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M. Carmagnani, Le isole del lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica eur, Sintesi del corso di Storia

Esame di STORIA ECONOMICA DELL’ETÀ MODERNA (Università degli Studi di Napoli – Federico II)

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 02/10/2022

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Scarica M. Carmagnani, Le isole del lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica eur e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! RIASSUNTO COMPLETO DI M. Carmagnani, Le isole del lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 1650-1800 Esame di STORIA ECONOMICA DELL’ETÀ MODERNA (Università degli Studi di Napoli – Federico II) Temi trattati : L'autore nel suo libro nel suo libro ci parla del lusso e dei suoi prodotti e di come di come questa idea si sia sviluppata nel corso del tempo e nel corso dell'età moderna. L'autore nei vari capitoli 7 nella precisione e nel suoi capitolo conclusivo ci presenta una storia di stampo economico e sociale e soprattutto di come nel corso della storia si sia modificato il mercato internazionale anche con l'ingresso nel mercato internazionale di nuovi prodotti come lo zucchero , il tè, il tabacco e il caffe e ci parla di come questi nuovi prodotti abbiano portato ad un nuovi tipi di relazioni sociali, economici. Il testo tratta anche di questioni puramente economiche e si parla di come ci siano stata una vera e propria rivoluzione economica e commerciale con l'ingresso di questi prodotti . Tuttavia ci sono anche molti riferimenti filosofici e questi riferimenti filosofici vanno a mettere in luce come questi prodotti abbiano influito sul comportamento delle persone e di come il lusso abbia cambiato appunto il comportamento delle persone. Queste divagazioni filosofiche hanno il compito di contestualizzare se il lusso sia morale o immorale . Approccio Metodologico: L'autore usa un approccio metodologico che rispecchia la storia economica. L'autore parla molto di storia sociale oltre che di storia economica, ci sono in alcune parti molte riferimenti a numeri, a statistiche , e in alcune parti ci sono alcuni grafici ed alcune tabelle. C'è una spiccata connessione tra queste materie prima come zucchero, tabacco, caffè, tè e tessili con il lusso e l'autore spiega come queste materie prima abbiano portato nuovi tipi di abitudini e abbiano creato nuove relazioni sociali ed economiche. L'autore si divaga anche in divagazioni filosofiche e ci sono capitoli dove tiene un approccio molto basato sulla filosofia . Costruzione del testo La ricostruzione della polemica sul lusso ci consente di osservare la correlazione che sussiste tra i beni prodotti e i beni consumati. Bisogna tener conto che il concetto di lusso integra in sé elementi di natura morale, religiosa, economica, sociale e politica, ed è identificabile in un insieme di simboli che ostentano un determinato codice di comportamento sociale. Henry Martin, che riflette sulle importazioni dei tessuti indiani, si interroga su come l’espansione del commercio, trainato dai beni di lusso, possa alterare l’equilibrio della bilancia commerciale. Nel 1663 si autorizza l’esportazione monetaria per permettere alla Compagnia delle Indie Orientali di importare senza limitazioni i cotoni indiani: l’acquisto di questi tessuti con un prezzo inferiore ai tessuti simili inglesi consente alle classi inferiori un risparmio. Perciò, se un paese deve essere in grado di produrre merci che all’interno costano meno che all’estero, occorre introdurre innovazioni tecniche e organizzative in grado di ridurre i costi di produzione e di elevare la capacità di concorrenza internazionale dell’Inghilterra. Secondo Davenant nessun paese può essere sufficientemente ricco se esporta i propri prodotti naturali in quanto con l’esportazione di questi beni si può al massimo coprire la quarta parte delle importazioni, e quindi non sarebbe possibile equilibrare la bilancia commerciale. Il lusso, pur essendo peccaminoso, aveva uno scopo sociale in quanto il consumo di ogni bene favorisce l’occupazione, sviluppa i commerci e arricchisce non soltanto i soggetti privati ma anche le casse dello Stato. Si comincia a dare importanza all’azione individuale che favorisce l’autonomia degli attori sociali e degli imprenditori sino ad allora fortemente dipendenti dal potere pubblico e condizionati dalla morale dominante. Senza tener conto di questi detonatori non è possibile capire la discontinuità che rappresenta l’opera di Bernard di Mandeville, specialmente La favola delle api, pubblicata nel 1714. Gli scritti di Mandeville, in modo speciale La Favola delle Api, ci permettono di intravedere le nuove dinamiche sociali che si attivano per effetto delle decisioni individuali. Le azioni umane hanno una caratteristica nuova: nessuna azione può essere considerata secondaria o inferiore poiché tutte sono importanti e significative. La tendenza del periodo 1700-1769 vede il consolidamento delle importazioni dei tessuti di cotone nei grandi centri di Amsterdam e di Londra, ma anche in Europa in generale, grazie alla ridotta fluttuazione del loro prezzo per pezza. In questo periodo, il terzo centro di importazione dei cotoni indiani è la Francia, tramite la compagnia francese delle Indie che lo monopolizza totalmente sino alla fine degli anni 60 del Settecento, mentre a partire dal 1771 il commercio viene aperto ai privati. Nell’ultimo terzo del 18º secolo in Olanda si assiste al declino del commercio dato non soltanto dalla capacità di concorrenza dell’Inghilterra, ma anche dalla ripresa del commercio estero francese. I cotonifici si sviluppano prevalentemente nelle zone marittime del Nord e del sud della Francia, ma il processo di sostituzione dei cotoni indiani e lo sviluppo delle nuove manifatture tessili avviene anche in Germania, Austria, Belgio e Spagna. Dunque, in generale nel corso del periodo 1650-1800 si sviluppò una forte concorrenza tra le tre economie atlantiche allo scopo di espandere le loro riesportazioni in Europa e fuori d’Europa Il tabacco, un prodotto di origine americana, è l’altra merce significativa del passaggio verso il consumo moderno ed ha un percorso simile a quello di altri prodotti extraeuropei: il passaggio dalla condanna alla piena accettazione del suo consumo. Nelle civiltà amerindie, dove nascono la produzione e le prime forme di consumo, il tabacco si presenta con un doppio contenuto, religioso e medicinale. Infatti, ad esso si attribuisce una duplice proprietà: allontana gli spiriti maligni e cura le indigestioni, l’asma, il catarro. Il fumo di tabacco accompagna inoltre tutti i riti propiziatori della semina e del raccolto agricolo. In seguito, i primi coloni europei si appropriarono dell’uso medicinale del tabacco, dissociandolo dal rapporto con la religione. La forma di consumo più diffusa dai coloni europei fu di fumarlo bruciandolo in pipa o in foglie arrotolate, inizialmente allo scopo di lenire i dolori fisici, e più tardi anche come pratica di rilassamento. Vi fu infatti il riconoscimento farmacologico del tabacco in Europa da parte di una serie di medici influenti, come Jean Nicot e Nicolas de Monardes. Nel corso della prima metà del 17 ° secolo si diffonde l'idea che il tabacco un ottimo disinfettante, e che fumato o masticato crei una barriera di protezione contro la peste. La diffusione medica del tabacco si diffuse con la guerra dei trent’anni (1618/1648) È in questi anni che in Europa decolla l’artigianato delle pipe che, a sua volta, favorisce la crescita del consumo del tabacco. Nonostante il consumo prevalentemente medico del tabacco, già nella prima metà del 17º secolo la sua coltivazione non solo si afferma in Virginia e nelle Indie occidentali ma si diffonde anche in Europa, specialmente nella Francia del sud ovest, nell’Alsazia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra. Così, il suo consumo comincia ad espandersi diffusamente a livello privato e pubblico. La diffusione del tabacco si accelera nel corso della seconda metà del 17º secolo grazie alla scoperta dei governi di poter incrementare le risorse statali tassandone il consumo. Si può così spiegare perché il tabacco sia l’unico bene di lusso il cui consumo non conosce divieti, nonostante la presenza di numerose leggi suntuarie. È in questo momento che gli Stati dell’area mediterranea, a partire dal Portogallo, introducono il monopolio regio del tabacco che si diffonderà poi in tutti gli Stati europei come Spagna e Francia, mentre solo in Gran Bretagna e in Olanda il consumo del tabacco venne colpito con un’imposta specifica. Le politiche fiscali riguardanti il tabacco ebbero l’effetto di sviluppare enormemente il suo contrabbando e le coltivazioni illegali del prodotto. Quindi, il tabacco ebbe un ruolo importantissimo nella crisi del mercantilismo e nella liberalizzazione del commercio e del consumo, poiché favorì il passaggio dalla tassazione sul commercio estero alla tassazione sul consumo interno. Occorre sottolineare come le migliori informazioni sull’importazione illegale di tabacco sono inglesi. Poi, con l’affermarsi della libertà di commercio tra la Spagna e le sue colonie americane si nota una riduzione del contrabbando. Bisogna tenere presente che una buona parte del tabacco che arriva in Olanda nel corso del 18º secolo è, a sua avolta, esportato verso l’Europa del Nord. In particolare, la funzione di ridistribuzione di Amsterdam riguarda i tabacchi americani provenienti dall’Inghilterra, dal Portogallo e dalla Spagna, che vengono poi spediti verso l’Europa centrale e orientale bloccando l’accesso diretto inglese nel Baltico e in Russia. Lo stesso avviene nelle aree tedesche per il controllo esercitato dagli olandesi nel commercio del tabacco di Amburgo, Brema e lungo il Reno sino Colonia. Nello stesso periodo, la Francia occupa il secondo posto nelle riesportazioni inglesi di tabacco, un buon terzo delle riesportazioni inglesi di tabacco finiscono nell’Europa del Nord, dell’est e nell’area del Mediterraneo, mentre il Brasile è il secondo fornitore di tabacco americano alla fine del 17º secolo. A differenza del tabacco della Virginia, quello brasiliano, che si ridistribuisce in Europa prevalentemente da Amsterdam e dall’Inghilterra, è un tabacco di foglia nera e dal gusto forte. Una crescente quota del tabacco sudamericano finisce direttamente in Africa senza passare per l’Europa. In Africa, infatti, convergono quindi il tabacco brasiliano e quello della Virginia, spinti dallo stesso interesse: la tratta degli schiavi. Nel corso del primo Seicento la diffusione dell’uso della pipa, e con esso dell’artigianato delle pipe di gesso e di radica, contribuì al maggior consumo del tabacco; nel corso del secolo successivo è la diffusione delle rapè, il tabacco da fiuto, ad avviare l’artigianato delle tabacchiere, molte delle quali sono di grandissimo pregio e di alto valore commerciale. I tabacchi americani convivono e competono, sin dall’17º secolo, con quelli prodotti in Europa, poiché possono essere coltivati in tutte le regioni di clima temperato, e trovano il loro spazio nonostante le politiche repressive dei governi in difesa dei monopoli nazionali. Inoltre, il processo di trasformazione delle foglie di tabacco, ossia la raffinazione, la fermentazione, la trinciatura e la polverizzazione, avvia la nascita di manifatture in tutta l’Europa. Nel capitolo sei di parla di tè, caffè e zucchero. Si comincia a parlare di come lo zucchero, caffè e tè accelerano i consumi sociali, ovvero i consumi individuali in sede collettiva rafforzando la moda scatenata dai tessuti indiani e dalle loro imitazioni europee e associandosi alla forma conviviale del consumo del tabacco. Nonostante i loro effetti sinergici, i tre prodotti di provenienza extraeuropea hanno diverse ricadute o ripercussioni indotte, a livello della produzione, della distribuzione e dell’intensità di consumo, nelle diverse aree europee. Sono due i momenti che contribuiscono a rendere lo zucchero indispensabile e desiderabile per i consumatori. Il primo è il suo ingresso in Europa, nel medioevo, con la produzione proveniente dalle Azzorre e poi con la produzione siciliana. Il secondo momento di forte espansione del suo consumo avviene nel corso della rivoluzione commerciale, quando la produzione dello zucchero si sviluppa nelle aree extraeuropee e il suo consumo si estende anche ai ceti popolari. La straordinaria diffusione dello zucchero incomincia a partire dalla seconda metà del 17º secolo per effetto della sinergia con la filiera dei consumi che collegherà lo zucchero con il tabacco ed entrambi con il tè, il caffè e il cioccolato. Lo zucchero è riconosciuto come un dolcificante solo verso la fine del 17º secolo; prima, a partire dall’11º secolo, quando dall’estremo Oriente arriva in Europa, è considerato una droga simile al pepe, alla noce moscata, allo zenzero, e viene utilizzato per insaporire le vivande e per favorire la digestione dei cibi pesanti. Come avviene per tutti i nuovi beni di consumo, il vettore d’ingresso dello zucchero è la convinzione che esso abbia proprietà terapeutiche. Nei trattati medici, dalla fine del 16º secolo e sino al 18º secolo, lo zucchero, seguendo i principi della medicina ippocratica, è considerato un farmaco in grado di riequilibrare gli umori. A partire dal 1550, grazie alle prime produzioni provenienti dall’America iberica, farà la sua comparsa nella mensa dei nobili e dei grandi mercanti, e poi lentamente comincia a diffondersi, con l’incremento delle quantità importate e il dimezzamento del suo prezzo. Dalla seconda metà del 16º secolo lo zucchero comincia essere utilizzato per dolcificare il cibo e il vino. La vera fortuna dello zucchero comincerà soltanto dopo il 1650 per una serie di cause: la diffusione del suo uso come dolcificante dei nuovi beni esotici (tè, caffè e cioccolato); il progressivo declino del pregiudizio morale sul suo consumo; la comparsa dei nuovi spazi pubblici (le caffetterie) e la rapida diffusione, specialmente in Inghilterra, del suo consumo tra i ceti non nobili. Tra il 1650 e il 1700 i tradizionali importatori di zucchero, il Portogallo con la produzione brasiliana e l’Olanda con la produzione di Giava, incominciano a declinare. Nel corso della seconda metà del 17º secolo le aree centro-americane diventano le principali fornitrici dell’Europa. Informazioni sulla produzione di zucchero delle colonie francesi e inglesi sono troppo frammentate per farci individuare una tendenza sicura. L’espansione della prima metà del 18º secolo ci indica che in questo periodo si assiste a una fortissima concorrenza tra le produzioni di zucchero del sudest asiatico e quelle americane, concorrenzialità praticamente sconosciuta per il tabacco dominato dalla produzione della Virginia. È molto probabile che la concorrenza marsigliesi che, con l’appoggio della Camera di Commercio locale e la riduzione del costo del trasporto grazie alla politica di Colbert, nel corso del 17º secolo diventano i principali riesportatori del caffè di Moka in Europa. A questo punto, olandesi e inglesi capiscono assai rapidamente l’importanza del caffè nel consumo asiatico, e riescono a inserirsi nella sua rotta senza intaccare, inizialmente, il monopolio cairota e quindi la ridistribuzione verso il Medio oriente e l’Europa. La penetrazione europea nel commercio del caffè si può misurare negli anni 20 del Settecento quando la crescente domanda europea spinge le compagnie privilegiate olandesi e inglesi a cercare un’alternativa alla produzione yemenita. La sostituzione di maggior successo è quella olandese, con la creazione di un nuovo centro di produzione di caffè a Giava. Così, con l’integrazione delle importazioni olandesi del sud-est asiatico, tra il 1725 e il 1735 l’offerta europea riesce quasi a duplicarsi, assicurando ad Amsterdam il ruolo di leader del commercio internazionale del caffè. Inoltre, la delocalizzazione della produzione di caffè da Moka a Giava diede vita a iniziative, prima da parte degli olandesi, e dopo dei francesi e inglesi, che finirono per spostare l’offerta del caffè dall’Asia all’America. D’altra parte, il successo più strepitoso è la rapidità con la quale la Francia diventa la principale potenza del caffè. Infatti, sino al 1730 le importazioni francesi di caffè provengono direttamente o indirettamente da Moka, pur essendo il caffè dello Yemen qualitativamente il migliore e anche il più costoso. Ciononostante Marsiglia continua a commerciarlo praticamente sino alla rivoluzione. Il boom delle importazioni francesi incomincia nel quinquennio 1736-1740, 10 anni più tardi dell’espansione olandese. Tuttavia, nel momento in cui la Francia era diventata la principale importatrice di caffè in Europa, la guerra dei Sette Anni (1756-1763) provocò quasi il dimezzamento dell’importazione francese; inoltre, il conflitto internazionale provocato dalla Rivoluzione Francese e dalla rivoluzione a Santo Domingo del 1791 rimescolano la geografia delle importazioni europee di caffè a favore degli inglesi. Olanda, Gran Bretagna e Francia sono i paesi che, come avviene anche con i tessuti indiani, il tabacco, lo zucchero e il tè, assumono il ruolo di incentivare il consumo del caffè in tutte le aree europee, per mezzo delle connessioni mercantili di cui dispongono, e con il sostegno delle politiche commerciali dei loro governi che incentivano i porti franchi e garantiscono la restituzione delle imposte dei prodotti riesportati. In seguito, l’idea del porto franco e della detassazione alla riesportazione del caffè da Marsiglia è sostenuta dal controllore generale delle finanze con l’argomentazione che così si favoriranno le vendite in Italia e nel Levante, si ridurrà il prezzo di vendita e si incrementeranno le entrate statali. Dunque, i prodotti analizzati ci mostrano sino a che punto essi favorirono, incrementandola, la concorrenza tra l’Olanda, la Gran Bretagna e la Francia. Nel settimo capitolo si parla dei livelli di vita e dei nuovi consumi. L’itinerario analitico di quest’ultimo capitolo è stato elaborato in modo da comprendere come il nuovo consumo tiene conto delle trasformazioni che avvengono nel rapporto tra città e campagna, un rapporto che incide nella riformulazione della divisione del lavoro e nella costruzione di una nuova socialità capace di incentivare la libertà dei consumatori. Descriverò poi l’evoluzione del reddito e dei prezzi per capire sino a che punto essi ostacolino o favoriscano la propensione del consumatore verso la riduzione dei consumi di prima necessità a vantaggio del consumo di altri beni e, in special modo, dei prodotti extraeuropei. L’evoluzione dell’urbanizzazione europea permette di percepire i cambiamenti che avvengono nei rapporti sociali, i quali hanno un ruolo importante nell’espansione del consumo dei beni non europei, e di capire l’espansione della divisione del lavoro e le sue implicazioni culturali nella conformazione del consumo moderno. Considerando l’evoluzione urbana tra il 1500 e il 1800 e il rapporto tra la dimensione delle città e il tasso di urbanizzazione, notiamo innanzitutto che i più importanti momenti di crescita delle città con più di 5000 abitanti sono due, i secoli 16º e 18°. In questo periodo si afferma l’economia monetaria e ciò consentirà non solo di subordinare la campagna alla città, ma anche il consolidarsi, lungo il 18º secolo, di una centralità e complessità urbana sconosciuta nel secolo 16º. Tra il 1600 e il 1750 la divisione del lavoro e la crescita dell’economia monetaria sono state assai più rapide nelle aree atlantiche dell’Europa, nell’area mediterranea e nell’Europa centrale. Infatti, le città che raddoppiano la loro popolazione sono 27 nell’area atlantica mentre sono appena 7 nel Mediterraneo, compresi due città francesi. La maggiore crescita urbana delle aree atlantiche favorisce la riduzione della distanza tra i diversi insediamenti, con migliori collegamenti tra le città portuali e le città continentali, e quindi con una diminuzione dei costi di trasporto. Il divario tra le aree atlantiche e le aree continentali si rafforza nel corso del 18º secolo probabilmente perché il reddito procapite è cresciuto più rapidamente nelle aree urbane atlantiche e meno in quelle continentali. Questa diversa dinamicità della popolazione urbana delle aree europee è anche visibile nel numero di viaggi marittimi, maggiori infatti quelli in partenza e in arrivo dall’Atlantico. L’espansione del commercio internazionale, con le sue ricadute positive sull’occupazione, il reddito e il consumo urbano, costituisce uno dei principali motori della rapida crescita urbana nelle aree atlantiche. Un secondo motore è l’interazione tra centri urbani e campagna, che accresce la divisione del lavoro e si manifesta nelle trasformazioni dell’agricoltura. Infatti, la crescita della produttività agricola è il fondamento della crescita della popolazione, delle città e del reddito urbano, ma anche della riduzione della popolazione rurale. Tra il 1600 il 1750, la migliore performance appartiene a due aree atlantiche, l’Inghilterra e l’Olanda, che vedono aumentare la popolazione agricola procapite e la produttività per lavoratore. Si può quindi dire che, mentre nel secolo 16º l’area mediterranea conosce un innalzamento della produzione agricola procapite e della produttività del lavoratore agricolo, nel corso della rivoluzione commerciale il primato appartiene all’area atlantica, e specialmente all’Inghilterra e all’Olanda. Ragionando in termini di salario reale quale indicatore del livello di vita, un altro studio recente sull’Inghilterra ci dice che i salari reali medievali si superano solo con l’incremento della produttività totale intervenuto tra il 1650 al 1800. I salari agricoli inglesi replicano quelli urbani, ma il loro livello è comunque inferiore a quello delle città. La tendenza è verosimile poiché anche nell’agricoltura i salari aumentano leggermente tra il 1650 e il 1750, e ristagnano nella seconda metà del 18º secolo. La differenza di livello tra salari rurali e urbani ci aiuta a capire la propensione all’inurbamento dei lavoratori rurali, in Inghilterra come in Francia. Negli stessi anni, in Olanda l’indice dei prezzi dei beni di consumo declina, per poi crescere fino al 1800, mentre i salari reali ristagnano fino al 1750, per poi diminuire nel mezzo secolo successivo. Ciò spiega perché i lavoratori olandesi cercarono di adattarsi alle modifiche dei prezzi relativi diversificando la domanda dei beni, ossia consumando meno pane, carne e burro e più prodotti tessili, tè e caffè. Questa tendenza è confermata anche per le Fiandre. Un recente e intelligente contributo per la comprensione del rapporto tra reddito e consumo argomenta che il reddito di sussistenza è il minimo necessario per la riproduzione e lo identifica in una dieta quasi vegetariana fondata principalmente sui grani meno costosi escludendo pane, carne, bevande alcoliche e prodotti lattei. Mentre, il paniere del consumo medio di un lavoratore con un livello di vita superiore comprende beni alimentari come pane, legumi, carne, uova, latticini e birra, e beni non alimentari come vestiti, sapone, candele, legna per il riscaldamento. In generale, l’orientamento tendenziale del rapporto tra reddito e consumo, tra il 1650 e il 1800, diminuisce sia per la pura e semplice sussistenza sia per i livelli di vita superiore a Firenze e a Vienna, invece ristagna a Amsterdam, mentre aumenta a Londra. Il predominio della città, ormai favorita dalla crescita della produttività agricola, riuscì a imporre il contenimento dell’incremento dei prezzi agricoli e una notevole ascesa dell’offerta di prodotti manifatturieri verso la campagna. Si venne così a modificare, anche grazie alla riduzione dei costi di trasporto, l’intera organizzazione degli scambi, dando avvio allo sviluppo dei servizi privati e pubblici che contribuì a incrementare i redditi medi e superiori. Le abitudini, pertanto, si modificano soprattutto con il consumo di quei beni extraeuropei che hanno una forte componente di socialità. Inoltre, il nuovo consumatore è chiamato a stabilire il rapporto che deve intercorrere tra l’utilizzo del proprio reddito, in termini di consumo e di investimento, e le sue preferenze di natura sociale e culturale. Il Carmagnani nel capitolo conclusivo ci presenta all'inizio alcune grafici e alcune tabelle di dati dove ci vuole far notare l'evoluzione dei prodotti importati dalle tre più grandi nazioni atlantiche.
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