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Macchie luminose nella notte (F. Cattaneo) - riassunto, Schemi e mappe concettuali di Estetica

Sintesi del testo Macchie luminose nella notte del prof. Cattaneo.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 06/03/2023

noemimontagna
noemimontagna 🇮🇹

4.5

(53)

120 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Macchie luminose nella notte (F. Cattaneo) - riassunto e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Estetica solo su Docsity! NOEMI MONTAGNA Macchie luminose nella notte. Sul ruolo dell’arte nella «Nascita della tragedia» di Friedrich Nietzsche a partire dal rovesciamento del platonismo 1. La Nascita della tragedia rimane un riferimento indispensabile per la messa a fuoco della riflessione estetica di Nietzsche, costituendo la sua prima organica trattazione del problema dell’arte – e della verità, essendo l’arte intesa come «il compito più alto e l’attività propriamente metafisica di questa vita» – e facendo emergere le linee di sviluppo che segneranno le sue opere successive. La Nascita della tragedia presenta una complessa stratificazione: al di sotto di Wagner e Schopenhauer sono già rintracciabili delle correnti sotterranee che forniscono anticipazioni della sua «natura» più matura, di cui la Nascita della tragedia fornisce un fondamentale documento. Più che dell’intervenire di una rottura tra una prima fase della riflessione nietzschiana e le fasi ulteriori (ed eventualmente anche tra queste ultime), converrebbe parlare di un’intensificazione progressiva di alcuni motivi fondamentali, che ha comportato, certo, anche scarti repentini e strappi profondi, ma pur sempre nella continuità nel mutamento che appartiene costitutivamente al processo mediante cui si diviene ciò che si è. Per individuare le correnti sotterranee accennate, è utile soffermarsi sul confronto con Platone nella Nascita della tragedia. In un’annotazione di Nietzsche scritta tra la fine del 1870 e l’aprile del 1871, periodo di preparazione della Nascita della tragedia (uscita nel gennaio del 1872), troviamo un’autointerpretazione di Nietzsche del proprio percorso di pensiero, la quale prende come metro di riferimento il platonismo: Meine Philosophie umgedrehter Platonismus: je weiter ab vom wahrhaft Seienden, um so reiner schöner besser ist es. Das Leben im Schein als Ziel. La mia filosofia [come] platonismo rovesciato : quanto più lontano ci si mantiene da ciò che veramente è, tanto più le cose sono pure belle buone. La vita nell’apparenza come scopo . La caratterizzazione di Nietzsche della propria prospettiva procede a partire dal platonismo, di cui viene operato un rovesciamento. La posizione fondamentale di Platone e i valori a essa connessi non vengono solo rifiutati e confutati, ma messi sottosopra: ciò che era stato collocato sopra (l’eterno, il trascendente, il razionale, lo spirituale, il vero) viene spostato sotto, e ciò che era stato collocato sotto (il temporale, l’immanente, il sensibile, il corporeo, l’apparente) viene riposizionato sopra. Il rovesciamento di cui parla Nietzsche, dunque, investe e si confronta con il platonismo quale struttura dualistica della metafisica. Occorre subito precisare che tale rovesciamento non viene attuato sempre nel medesimo modo, ma subisce varie rideclinazioni in base all’evoluzione del pensiero del filosofo. NOEMI MONTAGNA NOEMI MONTAGNA 2. La domanda: «Come intendere l’orientamento filosofico di Nietzsche nel la Nascita della tragedia?», può per certi versi essere tradotta nella domanda: «Come viene rovesciato nella Nascita della tragedia il platonismo inteso come struttura [della] metafisica?»). Il rovesciamento del platonismo attuato nella Nascita della tragedia va letto in relazione alla rielaborazione nietzschiana della filosofia del suo educatore Schopenhauer. Ciò è evidente sin dall’impiego della coppia metafisica verità/illusione nell’intera Nascita della tragedia. Nel primo capitolo, durante una trattazione del sogno e della consapevolezza del suo carattere di apparenza rispetto alla realtà della veglia, tale coppia viene connessa direttamente alla natura dello sguardo filosofico, nel nome di Schopenhauer. Non è sufficiente tradurre la contrapposizione verità/illusione nella contrapposizione mondo reale/mondo onirico: le cose del mondo reale, allo sguardo dell’uomo filosofico, appaiono esse stesse «meri fantasmi e immagini di un sogno», al punto che la verità coincide ora con una «seconda realtà» che sta dietro al mondo reale. Lo sguardo meta-fisico implica un ulteriore arretramento della realtà, che sta dietro non solo all’apparenza del sogno ma anche a quella della veglia. La portata di questa impostazione viene espressamente illustrata all’inizio del quarto capitolo della Nascita della tragedia, laddove Nietzsche espone la sua «ipotesi metafisica». Nietzsche – ricorrendo al concetto tipico di Schopenhauer – concepisce quale principio della realtà la volontà, definita «ciò che veramente è, l’uno originario, in quanto eternamente sofferente e pieno di contraddizioni». La volontà così concepita costituisce il piano del vero a cui si contrappone il molteplice sensibile, che costituisce il piano dell’illusione e dell’apparenza. Nietzsche, nella sua ipotesi metafisica, riprende da Schopenhauer la coppia volontà/rappresentazione, ma a modo suo. A partire dal ruolo dell’apollineo e del dionisiaco come «onnipotenti istinti artistici» della natura, nei quali si scorgerebbe «una fervida aspirazione alla redenzione attraverso l’apparenza», Nietzsche arriva ad affermare che l’uno originario, proprio per redimere l’eterna sofferenza che lo attraversa, avrebbe «bisogno […] della visione beatificante e della gioiosa apparenza» (l’apparenza di primo grado, cioè la nostra esistenza e quella del mondo); ragione per cui il sogno (e con esso l’arte apollinea) costituirebbero «un appagamento ancora superiore della brama originaria di apparenza». L’originalità del discorso di Nietzsche si fa particolarmente evidente in relazione al ruolo e al significato assegnati all’arte nell’ambito della cultura greca: costituendo la cultura greca il modello di ogni autentica cultura, chiarire la sua esperienza dell’arte significa arrivare al cuore di ciò che l’arte, al crocevia tra apollineo e dionisiaco, è più propriamente chiamata a essere. L’arte «ingenua», specialmente l’arte omerica in quanto arte ingenua per eccellenza, reca – ad avviso di Nietzsche – il segno della «più alta influenza della cultura apollinea: che per prima cosa avrà sempre da abbattere un regno dei Titani e da uccidere dei mostri per riportare infine la vittoria attraverso possenti miraggi e gioiose illusioni su una visione del mondo di terribile profondità e sulla più eccitabile disposizione alla sofferenza». Capiamo, dunque, che riuscire ad abbandonarsi completamente alla bellezza dell’apparenza è cosa rara, che rende Omero «indicibilmente sublime» per il modo in cui si ricollega, da singolo artista del sogno, alla «capacità onirica del popolo e della natura in genere». La cosiddetta «“ingenuità” omerica», in quanto «completa vittoria dell’illusione apollinea», appartiene a quelle illusioni che «la natura impiega così frequentemente per raggiungere i suoi fini». Il vero scopo della «“volontà”» è la propria celebrazione, la quale richiede che il greco si veda trasfigurato in una sfera di superiore perfezione, la sfera dei propri dèi: desiderando quella sfera, il greco si trova in realtà a desiderare la vita, la quale, in tale desiderio, afferma se stessa. La concezione dell’ingenuità omerica fornisce una chiara indicazione sulla via seguita da Nietzsche nella sua elaborazione di un’immagine «rivoluzionaria» della cultura greca, immagine che, in forza della scoperta del «lato oscuro» della grecità, si distacca radicalmente dal classicismo di Schiller, di Goethe, di Winckelmann. Il classicismo interpreta l’armoniosa unità greca dell’uomo con la natura come qualcosa di semplice, come una condizione «ingenua» in quanto scaturirebbe direttamente dalla spensierata forza giovanile del popolo greco, secondo il topos per cui la Grecia sarebbe la giovinezza (la primavera) dell’umanità . Per Nietzsche, al contrario, l’ingenuità greca consiste nella capacità, nonostante tutto, di abbandonarsi alle proprie illusioni, pur continuando ad avvertirne il carattere illusorio. La più autentica vittoria della «volontà» greca è stata quella di riuscire attraverso le splendide figure degli dèi a rovesciare una tonalità emotiva improntata alla disperazione in un’affermazione della vita (Visione del mondo dionisiaca). Nietzsche individua il nocciolo più intimo dell’esistenza greca nel detto del Sileno e interpreta il pessimismo di quest’ultimo attraverso una libera ripresa della filosofia di Schopenhauer, in cui il dolore connesso alla volontà trova una redenzione nell’arte, non come una dimensione di rinuncia della vita, bensì di suo rinvigorimento. NOEMI MONTAGNA NOEMI MONTAGNA 5. Per tentare di dare una risposta agli interrogativi or ora evocati, bisogna tornare alla questione dell’arte e chiedersi se davvero Nietzsche escluda qualsiasi forma di liberazione. Alla fine del quinto capitolo della Nascita della tragedia Nietzsche chiarisce la sua metafisica estetica così: Nella misura in cui il soggetto è artista, è già affrancato dalla sua volontà individuale ed è diventato per così dire un medium, attraverso cui l’unico soggetto veramente esistente celebra la propria redenzione nell’apparenza. (…) è solo come fenomeni estetici che l’esistenza e il mondo sono giustificati (gerechtfertigt) in eterno. (…) il nostro sapere artistico è in fin dei conti solo illusorio in quanto noi, nel conoscere, non siamo una cosa sola con quell’essere che, in quanto unico creatore e spettatore di quella commedia dell’arte, si procura un godimento eterno. Solo nella misura in cui il genio, nell’atto della creazione artistica, si fonde con quell’artista originario del mondo, sa qualcosa dell’essenza eterna dell’arte; poiché in quello stato ha una prodigiosa somiglianza con quell’immagine inquietante della fiaba, che è in grado di volgere gli occhi e contemplare se stessa; adesso egli è al tempo stesso soggetto e oggetto, poeta, attore e spettatore. (Nascita della tragedia, pag. 60-62) In questo brano Nietzsche ripropone e sviluppa la suddetta «ipotesi metafisica». L’uomo e il suo mondo sono, per l’uno originario, delle «proiezioni artistiche»: soddisfacendo il bisogno d’apparenza dell’uno originario, gli consentono di redimere la sua sofferenza, dunque l’arte non è attribuibile né all’uomo né a un’esigenza razionalistico-morale, ma fa capo a «l’unico soggetto veramente esistente» che, in quanto tale, è il «vero creatore» dell’arte. La dignità dell’uomo risiede nel suo significato di opera d’arte – sebbene egli solitamente sia del tutto ignaro di ciò, al pari di un guerriero dipinto che non ha alcuna consapevolezza della battaglia che infuria intorno a lui, e il sapere artistico non aiuta in alcun modo a superare la suddetta incoscienza. A fare eccezione è il genio artistico, il quale, nell’ atto della creazione, si immedesima con il primo artefice prolungandone l’azione, riconosce il carattere d’apparenza dell’esistenza dell’uomo e del mondo ed il significato dell’arte come appagamento ancora superiore dell’originario bisogno d’apparenza. In definitiva, la concretezza dell’esperienza artistica racchiude in sé una chance di liberazione, che tuttavia si discosta profondamente da quella platonica. Per Platone ci si libera dall’apparenza, per Nietzsche ci si libera nell’apparenza: la liberazione di Nietzsche, infatti, consiste nel riconoscere l’illusione come tale. La «prigionia», l’irretimento da cui l’uomo viene liberato è quello del concetto stesso di «realtà», costruzione ormai «naturalizzatasi» che sembra acquisire una solidità e consistenza autonoma. Ecco perchè l’acquisizione di una superiore consapevolezza passa solo attraverso la concretezza dell’esperienza artistica, in particolare dionisiaca: la liberazione e l’illuminazione accadono solo nel vivo del gioco artistico, che consente di riconoscere l’apparenza come tale all’interno della produzione d’apparenza . L’esperienza artistica non può che avere un primato sul pensiero filosofico-metafisico, perché la prima porta direttamente al cuore di ciò che il secondo, volente o nolente, può solo fraintendere e contraffare. Nietzsche pone proprio qui le basi di quella che diverrà la sua prospettiva scettica. Come già anticipato, l’arte dionisiaca rimane una rappresentazione come le belle parvenze apollinee, ma essa le espone «tridimensionalmente», a partire dalla loro provenienza. La tragedia appare più «vera» del sogno apollineo poiché dà direttamente voce al dolore, non per consegnare l’uomo alla disperazione, ma superare il principio di individuazione dell’arte apollinea, ora considerato la fonte di ogni sofferenza in quanto costituisce il piano della molteplicità sensibile e del divenire dietro il quale sta la dimensione più originaria dell’unità della natura e della vita indistruttibile, percepite a partire dall’estasi dionisiaca, che favorisce l’uscita da sé e quindi l’eliminazione del principio di individuazione. In questo consiste la «dottrina misterica della tragedia: l’individuazione è sofferenza perché comporta la rottura dell’unità originaria; ma tutti i conflitti legati all’individuazione vengono visti, in forza dell’ebbrezza, sullo sfondo della vita indistruttibile, che rimane sempre identica a sé stessa. In un plastico confronto tra la sapienza dionisiaca e lo spirito apollineo, Nietzsche scrive nella Nascita della tragedia: Noi crediamo nella vita eterna», così proclama la tragedia; laddove la musica è l’idea immediata di questa vita. Un fine totalmente diverso ha l’arte plastica: qui Apollo supera la sofferenza dell’individuo attraverso la luminosa esaltazione dell’ eternità dell’apparenza, qui la bellezza trionfa sulla sofferenza inerente alla vita, in un certo senso si finge che il dolore ( Schmerz) scompaia dai lineamenti della natura. Nell’arte dionisiaca e nel suo simbolismo tragico la natura stessa si rivolge a voi con la sua voce vera, non contraffatta: «Siate come sono io! La madre originaria che, nell’incessante avvicendarsi delle apparenze, eternamente crea, costringe eternamente all’esistenza, eternamente si appaga di questo continuo mutamento! NOEMI MONTAGNA NOEMI MONTAGNA Ecco perché anche una forma d’arte luttuosa come la tragedia fornisce una «consolazione metafisica» e promuove l’affermazione della vita. L’uomo greco non si abbandona alla negazione pessimistica: «Lo salva l’arte, e attraverso l’arte lo salva a se stessa – la vita». La rappresentazione artistica dionisiaca procede sì a svelare lo sfondo delle belle parvenze apollinee, ma lo fa stendendo un velo più trasparente che, lasciando trapelare il dolore, conduce alla visione della vita indistruttibile. L’arte dionisiaca può essere detta più vera, ma essa continua a muoversi sul piano dell’apparenza, mettendola in agitazione così da evitare che le immagini apollinee, irrigidendosi in se stesse, finiscano per diventare false. Se l’arte dionisiaca nella Nascita della tragedia acquisisce un primato su quella apollinea, si tratta non del primato della verità, ma del primato della consapevolezza sul carattere di apparenza dell’apparenza. Il tipo di velamento risulta diverso, ma si tratta pur sempre di un velamento. È a partire da qui che si riesce a cogliere come apollineo e dionisiaco siano inseparabili, come stabiliscano una sorta di chiasma: l’apollineo presuppone la sofferenza a cui il dionisiaco dà voce; il dionisiaco ha bisogno di forme apollinee per simboleggiare un contenuto di diversa natura, la cui genesi risiede nel «grembo materno della musica». L’uno è la forma che rimanda e contrario all’informe; l’altro è l’informe che infuria ai margini della forma ponendola in uno stato di massima tensione. 6. Il velamento apollineo-dionisiaco non è falsificante, in quanto la verità dell’origine, insostenibile quanto inaccessibile, può darsi all’uomo solo nel gioco con l’apparenza. Gnoseologicamente Nietzsche assume un punto di vista rigorosamente critico nel senso di Kant, tale per cui l’uomo può conoscere solo i fenomeni. Non a caso egli, nella Nascita della tragedia, si limita a parlare di un’ipotesi metafisica, limitandosi ad assumerla come una visione in grado di «elevare» l’uomo. È proprio qui che Nietzsche si smarca da Schopenhauer, e che comincia a preparare un radicale rovesciamento del dualismo platonico, rovesciamento che ora risulta chiaramente essere non solo un’inversione meccanica, quanto piuttosto un superamento della stessa struttura dualistica della metafisica. L’operazione di Nietzsche costituisce il presupposto di quanto trova la sua piena e più matura formulazione nel capitolo del Crepuscolo degli idoli intitolato Come il «mondo vero» finì per diventare favola, in cui Nietzsche ricostruisce le varie tappe del concetto di verità. La sesta e ultima di queste tappe viene così presentata: Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero (wahre Welt): quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente (scheinbar)? … Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissimo errore; apogeo dell’umanità; INCIPIT ZARATHUSTRA). Il rovesciamento del platonismo non inverte meramente le valutazioni platoniche, ma supera la loro posizione metafisica, opera una trasvalutazione in virtù della quale i valori non necessitano più di un ancoraggio sovrasensibile, ma scaturiscono dalla terra, rimangono «fedeli alla terra». La fedeltà alla terra è l’approdo coerente delle premesse poste nella Nascita della tragedia, che non a caso in un altro capitolo del Crepuscolo degli idoli (Quel che devo agli antichi) viene definita «la mia prima trasvalutazione di tutti i valori»; la fedeltà alla terra è lo sviluppo rigoroso della formula: «vita nell’apparenza come scopo». Infatti, il gioco con l’apparenza e nell’apparenza porta al superamento dell’apparenza medesima («col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente»). Il platonismo viene così compiutamente rovesciato nella piena accettazione della finitezza umana e in quell’incondizionato e «immorale» dire sì alla vita che la giustificazione estetica del mondo già adombra. NOEMI MONTAGNA
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