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Made in italy, Guide, Progetti e Ricerche di Economia Dei Trasporti

Premessa generale sul made in Italy; Regole di origine; Fonti normative: Accordo di Madrid Art. 517 Codice Penale Art. 4 Comma 49 Art. 6 D. Lgs 6 Settembre 2015 D.Lgs 146/2007 Sulle pratiche sleali tra imprese e consumatori Decreto Legge 135/2009 Legge 8 Aprile 2010 Conclusioni

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2015/2016

Caricato il 06/02/2016

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4.1

(15)

8 documenti

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Scarica Made in italy e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Economia Dei Trasporti solo su Docsity! PREMESSA L’accezione “made in Italy” fu coniata negli anni ’60 come indicazione di provenienza di un prodotto, imposta ai produttori italiani da parte degli importatori europei (tedeschi e francesi), sui prodotti tessili e calzaturieri per indicare ai consumatori dei loro Paesi che le merci non erano prodotte nelle rispettive nazioni. Tale terminologia entrò a far parte del gergo comune alla fine del Novecento per identificare la specializzazione internazionale del sistema produttivo italiano nei settori manifatturieri, quali abbigliamento, arredamento, automotive e agroalimentare. Tutti i prodotti “made in Italy” sono accumunati da un mix di elementi che ne determinano successo e riconoscibilità sul piano internazionale. M. Fortis, identifica i cinque pilastri del “made in Italy” (così chiamati in virtù del loro fatturato, compreso tra 2 e 9,9 miliardi di euro) nei noti marchi Benetton, Luxottica, Merloni, Barilla e Ferrero. A queste imprese, poi, se ne aggiungono altre che nei relativi settori detengono un ruolo di primaria importanza quali, ad esempio, Armani, Safilo, Natuzzi, Marazzi, Prada, Zegna, Ferragamo, Lavazza, Granarolo e Campari. Queste aziende, fortemente sensibili alle dinamiche del commercio estero, si caratterizzano per l’implemento di particolari strategie di vendita finalizzate a fronteggiare sia la preminenza tecnologica di alcuni giganti industriali di Paesi avanzati, sia il basso costo del lavoro e delle materie prime, tipico invece dei Paesi in via di sviluppo. L’espressione “made in Italy”, di fatto, si identifica nell’apposizione di espressioni, parole o simboli sui prodotti, che attribuisce l’origine del bene al nostro Paese con il fine di consentire al consumatore di effettuare una distinzione tra merci nazionali e merci importate. Non esistono nell’impianto normativo nazionale norme che impongano l’obbligo di indicare sui prodotti l’origine geografica degli stessi, fatta eccezione per alcune categorie merceologiche soggette a disposizioni normative specifiche. Il legislatore tuttavia, per evitare abusi da parte di produttori interessati a trarre vantaggio dal “made in Italy” senza averne i requisiti, ha previsto diverse norme che impongono l’obbligo di non fornire al consumatore indicazioni false, fallaci o ingannevoli circa la suddetta origine. REGOLE DI ORIGINE Si può apporre al prodotto il marchio “made in Italy” sia che il prodotto sia stato realizzato interamente nel nostro Paese (il quale può quindi essere ragionevolmente definito autoctono), sia che vi sia stato realizzato solo in parte. In quest’ultimo caso entra in gioco quello che tecnicamente viene definito come criterio dell’origine doganale non preferenziale. Questo principio, già contenuto nell’intervento del Ministero delle Finanze del 1995 e conforme agli impegni assunti dall’Italia in sede di O.M.C. (Organizzazione Mondiale Del Commercio), è stato riaffermato dall’art. 4 comma 49 della L. 24/12/2003 n° 350 (Finanziaria 2004). Applicando le regole previste dal Codice Doganale Comunitario Aggiornato (Regolamento CE 23/04/2008 n° 450 – art. 36 – sull’origine doganale non preferenziale delle merci) un prodotto può essere considerato di origine italiana (in senso doganale) e contenere, quindi, l’indicazione “Made in Italy” quando nel nostro Paese è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Negli scambi commerciali internazionali, la caratterizzazione di origine non preferenziale costituisce la regola generale. Con riferimento alla normativa Comunitaria, tutte le operazioni e i prodotti che vengono importati da Paesi con i quali l’UE non ha perfezionato alcun accordo tariffario vige il pagamento dell’aliquota daziaria riportata nel testo della tariffa doganale comune. Tra Paesi con i quali i rapporti commerciali sono garantiti da accordi (negoziali o unilaterali) che consentano una riduzione della fiscalità in importazione o un’esenzione totale per classi di prodotti, gli scambi sono agevolati in termini di oneri doganali. Si parla quindi di origine preferenziale. L’origine preferenziale è un concetto del tutto funzionale, in quanto la merce assume tale prerogativa solo in un determinato contesto. Essa si concretizza in un trattamento daziario più favorevole concesso a prodotti originari di quei Paesi con i quali sono in vigore accordi bilaterali o concessioni unilaterali. Questi si concretano in un minore o assente impatto doganale nelle transazioni regolate. Le aliquote daziarie sono riportate nella Tariffa Integrata delle Comunità Europee. Le fonti relative all'origine preferenziale dello stesso art.39 variano a seconda dei Paesi interessati e sono: * il Codice Doganale Comunitario, per quanto riguarda gli scambi commerciali della Comunità Europea secondo quanto previsto dalle disposizioni della DAC (Disposizioni di Applicazione del Codice Doganale Comunitario - Regolamento CEE 2454/93) dall’art. 66 all’art. 123 (anche per effetto delle modifiche introdotte con l’art. 1 del Regolamento CE 1602/2000). * gli accordi che la Comunità ha concluso con i Paesi Terzi, le quali regole trovano presupposto nella Convenzione di Kyoto del 15 maggio 1973. Le regole sull’origine preferenziale e quelle riguardanti l’origine non preferenziale adottano, di norma, i medesimi criteri per la determinazione dell’origine dei prodotti, anche se va precisato che le regole di origine non preferenziali sono assai più generiche e meno dettagliate di quelle preferenziali. L’art. 23 del Regolamento CEE 2913/92 (CDC - Codice Doganale Comunitario) reca la nozione di “merce originaria di un Paese” e, al comma 1, determina che “sono originarie di un Paese le merci interamente ottenute in tale Paese”. Al comma 2 vengono poi elencate tutte le merci che devono intendersi come interamente ottenute in un certo Paese e, pertanto, classificabili come originarie dello stesso. Si annoverano in questa categoria: a) i prodotti minerali estratti in tale paese; b) i prodotti del regno vegetale ivi raccolti; c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati; d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati; e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate; f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle acque territoriali di un Paese, da navi immatricolate o registrate in tale Paese e battenti bandiera del medesimo; g) le merci ottenute a bordo di navi-officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f), originari di tale Paese, sempreché tali navi-officina siano immatricolate o registrate in detto Paese e ne battano la bandiera; h) i prodotti estratti dal suolo o dal sottosuolo marino situato al di fuori delle acque territoriali, sempreché tale Paese eserciti diritti esclusivi per lo sfruttamento di tale suolo o sottosuolo; i) i rottami e i residui risultanti da operazioni manifatturiere e gli articoli fuori uso, sempreché siano stati ivi raccolti e possono servire unicamente al recupero di materie prime; j) le merci ivi ottenute esclusivamente dalle merci di cui alle lettere da a) ad i) o dai loro derivati, in qualsiasi stadio essi si trovino. 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentari" (Art.1). Art.6 D. Lgs 6 settembre 2005 n.2006 (Codice del Consumo) entrato in vigore il 23 ottobre 2005 "I prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, riportano, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative: a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto; b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell'Unione europea; c) al Paese di origine se situato fuori dell'Unione europea; d) all'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente; e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto; f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d'uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto" (Art. 6). " Le indicazioni di cui all'articolo 6 devono figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti nel momento in cui sono posti in vendita al consumatore. Le indicazioni di cui al comma 1, lettera f), dell'articolo 6 possono essere riportate, anziche' sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti, su altra documentazione illustrativa che viene fornita in accompagnamento dei prodotti stessi" (Art. 7). "Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro della giustizia, sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate le norme di attuazione dell'articolo 6, al fine di assicurare, per i prodotti provenienti da Paesi dell'Unione europea, una applicazione compatibile con i principi del diritto comunitario, precisando le categorie di prodotti o le modalità di presentazione per le quali non e' obbligatorio riportare le indicazioni di cui al comma 1, lettere a) e b), dell'articolo 6. Tali disposizioni di attuazione disciplinano inoltre i casi in cui sarà consentito riportare in lingua originaria alcuni dati contenuti nelle indicazioni di cui all'articolo 6" (Art. 10). Decreto Legislativo n.146/2007 sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori "È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: a) l'esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell'articolo 130 del presente Codice". Decreto Legge n.135/2009 convertito nella legge n.166/2009 (D. Ronchi): Art. 16 "Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano"(Comma 1). "Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale "100% made in Italy", "100% Italia", "tutto italiano", in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e' punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo" (Comma 4). "[...] Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalita' tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000" (Comma 6). Legge 8 aprile 2010, n.55 (Reguzzoni-Versace) La Legge Reguzzoni-Versace-Calearo ha impostato un sistema di etichettatura obbligatoria idoneo non solo ad evidenziare il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione, ma anche ad assicurare la tracciabilità dei prodotti. I settori presi in considerazione sono quello tessile, della pelletteria e calzaturiero. "L'impiego dell'indicazione «Made in Italy» e' permesso esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione, come definite ai commi 5, 6, 7, 8 e 9, hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi e' verificabile la tracciabilità"(Art. 1 Comma 4). “Nell'etichetta dei prodotti finiti e intermedi di cui al comma 1, l'impresa produttrice deve fornire in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformita' dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro lungo tutta la catena di fornitura, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale” (Art.1 Comma 3). "Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque violi le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Nei casi di maggiore gravita' la sanzione e' aumentata fino a due terzi. Nei casi di minore gravita' la sanzione e' diminuita fino a due terzi. Si applicano il sequestro e la confisca delle merci" (Art.3 Comma 1). CONCLUSIONI Possiamo quindi affermare che, ad oggi, è possibile inserire la dicitura “Made in Italy" solo se il prodotto è stato interamente realizzato in Italia oppure se, ai sensi dell’art. 36 del Codice Doganale Comunitario Aggiornato, il bene ha subito in Italia l’ultima trasformazione sostanziale secondo le indicazioni di cui all’allegato 10, 11 e 15 del Regolamento di Attuazione del Codice Doganale Comunitario. Ne consegue che, se un’impresa può indicare l’origine italiana ai fini doganali, ha altresì la facoltà di apporre il marchio d’ origine “Made in Italy”. Le carenze dell’impianto normativo potranno essere superate solo laddove la Comunità Europea decida di introdurre l’obbligo di certificazione dell’origine geografica per tutti i prodotti commercializzati nel Mercato Unico. Le società multinazionali, tuttavia, delocalizzando i propri processi produttivi nei Paesi in via di sviluppo, sono fortemente interessate a non palesare l’origine geografica dei beni poiché prodotti a costi altamente competitivi e successivamente rivenduti, con elevati margini di profitto, nei mercati sviluppati. Potrebbe dar luogo a una svolta importante la proposta presentata nel corso della conferenza stampa del 13 febbraio 2013 a Bruxelles, da parte del Vice Presidente della Commissione Europea Antonio Tajani, la cui entrata in vigore è prevista per il 2015. Il testo di tale proposta normativa prevede l’introduzione dell’obbligo di indicare il Paese di origine anche nei prodotti fabbricati in Europa e non solo per quelli provenienti da Paesi terzi. Qualora un prodotto venisse realizzato in diversi Paesi, dovrà essere indicato il luogo dove è avvenuto principalmente processo di fabbricazione del prodotto e/o la sua sostanziale trasformazione. L’indicazione d’origine obbligatoria, complessiva di nome e indirizzo del fabbricante, conferirà una piena tracciabilità dei prodotti. In questo modo verrà garantita anche maggior sicurezza delle merci, in quanto sarà sempre possibile risalire all’Autorità di Sorveglianza del Mercato del Paese dove sono state prodotte per, ove necessario, bloccare la circolazione della merce considerata dannosa.
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