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Macchie luminose nella Notte, riassunto dell'articolo di Francesco Cattaneo, Sintesi del corso di Estetica

Riassunto completo dell'articolo del prof Cattaneo con parziale integrazione di appunti presi a lezione. Questo riassunto "dialoga" con il mio riassunto di La presenza degli Dei in quanto preparati in contemporanea per lo stesso esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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matildec99 🇮🇹

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Scarica Macchie luminose nella Notte, riassunto dell'articolo di Francesco Cattaneo e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! Macchie luminose nella Notte, Francesco Cattaneo 1. La nascita della tragedia è la prima organica trattazione del problema dell’arte – e della verità – di Nietzsche. Tra la prima fase e le seguenti del pensiero di N. si può parlare di un’intensificazione progressiva di alcuni motivi fondamentali comportante strappi profondi ma sempre nel contesto di una continuità nel mutamento che appartiene costitutivamente al processo mediante cui si diviene ciò che si è. Andreas-Salomé: itinerario di pensiero di N.: fase metafisica, fase positivistica e fase “religiosa”. N.: “la mia filosofia come platonismo rovesciato; […] la vita nell’apparenza come scopo. Il pensiero di Platone viene messo sottosopra: ciò che era sopra (l’eterno, il razionale, lo spirituale, il vero) viene spostato sotto, e ciò che era sotto (il sensibile, il temporale) viene riposizionato sopra. N. parla quindi di rovesciamento in quanto si confronta con il platonismo quale struttura dualistica della metafisica. 2. Come avviene questo rovesciamento nella Nascita? Collegamento con il suo maestro Schopenhauer: coppia metafisica verità/illusione in tutta la Nascita. Nel primo capitolo della Nascita, tale coppia viene connessa direttamente alla natura dello sguardo filosofico. MA verità/illusione ≠ mondo reale/mondo onirico; per l’uomo filosofico le cose del mondo reale appaiono come fantasmi assumono una consistenza onirica: la verità quindi non coincide ora con il mondo reale ma ad una seconda realtà dietro ad esso. Lo sguardo metafisico implica un’ulteriore arretramento della dimensione della realtà dietro all’apparenza sia del sogno che della veglia. Nel quarto capitolo della Nascita, N. espone la sua ipotesi metafisica; nel capitolo, concepisce quale principio della realtà la volontà (Wille) definita come Uno originario, “ciò che veramente è” in quanto sofferente e pieno di contraddizioni. La volontà come uno originario costituisce il piano del vero a cui si contrappone il molteplice sensibile (piano dell’illusione/apparenza). Gli uomini sono costretti a percepirla come ciò che in realtà non esiste, come continuo divenire nel tempo. Se la nostra realtà viene riconosciuta nel suo carattere di apparenza, allora il sogno costituisce un’apparenza dell’apparenza. N. qui riprende la declinazione schopenhaueriana della coppia verità/illusione nei termini della coppia volontà/rappresentazione, ma a modo suo. NB: volontà come principio metafisico; rappresentazione come velo di Maya dominato dal principium individuationis. N. afferma che l’uno originario per redimere l’eterna sofferenza che lo attraversa ha bisogno della visione beatificante e della gioiosa apparenza, cioè la ns esistenza, motivo per cui il sogno e quindi l’arte apollinea costituiscono un appagamento ancora superiore. È evidente l’influenza di Schopy su N. Analizziamo ora il suo pensiero originale. L’arte omerica (anche arte ingenua) per N. reca il segno della più alta influenza della cultura apollinea. Omero è artista sublime per il modo in cui si ricollega da singolo artista del sogno alla capacità onirica del popolo e della natura in genere. Ingenuità omerica come completa vittoria dell’illusione apollinea. Il vero scopo da raggiungere per la volontà è la propria celebrazione, che chiede che il greco si veda trasfigurato in una sfera di superiore perfezione, la sfera dei propri dei. Desiderando quella sfera il greco desidera la vita, che, in tale desiderio, afferma se stessa- La volontà ellenica combatteva contro la propria disposizione alla sofferenza e alla saggezza del dolore con questo rispecchiamento della bellezza. N. si distacca dal classicismo di Schiller e Goete: classicismo vede armoniosa unità greca dell’uomo con la natura nei termini di un rapporto semplice; Grecia come giovinezza dell’umanità. Per N. invece l’ingenuità greca deriva da una profonda esperienza di vita e consiste nella capacità nonostante tutto di abbandonarsi alle proprie illusioni pur continuando ad avvertirne il carattere illusorio. Se così non fosse, l’uomo confonderebbe immagini del sogno e vita quotidiana; mantenere la distinzione appartiene al senso del limite dello spirito apollineo. Vittoria della volontà greca: restituire alla vita il suo incanto attraverso le splendide figure degli dei, vedere la propria esistenza in uno specchio trasfigurante. Detto del sileno (per N., nocciolo dell’esistenza greca): il bene più grande è non essere nato, essere nulla. Ma il dolore connesso alla volontà trova una redenzione nell’arte, intesa come rinvigorimento della vita. (N. in seguito ammetterà di aver “danneggiato irreparabilmente il grandioso problema greco mischiandovi questioni più moderne”. Otto invece attuerà una critica dei fondamenti stessi della modernità a partire da una riscoperta radicalmente inattuale della cultura greca. ) Le belle parvenze apollinee si pongono come un velo gettato sulla sofferenza; la misura da attuare è quella della bellezza: il limite del greco era quello della bella parvenza. La finalità di una cultura votata alla parvenza e alla misura può solo essere il velamento della verità. In tale velamento la vita, nel suo orrore e nella sua asprezza, viene trasfigurata, resa sopportabile in un capovolgimento del detto del sileno. 3. Il sogno e l’arte apollinea costituiscono un’apparenza di secondo grado e un velamento, non portano con sé una liberazione dall’apparenza ma anzi producono un maggior irretimento in essa grazie al quale è possibile vivere. artistico, che consente di riconoscere l’apparenza come tale all’interno della produzione di apparenza. L’esperienza artistica ha quindi un primato sul pensiero filosofico-metafisico. L’arte dionisiaca rimane una presentazione come le belle parvenze apollinee ma fa uscire queste ultime della loro bidimensionalità e le espone tridimensionalmente a partire dalla loro provenienza. La tragedia appare più vera nel sogno apollineo nella misura in cui dà direttamente voce al dolore. Ma se la tragedia esibisce il dolore, è per guardare oltre il principio di individuazione che domina l’apollineo. Il principio di individuazione è la fonte di ogni sofferenza: costituisce il piano della molteplicità sensibile, quindi del divenire, il piano dietro il quale fa capolino una dimensione più originaria, quella dell’unità della natura e della vita indistruttibile, percepite a partire dall’estasi dionisiaca che favorisce l’uscita da sé e pertanto l’affrancamento dal principio di individuazione. In tutto ciò consiste la “dottrina mistica della tragedia”. L’individuazione è sofferenza perché comporta rottura dell’unità originaria. NB: N. parla di apollo come “la superba immagine divina del principium individuationis, dai cui gesti e sguardi ci parla tutto il piacere e la saggezza dell’ “apparenza”, insieme alla sua bellezza”. Anche per Platone, la bellezza è quindi una regione del più vasto ambito dell’apparenza e del fenomenico. Confronto di N. tra sapienza dionisiaca e spirito apollineo: strategia per cui una forma d’arte luttosa come la tragedia fornisce una “consolazione metafisica”. L’uomo greco non si abbandona alla negazione pessimistica, ma “lo salva l’arte”. La rappresentazione artistica dionisiaca procede così a s- velare lo sfondo delle belle parvenze apollinee ma lo fa stendendo un nuovo velo più trasparente, un velo che non occulta il dolore ma lo fa trasparire, conducendo così a una visione della vita indistruttibile. L’arte dionisiaca è sì più vera ma comunque sul piano dell’apparenza, piano che incrina e in tal modo scongiura la possibilità che le immagini apollinee, irrigidendosi, diventino “false”. Arte dionisiaca: primato della consapevolezza circa il carattere di apparenza dell’apparenza. Il tipo di velamento è diverso ma è pur sempre un velamento. L’apollineo presuppone quell’esperienza della sofferenza a cui il dionisiaco dà voce; il dionisiaco ha bisogno di forme apollinee per simboleggiare un contenuto di diversa natura. L’uno è la forma che rimanda (e contrario) all’informe; l’altro è informe che infuria ai margini della forma e la pone in uno stato di massima tensione. NB: nella rappresentazione tragica l’illusione apollinea si rivela per quello che è, un velo, che avvolge per tutta la durata della tragedia l’effetto dionisiaco vero e proprio; nella tragedia, apollineo e dionisiaco stringono un patto di “fratellanza”. 6. La verità dell’origine è insostenibile e inaccessibile; essa può darsi solo nel gioco con l’apparenza. N. assume gnoseologicamente un punto di vista critico in senso kantiano, per cui l’uomo può conoscere solo i fenomeni (per N. lo stadio fenomenico della conoscenza è un punto invalicabile). Non a caso la sua è solo un’ipotesi metafisica e non una teoria. Qui N. si smarca da Schopy, il radicale rovesciamento del sualismo platonico infatti non è solo un’inversione meccanica dei termini in gioco quanto piuttosto un sovvertimento della stessa struttura dualistica che sta alla base della metafisica. N: in “ il crepuscolo degli idoli”: 6° tappa del concetto di verità: “ Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente”. Il rovesciamento del platonismo non inverte meramente le valutazioni platoniche, ma supera la loro posizione metafisica, opera una trasvalutazione. “Vita nell’apparenza come scopo”  il gioco con l’apparenza e nell’apparenza porta al superamento dell’apparenza stessa. Il platonismo viene così rovesciato.
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