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Nuovi Determinanti di Malattie: Identificazione di Fattori di Rischio e Fattori Protettivi, Appunti di Scienze Umane

L'importanza di studiare la presenza di nuovi determinanti di malattie attraverso l'identificazione di fattori di rischio e fattori protettivi. come i gruppi di ricerca devono riprodurre il modello di malattia in animali e studiare attentamente gli animali in esame per valutare i primi parametri che si alterano e come progredisca la malattia. anche esempi di criteri di casualità e discute i problemi etici associati agli studi sperimentali su popolazioni umane. Vengono inoltre menzionate cause fisiche di malattie infettive e non infettive, tra cui le radiazioni elettromagnetiche, e vengono presentate soluzioni per prevenire il rischio legato all'esposizione a queste radiazioni.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 06/04/2022

vivien-vitello
vivien-vitello 🇮🇹

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Scarica Nuovi Determinanti di Malattie: Identificazione di Fattori di Rischio e Fattori Protettivi e più Appunti in PDF di Scienze Umane solo su Docsity! IGIENE 13/05/2021 Ci siamo occupati delle misure di rischio ed abbiamo visto come queste possono variare anche in funzione della frequenza con cui le malattie sono presenti nella popolazione. Quando abbiamo affrontato l’argomento ‘epidemiologia analitica’ abbiamo anche messo in evidenza che non basta effettuare e verificare che c’è una associazione statisticamente significativa tra un fattore che studiamo, il determinante che noi riteniamo possa essere in associazione causale con una specifica malattia e la malattia stessa, abbiamo bisogno una volta verificata l’esistenza di una associazione, di andare a valutare quelli che vengono definiti ‘criteri epidemiologici di casualità’. Quindi se la nostra ipotesi e il nostro studio rispetta questi criteri accettati dalla comunità scientifica, a quel punto possiamo essere certi di avere evidenziato un nuovo determinante X di Y malattia. I criteri epidemiologici di casualità sono stati fissati nella seconda metà del secolo scorso (1965) da un epidemiologo statistico Austin Bradford Hill che ha individuato 9 criteri che ci consentono di confermare una relazione causale tra una presunta causa e un effetto osservato. Vediamo, in particolare, 5 dei 9 criteri che sono i più importanti. Uno dei primi criteri è la temporalità: l’esposizione deve precedere la malattia. Dobbiamo esser certi che la malattia preceda l’effetto. Infatti, questa certezza ci viene data dagli studi per coorte perché li disegniamo in modo tale che le nostre due coorti siano entrambe costituite da individui sani, per cui siamo certi che ancora la malattia non è presente e le due coorti si differenziano proprio per la presenza del fattore in un gruppo e l’assenza di esso nell’altro gruppo. Per cui, così, siamo certi di poter verificare quella che è la temporalità. Successivamente introduciamo la forza: quanto maggiore è il valore di RR (rischio relativo) o di OR tanto più probabile è la relazione causa/effetto. Se in presenza del determinante vediamo che il tasso di incidenza è 5, 10, 20 volte maggiore negli esposti, rispetto ai non esposti, indubbiamente c’è una fortissima associazione. Per cui, la forza è molto grande, il valore di RR è particolarmente alto e quindi diventa molto improbabile che quel determinante non sia strettamente in associazione causale con la malattia. Un altro criterio è il gradiente: la forza aumenta se si dimostra una correlazione dose/effetto. Per cui, con il nostro studio dobbiamo riuscire ad evidenziare che non soltanto negli esposti il rischio aumenta rispetto ai non esposti, ma anche che vi è una gradualità. Ciò significa che se l’esposizione è piccola, il rischio di ammalare c’è ma è relativamente piccolo rispetto a quando l’esposizione è maggiore e quindi maggiore sarà il rischio di ammalarsi. Un esempio è il fumo, che è un fattore di rischio per determinate forme di neoplasia ma vediamo anche che all’interno dei fumatori il rischio aumenta all’aumentare del numero delle sigarette fumate. Quindi maggiore è la dose di esposizione, più probabile sarà l’effetto e quindi l’insorgenza della malattia. Un altro importante criterio è la consistenza: analoghi risultati da indagini diverse anche metodologicamente. Più gruppi di ricerca, più studiosi utilizzando anche metodologie diverse, hanno messo sempre in evidenza quel medesimo (o circa uguale) risultato. Infine, l’ultimo criterio che prendiamo in considerazione è la coerenza: consiste nella plausibilità biologica da stabilire anche su modelli animali o in vitro. Intendiamo la capacità di riuscire a mettere in evidenza quello che è il meccanismo d’azione. Per studiarla e metterla a punto dobbiamo riprodurre quel modello di malattia in animali, quindi fare degli studi in vivo e monitorare attentamente gli animali in esame, per valutare quali sono i primi parametri che si alterano, come progredisce la malattia. Sappiamo che è sempre più difficile poter fare una sperimentazione in vivo, in quanto ci sono tutta una serie di limitazioni dal punto di vista etico, per cui si ricorre anche a studi in vitro, quindi su colture cellulari, su cellule isolate. Questi sono i criteri epidemiologici di casualità che, una volta effettuato uno studio, una volta verificato con un test statistico che c’è una associazione statisticamente significativa, vengono presi in considerazione e quindi dobbiamo vedere se vengono rispettati questi criteri. Naturalmente, tenendo conto che non tutti li possiamo rispettare da subito. Ad esempio, per la consistenza abbiamo la necessità che vari gruppi di ricerca studiano quel determinato fenomeno e viene fuori il medesimo risultato. →ESEMPI DI CRITERI DI CASUALITA’ Fatte salve un’assenza di fattori di confondimento, il fatto che il nostro studio l’abbiamo ben progettato, che abbiamo potuto stabilire la relazione temporale e quindi valutiamo gli altri criteri di causalità e la consistenza. A sinistra nella slide vediamo come tutta una serie di diversi studi in cui viene indicato qual è il valore di rischio relativo ottenuto, questo sarà diverso da studio a studio ma ci consente di calcolare il rischio relativo in funzione dei vari studi che effettivamente c’è un aumento del rischio, del tasso di incidenza negli esposti, all’aumentare del fattore di esposizione, quindi possiamo esser certi che questa associazione risponde anche al criterio di causalità consistenza. Mentre relativamente alla forza di associazione in funzione del rischio relativo che noi abbiamo messo in evidenza vediamo nel diagramma a barre come la mortalità annuale per tumore polmonare nei maschi è diverso tra fumatori e non fumatori. Naturalmente abbiamo dei casi di tumore polmonare nei soggetti non fumatori perché il fumo non è causa della malattia ma è fattore causale, il che significa che la causa non è né indispensabile né sufficiente però aumenta di molto la probabilità di andare in contro alla malattia, infatti vediamo come sia lo studio condotto negli stati uniti che in gran Bretagna mettono in evidenza questo grosso divario nel tasso di incidenza, quindi dei valori di rischio relativi almeno pari circa 20 per quel che riguarda gli stati uniti e circa 15 per quel che riguarda il regno unito quindi senz’altro una forza dell’associazione che mette in evidenza come a questo punto c’è poca probabilità di errore nel dire che il fumo è fattore di rischio. La probabilità di errore è minima e lo mette in evidenza la forza dell’associazione. Così come vediamo come, sempre a proposito di indagini epidemiologiche, come contemporaneamente tre diversi studi, 3 gruppi di ricerca, viene rispettata la consistenza e mettono in evidenza (sempre per il fattore fumo) come il rischio aumenta all’aumentare del numero di sigarette fumate, andando a rispondere anche a quel criterio che è la correlazione dose- effetto→ all’aumentare dell’intensità della causa noi abbiamo un aumento dell’effetto e quindi un aumento del numero dei malati. Così come vediamo il criterio di temporalità→ (grafico) mettiamo in evidenza appunto, guardando la latenza, che c’è tra l’abitudine al fumo nei maschi (cominciata nel secolo scorso) e quello che a distanza di circa 20 anni si è verificato con un consistente aumento del tumore polmonare sempre nei maschi quindi andando a verificare/confermare come l’esposizione precede l’effetto sia nel sesso maschile che nel sesso femminile, le femmine hanno cominciato a fumare più tardi rispetto funzione di questo, se il gene è presente in singola copia o doppia copia o se il gene si trova su un cromosoma sessuale o somatico. O cromosomiche: legate ad aberrazione cromosomica o alterazione del numero dei cromosomi (ne abbiamo già parlato). che biologico-ambientali→ ex. Acaro della polvere, molti sono soggetti allergici ovvero sia l’esposizione a determinate sostanze che possiamo definire allergeni, di natura animale che vegetale, determinano una serie di sintomi in questi soggetti. Una malattia non infettiva è comunque mono-causale in quanto l’allergene è la causa della malattia, determina in presenza dell’allergene il soggetto va in contro a una serie di sintomi. Abbiamo anche cause fisiche di malattie infettive, tra queste: La temperatura→sia in eccesso che estremamente alte (in estate con i colpi di calore) o particolarmente basse (responsabili di alterazione dello stato di salute); Rumore→ responsabile di una serie di patologie non solo a carico dell’orecchio ma anche di tipo neurologico, nervo, determina uno stress; Radiazioni→; Traumatismi→che possono determinare una serie di danni. A proposito di radiazioni vediamo come le radiazioni elettromagnetiche si distinguono in funzione della lunghezza d’onda della radiazione, della frequenza e dell’energia della radiazione. Questi 3 parametri sono tra loro strettamente correlati infatti vediamo come la frequenza e l’energia è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, più bassa è la lunghezza d’onda maggiore sarà la frequenza e l’energia che questa radiazione ha. In funzione dell’aumento della frequenza e dell’energia abbiamo le così dette “radiazioni ionizzanti” come raggi gamma e raggi x che sono cause fisiche di tutta una serie di danni e malattie nell’uomo. Bassa lunghezza onda e alta energia Ultravioletto visibile Infrarosso Microonde Onde radio Noi siamo immersi in un mondo in cui le radiazioni ci bersagliano, infatti sempre più spesso si parla di elettrosmog= forma di inquinamento di tipo fisico legato a tutte le radiazioni elettromagnetiche che vengono utilizzate a vari scopi, soprattutto nelle telecomunicazioni che utilizzano microonde o onde radio. Anche se non li vediamo colpiscono le nostre macromolecole con tutta una serie di effetti che sono abbastanza lampanti. Le radiazioni ionizzanti hanno un’energia tale da consentire la ionizzazione della materie, quindi gli atomi che incontrano in seguito all’energia ceduta da queste radiazioni ionizzano (perdono elettroni) di conseguenza abbiamo un esposizione alle radiazioni ionizzanti che possono essere generate sia da reazioni nucleari artificiali che naturali (centrali termonucleari o utilizzo per produrre energia elettrica) ma alle radiazioni nucleari l’uomo da sempre esposto perché vi è una radioattività naturale, le così dette radiazioni cosmiche, terresti che da sempre ci colpiscono. COSA SONO LE RADIAZIONI IONIZZANTI? CHI LE PRODUCE? Le producono i così detto i radionuclidi o radioisotopi→ovvero degli atomi stabili di alcuni elementi chimici che sono atomi instabili perché il nucleo di questi atomi è stabili in quanto nel nucleo non c’è un buon bilanciamento tra protoni e neutroni per cui in eccesso o difetto di neutroni i radioisotopi vanno incontro a disintegrazione o decadimento radioattivo in quanto perdono energia perché con il loro stato energetico sono altamente instabili quindi tendono a raggiungere la stabilità. Differenza rea numero di massa=A e numero atomico=Z. Il decadimento tra i più comuni nuclidi: IODIO RADIOATTIVO (131I) che viene utilizzato nella diagnostica che ha un tempo di emivita di 8 giorni. Poi ancora il COBALTO 60 che lo utilizziamo anche per la sterilizzazione, poi il POTASSIO 40 e l’URANIO che è il più temuto radionuclide. Nel processo di decadimento molti di questi radionuclidi non liverano soltanto radiazione elettromagnetica ma anche massa, particelle subatomiche, alfa e beta Le particelle alfa corrispondo ad un nucleo di Helio quindi 2 protoni e 2 neutroni che vengono perse nel decadimento dell’uranio, invece le particelle beta sono più piccole che sono o cariche negativamente (elettroni) o positivamente (positroni) che vengono liberate assieme a energie elettromagnetiche a radiazioni gamma. In funzione di questo sappiamo che l’unità di misura che si utilizza per la radioattività è il Bequerel ed 1 B1= 1 disintegrazione al secondo, quindi la perdita di energia che si ha in un secondo. L’uomo da sempre è esposto anche a una radioattività naturale→ sia la radiazione terrestre sia la radiazione cosmica. RADIAZIONE TERRESTRE→questa dipende dall’era giologica, dalla zona geografica in cui si vive e quindi varia in funzione della composizione della crosta terreste che viene liberata dal sottosuolo. RADAZIONE COSMICA→l’esposizione aumenta con l’altitudine, infatti sappiamo come ad esempio il personale aereo è più esposto alla radiazione cosmica rispetto a chi fa pochissimi voli o non vola mai. Questa radiazione comunque è data dalla liberazione di particelle di massa compresa tra l’elettrone e il protone che sono i mesoni. O ancora, anche in questo caso, di particelle alfa e beta o di semplice radiazione elettromagnetica di tipo gamma. L’uomo è anche esposto a una radiazione endogena→con la dieta noi assumiamo piccolissime percentuali di radionuclidi specialmente per quel che riguarda il potassio 40 e il carbonio 14, infatti sappiamo come si usa per la datazione di un reperto si usa la misurazione del carbonio 14 che in funzione delle disintegrazione del carbonio 14 possiamo stabilire l’età di un determinato reperto perché con la morte finisce l’assunzione di questi elementi radioattivi quindi quello che permane è quello che c’è stato durante la vita. Nel nostro paese in Italia abbiamo mediamente un’esposizione per ciascuno degli abitanti di 3-4 mSv/anno → tramite raggi X (1 mSv) o con la TAC (10 mSv) (10 millisivert si legge). E’ importante quindi prevenire il rischio legato all’esposizione alle radiazioni ionizzanti grazie alla RADIOPROTEZIONISTICA→ valuta gli strumenti diagnostici a che tipo di esposizioni espongono, valuta l’esposizione degli operatori →PROCESSO DI DECADIMENTO DELL’URANIO 238 L’uranio 238 decade dando luogo a tutta una serie di radionuclidi intermedi fino a raggiungere la stabilità quando finalmente da 238 di massa atomica passa a 206. Quindi immaginate quanta massa deve perdere per fare questo successivo passaggio e la stessa cosa vale per il Torio. In questa diapositiva mettiamo in evidenza come in funzione della frequenza, della lunghezza d’onda e dell’energia possiamo definire lo spettro elettromagnetico con una serie di sigle che ci indicano in funzione della frequenza qual è l’energia di queste radiazioni. Raggi gamma sono le più energetiche e così via… Sempre più spesso si parla di elettrosmog→ il rischio dell’elettrosmog è l’aumento della temperatura (effetti termici). COSA ACCADE ALLE MOLECOLE BIOLOGICHE QUANDO INTERAGISCONO CON I CAMPI ELETTROMAGNETICI ANCHE QUELLI A BASSA FREQUENZA (EX ONDE RADIO ed ELF)? Interagendo le nostre molecole biologiche con queste radiazioni l’energia che assorbiamo, anche se parzialmente, si trasforma in calore e quindi quello che è il così detto riscaldamento dielettrico e maggiore sarà l’intensità del campo elettromagnetico a cui siamo esposti maggiori sarà il riscaldamento che subiscono le nostre macromolecole. E’ necessario quindi valutare attentamente quali possono essere gli effetti biologici è regolamentare questa esposizione per minimizzare gli eventuali danni per la popolazione. A tal proposito abbiamo diversi enti nazionali che si occupano di radio-protezionistica proprio per limitare i rischi sanitari consentendo un’esposizione solo nel momento in cui abbiamo un aumento contenuto della temperatura inferiore agli 0,1 C°. →Fa vedere quali possono essere gli effetti biologici che si hanno in seguito di un cellulare. E’ una termografia dove c’è decisamente un aumento termico in seguito all’esposizione. Aumento termico che non percepiamo ed è un guaio perché non vengono messi in atto meccanismi di compensazione. Non riusciamo con una vasodilatazione per cercare di perdere questo calore e oltretutto il riscaldamento se colpisce particolarmente irrorati magari il rischio è minore perché il calore si disperde più rapidamente, il problema è per quegli organi poco vascolarizzati e che quindi non riescono a disperdere il calore in maniera rapida ex. Cornea. Questo effetto termico lo possiamo spiegare perché l’effetto termico (decimi di C°), inferiore a quello determinato da una esposizione alla radiazione solare (però in questo caso percepiamo l’aumento di temperatura), è dato dall’effetto ondulatorio che subiscono le molecole d’acqua (noi siamo ricchi d’acqua) che sono dei dipoli quando sono attraversati dalla radiazione elettromagnetica. Queste molecole hanno movimenti ondulatori e questi determinano un riscaldamento. Un riscaldamento che recentemente ha fatto sì che si pronunziasse quella che è l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro
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