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M. Bettalli, "Storia Greca" - RIASSUNTO, Sintesi del corso di Storia

Riassunto del manuale M. BETTALLI, "STORIA GRECA"

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Scarica M. Bettalli, "Storia Greca" - RIASSUNTO e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! STORIA GRECA – M. BETTALLI CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE: DEFINIZIONI, CRONOLOGIE E GEOGRAFIE 1.Problemi di identità I Greci erano definiti come una popolazione indoeuropea giunta da nord della zona che da loro prenderà il nome; le ondate di invasori si presentavano già caratterizzate dalla divisione in stirpi (ioni, eoli, dori). Nulla è rimasto di tale costruzione e neppure sono rimasti i Greci, nel senso che non sono mai arrivati, ma si sono formati in Grecia nel corso di un lunghissimo processo storico > fondamentale l’identità locale, a differenza di una incerta identità di popolo. Venivano ritenuti Greci coloro che potevano partecipare ai giochi olimpici, ma questo non risolveva il problema di appartenenza identitaria. In ossequio alla regola generale che l’identità viene esaltata in presenza di un nemico comune, fu durante le guerre persiane che i Greci formularono la migliore definizione di se stessi: erano Greci coloro che condividevano lo stesso sangue e la stessa lingua, e i santuari comuni degli déi, i sacrifici e gli usi analoghi. Riassumendo, elementi comuni: • Comunanza della lingua • Condivisione di costumi • Venerazione degli stessi dèi, ossia prendere parte agli stessi rituali Definizione moderna di Hellenikòn, non lontana da quella antica, è: i Greci sono coloro che, nel corso dei secoli, partendo da un sostrato linguistico comune, sono giunti a condividere una corposa serie di usi, costumi, abitudini, credenze religiose. Non è una definizione esatta, poiché, ad esempio, consentiva a Demostene di scagliarsi contro Filippo, pur potendo partecipare ai giochi olimpici; oppure, il dinasta siculo Ducezio, anche se probabilmente era più greco di costumi di qualsiasi abitante della Tessaglia o dell’Etolia, certo non sarebbe mai stato ammesso alle Olimpiadi. 2.I confini della storia greca La storia greca ha confini assai vaghi: è problematico individuare un minimo comune denominatore che permetta di stabilire quanto la riguardi e quanto no > in quest’ottica, diremo che il criterio più promettente – quello della lingua – costringerebbe a giungere fino alla caduta dell’impero bizantino, addirittura nel 1453 d.C., mentre escluderebbe la civiltà minoica del III-II millennio. Dunque, i limiti posti sono frutto di convenzioni. GLI INIZI. A lungo la storia greca iniziò con Omero: è la stessa predominanza delle fonti scritte che portava a trascurare l’età arcaica e a concentrare l’attenzione sui due secoli dell’età classica, ma il progredire delle ricerche archeologiche hanno fatto sì che i Micenei, civiltà fiorita nei secoli centrali del II millennio, fossero considerati parte integrante della storia greca. Per contiguità geografica, non è possibile trascurare la civiltà che precede la micenea a Creta e nell’Egeo, ossia la civiltà minoica. LA FINE. Alcuni studiosi avevano in passato individuato un nesso tra il concetto di libertà e il procedere stesso della storia: di conseguenza la fine della storia greca era stata posta nel momento in cui le poleis avrebbero perso la loro autonomia. Il momento tradizionale di questa catastrofe era la vittoria di Filippo il Macedone su Atene e Tebe; addirittura Gaetano De Sanctis1 si era fermato al processo di Socrate nel 399. Posizioni simili sono ormai insostenibili poiché il concetto di liberà fa acqua da tute le parti: ci sono dunque altre ragioni per spostare i confini della storia greca. Tali ragioni sono state “scoperte” da Gustav Droysen nel 1833, che valorizzò il concetto di Ellenismo, dando questo nome alle vicende politiche e culturali degli stati sorti dalle conquiste di Alessandro Magno: tale scoperta giunge a collegare le radici della civiltà greca al Cristianesimo e la cui estensione, idealmente, non avrebbe dovuto arretrarsi se non con la caduta di Bisanzio del 1453 d.C. In concreto, sono state scelte date che hanno limitato il campo degli studi di storia greca. Furono così adottate come termine del percorso: 1. Pace di Naupatto , ultima vicenda che coinvolge unicamente protagonisti greci(Beloch, anno 217); 2. Distruzione di Corinto a conclusione dell’ultima rivolta greca al dominio romano (146); 3. Battaglia di Azio, dopo la quale l’ultimo grande regno ellenistico – quello d’Egitto – cade in mano romana (31); 4. Chiusura da parte dell’imperatore Giustiniano delle scuole filosofiche di Atene (Bengston, 539 d.C.). 3.Il “miracolo” greco e le fonti della storia greca I Greci erano consapevoli di essere gli ultimi arrivati: Platone nel Timeo introduce un sacerdote egiziano che dice a Solone: “Voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco che sia vecchio non c’è […] nelle vostre anime non avete alcuna antica opinione che vi pervenga da un’antica tradizione, né avete alcuna conoscenza che per il tempo trascorso sia ormai diventata canuta”. Dunque è implicito un processo di incontro con altri popoli e altre civiltà, e l’età classica è così considerabile quella dell’arroccamento in se stessi. Per quel che riguarda le fonti, diremo che quelle letterarie sono state a lungo considerate le più importanti e, tra esse, le opere storiche. È per questo motivo che le guerre persiane, narrate da Erodoto, o la guerra del Peloponneso, immolata da Tucidide, sono state a lungo privilegiate. Ciò è avvenuto non solo nei secoli anteriori all’Ottocento, quando ancora non era stato superato il profondo senso di inferiorità nei confronti degli storici classici, per cui la storia antica altro non era che la riproposizione e la parafrasi dei grandi testi storici dell’antichità, ma anche in tempi relativamente più recenti. Detto questo, non è comunque possibile trascurare in alcun modo le gradi narrazioni storiche: la storiografia greca antica rimane fondamentale sia per la tradizionale storia politico-militare, sia per quella storia che chiamiamo evenemenziale, cioè degli avvenimenti. Importante per comprendere le vicende politiche è anche la storia economica, sociale e culturale: non va trascuratala diversità del mondo greco antico 1 1 Storico dell’anteguerra Troia, centro primario del collegamento tra le entità politiche allora esistenti in Grecia e gli stati della regione anatolica. Quanto alle genealogie, la loro formazione è stata riconosciuta come soggetta a selezioni dovute a vari fattori, e non fededegna addirittura per periodi poco distanti nel tempo. Ma esibire un albero genealogico che annoverasse tra gli iniziatori della famiglia personaggi del mito, dunque leggendari, fu particolarmente importante per i Greci. In conclusione, la tradizione orale della Grecia antica non può essere facilmente adoperata per la ricostruzione del passato che essa pretende di registrare; piuttosto la sua importanza va limitata alla ricostruzione dei valori della società che quella tradizione aveva ereditato. C’erano però altre fonti di conoscenza del proprio passato. In primo luogo gli oggetti antichi in circolazione: l’archeologia fornisce molti esempi di oggetti dell’Età del Bronzo che rimasero in circolazione in periodi più tardi. I sigilli di pietra intagliati sono l’esempio più comune. Più inconsueto il caso di una statuina fittile d’età arcaica, rinvenuta in Beozia e oggi conservata al Louvre. Intorno al collo è dipinta una collana da cui pende la rappresentazione di una statuina fittile micenea: dunque molti secoli dopo la fine dell’Età del Bronzo, statuine micenee erano ancora in circolazione. Accanto agli oggetti deve essere tenuta presente l’esistenza di rovine di edifici monumentali e l’incidenza che queste devono aver avuto sull’immaginario degli abitanti della Grecia antica. Strutture murarie poderose, come le facciate dei palazzi, o delle tombe monumentali dell’Età del Bronzo rimasero parzialmente in vista anche dopo la scomparsa delle società che le avevano create. Certo è che tali rovine abbiano contrassegnato in maniera potente il paesaggio dell’antica Grecia, condizionando fortemente la percezione del passato da parte di chi a quel tempo popolava quelle terre. Non va infine sottovalutato che in Grecia oggi, come in passato, fenomeni di erosione dei suoli sono spesso all’origine dell’affioramento di resti più antichi: si ricordi, ad esempio, le tombe minoiche che vennero alla luce nell’ottobre 2004 ad Amnios. In definitiva, non stupisce che il rapporto con le rovine abbia svolto in Grecia un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità che le comunità locali svilupparono in determinati momenti della loro storia. In conclusione, i Greci d’età arcaica e classica ebbero coscienza dell’esistenza di un passato glorioso, e ad esso attribuirono oggetti antichi, costruzioni monumentali, i cui resti erano in vista da secoli, e storie “eroiche” tramandate oralmente, la cui origine può in alcuni casi risalire al II millennio. Ma di tale passato i Greci non colsero con esattezza né l’articolazione culturale né tantomeno la profondità cronologica, che si devono invece esclusivamente alla ricostruzione moderna. La loro visione della preistoria non va dunque confusa con la nostra ricostruzione delle fasi più antiche della storia greca. 3.Il contesto geografico e culturale Il Mediterraneo è un’area alla quale la tendenza alla mobilità e quella alla migrazione sono connaturate: la diversità delle singole regioni rende necessaria una continua mobilità dei gruppi umani per sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalle singole terre. Ne deriva che interazione culturale e mescolanze etniche siano elementi caratterizzanti: sarà così semplice comprendere i modi svariati tramite i quali nel mondo antico l’interazione culturale ebbe luogo commercio; scambio, dono, trasferimento di manodopera, know-how, matrimoni dinastici, circolazioni di idee, spostamenti individuali, occupazione militare, saccheggio, trasferimento forzato di gruppi. Il problema però è quello di definire le dinamiche di tali processi di interazione evitando di cadere nella genericità del concetto di “influenza” che non aiuta a spiegare in termini storici i modi in cui due o più culture vennero in contatto. Ci furono secoli di elaborazione interna e una continua interazione culturale con le aree circostanti. Nel Vicino Oriente organizzazioni statali e imperiali erano già formate in gran parte nel III millennio e avevano dato luogo a un complesso sistema di relazioni, alleanze e contatti, che includeva anche il controllo delle rotte di comunicazione e approvvigionamento di materie prime all’interno del Mediterraneo. Nel II millennio di questo sistema entrano a far parte Creta prima e il contingente greco subito dopo: l’adozione del “palazzo”, la sofisticata gestione e amministrazione delle risorse, il far parte di una rete piuttosto vasta di rapporti intrecciati segnano l’appartenenza a tale contesto. Creta e la Grecia nel II millennio, dunque, rappresentano le estreme propaggini occidentali del sistema economico e culturale creato e sviluppatosi nel corso di più di due millenni nel Vicino Oriente. CAPITOLO 3 – CRETA MINOICA: LA FORMAZIONE DELLO STATO IN EGEO 1.La Grecia nell’Antica età del Bronzo L’inizio dell’Età del Bronzo nell’area egea si pone intorno al 3000. I processi che furono alla base della diffusione di oggetti di metallo, si verificarono già a partire dai secoli finali del Neolitico. L’Antica Età del Bronzo (3100-2000) è un periodo di grandi innovazioni. La formazione di numerosi nuovi insediamenti e la conseguente crescita demografica sono i fenomeni più appariscenti. Emergono adesso come centri di potere Manika in Eubea, Lerna, Micene e Tirinto in Agrolide, e Cnosso a Creta. Si intensifica adesso l’intensificazione degli scambi a livello interregionale. Segni di incipiente complessità sociale sono evidenti in numerosi siti della regione egea. La spiegazione tradizionale, che si deve nel 1972 a Renfrew, collega queste trasformazioni all’introduzione della cosiddetta policultura mediterranea. Un modello alternativo risale al 1981 ed è stato offerto da Sherratt: le trasformazioni legate all’introduzione dell’aratro e allo sviluppo di una vera e propria attività agricola avrebbero anche comportato lo sviluppo della pastorizia e dei prodotti da essa derivati. Entrambi questi modelli sono stati posti in discussione sulla base dell’assenza di una sufficiente evidenza paleoambientale per tutta l’area in questione. Se le trasformazioni sembrano comunque riguardare tutta l’area presa in considerazione, non c’è dubbio che nell’ultima fase (2200-2000) del periodo la storia delle regioni egee, che fino a questo momento si era svolta per così dire in parallelo, diverge. Distruzioni e ridimensionamenti appaiono caratterizzare gran parte della Grecia centrale e meridionale e l’Egeo nord-orientale e distruzioni generalizzate sono note per lo stesso periodo nel Vicino Oriente. Per spiegare una tale similarità si fa ricorso al modello dell’invasione: in Egeo sarebbe giunta una popolazione di ceppo indoeuropeo e con predominanti caratteristiche guerriere, i “Greci”, proveniente forse dall’Asia centrale. I limiti di questa ipotesi sono però numerosi da un punto di vista archeologico, linguistico e anche teorico, e per 1 sostituirla ne sono state formulate altre. Una delle più interessanti è fondata sulla possibilità di una forma avanzata di degrado del territorio causata dall’eccessivo sfruttamento. Consistenti fenomeni di erosione sono documentati in alcuni siti dell’Argolide e delle Cicladi, ma sembra difficile anche immaginare che una crisi di tal natura si sia verificata in una così larga area in uno stesso momento. Forse è più verosimile l’ipotesi di clima arido. A Creta invece sembra cogliersi una cera continuità con il periodo successivo: dunque solo a Creta gli indizi di complessità sociale emersi nel corso del III millennio trovano un ulteriore sviluppo nella formazione dei primi palazzi. 2.La formazione dello stato a Creta nella Media Età del Bronzo: la fase protopalaziale (1900-1700) IL PALAZZO. Diverse teorie spiegano processi sociali e politici la comparsa a Creta intorno al 1900, a Cnosso, Festòs e Mallia, di edifici monumentali a più piani organizzati intorno a una corte centrale, edifici noti nella letteratura archeologica come palazzi. L’uso del termine risale ad Arthur Evans e consente di collegare tutto il retroterra culturale di stampo vittoriano del ricco e fortunato inglese al quale si deve la scoperta più importante centro cretese dell’Età del Bronzo. A Evans si deve anche l’adozione del termine “minoico” per designare l’originale civiltà che caratterizza l’isola in questa fase. Un palazzo evoca subito l’idea di un re e di una regina: a Evans infatti risale l’idea che i palazzi cretesi fossero la residenza dinastica del re-sacerdote. L’interpretazione del palazzo minoico come centro di potere economico si deve nel 1972 a Renfrew, il quale lo considerò il nucleo centrale di un’agenzia centralizzata a carattere territoriale fondata sul sistema della redistribuzione. Applicando all’Egeo le teorie del neo-evoluzionismo culturale americano Renfrew considerò i primi palazzi come la fase più antica di un processo evolutivo che avrebbe attraversato più stadi. L’idea che i più antichi palazzi minoici fossero il centro di uno stato territoriale finalizzato alla produzione e redistribuzione dei beni prodotti nell’area ridimensionata. L’edificio palaziale è oggi considerato come un luogo finalizzato in primo luogo alla performance di eventi e cerimonie a carattere sia collettivo che esclusivo che erano appannaggio delle élites che lo controllavano. Si tratta quindi di un luogo nel quale le attività di rappresentanza, legate alla strategia sociale di mantenimento del potere, superavano di gran lunga quelle legate all’amministrazione. L’amministrazione palaziale monitorava i beni conservati tramite l’apposizione di sigilli impronte di tali sigilli sono sopravvissute e costituiscono un’importante documentazione per ricostruire i modi di quell’amministrazione. Per redigere documenti di carattere amministrativo erano in uso due tipi di scrittura, una basata su caratteri geroglifici e l’altra sillabica (LINEARE A). Il palazzo era in grado di accumulare un surplus di prodotti agricoli e di produrre beni di prestigio in una grande varietà di materiali, anche importati (sigilli in pietre dure, gioielli, ceramica policroma e armi da parata). I “santuari delle vette”2 svolsero un ruolo importante nella formazione di un’identità assenza di mura a Creta che è indice di una comunità fondamentalmente unitaria. 2 Luoghi di culto. ma l’evidenza archeologica non è sufficiente per stabilire se si è in presenza di trasformazioni dovute a contatti di tipo commerciale, o se invece si trattasse di un vero e proprio controllo politico. Le distruzioni generalizzate che si riscontrano a Creta alla fine della fase neopalaziale porranno a fine a quello che è stato definito lo zenit della civiltà minoica: i siti più importanti vengono distrutti, i certi casi addirittura rasi al suolo, e solo il palazzo di Cnosso sembra rimanere intatto, anche se numerosi edifici nei suoi dintorno cadono in rovina. È nel corso della fase neopalaziale che si verifica l’esplosione di un vulcano di Santorino nell’isola di Tera, preceduta da un terremoto di notevole entità. L’ipotesi che il cataclisma che aveva distrutto il sito di Akrotiri a Tera si è però dimostrata infondata. L’esplosione del vulcano Santorino e la fine della civiltà minoica non possono dunque essere considerate come collegate da un rapporto immediato di causa ed effetto. Tale fenomeno naturale deve essere visto come un elemento che ha avuto una parte e che dunque ha innescato la formazione di evidenti che determinarono a loro volta la fine della Creta neopalaziale. In altri termini: la catastrofe di Tera deve aver indebolito per lo meno alcuni dei siti neopalaziali cretesi favorendone la successiva distruzione. Come spiegare la crisi simultanea? Alcuni hanno voluto vedere nei Micenei i distruttori dei siti neopalaziali che avrebbero subito rioccupato il palazzo di Cnosso, altri hanno preferito individuare in rivolte interne a Creta l’origine delle distruzioni, altri ancora hanno cercato di conciliare le due tesi. Qualsiasi sia l’ipotesi adottata, il declino di Creta e la parallela ascesa dei siti micenei del continente nell’ambito del Mediterraneo orientale sono comunque due fenomeni che è difficile distinguere. Va inoltre tenuto presente che Creta avrebbe ben presto significativamente mutato la sua fisionomia culturale. CAPITOLO 4 – LA GRECIA MICENEA: FORMAZIONE, SOCIETÀ, ORGANIZZAZIONE 1.La Media Età del Bronzo e la formazione della civiltà micenea La Media Età del Bronzo in Grecia è un periodo di relativa stabilizzazione culturale; è soltanto alla fine di questo periodo che si ha traccia della formazione di élites locali e di una società complessa: parzialmente ascrivibile a questa fase è il fenomeno delle tombe a fossa di Micene, atto di nascita della civiltà micenea. Rispetto al panorama delineato, il sito di Kolonna (isola di Egina) rappresenta un’eccezione: questo mostra caratteristiche anomale rispetto a ciò che è noto per il continente in questo periodo. Distinguiamo infatti: • Un possente circuito di fortificazioni; • Una tomba che presenta caratteristiche che anticipano le tombe a fossa. La tomba conteneva i resti di un inumato, di sesso maschile, il cui corredo funebre comprendeva armi, un diadema d’oro e materiale ceramico di straordinaria qualità importata da Creta e dalla Cilcladi. Tale concentrazione di ricchezza, la connotazione guerriera e la presenza di materiali di importazione sono del tutto insolite per questa fase. Si deve concludere allora che emerge a livello sociale un singolo individuo e che tale fenomeno deve avare un qualche collegamento con la civiltà palaziale cretese: da qui 1 potrebbero prendere le mosse i comportamenti funerari scelti dell’élite politica e sociale sepolta nelle tombe a fossa di Micene. In altri termini, Egina potrebbe essere stato il modello sociale imitato, più tardi, dalle più antiche élites dell’Argolide. Con il termine “miceneo” si fa riferimento alla civiltà che fiorì sul continente greco nella Tarda Età del Bronzo tra 1600 e 1070 circa; il merito iniziale della scoperta va a Henrich Schliemann: egli, convinto della veridicità delle leggende narrate nell’epica omerica si dedicò allo scavo dei principali siti menzionati nei poemi. Le scoperte nel 1876 fecero all’epoca grande scalpore: quei luoghi corrispondevano a importanti centri dell’Età del Bronzo. Sono due i gruppi di tombe portati alla luce a Micene: 1. CIRCOLO A: più recente, scavato da Schliemann e Valerio Statis negli anni Settanta del XIX secolo; 2. CIRCOLO B: più antico (1650-1550), scavato da Iorgos Mylonas negli anni Cinquanta del XX secolo. Le tombe individuate hanno restituito la più alta concentrazione di ricchezza mai scoperta in area egea. Le tombe a fossa di Micene sono costituite da pozzetti rettangolari scavati nel terreno, dove vi erano deposti uno o più individui, quindi riempiti di terra e l’area sovrastante marcata da una stele di pietra. I corpi erano spesso avvolti in sudari decorati con lamine di foglia d’oro e in alcuni casi indossavano maschere dorate. Queste sono state individuate sul volto di sei adulti, tutti di sesso maschile, e di un infante. Il defunto era solitamente accompagnato da un corredo di straordinario livello artigianale, e spesso costituito di oggetti di materiali preziosi o esotici. L’elemento che da un punto di vista stilistico meglio caratterizza i materiali rinvenuti nelle tombe a fossa è l’unicità dei singoli pezzi: appaiono concepiti come opere d’arte e quindi eseguiti su commissione. Assimilabili alle tombe a fossa di Micene sono le tombe di tipo a tholos (cupola) scoperte in Messenia, così come tombe di entrambi i tipi rinvenute nella Grecia centrale. La società micenea comincia dunque con un’esplosione e concentrazione di ricchezza che non hanno precedenti in Egeo. Emergono in Argolide e nel Peloponneso gruppi dirigenti che scelgo di connotarsi tramite caratteristiche guerriere e l’ostentazione di una grande ricchezza. Tali gruppi mostrano inoltre la capacità di acquisire materie prime da un’area geografica molto vasta, che va dal Baltico al Vicino oriente, a Creta e alla Cicladi. Le tombe a fossa di Micene sono le tombe “reali” delle élites alle quali si deve la formazione della civiltà micenea. Lo dimostra bene il CIRCOLO A, che venne monumentalizzato e circondato da un parapetto in pietra e inserito all’interno delle mura della città nel XIII secolo l’élite al potere nel maggiore centro dell’Argolide riconosceva gli antenati. Inizialmente si presupponeva che questa civiltà fosse arrivate nell’Egeo già definita, ma tale ipotesi non trova supporto archeologico; inoltre, la disamina di materiali delle tombe a fossa indica che a livello della cultura materiale è possibile isolare il contributo fornito dagli specifici ambiti culturali locali. L’ipotesi più accreditata è che questi furono in grado di accaparrarsi il controllo di un flusso di materie prime3 che dall’Oriente e dall’Occidente confluivano nell’Egeo. E su tale capacità svilupparono il loro potere politico. Si 3 Stagno, oro e rame deve quindi presupporre anche un qualche legame con qualcuno dei palazzi cretesi. Le più antiche tombe micenee risalgono al 1600 circa e sono comprese tra la Grecia centrale e il Peloponneso. Nei secoli successivi si verifica l’espansione della cultura micenea a nord fino al monte Olimpo e al golfo di Ambracia, ad est e a sud, a comprendere le Cicladi, il Dodecaneso, l’isola di Creta. A questo si aggiunga un notevole espansionismo commerciale: la rete di rapporti che gli stati micenei riuscirono a intrecciare nel Mediterraneo fu molto ampia e si estesa dalla costa egea dell’Anatolia al Vicino Oriente, al Mediterraneo centrale e occidentale. 2.La civiltà micenea: economia e società Sviluppatasi in aree geografiche molto diverse e in periodo cronologici differenti, la civiltà micenea non può essere intesa come una realtà monolitica: essa mostra varianti a livello regionale, soprattutto dal punto di vista del territorio. Tale regionalismo si sviluppa all’interno di una forte omogeneità culturale e di un marcato conservatorismo. Le tavolette in LINEARE B rinvenute in alcuni siti parziali del continente e di Creta sono la fonte primaria perla ricostruzione del sistema amministrativo miceneo. Su queste tavolette sono incise registrazioni a carattere amministrativo in LINEARE B4, scrittura sillabica composta da circa 89 segni, che sono stati decifrati dall’inglese Michle Ventris. Le informazioni contenute su queste tavolette sono relative alle transizioni di beni effettuate dal palazzo non illuminano sui meccanismi sociali tramite i quali il sistema economico funzionava; inoltre, registrano una situazione relativa esclusivamente alla fase finale del sistema palaziale miceneo. Tutti i siti che hanno restituito tavolette in LINEARE B sono visti come le capitali di stati indipendenti: non c’è traccia di un sistema sovrapalaziale e resta in discussione il fatto che ci fosse una gerarchia tra i singoli stati sulla base della quale erano regolati i rapporti diplomatici. L’ECONOMIA PALAZIALE. Il sistema palaziale è descritto come una complessa organizzazione economica, amministrata da un corpo burocratico e fondata sulla centralizzazione delle risorse e su un elaborato meccanismo di controllo del sistema stesso. Moses Finley nel 1954 fornisce una descrizione dell’economia palaziale in termini redistributivi, mentre la sua teorizzazione per il mondo antico risale a Polanyi (1957): esso sarebbe fondato sulla distribuzione di beni di carattere primario in cambio di prestazioni lavorative. Tale teoria ebbe ampia diffusione, ma oggi viene anche messa in discussione. Importante anche la versione del modello polanyiano elaborata nel 1972 da Renfrew: qui il ruolo redistributivo dei palazzi viene visto non semplicemente come espletamento della funzione di cui si è detto, ma piuttosto come finalizzato alla circolazione e alla diffusione. Tale modello proposto non è generalmente accettato. Nodo fondamentale per la comprensione del funzionamento del sistema miceneo riguarda i modi tramite i quali le risorse venivano accentrate da parte 1 4 Tale scrittura è stata identificata come la forma arcaica del greco. interrotto bruscamente quando il palazzo viene raso al suolo, e si assiste all’emergere di nuovi centri di potere. Una delle questioni più dibattute è la datazione delle tavolette in LINEARE B, questione legata al problema della “miceneizzazione” del principale insediamento cretese e alla conseguente diffusione nell’isola della lingua greca: quando e come Creta diventa micenea? Nel 1963 il filologo Leonard Palmer concluse che il corpus di Cnosso doveva datarsi alla fine del XIII secolo. Di parere diverso è Boardman: egli cercò di dimostrar come i livelli di distruzione nei quali le tavolette erano state rinvenute non erano posteriori al 1400. A poco più di cinquant’anni di distanza, la controversia si è attenuata sulla base di due importanti acquisizioni: 1) ipotesi che l’archivio di Cnosso non sia omogeneo cronologicamente ei singoli gruppi di tavolette possono datarsi a fasi diverse tra XIV e XIII secolo; 2) la scoperta a Chania di due tavolette degli inizi del XIII secolo mostra che in questa fase a Cnosso non era l’unico centro dell’isola. Ma indipendentemente dalla datazione delle tavolette di Cnosso, fino a che punto Creta può essere considerata micenea? Le ipotesi di un’invasione di massa dal continente e la conseguente adozione in tutta l’isola di caratteristiche culturali continentali non trovano riscontro archeologico. Semplificando, si potrebbe dire che con livelli di intensità differente elementi micenei vennero acquisiti all’interno di uno schema di fondo inequivocabilmente minoico, cioè locale. La distruzione del palazzo di Cnosso è quindi una svolta epocale: si assiste alla crescita e alla trasformazione in termini monumentali di alcuni siti della Creta centrale che emergono a livello di centri di potere locale. La comparsa di forme di regionalismo culturale e la presenza di un centro amministrativo a Chania sono certamente segno del ridimensionamento politico di Cnosso. Irrisolto resta il problema dell’eventuale subordinazione degli stati cretesi a qualche stato continentale, ma problemi di ordine politico diventano difficili da risolvere in assenza di fonti storiche coeve al periodo preso in esame. La possibilità che qualcuno degli stati continentali dominasse l’isola non può essere esclusa. Il confronto con esempi meglio documentati mostra come un paese straniero può essere dominato anche tramite un gruppo limitato di persone che allivello più alto della gerarchia sociale e politica organizza la nuova amministrazione. CAPITOLO 5 – ESPANSIONE E CONTROLLO 1.L’espansione micenea e la terra di Ahhiyawa I secoli XIV e XIII sono i secoli della massima espansione commerciale e culturale micenea, anche se l’importanza degli stati micenei assegnata ai contatti commerciali è ben visibile sin dal Tardo Ellediaco. La ricerca di materie prime è alla base di questo interesse e il fatto che sia le Isole Flegree sia le Isole Eolie fossero in grado di acquisire rame e di fonderlo conferma tale ipotesi. Dopo la distruzione del palazzo di Cnosso la ceramica micenea si sostituisce a quella minoica in siti chiave e rinviene in nuovi siti come Efeso e Panaztepe, e si diffonde a Cipro, in Egitto e in Libia. Sono innumerevoli i siti che hanno restituito materiali di derivazione egea lungo la costa della Sicilia orientale (Thapos) e centromeridionale (Cannatello), nelle Isole Eolie, lungo le coste della Calabria, della Puglia, della Basilicata e nell’Italia centrale; materiale miceneo è stato rinvenuto anche in Sardegna e nella penisola iberica. Ma quali prodotti esportavano gli stati micenei? L’anfora a staffa è il tipico contenitore da trasporto miceneo; i vasi micenei erano un bene apprezzato di per sé. Esempio classico è dato dai crateri decorati con rappresentazione di carri, una produzione propria del Peloponneso nord-orientale esportazione nei floridi centri costieri di Cipro, come Enkomi o Hala Sultan Tekke, dove costituiva un bene di prestigio. Ceramica di tipo miceneo veniva prodotta regolarmente nel sito di Troia: da qui emerge l’importanza culturale che veniva assegnata a questo bene. I pochi relitti di navi relativi a questa fase sono stati rinvenuti lungo la costa della Turchia e dell’Argolide e ci offrono un panorama non esaustivo ma sicuramente significativo. Il relitto di Capo Iria5 ha restituito numerose anfore a staffa di produzione cretese; nel relitto di Uluburun/Kas6 erano presenti una grande quantità di materiali disparati. È verosimile che la nave fosse affondata mentre faceva rotta verso ovest. Tra i porti dell’area egea quello di Kommos ha restituito una tale quantità di materiali di importazione da farlo risultare uno dei centri vitali per le comunicazioni verso ovest e verso est. Quanto alla natura del commercio, ci sono due opinioni divergenti: ♦ Controllo strettissimo delle élites palaziali sull’economia e sul commercio; ♦ Assegna a queste élite un ruolo meno significativo e ritiene il coinvolgimento nelle rotte orientali più legato alla posizione geografica dei singoli siti che non al peso effettivo delle élites micenee. Ricordiamo che gli stati micenei non hanno restituito tracce degli scambi epistolari che hanno contraddistinto i rapporti di tutti gli stati del Vicino Oriente. Dai testi orientali sappiamo che è esistito un commercio di natura palaziale tra le grandi potenze dell’epoca, ma anche da questo gli stati micenei appaiono assenti, tanto che si è giunti a credere che le ceramiche micenee rinvenute nel Levante o in Egitto vi siano giunte tramite Cipro. Bisogna accennare al problema della localizzazione della terra degli Ahhiyawa, citati nei testi ittiti7 del XIV e XIII secolo, lasciano desumere che la terra degli Ahhiyawa era uno stato costiero a ovest dell’impero ittita. Tale stato possedeva delle navi, era coinvolto in una rete commerciale e aveva rapporti non sempre amichevoli con l’impero ittita; inoltre sembra aver avuto il controllo di qualcuna delle numerose isole di quell’area e con i sovrani più potenti della regione vicino-orientale. Sulla base dell’equazione Ahhiyawa = Achei, alcuni hanno riconosciuto nei micenei gli Ahhiyawa dei testi ittiti, ma questa tesi non ha alcun supporto storico o filologico; recenti studi sulla geografia storica dell’Anatolia nella Tarda Età del Bronzo hanno definitivamente escluso che lo stato di Ahhiyawa possa collocarsi lungo la costa meridionale o nord-occidentale dell’Anatolia. Le opzioni che restano non sono numerose. La prima è che Ahhiyawa sia da cercare sul continente greco, ma non ci sono prove che gli stati micenei siano mai stati unificati sotto un unico re e dunque è possibile che i testi si riferiscano a stati diversi. In ogni caso, Micene in Argolide e Tebe in Beozia rappresentano entrambe una valida possibilità. La seconda opzione è data dalla stretta fascia 1 5 Argolide 6 Turchia 7 Ricordiamo che gli Ittiti occupavano gran parte della penisola anatolica costiera sud-occidentale dell’Anatolia, identificata con la Mallawanda e Iasos e dalle isole prospicienti di Rodi e Cos: qui vediamo una notevole presenza di elementi micenei ed egei in senso lato accanto a elementi di tipo anatolico e questo lascia ipotizzare come una popolazione locale di tradizione anatolica si fosse lentamente acculturata in senso “miceneo”. A tale area si fa riferimento nella letteratura archeologica come all’interfaccia inferiore risetto a un’interfaccia superiore, che comprende la fascia costiera da Troia a Mileto e la cui cultura, al contrario, è sostanzialmente anatolica con poche interferenze egee. Dalla seconda metà del XIII secolo i rapporti tra il continente greco e le aree circostanti si trasformano: in alcuni casi si interrompono e non verranno più ripresi; in altri diminuiscono; in altri ancora subiscono una pausa e poi riprendono sotto forma diversa. 2.Il crollo della civiltà micenea Il venir meno della rete internazionale di scambi è solo una delle numerose conseguenze del crollo della società micenea alla fine del XIII secolo a.C. Gla venne distrutta, mentre i palazzi di Micene, Tirinto, Tebe, Pilo e il complesso del Menelaion a Sparta vennero completamente distrutti alla fine dello stesso secolo. In Grecia continentale si contano almeno cento siti distrutti o abbandonati; alcuni siti come Tebe non furono rioccupati se non molti secoli dopo. A Creta distruzioni generalizzate sono registrate nei siti principali nel corso del XIII secolo. Gli stati micenei vennero spazzati via: con essi scomparvero, in Egeo, la scrittura, un’architettura complessa, l’artigianato specializzato in beni di prestigio e la tecnica dell’affresco parietale. Tale panorama di rottura non è in alcun modo circoscritto all’Egeo: crollano l’impero ittita, quello di Mitanni in Mesopotamia e altri stati del Vicino Oriente; le fonti egiziane registrano che sotto Ramstee III l’Egitto fu ripetutamente attaccato da gruppi ai quali si fa riferimento con il nome di “Popoli del Mare”. Ma l’Egitto ha resistito e fu l’unico caso in ambito vicino-orientale a rimanere in piedi. In Egeo l’ultima fase del sistema palaziale registra alta instabilità. La costruzione e l’espansione delle fortificazioni a Micene e Tiritno risale agli anni intorno al 1250, e apprestamenti connessi alla possibilità di fronteggiare un assedio sono stati riscontrati in questo stesso torno di tempo a Tirinto, Micene e Atene. Sull’istmo di Corinto iniziò la costruzione di un muro di fortificazione. L’ipotesi di un’invasione dal nord è difficile da sostenere: l’evidenza archeologica relativa alla fine del XIII secolo e XII secolo non sembra recare traccia dell’arrivo di nuovi gruppi: la comparsa di singoli tipi di manufatti non è infatti sufficiente per sostenere l’arrivo di un nuovo gruppo e di nuove élites. L’ipotesi di una siccità (Carpenter) non ottenne a suo tempo gran fervore: l’evidenza di tipo scientifico, oggi, sembra confermare tale ipotesi una catastrofe climatica del genere avrebbe messo le basi per rivolte interne agli stati micenei. Un’altra ipotesi (Drewa) ascrive il collasso della società micenea a truppe di mercenari che alla fine dell’Età del Bronzo avrebbero dato vita in tutto il Mediterraneo a veri e propri eserciti, causando saccheggio e distruzione di numerose città. La loro supremazia sarebbe da ascrivere all’adozione di una nuova tecnica bellica fondata su una fanteria leggere armata di giavellotti e spade; questi stessi gruppi sarebbero da identificare nei Popoli del Mare. iniziata già nel XIII secolo; nel Peloponneso i siti di piccole dimensioni scompaiono e la popolazione si concentra in un numero di centri limitato. L’insediamento risulta estremamente localizzato e la continuità si riscontrano soltanto in centri con lunga tradizione di occupazione Tirinto, Micene e Pilo. Nelle Cicladi e anche in Creta orientale gli insediamenti vengono trasferiti sulla sommità di alture e lo stanziamento in prossimità del mare. In Grecia centrale una serie di centri mostrano come nel corso del XII secolo si sia formata una società stratificata, che in parte manteneva caratteristiche delle élites palaziali. Tombe di guerrieri e scene di guerra su vasi pittorici di questa fase indicano che il comando militare era socialmente importante; sopravvivono il rito funerario e l’attività della caccia, ma anche navi da guerra o da trasporto. Di queste ultime si hanno rappresentazioni pittoriche; inoltre si consideri che il loro allestimento richiedeva un notevole investimento di ricchezza e forza lavoro esisteva quindi una qualche élite in grado di armarle. Ci sono precisi indizi per ritenere che nel XII secolo elementi propri del sistema palaziale non solo si sono mantenuti, ma risultano essere stati essenziali per l’organizzazione politico-sociale di alcuni centri. Un fenomeno importante riguarda alcune regioni, le quali conseguono adesso un nuovo sviluppo economico: è il caso dell’Acaia, che vive una fase di esplosione demografica e intesse rapporti commerciali con l’Adriatico > su tale base si sviluppano gerarchie di potere locali che controllano il flusso dei beni dall’Adriatico al continente greco e mostrano legami con Creta e Cipro. Altro fenomeno interessante di XII secolo è quello dei santuari regionali, che servono una serie di comunità sparse per il territorio; Kalapodi è l’unico santuario sul continente greco con una chiara continuità d’uso dal XII secolo all’età classica. Nonostante le numerose e radicali trasformazioni è possibile seguire una linea precisa di continuità che affiora nella rioccupazione di alcuni siti e nel comportamento sociale di un’élite che ha dei legami con quella che l’ha preceduta e della quale perpetua lo stile di vita aristocratico. Un momento di ulteriore rottura si verifica alla metà circa dell’XI secolo: abbandono della pratica della sepoltura multipla, avvio di nuove aree sepolcrali, introduzione della cremazione sono tutti elementi nuovi. Ma l’adozione del ferro e della nuova tecnologia ad esso legata costituisce il mutamento di più ampia portata giacimenti di ferro sono piuttosto diffusi in Grecia. Tale circostanza deve aver certo costituito un grande incentivo per l’adozione di nuovo materiale. La tecnica sembra essere stata importata da Cipro. Non è possibile individuare uno sviluppo unitario per il bacino dell’Egeo: alcune aree, come quelle intorno ad Atene e Argo, decollano, e in essa si avvia un processo di unificazione regionale. In altre aree si verifica un netto declino: è il caso dell’arco occidentale, di quella zona che va dall’Etolia (Acaia) alla Laconia abbandono di siti usati nel corso del XII secolo, e interruzione della rete di contatti che legava la Grecia occidentale alle coste dell’Adriatico. Quanto all’organizzazione sociale, una caratteristica propria delle Dark Ages è la difformità esistente tra i singoli siti. È macroscopica la differenza tra siti nei quali si riscontra la presenza di un’organizzazione sociale che mostra segni di gerarchizzazione o che comunque appare fondata su distinzioni di rango tra 1 singoli individui e siti la cui organizzazione si basa sulla presenza di un unico leader dotato di grande preciso (big-man). Al primo gruppo appartengono Atene, Argo e Cnosso; al secondo siti generalmente occupati per un periodo di tempo limitato e politicamente instabili, come Lefkandì in Eubea. ATENE: posta in prossimità di una grande piana costiera, Atene è una delle poche aree nelle quali nel corso dell’XI secolo non ci sono segni di distruzione, anzi, ci sono segni di espansione: appare verosimile dunque che vi sia confluita popolazione in fuga da altre aree. L’ara abitata è concentrata sulla collina dell’acropoli e attorno ad essa; insieme alla necropoli mostra l’ascesa del centro. L’esistenza di una società articolata è riflessa nell’organizzazione funeraria: ad essere seppelliti all’interno dell’area cimiteriale sono esclusivamente individui di status elevato. La comunità appare chiaramente organizzata sulla base dell’età e del sesso, ma con segni dell’incipiente formazione di una élite dai costumi aristocratici. Si sviluppa una straordinaria produzione di ceramica e viene inventato anche un nuovo stile (Protogeometrico) che viene imposto alle regioni circostanti; nel IX secolo, in concomitanza con la nascita di un nuovo stile ceramico (Geometrico), emergono alcune famiglie che hanno acquisito preminenza rispetto ad altre. L’analisi delle sepolture in chiave sociologia indica che sia gli uomini che le donne potevano manifestare l’appartenenza a uno stato sociale elevato. LEFKANDÌ: si trova sul margine della piana lelantina; dall’XI secolo in poi il centro mostra una notevole crescita economica. L’insediamento consta di piccoli agglomerati sparsi su un’area piuttosto ampia; all’interno dell’area cimiteriale sono stati individuati i resti di un grande edificio absidato, al cui interno sono stati individuate due tombe a fossa in una, una doppia sepoltura: 1) un individuo di sesso maschile tra i 30 e i 45 anni, cremato in un’anfora e accompagnato da armi; 2) giovane donna inumata con ricchissimi oggetti di corredo. Nell’altra tomba sono stati rinvenuti i resti di quattro cavalli. L’edificio non venne mai ultimato e resta irrisolta la controversia sulla sequenza degli eventi connessi alla costruzione dell’edificio, ossia se questo abbia preceduto le tombe come monumentale abitazione del capo della comunità o se l’edificio sia stato costruito per ospitare le tombe. Questa seconda ipotesi è la più verosimile. È certo che questo edificio venne distrutto e i suoi resti livellati; con essi venne creato un tumulo la cui sommità fu coronata da un grande cratere fittile. Questo fa presupporre una dimensione “barbarica” della società: Lefkandì è il migliore esempio di società governata dal big-man. La sua fortuna fu effimera: a partire dalla fine dell’VIII secolo non fu più l’unico centro della piana lelantina e si trovo a competere, fino a soccombere, con Calcide e Eretria. Secondo la tradizione storiografica greca, il X e il IX secolo avrebbero visto una migrazione dall’Attica verso la costa egea dell’Anatolia con la conseguente fondazione di città > prima colonizzazione.8 Non esiste una tradizione unitaria del fenomeno: lo spostamento di gruppi di popolazione da un’area all’altra dell’Egeo fu il modello adottato dalla storiografia greca d’età arcaica e classica per interpretare il proprio passato; la documentazione archeologica non consenti di sostenere l’idea di uno spostamento in massa dall’Attica verso la costa anatolica. Per Mileto i dati relativi alle Dark Ages sono limitati e la presenza di materiali di derivazione greca non è in alcun 8 Fenomeno che va distinto da quello più ampio di VIII secolo. modo sufficiente a far rientrare il centro come colonia sin da una data così antica. A Smirne una comunità urbana è sicuramente attiva nel IX secolo e essa fa uso di ceramica di tipo greco, ma in assenza della pubblicazione dettagliata dei dati archeologici, la sua identità è difficile da qualificare. Dal IX secolo la Grecia mostra di riprendere il contatto con le aree circostanti e nelle necropoli greche importazioni dall’Oriente e dal Levante fanno la loro comparsa come oggetti di corredo; la presenza di materiale greco sulle coste della Siria e del Levante è indice della ripresa dell’attività di scambio. 3.Creta dal XII al IX secolo Anche nell’isola di Creta il XII secolo è contrassegnato da mutamenti notevoli: abbiamo innanzitutto l’abbandono di numerosi centri e spostamenti interni di popolazioni, che stanno a indicare una ripresa economica e culturale dell’isola. A partire dal XII secolo la popolazione confluisce in siti di nuova fondazione (Vronda, Thronos, Chamalevri) o in siti con lunga tradizione di occupazione (Féstos, Chania, Cnosso, con il risultato, a volte, di nuclei abitati di grande dimensione. Scompare l’insediamento diffuso nel territorio che aveva caratterizzato i secoli precedenti. Si registra inoltre lo spostamento di insediamenti verso luoghi elevati e l’abbandono quasi totale della fascia costiera. Anche a Creta sopravvivono elementi propri della civiltà palaziale: viene ricercato un sistema culturale ampliamente fondato sul retaggio minoico; si forma uno stile pittorico vascolare che riflette attività di carattere elitario. L’isola appare organizzata in entità politiche indipendenti, ma il notevole grado di omogeneità culturale indica che la comunicazione tra e singole aree è stata completamente riattivata. Menzione deve essere fatta di un fenomeno singolare conosciuto fino a questo momento soltanto in Creta occidentale: si tratta delle cosiddette fosse rituali di Thronos Kephala, alle pendici occidentali del Monte Ida, e di Chamalevri. Le fosse hanno restituito resti di pasto. Ma perché conservare così accuratamente e in prossimità dell’insediamento dei resti di pasto, considerando che nel mondo antico la maggior parte dei rifiuti veniva bruciata? L’insediamento sulla Kephala è di nuova fondazione; come nelle fasi formative di una colonia di qualsiasi epoca, entri tali comunità le divisioni di carattere sociale, le gerarchie di potere, l’organizzazione e la gestione delle risorse devono essere definite ex novo. Tale situazione sfociò nella formulazione di nuove strategie di organizzazione sociale, tra le quali si può ricostruire l’adozione di una pratica rituale fondata sui pasti comuni. Come azione finale del banchetto, i suoi resti venivano depositati all’interno di una fossa nel terreno, quasi a voler preservare la memoria di un evento considerato – evidentemente – eccezionale. Se si considera che una delle istituzioni fondamentali della polis cretese sarà quella dei sissizi (pasti in comune), è possibile che le fosse di Throno Kephala rappresentino la prima formulazione di una pratica comunitaria che avrebbe incontrato a Creta molta fortuna. Accesso alle risorse ed equilibrio territoriale restano in parte precari nell’isola per tutto il corso delle Dark Ages tale ipotesi sembra confermata sia dalla persistenza di insediamenti posti in luoghi definibili sia dall’importanza che mostra di avere l’unico nucleo sociale che emerge chiaramente in questa fase all’interno dell’isola, ossia quello dei guerrieri. 1 al santuario ambito religioso torna ad assumere un ruolo significativo nella manipolazione e nella realizzazione dell’ordine sociale. 2.L’alfabeto in Grecia Nei primi decenni dell’VIII secolo, traendo ispirazione dall’alfabeto fenicio, venne inventato l’alfabeto greco; la principale innovazione consistette nell’impiego di alcune lettere fenicie inutilizzate nella lingua greca come segni per le vocali. Da quando il crollo dei palazzi micenei aveva determinato la scomparsa della scrittura impegnata per l’amministrazione, il mondo greco non aveva posseduto alcun sistema di scrittura; l’alfabeto rivelò ben presto le sue eccezionali potenzialità: importante la facilità con cui esso poteva essere appreso > il mondo greco raggiunge livelli di alfabetizzazione non più superati fino all’età moderna. Si è pensato che la principale utilizzazione dell’alfabeto fosse in campo commerciale, ma in realtà ci sono dubbi in merito: i numerali – indispensabili per i conti – furono introdotti solo molto più tardi. Dunque, si ritiene che in primo luogo l’alfabeto fu utilizzato per trascrivere poemi epici come l’Iliade e l’Odissea abbiamo una coppa da Pitecusa, risalente dopo la metà dell’VIII secolo, che contiene versi che si riferiscono a Nestore, eroe dell’Iliade. 3.Il mondo di Omero e di Esiodo OMERO. Tra l’ultimo venticinquennio dell’VIII secolo e i primi decenni del VII avvenne con ogni probabilità la composizione dei due grandi poemi epici, l’Iliade e l’Odissea si noti la parola “composizione”, neutra rispetto alla difficile modalità di creazione dei poemi. I poemi hanno come argomento eventi di oltre quattro secoli prima, attinenti alla guerra di Troia e al tormentato ritorno in patria di uno degli eroi: si tratta di eventi la cui cornice storica è molto dubbia e di eventi di cui il poeta sapeva assai poco. Omero inserisce nella narrazione una quantità di anacronismi (oggetti, armi, costumi, modi di vita) creando una società composita, che come tale non è mai esistita. Molti studiosi concordano con ciò, ma alcuni mettono l’accento sulla preminenza di un periodo storico come “ispiratore” dell’ambiente dei poemi. C’è quindi chi pensa che essi riflettano essenzialmente l’età delle Dark Ages e chi invece ritiene che il mondo di Omero non sia altro che la società aristocratica dell’VIII secolo. Generalmente, è difficile decidere se considerare Omero come fonte storica o no. ESIODO. Di poco posteriore a Omero, è la figura di Esiodo, autore della Teogonia e dell’opera più importante dal punto di vista storico: Le opere e i giorni. Anche qui, non mancano problemi per la sua utilizzazione storica: nondimeno, il quadro è più chiaro e ci dà un’idea della struttura di questa piccola comunità della Grecia centrale, dominata da una ristretta élite aristocratica. Non mancano nel poeta accenni alla mobilità tipica del Mediterraneo arcaico, e quindi alla possibilità di migliorare la propria vita allontanandosi dalla patria. 4.La polis Nel corso dell’VIII secolo si realizza nel mondo greco un modello di comunità che costituisce una novità nella storia; tale modello prevede che una comunità di uomini, di limitate dimensioni, scelga in piena libertà e indipendenza l’ordinamento politico e le leggi che regolano la convivenza tale società aspira anche a un’autarchia economica. Nel mondo greco era possibile che gli abitanti di una polis vivessero in un centro urbano; ma in primo luogo no si realizzava mai una qualche soluzione di continuità con il territorio circostante. Inoltre, il centro urbano era assente e i cittadini venivano sparsi per piccoli villaggi. Impianto urbano come variabile di scarsa importanza: la polis erano i suoi cittadini. Le poleis erano di solito assai piccole, con poche centinaia di maschi adulti; quelle con più di diecimila cittadini non arrivano a dieci. Centrale nell’ordinamento della polis era la terra: sia perché l’agricoltura era la risorsa economica più importante, sia perché ciascun cittadino, per essere definito tale, doveva possedere un lotto di terra nel territorio della polis: solo così godeva dei diritti di “azionista” della sua polis. La definizione stessa di polis dovrebbe far comprendere la grande difficoltà di individuare il momento in cui nasce; tale difficoltà deriva in ultima analisi dal fatto che comunità di uomini che cercano di organizzarsi, sia pur in modo primitivo, sono sempre esistite e l’essenza che contraddistingue la polis non è chiara e definibile una volta per tutte. È necessario fissare i seguenti punti: • La polis si sviluppò quando i suoi cittadini decisero di “mettere in mezzo” una parte delle prerogative gelosamente conservate dai singoli individui o dalle famiglie più influenti. Nacque così una sfera pubblica. • A tale processo dettero un contributo fondamentale le nuove comunità d’oltremare: proprio la necessità di organizzare una comunità ex novo costituì con ogni probabilità una spinta verso la formazione e il rafforzamento di strutture pubbliche solide. • Contributo importante viene fornito dai luoghi di culto, dedicati alla dea o al dio che gli abitanti della polis avevano scelto come protettore; questi santuari costituiscono un forte centro di aggregazione. • La polis esclude una grande massa di persone: esiste al suo interno una massa di uomini ridotti in schiavitù o ridotti in condizioni che alla schiavitù si avvicinano molto. A questo proposito dobbiamo distinguere due modelli: • il primo, adottato da Sparta, prevede un numero sostanzialmente fisso di cittadini e l’asservimento di una parte della popolazione residente; tale massa rimane di proprietà dello stato; • il secondo non contempla un corpo fisso di cittadini e il numero dei privilegiati tende ad allargarsi. La manodopera viene assicurata dagli schiavi di proprietà dei singoli cittadini e ridotti quindi a merce: un esempio è l’Atene classica. Quale ordinamento politico si danno le poleis greche nel corso dell’VIII secolo? Abbiamo una serie di ipotesi basate sui dati archeologici e sull’analisi della società greca analizzata da Omero. Dunque, a grandi linee possiamo affermare che nella società della polis arcaica il potere è detenuto da una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche. Il ruolo più controverso è quello del re, basileus, più volte menzionato in Omero e la sua presenza è attestata in numerose città greche. Ciò non è sufficiente per parlare di periodo monarchico: tutti i re di cui siamo a conoscenza hanno un potere condizionato dal controllo degli aristocratici; al massimo si potrà affermare che per un periodo più o meno 1 lungo gli aristocratici scelsero al loro interno un leader che esercitava il comando soprattutto in tempo di guerra, senza mai raggiungere il potere assoluto di un sovrano orientale. Sono gli aristocratici a detenere il diritto di rivestire le varie magistrature. Un altro problema di non facile soluzione è la definizione dello status di quanti si trovano al di sotto degli aristocratici. Un’ipotesi è quella di accettare fin dall’VIII secolo l’esistenza della condizione di cittadino e immaginare una società in qualche modo simile a quella che troveremo in età classica: gli aristocratici, in questo schema, non sarebbero altro che dei cittadini particolarmente ricchi e privilegiati. Un’ipotesi alternativa vorrebbe che all’inizio la polis non abbia ancora elaborato il concetto di cittadino e dunque lo spartiacque si ponga tra chi è cittadino e chi non lo è. 5.Un’alternativa alla polis; l’ethnos I Greci non realizzarono mai uno stato nazionale: durante la loro storia, però, ebbe forza una alternativa alla polis, ossia l’ethnos (popolo, stirpe). Gli abitanti di alcune zone della Grecia. Accomunati da una o più leggendaria comunanza etnica, pur vivendo autonomamente nelle singole comunità civiche, in genere prive di strutture politiche e amministrative solite, si ritrovano insieme, sotto la guida di un capo, che deteneva il potere grazie a prerogative ereditarie o in seguito a un’elezione in assemblee. L’organizzazione per ethne ha costituito una importante alternativa alla polis in ogni fase della storia greca e viene spesso sottovalutata, attribuendola non del tutto correttamente alle zone più attardate e “primitive” del mondo greco. CAPITOLO 8 – I GRECI SUI MARI: LA MOBILITÀ ARCAICA 1.Il Mediterraneo, luogo di scambio e di incontro Durante l’età arcaica la mobilità orizzontale9 è notevole: ce lo insegnano l’Iliade e l’Odissea il secondo poema, in particolare, è il poema di viaggio, popolato da uomini che per costrizione o per scelta si muovono da un capo all’altro del Mediterraneo. Ce lo testimoniano i ritrovamenti archeologici, che parlano di continui scambi di beni tra popoli diversi. Queste popolazioni hanno tutte in comune il loro rapporto con il Mediterraneo e tutte hanno concorso a rendere più ricca la civiltà greca. 2.Come rane intorno a uno stagno I Greci, nel corso dell’età arcaica, dettero vita all’incirca a 150 poleis sparse in tutto il Mediterraneo: in Italia Meridionale, in Sicilia, sulle coste francesi e africane, sulla costa settentrionale dell’Ego, intorno al Bosforo e al Mar Nero. È un fenomeno imponente dalle conseguenze incalcolabili. A tutto ciò è stato dato il nome di “colonizzazione” greca. L’equivoco nasce dall’ovvio paragone che il termine induce a fare con la colonizzazione moderna: quest’ultima nacque con lo scopo esplicito di occupare i territori lontani per sfruttarli e ricavarne vantaggi economici e politici; inoltre viene gestita dai governi degli stati che avevano intrapreso le spedizioni questo comporta un legame strettissimo tra madrepatria e colonia. La colonizzazione greca portò 9 Spostamenti delle persone da un luogo all’altro Il Mediterraneo deve esser intes in quest contesto come luogo di unificazione, di scambio di incontro. polis; a poche generazioni dopo risale la creazione dell’agorà e di alcuni dei principali templi, segno di accresciuta importanza degli spazi pubblici della comunità. Alcune poleis, come Taranto e Siracusa, superavano in splendore le città del continente greco. L’influenza delle città greche d’Italia fu decisiva: la Sicilia divenne per molti secoli un’isola greca. Fondare una polis favorì la riflessione su aspetti fondamentali quali l’impianto urbanistico da dare alla fondazione, la necessità di provvedersi di mura difensive, la ripartizione delle terre in parti uguali, il concetto stesso di uguaglianza all’interno di un gruppo di privilegiati, stabilendo principi e leggi aggettati da tutti due dei principali legislatori di età arcaica provengono da Locri e Catania, due poleis d’oltremare. Tutto ciò ci fa comprendere un concetto fondamentale: il processo di evoluzione della polis è un processo che non parte dalla Grecia continentale per essere irradiato all’esterno, ma che “rimbalza” continuamente da una parte all’altra, nel quale le poleis d’oltremare non rivestono la parte più debole. Nel corso della storia successiva in età arcaica possiamo osservare: • un grande rigoglio culturale: le poleis magno-greche sono all’avanguardia nella poesia, nell’architettura, religiosa e no, nella filosofia; • una notevole capacità di innovazione e una grande precarietà delle strutture comunitarie. 5.I Greci nel resto del Mediterraneo MESSALIA. Messalia è la principale fondazione dei Focei in Occidente. Gli abitanti di Focea furono molto attivi nel Mediterraneo occidentale: una volta distrutta la città dai Persiani nel 545, essi si trasferiscono – così narra la tradizione – ad Alalia (Corsica) e a Velia (Campagna). Messalia appartiene a un periodo precedente, essendo stata fondata intorno al 600; il suo mito di fondazione insiste sui buoni rapporti con gli indigeni. CIRENE. Cirene, nell’odierna Libia, è la polis più notevole fondata in Africa. La sua importanza è legata alla particolare ricchezza di informazioni che abbiamo sulle vicende di fondazione, sorta nella seconda metà del VII secolo. Erodoto sembra delineare un pesante intervento statale nella spedizione, decisa a seguito della consultazione dell’oracolo di Delfi per debellare una carestia che aveva minato l’isola le disposizioni rigide costrinsero parte della popolazione a partecipare all’impresa. NAUCARTI. La città di Naucarti nacque con uno statuo particolare: i faraoni egiziani coltivavano rapporti privilegiati con i Greci, controllando tutte le attività commerciali. Molte poleis greche avevano le loro rappresentanze commerciali e i loro santuari. Naucarti decadde con la conquista persiana dell’Egitto, all’incirca un secolo dopo la sua fondazione. CAPITOLO 9 – OPLITI, LEGISLATORI, TIRANNI: LA POLIS ARISTOCRATICA NEL VII SECOLO 1 1.L’evoluzione della polis La democrazia non va considerata il fine e il compimento della polis; piuttosto la storia della polis può essere vista come la storia della progressiva conquista di spazio delle istituzioni pubbliche a spese del potere gestito senza controllo dalle grandi famiglie aristocratiche. A questo si accompagna un allargamento del numero di quanti sono ammessi nel cerchio privilegiato della gestione del potere, fino a comprendere nella democrazia oplitica tutti i proprietari terrieri in grado di procurarsi un’armatura. 2.La polis e la guerra Nell’Iliade il peso maggiore della guerra ricade sugli eroi, ma è problematico decidere a quale periodo attribuire il modo di combattere descritto nel poema: non certo quello in uso in età micenea: piuttosto la società descritta potrebbe essere quella di VII secolo. Poi non è ancora chiaro quale fosse il ruolo e l’incidenza delle migliaia di soldati che pure manifestavano la loro esistenza rumoreggiando e dando luogo a confuse mischie. Tra la metà e la fine del VII secolo è avvenuto un riequilibrio dell’importanza dei combattenti all’interno della massa d’urto dei fanti gli eroi e i comandanti sono praticamente scomparsi, mentre la “massa indistinta” di Omero ha fatto progressi: ciascun fante è ricoperto di un’armatura in buona parte di bronzo, portando uno scudo rotondo di quasi un metro di diametro; la mano destra è destinata a usare una lunga lancia tra i due metri e i due metri e mezzo e una corta spada per il corpo a corpo. Oltre trenta chili di attrezzattura: consentono poca mobilità, ma garantiscono una grande forza d’urto, moltiplicata dalla coesione dei fanti che marciavano uniti. È nato ora l’oplita, da cui deriverà la falange oplitica questo fenomeno va sotto il nome di “riforma oplitica”, ma o tempi e i modi non sono di facile ricostruzione. Per la diffusione dell’armamento il periodo cruciale è la prima metà del VII secolo, ma è più difficile determinare da quando si possa parlare di falange oplitica. Importanti sono le conseguenze sociali di questi mutamenti: l’identificazione del cittadino con il soldato ci dà una traccia per capire gli eventi si verifica un allargamento della fascia dei cittadini di pieno diritto, ma anche i proprietari di un medio appezzamento di terreno che permetta un surplus con cui sia possibile procurarsi l’armatura oplitica. L’ideologia egualitaria non è una novità, ma il problema di sempre è stato quanto grande debba essere il gruppo dominante. Il modo di combattere oplitico si prestava soprattutto alle guerre stagionali tra poleis confinanti: i combattenti erano dilettanti e agricoltori che dovevano conciliare al combattimento anche il lavoro nei campi. Desta una certa sorpresa che una tradizione ben attestata in età classica riporti come tra la fine dell’VIII secolo e i primi decenni del VII una guerra tra due città dell’Eubea – Calcide ed Eretria – abbia coinvolto molte altre entità politiche. La posta in palio era la pianura di Lelanto10, la più vasta dell’Eubea, stretta isola che fronteggia l’Attica. Non ne conosciamo le coordinate cronologiche esatte; non ne conosciamo con precisione neppure il vincitore né sappiamo come venne combattuta. 10 Viene detta guerra lelantina. 3.La polis e la giustizia: i legislatori arcaici La giustizia all’interno delle comunità venne a lungo amministrata seguendo consuetudini non scritte; l’oralità delle norme permetteva un più facile adeguamento di queste ultime al mondo che cambiava. Appartengono a questo periodo alcuni legislatori leggendari, dei quali il più famoso è lo spartano Licurgo, che avrebbe dato alla sua città il quadro normativo destinato a durare in eterno si narra che abbia utilizzato un facile espediente: stava per partire, e fece giurare agli spartani di rispettare le leggi fino a quando egli non fosse ritornato. Quindi si allontanò da Sparta per sempre. I primi codici scritti, plausibilmente, apparvero in comunità miste dove erano presenti elementi greci e stranieri: non è forse un caso che la tradizione indichi l’isola di Creta come terra di legislatori, e le fondazioni coloniali come luogo di origini dei primi legislatori greci. I nomi emersi sono quelli del locrese Zaleuco e del catanese Caronda: il primo viene di solito collocato intorno al 660, mentre il secondo è forse vissuto un paio di generazioni dopo. Alla seconda metà del VII secolo appartiene il celebre codice dell’ateniese Dracone, la cui legislazione sull’omicidio fu trascritta su pietra alla fine del V secolo e giunta fino a noi. Difficile è comunque precisare il contenuto dei codici: molta attenzione era rivolta alle questioni procedurali (segno che le leggi si rivolgevano in primo luogo a coloro che detenevano il potere); altro tratto che contraddistingue i codici è il fortissimo timore che i cittadini vogliano mutarne il contenuto cambiamento percepito come pericolo. I primi codici di leggi costituiscono un importante passo in avanti nella costruzione di quello spazio pubblico nel quale i cittadini “mettono in mezzo” i loro problemi. 4.La polis e il potere: le tirannidi Dal 650 circa, molte poleis vengono sottoposte al potere arbitrario e assoluto di un singolo uomo; si diceva che solo Sparta ed Egina sarebbero sfuggite a tale destino. A questi personaggi fu dato il nome di tiranni, e presto il pensiero politico greco connotò l’esperienza come quanto di peggio potesse accadere: al nome tiranno (tyrannos) è associato un marchio indelebile di infamia e terrore. In origine però il termine – di derivazione orientale – designa il “signore”; alcuni punti fermi di questa figura sono i seguenti: 1. il tiranno è sempre un aristocratico; 2. nonostante si appoggi al popolo (demagogia) il suo comportamento e la sua visione del mondo sono di tipo aristocratico; 3. non va sottovalutato il legame di amicizia tra i tiranni stessi; 4. il tiranno cerca e di solito riesce a trasmettere il potere al figlio, instaurando un regime ereditario; 5. l’instaurazione di tirannidi avviene nelle poleis più avanzate della Grecia dal punto di vista economico e sociale un maggior afflusso di ricchezze determina maggiore libertà di pensiero e questo implica tensioni che possono portare all’ascesa di uomini senza scrupoli; 1 Sparta combatterono contro la vicina Messenia, separata dalla Laconia dall’imponente monte Taigeto. La prima guerra messenica (circa 730-710) permise l’assoggettamento della ragione e la riduzione in condizioni simili alla schiavitù dei suoi abitanti; la sua fine va messa in relazione con l’espulsione di una parte degli Spartani, che in quegli anni emigrano per fondare Taranto. La seconda guerra messenica (seconda metà del VII secolo?) fu causata da una rivolta dei Messeni schiavizzati: fu durissima; incerta è però la cronologia di tale guerra, come incerto è l’andamento del conflitto: unica fonte, divenuta leggendaria, era quella del poeta spartano Tirteo. È possibile che la seconda guerra messenica coincida con la diffusione a sparta del combattimento oplitico e dell’ideologia che ne consegue. La conquista della Messenia ebbe conseguenze incalcolabili: fornì una base agraria e non rese indispensabile l’esperienza coloniale. La necessità di tenere a bada una massa di uomini in condizione servile assai più numerosa del corpo cittadino, e assai più unita e determinata, fu, in ultima analisi, la causa della militarizzazione della società spartana. Alla fine del VII secolo Sparta ci appare ancora una società aperta agli influssi esterni; la chiusura dello stato spartano verso l’esterno e la conseguente austerità della sua società e dell’educazione data ai giovani si verificò nel cinquantennio successivo e fu realizzata solo intorno al 550: alcuni vollero accostarla al nome dell’eforo Chilone, che esercitò tale magistratura nel 556. Sparta continua la sua espansione ma con una più duttile politica di alleanze: la tradizionale nemica Argo veniva sconfitta ripetutamente, Tegea e altre comunità del Peloponneso, impegnandosi ad avere “gli stessi amici e gli stessi nemici” di Sparta. Così questa, nella seconda metà del VI secolo, diventò la polis più potente del mondo greco. Molto attivo fu il re Cleomene, che guidò gli Spartani tra il 520 e il 490 circa; il principale insuccesso imputato in politica estera è il tentativo di inglobare la stessa Atene. 3.Politica e società a Sparta L’organizzazione politica e sociale spartana non nacque in un solo giorno, come voleva la tradizione, sul nome del leggendario legislatore Licurgo: essa è frutto di un’evoluzione di almeno un paio di secoli, tra l’VIII e il VI secolo. Un momento senza dubbio di grande importanza è riflesso in un documento noto come Grande Rhetra:14 si tratta di una sorta di legge “costituzionale” che contempla, tra le arte cose, la divisione della comunità in tribù, l’istituzione di un consiglio di anziani e l’assemblea del popolo. La tradizione la attribuiva allo stesso Licurgo, che l’avrebbe dettata dopo averla ricevuta dall’oracolo di Delfi. Una datazione della trascrizione della legge è verosimilmente collocabile intorno alla fine dell’VIII secolo. L’ordinamento che ritroviamo in età classica non sembra si sia formato prima della metà circa del VI secolo. Istituzioni politiche ▲ al vertice troviamo due re, appartenenti a due famiglie (Agiadi e Euripontidi) che si dicevano discendenti da Eracle; ricordiamo che la diarchia è un’istituzione rara nel mondo greco. I re spartani avevano un 14 Il termine deriva dal verbo eiro= dire, proclamare, ordinare. potere limitato essenzialmente alla sfera militare; in altri campi le loro prerogative sono per lo più di natura onorifica. ▲ La gherusia (da gheron, anziano) era composta da 28 membri della comunità che avessero raggiunto i 60 anni; aveva grande prestigio e per molto tempo l’attività legislativa e quella giudiziaria rimasero sotto il suo diretto controllo. ▲ La magistratura di gran lunga più importante è quella dell’eforato; gli efori (“controllore”, “sorvegliante”) erano in numero di cinque; venivano eletti tra tutti i cittadini per un solo anno ma avevano poteri assai estesi. Esisteva una lista di efori che partiva dal 754: ma è quasi certo che questa magistratura sia stata istituita in un secondo tempo. ▲ L’assemblea del popolo (apella) raccoglieva periodicamente tutti i cittadini spartani di pieno diritto. Eleggeva gli efori e i membri della gherusia, ma il suo peso reale all’interno della società spartana è controverso. L’ipotesi più probabile è che avesse un ruolo consultivo. Struttura sociale ▲ Spartani: detenevano i pieni diritti civili. Il loro numero, che nei secoli andò drammaticamente diminuendo, era in origine di 9mila. Ciascuno di essi possedeva un kleros, curato però dagli iloti: questo permetteva loro di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica e all’allenamento in vista dell’attività militare, secondo le modalità dettate dall’agoghé. ▲ Perieci: più numerosi, vivevano in comunità a sé stanti e godevano di notevole autonomia. Coltivavano terre ma svolgevano anche attività artigianali e commerciali indispensabili per la comunità. Combattevano a fianco degli Spartani nell’esercito, ma non avevano alcun diritto politico. Difficile precisare l’origine delle comunità perieciche: una recente tesi vorrebbe che esse siano nate proprio in Messenia per spezzare la solidarietà tra i Messeni sconfitti. ▲ Iloti: erano uomini che vivevano in condizione di semi-schiavitù. Appartenevano allo stato ed erano costretti a coltivare le terre di proprietà degli spartiati, trattenendo solo la metà circa del raccolto. Erano totalmente privi di diritti: lo stato spartano si considerava in guerra permanente contro di loro e solo raramente si emancipavano. Una parte almeno degli iloti era costituita dai Messeni, altri risalivano a un’età precedente. Impossibile stabilire quanti essi fossero, anche se sappiamo che erano in numero di molto superiore agli spartiati. Alcuni dei problemi fondamentali sono però del tutto irrisolti: a. Esistenza di numerosi gradi “intermedi” in cui forse ricadevano gli spartiati decaduti per scarso rendimento in guerra o per altre colpe; altra circostanza che favoriva il mischiarsi dei livelli sociali era l’esistenza di figli nati da rapporti tra spartiati e donne di condizione inferiore o viceversa. b. L’esistenza o no di un’aristocrazia all’interno del gruppo degli spartiati; si ritiene che alcune famiglie abbiano mantenuto all’interno del gruppo degli spartiati un ruolo preminente. 1 4.La grande caserma: il sistema educativo spartano Il sistema educativo, chiamato agoghé, cui venivano sottoposti tutti gli spartiati fin dalla più tenera età, costituisce un esperimento straordinario: ▲ A partire dagli otto anni di età, i sopravvissuti alla selezione naturale, venivano affidati allo stato e crescevano divisi in gruppi di età sotto la supervisione di istruttori statali. L’educazione era in primo luogo fisica e abituava il ragazzo alle privazioni e alla fatica; importante anche la preparazione psicologica, tesa a favorire controllo della paura, competizione, emulazione ed obbedienza: il fine ultimo era la formazione di eccellenti soldati. Scarso era il tempo dedicato alla cultura, ma comunque la maggior parte degli spartiati raggiungeva un’alfabetizzazione di base. ▲ A 18 anni alcune prove di iniziazione: la più famosa e la più terribile era la “caccia legalizzata” all’ilota; questa si svolgeva di notte, mentre di giorno il cacciatore si nascondeva nei boschi. Superate le prove d’iniziazione, lo spartiata continuava nel suo percorso di formazione che si concludeva solo a 30 anni, età di pieno godimento di diritti politici. ▲ I cittadini a pieno titolo prendevano parte ai sissizi, istituzioni più importante all’interno del sistema. Si trattava di gruppi di uomini che consumavano i pasti in comune; essi si mescolavano ai re ed era un momento fondamentale per l’educazione dei giovani, anche attraverso legami di tipo omosessuale con i più anziani. ▲ All’interno della società spartana il ruolo della famiglia era assai limitato: dopo l’infanzia, essa non aveva più una reale funzione. La donna spartana godeva di una grande libertà, anche sessuale; inoltre era un soggetto quanto meno giuridico, se non politico: poteva ereditare ed essere proprietaria di appezzamenti di terreno, senza bisogno della tutela di un uomo. 5.L’esercito spartano L’esercito costituiva il fulcro e il fine stesso della società spartana; in esso militavano tutti gli spartiati dai 18 ai 60 anni. Al suo interno i soldati apparivano assai omogenei: stessa uniforme e armi grossomodo standardizzate, in quanto favorite dallo stato. Quando entrava in azione la falange, l’esercito mostrava la propria superiorità: essa infatti si muoveva in modo armonico e coeso gli spartani, di fatto, erano dei professionisti che combattevano contro dilettanti. E la differenza si faceva sentire anche dal punto di vista psicologico. Il più grave problema era quello del numero: diminuirono dai quasi 10mila dell’età arcaica fino alle poche centinaia del III secolo, in età ellenistica tale fenomeno deriva da una serie di cause, tra cui la scarsa duttilità del sistema economico spartano: la possibilità di disporre del proprio appezzamento favorì pericolosi processi di accentramento della proprietà che fecero sì che, mentre alcuni spartiati si arricchivano, molti altri non potessero più disporre del tradizionale kleros con la conseguente decadenza dal privilegiato status di cittadino. L’esercito era guidato da uno dei due re che, seppur circondato da un nutrito gruppo di guardie, combatteva al pari di tutti gli altri soldati. Le gerarchie di comando esistevano, ma i segni di distinzione erano ridotti al minimo. Sparta e il suo esercito erano l’incarnazione dell’ideologia oplitica. Fino alla battaglia di Leutra del 371 la macchina da guerra spartana rimase 1. PENTACOSIOMEDIMNI: era la prima classe; le loro terre erano in grado di raggiungere una produzione di 500 medimni15 di grano o l’equivalente in olio o vino. 2. CAVALIERI: era la seconda classe; le loro terre erano in grado di raggiungere una produzione di 300 medimni. 3. ZEUGITI: terza classe; le loro terre erano in grado di raggiungere una produzione di 200 medimni. 4. TETI: quarta classe; le loro terre non raggiungevano una produzione di 200 medimni. L’accesso alla vita politica fu da questo momento scandito dall’appartenenza a una di queste classi: le principali magistrature erano rivestite da coloro che facevano parte della prima o delle prime due classi, mentre ai teti la cosa sola concessa era la partecipazione all’assemblea senza alcun rivestimento di cariche per la prima volta viene introdotto un regime fondato sulla ricchezza e non sulla nascita; inoltre, è eccezionale la persistenza di tale struttura costituzionale negli anni a venire: formalmente, il regime censitario soloniano durò fino al IV secolo. Nel suo reale significati sussistono numerosi dubbi. Prima di tutto, sorprende il fatto che le prime tre classi comprendessero il 15-20% della popolazione, mentre il restante 80% rimase confinato all’interno dell’ultima classe; poi non si comprende la necessità di separare in due la classe dei più ricchi; infine, ancora più dubbia è l’attribuzione a Solone dell’introduzione di un Consiglio di 400 cittadini, 100 per ognuna delle 4 tribù esistenti. È probabile che tale Consiglio sia un’invenzione degli oligarchici che, nel 411, cercarono di introdurre ad Atene un regime imperniato su un Consiglio di appunto soli 400 membri. Improbabile è l’attribuzione a solone della creazione del tribunale popolare dell’Eilea. Secondo la tradizione, Solone fu autore di un vasto e minuzioso codice di leggi che avrebbe riguardato pressoché ogni aspetto della vita quotidiana; molte leggi appaiono però tarde rielaborazioni di IV secolo. Certamente non vanno ritenute originali le leggi che prevedono pene pecuniarie perché l’Atene del tempo non conosceva l’uso corrente della moneta; è certo però che esse riguardassero molti aspetti del vivere quotidiano. Da notare la legge che prescriveva per il cittadino l’obbligo di schierarsi in caso di contese civili e quella che affermava il diritto di ciascun cittadino che lo desiderasse di intraprendere un’azione giudiziaria contro chiunque entrambe le prescrizioni vanno nella direzione di una partecipazione del cittadino alla vita della propria comunità, un principio che sarà fondamentale nell’Atene democratica del secolo successivo. 4.Pisistrato Pochi anni dopo l’arcontato di Solone, Atene era di nuovo in preda all’anarchia; di un tale stato di crisi ne approfittò Pisistrato, un aristocratico di Brauron che si era distinto nella guerra che gli Ateniesi avevano combattuto contro Megara. Egli diventò tiranno una prima volta nel 560; cacciato poco dopo, rientrò ad Atene grazie a un’alleanza matrimoniale con gli Alcmeonidi, ma poco dopo fu costretto nuovamente alla fuga. Nel 546 grazia a un esercito privato e a un’amicizia con aristocratici sconfisse un debole e mal diretto esercito ateniese: mantenne il potere fino alla morte, sopraggiunta nel 528 1 15 Ricordiamo che un medimno corrisponde a 52,5 litri circa. Pisistrato fu un tiranno privo di quei tipici tratti violenti associati alla tirannia: rispettò, infatti, l’assetto istituzionale ateniese e migliorò per molti aspetti la città. Schematicamente, ricordiamo: • Sviluppo edilizio • Sollecitudine nei confronti della campagna con lo scopo di rendere meno marcate le differenze tra città e campagna. Alla sua morte si posero alla guida i figli, Ippia e Ipparco; il 514 fu l’anno di una vera crisi: per una faccenda di natura privata, Armodio e Aristogitone uccisero Ipparco; il governo di Ippia si fece più sospetto e i suoi rapporti con la popolazione ateniese si deteriorarono. Dopo essere riuscito a respingere un’azione degli Alcmeonidi, non poté nulla contro gli Spartani del re Cleomene nel 510: assediato sull’acropoli, dopo una breve resistenza, accettò di allontanarsi dalla città. 5.Le riforme di Clistene L’intento degli Spartani era quello di instaurare un governo aristocratico sotto la guida di Isagora, ma l’alcmeonide Clistene lo costrinse all’esilio nel 508. Con l’appoggio del popolo, egli operò una riforma delle istituzioni, dando il via a quello che oggi consideriamo l’inizio del regime democratico di Atene la riforma toccò ogni aspetto istituzionale e contemplò una nuova organizzazione dello spazio e del tempo. Fondamento della vita politica ateniese nella riforma clistenica erano le tribù: in numero di dieci, prendevano il nome da eroi del mito suggeriti dall’oracolo di Delfi ed erano determinanti nella composizione dei collegi di magistrati e nell’attribuzione dei posti nel consiglio dei Cinquecento. Ciascuna tribù era una creazione artificiale su base territoriale territorio della penisola diviso in tre zone: 1) fascia costiera; 2) interno; 3) centro città. In ciascuna delle tre parti vennero individuate dieci trittie per un totale di trenta; ciascuna tribù era dunque formata da tre trittie (costa, interno e città) quasi mai contigue. A una tale creazione artificiale si sovrapponeva la suddivisione del territorio dell’Attica in demi – circa 139: a seconda del caso, il demo poteva indicare un quartiere, un piccolo villaggio o un paese. Il cittadino acquistava il suo status attraverso l’iscrizione ad appositi registri del proprio demo nome accompagnato ora anche dal demotico oltre che dal patronimico. Tutti i cittadini potevano partecipare all’assemblea – ekklesia – che si riuniva una quarantina di volte all’anno; competenza di tale assemblea era anche una procedura molto particolare, non isolata nel panorama del mondo greco, ossia quella dell’OSTRACISMO: una volta all’anno l’assemblea si riuniva per decidere se fosse opportuno liberarsi di qualche membro della comunità, pur senza accusarlo di alcun reato. Se la risposta era positiva, in una successiva riunione ciascun cittadino scriveva su un coccio di ceramica (ostrakon) il nome di chi avrebbe desiderato colpire. L’ostracismo nasce dal desiderio della comunità di liberarsi di personalità troppo “ingombranti”, sospettate di aspirare alla tirannide, ma presto divenne uno strumento di lotta politica all’interno della città. L’organo più innovativo era il Consiglio dei Cinquecento – chiamato anche boulé: in esso sedevano, eletti per un anno, cinquanta cittadini per ciascuna tribù e rappresentavano anche i demi, in maniera proporzionale alle dimensioni demografiche. Mentre oltre trenta demi inviavano un solo rappresentante, il demo di Acarne ne inviava ben 22. Tale organismo era incaricato di preparare l’ordine del giorno dell’assemblea e di gestire l’ordinaria amministrazione e di garantire quotidianamente la presenza dello stato: 50 consiglieri, a turno, assicuravano la loro presenza costante nella sede del consiglio per la durata di una pritania (36 giorni), sorteggiando ogni giorno un presidente che, per quelle 24 ore, aveva ampi poteri decisionali. Esecutori delle decisioni dell’assemblea e del consiglio erano i detentori di archai, comandi, che erano dei magistrati. In pieno V secolo se ne conteranno all’incirca 700 e non è possibile elencare tutte le magistrature; importante però ricordare che le cariche erano attribuite per sorteggio, erano collegiali e della durata di un anno. A fine mandato ciascun magistrato doveva sottoporsi a un controllo del proprio operato. Sul significato delle riforme clisteniche, ricordiamo alcuni punti principali: • Probabilmente non si può parlare di vera e propria democrazia, poiché il potere delle famiglie aristocratiche non venne eccessivamente compromesso: rimase intatto il vecchio ordinamento costituzionale basato sul collegio degli arconti e sul consiglio dell’Areopago, formato da circa 300 uomini e centro di potere più importante. • Con le sue riforme, probabilmente, Clistene intendeva semplicemente mantenere il potere della sua famiglia, blandendo il popolo e riducendo il potere delle clientele; altri hanno sottolineato l’esigenza di coprire l’immissione nella cittadinanza di numerosi elementi che non ne avrebbero avuto il diritto. • Importante è la miscela di tradizione presente nell’opera clistenica e tipica del pensiero greco, che innova le strutture politiche ateniesi mantenendo però le strutture preesistenti. CAPITOLO 12 – GRECIA E PERSIA: LA RIVOLTA IONICA E LE GUERRE PERSIANE (499-479) 1.Oriente e Occidente Il conflitto tra la Grecia e l’impero persiano va inserito in una prospettiva di lungo periodo; le guerre persiane, infatti, sono un episodio di una vicenda più lunga che si concluderà con la conquista dell’impero persiano da parte di Alessandro. Di esse conosciamo solo la versione dei vincitori greci tale vittoria risultò decisiva per trasmettere alle poleis una grande fiducia in se stesse, elemento che risulterà fondamentale per gli sviluppi successivi. Negli anni centrali del VI secolo, la geografia politica del mondo cambiò radicalmente: i quattro grandi regni orientali (Lidia, Media, Babilonia ed Egitto) furono abbattuti e inglobati nel territorio unificato dell’impero persiano per opera di Ciro il Grande, Cambise e Dario. Dei Persiani ci colpisce la concezione religiosa, che si esprimeva nel culto del dio Ahura-Mazda, fondata da Zarathustra religione fondamentale per la 1 L’esercito di terra era rimasto in Grecia e i Persiani devastarono nuovamente il territorio attico; nella primavera del 479 un contingente spartano, guidato dal reggente Pausania, superò l’istmo di Corinto e si mosse verso nord, ricongiungendosi con il contingente ateniese e con contingenti di altre poleis. In Beozia, presso Platea, si svolse nel settembre dello stesso anno la battaglia decisiva: fu, nel complesso, una battaglia lunga e difficile, anche se lo scontro decisivo si risolse in breve tempo e mostrò la superiorità della fanteria spartana. Durante la battaglia decisiva, che vide i Greci vincitori, perso la vita Mandronio. Nella stessa estate la vittoria greca fu resa più completa dal successo riportato dalla flotta alleata, guidata dal re spartano Leotichida: seguendo la flotta persiana nell’Egeo, riuscì a sorprenderla presso Capo Micale quasi tutte le navi vennero incendiate e distrutte. Questo evento determinò la rivolta delle città ioniche contro il dominio persiano e le isole di Samo, Chio e Lesbo vennero accolte nella lega degli alleati. LEGGERE CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 – TIRANNI D’OCCIDENTE (FINE VI METÀ V SECOLO) 1.Comunità di frontiere Quando la guerra contro i Persiani era ormai imminente, ambasciatori di Atene e Sparta si recarono dal tiranno di Siracusa Gelone in cerca d’aiuto. Egli pose come condizione l’attribuzione alla sua persona del comando assoluto dell’esercito greco: una condizione simile non poteva essere accettata e Gelone non partecipò alla guerra. Vero o no, questo episodio testimonia l’importanza raggiunta da Siracusa: è probabile che avesse superato le poleis della Grecia continentale come numero di abitanti e disponibilità di risorse; lo stesso si può dire per Sibari, Crotone e Taranto nella Magna Grecia. Si tratta di comunità di frontiera le cui vicende sono fortemente influenzate dai rapporti con le popolazioni indigene e con potenze esterne come gli Etruschi in Italia e i Cartaginesi in Sicilia. Tutte queste comunità mostrano una predilezione per il ricorso al dominio assoluto di un tiranno. 2.Lotte interne e conflitti con l’esterno nella Magna Grecia Nel VI secolo Sibari, situata sulla costa ionica dell’attuale Calabria e retta dal tiranno Telys, raggiunge un grado di ricchezza e di potenza che la rende la più importante tra le città della Magna Grecia. Crotone, retta invece da una ristretta oligarchia, le dichiarò guerra: questa decisione fu presa sia per la tradizionale rivalità sia dalle insistenze degli aristocratici sibariti che si erano rifugiati a Crotone. Un ruolo importante fu giocato anche da Pitagora. La guerra fu breve e, nel 510, si risolse con la piena vittoria dei Crotoniati e la totale distruzione di Sibari; il successo, però, vide anche la fine dell’accordo tra Pitagora e gli aristocratici della città. Tra la fine del IV e i primi decenni del V secolo, abbiamo indizi di numerose difficoltà che le poleis della Magna Grecia incontrano per difendere i propri territori da potenze esterne o dalle popolazioni locali. Nell’attuale Campagna, Cuma deve difendersi dall’espansionismo etrusco e vi riesce grazie soprattutto alla figura di Aristodemo che instaura una tirannide che assumerà ben presto tratti aristocratici. Alla sua morte la minaccia etrusca si farà sentire nuovamente portando nel 474 all’intervento del tiranno di Siracusa Ierone. Ma è Taranto che manterrà con maggiore consapevolezza un ruolo egemonico in Magna Grecia. Del 470 l’episodio più drammatico: la città subisce una terribile sconfitta contro la popolazione locale degli Iapigi Erodoto ne parla come del più grande massacro di Greci tra quelli di cui siamo a conoscenza. Questo episodio si può interpretare come un’anticipazione della grande riscossa indigena che si concretizzerà a partire da IV secolo. I Sibariti superstiti avevano tentato di ricostruire la propria polis; in particolare abbiamo un tentativo intorno alla metà del V secolo, in coincidenza con la rivolta in seno a molte città magno-greche, che aveva portato all’instaurazione di democrazie e alla profonda crisi dei circoli pitagorici. Ma Crotone riuscì a sventare anche questo tentativo: i Sibariti si rivolgono allora alla Grecia, chiedendo aiuto a Sparta e Atene. Pericle si mostrò interessato e dopo un tentativo di rifondare la città sul suo vecchio sito, fonda una nuova città senza la partecipazione di chi gli aveva chiesto aiuto si tratta di Turi, fondata nel 444. Il carattere della città era panellenico, nel senso che vi confluirono uomini da ogni parte della Grecia: l’influenza ateniese fu preponderante. In questo senso, le vicende di Turi si inseriscono nel complesso problema dell’interesse ateniese per l’Occidente. 3.Le tirannidi di Sicilia Le poleis di Sicilia, nella tarda età arcaica, sono dominate da oligarchie terriere; il pericolo di conflitti con le popolazioni indigene e la minaccia cartaginese favorirono l’insorgenza di tirannidi: ricordiamo Panezio a Leontini e Falaride ad Agrigento. La fama di quest’ultimo personaggio è basata più che altro su aneddoti di assai dubbia storicità legati alla sua presunta crudeltà; inoltre il quadro in cui si inseriscono questi avvenimenti è complessivamente avvolto dall’oscurità. Intono al 510, Dorico, fratello del re spartano Cleomene I, cerca di stanziarsi ad Eraclea, nella Sicilia occidentale, ma viene respinto dai Cartaginesi, alleati con gli Elimi, popolazione indigena ellenizzata, i cui principali siti erano Segesta ed Entella. Nel 505 a Gela l’aristocratico Cleandro rovesciò l’oligarchia al potere e instaurò una tirannide; nel 498 il potere passò al fratello Ippocrate, che rivoluzionò la geografia politica della Sicilia orientale, conquistando una serie di poleis e giungendo fino a Zancle (Messina). In questa città, alla morte di Ippocrate, si instaurò un altro tiranno, Anassilia, morto nel 476. Le imprese di Ippocrate, l’impiego militare di elementi indigeni e di mercenari provenienti dalla Grecia continentale e micrasiatica formano un esercito molto efficiente. Gelone, esponente della famiglia dei Dinomenidi, succede a Ippocrate dopo la sua morte nel 491; negli stessi anni, Terone, esponente della famiglia degli Emmenidi, prendeva potere ad Agrigento (487) e stabiliva un’alleanza con Gelone. Nel 485 Gelone occupa Siracusa, facendone la sua capitale, mentre Gela veniva lasciata al fratello Ierone Siracusa conobbe uno straordinario quanto 1 forzato accrescimento di popolazione attraverso il trasferimento in massa degli abitanti delle vicine Camarina e Megara Iblea; inoltre Gelone non esitò a concedere la cittadinanza a oltre 10mila mercenari che avevano combattuto nel suo esercito. Questi provvedimenti danno l’idea della precarietà del mondo siceliota e del distacco dal tradizionale mondo della polis. Per rafforzare il fronte interno Gelone sfrutta la presenza del nemico, vale a dire dei Cartaginesi, presenti nella zona occidentale della Sicilia la minaccia si concretizzò ne 482, quando Terone si impadronì di Imera, sulla costa settentrionale dell’isola. Nell’estate del 480, presso Imera, l’esercito cartaginese si scontrò con quello congiunto di Terone e Gelone: la morte di Amilcare decretò il trionfo greco. Gelone morì di malattia nel 478; al fratello Ierone spetta il compito di tenere unito lo stato territoriale ereditato dal fratello: egli fu all’altezza del compito. Emulò innanzitutto il fratello nella violenza delle deportazioni e con brillante intelligenza politica rivolse la sua attenzione non più verso i Cartaginesi ma verso lo Stretto e la Magna Grecia. Una richiesta d’aiuto da parte degli abitanti di Cuma vide Ierone pronto a intervenire e a battere la flotta etrusca nella battaglia navale nei pressi della città stessa nel 474 fine dell’espansionismo etrusco verso sud. Ierone morì pochi anni dopo e giunge al potere il terzo fratello, Trasibulo: asserragliato nell’isola di Ortigia con i suoi mercenari, fu presto costretto alla fuga (466). Formulando un giudizio complessivo, sembra di intravedere un eguale cammino nelle poleis continentali e siceliote: si parte in entrambi i casi da ristrette aristocrazie di sangue per giungere a forme più o meno allargate di partecipazione democratica. Le condizioni in cui le esperienze maturano sono però diversissime: • Le città siciliane erano a contatto con un vasto entroterra indigeno, fonte di tensioni e instabilità ma anche di ricchezza e di manodopera in quest’ottica, ricordiamo che le tirannidi siceliote ebbero un particolare sviluppo nelle tre città fornite dal più vasto e ricco entroterra, vale a dire Gela, Agrigento e Siracusa; • Come zona di frontiera, la struttura della cittadinanza delle varie poleis era di gran lunga più instabile che non nella Grecia continentale; • La grecità di Sicilia conviveva con i Cartaginesi, la cui presenza poteva essere sfruttata per compattare il fronte interno. Alla caduta di Trasibulo, in tutte le città della Sicilia vennero ripristinati dei regimi costituzionali chiamati democrazie, anche se in realtà sono espressione di oligarchie moderate. Le tirannidi scompaiono per il momento dall’isola, ma ai problemi strutturali che la affliggono non è stata data alcuna soluzione e la storia del cinquantennio precedente Dionisio I è una storia travagliata. Il primo problema che i Greci di Sicilia si trovano ad affrontare fu quello del rapporto con i Siculi tornò in primo piano con Ducezio, esponente di una nobile famiglia sicula che si pose a capo di un movimento che giunse a fondare uno stato federale nel 453. Dopo ulteriori vittorie su Agrigentini e Siracusani, egli subì una sconfitta (450) e si rifugiò a Siracusa come supplice e si recò in (460-454) a sostenere la ribellione del re libico Inaro contro il dominio persiano; l’iniziativa si risolse con un disastro. • AGROLIDE, MEGARA ed EGINA: i morti di Egina si riferiscono alla tradizionale lotta contro l’isola delle coste attiche; le altre due testimoniano una mutata rotta in politica estera che portò a un atteggiamento aggressivo nei confronti della stessa Sparta. In questi periodo peggiorano i rapporti con Sparta, anche se gli scontri militari veri e propri non furono molti e i tentativi ateniesi sembravano finalizzati più che altro a espandere la propria influenza nella Grecia centrale. L’obiettivo sembrava raggiunto con la vittoria a Enofita nel 457, ma dieci anni dopo a Coronea gli Spartani si presero la rivincita e Atene dovette rinunciare a ogni velleità di dominio in Beozia e nelle zone circostanti. 6.Il consolidamento dell’impero Nel 450 Cimone morì, mentre negli anni quaranta inizia la cosiddetta età periclea. Per quanto riguarda i rapporti con l’estero, la non belligeranza con la Persia fu ufficializzata con la PACE DI CALLIA (449) molte sono le difficoltà nell’interpretare questa trattativa poiché non abbiamo notizie storiografiche. Probabilmente si trattò di un accordo non ufficiale, ma ciò non toglie che un’intesa ci fu: tale intesa cristallizzò la situazione raggiunta già da alcuni anni, fissando una divisione in sfere d’influenza: Atene avrebbe controllato l’Egeo e le città di Asia Minore, mentre alla Persia restò il dominio sul resto dell’Asia. L’espansionismo ateniese incontrò un momento di crisi nel 446 quando, dopo la sconfitta in Grecia centrale, anche l’Eubea si ribellò; anche Sparta si mosse, invadendo l’Attica con un esercito guidato dal re Pleistonatte Pericle uscì brillantemente dalla difficile situazione: il re spartano fu quasi certamente corrotto, mentre l’Eubea fu ridotta alla regione con una certa facilità. Pericle non aveva più avversari dal momento che Tucidide di Malesia (non lo storiografo!) fu ostracizzato nel 445; continuò la politica aggressiva nei confronti dei sudditi della lega: a farne le spese fu in questo periodo l’isola di Samo. CAPITOLO 16 – ATENE DEMOCRATICA: ALLA RICERCA DI UN NUOVO MODELLO DI CONVIVENZA L’abolizione di gran parte delle prerogative dell’Areopago, nel 461, fece sì che ad Atene si realizzasse un regime politico nel quale il potere era totalmente nelle mani del popolo il tasso di partecipazione alla vita politica nell’Atene del V e del IV secolo fu elevato, tanto da creare una nuova forma di identità basata proprio sull’essere cittadino: ciò che conterà di più non sarà il privato, non sarà la sfera economica o religiosa, tanto meno quella ideologica: quello che lo identificherà sarà la partecipazione alla vita politica e giudiziaria. Gli organi principali della democrazia rimasero quelli introdotti con le riforme clisteniche, ma solo dopo il 461 dispiegarono tutte le potenzialità. Il sorteggio. Quasi tutte le magistrature ateniesi erano attribuite per sorteggio; facevano eccezione il collegio dei 10 strateghi e poche magistrature finanziarie: per questi casi si procedeva per elezione. Il sorteggio sarà poi utilizzato anche per l’arcontato. Scegliendo questo criterio divenne realmente possibile per ogni cittadino, di qualunque condizione, ottenere una carica. Tutte le operazioni di sorteggio 1 avvenivano dopo che era stata formata una lista di volontari che intendevano partecipare all’estrazione emerge il carattere egualitario. La retribuzione. La retribuzione delle cariche pubbliche – detta in greco mithòs – fu la più rivoluzionaria delle innovazioni: il cittadino che partecipa alla vita pubblica viene pagato per questa attività. In un primo tempo i remunerati sono i giudici popolari nei tribunali, poi i vari magistrati e infine, dopo la guerra del Peloponneso, anche coloro che partecipavano alle assemblee. La tradizione vuole che Pericle abbia introdotto la pratica, ma si tratta di un’ipotesi semplicistica. Inoltre è facile pensare allo scandalo suscitato negli aristocratici: secondo i detrattori, la retribuzione delle cariche favoriva la moltiplicazione di fannulloni che non avrebbero ritenuto più necessario dedicarsi a un’attività lavorativa. Ma si tratta di un’accusa che non regge: non esiste alcun elemento per affermare che i cittadini ateniesi fossero meno attivi degli abitanti di qualsiasi altra polis. Legge sulla cittadinanza. La legge fu voluta da Pericle nel 451: secondo questa, sarebbe stato cittadino solo chi fosse stato generato da padre e madre ateniesi. Il provvedimento è fortemente restrittivo. Questa legge fu istituzionalizzata nell’ottica della nuova politica secondo cui tutti i cittadini potevano partecipare alla vita politica ed essere retribuiti. Esiste un rapporto di causa/effetto tra l’instaurazione della democrazia radicale e l’evoluzione aggressiva dell’impero ateniese: • La potenza ateniese era basata sulle dimensioni e l’efficienza della flotta. Nella flotta servivano come rematori moltissimi poveri ateniesi e tale servizio consentiva a questi cittadini di guadagnare ovvia l’equazione più guerra = più impiego della flotta = più paghe per i rematori. Inoltre i meno abbienti ricavavano da tutto ciò anche una legittimazione a partecipare alla vita politica; • Il progetto politico basato sulla retribuzione delle cariche pubbliche era assai costoso e solo i proventi dall’impero, garantiti da una politica aggressiva, basata sul continuo impiego della forza, potevano assicurare ad Atene le risorse per rispettare tale progetto. 3.I tribunali La giustizia ad Atene veniva amministrata direttamente dai cittadini; ogni anno ne venivano sorteggiati 6mila che venivano chiamati a far parte delle giurie popolari. Nei giudizi meno importanti, le giurie erano composte da 201 cittadini, ne più gravi anche mille. Non esistevano professionisti: i magistrati, a turno, si limitavano a istruire il processo, mantenere l’ordine e dare la parola alle varie parti; gli imputati e gli accusatori parlavano in prima persona davanti ai loro concittadini. L’importanza dei tribunali risiede nel fatto che le decisioni dell’assemblea e le leggi promulgate potevano essere impugnate in tribunale. L’assemblea era sì sovrana, ma esisteva comunque la possibilità di opporsi a una sua delibera tramite l’appello ai tribunali, mentre la sentenza di questi ultimi era inappellabile. Coloro che formavano le giurie popolari furono i primi a essere retribuiti. 4.Pericle e la democrazia ateniese La letteratura antica non fu tenera con la democrazia radicale ateniese; più variegato il giudizio su Pericle. Di lui sappiamo che era figlio di Santippo, protagonista delle guerre persiane, e di Agariste, della famiglia degli Alcmeonidi; era coltissimo, dotato di grandi capacità oratorie e di eccezionale carisma. Sappiamo che governò senza detenere mai alcun potere speciale. Nel IV secolo fu visto spesso come colui che aveva spinto Atene in una guerra senza senso, fautore di una strategia che aveva permesso agli Spartani di calpestare impunemente il suolo dell’Attica. A contrastare tale giudizio, lo storico Tucidide. 5.Contro la democrazia: le rivoluzioni del 411 e del 404 Che cosa facevano gli aristocratici negli anni della democrazia? L’impero aveva portato vantaggi anche a loro: non avevano alcun obbligo finanziario nei confronti della città e le loro grandi proprietà erano rimaste intatte e in molti casi avevano potuto addirittura espandersi. Molti sceglievano di abbandonare la vita pubblica, alcuni sceglievano invece la piena collaborazione: tra questi ricordiamo Pericle e Alcibiade. Due soli furono i casi in cui l’opposizione oligarchica uscì allo scoperto, cercando di prendere potere: in entrambi i casi l’iniziativa nacque dalle difficoltà in cui si trovava Atene; in entrambi i casi la rivoluzione si arenò quando si ruppe il fronte tra gli oligarchici più estremisti e i fautori di una democrazia oplitica moderata; in entrambi i casi le rivoluzioni ebbero vita assai breve. La rivoluzione del 411. Nell’Atene indebolita dal disastroso esito della spedizione in Sicilia, alcuni esponenti dell’oligarchia credono sia giunto il momento di organizzare un colpo di stato. A seguire l’informatissima narrazione di Tucidide, il capo degli oligarchici era Antifonte. La congiura ebbe luogo nei primi di giugno del 411 colpo di stato almeno in parte legale in quanto l’assemblea del popolo, di fatto, approvò con una votazione gli stessi provvedimenti che le toglievano il potere. Il governo della cosa pubblica passò a 400 membri ed era scelto per cooptazione tra gli oligarchi. Fu abolita immediatamente l’odiata retribuzione delle cariche pubbliche e la cittadinanza venne riservata a solo 5mila persone. Il peggioramento della situazione militare e le rivolte dei marinai resero fin da subito poco salda la condizione del nuovo regime: lo stesso Alcibiade passò abilmente a difendere la causa popolare. Ai primi di settembre, dopo soli quattro mesi di governo, i 400 furono rovesciati e si impose una democrazia moderata guidata da Teramene: questa era basata sulla precedente idea di concedere la cittadinanza a soli 5mila ateniesi. La democrazia torno a pieno regime nel marzo del 410. I Trenta Tiranni. All’indomani della conclusione della guerra del Peloponneso era nell’ordine delle cose che Atene si desse un regime oligarchico. E così avvenne: all’inizio dell’estate del 404 gli Ateniesi nominarono 30 cittadini incaricati di redigere una nuova costituzione. Erano tutti oligarchi, ma all’interno non mancavano differenze: vanno distinte le posizioni di Crizia e di Teramene mentre quest’ultimo era favorevole a una costituzione nella quale avessero voce in capitolo “coloro che difendono la città con il cavallo e con lo scudo” , vale a dire una costituzione oplitica che avrebbe dato la cittadinanza a circa 10mila cittadini, Crizia era fautore di un’oligarchia assai più ristretta. Quest’ultima proposta ebbe la meglio e venne stilata una lista di 3mila 1 ambizioni ateniesi in Grecia centrale. A Sparta intanto Brasida risollevava le sorti dei Peloponnesiaci in Grecia settentrionale, riuscendo a strappare ad Atene la città di Anfipoli. Dopo una breve tregua, il 423 vide la morte di Brasida e Cleone seguirono, nel 421, le trattative per la pace di Nicia: le condizioni rispecchiavano sostanzialmente lo status quo prima dell’inizio della guerra. Insoddisfatte restarono le alleate di Sparta, in particolare Corinto, Tebe e Megara. 4.La fase intermedia Apparve subito chiaro che la pace appena stipulata nasceva poco solida. Ad Atene si scontravano due visioni che riproponevano quelle viste durante le guerre Persiane: da una parte i fautori dell’egemonia bipolare Atene/Sparta, di cui il principale esponente è Nica; dall’altra coloro che propugnavano l’obiettivo di un’egemonia totale sul mondo greco e favorevoli alla continuazione del conflitto. A sostenere questa posizione, ad Atene, era Alcibiade, divenuto stratego in giovane età. Egli fu il principale promotore di un’alleanza con Argo, Mantinea e la regione dell’Elide la coalizione finì assai male, con la disfatta a Mantinea nel 418 contro l’esercito spartano. Come conseguenza, ad Atene si verificò l’ostracismo di un personaggio minore, Iperbolo, mentre Alcibiade e Nicia furono rieletti strateghi: il primo si rese protagonista di una grande spedizione in Sicilia, mentre il secondo si dedicò all’asservimento dell’isola di Melo Spedizione in Sicilia. La Sicilia e l’Occidente erano da lungo tempo presenti tra gli obiettivi dell’ambiziosa politica estera ateniese. Non solo erano in vigore trattati con città siciliane, ma ben 11 strateghi ateniesi al comando di spedizioni più o meno grandi a varie riprese prima della grande spedizione del 415 in questo contesto, la più importante delle spedizioni va inserita all’interno della guerra del Peloponneso tra 427 e 424. La spedizione che partì nell’estate del 415 non era frutto di una improvvisazione de momento: il pretesto venne fornito da Segesta, preoccupata dalle minacce della rivale Selinunte. Su proposta di Alcibiade, gli Ateniesi risposero inviando un contingente di circa 130 navi e il comando della spedizione venne affidato ad Alcibiade, affiancato però da Nicia. Tutta questa strategia non può essere attribuita all’ambizione di un singolo le possibili spiegazioni oscillano tra valutazioni minimalistiche, che sottolineano l’importanza della Sicilia per l’approvvigionamento di grano, e il desiderio di Atene di non far cadere l’isola sotto influenza spartana. Poco prima della partenza si verificò la cosiddetta mutilazione delle Erme, un gesto sacrilego di cui Alcibiade fu accusato gli fu concesso comunque di partire, salvo ritorno in patria dopo la spedizione per il processo, ma egli preferì darsi alla fuga. Così la spedizione continuava sotto il solo comando di Nicia. Obiettivo primario era Siracusa: Nicia iniziò l’assedio e le cose sembrarono mettersi bene, ma nell’estate del 414 fu inviato da Sparta il generale Gilippo che risollevò le sorti dei Siracusani. Nicia era incerto sul da farsi e chiese rinforzi: furono inviate oltre 70 navi con al comando Demostene. Ma la spedizione della flotta fu un disastro: dopo la sconfitta, Nicia e Demostene tentarono la fuga via terra, ma furono raggiunti e l’esercito massacrato presso il fiume Assinaro nell’estate del 413. Intanto nella Siracusa trionfante si instaurava un regime di democrazia radicale sotto la guida di Diocle, regime simile a quello che stava portando alla rovina Atene. • Ricordiamo che di questa spedizione ce ne parla lo storico Tucidide: quando scrive, riprende i moduli narrativi della tragedia per sottolineare gli effetti negativi di tale spedizione. La sconfitta in Sicilia pose fine a ogni ambizione occidentale di Atene. 5.Gli ultimi anni di guerra e la vittoria di Sparta I concitati anni finali della guerra si svolgono quasi interamente nelle acque dell’Egeo e sulle coste settentrionali e orientali. Questi anni hanno un protagonista: Alcibiade. Dopo la fuga, riesce a raggiungere Sparta dove fornisce due consigli: 1) invio di Gilippo; 2) occupazione stabile del suolo attico, con la creazione di un avamposto spartano a Decelea. Allontanatosi da Sparta e recatosi in Asia Minore, inizia un gioco diplomatico con i Persiani, convincendoli a spingersi ora verso Atene e ora verso Sparta. Questa seconda opzione ha successo e fu l’evento che determinò le sorti della guerra. I Persiani forniranno a Sparta risorse finanziarie per armare costosissime flotte la politica basata su enormi disponibilità finanziarie avrà il suo culmine nei primi decenni del IV secolo. Nello stesso tempo Alcibiade gioca tutte le sue carte per riuscire a rientrare ad Atene favorisce una rivoluzione oligarchica nel 411 per poi virare immediatamente verso i democratici e accreditandosi come fautore della restaurazione democratica. Intanto la rivolta in Eubea e in molte città dell’Egeo e l’occupazione di Decelea sembrano mettere in ginocchio Atene, ma la sua ripresa ha del prodigioso. La flotta ottiene dei successi contro la flotta peloponnesiaca a Cizico (410): a guidare la vittoria è Alcibiade. L’euforia del momento porta al rifiuto della pace spartana e poco dopo, nel 408, Alcibiade fa ritorno in patria. Ma è sufficiente una sconfitta di poco conto, come quella nelle acque dell’Egeo, a Nozio, per far cacciare Alcibiade. Lo scontro costituisce anche uno dei primi successi di Lisandro. Gli Ateniesi hanno ancora le forze per riportare una vittoria, presso le isole Argiunse (406), ma l’anno dopo, nel 405, Lisandro sorprende la flotta ateniese presso Egospotami e la distrugge: nel 404 Lisandro entra nel Pireo e prende possesso di Atene. Corinzi e Tebani proposero la distruzione della città, mentre le condizioni imposte da Sparta erano più miti: • Distruzione della flotta, eccezione fatta per 12 navi; • Abbattimento delle mura; • Istaurazione di un regime oligarchico. CAPITOLO 19 – LA SICILIA E LA MAGNA GRECIA NEL IV SECOLO (405-337) Le vicende di Sicilia e Magna Grecia sono segnate dal rapporto tra le fondazioni greche e le popolazioni che circondano le poleis. I Sicilia i Greci riescono a mantenere lo status quo nei confronti dei Cartaginesi. Del lunghissimo governo di Dionisio I va sottolineata la realizzazione di uno stato territoriale assai vasto che giungeva a superare le strutture istituzionali della polis per proporre soluzioni che saranno adottate in età ellenistica. La situazione in Magna Grecia è meno conosciuta: i Greci, in meno di un secolo, 1 perdono il controllo di gran parte delle città da loro fondate. A Taranto si registrato tentativi di interazione fra il potere politico militare e le teorie filosofiche, attraverso il governo illuminato di Archita a Taranto e quello di Dione, decisamente fallimentare, a Siracusa. Dionisio I. Dionisio ottenne la fiducia dei Siracusani quand’era giovanissimo e riuscì a mantenere saldo il suo potere per quasi quarant’anni. Ad approfittare della vittoria sugli Ateniesi furono i Cartaginesi che compirono nuovamente una spedizione in Sicilia conquistando tra 409 e 406 Selinunte, Imera e Agrigento: la situazione era assai drammatica. Dionisio approfittò del panico e riuscì a farsi nominare comandante dell’esercito con pieni poteri – strategòs autokrator –; l’anno seguente i Cartaginesi accettarono di interrompere la guerra a causa di una pestilenza e il loro controllo su una buona parte della Sicilia venne confermato dal trattato di pace e fu riconosciuto, in compenso, il dominio di Dionisio su Siracusa. Egli in pochi anni consolidò il suo controllo sulle città e sulla Sicilia orientale per poi intraprendere, nel 400, spettacolari preparativi in vista di una nuova guerra contro Cartagine: si arrivò all’allestimento di una flotta di 300 triremi e di un grosso esercito. Il conflitto riprese effettivamente nel 397, con la conquista di Mozia, ma la reazione cartaginese fu efficace: un esercito arrivò a porre sotto assedio Siracusa, ma una pestilenza costrinse i Cartaginesi a rientrare. Un’ulteriore fase del conflitto (393-392) si risolse con un sostanziale successo di Dionisio consolidò la sua posizione sull’isola e vide ritornare i Cartaginesi sulle posizioni da cui erano partiti quindici anni prima. Dionisio poté dedicare il successivo decennio all’estensione del suo dominio in Italia: centro di irradiazione fu Locri, città d’origine di una delle mogli del tiranno. Momenti culminanti del processo furono la grande vittoria sul fiume Elleporo (388) e il vittorioso assedio a Reggio, caduta e rasa al suolo nel 386 il tiranno riuscì ad allargare il suo impero a parte della Magna Grecia. Tappe di questo interesse per l’Italia settentrionale furono la colonizzazione adriatica e l’attacco a Pirgi nel 384. Sul finire degli anni ottanta riprese la guerra contro Cartagine che si concluse nel 374 con la conferma dello status quo; in ultimo conflitto, intrapreso nel 367, dionisio morì e lasciò la scomoda eredità al figlio. Vediamo come la politica di Dionisio I fu incentrata su una continua mobilità verso il nemico e come la fortuna abbia molto inciso sulla sua ascesa al potere; poi va sottolineato come il suo sia stato un potere assolutamente personale: esercitava il potere demandando alcune funzioni a una ristretta cerchia di amici, parenti stretti e mettendo in atto strategie matrimoniali. Le tappe di tale politica lo portarono a sposare in un primo momento la figlia di Ermocrate; poi dopo la morte di lei sposò la siracusana Aristomache e Doride, un’aristocratica di Locri. Per quel che riguarda i rapporti con la società siracusana, Dionisio sembra appoggiarsi all’elemento popolare della cittadinanza, oltre che su disertati. Sul piano istituzionale la creazione di un dominio personale e assoluto amministrato in modo articolato appare una prefigurazione degli stati ellenistici. degli spartiati meno compatto. Pochissimi erano quelli che potevano dirsi culturalmente e psicologicamente in grado di affrontare i mutamenti derivati dalla vittoria e di gestire il grande potere che Sparta esercitava. Lisandro era quello che forse metteva più a repentaglio l’ordinamento dello stato: era insofferente alle vecchie regole di austerità e prudenza. A ciò si aggiungeva il malcontento delle classi inferiori, impegnate in guerra ma prive di gratificazioni Cinandrone promosse una rivolta contando sui numerosi focolai di scontento; il tentativo però fu sventato prima ancora che avesse inizio ma costituì un inquietante campanello d’allarme. In questi stessi anni si risolveva la crisi dinastica che vide il figlio di Agide II escluso dalla successione del padre perché sospettato di essere figlio di Alcibiade. Anche grazie all’appoggio di Lisandro venne eletto Agesilao, privo però di prestanza fisica. Il suo lungo regno comunque lo vide restio ad adeguarsi alle nuove realtà e incapace di evitare la progressiva decadenza della città. • La vittoria contro Atene era giunta grazie al decisivo appoggio finanziario del Gran Re di Persia che aveva preteso il riconoscimento del suo potere assoluto sull’Asia. Per gli Spartani era impossibile rispettare questi patti e nello stesso tempo presentarsi al mondo greco come difensori di tutta la grecità. • Corinto e Tebe erano del tutto insoddisfatte di come era stata gestita la vittoria da parte di Sparta. Né l’una né l’altra sembravano aver ricavato alcun vantaggio dalle prove sopportate nel corso di quasi trent’anni. Presto si unì Argo, nemica storica di Sparta, a Corinto e Tebe. Dieci anni dopo la conclusione della guerra, Atene aveva ricostruito le Lunghe Mura che univano la città al Pireo ed aveva una discreta flotta: era forse possibile ricostruire l’impero perduto. Dopo l’esperienza dei Trenta Tiranni in città era stato reintrodotto il sistema democratico dietro la facciata dell’amnistia per quanti erano stati coinvolti nel regime dei Trenta Tiranni si agitavano forti tensioni, risolte superficialmente da una vera e propria demonizzazione del breve governo autocratico. L’odio nei confronti dei protagonisti di quella pagina oscura di storia ateniese univa i democratici radicali e moderati: in questo clima maturò il processo e la conseguente condanna a morte di Socrate. Protagonista più importante del periodo fu la Persia: sebbene poco unita al suo interno, fu il burattinaio della politica greca dei primi decenni del IV secolo. Sono i soldi persiani che danno il via alla guerra di Corinto ed è il Gran Re Artaserse II a favorire prima Atene e poi Sparta, fino a dettare la pace nel 386. 3.La guerra in Asia Minore Nello stesso anno in cui la guerra del Peloponneso terminava, moriva il Gran Re Dario II e gli succedeva Artaserse II. Il fratello minore di quest’ultimo, Ciro, fu decisivo nel far orientare i Persiani verso Sparta a guerra appena conclusa. Egli inoltre non si rassegnò ad essere escluso dalla successione e concepì un temerario piano per rovesciare il fratello arruolamento di13mila mercenari. Uno dei greci che partecipò all’impresa fu Senofonte, che scrisse su di essa e sui drammatici avvenimenti che seguirono la sua opera più famosa, l’Anabasi. In essa si racconta lo scontro decisivo tra i due fratelli a Cunaxa con la morte 1 di Ciro e la lunga marcia di ritorno dei mercenari greci. Questo avvenimento fu importante anche per i Greci la morte di Ciro peggiorò i rapporti già delicati tra Sparta e i Persiani. Dunque, alla città laconica non restò che assumersi fino in fondo le responsabilità del suo ruolo di potenza egemone del mondo greco. Tra il 400 e il 395 mantenne costantemente un esercito in Asia Minore, incaricato dell’impossibile missione di sconfiggere i Persiani e restituire la libertà alle poleis della costa. Solo Lisandro coltivava progetti grandiosi, ma egli venne escluso dalla partecipazione diretta delle operazioni. I comandanti spartani in Asia non ottennero alcun risultato di lunga durata; infine fu la guerra scoppiata in Grecia a costringere Agesilao a tornare precipitosamente in patria. La guerra riprenderà anche per mare. Sparta conservava ancora intatta a flotta che gli stessi Persiani avevano contribuito a costruire per sconfiggere Atene. Contro di essa fu posto a capo della flotta persiana l’ateniese Conone, che non tradì le attese: nell’estate del 394, presso Cnido, distrusse la flotta spartana collaborazione tra Atene e Persia che sarà fondamentale per la ripresa di Atene. Interessante però vedere come nelle fonti questo ottimo risultato sia descritto come la collaborazione tra Conone ed Evagora, re di Cipro, senza mai citare i Persiani. 4.La guerra di Corinto I Persiani nel 395 distribuirono 50 talenti a esponenti politici antispartani nelle quattro principali città della Grecia: Corinto, Tebe, Argo e Atene. Così facendo, ottennero che queste si coalizzassero e che dichiarassero guerra a Sparta: scoppiava la cosiddetta guerra di Corinto (395-386), che ottenne quello che i Persiani si erano prefissati Agesilao fu richiamato dall’Asia. Ma in un momento di difficoltà, gli Spartani dimostrarono come le loro capacità militari non erano ancora decadute. L’anno 394 si aprì con la morte di Lisandro, ma nei mesi successivi, nel corso di due battaglie – Nemea e Coromea – gli Spartani sbaragliarono senza grandi difficoltà la coalizione delle quattro città greche. Le battaglie non furono risolutive sul piano militare e le perdite degli alleati furono contenute: la guerra si trascinò negli anni successivi senza avvenimenti decisivi. Tra 392 e 386 si verificò un sorprendete esperimento: Corinto si fuse con Argo dando vita ad un’unica polis. Pur continuando a vivere ciascuno nella propria città, i cittadini delle due poleis erano rappresentati da un’unica assemblea e un unico governo si potrebbe parlare di annessione di Corinto ad Argo: le magistrature e le assemblee della prima furono abolite, così come il regime politico instaurato fu una democrazia, in linea con la tradizione di Argo. Difficile comprendere il motivo di una tale innovazione: influirono senza dubbio le contingenze della guerra, particolarmente dure per il territorio di Corinto. L’esperimento può essere visto come un primo tentativo di superare il localismo più rigido per sperimentare nuove forme di aggregazione. Il fatto che la guerra si protraesse per anni fece sì che non potessero essere solo i cittadini a combatterla: il cittadino/soldato è un dilettante e non può dedicare che una parte del suo tempo a quella particolare attività comunitaria. Questa è una delle motivazioni fondamentali del ricorso sempre più costante a forze mercenarie; allo stesso tempo questo implicava l’aumento delle spese militari e a una generale destabilizzazione. L’impiego di mercenari è il più importante ma non è l’unica innovazione in campo militare: nel 390, un reparto dell’esercito spartano venne sorpreso da un attacco dell’ateniese Ificrate che guidava un battaglione di peltasti, soldati armati alla leggera con uno scudo a forma di mezzaluna. Nello scontro, morirono ben 250 spartiti. Quello che suscitò sorpresa fu il fatto che il contingente di opliti spartani fossero stati distrutti in un’imboscata condotta da soldati considerati di rango inferiore. Una novità che avrà grandi sviluppi nei decenni che seguiranno. 5.La pace del Re Conone aveva concepito un ambizioso piano che comportava addirittura lo sbarco nel Peloponneso e un attacco diretto alla città. Il progetto non si concretizzò e venne occupata stabilmente l’isola di Citera, pericolosa per Sparta. Nel 393 Conone rientrava ad Atene e gli Spartani trovarono nella persona di Antalcida un uomo che si rivelò in grado di condurre una politica di vasto respiro e di dialogare in modo efficace con il Gran Re. La proposta fu accolta nel 386 e andava incontro a tutte le richieste persiane. Più difficile fu convincere le città nemiche di Sparta, ma nessuna di esse aveva la forza per continuare: ad Atene, le morti di Conone e Trasibulo (391) fecero pensare che i risultati ottenuti fino ad allora fossero sufficienti. Nella primavera del 386 i rappresentanti provenienti da tutto il mondo greco ascoltarono l’inviato di Artaserse dettare letteralmente le condizioni della pace: il momento fu ricordato come uno dei più umilianti della storia dei Greci. Gli accordi erano semplici: il Gran Re ribadiva il suo potere assoluto su tutto il territorio asiatico e sulle città greche d’Asia. Per quanto riguarda il resto della Grecia, tutte le poleis dovevano essere libere e autonome. Uniche eccezioni, il mantenimento del possesso delle isole di Lemno, Imbro e Sciro da parte di Atene e la possibilità per Sparta di conservare lo strumento della sua egemonia, la lega peloponnesiaca e il dominio sulla Messenia. Gli anni immediatamente successivi furono quelli in cui Sparta esercitò con maggior vigore la sua egemonia; nell’estate del 382 un comandante spartano, Febida, si impadronì dell’acropoli di Tebe: fu un atto privo di qualsiasi giustificazione formale. Ma Agesilao avvallò il comportamento di Febida e non mostrò alcuna intenzione di ritirare il contingente spartano Sparta aveva raggiunto il punto più alto della sua parabola. CAPITOLO 21 – L’ASCESA DI TEBE E LA RICERCA DI UN IMPOSSIBILE EQUILIBRIO (379-356) 2.Nuovi assetti politici: le confederazioni beotica e tessala Il forzato ingresso di Tebe nell’orbita spartana ebbe vita breve. Nella primavera del 379 esuli tebani, tra cui Pelopida, riconquistavano la città. La città conobbe il suo momento più florido, che culminerà con la distruzione della città da parte di Alessandro nel 335. Alla base del progetto politico l’adozione di ordinamenti democratici e l’unificazione della Beozia in una confederazione. Gli altri centri della Beozia godevano di larga autonomia per quanto riguardava gli affari interni, 1 generali, ma vennero sconfitti nella battaglia navale di Embata presso l’isola di Chio nel 356. la guerra durò ancora qualche mese; dopo di essa, la lega continuò formalmente ad esistere fino al 337, ma ad Atene il contraccolpo fu notevole: nonostante la flotta contasse pur sempre più di 300 triremi, si fece strada l’idea di rinunciare a una politica estera aggressiva per realizzare un programma di rafforzamento economico in un quadro di pacificazione in quest’ottica, uomo politico di spicco fu Eubulo. Ma il progetto fu realizzato solo in parte: negli stessi anni in cui Atene dovette affrontare la ribellione dei suoi alleati, scoppiava un nuovo focolaio di guerra che permise a Filippo di Macedonia di emergere. CAPITOLO 22 – FILIPPO DI MACEDONIA: LA CONQUISTA DELLA GRECIA (359-336) 1.Una personalità eccezionale Salito al trono di un regno marginale e arretrato a soli 22 anni, in vent’anni di guerre alternate a geniali mosse diplomatiche Filippo II acquisì il controllo di tutta la penisola greca e pose le basi per la grande spedizione in Oriente che ha dato la gloria a suo figlio Alessandro. Le fonti di questo periodo non sono poche, ma presentano numerosi problemi: gran parte della documentazione è contenuta nelle orazioni di Demostene ed Eschine, protagonisti della vita ateniese interessanti ma spesso inaffidabili: la verità dei fatti è messa in disparte e tutte le energie dell’oratore sono spese per convincere l’uditorio. 2.La Macedonia prima di Filippo Il significato di Macedoni è quello di “montanari”: in greco makedòns significa “alto”, “colui che viene in alto o in luoghi alti”. Dunque, il termine non indicava tanto un popolo dotato di una precisa identità, quando gli abitanti delle zone montuose che coronano la zona posta all’estremità settentrionale della penisola greca. Il principale collante fu la dinastia degli Argeadi; il sovrano era primus inter pares in un gruppo di qualche centinaio di grandi proprietari terrieri. Il quadro che emerge è quello tipico di una società guerriera, nella quale l’autorità era divisa tra lo stesso sovrano e l’assemblea dei soldati in armi il primo sovrano che abbia avuto una qualche consistenza storica è Alessandro I. Fin dall’antichità si discuteva se tale dinastia potesse essere considerata greca; una tradizione indicava infatti nella città di Argo la sua terra d’origine. Dopo molte discussioni, venne accettata la partecipazione dei sovrani macedoni ai giochi olimpici. La storia della Macedonia è comunque quella di un regno attardato, marginale e per di più assente nei poemi omerici; esso attira l’attenzione di Atene per il legname e come pedina nei giochi politici. Al suo interno si segnalano alcuni sovrani, tra cui Archelao, che svolgono opera di mecenatismo. Il quadro non muta nel IV secolo, quando il regno macedone conosce varie crisi dinastiche. Non stupisce che inizialmente Atene abbia trattato con una certa supponenza il giovane Filippo e non stupisce che Demostene si ostini nelle sue orazioni a parlare di Filippo come di un barbaro rozzo e incolto. La questione della grecità si basa su alcuni parametri: • criterio linguistico, poiché il macedone appartiene ai dialetti greci del nord-ovest; • criterio culturale, in quanto l’èlite macedone si dava un’educazione in larga misura greca ad esempio, il pantheon degli dèi era sostanzialmente lo stesso. 3.Dall’ascesa al trono alla pace di Filocrate (359-346) Filippo salì al trono nel 359, inizialmente come reggente; all’inizio si concentrò per consolidare i confini settentrionali del regno e poi si dedicò ad una profonda riorganizzazione dell’esercito macedone, trasformandolo in una insuperata macchina bellica fino all’arrivo dei Romani. Alla base della riorganizzazione, un forte aumento del numero di soldati, una professionalizzazione militare dei piccoli proprietari terrieri e una riforma dell’armamento, che prevedeva l’utilizzo di un’armatura più leggera e la dotazione di una lancia lunga fino a sei metri, la sarissa. Venne mantenuta l’importanza centrale della cavalleria. La prima conquista militare fu Anfipoli, sulla costa settentrionale della Tracia e di fondamentale importanza per il controllo delle miniere d’oro; la città costituiva una sorta di miraggio per gli Ateniesi: dopo averla fondata nel 437, l’avevano persa poco dopo per mani di Brasida; nei successivi settant’anni avevano cercato di recuperarla. Seguì la conquista di altre città e gli Ateniesi non apprezzarono i movimenti di Filippo. Filippo intervenne nelle cose della Grecia: l’occasione gli fu offerta dallo scoppio della cosiddetta III guerra sacra sacra perché riguardava il controllo e la gestione dell’Anfizionia di Delfi. Il fattore scatenante fu l’accusa rivolta agli abitanti della vicina regione della Focide di aver coltivato le terre sacre del tempio; gli accusatori erano i Tebani, i quali erano la forza più influente in seno all’Anfizionia. Non è chiaro quanto i Focesi fossero colpevoli; fatto sta che essi decisero nel 356 di occupare addirittura il santuario stesso. I Tebani sembrarono prevalere, ma Onomarco non si fece scrupolo di impegnare le infinite ricchezze del santuario per ingaggiare i mercenari riuscì ad ottenere il controllo su buona parte della Grecia centrale. Un tale sviluppo delle vicende preoccupò i Tessali. Mentre la città di Fere sposava la causa dei Focidesi, Larisa chiese l’intervento di Filippo, che non si lasciò sfuggire l’occasione di una durissima lotta con Onomarco. Il sovrano macedone riportò una grande vittoria che non pose fine alla guerra, ma ridimensionò le ambizioni dei Focidesi. La guerra continuò nella Grecia centrale coinvolgendo Tebani e Focidesi; Filippo cambiò fronte, dedicandosi a smantellare l’ultimo centro di potere autonome nella Grecia del Nord, Olinto, oggetto di attenzioni da parte di Sparta e Atene. Le operazioni di guerra iniziarono nel 351 e nel 348 la città cadde. In questi anni Demostene prese coscienza della pericolosità del re macedone Filippiche e Olitiache, orazioni in cui cerca di convincere gli Ateniesi a intervenire a fianco di Olinto. Questa decisione verrà presa, ma troppo tardi. Filippo mostrò le sue eccellenti abilità diplomatiche e si adoperò per la conclusione delle ostilità. Alcuni incontri tra il re e i principali personaggi politici ateniesi, tra cui Eschine, fecero sì che si giungesse alla pace, chiamata di 1 Filocrate (346). Essa poneva fine alla guerra sacra e stabiliva un’alleanza, rivelatasi precaria, tra Filippo e Atene. 4.Il trionfo e la morte (346-336) Gli anni successivi non vedono alcuna dichiarazione formale di guerra tra Atene e la Macedonia, ma sono assai tesi. Il “partito della guerra” prende il sopravvento in Atene sotto la guida di Demostene e si verifica l’esilio di Filocrate. Il terreno di frizione tra Filippo e Atene ora si sposta sulla costa settentrionale dell’Egeo, nel Chersoneso, da dove proveniva la maggior parte degli approvvigionamenti di grano. Nel 340 Filippo giunge ad assediare Perinto e Bisanzio, alleate di Atene, ma non riesce a conquistarle. La guerra è ormai imminente e nel 339 viene dichiarata ufficialmente in seguito al sequestro di navi da trasporto granario ateniesi. Nello stesso anno la guerra riprende anche in Grecia guerra di Anfissa. Anche in questo caso vengono accusati gli Anfissei, membri dell’Anfizionia delfica, di aver coltivato terre sacre. Filippo ne approfitta per giungere in Grecia centrale e arriva fino a Elatea, dove minaccia di attraversare le Termopili e invadere l’Attica. Demostene si dà molto da fare sul piano diplomatico, ma Tebe si lascia convincere scontro finale avviene nell’agosto del 338 presso Cheronea, dove i Tebani vengono sconfitti dal giovanissimo Alessandro, mentre sulla sinistra Filippo non ha troppe difficoltà contro gli Ateniesi. Gli Ateniesi temevano l’invasione dell’Attica da parte di Filippo, ma non successe nulla e furono i filo-macedoni Focione e Demade a ottenere da Filippo condizioni di pace più che onorevoli: il sovrano macedone restituì i prigionieri senza riscatto e non impedì il mantenimento della democrazia. Più duro fu il trattamento riservato a Tebe, che perse il controllo sulla confederazione beotica. Nei primi mesi del 377 a Corinto Filippo organizzò un congresso di tutti i Greci, unendoli in una lega – lega di Corinto – con lo scopo dichiarato di una grande spedizione contro la Persia. Ma Filippo non poté guidare la spedizione in Asia in quanto nel 336 venne ucciso da un certo Pausania. 5.Per un’interpretazione del periodo Alcune delle principali posizioni sull’interpretazione di tale periodo sono: • l’impostazione classica della storiografia del passato è solidale con le posizioni espresse da Demostene: Filippo è un barbaro invasore e la Grecia ha nello stesso Demostene il suo campione di libertà. Con il prevalere di Filippo a Cheronea, finisce la storia delle polis libere e finisce la stessa storia greca. • Nel corso dell’Ottocento si verifica un processo di identificazione tra la Prussia e la Macedonia: in un tale contesto, Filippo era visto con grande favore, mentre non si risparmiavano le accuse nei confronti di Demostene, oppositore di un processo ineluttabile. Ancora oggi i pareri sono contrastanti. • La storia greca non finisce a Cheronea, ma qui si trasforma; • Sulla figura di Filippo è difficile contestare un giudizio estremamente positivo, per la sua straordinaria intelligenza politica e le sue capacità diplomatiche, oltre che per il suo talento militare. individuano con chiarezza. Liberare le polis greche significò eliminare il controllo persiano su di esse sostituendo i governi oligarchici con altri democratici; questo non impedì di installare guarnigioni macedoni per prevenire un ritorno dei Persiani. L’autonomia fu in genere concessa purché non si traducesse in provvedimenti contrari al proseguimento della guerra. Non furono stipulati trattati: era il re a stabilire con un editto lo status della città; per le città greche d’Asia Minore la libertà fu sempre un dono concesso dall’alto su cui le poleis avevano ben poco controllo non si sottraevano alla sua sovranità. 4.Nuove prospettive: la ricostruzione del grande impero persiano L’incendi di Persepoli segnò il compimento della vendetta panellenica, ma non la fine della guerra. Alessandro aveva elaborato un progetto molto più ambizioso: l’obiettivo era sostituirsi a Dario come legittimo re dell’Asia e non poteva essere realizzato fino a quando il Gran Re era in fuga; Alessandro lo seguì fino in Media ma giunse troppo tardi. Decise di congedare le truppe degli alleati greci. L’inseguimento proseguì fino a Battriana, dove Dario, dove Dario aveva trovato rifugio presso il satrapo Besso; questi però lo face uccidere e si proclamò re con il nome di Artaserse IV. Ora la guerra era contro l’usurpatore Alessandro recuperò le spoglie di Dario e le fece deporre a Pasargade con una solenne cerimonia. I tre anni che seguirono furono segnati da campagne durissime e Alessandro dovette mutare l’assetto del suo esercito. La spedizione puntava ad aggirare Besso per prenderlo alle spalle: furono occupati i capoluoghi delle varie regioni e vi rifondò città che portavano il suo nome. Besso fuggì più a nord, in Sogdania, dove venne tradito dai suoi e consegnato al generale macedone Tolemeo: fu giustiziato nel 329. Gli scontri con le popolazioni locali durarono fino al 327, quando il matrimonio con Rossane, figlia di Ossiarte, ultimo capo della resistenza, chiuse le ostilità e dichiarò la pacificazione della provincia. Lo scontro si sposta sul confine orientale: la premessa fu la richiesta di aiuto del principe indiano di Tassila alla testa di una nuova armata, Alessandro varcò l’Indo e l’Idaspe; l’ultima grande battaglia si svolse in campo aperto e la vittoria fu schiacciante e affidò la regione come vassallo a Poro. Su consiglio di questo, Alessandro si mosse ancora verso est raggiungendo il fiume Ifasi, ma rinunciò a spingersi fino al Gange e decise di tornare indietro. Nel novembre del 326 una parte dell’esercito si imbarcò su una colossale flotta e scese il corso dell’Idapse e poi dell’Acesine fino all’Indo; il resto dell’esercito proseguiva via terra gli unici scontri si ebbero con la tribù dei Malli. Raggiunta la foce dell’Indo, la flotta proseguì lungo la costa, mentre l’armata si divise: un reparto, con a capo Craterio, rientrò da nord, mentre l’altra, capeggiata da Alessandro, proseguiva a sud. Il ricongiungimento avvenne a Hormuz circa un anno dopo. 5.L’unificazione incompiuta Al rientro in Perside il re macedone dovette affrontare gli effetti della sua prolungata lontananza: si verificarono infatti episodi di insubordinazione da parte di alcuni satrapi di origine persiana, i quali avevano cominciato a gestire il potere in forma autonoma. Tra questi Arpalo che fuggì in Grecia; i 1 responsabili furono puniti, ma rimaneva il problema della creazione di un sistema politico e amministrativo stabile per realizzarlo Alessandro si mosse in due direzioni: rafforzamento in senso autoritario del proprio potere e fusione delle componenti principali del regno, ossia quello persiano e quello greco- macedone. Dopo Gaugamela molte cose cominciarono a cambiare; il mutamento più macroscopico si verificò nell’idea che Alessandro aveva della propria regalità: progressiva assimilazione al modello del monarca orientale, il che arrivò a compromettere i rapporti con la nobiltà macedone nel 330 gli ufficiali di stanza risposero con una congiura alla decisione di Alessandro di introdurre il cerimoniale persiano, il che mandò a morte Filota, comandante della cavalleria; poco dopo Parmenione veniva fatto assassinare; a distanza di due anni Alessandro uccise il suo amico Clito per aver censurato in pubblico i suoi atteggiamenti. Tensioni gravissime si ebbero anche nel 327 quando Alessandro volle introdurre anche per i Macedoni l’obbligo della proskynesis, rito di prosternazione davanti al sovrano e riservato alle sole divinità: Callistene di Olinto pagò con la sua stessa vita l’opposizione. Alla base delle tensioni tra il re e i sudditi vi era anche un altro fattore, ossia le profonde trasformazioni a cui stava andando incontro l’esercito elemento macedone in minoranza, sostituito per lo più da mercenari. Da tempo Alessandro aveva compreso l’importanza dell’elemento locale, ossia l’integrazione tra elemento macedone ed indigeno per garantire unità e governabilità. In quest’ottica si inseriscano le nozze di Susa della primavera 324: si tratta della grande cerimonia con cui il re prese in moglie una figlia e una nipote di Dario e 80 ufficiali e 10mila veterani sposarono donne persiane il tutto sfociò in rivolta. Dopo il ritorno dalla spedizione in Asia la sua trasformazione fece sentire i propri effetti anche sulla madrepatria; espressione più nota fu il “decreto sugli esuli” con cui il re concedeva il ritorno in patria a tutti i fuoriusciti ad eccezione dei responsabili dei delitti di sangue; Antipatro, viceré in Europa, aveva la facoltà di usare la forza per imporne l’attuazione. Si trattava di un provvedimento autoritari che contravveniva gli accordi fondanti della lega di Corinto e violava libertà e autonomia delle polis e rischiava di sconvolgerne gli equilibri politici. Ad Atene la notizia generà forte preoccupazione e il clima politico fu ulteriormente esasperato dall’arrivo al Pireo dell’infedele tesoriere Arpalo. Quando Antipatro reclamò la sua consegna, gli Ateniesi lo fecero arrestare e gli confiscarono 700 talenti. Nello scandalo fu coinvolto anche Demostene, che fuggì nel Peloponneso. Altro cambiamento avvenuto in Alessandro è dato dalla richiesta di onori divini per Efestione, morto improvvisamente nel 324: questo era un tratto della regalità del tutto estraneo al mondo greco. Alessandro trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Babilonia, dove, secondo tradizione, avrebbe ricevuto l’omaggio del mondo greco-macedone e da parte del mondo Occidentale. Si tratta di una notizia la cui attendibilità è fortemente discussa, anche in ottica dei progetti espansionistici verso occidente. In ogni caso, Alessandro non fece in tempo ad attuare questo progetto poiché, colto da malattia, moriva il 10 giugno 323 a soli 33 anni. CAPITOLO 25 – L’EREDITÀ DI ALESSANDRO (323-281) 1.I diadochi La storia del cinquantennio che intercorre fra la morte di Alessandro e il 281, data che segna l’estinguersi della prima generazione di diadochi, è la storia di un periodo di assestamento. L’inevitabile esito finale è la frammentazione dell’impero costruito da Alessandro e la costruzione di nuovi regni ellenistici . Alcuni elementi determinanti del processo furono la mancanza di un erede che fosse subito in grado di riprendere con vigore l’opera di Alessandro le sorti dell’impero rimasero nelle mani dei suoi generali attraverso una divisione di incarichi e di poteri che preludeva alla spartizione vera e propria: la sua ufficializzazione si ebbe tra 306 e 305, quando tutti i diadochi assunsero titolo di re. Ma questa nuova regalità ha basi ben diverse rispetto a quelle della monarchia macedone: venuta a mancare qualsiasi legittimazione dinastica, il diritto a regnare viene sostituito dalla forza delle armi. È quindi il codice della conquista che giustifica le aspirazioni alla regalità e guida le azioni di chi tale regalità deve mantenere. Una volta stabilito il proprio diritto, il passo successivo sarà la costruzione di una dinastia. 2.Una soluzione temporanea Alessandro non aveva avuto il tempo di dare al suo immenso dominio una struttura organizzativa stabile. Così i generali macedoni si trovarono a gestire lo spinoso problema della successione al trono. La moglie sogdiana del re, Rosselle, aspettava un figlio, ma si trattava di un erede di sangue misto. Le truppe macedoni spingevano per una soluzione alternativa: incoronare re un fratellastro di Alessandro, Filippo Arrideo, mentalmente ritardato. Dopo una consultazione tenutasi a Babilonia, i generali macedoni decisero che a governare sarebbero stati entrambi. Ma il vero potere era in altre mani: tre furono gli uomini fra i quali venne ripartita l’autorità più alta ad Antipatro restava il controllo su tutte le regioni europee e in particolare sulla Grecia e sulla lega ellenica creata nel 337; in Asia troviamo Perdicca, con il titolo di chiliarca; infine Cratereo prendeva in carico gli affari della corona, col comando generale dell’esercito e il controllo sulle finanze dell’impero. Nello stesso tempo, si procedette all’assegnazione delle satrapie: tale operazione fu densa di conseguenze, proprio perché da qui parte la disgregazione dell’impero. Antigono, detto il Monoftalmo, ottenne l’Anatolia occidentale; Lisimaco la Tracia – che faceva da ponte tra Asia ed Europa –; Tolomeo scelse l’Egitto, mentre a Eumene toccarono i territori della Paflagonia e della Cappadocia, ancora da conquistare. Questa ripartizione segnò un brusco strappo con la politica fino ad allora perseguita da Alessandro. I conquistatori rivendicarono il completo controllo del potere, che non venne più condiviso con le stirpi indigene. In diverse circostanze i satrapi non esiteranno a servirsi di elementi locali. 1 nulla di fatto (304). Per l’isola, che aveva gloriosamente resistito, iniziava un periodo di grande prosperità: il suo ruolo economico e politico nel Mediterraneo resterà di primo piano fino all’arrivo di Roma. Uno dei motivi che accelerarono la conclusione dell’assedio furono i successi militari che Cassandro stava ottenendo in Grecia. Nel 303 Demetrio rientrò nella penisola e si assicura il controllo di Corinto; nell’anno successivo nasce la nuova lega ellenica: la nuova confederazione costituiva un punto di partenza per dare l’assalto al trono macedone di Cassando. Ben presto questo si mosse a sua volta e con lui si schierarono Lisimaco, Tolomeo e Seleuco. Lo scontro decisivo si ebbe in Frigia, a Ipso (301), dove gli eserciti di Lisimaco e Seleuco sbaragliarono l’armata di Antigono. Il Monoftalmo moriva in battaglia, mentre Demetrio trovava scampo in Grecia. Con Anticono scomparve anche il suo regno: l’Asia Minore passò a Lisimaco, fatta eccezione per alcune zone di Licia, Panfila e Pisidia che andarono a Tolomeo. A lui rimase anche la Siria meridionale, che non volle cedere nonostante gli accordi a Seleuco presupposti per una serie di guerre tra Tolemei e Seleucidi, che si protrassero fino alla conquista romana. Cassandro manteneva il controllo della Grecia, dove Demetrio conservava alcune piazzeforti, fra cui Corinto. Il figlio di Antigono rimase padrone del mare e l’ultima grande occasione gli fu offerta dalla morte di Cassandro nel 297: Demetrio riuscì a eliminare tutti i pretendenti e a farsi incoronare nel 294. Lisimaco e Pirro invasero la Macedonia e Tolomeo occupava Cirpo; poco dopo Demetrio cadde nelle mani di Seleuco (286), che lo tenne prigioniero fino alla sua morte, nel 283. Nello stesso anno Tolomeo I morì e due anni dopo anche Lisimaco cadeva combattendo a Curupedio contro Seleuco (281). Questa vittoria sembrava aprire al satrapo di Babilonia le porte del regno macedone, ma il destino gli riservò una sorte ben diversa: cadde vittima del primogenito di Tolomeo, Tolomeo Cerauno. Con la morte di Seleuco scompariva l’ultimo esponente della generazione dei diadochi. CAPITOLO 26 – UN POTERE DA CONSERVARE E TRAMANDARE: I REGNI ELLENISTICI NEL III SECOLO 1.L’affermazione delle dinastie ellenistiche Con la scomparsa della generazione dei diadochi si assiste a una svolta nella storia del mondo ellenistico: non mutano i principi che guidano la generazione successiva, i cosiddetti epigoni21 ma perché è con questa nuova generazione di re che si affermano le dinastie ellenistiche: 1) Antigonidi; 2) Lagidi; 3) Seleucidi. Comune a tutti i sovrani fu l’esigenza primaria di conservare e tramandare il proprio regno e di sviluppare l’eredità ricevuta: così mentre la Macedonia fu sempre coinvolta nelle tensioni che percorrevano la Grecia, il regno dei Seleucidi si misurò costantemente con la difficoltà di mantenere il controllo sia sulle lontane regioni orientali sia sull’Asia Minore. Per i Lagidi continuò lo sforzo di dover mantenere il controllo sulla Siria meridionale, ambita dai Seleucidi, e sulle postazioni in Grecia e in Asia Minore. Tutti questi regni dovettero fare i conti con pressioni esterne ma anche con 21 Letteralmente, significa “nati dopo”. tensioni interne, che in alcuni casi portarono alla costituzione di centri di potere autonomi e a nuove dinastie. 2.La Macedonia Dopo la morte di Seleuco (281) la Macedonia vive alcuni anni di incertezza e di assestamento prima che sul suo trono si insedi stabilmente la dinastia degli Antigonidi. Nello stesso 281 l’esercito aveva acclamatore l’assassino di Seleuco e vano fu il tentativo di Antigono Gonata di sbarrargli la strada. Ma la partita fra i due fu decisa da un fattore esterno: l’invasione dei Celti nella penisola. Tolomeo Cerauno morì e lasciò la macedonia in preda al saccheggio; guidati da Brenno, i Celti si spinsero a sud fino alle Termopili per poi ripiegare a Lisimachia, dove vennero sconfitti da Antigono. Il prestigio ottenuto da questa vittoria consentì al figlio di Demetrio di avere la meglio sugli altri pretendenti e a farsi riconoscere re. Sotto di lui, la Macedonia conobbe un periodo di prosperità e rafforzò il suo controllo sulla Grecia. Oltre alla Tessaglia, ampie zone della penisola erano sotto l’influenza macedone e guarnigioni furono stanziate a Corinto, Calcide e Demetriade (Tessaglia). Non passò molto tempo che Antigono tentasse di riguadagnare la supremazia in Egeo, ora controllato dai Tolomei. Ma Tolomeo II riuscì a coalizzare contro la Macedonia con Atene e Sparta da questa guerra le posizioni dei Macedoni uscirono rafforzate, ma lo scontro con l’Egitto si fece più aspro. Quando scoppiò la seconda guerra siriaca tra Tolomei e Seleucidi, Antigono intensificò i suoi sforzi per guadagnare il controllo sulle isole dell’Egeo, ottenendo alcune vittorie navali. negli ultimi anni del suo lungo regno, il Goronata dovette affrontare la minaccia costituita dal crescente potere degli Etoli nella Grecia centrale e degli Achei nel Peloponneso. La perdita più grave, a vantaggio degli Achei, fu Corinto. Dopo il regno di Demetrio II, che vide i possessi macedoni nella penisola ridursi ulteriormente, una svolta si ebbe con l’ascesa al trono di Antigono Dosone. Alleatosi con gli Achei, il Dosone ricostituì una vasta alleanza di stati greci sotto l’egemonia macedone e riportò una schiacciante vittoria sui Lacedemoni a Sellasia nel 222: fu l’ultimo grande momento nella storia della Macedonia. Infatti, nello stesso anno moriva Antigono, lasciando al trono Filippo V. 3.L’Egitto dei Tolemei L’Egitto acquistò ben presto una sua precisa fisionomia sotto il governo dei Tolomei. Tolomeo I si comportò come un faraone ben prima di attribuirsi ufficialmente il titolo di re nel 305 e riuscì a mantenere stabile la sua autorità sull’Egitto. Il nucleo centrale di questo regno si mantenne immutato; cambiamenti significativi si ebbero nelle aree su cui i Tolomei cercarono di stabilire o consolidare la propria influenza: Egeo, coste dell’Asia Minore e la Siria meridionale queste aree erano contese con i Seleucidi. L’insistenza dei Tolomei su quest’ultima regione ha due motivi: 1) garantiva una protezione contro l’accesso militare. Via terra al bacino del Nilo; 2) contribuiva a fornire all’Egitto quei beni di cui era povero. Ai primi scontri seguirono sei guerre, dette siriache, l’ultima delle quali si concluse nel 168 con l’intervento di Roma. Queste guerre segnarono gli spostamenti dei confini, passaggi di regioni tra le parti, ma non intaccarono mai i nuclei territoriali dei due regni. 1 La terza di queste guerre, innescata da problemi di successione, vide il successo di Tolomeo III e i territori controllati dall’Egitto raggiungere la loro massima estensione. Con l’ascesa al trono di Tolomeo IV, nel 221, ha inizio il declino dello stato lagide. La quarta guerra siriaca mise a rischio il regno stesso di Tolomeo IV, salvato solo dalla vittoria decisiva ottenuta a Rafia nel 217. 4.I Seleucidi La vittoria di Curupedio (281) aveva consegnato a Seleuco l’intero regno di Lisimaco, successo di cui non godette a lungo perché cadde egli stesso sotto il pugnale di Tolomeo Cerauno. La sua eredità fu accolta dal figlio Antioco I inizia una serie di sovrani “condannati” alla difesa, alla conservazione e alla riconquista. Il primo pericolo venne dai Celti, chiamati in Asia dal Nicomede di Birmania, ma scesi poi verso sud, verso le coste dell’Asia Minore. Su di loro Antioco I ottenne una vittoria decisiva nella cosiddetta “battaglia degli elefanti” e li confinò nella Frigia settentrionale. Antioco affrontò la I guerra siriaca e subì la successione di Eumene di Pergamo, che nel 263 trasformò in uno stato autonomo quello che lo zio di Filietro gestiva già da tempo come un suo piccolo principato. Nel 261 Antioco II reagì con vigore agli attacchi di Tolomeo II uscendo con successo dalla seconda guerra siriaca, ma alla sua morte, nel 246, si aprì il terzo e più sfortunato conflitto. Fu Bernice, seconda moglie di Antioco, a chiamare in aiuto il fratello Tolomeo III perché difendesse i diritti del figlio contro Seleuco II. La spedizione di Tolomeo III fu un successo e lo portò fino alle porte di Babilonia, ma Bernice e il figlio furono assassinati. Quando il conflitto si concluse, Seleuco II era riuscito a contenere le perdite e a mantenere il regno. La debolezza in cui si trovava la casa seleucide favorì le iniziative autonomistiche nelle parti più orientali dell’impero; fu così che le satrapie di Partia e Battirana si resero indipendenti. Intanto il fratello minore di Seleuco II, Antioco Ierace, aveva trasformato la regione in un regno autonomo. Nel 226 Seleuco III eredita un regno che aveva perduto porzioni importanti del suo territorio sia a Oriente che a Occidente. Lo stesso Seleuco III morirà nel 223 nel tentativo di conquistare l’Asia Minore, impresa che riuscirà a suo fratello, Antioco III. Egli riuscì a realizzare almeno in parte l’ambizioso progetto di ricostruire il regno dei suoi antenati, consolidando i confini meridionali con l’Egitto di Tolomeo IV e ristabilendo il controllo sull’Asia Minore; inoltre, con una grande spedizione in Oriente riportò i possessi seleucidi fino all’India. 5.La comparsa di regni minori Nel corso del III secolo si formarono all’interno del territorio che era stato di Seleuco I una serie di stati che potremmo definire “minori”, stati che ebbero un ruolo importante nel determinare la politica dei sovrani seleucidi e nei rapporti con Roma. • Regno di Bitinia (Anatolia settentrionale); • Regno del Ponto; • Regno di Cappadocia; • Regno di Pergamo (Asia Minore) alla morte di Seleuco, Filetro rimase fedele ad Antioco I e questo gli consentì di acquisire grande autonomia; il 3.L’alleanza con la Macedonia e il nuovo corso della politica achea Le due grandi leghe avevano raggiunto l’apice della loro potenza soprattutto a spese della Macedonia di Demetrio II, contro cui si erano alleate in un conflitto dai contorni oscuri, la cosiddetta guerra demetriaca. Gli Etoli avevano sotto il loro controllo buona parte della Grecia centrale, compresa la Tessaglia che fin dai tempi di Filippo II aveva gravitato nell’orbita macedone; gli Achei rappresentavano quindi la potenza egemone del Peloponneso. Ma l’attrito con i Lacedemoni determinò un nuovo e decisivo rovesciamento delle posizioni. I successi di Cleomene III, le simpatie che la sua opera riformatrice andava riscuotendo nel Peloponneso e che rischiavano di sgretolare la lega achea, costrinsero Arato all’azione nominato strategòs autokrator, cercò l’alleanza della Macedonia offrendo in cambio la restituzione di Corinto (225). Le forze congiunte acheo-macedoni recuperarono le posizioni perdute nel Peloponneso e costrinsero Cleomene III a rientrare a Sparta. Allora Antigono Dosone riuscì a creare una nuova lega di stati greci sotto l’egemonia macedone ne facevano parte oltre agli Achei i Focesi, i Beoti, gli Acarnani, i Locresi, gli Epiroti, i Tessali e le città dell’Eubea. Questa nuova lega presenta tuttavia importanti differenze: i membri non sono più singole città ma confederazioni di popoli. Ogni membro inviava rappresentanti al consiglio federale che si occupava solo delle questioni di politica estera e le cui decisioni dovevano essere rettificate dagli organismi politici locali. La struttura era assai meno opprimente ma più fragile. Le forze della coalizione affrontarono lo scontro decisivo con l’esercito spartano, di molto inferiore di numero, nell’estate del 222 a Sellasia. La vittoria degli alleati fu schiacciante; Cleomene fuggì in Egitto presso Tolomeo III: per la prima volta nella storia, un esercito nemico entrava nel suolo spartano. Da lì a poco anche la tradizionale regalità venne abolita e alla città furono imposti un governatore macedone e una guarnigione. 5.I primi anni del regno di Filippo V: la “guerra sociale” I successi della lega misero in allarme gli Etoli; ne seguirono alcune operazioni militari nel Peloponneso atte a indebolire gli Achei si scatenò la cosiddetta guerra sociale. Arato non esitò a chiedere l’aiuto di Filippo V, figlio di Demetrio II. Si giunse alla pace di Naupatto nel 217. Al di là dei suoi effetti pratici, che comunque privavano gli Etoli di alcune importanti posizioni, l’evento è importante per il suo significato storico: è l’ultimo concluso tra soli Greci. CAPITOLO 28 – FRA CARTAGINE E ROMA: I GRECI D’OCCIDENTE IN ETÀ ELLENISTICA 1.Le difficoltà delle poleis d’Occidente La profonda cesura che attraversò il mondo ellenistico dopo la morte di Alessandro non toccò la Sicilia e l’Italia meridionale. Qui infatti permane il sistema delle poleis; persistono le debolezze interne e gli scontri sociali. Nell’Italia meridionale il pericolo è costituito sia dalla crescente forza di Roma sia dalla pressione esercitata dalle popolazioni locali sui centri greci, testimoniata dalla costruzione o dal ripristino di possenti mura. L’incapacità di organizzare una difesa autonoma sarà alla base della richiesta d’aiuto che 1 porteranno nella penisola Agatocle (nuovo signore di Siracusa) e Pirro dall’Epiro. In Sicilia la minaccia romana si farà pressante solo in un secondo momento: nell’isola i tradizionali conflitti fra città favoriscono l’ascesa di Agatocle, personaggio che bene si inserisce nella tradizione delle tirannidi siciliote e del conflitto con Cartagine ma che sarà in grado di allacciare rapporti con alcuni regni ellenistici. Dopo di lui la Sicilia troverà ancora espressione di grecità in Ierone II, capace di inserirsi da protagonista nel conflitto tra Roma e i Cartaginesi; inoltre garantirà al regno di Siracusa unna breve autonomia nell’alleanza con Roma. 2.Da avventuriero a re: la parabola di Agatocle L’ascesa di Agatocle ha le radici nel conflitto tra democratici e oligarchici. Di umili origini, egli divenne ben presto un esponente attivo della fazione democratica; pur subendo l’esilio riuscì a crearsi solide postazioni a Morgantina e Leontini e a negoziare un vantaggioso accordo con la debole fazione oligarchica al governo. I patti gli conferivano il controllo su tutte le piazzeforti extraurbane di Siracusa presto trasformò questo potere in un controllo totale su Siracusa, dove diviene stratego nel 317. Il primo obiettivo fu il ripristino dell’egemonia sulla Sicilia orientale: così nacque lo scontro con Agrigento, Messina e Gela. Se da un lato il riacquisto del ruolo di Siracusa colpiva gli interessi di Cartagine, dall’altro le ambizioni di Agatocle non erano ancora placate e nel 311 si giunse al conflitto. La guerra con Cartagine è un altro dei motivi ricorrenti nella storia della Sicilia greca le prime fasi del conflitto non furono favorevoli ad Agatocle, sconfitto presso Agrigento e costretto a trovare riparo a Siracusa, ma dopo questi eventi decise di portare la guerra sul fronte Africano. Qui Agatocle raccolse alcuni importanti successi ma non riuscì a espugnare Cartagine; concluse allora un’alleanza con Ofella, il macedone che controllava Cirene e che da poco si era reso autonomo dal regno d’Egitto: il patto prevedeva, in caso di vittoria, il passaggio a Siracusa delle postazioni che Cartagine deteneva ancora nella Sicilia occidentale, mentre a Ofella sarebbero toccati i possessi africani. L’accordo non ebbe mai seguito a causa dei dissensi che scoppiarono tra gli alleati dopo la morte di Ofella. Molti dubbi rimangono su quanto successe in seguito. Richiamato in patria da movimenti sovversivi a Siracusa, Agatocle perse poco a poco tutte le posizioni guadagnate in Africa e fu costretto a trattare per la pace (306). Cartagine manteneva il controllo sulla Sicilia occidentale fino all’Alico; Agatocle si riappropriava del controllo su Siracusa e manteneva l’egemonia sulla Sicilia orientale. In quello stesso anno, dopo il matrimonio con la figlia di Tolomeo I, assumeva il titolo di re. Chiusa la parentesi africana, Agatocle ebbe un’altra occasione, questa volta offerta da Taranto: ebbe così la possibilità di intervenire negli affari di Italia meridionale. Nel corso della prima campagna si impadronì anche dell’isola di Corcira, che sua figlia Lanassa portò in dote prima al sovrano d’Epiro Pirro e poi a Demetrio Poliorcete. Nell’ultimo anno di vita restituì a Siracusa la democrazia (289). 3.L’intervento di Pirro in Occidente Nel corso del IV secolo si era progressivamente affermata nella penisola la potenza di Roma; la stessa Taranto ne avvertiva l’ingombrante presenza e cercò di porvi un freno con il trattato di capo Lacinio nel 304. Ma quando nel 282 Turi chiese l’appoggio dei Romani contro i Lucani Taranto si sentì direttamente minacciata nel suo ruolo egemone. Una flotta romana in transito nello Ionio venne sequestrata e il presidio di stanza a Turi fu costretto ad allontanarsi questo scatenò la guerra. I Tarantini si rivolsero ancora all’Epiro in cerca di sostegno; Pirro vedeva ora chiudersi ogni speranza di salire sul trono macedone, occupato da Tolomeo Cerauno. Allo stesso tempo l’Occidente gli offriva possibile territorio di conquista: l’Italia meridionale, infatti, poteva costituire un ponte verso la Sicilia, mentre in un secondo momento avrebbe potuto volgersi nuovamente verso la Macedonia. La campagna si aprì con una vittoria ad Eraclea su Siri; con una rapida avanzata Pirro si portò fino nel cuore del Lazio, ma le trattative di pace si risolsero con un nulla di fatto. Poi riportò un’altra vittoria in Puglia (279), ma ancora una volta le trattative di pace furono senza esito: accogliere le richieste del vincitore avrebbe significato per Roma rinunciare al controllo sull’Italia centrale. In questa situazione, Pirro ricevette una richiesta d’aiuto dalla Sicilia. Nell’isola si erano riaccesi i vecchi contrasti fra le città e la situazione di incertezza che ne era seguita aveva a sua volta riavviato le speranze di conquista di Cartagine. Pirro sbarcò nell’autunno del 278 chiamato da Siracusa, Agrigento e Leontini, che si consegnano a lui spontaneamente. Tutta la parte orientale dell’isola si schierò al suo fianco e contribuì alla guerra contro Cartagine. Pirro aveva lasciato metà delle sue forze in Italia meridionale, a presidio contro la reazione di Roma. I successi non tardarono e tutta la Sicilia occidentale cadde nelle mani dell’epirota, eccezione fatta per Lilibero. Pirro portò la guerra in Africa, ma si trovò di fronte la resistenza dei Greci, che consideravano ormai raggiunti gli scopi della presenza di Pirro, ossia riaffermazione di autonomia e ristabilimento di pace. La situazione in Italia si era andata deteriorando. Roma aveva riacquistato terreno, spingendo Sanniti e Tarantini a richiamare il re di Sicilia, ma il ritorno non fu semplice e fu ostacolato anche dalla flotta cartaginese. Ma lo scontro con Roma ebbe esiti ancora peggiori: a Maleventum, chiamata poi Beneventum, il console Manilo Curio Dentato ottenne una vittoria decisiva nell’estate del 275. A Pirro restava una sola carta da giocare. Lasciato a Taranto un presidio militare, fece irruzione in Macedonia. La sua azione fu coronata da temporanei successi sia nella Macedonia stessa sia in Tessaglia; sceso quindi nel Peloponneso spinse alla rivolta la lega achea e assediò invano Sparta. Si spostò poi ad Argo, dove la sua azione ebbe bruscamente fine: morì combattendo per le strade della città nell’autunno del 272. 4.Roma e i Greci d’Occidente. Il regno di Ierone II a Siracusa Roma si proponeva come la nuova potenza emergente in Italia e le stesse città greche avevano cominciato a guardare a lei come un potenziale alleato contro la minaccia dei popoli italici. Con la partenza di Pirro l’espansione romana 1 Repubblica e nella storia del mondo greco. Perché Roma scelse di impegnarsi in un ulteriore conflitto in Grecia? I motivi vanno cercati all’interno di Roma, nella disponibilità dei veterani inadatti alla vita civile e nelle ragioni di una classe dirigente per cui guerra e conquista rappresentano sempre di più lo strumento della carriera politica spirito imperialistico. I primi due anni di conflitto non portarono a risultati significativi per nessuna delle due parti, ma la situazione mutò radicalmente quando al comando delle truppe romane fu posto T.Q.Flaminio: dopo aver respinto Filippo in Tessaglia, ottenne un brillante successo sul piano diplomatico la lega achea ruppe l’alleanza con la Macedonia. Le sorti della guerra si decisero nel 197, in Tessaglia, quando i macedoni affrontarono l’esercito romano a Cinoscefale e la falange macedone venne sopraffatta. Filippo V dovette quindi evacuare tutti i possedimenti greci in Europa e in Asia, restituire i prigionieri e i vascelli catturati, risarcire Rodi e Attalo. Infine, fu costretto a consegnare la flotta e a pagare una forte indennità. Il senato inviò poi una commissione di dieci individui che avrebbero dovuto sistemare le questioni precedenti e garantire la libertà delle città greche. Quello della libertà dei Greci è un tema già utilizzato dai sovrani ellenistici e che diventa elemento fondamentale per la propaganda di Roma Flaminio fece una proclamazione ufficiale e solenne. Si trattava quindi di una libertà donata dall’alto e garantita dall’autorità di Roma. Il processo di liberazione voluto da Flaminio si potrà dire compiuto solo nel 194, dopo che il senato ritirerà le guarnigioni rimaste di stanza nei tre punti strategici della penisola, Corinto, Calcide e Demetriade. 4.Mare nostrum Gli accordi di pace successivi a Cinoscefale estendevano il principio della libertà delle città greche anche alle poleis di Asia Minore: era un chiaro messaggio per Antioco III, intento a ricostruire il regno dei suoi avi. Dopo alcune vittoriose campagne in Asia Minore, la sua avanzata nella regione degli Stretti incontrò la tenace resistenza di Smirne e Lampasco che chiesero l’aiuto di Roma. Antioco III aveva mobilitato un poderoso esercito, ma furono le tensioni operanti in Grecia a decidere la situazione e a portare, nel giro di due anni, Roma e Antioco alla guerra. Gli Etoli ruppero l’accordo con Roma e chiesero l’intervento di Antioco III. L’occasione era propizia e inoltre la Repubblica costituiva una minaccia. Alla fine Antico accolse l’appello degli Etoli e nell’ottobre del 192 sbarcava in Grecia. Debole sul piano militare, la spedizione riscosse pochi e incerti consensi all’interno del mondo greco. Lo scontro con il blocco compatto costituito da Roma, Filippo V e dagli Achei avvenne l’anno successivo alle Termopili: qui il console Manio Acilio Glabrione sbaragliò le truppe di Antioco. La seconda parte del conflitto si svolse nell’Egeo, dove Roma poteva contare sull’appoggio delle flotte di Rodi e di Pergamo, e in Asia Minore. L’esercito romano ottenne il successo decisivo nel dicembre 190 a Magnesia al Sipilo; a guidare la spedizione vi era Lucio Cornelio Scipione. Il trattato di pace, nel 188, limitava al Tauro il territorio di Antioco III e prevedeva il pagamento di una forte indennità di guerra e la consegna di ostaggi. L’accordo favorì l’espansione di Pergamo e Rodi e liquidò le pretese di Antioco III. Gli equilibri che Roma aveva stabilito in Grecia e in Oriente si rivelarono ben presto instabili. La situazione nel Peloponneso fu messa a rischio dalla condotta della lega achea, che conobbe una nuova fase di espansione. Ma fu soprattutto la Macedonia a iniziare un processo di rilancio che continuerà sotto il figlio di Filippo, Perseo oltre che a promuovere una ripresa delle attività economiche, egli cercherà di ricostruire il prestigio e l’autorità del paese. Questi movimenti inquietarono ben presto Eumene II di Pergamo, che inviò ambasciatori a Roma per denunciare i pericoli di un nuovo espansionismo macedone. Preceduta da un’abile campagna diplomatica di Roma in Grecia, la guerra scoppiò nel 171. Dopo i primi anni si ebbe una svolta con la decisiva azione di Lucio Emilio Paolo nel 168: in poco tempo Perseo venne spinto dalla Grecia centrale verso nord, fino a Pidna, dove l’armata macedone fu annientata. La monarchia venne abolita e la Macedonia fu divisa in quattro repubbliche autonome e indipendenti. Il successo romano a Pidna ebbe importanti ripercussioni sul resto del mondo greco; tra i primi a sentire l’effetto ci fu l’isola di Rodi. L’isola, avvantaggiata dal ridimensionamento del regno seleucide e favorita dall’amicizia con Roma, dopo la terza guerra macedonica viveva un progressivo deterioramento delle sue relazioni con la Repubblica. I buoni rapporti con la Macedonia e la sua incertezza nel campo di battaglia avevano portato il senato romano a dubitare questi attriti portarono Roma alla decisione di restituire Delo ad Atene e di crearvi un porto franco: tale scelta porta a deviare il flusso commerciale, privando rodi dei proventi dalle tasse portuali e ridimensionandone il peso economico. In Grecia dominano la decadenza economica, i particolarismi e i piccoli conflitti tra stati confinanti; mancano, invece, centri di poteri capaci di creare una politica internazionale. In questo scenario matura la rivolta di Andrisco che, spacciandosi per Filippo, riuscì a raccogliere consensi e alleanze e a tenere in sacco per qualche tempo l’esercito romano. Fu sconfitto da Metelle nel 148 e poco dopo la Macedonia divenne provincia romana. L’ultimo atto nella storia della Grecia indipendente è la cosiddetta guerra d’Acaia: le sue origini si trovano nell’insofferenza verso l’atteggiamento arrogante assunto da Roma dopo la terza guerra macedonica. L’occasione fu offerta dalle difficili relazioni all’interno del Peloponneso fra lega achea e Sparta, che aveva trovato la protezione sotto Roma. Quando gli Achei dichiararono guerra ai Lacedemoni, Roma intervenne seguì la distruzione di Corinto per opera di Mummio nel 146. La lega fu sciolta e tutti gli stati coinvolti nella guerra divennero un’appendice della provincia di Macedonia; un po’ ovunque si installarono oligarchie filoromane e gli oppositori furono oggetto di persecuzioni ed espropri di terre e di beni. All’inarrestabile ascesa di Roma nel Mediterraneo corrisponde un progressivo declino dei regni ellenistici. La dimostrazione più evidente viene dal modo autoritario con cui pochi giorni dopo la vittoria su Perseo a Pidna, Roma troncò la cosiddetta sesta guerra siriaca. Popilio Lenate incontrò Antioco IV a Elusi, sobborgo di Alessandria, e gli impose di scegliere fra l’amicizia con Roma e la guerra. Al re non rimase che obbedire: Antioco evacuò Alessandria lasciando la 1 regione del Nilo in mano a una dinastia debole. Anche il regno di Pergamo fece le spese della linea politica romana. Sostenuto dalla Repubblica come stato cuscinetto tra Macedonia e Siria, il suo peso strategico divenne minore con la sconfitta di Antioco III e la caduta di Perseo. Il sistema degli stati ellenistici nati dopo la morte di Alessandro si sfalda così sotto l’urto progressivo della potenza romana; in poco più di un secolo i regni superstiti verranno assorbiti nell’impero di Roma. 5.Epilogo: il mondo greco in età romana Fra i regni ellenistici d’Asia Pergamo fu il primo a passare sotto il controllo di Roma la transizione non fu indolore, poiché la resistenza a Roma trovò un suo capo di Aristonico che rivendicò il trono di Pergamo con il nome di Eumene III. L’appoggio della capitale fu però piuttosto tiepido e Aristonico poté contare solo sull’aiuto delle popolazioni campane e sugli schiavi liberati. Roma riuscì ad avere ragione e i possessi europei degli Attalidi furono annessi alla provincia di Macedonia; il resto costituì la nuova provincia romana d’Asia (129). Il declino del regno seleucide fu segnato dall’accentuarsi di quelle forze centrifughe che già da tempo operavano al suo interno. Duro fu lo scontro con l’elemento giudaico, che portò alla costituzione dello stato ebraico degli Asmonei. Dall’esterno si faceva sempre più forte la minaccia dei Parti (Iran e Mesopotamia). Quando morì Antioco VII il regno di Siria precipitò nel caos. Il secondo secolo è per l’Egitto un periodo di forti lotte dinastiche ma anche di profonde tensioni sociali, dovute alle rivolte dell’elemento contadino indigeno, che lavorava in condizioni durissime la terra del re. Nella prima metà del secolo si manifestò una chiara tendenza allo smembramento del regno in tre regioni autonome. La Cirenaica fu la prima a passare a Roma. Nel 96 Tolomeo Apione lasciava il regno in eredità a Roma; nel 58 una legge del popolo romano deponeva Tolomeo il Giovane, re di Cipro, mentre il fratello, Tolomeo XII Aulete, riusciva a comprarsi il favore del senato e a rimanere sul trono di Alessandria. La fine giunse sotto il regno di sua figlia, Cleopatra VII, che donò all’Egitto un ultimo periodo di pace interna prima di morire suicida dopo la sconfitta subita da Antonio ad Azio per mano di Ottaviano. L’Egitto divenne allora una provincia di tipo particolare poiché dipendeva in forma diretta dal nuovo principe. Ci furono poi tre scontri tra Roma e Mitidriate VI. Fra i tre conflitti è il primo a rivestire maggiore interesse per il favore che il sovrano pontico incontrò presso le città greche di Asia Minore in veste di liberatore: in questo consenso si legge tutta la delusione, il rancore e l’ostilità che Roma aveva saputo suscitare. Con la caduta dell’Egitto buona parte di quello che era stato il mondo ellenistico costituiva ormai un dominio di Roma. Si apre così un periodo di pace che doveva durare quasi due secoli. Scomparsa l’autonomia politica, rimase il primato culturale: fu così che in Grecia molti centri beneficarono della benevolenza di Augusto e della dinastia Giulio-Claudia, che promossero anche in Anatolia la cultura ellenica. Dopo Caligola, il cui filoellenismo si limitò a far rivivere a corte la concezione ellenistica del sovrano divinizzato, sarà Nerone a compiere u gesto di grande
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