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Madre nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi è un libro di Basil Davidson, Appunti di Storia Moderna

Riassunto del libro. Esame di Storia moderna

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 08/11/2018

Francy.Mika
Francy.Mika 🇮🇹

4.3

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8 documenti

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Scarica Madre nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi è un libro di Basil Davidson e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Madre Nera-B.Davidson Parte prima-Reltà&Mito Ciò che gli Europei pensavano dell’Africa ancor prima di conoscerla variava profondamente secondo l’epoca e il luogo. Nell’Europa meridionale durante il 1500 si incominciarono ad avere un gran numero di informazioni. Infatti uomini importanti stavano acquisendo una certa conoscenza a riguardo dei territori subsahariani (riguardo la possibilità di trovare ricchezze) molto spesso però tali informazioni erano avvolte dalla superstizione. Di rado i cristiani riuscivano a penetrare nelle terre africani e ci rimangono solo pochi documenti e testimonianze riguardo a coloro che vi riuscirono a penetrare. Una di queste risalente al 1447 ci proviene da un italiano Antonio Malfante che raccoglieva le chiacchiere delle carovane di Tuat che erano ricche di informazioni abbondantemente deformate. Nell’Europa settentrionale dove il commercio con l’Africa era sostanzialmente sconosciuto le opinioni giungevano contrastanti fra loro. Una testimonianza di ciò che i paesi europei settentrionali pensavano riguardo l’Africa ci giunge dalla testimonianza di arabo andaluso secondo il quale il continente nero non possedesse né abitazioni, città e tantomeno villaggi. Nel XVI secolo in Scozia furono accolti alcuni visitatori africani, probabilmente sottratti alle navi negriere portoghesi dai corsari scozzesi. Alcuni di loro acquisirono una certa fama, nota è la figura della “nera signora” celebrata mediante i versi di un celeberrimo scrittore quale è Danbar. L’atteggiamento degli europei nel periodo precedente alla colonizzazione europea del continente africano mostrava una serie di contrasti, su un unico punto coincideva: non presupponeva che gli africani fossero inferiori per natura, o che avessero un’incapacità intrinseca a evolversi e a mutare. Questo da lì a poco sarebbe divenuto il mito dei secoli che caratterizzarono il periodo coloniale: il disprezzo razzista e le sue reazioni. Nonostante tutto il periodo che precedette la colonizzazione fu un momento in cui si alternarono rapporti di amicizia e ostilità, bene e male, profitti e perdite; e per tutti questi anni le sorti dell’Africa e dell’Europa furono sempre più intimamente e inestricabilmente unite. Un esempio ci è fornito dal documento di Ramusio, segretario del Consiglio dei Dieci della Repubblica veneziana che esortava i mercanti italiani a vedere come dei soci, alleati e loro pari gli africani. (quattrocento anni dopo, a seguito della colonizzazione, gli europei erano convinti che gli africani non avessero mai conosciuto ciò che noi intendiamo per civiltà e quindi vale a dire i rudimenti dell’organizzazione politica, governi centrali.) A differenza culturale fra gli scopritori europei egli africani con vennero in contatto fu esigua e spesso non percepita. Le convinzioni europee riguardo gli stati africani erano del tutto false in quanto non riflettevano sulla somiglianza di esperienze e di possibilità fra le società europee e africane. Infatti gli stati africani, organizzandosi e espandendosi avevano raggiunto una fase di relativa stabilità. Potevano e volevano continuare per molto tempo ancora sullo stesso piano di rapporti di potere e organizzazione cui erano giunti. Gli stati europei erano invece tutt’altro che stabili; stavano emergendo le tensioni e i violenti contrasti che un passato irrequieto e pieno di invasioni aveva accumulato e lasciato loro in eredità. A differenza degli stati africani stavano per entrare in un’epoca di rapidi e tumultuosi sviluppi e cambiamenti. Un fatto essenziale è che gli antichi stati africani non subirono quasi nessuna invasione proveniente dall’esterno del continente: resistettero alla conquista e restarono inviolati. La tenacia con cui gli stati africani resistettero venne spiegata talvolta, dagli scrittori del periodo coloniale, con il clima e le zanzare. Certamente il sole e la malaria erano elementi inesorabili, atti a scoraggiare gli invasori stranieri ma è certamente l’esistenza di un’altra e più convincete difesa individuata nella forza degli eserciti africani. Nondimeno in Europa divenne comune l’idea che la potenza europea dominasse sull’interno dell’Africa. Così come testimonia un’avvenimento del 1481 secondo cui i portoghesi costruirono il loro primo forte sulla Costa d’Oro (luogo soprannominato la miniera “el Mina”), credendo di poter raggiungere meglio le fonti dell’oro africano. La costruzione del forte però avvenne grazie ad un accordo concluso con il capo di quella regione e non in seguito a conquista. Ma ne il Portogallo, ne l’Olanda, ne alcuna altra potenza europea riuscì ad assicurarsi l’accesso alla Terra dell’Oro, finché gli inglesi nel IX secolo non si aprirono un varco con le armi. Tutto ciò testimonia la debolezza degli stati europei e che la convinzione del dominio sul continente africano fosse del tutto errata. Sarebbe errato credere che il feudalesimo africano in questi primi anni di scoperta fosse uguale al feudalesimo europeo ma i punti di contatto sono spesso sorprendenti. In Europa occidentale, nell’altro medioevo, periodo formativo del feudalesimo, si era giunti a una graduale trasformazione dello schiavo in servo: questo cambiamento venne accelerato nell’epoca feudale, finché l’antico schiavo e l’antico uomo libero non si fusero nel nuovo vassallo. In Africa invece forti stati e imperi scossero e modificarono ovunque la vecchia struttura di uguaglianza tribale ed emerse il nuovo fenomeno di asservimento di un popolo verso un altro. Ciò però non deve essere confuso con quello che gli europei intendevano per schiavitù. Infatti la schiavitù assoluta consiste nel privare un uomo di ogni suo diritto e proprietà, questo fenomeno di asservimento era più simile al vassallaggio, “schiavitù domestica”, servo della gleba. Gli stati del Sudan occidentale forniscono prove della profonda somiglianza tra la condizione di schiavo e quella di vassalli europei. Infatti durante il quindicesimo secolo in tali regioni nell’agricoltura si impegnava un gran numero di schiavi. Questi schiavi pagavano,in cambio dei mezzi di sussistenza, un tributo ai loro padroni sotto forma di prodotti agricoli e di servizi personali. In questo modo i contrasti tra le condizioni sociali dell’uomo si delinearono in divisioni di casta e di classe facendo emergere il fattore dominante: la differenza di potere. (vedi vicenda di Usman dan Fodio). I vincoli feudali divennero sempre più stretti e la società sempre più stratificata, come un tempo l’Europa medievale, nel popolo la linea divisoria fra schiavo e e uomo libero fu sempre più difficile da individuare. Vengono così a delinearsi i vari gradi di libertà e di non libertà. In Nigeria la divisione in classi distingueva in: • contadini liberi= talakawa • servi=cucenawa la distinzione si ridusse fino a scomparire. Nelle regioni del Lago Ciad si distinguevano per tradizione tre gruppi: • kambe=uomini liberi provenienti dalle file degli schiavi emancipati e figli di uomini liberi che avevano sposato delle schiave • kalia=che erano schiavi, stranieri oppure uomini e donne catturati in guerra • zusanna=discendenti di schiavi, che costituivano anche la truppa nella fanteria dell’esercito Ma le differenze fra questi tre gruppi si riducevano sempre alla distinzione fra i tre gruppi (schiavi) e i nobili. Un altro esempio è fornito dallo stato del Ruanda il quale possedeva un ordine sociale molto chiuso, che sussiste ancora oggi ed è grazie a questo che gli antropologi sono stati in grado di darne notizie dirette. La società è suddivisa in tre categorie di persone: • watutsi: stanno al di sopra di tutti (1/10 della popolazione); non svolgono lavori manuali e hanno tempo da dedicare allo studio • bahutu: devono produrre per sé e per i watutsi • batwa In Ruanda, perciò nessuno è libero nel senso moderno della parola, perché i watutsi sono legati ai loro operai da un esplicito codice di doveri reciproci. Per i watutsi era importante diventare il vassallo di un uomo potente in quanto gli garantiva protezione e mucche in modo tale da arricchire la “clientela”-operai bahutu che a loro volta lavoravano per garantirsi protezione. Simile era la scala di diritti e doveri vigente nell’Europa feudale. Molti schiavi europei furono affrancati (“manomessi” per l’epoca) ma pochi erano capaci o desiderosi di mettersi per conto proprio. Preferivano e ritenevano più sicuro legarsi al padrone e sceglievano il signore più potente che potessero trovare. Gli europei in seguito hanno spesso frainteso il carattere di vassallaggio che sta alla base di questa servitù. I sostenitori del commercio degli schiavi affermavano che liberandoli da tali condizioni di 13 cambiamento nell’equilibrio fra Africa e Europa: era la schiavitù che occupava adesso il centro della scena. Parte seconda-Gli anni di prova Il commercio prosperava benché fosse ancora limitatissimo in confronto a come doveva diventare in seguito. Da principio era essenzialmente un commercio regio. Sotto la spinta avida della corte di Lisbona lo schiavismo si estese lungo la costa meridionale africana. Pur espandendosi rapidamente, la tratta dei negri si mantenne tuttavia nei limiti di un sistema commerciale in cui anche altre merci avevano valore e spesso erano più importanti. L’età del ferro in Africa perciò aveva molte cose da offrire all’Europa-oro, ferro battuto, avorio, gusci di tartaruga, e perfino tessuti- e c’erano molte cose che gli stati africani, o meglio i loro capi e notabili, desideravano acquistare. La tratta degli schiavi quindi costituiva soltanto una parte dell’esportazione africana, così come era soltanto una parte dell’esportazione europea. Con l’arrivo dei portoghesi occupò senza dubbio un posto più importante nel complesso degli scambi commerciali, perchè cresceva l’importanza degli schiavi nell’economia portoghese; ma gli uomini di Lisbona erano ancor più interessati all’oro, e l’oro diventò ben presto il principale obiettivo delle loro imprese. Una fonte documentaria così attesta: “ I nostri uomini, che sono inviati da Sua Maestà serenissima sulle navi comprano schiavi a duecento leghe oltre il forte di Elmina (nell’attuale Ghana).. Da qui gli schiavi sono portati al castello di San Jorge de Mina, dove sono venduti in cambio di oro.” La domanda portoghese e spagnola di schiavi era limitata; in altri paesi europei non esisteva affatto. Nel XVI secolo né Francia né Inghilterra erano particolarmente interessate agli schiavi. Solo nel 1530 si compì il primo viaggio inglese inAfrica occidentale compiuto da Hawkins cui fruttò un carico d’avorio a cui seguì la spedizione di Landye. Fino a questo momento il commercio aveva probabilmente fornito all’Europa poche decine di migliaia di schiavi; ma da allora fino alla fine del IXX secolo milioni di prigionieri avrebbero sofferto la deportazione sulle navi portoghesi e spagnole, e in seguito su quelle inglesi, francesi, olandesi ecc..Il carattere originale dei rapporti tra l’Africa e l’Europa sarebbe stato completamente alterato. L’esportazione di schiavi nelle Americhe cominciò con le prime navi che attraversarono l’Atlantico, ma da principio non fu un commercio esclusivamente africano. C’era bisogno di braccia, e queste si potevano trovare anche in Europa. Ma la richiesta di manodopera nelle Indie occidentali e nelle miniere dell’America centrale aumentava a un ritmo frenetico. I conquistatori cominciarono col ridurre in cattività le popolazioni che avevano trovato: gli “indios”; ma la morte glieli sottraeva (causa delle pessime condizione in cui si trovavano a lavorare). Allora si rivolsero all’Europa e cercarono di colmare i vuoti con operai legati da lunghi contratti cioè operai resi quasi schiavi presi in patria. Quando non bastavano si rivolgevano all’Africa; e qui, alla fine, videro risolto il loro problema. Nel 1501 la corona spagnola aveva emanato le prime leggi relative all’esportazione di schiavi in America e in particolare nell’isola dell’attuale Haiti. Questi schiavi erano più bianchi (provenienti sia dalla Spagna che dal Nord Africa) che neri, perchè sin dall’inizio gli schiavi neri erano risultati turbolenti e difficili da sottomettere (ne sono una conferma gli avvenimenti del 1503 che testimoniano l’infondatezza del vecchio mito della docilità africana- il governatore spagnolo Oviando si lamentò con il governo spagnolo e chiese alla regina Isabella di porre fine alla deportazione di schiavi negri, la quale acconsentì). La regina Isabella permise l’esportazione esclusiva di schiavi bianchi nelle Indie sebbene lo facesse per motivi diversi di quelli del governatore spagnolo: sperava che gli schiavi cristiani aiutassero l’opera di conversione dei pagani. L’esportazione di schiavi cristiani quindi continuò fino al XVII secolo; di solito erano donne che venivano destinate alla prostituzione e non alla vendita (esempio concessioni di licenze per aprire bordelli in alcune città del Sud America: Santo Domingo e in Perù). Il commercio di prigionieri negri divenne importante a partire dal 1510. Prima di allora c’erano stati carichi sporadici ogni volta che la richiesta di manodopera si era fatta particolarmente acuta. Per tutti gli anni che seguirono il marchio di infamia che bollò questo commercio fu l’aver considerato le sue vittime non come servi o schiavi domestici, degni di rispetto malgrado la loro condizione servile, bensì come bestiame umano, merce che doveva e poteva essere venduta quando e dove capitava. Fin dai primissimi sviluppi questo commercio reca i segni di una crudeltà e di uno spreco eccezionali. Ma non erano caratteristiche proprie alla tratta dei negri: gli schiavi europei e gli operai quasi schiavi erano trattati allo stesso modo o poco meglio. Un esempio ci è pervenuto dalle testimonianze riguardanti i trasporti di schiavi dall’Irlanda alle Indie occidentali in cui i malcapitati si trovavano in condizioni terribili. Generalmente però le condizioni per gli schiavi provenienti dall’Africa erano peggiori, molti infatti morivano durante il viaggio. L’aspetto intollerabile della schiavitù dei negri era il suo carattere assolutamente definitivo: i negri ovunque erano destinati ad occupare gli strati più bassi della società. Gli schiavi negri vi si opponevano; quando potevano fuggivano; si sollevavano sanguinose ribellioni; combattevano per la propria esistenza.La prima rivolta importante di schiavi neri si svolse ad Hispaniola nel 1522 a cui seguirono altre tre insurrezioni. Ma niente poteva arrestare il commercio: c’era troppo da guadagnare per le corti europee. Il re di Spagna ricavava denaro prima dell’imposizione della tassa sul commercio per la tratta di schiavi neri. Infatti nel 1513 fu imposta una tassa che fissava il costo di ogni licenza a due ducati (per licenza si intendeva il permesso di spedire un singolo schiavo); inoltre si doveva pagare una tassa di esportazione. Queste tasse ebbero come effetto immediato il contrabbando. Dopo il 1518 il commercio divenne sempre più un’istituzione, una parte integrante dell’economia spagnola, un aspetto essenziale dell’impresa ispano-americana. Come per altre imprese economiche, il diritto di far rifornimento di schiavi e commerciarli restava proprietà del re. I re non si occupavano personalmente del commercio, ma lo davano in appalto a mercanti e marinai ricchi. Questo sistema di “dare in appalto” il diritto di comprare schiavi in Africa e rivenderli in America era l’assiento, in sostanza un permesso regio che comportava il rispetto di precise condizioni di tempo e di prezzo. Per quanto riguarda il commercio degli schiavi l’assiento concerneva solo gli schiavi della Guinea, perché il cristianesimo proibiva la vendita di schiavi cristiani e scoraggiava 13 l’esportazione di schiavi nordafricani perché erano mussulmani e potevano fare propaganda contro il cristianesimo. Il sistema cominciò a mostrare il suo valore agli inizi del XVI secolo (1592). Prima di allora il re aveva concesso licenze per un numero esiguo di prigionieri e in rare occasioni; a partire da quella data, per cercare di soddisfare una domanda di schiavi resa praticamente inesauribile dall’olocausto di quelli che morivano, la corte tirò fuori un assiento colossale. Non si trattava più di poche centinaia di prigionieri africani alle Americhe: la nuova licenza valeva per il trasporto di 38250. I frutti della schiavitù venivano da molte regioni. Una relazione del 1520 indica che a quell’epoca i piantatori portoghesi producevano già lo zucchero servendosi del lavoro degli schiavi di São Tomé.ma i maggiori guadagni si ebbero sempre nelle Americhe. Ebbe inizio il commercio del “Grande Circuito” che da allora dominò per molti anni gran parte del commercio del mondo occidentale. Questo circuito consisteva nell’esportazione di manufatti a buon mercato dall’Europa all’Africa; nell’acquisto o cattura di schiavi sulla costa della Guinea e loro trasporto di là dell’Atlantico, nel cambio di questi schiavi con minerali e vettovaglie nelle Indie occidentali e nelle Americhe; e infine nella vendita di tali materie prime e alimentari in Europa. Con questo sistema triangolare si ottenevano tre guadagni distinti, tutti rilevanti e tutti a vantaggio dell’Europa: 1. Primo guadagno: consisteva nella vendita di beni di consumo ai negrieri 2. Secondo guadagno: derivava dalla vendita di schiavi ai piantatori e ai proprietari di miniere nelle Americhe 3. Terzo guadagno (il più forte): si otteneva vendendo in Europa i carichi provenienti dalle Americhe e dalle Indie occidentali. Su guadagni regolari e spesso prodigiosi ricavati da queste imprese circolari, Francia e Inghilterra avrebbero fondato in gran parte la loro supremazia commerciale. Nel XVI secolo il commercio degli schiavi era sopratutto monopolio ispano-portoghese. I francesi e gli inglesi giunti sulle coste della Guinea, sulla scia dei portoghesi e degli spagnoli, talvolta agirono insieme contro il nemico comune e altre volte litigarono e “vennero alle mani”: comunque, non si interessavano al commercio degli schiavi. Apparvero nuovi concorrenti. I francesi e gli inglesi si fecero più audaci e ad essi si unirono gli olandesi, i danesi e gli svedesi, e in seguito i prussiani. Gli inglesi e francesi erano di solito accontentati dal “commercio di contrabbando”; il loro metodo consisteva nel gettare l’ancora al largo, dopo aver evitato la rotta delle grandi flotte portoghesi o essersi aperto con la forza un varco tra quelle piccole, e nel fermarsi per vendere le proprie mercanzie o comprare avorio, oro o-come avveniva sempre più spesso-schiavi. Commercialmente più efficienti degli inglesi e dei francesi, all’inizio del XVII secolo gli olandesi capirono che la chiave per controllare questo commercio in rapida espansione stava nel copiare l’esempio portoghese, e nel fissare stabilimenti permanenti e forti basi sul litorale. gli olandesi furono ben presto in vantaggio sui loro rivali: si intendevano ddi più di commercio e non erano ostacolati da prerogative regie. Nel 1621 formarono la Compagnie delle Indie occidentali, che al commercio con la Guinea univa la colonizzazione delle Indie occidentali. Questa compagnia prosperò: ebbe tanto successo che i mercanti olandesi rivali trovarono insopportabili le sue pretese monopolistiche e dettero il loro appoggio a una compagnia Africana svedese, costituitasi sotto il patronato di Svezia. Le continue risse sulla costa dovute a esigenze commerciali, cupidigia e abitudini,dovevano influire sulle opinioni che europei e africani si fecero gli uni degli altri. Entrambe le parti tendevano a generalizzare le proprie esperienze; ed entrambi giunsero a conclusioni sorprendenti e bizzarre. Si diffuse tra gli europei la convinzione che gli africani abitualmente mangiassero uomini per gusto e preferenza. Ma divenne altrettanto comune tra gli africani credere che gli europei facessero lo stesso. Fino a d allora non si parlava di conquista. Le popolazioni costiere erano troppo forti. I capitani e i mercanti europei sbarcavano sia per commerciare sa per fare spedizioni militari contro i rivali, accordandosi l’uno o l’altro capo sul litorale. Molto spesso le due parti trattavano ancora su un piano di parità tranne quando, gli europei sollecitavano favori, cercavano di ottenere dei privilegi, Parte terza-Modalità del commercio le cifre esatte circa gli individui coinvolti nelle tratte negriere non si sa di preciso: i documenti necessari sono andati perduti o non sono mai esistiti. Si presuppone che i portoghesi tra il 1580 1680 abbiano trasportato in Brasile complessivamente non meno di un milione di schiavi. Le colonie britanniche del Nord America e i Caraibi abbiano accolto più di due milioni di africani. Un eminente studioso di statistica della popolazione nel calcolare il totale di schiavi sbarcato vivo sulle terre delle Americhe potesse aggirarsi intorno ai quindici milioni. Alcuni autori hanno accettato questa cifra, sia pure come minimo; alcuni hanno ritenuto che il totale probabile fosse di circa quaranta milioni e altri infine sono del parere che fosse molto superiore. Ma la cifra complessiva degli schiavi sbarcati vivi non corrispondeva naturalmente a quella degli schiavi imbarcati. Molti perirono durante il viaggio. La durata media di un viaggio era stimata di circa cinque settimane secondo i documenti che ci sono pervenuti. Talvolta il viaggio era molto più lungo quando non riusciva del tutto. Non ci sono cifre complete sulle perdite subite in viaggio sebbene fossero molto forti. Ancora più difficile è fare una stima delle cifre di individui trasportati nel commercio arabo-asiatico. Tutto quello che si può affermare in proposito è che il commercio orientale di schiavi non raggiunse mai le proporzioni del commercio occidentale, sebbene sia durato per molti più secoli. Riguardo al commercio atlantico degli schiavi, sembra ragionevole supporre che prima e dopo l’imbarco all’Africa siano stati sottratti almeno cinquanta milioni di persone. Furono portati via dall’Africa in ogni condizione ma si può affermare che l’andamento generale del commercio sia passato attraverso tre fasi: 1. Schiavismo per pirateria: l’Africa fu esposta a semplici razzie da parte di piccoli gruppi di europei, razzie che differivano dalle “guerre fra tribù” solo nel fatto nuovo che i predoni venivano e se ne andavano per mare. 2. Schiavismo per alleanze: gli europei potevano offrire merci molto richieste dai capi africani: cavalli, e in misura sempre crescente armi da fuoco e alcool. 3. Schiavismo per associazione pacifica: con lo svilupparsi del commercio triangolare nel XVII secolo, quando la schiavitù era il fattore dominante dei rapporti fra Africa ed Europa, la raccolta di schiavi sulle coste africane andò sempre trasformandosi in un’attività con un complesso di regole e divieti generalmente accettato, anche se spesso molto macchinoso. Da entrambe le parti fu sempre un’attività riservata ai potenti che intervenivano direttamente o indirettamente tramite agenti, mercanti, capitani ; e in particolare da parte africana diventò sempre più un affare di cui si occupavano i capi e i sovrani che comprendevano il valore del monopolio e sapevano come difenderlo. La rapidità per i negrieri era di fondamentale importanza. Man mano che il commercio degli schiavi si stabilizzava in un sistema regolare, la costa africana fu suddivisa dagli europei in zone, considerate buone o cattive secondo che fornissero rapidamente o lentamente gli schiavi. Ciò ebbe conseguenze profonde sull’andamento dell’esperienza africana. Contemporaneamente qualcos’altro ebbe conseguenze ancora più irrevocabili e profonde: gli uomini diventarono semplici merci di scambio. Non solo, ma con l’espandersi dell’impresa del Grande Circuito, nel XVII secolo, gli uomini diventarono la sola merce di scambio che contasse veramente. I capi africani trovavano che la vendita dei loro simili era indispensabile per ogni contatto o commercio con l’Europa: se loro non erano compiacenti e solleciti nelle consegne le navi andavano altrove. Intrappolati in questa situazione inattesa e fatale, spinti dal desiderio di merci europee, o ricattati dalla paura che quello che uno o due di loro avessero rifiutato, i loro rivali avrebbero consentito a darlo, i sovrani della costa africana si arresero al commercio degli schiavi. Il potere dello schiavismo conquisto tutti: conferì autorità politica, conferiva superiorità militare 13 mediante l’acquisto delle armi da fuoco, edificazione del potere di un capo.probabilmente tutto sarebbe potuto andare in modo diverso se solo la domanda avrebbe ristagnato. Ma la domanda cresceva continuamente, e con essa una sempre rinnovata pretesa di consegne rapide. Alcuni castelli europei sulla Costa d’Oro fungevano da centri di raccolta; i capi più potenti seguirono l’esempio europeo e fecero così la loro comparsa i reciti per gli schiavi, depositi costieri in cui si tenevano gli schiavi fino a quando le navi passavano a prenderli. Gli europei stessi installarono qua e là baracche galleggianti, scafi di navi, ancorati al fondale nascosti o dalle insenature o dagli estuari per tenervi in deposito gli schiavi. Spesso queste navi magazzino erano potentemente armate per potersi difendere contro le rivolte degli schiavi, gli attacchi da terra o l’assalto di rivali in mare. Gli africani che per lungo tempo avevano osservato gli europei combattersi l’un l’altro per il monopolio marittimo del commercio, non ci misero molto a capire dove stessero i loro interessi commerciali. Cercarono a loro volta di conquistare il monopolio terrestre del commercio per contrastare ogni tentativo europeo di penetrare nei territori dell’interno, dai quali proveniva la maggior parte degli schiavi. Generalmente vi riuscirono. La storia di quasi tutta la costa, durante questo periodo, è la storia di come le comunità costiere impedirono qualsiasi contatto tra europei e popoli dell’interno e di come riuscirono a costruirsi una forte posizione di mediatori. Si combattevano fra loro come facevano gli europei, cercavano alleanze con questa o quella nazione europea, assalivano i propri rivali e li riducevano in schiavitù o erano, a loro volta, catturati e venduti. Con questo meccanismo di successione di causa e effetto, il commercio degli schiavi scivolò gradualmente in una spietata caccia all’uomo. Le regole di questo rapporto commerciale erano ben chiare. Molti hanno descritto il commercio degli schiavi, al suo apice, come una funesta sequela di scorrerie e di guerre; il più delle volte non fu nulla del genere. In quest’epoca le usanze regolavano quasi tutti gli aspetti del commercio, non soltanto i prezzi e le modalità di pagamento. Sulla costa non si usavano quasi mai le monete. Per lo più i capi e i commissari di bordo contrattavano i rotoli di tabacco, barili di rum e armi da fuoco o più spesso in pezzi di avorio o rame o vasi e catini d’ottone. Man mano che il commercio si espandeva e si consolidava, gli africani diventavano sempre più abili a trarne profitto. Svilupparono un intero sistema di tasse e tributi che variava molto da un posto all’altro e i commissari di bordo e i capitani delle navi negriere erano costretti a fare delle piccole concessioni. Un esempio ci proviene dal 1676 dalla Sarah Bonaventura, una nave della Reale Compagnia britannica per l’Africa, comprò esattamente cento fra uomini, donne e bambini- tutti debitamente marchiati con il suggello della società- in cambio di varie misure di tessuto di cotone, cinque moschetti, sbarre di ferro, coltelli, barili di polvere e altre scarabattole. Gran parte del commercio avveniva in conchiglie, i cauri, un tipo di moneta usata per molto tempo in alcune zone costiere dell’interno. Un esempio ci proviene da Ardra, sulla Costa degli schiavi secondo la quale venivano pagati di solito per metà in cauri e per l’altra metà in merci europee. I calcoli per lo scambio dovevano essere imparati dai mercanti di entrambe le parti. Si dovevano inoltre fissare i prezzi per il diritto al rifornimento di acqua e di legna delle navi sulla costa. Finite le discussioni e le contrattazioni, restava da esaminare la qualità dei prigionieri, e quelli che venivano scelti dovevano essere marcati a fuoco. Le testimonianze raccontano che gli schiavi venivano raccolti tutti insieme in una baracca o prigione costruita solitamente vicino alla spiaggia; successivamente vengono condotti nudi all’aperto su un grande spiazzo dove i medici di bordo li visitano e li ispezionano. Quelli che sono considerati idonei e dunque in buona salute vengono messi da una parte gli altri vengono lasciati per conto loro. Gli schiavi così rifiutati sono chiamati mackron,sono quelli che superano i trentacinque anni, o hanno difetti alle labbra, agli occhi o ai denti, o sono diventati grigi oppure hanno malattie veneree o qualche altra imperfezione. Dopo essere stati così divisi, gli schiavi idonei vengono marcati a fuoco sul petto con un ferro rovente, con i contrassegni relativi alle nazioni in modo che possano essere riconosciuti e che non avvengano scambi con soggetti non idonei. In questa operazione si ha un’attenzione particolare per le donne, che sono le più delicate, affinché non vengano bruciate troppo intensamente. Gli schiavi così marcati sono rimandati alle loro baracche dove aspetteranno di essere imbarcati per dieci o quindici giorni di navigazione. Gli schiavi vengono spogliati completamente prima di essere messi nelle canoe per il trasporto alle navi, senza fare distinzione fra uomini e donne, per supplire a questa mancanza viene offerto loro un pezzo di canovaccio quando salgono a bordo. Con questa degradazione sistematica, con una brutale novità dopo l’altra, passando da un atto di crudeltà all’altro, era inevitabile che l’indifferenza per il dolore crescesse da entrambe le parti. Gli europei si preoccupavano esclusivamente di aumentare il proprio saggio di profitto a scapito della mercanzia umana. La mancanza di sistematica umanità, più spesso del sadismo, caratterizzava il commercio (era abituale portare gli schiavi sul ponte della nave e per farli tenere in esercizio li facevano saltare senza togliere loro le catene- questo atteggiamento venne giustificato che era necessario per la loro salute). Però la mancanza di umanità non conosceva limiti. Gli schiavi che s’ammalavano erano senz’altro gettati in mare. Nel IXX secolo ci furono molti casi di negrieri che buttarono a mare l’intero carico vivo quando si videro inseguiti dalle pattuglie britanniche antischiaviste, perchè la cattura con schiavi a bordo significava il sequestro della nave. La paura e l’ignoranza- da entrambe le parti- dette vita a idee bizzarre ma anche stranamente simili. Nacque una “comunanza di leggende”. L’esempio migliore è la diffusione delle idee sul cannibalismo. Certamente in Africa esisteva il cannibalismo. Alcune popolazioni africane avevano per molto tempo praticato il rito di mangiare la carne dei nemici che onoravano maggiormente, e inoltre non c’è dubbio che ogni tanto la carestia spingesse gli uomini al cannibalismo. Ma il genere umano non si comportò così soltanto in Africa, benché sembri che in alcune località, e per motivi disgiunti dal commercio degli schiavi, il cannibalismo fosse divenuto una triste usanza. Eppure, la maggioranza degli europei quando pesavano all’Africa erano convinti fin dai primi tempi che in quel continente gli uomini avessero generalmente l’abitudine di mangiare i proprio simili per gusto e naturale inclinazione. Una bella illustrazione di queste fantasticherie ci è pervenuta dal libro di Cavazzi in cui descrive tre regni africani: Congo, Matamba e Angola. Il libro pubblicato nel 1687 raccoglie le varie credenze popolare in uso in quell’epoca. Particolare è l’incisione che raffigura una scena di cannibalismo: diversi angolani nell’atto di squartare corpi umani e cuocerli su una griglia di ferro. Ma la cosa straordinaria è che questo mito dl cannibalismo operava in tutti e due i sensi. Cavazzi descrive come gli schiavi dell’Angola sia terrorizzati all’idea di essere portati via, in quanto, sono convinti che gli europei non li vogliano per lavorare bensì per mangiarli (“cambiarli in olio e carbone”). Gli europei appresero con stupore che gli africani credevano generalmente che essi fossero grandi ed irriducibili cannibali. Gli anni più attivi dello schiavismo si concentrarono tra il 1700 e il 1850 circa. Già nel 1570 in Messico si stimava che la popolazione negra si aggirasse intorno ai ventimila individui. La maggior parte degli africani giunti in Messico appartenevano probabilmente al gruppo dei popoli mande che vivevano, come fanno ancora oggi, nelle terre del Niger. Questi prigionieri erano conosciuti generalmente con il nome di mandingos, e la parola mandingo in Messico è restata ad indicare un diavolo. 13
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