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Madre nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del libro Madre nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi di Davidson

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 26/04/2018

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marco-gargiulo 🇮🇹

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Scarica Madre nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Madre nera. L’Africa nera e il commercio degli schiavi Realtà e mito I. Quando non c’era ancora il commercio Il pensiero degli europei sull’Africa variava da epoca a luogo. Solo nel 1500 si ebbe una grande mole di informazioni sicure. In quei tempi era raro che un cristiano entrasse in Africa; le prime memorie di un viaggiatore in Africa risalgono al 1447 e furono scritte da Antonio Malfante a Tuat, nel Sahara settentrionale. Egli spiega, ad un amico genovese, che a sud di Tuat ci sono popoli negri con grandi città e territori. Si riproducono in gran numero e non c’è dubbio che si cibino di carne umana. Già l’immagine dell’Africa Nera cominciava a distorcersi. L’atteggiamento degli europei nei confronti degli africani nel periodo intorno al 1500 mostrava una serie di contrasti, coincideva solo in un punto: non si pensava che gli africani fossero inferiori per natura. Questo è il mito che si svilupperà negli anni successivi. Il disprezzo razzista cominciò quando uomini liberi giustificarono i propri interessi materiali disprezzando gli schiavi. Già Jefferson affermò che gli schiavi negri erano inferiori dal punto di vista intellettuale. Nei giorni della scoperta, gli europei credettero di avere trovato in Africa degli alleati, dei loro pari. Nel 1563, Ramusio, esortava i mercanti italiani a contrattare con il re di Timbuctu o di Mali. Per 400 anni gli europei pensarono che gli africani mancavano della capacità di evolversi. II. Gli antichi stati africani Un fatto noto dai tempi più antichi è che gli antichi stati africani, a differenza degli europei, non avevano mai subito invasioni proveniente dall’esterno del continente. Gli scrittori del periodo coloniale sostengono che sole e malaria furono elementi atti a scoraggiare gli invasori stranieri. Ma gli antichi documenti risaltano anche la straordinaria forza degli eserciti africani. Nel 1481 i portoghesi costruirono il primo forte sulla Costa d’Oro, credendo di poter meglio raggiungere l’oro africano. Questa costruzione, però, fu fatta in base ad un accordo con il capo della regione e non tramite una conquista. Di fatto questa costruzione fu fatta a patto che fossero rispettate pace e verità. La città di Elmina fornì l’oro africano in grandi quantità e per diversi anni. Ma nessuna potenza europea riuscì ad assicurarsi l’accesso alla terra dell’oro, finché gli inglesi non si aprirono un varco con le armi. In Europa si sparse l’idea che la potenza europea dominasse sull’interno africano. A quell’epoca gli europei consideravano gli africani come schiavi impotenti, trasferendo questo giudizio sull’Africa. La credenza dell’inferiorità africana era in pieno sviluppo. I lavoratori in Africa avevano una certa fiducia in se stessi, ed è questa fiducia che ha permesso loro di resistere alle invasioni ed è questo che ha permesso ai sistemi di governo feudale dell’Africa di emergere e di imporsi. III. Similitudini Il feudalesimo africano non era uguale a quello europeo. Esistono, però, dei punti di contatto che vale la pena ricordare in quanto soltanto la potente organizzazione feudale purò spiegare la forza militare di molti stati africani. Bisogna esaminare, però, la società che si era sviluppata quando in Africa l’età del ferro aveva raggiunto piena maturità. In Europa occidentale, nell’alto medioevo, lo schiavo fu trasformato in servo. Nel frattempo, in Africa, forti stati e imperi scossero la vecchia struttura tribale ed emerse il fenomeno di asservimento in massa di un popolo ad un altro. Questo non era ciò che gli europei intendevano per schiavitù. Gli stati medievali del Sudan occidentale forniscono molteplici prove della somiglianza tra la condizione di popoli vinti e quella di vassalli feudali. Durante il XV secolo, lungo il medio Niger, nell’agricoltura si impiegava un grande numero di schiavi che abitavano al margine della foresta. Questi erano installati nel territorio e vincolati ad esso. Essi pagavano un tributo ai loro padroni sotto forma di prodotti agricoli e di servizi personali in cambio di mezzi di sussistenza. Questi schiavi formavano spesso delle caste professionali. I contrasti tra le condizioni sociali dell’uomo libero appartenente al popolo dei vincitori e quelle dello schiavo che proveniva dal popolo vinto erano destinati a diminuire con il tempo, man mano che il sistema diventava più solido. Il fattore dominante nella società divenne sempre di più la differenza di potere che divideva i principi e i signori del popolo, da tutto il popolo. Questa stratificazione nacque nelle nazioni forti e fu limitata molto dalla natura dell’economia feudale dell’Africa occidentale. Anche la stratificazione signore-vassallo divenne netta nei gruppi che detenevano il potere. Nella società africana, sempre più stratificata, la linea divisoria tra schiavo e uomo libero divenne sempre più difficile da individuare. Il grado di libertà che distingueva contadini liberi da servi si ridusse fino a scomparire. Tutti facevano parte dei sudditi e l’unica differenza tra le loro condizioni è che alcuni erano più servi di altri. Il processo comunque variava in base alle circostanze. Nel XIX secolo, nel Bornu, si distinguevano per tradizione tre gruppi sociali al disotto delle famiglie nobili: uomini liberi proveniente dagli schiavi emancipati e figli di uomini liberi che avevano sposato delle schiave (kambe); schiavi, stranieri oppure uomini e donne catturati in guerra (kalia); discendenti di schiavi (zusanna). Le differenze dei tre gruppi erano meno importanti delle differenze che esistevano tra questi gruppi e i nobili. Qui si parla ancora di un sistema feudale e di un sistema sviluppatosi con l’evolversi dell’età del ferro. Questo sistema continuò anche nell’epoca moderna. Ad esempio, in Ruanda, vi era un ordine sociale molto chiuso, che sussiste in gran parte ancora oggi. Qui la società è divisa in tre categorie di persone: al di sopra ci sono i watutsi che costituiscono circa 1/10 della popolazione; sotto di essi ci sono i bahutu che producono per sé e per i watutsi; al terzo posto ci sono i batwa che sono considerati irresponsabili. In Ruanda, dunque, nessuno è libero poiché anche i watutsi sono legati ai loro operai da un codice di doveri reciproci. Questa scala di diritti e doveri può essere confrontata con quella dell’Europa feudale. Molti europei di quei tempi preferivano legarsi a un padrone, magari il più potente signore che potessero trovare. Anche in Uganda c’è pressappoco lo stesso sistema di governanti e sudditi: i nobili bahima e i vassalli bairu. Gli schiavi erano tutti uomini catturati in razzie fatti nei regni vicini, ma essi non erano destinati allo scambio o alla vendita. In sostanza era un tipo africano di organizzazione sociale accentrata che era troppo forte per essere sfidato dall’esterno. Anche sulla costa si svilupparono stati e imperi dove la società si divise tra governanti e sudditi e così via. Gli europei spesso hanno frainteso il carattere di vassallaggio che vigeva alla base della servitù africana. Successivamente molti sostenitori dello schiavismo cercavano di convincere gli abitanti africani a sostenere la schiavitù poiché avrebbe portato vantaggi all’Africa stessa. Uno schiavo ascianti aveva diversi diritti come sposarsi, possedere beni, uno schiavo e diventare erede del padrone. Sembravano quasi gli stessi privilegi di un uomo libero. I prigionieri, dunque, diventavano vassalli, i vassalli uomini liberi e gli uomini liberi diventavano capi. In America gli schiavi erano, diversamente, etichettati dal colore e condannati ad accettare una completa servitù. Questo non vuol dire che un vassallo africano aveva una vita in beatitudine, ma che le condizioni in cui viveva non avevano nulla a che vedere con quelle di chi era schiavo in America. Il suo stato era spesso paragonabile a quello della maggior parte degli uomini e donne dell’Europa occidentale del medioevo. Sotto quest’aspetto, Africa e Europa commerciarono inizialmente su un piano di uguaglianza. IV. Schiavi e schiavismo Quando i commercianti europei cominciarono a trafficare con l’Africa scoprirono che si potevano comprare prigionieri senza molte difficoltà. Gli schiavi però dovevano essere per tradizione e legge morale, uomini e donne catturati tra i popoli vicini. Sembra che tutte le grandi città-stato dell’Italia medievale abbiano trafficato schiavi cristiani. Nel XIII secolo schiavi europei erano trasportati su navi europee in Egitto. Un altro aspetto importante comune all’Europa e all’Africa è il trattamento riservato a chi era fatto prigioniero. In Africa lo schiavo poteva cominciare già da subito a salire la scala sociale. In Africa come in Europa lo schiavo medievale era un prigioniero che poteva da subito ottenere l’accesso al sistema di diritti e doveri. Dall’accettazione di ambedue le parti di un legame di servitù in una situazione di tipo feudale, sarebbe derivata l’accettazione del commercio all’Africa. Ciononostante il commercio degli schiavi nel XVI secolo era un monopolio quasi del tutto ispano-portoghese. IV. La battaglia per la costa Ai francesi e agli inglesi si unirono danesi, svedesi ed in seguito i prussiani. Gli olandesi, all’inizio del XVII secolo, capirono che la chiave per controllare questo commercio stava nel copiare i portoghesi e fissare delle basi sulla costa. Gli olandesi costruirono una vera base a Mowree nel 1611/1612 e la chiamarono Forte Nassau. 5 anni dopo ottennero dai capi locali una piccola isola chiamata Goree dove costruirono due forti e di fronte costruirono dei magazzini e una filiale. Nel 1637 presero ai portoghesi il castello di Elmina e nel 1642 il forte di Axim quando posero fine alla presenza portoghese sulla Costa d’Oro. Gli olandesi se ne intendevano di commercio e non erano ostacolati da prerogative regie. Nel 1621 fondarono la Compagnia delle Indie occidentali, che univa al commercio la colonizzazione delle Indie occidentali. Nel 1647 diedero appoggio ad una Compagnia africana svedese la quale costruì quattro stabilimenti sulla Costa d’Oro. Questi soci numerosi elaborarono un sistema complicato di pratiche commerciali, tasse, circolazione monetaria e gergo commerciale. Successivamente nacquero delle rivalità anglo-olandesi e queste risse influirono sulle opinioni che europei e africani si fecero gli uni degli altri. Ad esempio si diffuse tra gli europei che gli africani mangiassero uomini ma anche gli africani credevano ciò. Fino ad allora si parlava poco di conquista perché le popolazioni costiere erano troppo forti. Capitani e mercanti sbarcavano solo per commerciare o per fare spedizioni militari contro i rivali. Successivamente si passò da una certa uguaglianza tra sovrani all’uccisione dei capi africani maggiori. Questo nuovo mondo fu il risultato della penetrazione europea nei ricchi territori orientali, ma più importante fu la penetrazione nelle Indie occidentali e nelle Americhe. Quando il Portogallo perse la sua posizione di predominio sulla costa, olandesi, inglesi e francesi cominciarono ad installarsi in diverse località e le zone costiere dell’America settentrionale assistettero ad una colonizzazione e conquista graduali. Da questa espansione coloniale venne un nuovo impulso all’esportazione di schiavi dalla Guinea. L’ondata schiavista aumentò per due motivi: le piantagioni di zucchero e quelle di tabacco. Lo zucchero divenne un grosso affare; tabacco e rum diventarono importanti così come il caffè e il cotone, ma il grande artefice di guadagni per l’Europa fu il re zucchero. Né zucchero né tabacco potevano essere coltivati senza abbondante manodopera. I piantatori dipendevano dal commercio di schiavi africani i quali venivano sfruttati in modo pazzesco e rovinoso. I principali agenti di questo nuovo sistema commerciale furono Francia ed Inghilterra. Lo zucchero fu introdotto nelle Indie francesi nel 1640. Poco più di 25 anni dopo la Francia importava grandi quantità di zucchero grezzo e impiantò tante raffinerie che furono in grado di vendere zucchero lavorato per il resto dell’Europa. V. Il commercio dà i suoi frutti Dal commercio dello zucchero molti uomini si fecero ricchi e le Indie occidentali divennero persino più importanti dell’India. Da qui i ricchi ne trassero tutti i vantaggi. Le entrate britanniche che provenivano dal commercio con le Indie occidentali si diceva fossero quattro volte maggiori di quelle che provenivano dal commercio con il resto del mondo. A differenza del commercio con le Indie orientali, il commercio con le Indie occidentali consisteva nel dare manufatti a basso prezzo in cambio di schiavi africani e schiavi in cambio di viveri e tabacco delle Indie occidentali, che una volta portati in Europa rendevano un mucchio di denaro. Questa espansione economica portò l’Inghilterra ad una rivoluzione industriale e lo stesso accadde in Francia dove il commercio del Grande Circuito portava ai mercati un guadagno del 300%. Il Commercio con l’India orientale produceva stessi effetti su scala diversa. L’importazione dall’Oriente di costosi generi di consumo portò alla fabbricazione di imitazioni a buon mercato sia in Inghilterra che in Francia. In seguito l’Oriente si prese la rivincita facendo lo stesso, fabbricando imitazioni ancora più economiche dei modelli europei. Questi furono gli anni di grandi invenzioni in campo industriale. In questi anni le fabbriche necessitavano più carbone ma la domanda poteva essere soddisfatta solo se si progettavano migliori sistemi per pompare l’acqua dalle miniere. Così nacque la pompa a vapore nel 1776. In questi anni nacque anche la locomotiva a vapore e lo sviluppo e perfezionamento dell’industria tessile procedevano a ritmo uguale. Da qui nacquero le prime macchine tessili a energia animale o idraulica. Queste invenzioni nacquero per soddisfare una richiesta all’apparenza inesauribile di generi di prima necessità a buon mercato. Nacque l’industrialismo e fu il commercio dell’Africa occidentale a presiedere a quest’evento. In quell’epoca, però, la ricchezza non era equamente sparsa in tutti gli strati della società all’interno dell’Inghilterra. La manodopera costava indecentemente poco e la tassa sul reddito non esisteva. Il commercio africano, ridotto quasi esclusivamente a commercio di schiavi, era la parte fondamentale e determinante. L’impresa schiavista diventò questione di politica coloniale e un importante affare di stato. Successivamente Inghilterra e Francia ottennero l’assiento spagnolo per commerciare schiavi nelle colonie spagnole, anche se infine diventò solo britannico. Ciononostante Francia e Inghilterra fornivano schiavi anche nelle loro colonie. Era inevitabile che il commercio degli schiavi portava tanti profitti ma, successivamente, alcuni francesi ed inglesi si opposero con successo all’esistenza stessa di questo commercio. VI. Abolizionismo L’economia inglese cambiò e si concentrò sull’esportazione di prodotti finiti di industrie manifatturiere. Le nuove industrie avevano bisogno di materie prime e di mercati stranieri e non di schiavi. All’inizio del XIX secolo la Gran Bretagna abolì il commercio degli schiavi su navi inglesi e cercò di impedire il commercio di schiavi con qualunque altra nave. Con lo sviluppo dell’industria la manodopera schiava nelle Isole fu trasferita e trasformata in manodopera industriale. Dopo l’abolizione dello schiavismo in Inghilterra grazie a Clarkson, si sparsero le prime critiche in Europa. Gli abolizionisti furono accusati di tramare la rovina della società e dello stato. Nonostante tutto gli abolizionisti trionfarono in Gran Bretagna e in Francia e vennero aiutati dalla nuova industria. Siccome la Francia vendeva zucchero a minor prezzo rispetto all’Inghilterra, tra le due nazioni nacquero diverse guerre anche se il commercio degli schiavi rimase. Incapaci di soffocare la concorrenza francese, gli inglesi decisero di difendere il monopolio del proprio commercio con le colonie nordamericane. Qui incontrarono una difficoltà: i nordamericani si sentivano ormai una nazione a parte ed aspiravano sempre di più alla libertà di commercio. I britannici tenevano al monopolio. La svolta arrivò nel 1773 con la legge sulla melassa quando le colonie decisero di accettare solo denaro contante. Infine nel 1764 con la legge sul bollo, l’Inghilterra impose diritti doganali proibitivi sull’importazione nel Nord America di tutto ciò non britannico; le colonie risposero con la guerra rivoluzionaria ed ottennero l’indipendenza. Ciò portò all’indebolimento della società inglese che si dimostrò debole di fronte alle teorie antischiaviste. Successivamente anche la Francia abolì il commercio, ma esso continuò ad avere un valore economico importante nelle colonie spagnole e nel Brasile. Lo schiavismo portò anche alla creazione di vaste popolazioni negre in parecchi stati delle americhe e nei Caraibi. Modalità del commercio I. Quanti? Ci sono diversi dibattiti sulla quantità di schiavi che sono stati scambiati in questi anni. Ma la cifra complessiva degli schiavi sbarcati vivi non corrispondeva a quella degli schiavi imbarcati in quanti molti perivano durante i lunghi viaggi. L’unica cosa che si può dire è che il commercio europeo di schiavi è stato quello con più individui, persino più di quelli dati dal commercio arabo-asiatico. II. L’instaurazione del sistema Si può dire che l’andamento generale del commercio atlantico sia passato attraverso tre fasi, dove la terza risulta più importante: schiavismo per pirateria, per alleanza militare e per associazione più o meno pacifica. Durante la prima fase l’Africa fu esposta a semplici razzie che differivano dalle guerre fra tribù. Alle razzie seguirono le alleanze in quanto gli europei offrivano merci molto richieste dai capi africani. Queste razzie ed alleanze erano spesso rozze e si ebbero anche altrove ma furono i portoghesi a farne spesso. L’alleanza militare diede i natali a un regolare commercio pacifico. La raccolta di schiavi si trasformò in un’attività con regole e divieti ma rimase un’attività sempre riservata ai potenti. La compravendita era quasi sempre pacifica ma poteva anche essere pericolosa. Si può dire che il commercio degli schiavi era un gioco duro e spietato per quelli che vi erano coinvolti. Man mano che il commercio degli schiavi si stabilizzava in un sistema regolare, la costa fu suddivisa dagli europei in zone. Questo ebbe delle conseguenze profonde sull’andamento dell’esperienza africana. Da qui nacquero anche altre conseguenze, infatti gli uomini diventarono semplici merci di scambio e diventarono la sola merce di scambio che contasse veramente. Tutto poteva cambiare solo se si fosse placata la domanda ma essa cresceva continuamente e con pretese di consegna rapide. Dunque gli europei costruirono dei depositi per trattenere gli schiavi e spesso queste navi magazzino erano armate per potersi difendere dalle possibili rivolte di schiavi. Gli africani cominciarono a capire quali fosse gli interessi commerciali degli europei e cercarono a loro volta di conquistare il monopolio terrestre del commercio. III. Regole e usanze Molti descrivono il commercio degli schiavi come un susseguirsi di guerra ma in realtà, nella maggior parte dei casi, non fu così. Il commercio era caratterizzato da molte contrattazioni lunghe. Sulla costa non si chiedevano mai monete ma vi era una forma di baratto e spesso a questi scambi seguivano delle feste. In seguito gli africani svilupparono un sistema di tasse e tributi. Gran parte del commercio avveniva in conchiglie, i cauri, che era un tipo di moneta usata in alcune zone africane. Dopo le discussioni e le contrattazioni, si passava ad esaminare la qualità dei prigionieri, e quelli scelti venivano marcati a fuoco. Gli schiavi rifiutati erano chiamato mackron e sono quelli che superano i 35 anni o hanno qualche malformazione. Anche se erano scelti uno ad uno molti morivano durante il tragitto e in seguito si fecero invenzioni per evitare ciò. Si sviluppò l’idea di farli fare esercizio fisico sul ponte durante la giornata. La mancanza di umanità caratterizzava il commercio e non conosceva limiti. Alla brutalità quotidiana si affiancava la paura da entrambe le parti. Gli scontri sanguinosi erano all’ordine del giorno tra europei ed africani ma anche tra europei stessi e africani stessi. IV. Prese di posizione e opinioni Nacquero diverse incomprensioni e una comunanza di leggende in questo periodo. La più diffusa fu quella sul cannibalismo. In Africa esisteva il cannibalismo poiché molte volte la carestia spingeva a questo. Il problema è che anche gli africani pensavano che gli europei li catturavano per mangiarli. In Europa nacquero anche due pensieri differenti: il pensiero tradizionale e quello scientifico. Il primo sosteneva che l’Africa non aveva mai posseduto una civiltà degna di rispetto e il secondo provava il contrario. Si potrebbe dire che la fine del commercio degli schiavi abbia rafforzato lo spirito di ricerca. Ma il commercio fu seguito dalla conquista coloniale e dalla lotta per l’Africa e fu così che molti uomini ritornarono a disprezzare l’Africa. Nacque così l’idea razzista nei confronti dei negri. V. Da dove venivano? La maggior parte degli africani giunti in Messico appartenevano al gruppo di persone che vivevano appena dietro la protuberanza occidentale della costa della Guinea. Questi prigionieri erano chiamati mandigos che è rimasta nel gergo messicano come sinonimo di diavolo. Spesso i prigionieri venivano rinominati ed avevano due nomi: il primo era quello del mercato dove furono comprati e l’altro era il nome della loro tribù. La maggior parte degli africani proveniva dall’Africa occidentale, pochi dall’Africa orientale. Una volta giunti nel nuovo mondo, gli africani spesso erano così forti da rimettere in uso le credenze della loro patria. Spesso gli schiavi venivano venduti all’interno stesso dell’Africa e non è improbabile che gli africani abbiano più volte attraversato l’Africa da un oceano all’altro. Gli schiavi che vendevano gli africani non facevano parte di loro ma tecnica. Affonso capì anche che il problema era il vassallo di Sao Tomè che vendeva schiavi per le piantagioni. Affonso chiese che Sao Tomè gli fosse assegnata come feudo poiché in questo periodo tutti gli schiavi del Congo passavano prima da Sao Tomè ed il vassallo ne tratteneva un quarto. Col passare degli anni la situazione in Congo cominciò a scivolare verso un caos mai conosciuto prima e nel 1526 Affonso cercò di ridurre ed impedire la tratta dei negri. Infatti in Mani-Congo si lamentò dei mercanti inviati dai portoghesi che costruivano negozi ed indebolivano il monopolio commerciale del signore del Congo, indebolendo la sua autorità sul paese. Probabilmente Affonso voleva riportare lo schiavismo alle sue dimensioni iniziali ma il commercio, appena iniziato, non si poteva far cessare o ridurre. L’insensibilità del Portogallo nei confronti del Congo è data dalle scoperte fatte altrove dai portoghesi; di fatto scoprirono il Brasile e dunque il Congo fu messo al terzo posto. Il Congo rimase solo per gli schiavi poiché risultava impenetrabile. Impazienti di ciò, i portoghesi iniziarono a pensare all’invasione militare e cominciarono a stringere rapporto con il sovrano di Dongo che aveva il titolo di Ngola. Fu così che il Mani-Congo mandò contro di lui un esercito per punirlo, ma i guerrieri del Ngola ne uscirono vittoriosi. Da qui i portoghesi cercarono di espandersi e smantellarono poco a poco l’ordinamento feudale degli stati congolesi introducendo il proprio sistema di governo. Il loro intervento e la loro penetrazione furono lenti ed irregolari. Nel 1665 il Mani-Congo promosse le armi contro i portoghesi e venne messo insieme un esercito per combatterli con esito positivo e con la morte del Mani-Congo. Tutto ciò si ripeté per i due secoli seguenti. VI. La radice de male Nel 1700 sule coste africane sorsero degli scrupoli ed alcuni capitani negrieri protestanti trovarono difficoltà a comprare unità in quanto i commercianti congolesi erano convinti che le navi non erano cristiane e che gli schiavi venissero portati dai turchi. In ogni caso chi trafficava schiavi poteva fare fortuna. Sulla costa nacque un sistema monopolistico molto organizzato e si occupava di importare oggetti europei e di comprare dalle popolazioni interne gli schiavi necessari per il pagamento delle merci. Questo tipo di commercio escludeva i popoli dell’interno da ogni contatto europeo, portando al non sviluppo africano. I portoghesi riuscirono a penetrare solo attraverso i pombeiro africani che avevano altri schiavi alle loro dipendenze e portavano indietro una grande quantità di schiavi per lo scambio. Questo fu l’unico modo portoghese di penetrare nelle regioni interne. Le regioni interne non avevano mai avuto contatti con l’esterno e non erano neanche interessate se non per alcuni contati indiretti con l’Oceano Indiano mirati al procurarsi alcuni oggetti di lusso per aumentare di prestigio. Dunque si può dire che gli africani vendevano i loro schiavi non per portare il suo paese ad un alto livello di vita economica e sociale ma solo per acquistare prestigio all’interno della loro società. La tratta degli schiavi rovinò anche il sistema amministrativo originario di questi paesi. Di fatto il Mani-Congo riceveva un profitto annuo molto alto durante i primi scambi con il Portogallo, ma questo benessere non durò. Le abitudini di uguaglianza tra europei ed africani erano ormai scomparsi. Per gli europei, gli africani erano decaduti da alleati a fornitori di schiavi. Per quanto riguarda gli africani, essi pensavano che gli europei non facciano mai nulla se non per il proprio guadagno e ne approfittano della loro posizione di superiorità e potere. Da qui si può capire la tragedia dell’impresa cristiana finanziata dal Portogallo. Rancore e disprezzo si fecero più profondi e si gettarono pian piano le basi delle future leggende sull’Africa selvaggia. Inizialmente le loro abitudini erano viste in modo normale e tollerate, ma i giudizi del XIX secolo avrebbero sostenuto la superiorità europea sia morale che materiale. Alla fine ci fu la vittoria portoghese ma fu una vittoria da sempre rimandata che giunse solo perché l’avversario cessò di resistere. Il tutto continuò fino al 1950 quando in Angola nacque un movimento nazionalista e l’antica ispirazione all’indipendenza si concretava in una nuova rinascita. Le sorti della costa orientale I. Un enigma a Kilwa Il legame europeo con gli antichi stati del Congo si era ormai ridotto alla tratta degli schiavi. I contatti con l’oriente lasciarono perplessi i portoghesi in quanto trovarono delle città ben difese e porti pieni di navi. Questa nuova civiltà fu in gran parte distrutta, fatta eccezione per le regioni settentrionali della costa. Nel 1823 il Barracouta gettò l’ancora nel grande porto di Kilwa. Gli ufficiali scorsero le rovine di un’antica fortezza ma il resto era tutto coperto dalle mangrovie. Qui si fecero strada e pensarono che questa era una città fiorente e popolatissima ma non si sapeva la fine che aveva fatto questo popolo. II. La città del litorale In questa città si trovarono diverse monete greche, romane, cinesi e arabe. Da qui possiamo capire che i rapporti commerciali con l’Oriente risalgono al 60 d. C. circa. Dunque la fascia costiere dell’Africa orientale era collegata da un commercio regolare e pacifico con le città del Mar Rosso, dell’India, del Golfo Persico eccetera. Molte prove fanno luce sulla natura composita di una cultura africana che doveva la sua origine alla spinta costruttiva di fonti non africane. Già 2000 anni fa era noto il commercio in queste acque svolto da marinai dell’Arabia meridionale, ma non era un commercio di schiavi. Tutti gli influssi portarono alla creazione di città-stato e di imperi costieri sul litorale. Queste città-stato, nonostante tutto, svilupparono una cultura preminentemente africana in un’epoca remota conservando la forte impronta dell’influsso arabo e della religione islamica. Come linguaggio si sviluppo il swahili che è una lingua molto antica e ricca dal punto di vista del vocabolario. A differenza del fallimento portoghese in Congo, qui avvenne una fusione di culture reale e feconda. La prova di questo miscuglio culturale sta nelle monete coniate nel XIII secolo a Kilwa che riportavano la scritta in arabo così come nell’Europa medievale si usava il latino. Probabilmente il primo sovrano era swahili ma, successivamente, gli arabi entrarono in questa società e strinsero dei vincoli matrimoniali con le genti che trovavano; fu così che la loro cultura risultava sia swahili che araba. Altri documenti forniscono nuovi dati sulle tradizioni della costa ma nessuno risale all’epoca medievale. Le origini della cultura dell’età del ferro nell’entroterra orientale e sudorientale dell’Africa risalgono a circa 2000 anni fa. Sembra che verso la fine del primo millennio della nostra era sia esistito un numero cospicuo di popolazioni dell’età del ferro organizzate in gruppi e unità. Di logica doveva esistere una forma di governo tribale. Potevamo sperare che la tradizione facesse luce sugli stati dell’entroterra all’inizio dell’età del ferro, ma le invasioni e le immigrazioni hanno cancellato le antiche tradizioni. Per l’Uganda, però, le tradizioni sono sopravvissute. La tradizione dell’Uganda ci svela che la società dell’età del ferro subì cambiamenti importanti. Gli artefici di questo cambiamento sono noti con il nome di bachwezi. Essi erano dei cacciatori abili ma anche commercianti che partivano all’avventura. Nell’Uganda occidentali essi sono visti come i creatori di un modello di organizzazione sociale e di una religione che vennero imitati diligentemente dalle dinastie successive. Da qui vediamo prender forma la struttura feudo-tribale. Così come vennero i bachwezi scomparvero verso il 1500 d. C. lasciando un sistema di burocrazia amministrativa come rappresentante locale di una monarchia centralizzata e anche un’organizzazione militare. Alcuni di questi stati dell’età del ferro dell’entroterra ebbero contatti regolari con la costa già a partire dal X secolo. Questi scambi continuarono poiché le città costiere avevano bisogno di oro ed avorio e potevano prenderli solo dall’entroterra. Per questo vennero create una miriade di miniere e questo deve aver contribuito a incoraggiare il sorgere delle divisioni sociali. Possiamo affermare che le città costiere avevano un assiduo scambio commerciale con l’entroterra, in quanto molto indispensabile. III. Differenza fondamentale Per l’Africa l’incontro con il commercio dell’Oceano Atlantico e Indiano, durante il medioevo, ebbe conseguenze diverse: diminuzione e aumento della ricchezza. Il commercio dell’Oceano Indiano, in quel periodo, non fu mai un commercio di schiavi anche se in Cina già nel 1178 si parlava di selvaggi neri con capelli crespi che venivano catturati e venduti come schiavi agli arabi. Dunque la leggenda dell’inferiorità africana non è occidentale. Ciononostante non c’è nulla che indichi che il commercio degli schiavi dominasse il commercio orientale. L’Africa in quei tempi era menzionata per l’oro e per l’avorio che successivamente vennero soppiantate dal ferro africano. Non si fa cenno all’esportazione di schiavi ma ciò non significa che non si facesse, ma era comunque un ramo commerciale secondario e trascurabile. Le città della costa orientale non scomparvero per loro colpa ma furono saccheggiate dai portoghesi. Dopo le imprese di Da Gama, il re del Portogallo fece un sacco di spedizioni mirate ad impadronirsi anche del commercio dell’Oceano Indiano, ridurre le città costiere in vassallaggi, esigere tributi in oro e imporre l’egemonia. Incontrarono resistenza ma dopo il 1501 le città furono demolite e costrette a sottomettersi. Però in 50-60 anni di assalti frenetici a una ricchezza accumulata per secoli, lo sforzo portoghese era quasi esaurito. Questo successe perché mancavano gli uomini ed esisteva un’incapacità a tenere il passo coi tempi e coi sistemi nuovi. Di fatto l’Olanda lo superò e Francia ed Inghilterra lo tolsero di mezzo. IV. Dopo l’uragano In seguito alle distruzioni date dal commercio dell’Oceano indiano, l’Africa orientale scompare dalla storia per circa due secoli. Siccome molte indebolite da tutti i punti di vista, queste città soffrirono enormemente. Le città al nord di Mombasa, però, sembra che abbiano ritrovato la loro vitalità ed il loro primitivo vigore. Lungo il settentrione della costa, l’urto con i portoghesi fu di breve durata e quando lo assimilarono, alcuni centri divennero centri focali di una nuova coscienza swahili. Da qui derivò la lingua scritta che diventò un efficace mezzo di comunicazione per molti africani. Ma non tutte le città si trovavano in queste condizioni, in particolare quelle del sud. Kilwa soffrì di più poiché i contatti con i portoghesi ruppero i legami che aveva con India e Golfo Persico e le vie di commercio con l’interno furono interrotte dai popoli dell’entroterra. Ottant’anni dopo il destino della città fu segnato dall’invasione degli Zimba che la saccheggiarono. Per quanto riguarda il Mozambico, esso venne occupato per il commercio degli schiavi con il Brasile, le Mauritius e Bourbon anche se sussisteva il commercio di oro e avorio con l’entroterra. Ciononostante non fu lo schiavismo a causare il declino della regione costiera, bensì l‘impoverimento della rete di commercio marittimo che aveva legato questa città alle civiltà orientali. Questo si può dedurre da una relazione francese su Kilwa. I francesi avevano doppiato il Capo verso oriente molto prima degli inglesi e olandesi ma non avevano lasciato la loro impronta sulla costa. All’inizio della seconda metà del XVIII secolo cominciarono a battere la costa in cerca di schiavi per le loro piantagioni dell’Oceano Indiano. Il pioniere di questa spedizione era Morice che entrò in contatto con il sultano - in quanto chirurgo – ed il sultano stesso gli vendette una parte di Kilwa per 4000 piastre. Morice stipulò un accordo con il sultano che concesse un diritto esclusivo di monopolio sull’esportazione di schiavi. Schiavismo e ristagno procedevano a pari passo. Dei visitatori britannici, tra 1821 e 1826, furono impressionati dall’aspetto funebre di queste città riconducendo questo alla tratta degli schiavi che tanto odiavano. La loro ricchezza si basava su oro e argento e, secondo loro, l’introduzione del commercio degli schiavi arrestò il progresso dell’industria. Secondo Prior, invece, la causa vera della rovina di questi paesi erano la presenza ed il potere europeo in India oltre al commercio degli schiavi. Le ricchezze erano ormai destinate all’Europa e l’Africa orientale non poteva più partecipare. V. Quando suonate a Zanzibar Alcune città costiere traevano anche dei profitti dal commercio degli schiavi; nessuna più di Zanzibar, che era allora una dipendenza dell’Imam dello stato arabo meridionale di Muscat. Il governatore di Zanzibar, Yacout, riceveva 10 dollari per ogni schiavo consegnato ai francesi e, oltre a vendere a questi, riforniva anche Muscat e altri mercati orientali. Rimase sempre un commercio dai numeri modesti. Dopo il 1840, l’esportazione di schiavi dall’Africa orientale diventò un’importante impresa araba. Il sultano dell’Oman intraprese la riorganizzazione del commercio di V. Dietro la costa I territori posti dietro il litorale della Guinea hanno una storia differente rispetto a quelle dell’entroterra. Nella Guinea esistevano stati e società potenti che hanno origini molto antiche. Molti elementi della loro cultura vasta rivelano un creativo intrecciarsi di idee. Da questi stati l’Europa prese la maggior parte del suo fabbisogno d’oro durante il medioevo. Tutti i grandi stati della foresta furono coinvolti nel commercio degli schiavi e ciascuno subì l’influsso delle sue sollecitazioni e delle sue pressioni. Le conseguenze spesso contrastavano con l’evoluzione politica che aveva luogo lungo la costa e nelle città-stato del delta. Infatti, mentre gli stati del delta assorbivano le nuove pressioni, gli stati dell’interno davano prova di resistenza all’evoluzione politica. Spesso il loro feudalesimo si ripiegò su stesso e i capi eletti diventarono dei tiranni e la struttura della loro vita sociale divenne rigida. Diventarono potenti con il loro commercio ma il loro potere si dimostrò tragico. Si possono evidenziare 3 aspetti decisivi di questa situazione. Il primo era una questione di struttura interna in quanto i sistemi della foresta erano basati su antiche ideologie di monarchia divina legata da legami di credenze religiose. Questo concetto si rivelò elemento comune di debolezza di fronte alla richiesta europea di schiavi, perché convinse questi popoli che i non-appartenenti fossero buona preda per la schiavitù. Ogni guerra diventò una guerra di religione dove un uomo non combatteva solo nel proprio interesse ma anche per un concetto di verità e sopravvivenza oltre la tomba. Un secondo fattore decisivo stava nelle nuove rivalità commerciali in quanto i rapporti con gli stati interni erano avvelenati dalla lotta per ottenere il monopolio sula fornitura di schiavi. Le guerre si trasformarono in commerciali approvate dalla religione che degenerarono in una lotta dove un uomo poteva catturarne un altro. Così intervenne anche il terzo fattore: le armi da fuoco. Grazie a esse le guerre feudali e commerciali divennero guerre per la sopravvivenza. Questa era la triplice pressione che aveva avviato la tratta degli schiavi e che determinò la storia di gran parte delle regioni dell’Africa occidentale direttamente a contatto con l’Europa. Le armi da fuoco fecero passare le popolazioni africane dal feudalesimo africano dalla forma tribale e popolare all’autocrazia caratteristica del medioevo europeo. VI. Il disastro del Benin Quando i viaggiatori portoghesi raggiunsero Benin la considerarono come capitale di un grande impero. I portoghesi non scrissero molto sul Benin, erano ben accolti come mercanti e missionari ma i documenti sono veramente pochi. Le fonti scritte aumentano con gli olandesi poiché essi erano più interessati ai loro soci commerciali. I sovrani del Benin erano ospitali ma gelosi della propria autorità e lasciavano una libertà limitata ai mercanti europei. Era una città prosperosa e confortevole, il palazzo del re era quasi una città proibita all’interno. I mercanti e i viaggiatori erano colpiti dall’efficienza del governo beniniano che funzionava con un sistema di re in consiglio. Esisteva un commercio attivo tra Benin, stati vassalli e stati limitrofi non vassalli, il quale era monopolio del re ma organizzato in modo tale che ne approfittavano soprattutto i capi e gli agenti dell’Oba che negoziavano con gli europei. Gli stranieri dovevano tassativamente fare acquisti o negoziare tramite i delegati dell’Oba o i mercanti autorizzati da lui. Il commercio interno, invece, era organizzato più liberamente ed era caratterizzato da mercati all’interno di piazze. Questa città- impero avevano conflitti con i vicini come ogni stato feudale. Dopo il XVII secolo le guerre di conquista di tipo feudale si trasformarono in guerre per gli schiavi, e la struttura beniniana ne risentì parecchio. Queste guerre distrussero la prosperità e anche la struttura dello stato che non riuscì a resistere. Ad acuire i timori dei monarchi del Benin erano gli stati del delta che erano in piena fioritura ed importavano armi da fuoco per poter sfidare gli Oba in qualsiasi momento. Anche qui, come nell’Oyo, le armi da fuoco rappresentavano il potere. Per difendere i loro privilegi e poteri, i sacerdoti dell’Oba conoscevano solo un drastico provvedimento che era il sacrificio rituale. Ma nel Benin questi sacrifici non erano delle carneficine ed erano solo destinati ai domestici prediletti. Queste calamità fecero fallire solo l’istituzione del Benin e non l’intera società. Man mano che la pressione della costa diventava più forte ed il commercio beniniano regrediva, i sacerdoti raddoppiavano la loro frenesia finché il Benin non divenne una vera città di sangue. L’ultimo incentivo fu la minaccia dell’invasione europea. Qualche anno dopo la Gran Bretagna inviò delle truppe e impose la pace sotto un potere nuovo e 65 anni dopo il periodo coloniale terminò. VII. Un fucile per uno schiavo Per i capi africani le uniche soluzioni erano: di rinunciare completamente al commercio con l’Europa oppure cedere alle sue richieste continue. Molti capi cercarono, comunque, di abolire l’esportazione di schiavi con esiti sempre negativi. Il regno di Dahomey è il più importante in questo periodo. Dopo il 1727, questo regno di aprì un varco verso la costa dove si trovavano le maggiori esportazioni annuali, e riuscì a diminuire il numero di schiavi sulla costa. Per questo motivo l’organizzazione sociale del Dahomey risulta essere molto importante per le istituzioni africane. Il Dahomey era frutto di rapporti tra Africa ed Europa. La capacità di resistere del Dahomey dipendeva dalla fornitura di schiavi alla costa. Molte armi da fuoco furono riversate in Africa occidentale dopo il 1727, e il Dahomey ne trasse maggior vantaggio. I mercanti europei erano impauriti per questa inondazione di armi che stava aumentando il potere di contrattazione dei loro clienti africani, ma non potevano farci niente. Il Dahomey divenne famoso in Europa per il potere dittatoriale dei suoi capi. Era un regime politico organizzato per fare la guerra e fondato sulla superiorità delle armi. Le trattative erano di rado fatte con il re, ma spesso erano fatte con il viceré. Proprio perché era frutto del rapporto tra Africa ed Europa questa monarchia militare non poteva scindere il proprio destino dagli sviluppi della pressione europea. Nel XIX secolo gli europei cambiarono politica ed aspirarono alla conquista. Di fatto dopo il 1894 il Dahomey venne dichiarato colonia francese. Questa strategia europea avvenne anche altrove in Africa. VIII. Ascianti: la nuova battaglia per la costa Le popolazioni della foresta erano una mescolanza di antichi abitanti e immigrati del nord, ma tra di essi era in corso un processo di formazione statale. Questi stati traevano la loro forza dalla propria organizzazione efficiente e da un fiorente commercio aureo con gli stati sudanesi. L’Ascianti e i territori vicini erano noti come la fonte dell’oro. Con il passare degli anni si formò un’alleanza che portò alla costruzione di circa 40 castelli europei lungo la costa. Si trattava però di un’alleanza instabile, soggetta a rotture e guerre improvvise. I motivi di questa instabilità erano due: rivalità tra europei e rivalità tra africani. Ciascuno di essi lottava per il controllo monopolistico della propria parte di commercio. Alla fine questa battaglia per il monopolio si risolse in una lotta aperta tra africani ed europei, preludio al dominio coloniale anche se allora non si pensava ancora alla conquista coloniale. Gli europei volevano solo difendersi e dominare quei pochi staterelli. L’Olanda era la più forte potenza marittima europea del XVII secolo e prese Elmina dai portoghesi. La tirannia olandese non funzionò mai a lungo. Altre pressioni si facevano sentire tra le popolazioni dell’interno ed erano sempre di tipo naturale in quanto risentivano dell’instabilità di organizzazioni feudali e religiose tra loro rivali. Ma queste pressioni furono inasprite dal potere di attrazione del commercio europeo. Stesso procedimento come nelle altre città della Costa degli schiavi e nacque l’Unione ascianti. A differenza di Dahomey, l’Ascianti prese la forma di confederazione militare sotto la guida di un singolo capo. Per affermare la propria indipendenza, gli ascianti dovevano risolvere due problemi: trovare un legame comune e costruirsi una forza militare. Riuscirono a risolverli entrambi grazie ad un grande capo militare che guidò la lotta per l’indipendenza e grazie ad un uomo politico che trasformò l’alleanza politica in unione indissolubile. Gli ascianti, successivamente, passarono dalla difesa alla conquista che avrebbe dato loro l’egemonia sulle terre al di là della Costa d’Oro ed il controllo della parte africana del commercio costiero. La sicurezza dell’Unione ascianti dipendeva dall’acquisto di moschetti ma si potevano ottenere solo con il cambio di schiavi. Dunque furono costretti ad essere coinvolti nella tratta. Lo schiavismo li portò alla conquista dei popoli confinanti. In questo modo l’Ascianti divenne una delle nazioni schiaviste più forti dell’Africa. Le vecchie alleanze lungo la costa non furono dimenticate, infatti i popoli degli stabilimenti commerciali chiesero aiuto all’Europa. Ancora una volta Africa ed Europa si affrontarono in un nuovo tipo di rapporto per la sovranità sulla stessa costa. I primi scontri ebbero inizio nel 1806 anche se la pace fu ristabilita rapidamente. Man mano che le idee imperialiste prendevano piede, gli europei cominciarono a reclamare diritti e poteri derivanti dalla conquista. In un primo momento gli inglesi strinsero rapporti con l’Asantehene poi, quando culminò l’imperialismo, invasero l’Ascianti. Nel 1902 faceva parte dell’impero coloniale britannico e nel 1954 ottenne l’indipendenza come parte del nuovo stato del Ghana. IX. L’alleanza si sfascia Molte pressioni contribuirono per trasformare il legame basato sull’uguaglianza in un legame dove l’Europa dominasse. Una di queste era la fine del commercio oltremare degli schiavi. Nella Guinea rovesciò le antiche abitudini commerciali, indebolì il governo, infranse costumi sociali e aprì la strada all’Europa. Durante i decenni dopo l’abolizione degli schiavi nel 1807, l’antica uguaglianza degenerò finché l’Europa prese il sopravvento. Due secoli di schiavismo avevano prodotto in alcune parti una società adatta a quel tipo di commercio che non poteva sopravvivere alla fine dello schiavismo. In questi stati l’abolizione causò una crisi sociale. In questi anni rinacque l’antico mito dell’Africa selvaggia che ora giustificavano il colonialismo. In Africa, con l’abolizione dello schiavismo, i popoli cominciarono a dedicarsi ad altre forme di commercio. Furono aiutati dalla richiesta europea di olio per sapone e lubrificanti. Ciononostante il commercio degli schiavi continuava verso il Brasile e Cuba. Fu così che il commercio divenne parte integrante dell’imperialismo e portò all’avvento del controllo politico e alla conquista. In gioco c’erano altri fattori; infatti nel delta gli europei volevano conquistare anche il controllo dell’intero commercio. La tratta dei negri faceva anche concorrenza alla produzione dell’olio, così divenne un interesse commerciale diretto porre fine al commercio degli schiavi da parte della Gran Bretagna. Successivamente si scoprì da dove proveniva tutto l’olio e le spedizioni si spinsero verso l’entroterra anche se queste fallirono. Da qui nacquero le spedizioni che, grazie alla scoperta del chinino, fecero nascere la colonia della Nigeria nel 1868. X. Uomini come Ja Ja: l’ultima fase È facile pensare agli aspetti negativi dello schiavismo, fu così che gli europei giunsero alle conclusioni più fosche sulla società africana. Le popolazioni del delta erano in grande difficoltà eppure cercarono di adattarsi e talvolta ci riuscirono. Un esempio è la vita di Ja Ja, re di Opobo. Apparteneva al periodo in cui l’olio di palma aveva soppiantato gli schiavi e la penetrazione europea era cominciata. È nato in schiavitù domestica, fu messo a capo della casa Anna Pepple a Bonny (un complesso commerciale molto noto nei rapporti euro-africani). Questo accadde nel 1863, Ja Ja aveva 42 anni, aveva avuto successo come mercante e diede subito prova delle sue capacità. Ja Ja saldò tutti i debiti e divenne il capo più popolare di Bonny. Il suo spirito d’iniziativa suscitò la gelosia dei concorrenti. Di fatto i suoi successi lo misero in disputa con la casa di Manilla Pepple. Nel 1869 ci fu una guerra dove Ja Ja si trovò ad affrontare sia la concorrenza armata sia l’intervento europeo. Ja Ja affrontò la minaccia britannica spostandosi a oriente fondando lo stato di Opobo nel 1870 il quale prosperò durante l’esportazione dell’olio. Molti mercanti bianchi erano gelosi di questa manovra monopolista di Ja Ja ma lui non si fece sorprendere e, ben presto, offrì tutto il commercio dell’olio ad un’unica ditta inglese. Da qui gli altri inglesi diedero inizio ad una lotta contro l’africano traditore Ja Ja. Nel 1887 gli inglesi avanzarono e Ja Ja fu catturato e processato ad Accra. Si può dire che il sovrano fu vittima dell’imperialismo e, se non si fosse trovato di fronte all’invasione straniera, avrebbe sicuramente fatto entrare tutto il delta in un sistema legislativo e commerciale. Ja Ja capiva il sistema capitalista e non c’è motivo di dubitare che avrebbe potuto sviluppare un’economia capitalista nella Nigeria orientale. Accanto al successo di uomini come Ja Ja sta la disintegrazione sociale connessa a questo rapporto afro-europeo. Quando la pressione europea divenne più forte la società fu scossa dalle basi e si diffuse un senso di
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