Seicento ci furono elementi di rinnovamento culturale che causarono tensioni socio-politiche. L’università respinge la nuova scienza di Galileo — nel 1669 i materialisti vennero espulsi dallo studio pisano — ma le nuove tendenze si radicarono fuori dagli atenei, in accademie e circoli culturali. Nonostante la repressione inquisitoriale emerse con forza il nesso Galilei-Newton, forse precursori di quell’idea illuministica di un progresso indefinito, portando un elemento di rottura che entrò necessariamente nelle università: in alcuni contesti si spezzò il monopolio dei collegi dottorali sul rilascio dei gradi, soprattutto dove gli Studia municipali erano divenuti atenei “statali”. Altrove i collegi dottorali furono i maggiori oppositori dei programmi della rivoluzione scientifica. A Bologna l’arcidiacono-cancelliere Antonio Felice Marsili (†1710) individuò nei collegi un ostacolo al rinnovamento didattico già negli anni ’70 del Seicento. Le sue proposte caddero dovute anche all’ostilità con Marcello Malpighi (†1694) al trasferimento del controllo finanziario al governo vescovile. Solo nel 1714 la riforma fu resa possibile dalla creazione di un’istituzione esterna: l’Istituto delle Scienze fondato dal fratello del Marsili, Luigi Ferdinando (†1730), il quale nel 1709 compose il “Parallelo dello stato moderno dell’Università di Bologna con l’altre al di là de’Monti”. A Roma ci fu la Riforma della Sapienza nel 1748 con Benedetto XIV ma si mantenne la struttura tradizionale dei collegi e del collegio gesuitico romano. La riforma dello Studio torinese Un progetto di rinnovamento dell’Università di Torino avvenne grazie al re savoiardo Vittorio Amedeo II (†1732): lo Stato si riappropriò dell’insegnamento pubblico. Si abolirono i collegi non legati all’università — diritto, medicina, teologia — nel biennio 1719-1720 diventando facoltà, con la cooptazione obbligatoria dei docenti dell’università e con la stretta dipendenza del Magistrato della riforma; i vertici professionali furono privati dei tradizionali caratteri corporativi e riassorbiti nell’universo accademico, attuando il divario tra scientia e pratica (teoria e prassi): il controllo professionale dei collegi “dotti” generò un netto dislivello sociale; quest’ultimo aspetto fu in realtà un processo di lungo periodo; tuttavia le riforme universitarie si inserirono in un più vasto programma di rafforzamento dello Stato contro i privilegi particolari; in più i patriziati urbani non diedero vita a corpi comparabili ai parenti collegi di medici e giuristi dell’Italia Padana. Francesco d’Aguirre (†1753 ca.) gestì la riforma dal 1720 al 1727 che per reperire i docenti necessari al funzionamento del nuovo ateneo dovette ricorrere a studiosi stranieri. Le scienze e la filosofia naturale furono privilegiate, supportate materialmente fin dal 1721 con la costruzione del laboratorio di fisica sperimentale; dal 1729 si fondò l’orto botanico e la relativa cattedra. Si decise di creare un collegio ad hoc per mantenere un centinaio di giovani bisognosi da tutte le province, con una rivalutazione delle professioni minori e insegnamenti filosofico-scientifici. Fino al 1738 risultò indipendente dall’università, ma funse da canale di promozione sociale per indirizzare i giovani alle professioni in base alle necessità dello Stato, con richieste soprattutto in ambito giurisprudenziale; tuttavia ci fu una ridefinizione delle professioni: architetti, chirurghi, ingegneri — valore illuministico di utilità pratica del lavoro — non più considerati mera arte meccanica. Nel 1721 il collegio dei chirurghi fu infatti inglobato all’interno del circuito universitario. Nel 1739 fondarono anche le Reali scuole di artiglieria e fortificazioni, volute da Carlo Emanuele III (†1773), con insegnanti militari, disciplina e ricerca in campo bellico. Le arti rimasero monopolio degli orini religiosi fino al 1729 quando furono riassorbite nell’università, con la fondazione della facoltà di arti: nel 1737 si costruì il collegio, in tre classi: filosofia, matematica e belle lettere. Il magistero delle arti abilitava agli studi di diritto e teologia, ma anche alla docenza nelle scuole regie delle province. Nel 1748 fu data la cattedra di fisica sperimentale a Giovanni Battista Beccaria (†1781). La necessità di grandi laboratori, di ricchezza di fondi, di personale preparato per le nuove ricerche sull’elettricità, magnetismo, chimica, metallurgia, mineralogia fu soddisfatta dallo Stato sabaudo. Già dal 1729 con le nuove direttive date all’università dal magistrato della riforma era stato affrontato il problema del controllo statale sulla formazione di tecnici, ingegneri e architetti stabilendo l’obbligo di un esame specifico che avrebbe dovuto essere sostenuto davanti al titolare della cattedra di matematica. Per ingegneria e architettura vennero istituiti nel 1762 specifici corsi di matematica, fisica e costruzioni. Da queste esperienze, all’interno della società privata, negli anni ’60 maturò il progetto di quelle che nel 1783 sarebbe stata la Reale Accademia delle scienze, componente centrale del dispotismo illuminato di Vittorio Amedeo III (†1796). All’interno dell’Accademia si sviluppò un dibattito scientifico all’avanguardia (conservazione dei grani, palloni aerostatici, polvere da sparo, etc.). Le riforme nella Lombardia austriaca: Pavia e le scuole milanesi A Milano e nella Lombardia spagnola vi era un forte rapporto fra collegio dei giureconsulti, patriziati e magistrature cittadine ed i collegi. Nel Settecento, con il nuovo governo austriaco, appariva infondata la pretesa dei collegi di monopolizzare dottorati e abilitazioni; il nuovo governo tentò di eliminare i corpi sociali autonomi tramite un recupero statale dell’educazione, facendo chiudere sia collegi del patriziato che gesuitici. Per evitare riforme più radicali, nel 1763 il Senato milanese — a cui spettava anche la cura dello studio pavese e di alcune scuole milanesi — attuò una revisione delle proprie scuole, già ordinata dal ministro Beltrame Cristiani (†1758) nel 1757. Fu riconosciuta l’interdipendenza tra esercitazioni pratiche e lezioni ordinarie; ad esempio nell’ospedale maggiore di Milano venne istituito un insegnamento pubblico di “medicina razionale pratica”, la cui cattedra fu assegnata nel 1742 a Paolo Valcarenghi (†1780). Nelle facoltà delle arti, destinata al collegio inferiore dei causidici e dei notai, si fondò la cattedra di diritto municipale e provinciale, e un’altra di diritto criminale. Tuttavia l’intenzione del Senato era quella di elevare alla “filosofia” l’istruzione professionale degli ingegneri civici, per la quale erano chiamati il barnabita Paolo Frisi (†1784) ed il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich (†1787). Nel 1765 furono emanati dal governo le direttive per la riforma degli studi lombardi; tra di esse la più importante fu quella relativa alla restituzione all’Università regia del monopolio dei gradi scientifici, apportando il monopolio dell’università sui gradi accademici. Importante fu anche l’indirizzare alcuni studi su scienze strategiche per il servizio allo stato, quali diritto pubblico ecclesiastico, scienze camerali, meccanica ed astronomia. Con la Giunta degli Studi del 1766 il governo esautorò il Senato, escludendo la componente patrizia. I collegi cittadini vennero privati dei privilegi di abilitazione e addottoramento, portando le scuole palatine e lo Studio di Pavia sotto controllo del governo; si abolirono anche centri concorrenti a Pavia. Alla base della giurisprudenza si pose il diritto naturale, propugnando un nuovo sistema capace di legittimare meglio il potere sovrano (Hobbes). A Pavia si procedette con il modello “viennese”: un corso preferenziale per una carriera nell’amministrazione. Nel 1770 Giuseppe II (†1790) ordinò la chiusura delle facoltà filosofiche dei chierici regolari, vietando ai loro Studi di arrogarsi la qualificazione di pubblici. Ma fu solo nel 1786, con una nuova ondata delle riforme, che i monopoli collegiali sarebbero stati definitivamente soppressi e la tradizione corporativa interrotta. In quegli anni furono avviate altre riforme: giurisdizione ed amministrazione vennero separate, nel 1771 fu completamente ristrutturato l’apparato istituzionale dello Stato. Contro la Giunta degli Studi si rivolsero gli anni 1766-1767 gli ingegneri collegiati di Milano rivendicando il monopolio degli esami per le licenze d’esercizio, oltre a voler esercitare una delle loro funzioni più importanti: quella di tribunale censuario ed agrario (sentenze su acque e confini, edilizia agraria, contratti agrari). La riforma universitaria riguardò anche le professioni mediche: si svolse in due fasi: negli anni 1769-1774 fu creata una nuova facoltà filosofica regia contrapposta a quella dei soppressi collegi dei gesuiti. Scienze naturali, fisica e chimica assumevano nella preparazione generale del medico un ruolo preponderante contro la logica e la metafisica. Ci furono nomine a discrezione di Vienna, come quelle di Alessandro Volta (†1827) e Lazzaro Spallanzani (†1799), docenti a Pavia. Fu effettuata una politica di alte remunerazioni, più elevate per i docenti di materie scientifiche che per i giuristi e teologi. Pavia si aprì con i massimi centri di ricerca europei, diventando sede di una produzione scientifica innovativa e di alto livello. Una seconda fase svoltasi negli anni 1769-1790 riguardò il Direttorio medico e le cattedre di clinica chirurgica; la corporazione dei medici fu svuotata dalle prerogative sulle ospedalizzazioni e sull’abilitazione professionale, preferendo la figura del medico-chirurgo. Parma, Modena ed il Granducato di Toscana Negli staterelli dell’Italia centro-settentrionale le riforme guardarono il modello di Pavia. A Parma il ministro Leon Du Tillot (†1774) negli anni 1768-1769 uniformò le istituzioni scolastiche. Nella Costituzione per i nuovi regj studj del padre teatino Paolo Maria Paciaudi (†1785) da un lato ci si apre alla cultura francese, dall’altro si sviluppa un’ostilità alla ratio studiorum gesuita, in un ambiente dove gli studi scientifici risultavano preminenti. Si nominò un Magistrato dei Riformatori con competenze sull’università. A Modena lo Studio pubblico fu rifondato nel 1682 espandendosi; nel 1752 l’università fu definita in un nuovo assetto in 4 classi (teologia, logica, filosofia e arti, medicina) con 29 cattedre complessive. In Toscana, Leopoldo (†1790) fece passare il controllo di tutte le scuole pubbliche nelle mani della soprintendenza generale di Firenze nel 1788, con un allontanamento dei religiosi. Si tentò una nuova didattica, con libri di testo più uniformi e non più lezioni caratterizzate dalla dettatura. Lo Studio di Napoli tra Celestino Galiani e Antonio Genovesi Nel Regnum vi fu un forte dislivello tra teoria e prassi nell’applicare una riforma universitaria. Celestino Galiani (†1753) fu nominato cappellano maggiore del Regno nel 1731, cattolico illuminato, sostenitore dell’empirismo lockiano e delle teorie newtoniane. Nel 1732 fondo l’Accademia delle Scienze: il manifesto programmatico proibiva espressamente di parlare di metafisica e di sistemi generali, considerati inutili alla società; i soci dovevano occuparsi unicamente “di filosofia naturale, di anatomia, chimica, geometria, astronomia, meccanica”, insomma, la ricerca scientifica condotta con metodo sperimentale mirante ad inserire Napoli nel circuito europeo delle grandi accademie. La riforma, anch’essa proposta nel 1732, andò a mirare la risoluzione di cinque problematiche: sede, cattedre, compensi, concorsi per gli insegnanti, statuto interno; che portarono dei mutamenti sostanziali nell’insegnamento: - Teologia: introduzione della cattedra di Storia della Chiesa - Diritto: riduzione di “decretali e pandette” a favore del diritto naturale e regio - Medicina: più pratica e nuove cattedre, quali botanica, chimica, chirurgia (metafisica e logica vennero unificate mentre la cattedra di fisica sdoppiata in teorica e sperimentale) - Matematica: divisa in algebra e geometria La Riforma fu bloccata durante da Vienna — che dominava il Regno di Napoli nel periodo 1714-1738 — con un’applicazione parziale solo con Carlo di Borbone (†1788) re di Napoli dal 1734 al 1759. Fu data un’ulteriore attenzione dell’Accademia verso problemi politici e sociali che Ludovico Antonio Muratori avrebbe sintetizzato con la formula della “pubblica felicità”. Qui si attuò lo spostamento degli interessi scientifici e culturali dalle discipline naturali a quelle sociali in particolare a quelle economiche con la cattedra di economia e commercio ad Antonio Genovesi (†1769) nel 1754. Progetti di riforma a Padova Il progetto di riforma ad opera di Scipione Maffei (†1755) del 1715 cadde nel vuoto, bisognerà aspettare il 1760 per delle riforme ispirate da Simone Filippo Stratico (†1824) — professore padovano di matematica e fisica sperimentale — il quale si propose di realizzare un’università di Stato. Il progetto, un’opera dal titolo “Riflessioni sulla Riforma dello Studio di Padova” del 1760, privilegiava tre settori: - Rivedere il catalogo degli insegnamenti impartiti nell’università adeguandolo alle utilità dello Stato - Riformare la didattica - Individuare misure che riportassero nello studio Patavino un numero decoroso di studenti. All’interno delle Riflessioni vi era una forte accentuazione del carattere pratico delle discipline medico- chirurgiche e di quello sperimentale delle discipline scientifiche; era prevista la riduzione del settore storico filologico e delle facoltà teologiche. Fu ripristinata l’organizzazione “nazionale” degli studenti per assicurarne una migliore disciplina ed un maggior profitto. Ad ogni nazione sarebbe stato preposto come protettore un docente che avrebbe dovuto assumere un ruolo a metà tra il prefetto di disciplina e il tutor. Nel progetto c’era un piano di riforma dell’ospedale di Padova inteso come complementare all’università (chirurgia); era prevista inoltre l’istituzione di collegi per studenti. Ci fu un ridimensionamento dei collegi corporativi che distribuivano ancora i gradi accademici: i Collegi sacri — espressione delle tre corporazioni padovane di filosofi e medici, giuristi e teologi — dei quali solo il collegio teologico fu mantenuto: un vero e proprio momento di cesura con il modello corporativo comunale dell’università. Gli anni giacobini Gli anni ’90 del XVIII secolo furono caratterizzati da un’importante svolta riformistica per le università italiane, anche per i moti studenteschi del 1791 i quali provocarono molte chiusure di sedi di atenei. A Torino ci fu una disorganizzazione delle università a causa del bilancio statale che richiese fondi per la guerra contro la Francia rivoluzionaria. Con l’annessione napoleonica l’università ed il collegio delle province vennero riaperte sotto la volontà del foro rivoluzionario nel 1798, portatrice di un ideale illuministico dell’istruzione e dell’avanzamento delle scienze — strumento della formazione del cittadino. Dopo la breve parentesi del ritorno sabaudo del 1799 si sviluppò l’insegnamento delle scienze naturali. Risale al 1556 il primo collegio gesuita in Francia a Billom in Alvernia, nel 1640 ce ne erano 70; presto affiancanti da oratoriani e dottrinari, caratterizzati da un insegnamento gratuito, ispirato al modus parisiensis. Il difficile rapporto tra gesuiti ed università I gesuiti tentarono fin da subito di integrare i loro collegi nelle università, sia nelle facoltà d’arti che in teologia per formare chierici di spicco nella lotta all’eresia. La reazione universitaria fu estremamente ostile, vedendo la Compagnia di Gesù osteggiata anche da parlamenti ed élite locali, alimentate da un gallicanesimo estremamente diffuso, nonostante dei tentativi di mediazione della corona, sebbene perpetuati in base alle circostanze. A Parigi i gesuiti non riuscirono mai ad integrare il loro College de Clermont (1564) nelle strutture della facoltà d’arti, furono addirittura espulsi tra il 1594 ed il 1603. Pochissime università accettarono un’integrazione della componente gesuitica: solo Bourges nel 1636 e Poitiers nel 1642. La Compagnia tentò di ottenere la trasformazione in atenei dei loro collegi a Fleche nel 1603 e a Tournon nel 1622, ma i loro privilegi furono bloccati da parlamenti ed università. Le università durante le guerre di religione Da metà XVI secolo si aprì l’epoca delle guerre di religione: i protestanti puntavano a salvaguardare le loro posizioni, mentre i cattolici aprirono la repressione, anche contro esponenti dell’erasmismo; c’era tuttavia una certa reazione gallicana, contro il quadro di primato pontificio uscito da Trento. Durante le guerre religiose (1560-1598) le università videro una riduzione degli iscritti e della peregrinatio academica, sia i protestanti tedeschi che gli spagnoli in quanto Filippo II proibì ai suoi sudditi dei Paesi Bassi di frequentare università se non quelle locali. Talvolta sia studenti che maestri parteciparono a scontri armati: nel 1562 tra i protestati che provarono a occupare Tolosa c’erano quattro compagnie di scolari. Nonostante il periodo di crisi il prestigio intellettuale delle università non fu intaccato anche perché fulcro della formazione dei dotti nel dibattito ideologico dell’epoca, sia da parte cattolica che riformata. Infatti l’attualità politico-religiosa entrò negli insegnamenti quali libero arbitrio, predestinazione e grazia: l’attacco protestante rinnovò contenuti e metodi dei dottori della Sorbona — molto più che gli umanisti — con il superamento della scolastica ed il ricorso ad originali greci ed ebraici. La crisi dello stato stimolò anche il rinnovamento della filosofia politica con La Boétie e Bodin. Per i riformati centrale era l’educazione e la formazione dei pastori, con una nuova peregrinatio dovuta alle limitazioni cattoliche presso gli atenei di Ginevra, Basilea, Heidelberg, Leida, raramente Oxford, sono meta dei protestanti francesi. Nelle zone ad alto numero di protestanti, in Francia o vicino al confine, i riformati mantennero dei collegi e talvolta crearono accademie grazie a concessioni principesche o municipali secondo il modello ginevrino (evangelico-umanistico) come accadde a Nimes, Orange, Montpellier e Sedan; centri che vennero eliminati nel corso del Seicento dalla reazione cattolica. Splendori e miserie delle università all’inizio dell’età classica Fino a poco tempo fa, gli storici davano delle università francesi del XVII secolo una visione negativa: un lungo declino terminato solo con la Rivoluzione. In realtà la situazione era più eterogenea di come appariva. Ci fu una crescita degli iscritti — pochi studia in crisi come Montpellier — in controtendenza rispetto ad Inghilterra e Spagna, caratterizzato da un forte reclutamento regionale, quindi dal declino della peregrinatio. Il controllo regio divenne sempre più forte: nel 1579 l’ordinanza di Blois incluse norme per il professori ed assiduità della didattica. Il controllo da parte della corona divenne definitivo con Enrico IV (†1610) tramite la creazione di una commissione per l’elaborazione degli statuti dell’ateneo di Parigi del 1595 caratterizzati da un’ortodossia cattolica e controllo della didattica. La politica reale tentò di mantenere buoni i libelli didattici e di assicurare ai laureati magistrature e cariche ecclesiastiche; esistevano poi “cattedre reali”. La Sorbona era caratterizzata da pochi edifici dispersi di XIII e XIV secolo, contenente una percentuale ristretta ma elitaria degli studenti di teologia parigini. Nel 1532 la Sorbona divenne un collegio d’insegnamento per la teologia, nel 1616 esistevano 6 cattedre di cui la metà di fondazione reale, caratterizzate dalla modernità degli insegnamenti teologici tramite la casistica gesuita ed il rinnovamento mistico post-tridentino. Dal 1622 la Sorbona fu sotto la presidenza di Richelieu (†1642), caratterizzata da un forte sostegno dottrinale alla lotta anti-protestante con una limitazione del gallicanesimo. Il cardinale avviò il rinnovamento degli edifici, terminato solo dopo metà secolo. Riproduzione sociale ed arretratezze culturali Tra XVI e XVII secolo, vi fu un solco tra insegnamento universitario e movimento delle idee scientifiche: pochi dotti e filosofi francesi furono vicini alle istanze scientifiche interne agli atenei. Gli atenei non erano in totale decadenza e talvolta il dibattito scientifico vi trovava eco. Tuttavia l’innovazione intellettuale era vista con sospetto e mancava ormai ogni preoccupazione per l’autonomia dei centri universitari. Centri scientifici e filosofici, come il College de Lecteurs Royaux, marginali rispetto agli Studia, riuscirono grazie questa posizione a sviluppare contenuti rivoluzionari rispetto agli antiquati programmi universitari ancora legati all’aristotelismo tomistico, Ippocrate, Galeno, etc. — di ostacolo alle teorie di Harvey —, proponendo innovazioni nel campo del sapere, in particolar modo pratiche, come teatri anatomici o giardini botanici, famosi quelli di Montpellier. Per quanto riguarda giuristi e teologi, il dibattito era bloccato dal conformismo verso assolutismo e cattolicesimo: effettivamente teorie “pericolose” — sovranità popolare o la legittimità del tirannicidio — sorsero durante i conflitti religiosi Gli attestati universitari rimanevano passaporti indispensabili per le carriere più brillanti in ambito religioso, della magistratura e delle professioni liberali. Il reclutamento si restrinse a certe caste professionali, sopratutto con la venalità e l’ereditarietà degli uffici. La preoccupazione dello scolaro divenne accaparrarsi l’attestato il più velocemente possibile e ad un prezzo ragionevole — spesso la laurea era pagata col denaro — in quanto la “vera” cultura si sarebbe appresa con l’esperienza professionale. Diversi memoriali di dottori lamentano per questo periodo un diffuso assenteismo degli scolari. Tuttavia alcuni atenei tentarono di reagire al lassismo diffuso, talvolta con il sostegno regio: nel 1629 l’ordinanza reale, detta Codice Michaud vietò la peregrinato all’estero — in funzione anti-protestante — e tentò di richiamare le università alle norme statutarie. La rete delle università e dei collegi Nel 1650 il regno di Francia contava ben 16 università; alla vigila della Rivoluzione si raggiunse un totale di 24 centri. Atenei fondati tra il 1650 e il 1739 furono soltanto quattro: oltre l’università cattolica di Strasburgo (1701), vennero fondati centri di studio universitari presso Pau e di Digione, entrambi nel 1722, e di Rennes — in realtà la vecchia facoltà di diritto di Nantes qui trasferita —; in altri termini, nella Francia dei Luigi XIV e XV l’università continuava a rappresentare un’eredità medievale anche da un punto di vista geografico: gli istituti sorgevano ancora nelle vecchie sedi di vescovadi, escludendo i centri più dinamici come Lille, Marsiglia e Lione. Tale eredità rimase ancorata anche alla simbologia attraverso riti, vestiario, utilizzo della lingua latina, distinzione delle facoltà, gerarchia dei gradi, denominazione delle gare universitarie, il tutto che fa pensare ad una simbologia ancora rimontante al Medioevo. Nonostante l’apparenza, a partire dal Rinascimento le università mutarono degli elementi essenziali: la quasi scomparsa delle facoltà di arti a vantaggio dei collegi; da allora l’insegnamento delle discipline propedeutiche derivate dal Trivio non si praticava più nelle scuole delle facoltà di arti ma nelle ultime classi dei collegi di insegnamento, di cui la maggior parte non era annessa a un’università. I collegi universitari e non, impartivano esattamente lo stesso insegnamento: corso di 3-4 anni di grammatica, 1 di retorica, 1 di studi umanistici e 1-2 di filosofia; si viveva internati; vi si impartiva una disciplina morale e religiosa. Istituzioni dell’Ancien Regime A differenza delle università medievali, gli atenei francesi del XVII secolo erano del tutto integrati nell’amministrazione regia: l’assoggettamento risaliva a Carlo VII (1461) ma dopo una fase convulsa dello scontro di religione, i sovrani ampliarono quest’assorbimento di prerogative entro la metà del XVII secolo. Luigi XIV (†1715) completerà tale assoggettamento a cominciare da riforme collegate alla sfera del diritto: norme collegate alla generale riorganizzazione delle cariche e della giustizia regia. Scrupolosamente preparata da Jean-Baptiste Colbert (†1683) la riforma fu applicata nell’aprile del 1679. Oltre a istituire una cattedra di diritto romano a Parigi — vietata dalla Super Specula del 1215 di Onorio III — si creò una cattedra del “Diritto francese contenuto nelle nostre ordinanze nei costumi” in tutte le facoltà del regno; questa materia sarebbe stata insegnata in lingua francese e non più in latino; I corsi subirono un’uniformazione del percorso scolastico: 2 anni per i baccalaureati, altri 3 per la licenza, un ultimo per il dottorato. Infine, per evitare frodi circa il periodo di addottoramento, si creò un sistema di iscrizioni trimestrali che avrebbero costretto gli studenti ad un’assiduità negli studi: i registri d’iscrizione sarebbero stati controllati del luogotenenti generali del re. Fu stabilita un’età minima di iscrizione (18, poi 16 anni) e venne ulteriormente rafforzato il controllo delle iscrizioni. Di più felice ispirazione fu senza dubbio la creazione del corpo dei liberi docenti: due volte più numerosi dei professori ordinari, assistevano questi ultimi sull’organizzazione degli esami, supplivano in caso di assenze di docenti, preparavano i candidati agli esami offrendo ripetizioni private. Per la medicina ci fu una medesima configurazione e regolarizzazione, iniziando prima da Parigi nel 1696 fino ad un editto generale del 1707, rafforzando la lotta all’esercizio senza licenza. La politica regia ebbe degli effetti concreti? Se in medicina si, in diritto continuarono gli abusi — anche il governo riconobbe un “beneficio di anzianità” per venire incontro alle potenti famiglie che detenevano cariche venali o ereditarie — mostrando una forte discrepanza tra teorie insegnata e pratica professionale. Altro obiettivo del potere reale fu quello di assicurarsi una docilità politica, in piena piena con l’assolutismo perpetrato da re Sole. Diveniva necessario controllare le nomine dei docenti e gli studenti: per quanto riguarda il reclutamento dei docenti per prassi la corona confermava le proposte degli atenei, tuttavia vi era una scelta diretta con le “lettere reali” affianco ad un vero e proprio sistema di concorsi, sebbene non mancavano nepotismi. Per quanto riguarda gli studenti continuavano a detenere privilegi e franchigie, ma vennero fortemente imbrigliati dalle disposizioni regie quali esclusione di Ebrei e protestanti (certificato di battesimo); in aggiunta ci fu una limitazione della peregrinatio, interna ed esterna attraverso norme per eliminare il vagabondaggio studentesco. Le università detenevano una forte autorità intellettuale e morale, verso la quale il re impose la — propria — ortodossia: la facoltà di teologia di Parigi si definiva in diritto di esprimere un giudizio dottrinale anche sulle bolle papali anche per la forte presenza gallicana, sebbene il pericolo reale era costituito dai giansenisti. Luigi XIV tentò di integrare i collegi gesuiti alle università per arginare il problema, e se in un primo momento ci riuscì, dopo la sua morte l’università parigina revocò tale decisione. Nel 1713 il re ottenne da Clemente XI (†1721) la bolla Unigenitus contro i giansenisti, ma la facoltà di teologia di Parigi la accettò solamente nel 1730. Per quanto riguarda i seminari, in Francia apparirono relativamente tardi. Dal 1737 alcuni vescovi, sostenuti dal re, integrarono nelle università corsi di filosofia e teologia dei seminari, suscitando la reazione degli atenei. Università dunque perfettamente integrate nella struttura dell’Ancien Regime; solo nel 1793 la Repubblica soppresse collegi, facoltà di diritto, arti e teologia, dal funzionamento bloccato sin dal 1789. Le popolazioni studentesche Siamo molto ben informati sulla composizione del corpo studentesco nella Francia dei Luigi XIV e XV. Dal XVIII secolo si assiste alla fine della peregrinatio academica: il reclutamento divenne praticamente nazionale e le nationes vennero a svuotarsi e scomparire. Solo teologia a Parigi vide crescere gli stranieri, soprattutto cattolici scozzesi ed irlandesi. Nonostante i pochi studenti stranieri, in medicina la peregrinatio rimase costante e alcuni scolari delle isole britanniche passavano per Reims prima di dirigersi a Leida, Parigi o Padova. Anche studenti di diritto dei Paesi Bassi si laureavano talvolta a Nancy per i costi ridotti, molti nobili tedeschi ad Angers per l’Accademia di equitazione. Nel corso del Settecento molti atenei ridussero il proprio raggio d’azione con un reclutamento locale, eccezion fatta per Parigi e Montpellier che reclutavano in tutto il regno, e Tolosa in tutto il Sud. Alla vigilia della Rivoluzione gran parte degli atenei non superava i 400 iscritti, solo Tolosa e Montpellier superavano i 500 e Parigi circa 1.500: tali cifre ci fanno capire quanto le università fossero destinate ad un’élite ristretta, soprattutto in medicina con circa 600 studenti in tutto il regno. Sia in diritto che in medicina la crescita demografica fu lenta fino a metà Seicento, poi ci furono casi di riduzione in quanto si registra una sottoscolarizzazione per la Francia del XVII secolo a differenza dell’Inghilterra post-elisabettiana. Nel Settecento, escludendo atenei morenti — come Poitiers ed Bourges — ci fu una lenta crescita delle immatricolazioni, culminata in una rapida espansione nel trentennio precedente alla Rivoluzione, mostrando un quadro opposto al resto dell’Europa, ove le facoltà tradizionali perdevano iscritti. Dai contemporanei fu notata in Francia una “superproduzione” di medici e giuristi (in realtà non dimostrata pienamente). Per quanto riguarda la teologia ci fu una lenta crescita di immatricolazioni fino a metà XVIII secolo, probabilmente spiegata dalla diffusione delle istituzioni formative post-tridentine in Francia (seminari); successivamente avvenne una crisi, la quale rispecchia pienamente la diffusa decristianizzazione della Francia pre-rivoluzionaria. I documenti universitari ci informano poco sull’origine sociale degli studenti: sono stati effettuati solo studi su base locale, incentrati sulle università orientali quali Port-à-Mousson/Nancy e Digione. In generale sappiamo di una diffusa chiusura sociale delle facoltà professionalizzanti quali diritto e medicina; nel XVI e XVII secolo erano ancora presenti i nobili di spada e “popolari” agiati (figli di contadini e artigiani). Nel Settecento ci fu un aumento di borghesi e figli di commercianti, tuttavia la gran parte degli studenti era costituita dai figli dei funzionari e dei liberi professionisti, con una stima di circa il 70%. I figli della nobiltà parlamentare tendevano a studiare a Parigi; i figli di giudici e avvocati, ma anche di procuratori e notai, affollavano le aule degli atenei di provincia per rivestire cariche locali ed elevare il proprio status sociale. La situazione simile per la medicina dove da un lato vi erano “dinastie” di medici, dall’altro studenti vogliosi di un’ascesa sociale. dei college non era professionale: di solito si sceglievano annualmente due tesorieri dal novero dei professori, inoltre una parte delle entry fines erano distribuite tra il rettore ed alcuni anziani professori, generando spesso conflitti d’interesse tra i docenti. Sebbene vi fosse una ricchezza generalizzata, erano possibili anche crisi finanziarie come successe nel 1643 al Brasenose di Oxford, in rosso di 1.750£ a causa di un debito accumulato in un ventennio. Ci furono anche indagini sulle finanze dei college promosse dalla corona nel 1546, sebbene non erano incluse le rendite variabili (tasse degli scolari, legname, etc.). I collegi nacquero grazie a ricchi benefattori ed in generale facevano ricorso a tale tipo di introito per accrescere il loro prestigio. Una forma “classica” di donazione consisteva nel cedere al college di turno proprietà terriere e denaro, ma non erano rare donazioni di beni mobili. Dagli studenti benestanti ci si aspettava che alla partenza donassero un pezzo d’argenteria al collegio. I benefattori erano nobili di alto livello, piccola nobiltà, mercanti ed alte cariche ecclesiastiche. Rispetto ai college, le due università inglesi furono scarsamente finanziate e dipendevano principalmente dalle tasse imposte agli studenti, regolate da un sistema proporzionale in base alla ricchezza dello studente. Rettori e maestri I rettori avevano un considerevole potere all’interno dei collegi; costoro stabilivano i lettori, assegnavano i maestri agli allievi (anche in base allo status familiare dello scolaro). Oltre ciò, vivevano separati dal resto del college, ricevendo in privato all’interno di residenze enormi. A partire dal 1570, alle assemblee dei maestri d’arte — le convocations o congregations alle quali era storicamente attribuito il potere decisionale in merito alle università — si sostiturono il vice-cancelliere, rettori e magistrati regi. Si stabilirono incontri settimanali tra vice-cancellieri e rettori (negli anni 1630-1640 l’ufficio del vice-cancelliere di Oxford divenne teatro di dispute religiose e politiche). In ogni caso la carica di rettore era un trampolino di lancio per la propria carriera: molti divennero vescovi o addirittura arcivescovi di Canterbury. Nella prima età moderna si acuì la distinzione di status dei maestri di collegi: sebbene gli stipendi erano più o meno fissi, i docenti avevano altre fonti di guadagno quali introiti provenienti da conferenze, tasse degli allievi e profitti del collegio. La competizione per le cattedre era alquanto alacre, assegnate di solito con una votazione degli altri docenti, vinte spesso tramite patroni o “bustarelle”, della durata variabile tra i 6-14 anni. Generalmente i professori dei collegi erano giovani non ancora laureati, infatti la docenza era vista come preambolo alla carriera ecclesiastica; tuttavia non mancava chi vedeva l’insegnamento come carriera distintiva: molti dottori universitarie e laureati divennero precettori reali o ebbero incarichi amministrativi. Popolazione universitaria ad Oxford e Cambridge Dal punto di vista demografico la crescita fu lenta ma costante per il periodo 1450-1550 seguita da una breve stagnazione; un picco di crescita si registra negli anni 1570-1620, seguita da un certo riflusso. Oxford era leggermente più grande di Cambridge — 1.700/1.300 nel 1450, 3.300/2.900 nel 1621 — sebbene molti studenti non firmavano i registri d’iscrizione; nonostante ciò possiamo notare come la percentuale di universitari fosse enorme per l’epoca con circa il 2% di maschi adulti frequentanti. Il reclutamento geografico era prevalentemente da regioni vicine, dal Nord-Est per Cambridge e dal Sud- Ovest per Oxford; inoltre esistevano facilitazioni per scolari provenienti da una certa regione: alcune borse di studio o cattedre potevano essere riservate su richiesta dei benefattori, sebbene ci fosse da parte dei rettori di evitare eccessivi raggruppamenti regionali. Nello scegliere un collegio si tendeva ad accettare studenti provenienti dalla propria regione attraverso personali raccomandazioni da parte di rettori e docenti. Lo statuto dei collegi medievali prevedeva un numero esiguo di studenti, generalmente ecclesiastici già laureati, ad inizio XVI secolo alcuni studenti di estrazione popolare cominciarono ad entrare nelle università, molti dei quali sotto Elisabetta I: nell’ultimo ventennio del Cinquecento, ad Oxford, il 46% era nobile, il 3% faceva parte del clero, il restante 51% di estrazione popolare — comunque agiata —, ceto che raggruppava figli di agricoltori, artigiani, mercanti, professionisti. Si consta una generale crescita dei laici le cui cause vanno a trovarsi nel protestantesimo, negli ideali umanistici, nella formazione della burocrazia statale e governo locale per la piccola nobiltà: su quest’ultimo punto importante notare come nel 1640 circa la metà dei Lords della Camera dei Comuni erano usciti dai due atenei, mentre per quanto riguarda la camera ecclesiastica, nel XVII secolo richiedeva un titolo universitario per accedervi. Le distinzioni cetuali si riflettevano nella comunità degli scolari: nobiltà, benestanti — piccola nobiltà, cavalieri, gentry —, communers (Oxford) o pensioners (Cambridge); questi ultimi da un lato pagavano meno, dall’altro avevano meno privilegi, sebbene poteva succedere che lo status variasse. C’era anche chi copriva la retta con lavori domestici: i servitors ad Oxford ed i sizars a Cambridge. Nel Seicento le borse di divengono appannaggio degli studenti di alto rango ed in generale le distinzioni sociali erano ben visibili, in particolar modo nelle sale da pranzo dove gli studenti cenavano in tavoli separati secondo le rispettive appartenenze sociali: la nobiltà e i benestanti solitamente mangiavano allo stesso tavolo degli insegnanti, oltre ad un’ostentazione nell’abbigliamento e la possibilità, per i più ricchi, di essere armati. Non vi era un’età minima sebbene nel momento dell’immatricolazione l’età media nel XVII secolo era di circa 17 anni, forse un po’ più bassa il secolo precedente con alcuni studenti che potevano avere 12 anni. Programma di studi ed attività extra-scolastiche Le arti liberali erano ancora la parte principale dell’insegnamento, sempre propedeutica al proseguimento del percorso d’istruzione. Il magistero delle arti era richiesto per una carriera ecclesiastica. I nobili generalmente non puntavano spesso all’ottenimento dei titoli: nel Seicento solo metà degli iscritti ottenne un titolo di qualche genere, e ancora meno il magistero delle arti o titoli superiori. La didattica era variabile, spesso concordata in base alle inclinazioni sia del precettore che dell’allievo; oltre al Trivio si diffusero corsi di storia classica e moderna, scienze e letteratura; al di fuori dei college vi erano poi precettori che insegnavano lingue moderne, danza, scherma ed equitazione: la tradizione teatrale era forte sin dal 1640. Durante il tempo libero gli studenti si dilettavano con gli sport come tennis, tiro con l’arco, ma anche giochi d’azzardo. Indisciplina e punizioni Gli statuti venivano poco rispettati, erano molto diffuse ubriachezza, assenteismo a lezioni e sermoni, gioco d’azzardo, vandalismo, prostituzione e violenza — anche sessuale —, ma le espulsioni erano piuttosto rare. Nel 1634 Carlo I (†1649) stabilì che ci potessero essere solo 3 birrerie ad Oxford, ma questa precauzione si dimostrò fallimentare poiché appena 3 anni dopo le taverne senza licenza in città erano 94. Nel 1625, per affievolire le violenze sessuali e la prostituzione, il Trinity College di Cambridge proibì ad ogni inserviente di sesso femminile con meno di 50 anni l’ingresso nella struttura. Oxford e Cambridge tra riforma e puritanesimo I due atenei furono intimamente coinvolti nelle dispute e nei mutamenti religiosi del XVI secolo: Cambridge fu un centro di irradiazione luterana e tra il 1531 ed il 1538 furono uccisi ben 25 protestanti. Per quanto riguarda il divorzio di Enrico VIII (†1547), quindi l’Act of Supremacy del 1534 — che sancì la separazione della Chiesa d’Inghilterra con quella di Roma — fu richiesto il parere delle due università. Da questa data alla corona spettò il controllo dell’ortodossia nelle università con disposizioni a partire dal 1535: abolizione dello studio di diritto canonico, introduzione di corsi “umanistici”, condanna di alcuni scolastici medievali; tuttavia tali riforme sortirono pochi effetti concreti. Con l’abolizione dei monasteri (1536-1540) molti terreni monastici confluirono nelle dotazioni di vari college, come ad esempio il Trinity ad Oxford. Edoardo VI (†1553) favorì il protestantesimo assennando delle cattedre reali in teologia a riformati di fama come ad esempio Martin Bucer (†1551) a Cambridge; applicò inoltre misure presso gli atenei volte ad assicurare la supremazia regia, sebbene il tentativo di destinare alcuni college al diritto civile — l’All Souls ad Oxford — fu bloccato dalle università. Maria la Sanguinaria (†1558) avviò un tentativo di restaurazione cattolica, accolto con un certo favore in molti collegi di Oxford sebbene con esilii e condanne a morte come avvenne con l’arcivescovo Thomas Cranmer (†1556). Solo con Elisabetta si stabilì definitivamente il protestantesimo nonostante dei contrasti negli anni ’60 ove i protestanti radicali lamentarono forme troppo romane nei collegi universitari. Nel 1570 ci furono delle tensioni a Cambridge causate dalle lezioni di Thomas Cartwright (†1603), docente di teologia del Lady Margaret Hall, che criticavano la struttura episcopale in favore del sistema presbiteriano; Cartwright fu espulso, ma Cambridge fu al centro del movimento presbiteriano fino al 1590. Il puritanesimo — fondato sulla purificazione della Chiesa da tutte le forme non neo-testamentarie — fu un movimento omogeneo che diede forte attenzione all’educazione del clero: alcuni collegi di Cambridge come l’Emmanuel College, fondato nel 1584, sorsero come istituti puritani. In generale a Cambridge ci fu una diffusione maggiore del puritanesimo, dovuto anche all’importanza datagli da precettori e maestri e dal quale uscirono molti ministri di fede appartenenti a tale schiera. Ad Oxford, dal 1581, si impose l’adesione ai 39 articoli anglicani. L’influenza della corona sulle università Da dopo il 1580 avvenne un eradicamento del Cattolicesimo in seno alle università voluto dalla corona; oltre ciò si sviluppò una forte interferenza da parte dei sovrani circa le nomine dei rettori: nell’ultimo decennio del XVI secolo questo controllo si estese anche alle cattedre, all’erogazione di borse di studio ed altri uffici inerenti i due atenei; tutto ciò generò anche scontri di fazione a corte. Tra il 1585 ed il 1607 circa 90 lettere reali furono spedite ai collegi di Oxford e Cambridge, soprattutto nei primi anni del regno di Giacomo I Stuart (†1625) con diverse denunce di corruzione per l’assegnazione delle borse. Se nel Medioevo l’incarico di cancelliere era generalmente temporaneo, dal XV secolo esso divenne un personaggio eminente esterno alle università, con un incarico sempre più vitalizio. Da metà XVI secolo la carica fu concessa anche a laici, i quali diventano dominanti sotto il regno elisabettiano. I cancellieri erano eletti negli atenei ma nominati dalla corona, possedevano grande influenza nell’assegnazione di cariche e posti nei collegi ad esempio Robert Dudley (†1588) conte di Leicester, cancelliere ad Oxford negli anni 1565-1580, era un noto patrocinatore di puritani. Nel primo trentennio del XVII secolo ci fu un diffuso calo di consenso in merito al calvinismo a favore delle idee del teologo Jacob Arminius (†1609), ma fu con l’ascesa al trono di Carlo I che il movimento arminista prese più consenso, con la presenza di questa frangia negli alti prelati come ad esempio l’arcivescovo di Canterbury William Laud (†1645) che fu cancelliere ad Oxford dal 1630. Durante la guerra civile del 1640-1648 Cambridge ricade sotto il controllo del Parlamento a differenza di Oxford, quartier generale del sovrano fino al 1646. In entrambi i centri universitari ci furono diverse espulsioni per motivi politici con una conseguente crisi delle iscrizioni e delle finanze dei collegi. Dagli anni ’60 vi fu maggior tolleranza per la religione privata delle singole personalità accademiche; in questo periodo, ad Oxford, si può rintracciare il nucleo originario della futura Royal Society, costituito dal un club di fisica del Wadham College. Londra e le nuove università del regno Tra XVII e XVIII secolo ci fu una diminuzione delle presenze studentesche all’interno delle università, tuttavia già prima, sebbene fossero le uniche istituzioni in grado di conferire tutoli, Oxford e Cambridge non ebbero il monopolio dell’istruzione superiore. L’Inns of Court di Londra, frequentata dalla piccola nobiltà e da ceti elevati, era luogo dove si proseguivano gli studi universitari con particolare attenzione all’insegnamento del diritto consuetudinario. Si registra una crescita nel tardo periodo elisabettiano e durante il regno di Giacomo I, ma pochi divenivano effettivamente avvocati professionisti. Londra divenne il centro della socialità aristocratica e grande centro educativo, con una grande presenza di lettori pubblici e privati, il Gresham College, fondato nel 1596, ne è un esempio; l’istituto aveva legami stetti con le università ma non aveva il potere di rilasciare titoli. Iniziarono progetti per nuove università lontane dai due centri, molte fondate nel periodo 1640-1660 ma con poco successo. Solo Harvard, fondata nelle colonie da esuli puritani nel 1636, col tempo acquisì una discreta fama. In Scozia furono fondate già nel XV secolo 3 università — il St. Andrew’s College (1411), l’università di Glasgow (1451) ed il King’s College ad Aberdeen (1495) — già in declino nel Cinquecento, furono rinnovate da Andrew Melville (†1622), capo del partito presbiteriano, rettore di Glasgow tra il 1574 e il 1584 tramite una promozione del protestantesimo e rafforzamento della stabilità finanziaria degli atenei e la fondazione dell’università di Edimburgo e il Marischal College di Aberdeen. In Scozia avvenne una diffusione del “ramismo” — Pietro Ramo (†1572) era un calvinista francese che ripudiava la scolastica medievale — la quale comportò una reazione da parte di Giacomo Stuart e l’esilio di Melville nel 1606. In generale l’insegnamento nelle università scozzesi rimase tradizionale anche dopo la conquista di Oliver Cromwell (†1658) avvenuta nel 1651 ma con dimensioni minori: circa 150 iscritti annuali. In Irlanda si fondò nel 1592 il Trinity College di Dublino, creato sul modello inglese per dare un seminario protestante ai “coloni” anglosassoni, specializzato sulle arti liberali. Il governo delle università inglesi Nel momento della salita al trono di Carlo II (†1685) nel 1660 Oxford e Cambridge erano le promotrici della cultura e religione della Chiesa d’Inghilterra, apparendo molto simili. La maggior parte dei docenti — i cosiddetti Dons — era composta da ecclesiastici e gli studenti dovevano accettare la dottrina anglicana. Ogni università aveva dei rappresentanti in Parlamento in quanto i due atenei erano parte attiva del processo politico inglese; il cancelliere, eletto dai docenti, era di solito un laureato eminente dello stesso ateneo e membro della Camera dei Lord posto al governo per agire secondo interesse della propria università. Una funzione più pratica era invece ricoperta dal vice-cancelliere, il quale gestiva le finanze, consigli di disciplina e corrispondenza col governo, veniva scelto tra i rettori dei collegi sebbene ad Oxford era proposto dal cancelliere, a Cambridge veniva eletto dai docenti. La durata delle due cariche era differente in base alle università: ad Oxford l’incarico poteva essere di qualche anno mentre a Cambridge di uno. Le decisioni in merito agli atenei di Elisabetta e dei primi Stuart resero le due istituzioni oligarchiche dove i vice-cancellieri dividevano il potere con i rettori di college ed halls. Vi erano però delle vestigia di controllo popolare: ad Oxford, l’Hebdomandal Board, il consiglio settimanale, composto dai rettori dei collegi e dai solo apparente all’anglicanesimo. Ad Oxford si diffusero fortemente i Whigs i quali sostenevano il senso di unità del protestantesimo. Tra il 1689 ed il 1714 ci furono governi favorevoli ai Whigs, anche per ragioni di opportunità quali un unità religiosa per la guerra contro la Francia. Oxford in questo periodo aveva alcuni Tories erano “giacobiti” temuti dal governo. Oxford cadde in disgrazia mentre Cambridge era apprezzata come università Whigs. La contesa con Oxford giunse al punto di rottura con il caso del ministro Harry Sacheverell (†1724), fellow del Magdalen, nel 1709 tenne alcuni sermoni contro i dissidenti e i latitudinari, sostenendo che la Chiesa fosse in pericolo; tali opinioni erano molto diffuse ad Oxford ma fecero scalpore a Londra. Il governo Whig pose il ministro in stato d’accusa facendolo giudicare dal Parlamento — come si faceva per alto tradimento — ma la difesa fu alacremente appassionata e forte dell’appoggio delle folle Tory. Nel 1710 fu giudicato colpevole, ma la pena fu irrisoria, provocando grandi feste ad Oxford e forte ostilità popolare contro il governo, costretto a dimettersi nel 1714. Università e supremazia Whig Con la morte della regina Anna nel 1714 fu nominato re il cugino Giorgio I Hannover (†1727) nel 1714. I gacobiti — coloro che volevano restaurare gli Stuart —, forti ad Oxford, presero d’assalto un luogo di riunione presbiteriano nel 1715. I Whigs discussero un piano per fermare tale minaccia in seno alle università, il quale prevedeva la nomina diretta dei fellows e borsisti a carico del governo, progetto successivamente abbandonato. Sia l’Hannover che suo figlio, Giorgio II (†1760), diffidarono dai Tories, affidandosi ai Whigs e prediligendo Cambridge come università favorita la loro forte presenza di questo gruppo, compensando l’ateneo con donazioni — la biblioteca di John Moore del 1714 — e concessioni. Ad Oxford il giacobitismo si estinse del tutto con la morte di Giacomo III (†1766), non appoggiando suo figlio Carlo Eduardo (†1788). Università, illuminismo, rivoluzione Giorgio III (†1820) ebbe, a differenza del padre, un atteggiamento comune ad entrambi gli atenei e verso le due correnti politiche vista la scomparsa dei giacobiniti — il figlio di Carlo Eduardo, Enrico Benedetto (†1807), divenne cardinale della Santa Romana Chiesa. La corrente illuministica si stava prospettando come nuova minaccia verso i “privilegi” della Chiesa anglicana: negli anni ’70, nell’ambito di una vasta campagna intesa ad eliminare i motivi di lamentela dei dissidenti, fu lanciato un appello per porre fine all’obbligo per gli studenti di Oxford e di Cambridge di sottoscrivere i 39 articoli della dottrina anglicana; non mancavano personaggi in controtendenza: Samuel Halifax (†1790) attaccò queste richieste e sostenne l’importanza della Chiesa anglicana nella “perfetta” costituzione inglese. Nell’ultimo quarto di secolo due atenei furono bastioni del patriottismo britannico: dopo limitati apprezzamenti della Rivoluzione — William Wordsworth (†1850) — la “deriva” repubblicana sul continente favorì il cristallizzarsi del rifiuto di qualsiasi novità francese: la propaganda atea o contro la guerra venne fortemente osteggiata all’interno delle università. Nonostante l’apprezzamento degli illuministi continentali per la costituzione e le libertà inglesi, sull’Isola il monopolio educativo degli anglicani impedì l’affermazione del significato rivoluzionario delle nuove idee: Locke venne “filtrato” da menti che lo adottavano all’ordine costituito, Newton rimase la base per Cambridge ed Oxford che mantennero il suo ragionamento “geometrico” contro le tendenze “algebriche” continentali. La partecipazione alle tendenze illuministiche fu molto limitata, al contrario degli atenei scozzesi. Il Trinity College a Dublino Fondato nel 1592, fu un bastione dell’anglicanesimo in Irlanda — i cattolici non vi si poterono laureare fino al 1793 — destinato alla formazione di ministri anglicani e classe dirigente protestante. Pensato come un equivalente di un college di Cambridge, il Trinity era dotato di tutte le prerogative di un’università: rettore e 7 fellows anziani, celibi e quasi sempre preti. Importanti erano gli studi delle lingue classiche e prevedeva un esame di ammissione in greco e latino. La popolazione studentesca crebbe di pari passo allo sviluppo di Dublino e della sua classe media protestante: George Berkeley (†1753) fu un fellow tra il 1707 ed il 1724. Le università scozzesi Le università di Aberdeen, Glasgow, Edimburgo e St. Andrews ebbero una tradizione educativa distinta, anche se Aberdeen e St. Andrews ebbero anche loro dei collegi come le università inglesi. Gli atenei scozzesi erano caratterizzati da una forte influenza e controllo calvinista fino al 1700; dopo il 1750 il controllo governativo, che temeva simpatie giacobite, e delle municipalità si fece più blando, aprendo ad altre fedi, riformate e non. Nel XVII secolo il curriculum era di stampo umanistico con lezioni svolte in latino; era previsto il sistema dei regents caratterizzato dal maestro unico per classe, motivato anche dall’età più giovane degli iscritti. Nel 1708 ad Edimburgo furono aboliti i regents e vennero avviate le lezioni in inglese: gli studi umanistici vennero “purificati” dall’aristotelismo, ma anche da matematica e scienze nei 4 anni di corso, dopo i quali era raro laurearsi. La scuola medica di Edimburgo, fondata nel 1726, fu la migliore del mondo nella seconda metà del secolo con studenti continentali ed americani; la scuola applicava l’unione di teoria e pratica clinica portando più di 600 iscritti nel 1800 sui 1.300 totali dell’ateneo. La Scozia offrì un forte contributo al pensiero illuminista e alle scienze moderne: Thomas Reid (†1796), David Hume (†1776), Adam Ferguson (†1816), Adam Smith (†1790), mostrano un’attenzione dell’illuminismo scozzese agli aspetti materiali e al miglioramento della vita quotidiana. LE UNIVERSITÀ SPAGNOLE E PORTOGHESI Nel XVI secolo ci fu un vero e proprio boom di fondazioni e rinnovamento didattico universitario, solo i diritti rimasero tradizionali. Il clima culturale rimase vivace fino a metà del secolo con l’emergere dell’aspetto oppressivo della Controriforma. La creazione di nuove università La penisola Iberica nel Medioevo era provvista di pochi atenei: le città universitarie erano Valladolid e Salamanca per la Castiglia; Huesca, Lerida e Perpignano per l’Aragona; Lisbona-Coimbra — dal 1537 solo Coimbra — per il Portogallo. Sebbene il potere studentesco era ancora presente, si stavano affermando gradualmente i collegi accademici. Il finanziamento universitario avveniva tramite le decime, concesse da Roma e confermate dai re; in Aragona le municipalità agirono in maniera determinante sia per il finanziamento che per la scelta dei docenti. Nel XV secolo si registrò uno stimolo per nuove fondazioni, soprattutto in Aragona, ma i privilegi papali e reali non avviarono nuove attività didattiche prima del secolo successivo, con la fondazione delle università di Barcellona, Girona e Valencia nel 1502; bisognerà aspettare la seconda metà del secolo per veder sorgere atenei a Tarragona (1574) e Saragozza, la quale ebbe un iter più complicato con un’autorizzazione reale ne l542, papale nel 1555, ma i corsi iniziarono solo nel 1583 in quanto vicina ed in opposizione a Huesca. Fondamentali le fondazioni transatlantiche di Città del Messico e di Lima del 1551 con un enorme investimento della corona. In Castiglia, a causa del forte potere nobiliare, non ci furono nuove fondazioni cittadine tranne per l’università regia di Granada del 1531. Tuttavia sorsero diversi centri di studio superiore sotto forma di collegio: istituti medievali che avevano lo scopo di mantenere studenti bisognosi a modello del Collegio di Spagna di Bologna — fondato per volontà di Egidio Albornoz (†1367) nel 1364 — come ad esempio il Colegio Mayor, il quale accettava solo laureati di primo livello (arti liberali). Istituzioni centrali e particolarmente ricche erano il Collegio di San Bartolomeo (1401) a Salamanca ed il Santa Croce di Valladolid; tuttavia se si trovavano in città universitarie, i collegi non potevano impartire lezioni autonome: la fondazione del collegio di Sigüenza, già sede vescovile, nel 1476 aprì nuove vie, ottenendo la dignità di università nel 1489 con la possibilità di rilasciare diplomi e con la possibilità da parte degli studenti di poter eleggere rettore e scegliere i docenti. Il modello per eccellenza dell’università-collegio fu il Collegio di Sant’Ildefonso, sorto ad Alcalá de Henarez, voluto su richiesta dell’arcivescovo di Toledo Francisco Ximenez de Cisneros (†1517), francescano, ed autorizzato da Alessandro VI (†1503) nel 1499. L’idea iniziale era di seguire il modello parigino con diversi collegi che impartivano insegnamenti “di settore”: infatti il Sant’Ildefonso era riservato inizialmente a solo 33 allievi, affiancato da altri 18 collegios menores; tuttavia la maggior parte di essi non impartì lezioni proprie, rimandando collegi “alla medievale”. Anche qui gli studenti potevano arrogarsi il diritto di legiferare in base alla scelta dei docenti. In generale i collegi castigliani furono frutto di donazioni ecclesiastiche con un rigido controllo interno — a differenza di Sant’Ildefonso — sulla scelta della didattica e dei professori; di questa tipologia sorsero università a Siviglia (1505), Santiago de Compostela (1526), Oñate nei Paesi Baschi (1540), Baeza (1542), Burgo de Osma (1555), Toledo (1621). Queste università rette da ordini religiosi spesso si organizzavano come collegi: diverse scuole dei convegni riuscirono ad ottenere la facoltà di rilasciare titoli accademici anche ad “esterni”, normalmente destinati ai membri dell’ordine come nel caso del Convento di San Tommaso a Siviglia e il Monastero benedettino di Saragún. Tuttavia furono principalmente gesuiti e domenicani a farsi maggior carico nell’ambito istruzione — anche in America —; i primi puntarono su una forte gerarchizzazione interna con il rettore nominato dal generale dell’Ordine, il quale sceglieva il corpo docenti; i loro principali centri furono fondati a Gandía nel 1547 e ad Evora in Portogallo nel 1559. I domenicani posero le loro basi ad Avila, fondata nel 1576, e Almagno, gestita solo in un secondo momento dall’Ordine. Università di tarda fondazione furono Orihuela (1610) e Pamplona (1624), seguite da una saturazione e dalla fine delle fondazioni in Spagna; l’attività educativa dei gesuiti e domenicani si spostò in America ottenendo l’autorizzazione pontificia, purché i loro centri rimanessero almeno a 200km da Lima e Città del Messico, piazzandosi a Santiago del Cile e al Quito. In Portogallo, Coimbra conobbe tempi difficili con pochi iscritti e docenti unicamente portoghesi. Venne fondato un collegio d’arti diretto da Andrés de Gouveia (†1548), ma contrasti interni ed accuse inquisitoriali lo fecero passare alla gestione dei gesuiti. Nonostante l’annessione della Spagna del 1580, con la promulgazione dei nuovi statuti del 1597 si iniziò una fase di ripresa. I poteri esterni: Chiesa e corona Nel XVI secolo si rafforzarono le prerogative del sovrano sull’educazione e le politiche messe in atto nei centri di studio, con la nomina regia del Cancelliere di Salamanca — già con Isabella di Castiglia (†1504) e Ferdinando d’Aragona (†1516) — e l’utilizzo dei visitadores, ispettori regi inviati sia negli atenei, sia in quelli “municipali" di Aragona, che in quelli fondati da prelati (Alcalá). Con il regno di Filippo II (†1598) avvenne la chiusura della Spagna alle novitates esterne, in particolar modo si diedero delle disposizioni controriformistiche come ad esempio il divieto di frequentare le università straniere, il controllo su stampa e biblioteche — venne tolta la facoltà di imprimatur ai vescovi — che generarono una chiusura anche verso le nuove tendenze cattoliche come l’erasmismo. Si rafforzò il controllo inquisitoriale e vennero stilati diversi indici di libri proibiti; venne applicato lo statuto della limpieza de sangre anche in alcuni collegi (Siguenza). Questi eccessi di ortodossia caddero irrimediabilmente sul sistema universitario: ne furono vittime diversi insegnanti, soprattutto ad Alcalá — Hermán Nuñez de Guzman (†1553), el commendador griego, fu costretto a lasciare Sant’Ildefonso per le sue idee erasmiane — e Salamanca dove molti ebraisti furono incarcerati. Tale clima di oppressione fu poco percepibile negli atti ufficiali, essendo più una forma di autocensura e timore della autorità ecclesiastiche. Grammatica ed umanesimo L’Umanesimo fu importato dall’Italia, dapprima con precettori nobiliari, poi nelle università e a corte, molti umanisti spagnoli studiarono per qualche anno al Collegio di San Clemente (di Spagna) di Bologna come Antonio de Nebrija (†1522) ed Hermán Nuñez de Guzman. Centri di irradiazione precoci furono Alcalá — dove venne edita la Bibbia Poliglotta Complutense nel 1518, voluta da Cisneros — e Salamanca, dotata di un collegio trilingue, fondato nel 1554, sul modello di Lovanio con le cattedre di ebraico affidate ai conversos. Alcalá fu anche luogo di insegnamenti erasmiani, alacremente difeso dai dotti durante il periodo della controriforma, i quali subirono molte condanne e molte delle loro opere finirono all’indice. Già nelle Introductiones Latinae — manuale d’uso negli atenei spagnoli — di Nebrija si possono scorgere vari segnali di esaurimento della corrente umanistica spagnola: al suo interno si faceva ancora uso della mnemotecniche a versi dei secoli medievali. Già nella seconda metà del XVI secolo fu aspramente criticata da molti umanisti come Juan Lorenzo Palmireno (†1579), ma il Consiglio di Castiglia la dichiarò obbligatoria. La grammatica era percepita come disciplina minore, quindi poco remunerata e verso la quale si guardava con sospetto per via dei vari filologi luterani che se ne occupavano. Nell’ambito dell’istruzione vigeva un forte dominio gesuita, contraddistinto dalla Ratio Studiorum di carattere essenzialmente ripetitivo e formalista. All’inizio del XVII secolo, i collegi gesuiti si moltiplicarono in tutta la Spagna e il Portogallo. Malgrado l’opposizione di alcune università, la Compagnia di Gesù fondò a Madrid il Collegio imperiale al quale, sebbene non fosse abilitato a rilasciare diplomi, fece capo l’educazione di tutta corte. Filosofia, teologia e diritto Nel XVI secolo la tendenza nominalistica — propria della scolastica tardo-medievale — prevalse in Spagna, prediligendo la via moderna rimontante agli insegnamenti di Occam, per il forte influsso parigino: molti insegnanti di Salamanca studiarono al College de Montaigu, tra cui Juan de Salaya, maestro di Francisco de Vitoria (†1546). Come detto le riforme furono di difficile applicazione: i riformatori furono in ogni caso intimoriti dalla crescita, comunque modesta, delle iscrizioni, ancora legati alla visione dell’università come percorso d’istruzione elitario; anche le università di secondaria importanza come Valencia, Saragozza e Siviglia videro un’impennata nelle iscrizioni delle facoltà di medicina e giurisprudenza, mentre diritto canonico e teologia videro una significativa riduzione di effettivi. Con la morte di Carlo III le riforme subirono una battuta d’arresto. Soltanto alla fine del secolo si sarebbe prodotto un importante cambiamento nel sistema di insegnamento nelle facoltà di medicina, con il tentativo di unificarla alla chirurgia — operazione riuscita solo nel 1831 —, e poco dopo in diritto con la riforma del 1802 per la formazione pratica e con un’attenzione maggiore per il diritto vigente e praticato, non più romano. Nel 1804 vennero soppresse molte università conventuali, giudicate di livello didattico non sufficiente. Grammatica e arti, medicina Nello studio della grammatica avvenne il superamento dell’egemonia dei gesuiti; la riforma dell’insegnamento riguardò contenuti e forma di comunicazione con l’aggiunta di nuovi testi e di un carattere più pratico all’interno del nuovo indirizzo scientifico. Si cercò di migliorare lo studio di latino, greco e l’ebraico. Anche la facoltà di arti e filosofia ottenne notevoli miglioramenti, in quanto s’intuì l’importanza che poteva ricoprire come passaggio propedeutico alle facoltà maggiori, soprattutto a Salamanca con corsi propedeutici di metafisica per teologia, filosofia morale per il diritto, etc.; ciò si attuò anche nelle cattedre di scienze moderne, mostrando una cura per la designazione di matematici competenti. Lezioni e libri di testo iniziarono ad essere in lingua castigliana. Nella facoltà d’arti furono introdotti corsi propedeutici anche per la medicina, materia fortemente riformata e dotata di un carattere pratico con sale anatomiche, laboratori e sale operatorie universitarie a Cadice e Coimbra; iniziarono a svolgersi corsi di clicca medica spesso con infermi analizzati dai docenti seguiti dai propri studenti. Da un punto di vista teorico Hermann Boerhaave (†1738) trovò grande diffusione con i suoi manuali portando il superamento definitivo di Galeno e del meccanicismo; a Valencia ebbe successo il “vitalismo” di William Cullen (†1790), pioniere del sistema nervoso-muscolare. Diritto e teologia Il diritto romano fu storicizzato, liberato dai commentatori medievali; in generale le riforme nelle facoltà giuridiche puntarono all’introduzione del diritto regio, fondamentale per la pratica forense, e naturale, di più difficile affermazione soprattutto per i legami con il protestantesimo. Il diritto naturale fu soppiantato nel 1794 per volontà di Carlo IV (†1819) poiché considerati forieri di ideali rivoluzionari. Nella facoltà di teologia ci fu un’esclusione dei gesuiti dall’insegnamento e la possibilità di accedere alle cattedre anche se non appartenente ad uno specifico Ordine, sebbene i domenicani riuscirono ad imporre la Summa Theologiae di Tommaso. Si crearono nuove discipline tra cui Storia ecclesiastica e conciliare. In generale si può affermare che l’illuminismo spagnolo fu caratterizzato da una sfumatura maggiormente clericale. LE UNIVERSITÀ TEDESCHE La storia e lo sviluppo delle università tedesche si può riassumere in quattro momenti storici: 1) Dalla nascita medievale alla Riforma (da metà XIV secolo). 2) Riforma e Confessionalismo (1520-1648). 3) Periodo illuministico (da fine XVII secolo). 4) Università moderna (Università di Berlino con von Humboldt nel 1810, il “periodo classico”). La Riforma non va sopravvalutata come cesura: i processi intellettuali ed istituzionali erano già in atto nelle università; già nel 1520 gli atenei tedeschi avevano una loro fisionomia specifica. Fondazioni universitarie prima della riforma Le fondazioni universitarie nell’Europa centro-orientale furono più tardive rispetto alle regioni mediterranee: le prime fondazioni furono a Praga nel 1348 con Carlo IV (†1378) e a Vienna nel 1365. Durante l’epoca del Grande Scisma d’Occidente (1378-1417) ci fu una crescita delle fondazioni nei territori imperiali, frutto della politica dei vari pontefici bisognosi di “professionisti” dotati di titoli accademici da inviare a concili e diete. Un’altra grande ondata di fondazioni avvenne a metà XV secolo con Treviri (1454), Friburgo (1456), Basilea (1459), Tubinga (1476), Magonza (1476), Wittenberg (1502); ebbero tutte un notevole successo tranne qualche eccezione come ad esempio Würzburg. In generale si può constatare come la politica universitaria fosse più forte nei territori con un principe laico, infatti vescovo e capitolo spesso paralizzavano la possibilità economica del principe; ma la gran parte delle università sono di carattere municipale — Treviri, Magonza — più che principesco, sostenute dalle finanze cittadine. Motivazioni dei fondatori Le aspirazioni dei signori locali per avere un ateneo nella propria giurisdizione erano per ambizione sia politica che religiosa: talvolta le fondazioni seguivano una più compiuta unità statale — Tubinga — o l’affermazione di rami secondari come nel caso di Friburgo, fondata da un ramo cadetto degli Asburgo. Conformemente alla teoria statale di impronta aristotelica — specula principum — la cura della formazione dei sudditi rientrava tra le virtù del principe, oltre ciò la fondazione di centri di studio superiore avrebbe permesso un più facile reclutamento di consiglieri: dotti d’estrazione non nobile, anche laici secondo l’ideale umanistico della cultura come valore sociale. Tuttavia si mantenne la consueta tensione sociale tra arma et litterae: i principi letterati furono un’eccezione e la mobilità sociale rimase limitata, sebbene la grande nobiltà cominciò a frequentare più spesso le università per altro senza laurearsi. Elementi di continuità istituzionale Le università germaniche ebbero un forte radicamento nel contesto locale: non ci furono secessioni come in Italia, se non l’esodo dei maestri di Praga del 1409. Relativamente a tipo di fondazione, norme statutarie, reclutamento docente e discente, le università tedesche seguirono il modello “napoletano”. La fondazione era percepita come legittimazione di un potere universale, dava validità alla natura corporativa rendendo reali le libertates; dal XV secolo le concessioni imperiali si limitarono al territorio tedesco, ma aumentarono: anche le università protestanti cercarono talvolta la concessione di un imperatore cattolico. Di carattere regionale, gli atenei sorti nei territori germanici seguivano la particolare struttura istituzionale del SRI: non vi furono università nazionali o centrali come Parigi, “parens scientiarum”. D’altro canto per quanto riguarda la forma politica in seno alle università, ci fu un’adozione e mescolamento dei modelli medievali di Bologna e Parigi: rettore — definito caput universitatis —, assemblea dei docenti e facoltà (decani). Solamente nel XVII secolo si delinearono delle novità rispetto all’assetto medievale: a) Il concilio dell’università si riduce ai professori escludendo gli studenti i quali persero potere elettivo. b) Il rettore divise le competenze giurisdizionali — sia penali che di concessione formale della licenza — con il cancelliere, di solito il vescovo, emulando il modello parigino. c) Le facoltà soppiantarono le nationes come organi corporativi principali, ad eccezione di Vienna e Lipsia. La situazione culturale alla vigilia della Riforma La disputa scolastica tra le correnti dell’aristotelismo raggiunse il suo culmine a cavallo del XV-XVI secolo. Con Guglielmo di Occam (†1347) si aprì la disputa scolastica sull’essenza degli universali portando ad una differenziazione dei metodi d’insegnamento: via antiqua (realisti) vs via moderna (nominalisti). Con la diffusione delle istanze umanistiche ci fu una conseguente critica al pensiero scolastico dal punto di vista formale — contro il latino “barbaro” —, pedagogico e d’utilità sociale. L’Umanesimo si diffuse dapprima fuori dagli atenei, i cui “seguaci” spesso divennero educatori dei principi nonché fondatori e membri di spicco di circoli letterari: le sodalitates, come quella di Corrado Muziano (†1526) ad Erfurt. I principi letterati si impegnarono per riformare le scuole di latino che diedero vita ai ginnasi umanistici. La nuova cultura trovò espressione nelle lauree poetiche: richiamandosi all’antico culto dell’alloro, il letterato humanista riceveva dagli imperatori — il primo poeta a farsi incoronare nell’Impero fu Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II — un “surrogato” di licentia, vedendo visti di cattivo occhio da parte delle università. In generale si constatarono forti ostacoli all’integrazione negli atenei, questi basati su di una struttura corporativa, un sistema economico andato sui beneficia — di cui gli umanisti spesso ne erano privi —, un’organizzazione didattica delle facoltà delle arti. Dapprima gli umanisti entrarono nelle università con lettorati retribuiti esterni al piano di studi, poi si tentò l’organizzazione di collegi con scarsi successi, come il Collegio dei poeti e dei matematici di Vienna, fondato da Massimiliano d’Asburgo (†1519) nel 1502 e diretto da Conradus Celtis (†1508), primo tedesco incoronato. Centrale fu invece il Collegio Trilingue di Lovanio, fondato da Erasmo nel 1519. Si andarono a generare scontri tra pensiero scolastico ed umanista nelle dispute scientifiche: le Epistolae obscurorum virorum, prodotte attorno al 1515, sono un esempio della reazione degli umanisti tedeschi alla “disputa di Reuchlin” — ebraista e cabalista che finì sotto processo per aver criticato il rogo di testi ebraici a Colonia — i quali composero questa operetta dal carattere aggressivo contro la scolastica di Colonia. Tuttavia nei fatti le università tedesche si stavano aprendo alle novità; un esempio lo si può trovare nel discorso programmatico di Filippo Melantone (†1560), nuovo docente a Wittenberg. Erasmo rappresentava al meglio la devotio moderna. Questo movimento religioso, nato nei Paesi Bassi con Geert Groote (†1384), cominciò a diffondersi nell’Europa del XV secolo e si divise in due rami: le comunità dei “Fratelli della vita comune”, e dei “Canonici regolari agostiniani” cui si unì anche Erasmo. I Fratelli svilupparono un’attività di beneficenza in ambito pedagogico attraverso pensionati studenteschi. I Devoti condividevano con l’Umanesimo l’avversione per la speculazione scolastica e la predilezione per i testi antichi. La devotio moderna influenzò in modo determinante scuole e collegi pre-universitari in particolare dell’Europa Occidentale (Loyola e Calvino dai collegi parigini, Lutero dal “Fratello” Gabriel Biel). Martin Lutero teologo all’università La Riforma nacque in seno alle università: Martin Lutero (†1546) era teologo nell’ateneo di Wittenberg. L’esperienza decisiva avvenne durante la preparazione di una lezione del 1516 dove si criticava l’aristotelismo; in occasione di una disputa sulle indulgenze del 1517 essa divenne anche un attacco alla Chiesa, Lutero difese le sue idee ad Heidelberg e Lipsia — dove si difese dalle accuse di Johannes Eck (†1543), teologo dell’università di Ingolstadt — avendo come referente principale il mondo accademico. Lo stesso processo per eresia si basò su perizie universitarie. Martin Lutero ebbe un iniziale appoggio dagli umanisti — tra i quali figurava Giorgio Spalatino (†1545), consigliere di Federico III il Saggio (†1525) e riformatore dell’università di Wittenberg — arrivando tuttavia a tesi inconciliabili tra le parti, in particolare sulla disputa con Erasmo sul libero arbitrio — uomo impotente vs Dio onnipotente — in pieno contrasto con l’etica erasmiana. La dieta imperiale di Spira del 1526 e la fondazione della prima università protestante Il mutamento di mentalità scatenò un’insicurezza generale che si riflesse in un repentino calo del numero degli studenti — evidente ad Erfurt — in tutte le università tedesche. Il giudizio di Erasmo secondo cui ovunque dominava il luteranesimo andavano in rovina le scienze non era isolato ed il superamento della crisi dell’istruzione non avvenne automaticamente: richiese sforzi energici a tutti livelli politici e intellettuali. Anche i protestanti erano consapevoli della crisi educativa, estesa per altro alla formazione elementare: Lutero non “legiferava” in materia, ma rimaneva chiaro il suo tentativo di affidare la politica educativa al potere laico. Con la dieta imperiale di Spira del 1526 e di Augusta del 1530 — dove Filippo Melantone presento la Confessio Augustana, esposizione ufficiale dei principii del protestantesimo — si tentò di rimettere il problema della competenza confessionale ai singoli principi che impedì la formazione di una Chiesa riformata nazionale. Già in Sassonia e in Assia teologi e giuristi su incarico dei signori territoriali cominciarono a ispezionare chiese e scuole: in Assia il langravio Filippo (†1567) convocò un sinodo a Honiberg dove nel 1526 si produsse la reformatio ecclesiarum Hassiae. Nonostante la “bocciatura” di Lutero fu fondato uno Studium a Marburgo nel 1527, che nel 1529 fu oggetto di una “lettera di privilegio” del signore territoriale: una dotazione con i patrimoni claustrali secolarizzati. Filippo Melantone e la riforma delle università Melantone attuò una mediazione tra Umanesimo e Riforma e venne considerato il fondatore della “scolastica protestante” per la “depurazione” di Aristotele da una logica cavillosa. Mediatore alle diete, scienziato e pedagogo, per la sua attività di organizzatore delle scuole fu soprannominato praeceptor Germaniae. Le nuove riforme universitarie, iniziate dalla città di Wittenberg, furono attuate con una modernizzazione dei programmi nel 1536 con particolare importanza ad un’attenta esegesi del testo sacro, formazione umanistica, rigetto della logica formale medievale del “libro delle sentenze” in favore del recupero dei Padri. Nel 1539 fu istituito il concistoro di Wittenberg che regolava l’ordinazione dei parroci e predicatori evangelici, di cui facevano parte non solo religiosi riformati, ma anche una componente dottorale. Sotto l’egida di Melantone, o dei suoi allievi e seguaci, furono avviate le riforme in molti atenei — Basilea, Tubinga, Francoforte sull’Oder, Heidelberg, Rostock, Copenhagen, Lipsia — e nuove fondazioni a Königsberg nel 1544 e Jena nel 1548. Tuttavia non sempre le riforme furono accettate subito come a Wittenberg, soprattutto nelle sedi più antiche vi fu l’imposizione dei principi contro le resistenze corporative: - Lipsia: opposizione dei teologi alla Riforma; nel 1539 fu imposta dall’esercito della Lega di Smalcalda. L’ateneo sarebbe divenuto un bastione luterano contro le nuove tendenze calviniste. - Tubinga: l’editto pro-Riforma del duca Ulrico (†1550) nel 1534 causò l’espulsione dei docenti, quasi tutti fedeli a Roma. Solo nel 1559 l’ordinamento di Johannes Brenz (†1570) completò il processo. - Heidelberg: accettazione solo nel 1558; l’anno dopo Federico III del Palatinato (†1576) la conduce al Calvinismo. L’università fu poi ostaggio dei cambiamenti di fede della dinastia del Palatinato. contava circa 930 iscritti a fine XVIII secolo; tutto ciò era dovuto al reclutamento, prettamente regionale, ed al rapporto stretto con il sovrano territoriale/città. Mancava un ateneo egemone come in Francia, sebbene un ruolo interregionale lo assunse Gottinga per tutto il Settecento: non un primato politico ma scientifico. I docenti erano “specialistici” in settori ben delineati; Athanasius Kircher (†1680) e Leibniz (†1716) rappresentano delle eccezioni. All’interno delle università si presentò la necessità di superare il pregiudizio di carattere statico sull’inerzia degli atenei nell’epoca dell’assolutismo, frutto di una deformazione illuministica: bisogna tener conto del ruolo sociale delle università, ovvero la formazione della classe dirigente/amministrativa sempre più spesso reclutata tra i ranghi aristocratici. Tra Sei e Settecento — un’età di modernizzazione accelerata per i territori germanofoni — gli studenti non superarono le 9.000 unità sebbene l’alta crescita demografica. La nascita del primo stato moderno Lontano dai due estremi opposti di Francia ed Inghilterra, l’assolutismo in Germania ebbe tratti ambivalenti: nel SRI non vi fu nessun riassetto costituzionale, rimanendo un agglomerato di stati retto sul bipolarismo imperatore-ceti imperiali; a Samuel von Pufendorf (†1694) appariva come «un corpo senza regole, simile ad un mostro» (De statu imperii germanici, 1667) dove non era definibile la teoria politica aristotelica. L’assolutismo si sviluppò negli stati estesi quali Brandeburgo-Prussia, Palatinato, Sassonia, Baviera, Austria; tutti con un esercito ed una cultura di corte. L’autonomia dei singoli stati impedì uno sviluppo assolutistico del vertice imperiale, ma esso fungeva da garante della struttura federativa. Ci fu forte autonomia anche nella politica scolastica: ceti e corporazioni furono in varia misura esautorata mostrando un forte parallelismo con l’organizzazione dello Stato. La politica universitaria nell’assolutismo di corte Durante la ricostruzione post-bellica si presentarono sia problemi che occasioni. Nonostante guidati da principi di rilievo — Carlo Ludovico del Palatinato (†1680), Ernesto il Pio di Sassonia-Gotha — molte università mantennero posizioni religiose antitetiche come Giessen e Marburgo. Carlo Ludovico del Palatinato, educato nei Pesi Bassi, aveva ambizioni volte alla tolleranza, evidente nelle nomine dei docenti di Heidelberg, prima roccaforte calvinista, successivamente furono chiamati anche luterani ed Ebrei; qui il principe fece compiere un giuramento di fede riformata solo per teologia. Venne chiamato Pufendorf che, rifiutandosi di svolgere lezioni di diritto romano, si dedicò all’insegnamento di diritto naturale e delle genti nella facoltà d’arti. Carlo Ludovico provò a chiamare anche Spinoza che però si tirò indietro («quali limiti ha la libertas philosophandi?»). Tra il 1688 ed il 1693 l’esercito francese devastò la regione; nel 1695 l’estinzione della linea aveva portato al potere i cattolici portando nel Palatinato nuovo caos religioso. Le guerre continuarono dopo il 1648 in particolare sul confine renano (Luigi XIV), balcanico (Ottomani) e baltico (grande guerra del Nord) con effetti distruttivi sugli atenei locali. Nonostante le difficoltà dovute al continuo stato di guerra, ci fu una “crescita” dello stato con nuovi organi di governo che prepararono la settorializzazione dell’amministrazione; anche l’educazione ne fu toccata. In tale ambito avvenne una limitazione delle libertà corporative, provvedimento che spesso si materializzava in un controllo della didattica e dei docenti: a Tubinga, nel 1652, si obbliarono i docenti a tenere rendiconti di lezioni e dispute; anche il controllo sulle nomine divenne più serrato a causa del forte nepotismo, osteggiato in ogni modo. La complessità dei compiti governativi richiese in misura crescente personale specializzato che divenne il vero e proprio depositario del potere statale. Nel XVI secolo questo personale era costituito da dotti consiglieri prevalentemente borghesi, nel XVII secolo avvenne un mutamento: da un lato la nobiltà si dedicò sempre più agli studi universitari e cacciò i giuristi borghesi dagli affari di governo; dall’altro l’alta borghesia cittadina ebbe la tendenza ad adeguarsi ai modelli comportamentali dell’aristocrazia e ottenne, mediante nobilitazione imperiale, l’accesso a cariche d’alto rango. A partire da metà Seicento si applicarono delle restrizioni legislative all’interno di quasi tutti gli atenei: da un lato si vietò di frequentare università straniere — anche all’interno dell’impero —, dall’altro si imposero limiti d’iscrizione delle classi subalterne. Lo Stato assolutista intensificò il rapporto tra università e scienze utili al governo; la giurisprudenza venne fondata sul diritto pubblico e naturale. Le nuove discipline pragmatiche delle scienze amministrative del cameratismo accompagnarono gli sforzi dei sovrani per favorire la prosperità e il benessere. Queste discipline comprendevano in senso lato il “buon reggimento”: la pratica amministrativa nel senso più ampio del termine. Il cameratismo — che deve il proprio nome alla camera dell’amministrazione del bilancio pubblico — si differenziava del mercantilismo francese e inglese anche per l’attenzione rivolta alle funzioni fiscali, all’economia sociale e alla demografia, necessarie per la ricostruzione dopo la guerra. Le loro opere diedero luogo all’istituzionalizzazione accademica di tale disciplina: le prime cattedre di scienza dell’amministrazione furono create in Prussia e a Francoforte, come preludio alla loro fioritura che avverrà durante “l’assolutismo illuminato”. Università e confessioni Con la pace di Westfalia del 1648, e la successiva accettazione del calvinismo, si limitò lo ius reformandi permettendo ai sudditi di praticare la loro fede anche se diversa da quella del principe; fu introdotto un periodo di transizione della durata di 3 anni per permettere l’emigrazione. Il diritto naturale aprì la strada alla religione individuale permettendo un affievolimento dell’uniformità religiosa principe-sudditi: le università già esistenti potevano, de iure, persistere nella loro confessione sebbene rimanesse decisivo il beneplacito del principe. Dal 1660 si attuarono diversi progetti di riunificazione religiosa, molti in ambito calvinista, ma anche dal principe-vescovo di Magonza Johann von Schönborn (†1673). Le nuove fondazioni sorsero, in genere, in campo riformato all’insegna della tolleranza come ad esempio Heidelberg con Carlo Ludovico. In Brandeburgo-Prussia, sotto il regno di Federico Guglielmo ci fu la fondazione dell’ateneo di Duisburg, caratterizzato dalla libertà confessionale sebbene sia sorto come roccaforte riformata contro Colonia. L’università di Kiel sorse nel 1665 per volontà del vescovo-principe Cristiano Alberto (†1695) con una facoltà di teologia basata sulla mediazione. Nonostante vari tentativi di rappacificazione, furono comuni per tutto il XVII secolo i casi di esautorazione dei docenti per motivi confessionali. Gli esuli Ugonotti provenienti dalla Francia sin dal 1685 furono accolti nel Brandeburgo-Prussia per motivi demografici e tutti i benefici — soprattutto in ambito produttivo — che ne derivavano, con una migrazione che accrebbe di molto Berlino. Nei territori cattolici vi erano invece forti attriti tra la componente gesuita ed il vescovo-capitolo. Ad Erfurt, in declino dal XVI secolo, nel 1649 si decise per una sua ricattolicizzazione: il tentativo portò solo alla fondazione della facoltà di teologia in un clima di forti conflitti tra gesuiti ed altri professori protestanti, causati anche dal forte status corporativo che caratterizzava l’ateneo oltre al debole controllo del signore territoriale, l’arcivescovo di Magonza. Nel Palatinato ci fu una forte cattolicizzazione ad opera del nuovo principe cattolico Giovanni Guglielmo del Palatinato-Neuburg (†1716) inserì una clausola nella Pace di Rijswijk del 1697 che confermò tale processo; seguirono confische ai Riformati e l’introduzione dei gesuiti. Nei territori asburgici sorse l’ateneo di Innsbruck, fondato nel 1675, il quale divenne subito un’università tradizionale a 4 facoltà senza la presenza della Compagnia di Gesù. In Slesia ci furono forti ostacoli alla ricattolicizzazione, soprattutto a Breslau: nel 1659 vi si fondò un collegio gesuita, trasformato in università nel 1702 da Leopoldo I di Lorena (†1729); solo nel corso del XVIII secolo si svilupparono facoltà non gesuitiche; solo Carlo XII di Svezia (†1718) riuscì ad imporre alcune restituzioni ai protestanti. Federico II Hohenzollern detto il Grande (†1786), continuò ad impegnare ex gesuiti dopo la soppressione dell’ordine del 1773. Fulda fu un’università completamente cattolica retta da benedettini e gesuiti; l’entità territoriale era retta da un principe-abate con poteri giurisdizionali vescovili. Per alcuni anni qui si svilupparono due scuole parallele (tarda scolastica gesuita vs protoilluminismo benedettino) dal cui scontro prevale la parte benedettina. A Salisburgo, nel 1731, il principe-vescovo Leopoldo Antonio Eleuterio von Firmian (†1744) espulse forzatamente circa 20.000 contadini sospettati di protestantesimo, di cui 3/4 furono accolti in Prussia. Nonostante l’apparente contraddizione, von Firmian favorì l’affermazione dell’illuminismo nell’università di fondazione benedettina (1622) con il formarsi del Circolo Muratori, conventicola che diffuse per qualche anno le idee del cattolicesimo riformatore (1740-1744). La crisi della coscienza europea: una rivoluzione? La crisi della coscienza europea, seguito della fine delle guerre di religione, venne percepita anche dai contemporanei: Leibniz nel 1700 presagì la novità assoluta: «la fine del secolo ha aperto ad una nuova natura delle cose», mostrando una tendenza che si sarebbe ancor più cementificata nell’era dei Lumi: la fiducia nella ragione. All’interno dell’Académie française nacque nel 1688 la Querelle des Anciens et des Modernes che smosse l’ambiente colto di fine XVII secolo: non più nani sulle spalle di giganti! Tale rinnovamento si compì in condizioni sociali diverse da paese a paese: sicuramente il baricentro culturale si spostò dall’Italia alla Francia, Inghilterra, Olanda. Aumentò maggiormente la corrispondenza tra intellettuali, sia via epistole che per una nuova mobilità propriamente fisica. Il superamento della scolastica tradizionale si potè valutare grazie all’apertura verso le tesi cartesiane; in Germania queste si diffusero tramite i Paesi Bassi soprattutto nelle università calviniste, influenzate da Leida. In questo periodo Herborn (calvinisita) vide dal 1649 l’insegnamento di Johannes Clauberg (†1665), costretto nel 1651 a riparare a Duisburg ove però fu sospettato dalla Chiesa riformata e gli fu richiesta l’ortodossia; paradossalmente la luterana Jena vide l’insegnamento di Erhard Wegel (†1699) che introdusse gli studenti — tra cui Leibniz — al metodo cartesiano. Un certo ritardo vi fu nelle università cattoliche, tuttavia nel 1704 nella facoltà di teologia ed arti di Ingolstadt divampò il conflitto tra cartianesimo ed atomismo di Pierre Gessendi (†1655). Nonostante mancassero i presupposti sociali presenti in Francia ed Inghilterra, nel processo illuministico tedesco le università ricoprirono un ruolo preponderante rispetto a circoli od accademie. Altro particolarismo fu uno sviluppo poco omogeneo, dipeso da territorio, confessione, società; in generale si registra per questo periodo una diffusione delle nuove idee nelle città imperiali, soprattutto in quelle protestanti. Nei territori cattolici quali Austria e Baviera le scienze rimasero ad appannaggio dei conventi: nel XVIII diversi ordini monastici divennero simili a società scientifiche, ma l’illuminismo cattolico e protestante non fu caratterizzato da sistemi chiusi, mostrando caratteristiche comuni nell’interesse teologico-religioso, nelle posizioni moderate, nel metodo didattico. Diverse furono le modalità di ricezione, una delle quali fu proprio il contatto dei singoli con le grandi personalità, soprattutto in ambiente monastico — Jean Mabillon (†1707) fece un “tour” dei conventi nel 1697 —; in generale nel Seicento fu fondamentale l’influsso delle università olandesi. La filosofia razionalista ed il giusnaturalismo furono recepiti tramite le università protestanti. Il metodo storico-critico fu mutuato dalla Congregazione di San Mauro (Saint-Germain-des-Prés) e dal riformismo cattolico italiano. Se l’Illuminismo fu “spontaneo” nella prima fase, nell’epoca dell’assolutismo illuminato fu promosso dall’alto. Le “moderne” università protestanti Halle, Gottinga ed Erlanger sono considerati i primi centri dell’Illuminismo in Germania, ma correnti filosofico-scientifiche come il razionalismo ed il pietismo forno ancora discussi e talvolta censurati negli atenei: la carriera di alcuni “pionieri” del nuovo spirito dimostrano il clima di controllo principesco: Christian Thomasius (†1728), il suo allievo Christian Wolff (†1754) ed August Hermann Francke (†1727), sostenitori del pietismo di Spencer, iniziarono come docenti a Lipsia; la città era un centro culturale ed editoriale notevole — nel 1682 Mancke vi fondò gli “Acta eruditorum” —, tuttavia la rigidità della scolastica luterana dell’ateneo poneva un freno alle innovazioni: sia Thomasus che Francke furono costretti a lasciare la città attorno al 1690, diventando personalità centrali nella fondazione di Halle. Wolff raggiunse il maestro nel 1706, ma dopo anni di successi fu accusato di ateismo e costretto alla fuga nel 1723. Francke aveva fondato un istituto educativo-assistenziale ispirato dal pietismo, modello della futura politica educativa elementare del governo prussiano. Halle era una scuola direttamente subordinata allo stato, il quale aveva il compito di nominare il cancelliere. L’università riscosse un successo enorme anche per la presenza di una Ritterakademie: nel 1740 l’ateneo aveva 1.500 studenti. Al suo interno vi erano diverse correnti ideali, anche opposte: Georg Ernst Stahl (†1734) ed il suo vitalismo medico, ma anche il meccanicismo di Friedrich Hoffmann (†1742). Per quanto riguarda materie prettamente sociali ci fu la diffusione dell’“aspetto pratico” evidente nelle scienze camerali. L’università ispirò il sistema di esami — abilitativi e propedeutici — che fu adottato dal governo prussiano. A Gottinga i presupposti politici erano ben diversi: l’Hannover-Brünswick, il più recente tra gli stati elettori, non ebbe uno sviluppo assolutista in quanto il principe era dapprima re d’Inghilterra: lo stato era gestito dal consiglio segreto e localmente dagli stati provinciali. La fondazione dell’università fu dovuta al ministro Gerlach Adolph von Münchhausen (†1770), ex studente di Halle; lo sviluppo dell’università fu importante tale da causare sospetti delle maggiori università esistenti. L’istruzione, di stampo aristocratico, si basava su una cultura orientata ai Realia, per il compito dei nobili dello stato, con docenti di carattere empirico. Di struttura tradizionale — rettore, facoltà, senato — l’ateneo era inglobato nell’apparato statale: il governo infatti decideva docenti e discipline oltre a finanziare direttamente l’università la quale non possedeva un patrimonio proprio. Nel 1739 fu creata una cassa per vedove ed orfani per le famiglie dei professori, mostrando per la prima volta forme di assistenzialismo verso il ceto impiegatizio. Circa la didattica, si diede poco peso alla confessione, riducendo la censura e ampliando la libertà di insegnamento per i docenti; altra evoluzione in seno alle lezioni fu l’abolizione della dettatura con la creazione del “seminario filologico” diretto da Johann Matthias Gesner (†1761), poi da Christian Gottlob Heyne (†1812). La teologia fu surclassata da nuove discipline quali storia, politica, statistica, economia, lingue: un virtuosissimo esempio fu la filosofa Dorothea von Schlözer (†1825); anche le scienze ivi insegnate ebbero grande eco in tutto l’impero, in maniera maggiore dopo l’integrazione della locale Accademia delle scienze nel 1751. Ad Erlangen, cittadina della Franconia nella quale si sviluppò lo stabilimento dei profughi Ugonotti, nel 1701 venne fondata una Ritterakademie, trasformata in università nel 1743 grazie a Von Superville. regole d’ammissione più severe e le cattedre furono aperte alla componente straniera. L’università della capitale fu intesa come centro di formazione per il clero ed insegnanti; per l’amministrazione civile si provvide rifondare l’Accademia militare di Sorø nel 1764. Qui il carattere moderno fu decisivo, con insegnamenti di storia, economia, scienze camerali, filosofia, geografia, matematica. Furono introdotte anche materie nobiliari e dal 1782 anche giurisprudenza; tuttavia fu chiusa nel 1793. In Svezia la politica educativa riformista fu legata ad una concezione utilitaristica: nel 1739 venne fondata la Reale Accademia delle Scienze; Linneo (†1778), fondatore dell’accademia, fu anche professore di medicina e botanica ad Uppsala. La tendenza utilitaristica fu forte soprattuto a Turku, volta al miglioramento agricolo ed economico: ci furono ricerche per una maggior efficenza dell’agricoltura, avversata dal clima sub-polare scandinavo, oltre che chimiche ad opera di Jöns Jacob Berzelius (†1848), con la diffusione di laboratori chimici ed orti botanici negli edifici universitari. Circa la medicina le fu data scarsa importanza fino ad inizio Settecento — gli svedesi andavano in Olanda per apprendere l’arte medica —; poi si diffusero esercitazioni pratica ed esami. La crescita fu registrata anche nelle discipline umanistiche: da fine secolo aumentarono gli interessi storico-archeologici con Henrik Gabriel Portham (†1804). Le agitazioni politiche di inizio XIX secolo, tra cui la divisione tra Svezia e Norvegia, porto alla fondazione dell’università di Christiana nel 1811, con la volontà, da parte dei norvegesi, di sviluppare una propria identità. La Finlandia, nonostante l’annessione russa del 1809, rimase un Granducato autonomo, luterano e con leggi di eredità svedese. Turku venne identificata come università nazionale crescendo di effettivi; venne spostata ad Helsinki nel 1828. LE UNIVERSITÀ OLANDESI Le fondazioni universitarie nei Paesi Bassi avvennero relativamente tardi: il primo caso fu l’università di Leida, fondata nel 1575; tuttavia vi erano varie scuole locali che offrivano una preparazione non dissimile dalle facoltà d’arti. Motivo di questo ritardo lo si può trovare nelle vicine università imperiali, come Colonia, le quali attiravano studenti della zona renana; inoltre, fino agli anni ’60 del XVI secolo, i Paesi Bassi erano un dominio più esteso — fino alla Mosa — comprendendo le università di Lovanio (1425) e Douai (1559), quest’ultima voluta da Filippo II in funzione antiriformistica e rifiutando fondazioni nel Nord, generalmente più insofferente al potere del monarca spagnolo. Con la lotta per l’indipendenza, le Province Unite del Nord si dotarono presto di centri d’insegnamento superiore: il primo centro, Leida, fu voluto da Guglielmo d’Orange (†1584) con un falso diploma di Filippo II; presto però altre università provinciali — Franeker in Frisia nel 1585, Groningen nel 1614, Utrecht nel 1636, Deventer, con scarso successo, nel 1630 — vennero create ex nihilo o dall’evoluzione di gymnasia illustria. Congiunture studentesche Le aspirazioni universitarie di Deventer vennero frustrate dalla concorrenza di altre città della provincia: la rivalità tra atenei fu una caratteristica dei Paesi Bassi, in qualche modo vantaggiosa nel XVII secolo per l’accaparrarsi dei migliori intellettualistranieri. Le università provinciali non riuscirono ad ottenere un monopolio sui connazionali: in quanto a misure coercitive, le Province Unite non si spinsero mai oltre la proibizione di frequentare università situate in territorio nemico; semmai forme di divieto si applicavano verso Studia che si ritenevano essere sotto controllo dei “gesuiti”, termine utilizzato per indicare una serie di scuole od università legate alla Chiesa di Roma: alla fine del Cinquecento vi fu una forte mobilità sia interna che esterna: la saturazione degli studenti non permise la progettazione di un sistema di collegi, tanto vero che le scolaresche alloggiavano nelle città. Una rete così fitta rappresentò un problema nel periodo di stagnazione che seguì, attuando diversi progetti di trasferimento o di “morte programmata” di centri di studio, soprattutto gymnasia illustria. Si modificò anche il ruolo sociale delle istituzioni scolastiche: nel Seicento solo una minima parte degli studenti si laureava, la fetta più ampia ricercava un’infarinatura culturale; solo nel Settecento la concessione di titoli divenne più importante nella domanda degli iscritti, l’obiettivo professionale e di prestigio sociale divenne più evidente, di pari passo con la riduzione degli iscritti. Università e scuole latine Il tardivo sviluppo di università nelle Province settentrionali si spiega anche con il fiorente sistema di scuole già esistente. La Frisia e le Fiandre erano regioni molto urbanizzate, con una borghesia commerciale molto sviluppata; d’altro canto le università erano parecchio lontane ed i borghesi locali preferirono investire sull’educazione in loco: una vasta rete di collegi erano sorti a partire dalla fine del XIV secolo, dapprima nella regione di Utrecht e sull’Yssel — Deventer e Zwolle — con un forte legame con la Devotio moderna. In questi secoli la crescita degli studenti ebbe un boom, con uno sviluppo strutturato sul modus parisiensis con Johan Cele (†1417), rettore della scuola di Zwolle e legato alla Devotio moderna, istituì la separazione in otto classi con progressione didattica: le classi superiori, le cosiddette scuole latine, impartivano una formazione filosofica in linea con le facoltà di arti. Questa rete educativa favorì lo sviluppo tardo di università e gymnasia illustria, tuttavia fu sempre una struttura parallela alla facoltà di arti. Non riuscendo a stabilizzarsi come propedeutica, le facoltà di arti assunsero presso la funzione di educazione superiore di filosofia, matematica, fisica e scienze; ancora nel XVI secolo molte scuole non universitarie divennero, per il livello del loro insegnamento, dei gymansia illustria. Questo carattere non propedeutico fu tra le ragioni della grande fioritura scientifica delle università olandesi, tuttavia avulse di un curriculum stabile ed un controllo sul lassismo studentesco. I gymnasia illustria All’inizio dell’età moderna erano presenti circa 15 gymansia illustria sul territorio, molti dei quali decaddero assieme a diversi atenei per la saturazione studentesca del XVIII secolo. I rivoluzionari della Repubblica Batava (1795) progettarono addirittura di concentrare le risorse in un’unica istituzione, mentre i francesi nel 1810 mantennero in piedi solo i centri di Leida e Graminger. Sebbene i gymnasia non potessero concedere titoli, riuscivano ad impartire un’istruzione di livello universitario, inoltre il sistema delle cattedre era svincolato dalla rigida articolazione in facoltà, più adatto a recepire novità, soprattutto ad Amsterdam e Rotterdam. I gymnasia illustria furono fondati sia dai consigli municipali delle città sia dal sovrano: i Paesi Bassi fondarono nel 1683 un gymansium a Maastricht come centro d’istruzione riformato a fronte dello Studium domenicano ivi fondato nel 1648 in questa città. Le Province Unite non solo possedevano una rete della città ben articolata in poco spazio, ma anche un potere politico nelle mani dei dirigenti delle città: le università ed i gymnasia illustria servirono da supporto essenziale per la diffusione della cultura urbana tipicamente olandese. Due modelli di università Si sviluppò una doppia concezione dell’insegnamento, evidente nel conflitto tra Leida ed Amsterdam, dopo che in quest’ultima fu fondata una scuola superiore nel 1631. Leida aveva il privilegium exclusivum sulla provincia d’Olanda e Zelanda ma, nonostante la carta proibiva una scuola simile, la disputa si risolse in favore di Amsterdam. L’università di Leida ebbe la funzione di strumento del potere centrale per controllare l’ortodossia dei servitori della Chiesa e dello stato; Amsterdam invece ebbe un ruolo più strumentale al bisogno dei cittadini: già nel 1617 la città tentò di istituire una “Accademia olandese” con corsi in volgare di discipline che coniugavano erudizione e richiesta di utilità da parte della borghesia commerciale come ebraico, navigazione, storia, matematica, astronomia. Il suo scopo era quello di formare il mercator sapiens. L’università si sviluppava invece nel senso di un’istituzione professionale per giuristi, medici e teologi, con un sapere specializzato e codificato da un élite di scienziati; tuttavia permase una concezione utilitaria del sapere impartito nelle università con osservatori, orti botanici, teatri anatomici i quali erano percepito come spazi simbolici in cui la borghesia “investiva” nella scienza per curiosità verso la natura. Fin dal 1600 fu aperta a Leida, su suggerimento dello Statolder Maurizio di Nassau (†1626), una scuola per ingegneri, la prima d’Europa in seno l’università. L’architettura civile e militare erano le materie principali. Studenti, intellettuali e docenti I centri di sapere olandesi si caratterizzavano per una fitta rete di legami personali, sia tra studenti che professori. Tre famiglie in particolare furono protagoniste dello sviluppo universitario dei Paesi Bassi in età moderna: - Jacobson: famiglia patrizia di Deventer di cui ben 16 maschi cominciarono gli studi tra il 1670 ed il 1795 di cui la maggior parte iniziò il proprio percorso di formazione dai gymnasia, mostrando una mobilità interna, a discapito di quella estera, elevata con la creazione di uno “spazio educativo unificato”. - Helvetius: erano caratterizzati da una mobilità ed occupazione medica di tutta la famiglia, originaria del Palatinato; il ramo della famiglia calvinista si spostò a Basilea, poi ad Amsterdam. - Matthaeus: anche loro originari della Germania, erano tutti docenti di differenti discipline dediti a molte “alleanze” matrimoniali con altre famiglie dottorali. Un irradiamento internazionale? Le Province Unite erano uno stato in lotta prive di un sovrano. Sia il sovrano di Spagna che l’imperatore del SRI rifiutarono di riconoscere le università olandesi e i loro diplomi, privi di valenza legale, create in una situazione di vuoto giuridico. I loro diplomi rischiavano quindi di non avere alcun effetto civile; fu il re di Francia Enrico IV (†1610) che accettò di riconoscere i diplomi di filosofia in diritto civile di Leida nel 1597, seguito da Luigi XIII (†1643). All’apogeo della Repubblica — nel secondo quarto del XVII secolo — 1/3 degli immatricolati di Leida era di origine straniera, in parte nobile. Ci fu anche un forte reclutamento di borghesi, maggiormente interessati al futuro professionale ed iscritti soprattutto a medicina — la “Leida connection” scozzese — e teologia. Gli studenti affluivano soprattutto dai territori imperiali calvinisti quali Frisia, Assia, Renania inferiore, Nassau, Prussia, città anseatiche (Amburgo, Brema, Danzica), cantoni svizzeri calvinisti, Scozia e Ugonotti; spesso accolti in massa. Un’università riformata? Le prime università olandesi furono fondate essenzialmente per garantire un insegnamento teologico calvinista ai candidati che volevano dedicarsi al ministero. Tuttavia la ribellione contro la Spagna non aveva avuto come unica posta in gioco l’introduzione della religione riformata, anzi molti rivoltosi erano sia cattolici sia indifferenti in materia religiosa, nonché una piccola minoranza ebraica, sfuggita alla fine del XV secolo dai regni iberici. L’afflusso dei calvinisti veniva principalmente da Sud, molti dopo la caduta di Aversa del 1585. Con le tensioni generate dopo il sinodo di Dordrecht (1618-1619) la Chiesa riformata fu solo riconosciuta come fede dominante, mantenendo una certa tolleranza nell’aspetto privato. La Chiesa riformata diffidava dalle università in quanto sottoposte al potere politico di città e province, fuorché le facoltà di teologia: i docenti dovevano di norma aderire alla confessione di Heidelberg, solo nel Settecento furono ammessi altri credi protestanti. Molti insegnanti avevano tuttavia tendenze eterodosse: ci furono diversi licenziamenti per motivi religiosi o solo in apparenza politica; le autorità ecclesiastiche riformate non avevano infatti nessun controllo sulle nomine dei docenti. Fallì il tentativo di imporre il giuramento riformato a tutti gli studenti mentre ai cattolici olandesi fu proibito lo studio nei territori spagnoli quali Douai e Lovanio: rimasero per lo più fedeli, emigrando solo nel caso di ambizioni ecclesiastiche. L’UNIVERSITÀ E I PHILOSOPHES Secondo le idee dei philosophes, il mondo poteva cambiare e migliorare mediante l’applicazione della ragione umana; ritenevano che le conquiste dell’Illuminismo recassero in se l’occasione di progredire, cancellando l’opinione che l’umanità fosse condannata a una vita “difficile, crudele e breve” (Hobbes). Tra le istituzioni che attirarono gli sguardi critici dei philosophes ci furono le università, in parte per il loro retaggio medievale ed a lungo collegati con la Chiesa, gli atenei furono inevitabilmente soggetti alle censure degli illuministi. Diderot rappresentò l’università come oppositrice alla marea dell’Illuminismo, evidenziando inoltre un’altra critica sostanziale rivolta alle università: un esempio di sopravvivenza del corporativismo medievale, infatti nel 1793 le università furono abolite in tutti i territori della Francia rivoluzionaria assieme ad altre realtà basate sul corporativismo come le gilde. Per i philosophes il sapere era un prodotto della ragione piuttosto che della tradizione e andava valutato secondo le sue capacità di trasformare e migliorare la società, mentre la maggioranza degli accademici si considerava custode di un corpus di conoscenze trasmesso dalle epoche passate e che aveva il compito di insegnare alle future. Sia professori che philosophes credevano nell’uso della ragione, ma con finalità diverse: gli accademici per elaborare, sviluppare e difendere un bagaglio di conoscenze già esistenti, gli illuministi per porre sotto esame e, se necessario, abbattere la tradizione erigendo al suo posto concezioni diverse del sapere. In Inghilterra le idee illuministe trovarono benevola accoglienza nelle dimore di campagna degli aristocratici, ma anche nei cafe e nei club di Londra. Istituti come la Royal Society e la Society of Antiquares offrivano altre opportunità di vita intellettuale extra-universitaria e verso il XVIII secolo si presentarono, anche in provincia, un numero maggiore di istituzioni che favorirono la diffusione dei principi illuministici. Tuttavia il conflitto fra philosophes ed università fu meno aspro che in Francia, a conferma della disinvoltura con cui in Inghilterra, a differenza di quanto avvenne in Francia, le idee dell’Illuminismo furono largamente assorbite nell’ordine costituito. I Commonwealthmen (repubblicani di Inghilterra) del XVIII secolo costituivano l’ala estrema del partito Whig — prendevano il nome dalle radicali riforme politiche e religiose di Oliver Cromwell — erano sostanzialmente il “corrispettivo” inglese dei philosophes. Fra i bersagli delle loro critiche c’erano Oxford e Cambridge, considerate fabbriche di clericali; tali sentimenti si concretizzarono nel 1719 in un progetto per la riforma dell’università che tuttavia non ottenne neppure udienza parlamentare. In ogni caso anche l’università manifestò una certa capacità di auto riformarsi. Già nel XVIII secolo Cambridge si sbarazzò di gran parte del tradizionale curriculum di ispirazione scolastica sostituendolo con un corso di studi basato su precetti newtoniani. Anche in Scozia l’Illuminismo fu generalmente incanalato nell’alveo dell’ordine vigente. Una delle riforme più significative fu l’abolizione del sistema in base al quale gli studenti erano affidati per l’intero complesso
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