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Malavoglia, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

I Malavoglia (completo)

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

Caricato il 13/02/2013

catebotti
catebotti 🇮🇹

4.5

(73)

49 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Malavoglia e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Letteratura italiana Einaudi I Malavoglia di Giovanni Verga Edizione di riferimento: a cura di Salvatore Guglielmino, Principato, Milano 1985 Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia no il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’idea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un eguale forma- lismo per mascherare un’uniformità di sentimenti e d’idee. Perché la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giac- ché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e feb- brile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’in- sieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le contrad- dizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il ri- sultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorio universale, dalla ricerca del benessere materiale, alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove va- da questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il dirit- to di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani. 2Letteratura italiana Einaudi I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso sono altret- tanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avu- ta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere, per l’ambizione – dall’umile pescatore al nuovo arricchi- to – alla intrusa nelle alte classi – all’uomo dall’ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di domi- nare gli altri uomini; di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli ne- ga per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge – all’artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un’altra forma dell’ambizione. Chi os- serva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la sce- na nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappre- sentazione della realtà com’è stata, o come avrebbe do- vuto essere. Milano, 19 gennaio 1881 Giovanni Verga - I Malavoglia 3Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia CAPITOLO I Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non vole- va dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sem- pre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle te- gole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Ma- lavoglia di padron ‘Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla pa- ranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sul- la casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lava- toio; e padron ‘Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso – un pugno che sem- brava fatto di legno di noce – Per menare il remo biso- gna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro. Diceva pure: – Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito pic- colo deve far da dito piccolo. E la famigliuola di padron ‘Ntoni era realmente di- sposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città; e così grande e grosso com’era filava diritto alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto 4Letteratura italiana Einaudi Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un gruppo nella gola anch’esso, ed evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l’avesse con lei. Così se ne tor- narono ad Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastia- nazzo, che si era sbrigato in fretta dal disarmare la Prov- videnza, per andare ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a quel modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo di aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse subito a cacciarsi in cuci- na, quasi avesse furia di trovarsi a quattr’occhi colle vec- chie stoviglie, e padron ‘Ntoni disse al figliuolo: – Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più. Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Ca- stello per veder passare il convoglio dei coscritti che an- davano a Messina, e aspettarono più di un’ora, pigiati dalla folla, dietro lo stecconato. Finalmente giunse il tre- no, e si videro tutti quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno i buoi quando so- no condotti alla fiera. I canti, le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringi- mento di cuore che si aveva prima. – Addio ‘Ntoni! – Addio mamma! – Addio! ricorda- ti! ricordati! – Lì presso, sull’argine della via, c’era la Sa- ra di comare Tudda, a mietere l’erba pel vitello; ma co- mare Venera la Zuppidda andava soffiando che c’era venuta per salutare ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell’orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che ‘Ntoni salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla fal- ce in pugno a guardare finché il treno non si mosse. Alla Longa, l’era parso rubato a lei quel saluto; e molto tem- po dopo, ogni volta che incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le voltava le spalle. Poi il treno era partito fischiando e strepitando in Giovanni Verga - I Malavoglia 7Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i cu- riosi si furono dileguati, non rimasero che alcune don- nicciuole, e qualche povero diavolo, che si tenevano an- cora stretti ai pali dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco si sbrancarono anch’essi, e pa- dron ‘Ntoni, indovinando che la nuora dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesimi di acqua col limone. Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le andava dicendo: – Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque anni bisogna fare come se vostro fi- glio fosse morto, e non pensarci più. Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto ma- no alla Longa nell’apparecchiare il deschetto, o a propo- sito di certa ganza che ‘Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela, e quando si trattava di ser- rare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l’argano. Il non- no ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava – Qui ci vor- rebbe ‘Ntoni – oppure – Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, mentre ribatteva il pettine sul telaio – uno! due! tre! – pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era ri- masto sul cuore, in quel gran sbalordimento, e le pic- chiava ancora dentro il petto, – uno! due! tre! Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confortarsi, e per confortare gli altri: – Del resto volete che vel dica? Un po’ di soldato gli farà bene a quel ra- gazzo; ché il suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarsele a spasso la domenica, anziché servirsene a bu- scarsi il pane. Oppure: – Quando avrà provato il pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua. Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera di ‘Nto- ni, che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le 8Letteratura italiana Einaudi donne, in quelle parti là, scopavano le strade colle gon- nelle di seta, e che sul molo c’era il teatro di Pulcinella, e si vendevano delle pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano i signori, e senza soldi non ci si poteva stare, e non era come a Trezza, dove se non si andava all’osteria della Santuzza non si sapeva come spendere un baiocco. – Mandiamogli dei soldi per comperarsi le pizze, al go- loso! brontolava padron ‘Ntoni; già lui non ci ha colpa, è fatto così; è fatto come i merluzzi, che abboccherebbe- ro un chiodo arrugginito. Se non l’avessi tenuto a batte- simo su queste braccia, direi che don Giammaria gli ha messo in bocca dello zucchero invece di sale. La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio c’era anche Sara di comare Tudda, tornava a dire: – Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano apposta ‘Ntoni di padron ‘Ntoni per rubarselo; che non ne ave- vano visti mai dei cetriuoli laggiù! Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d’allora in poi le ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo». ‘Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l’avevano visto tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di coma- re Tudda lo faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San Michele Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati sul tappeto, e quella cortina sul capo, come quella della Madonna dell’Ognina, così bello, li- sciato e ripulito che non l’avrebbe riconosciuto più la mamma che l’aveva fatto; e la povera Longa non si sazia- va di guardare il tappeto e la cortina e quella colonna contro cui il suo ragazzo stava ritto impalato, grattando colla mano la spalliera di una bella poltrona; e ringrazia- va Dio e i santi che avevano messo il suo figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie. Ella teneva il ritratto sul canterano, sotto la campana del Buon Pastore – che gli diceva le avemarie – andava dicendo la Zuppidda, e si credeva di averci un tesoro sul canterano, mentre suor Giovanni Verga - I Malavoglia 9Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia verno, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe po- tuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della Locca. Bastiano intanto smoccolava la can- dela senza dir nulla. Così fu risoluto il negozio dei lupi- ni, e il viaggio della Provvidenza che era la più vecchia delle barche del villaggio, ma aveva il nome di buon au- gurio. Maruzza se ne sentiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si affac- cendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni co- sa pel viaggio, il pane fresco, l’orciolino coll’olio, le ci- polle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaffetta. Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con quell’usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva venduto la gatta nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch’è di patto non è d’ingan- no»; che l’anima lui non doveva darla ai porci! e Piedi- papera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli d’accordo, giurando e spergiurando che un caso simile non gli era capitato da che era vivo; e caccia- va le mani nel mucchio dei lupini e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testimoni. Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una proposta disperata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso rimminchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: – Là! pagateli a Natale, invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavolone? – E co- minciò ad insaccare: – In nome di Dio, e uno! La Provvidenza partì il sabato verso sera, e doveva es- ser suonata l’avemaria, sebbene la campana non si fosse udita, perché mastro Cirino il sagrestano era andato a portare un paio di stivaletti nuovi a don Silvestro il se- gretario; in quell’ora le ragazze facevano come uno stor- mo di passere attorno alla fontana, e la stella della sera era già bella e lucente, che pareva una lanterna appesa 12Letteratura italiana Einaudi all’antenna della Provvidenza. Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito sbrogliava la vela, e la Provvidenza si dondo- lava sulle onde rotte dai fariglioni come un’anitroccola. – «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare senza paura», diceva padron ‘Ntoni dalla riva, guardan- do verso la montagna tutta nera di nubi. Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. – Dice che i denari potete mandarli a sua ma- dre, la Locca, perché suo fratello è senza lavoro; aggiun- se Bastianazzo, e questa fu l’ultima sua parola che si udì. Giovanni Verga - I Malavoglia 13Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia CAPITOLO 2 Per tutto il paese non si parlava d’altro che del nego- zio dei lupini, e come la Longa se ne tornava a casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano sull’uscio per ve- derla passare. – Un affar d’oro! – vociava Piedipapera, arrancando colla gamba storta dietro a padron ‘Ntoni, il quale era andato a sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a pa- dron Fortunato Cipolla, e al fratello di Menico della Locca che stavano a prendere il fresco. – Lo zio Croci- fisso strillava come se gli strappassero le penne mastre, ma non bisogna badarci, perché delle penne ne ha mol- te, il vecchio. – Eh! s’è lavorato! potete dirlo anche voi, padron ‘Ntoni! – ma per padron ‘Ntoni ei si sarebbe buttato dall’alto del fariglione, com’è vero Iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bollivano più di duecento onze all’anno! Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso senza di lui. Il figlio della Locca udendo parlare delle ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero, perché era fratello della Locca, si sentiva gonfiare in pet- to una gran tenerezza pel parentado. – Noi siamo parenti, ripeteva. Quando vado a giorna- ta da lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti. Piedipapera sghignazzava. – Lo fa per tuo bene, per non farti ubbriacare, e per lasciarti più ricco quando creperà. Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di quello, come capitava; ma così di cuore, e senza ma- lizia, che non c’era verso di pigliarsela in criminale. – Massaro Filippo è passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, e aspetta che la Santuzza gli faccia segno di 14Letteratura italiana Einaudi qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie doganali; e anche don Silvestro, il segretario co- munale, tornando dalla vigna, si fermava un momento. Allora don Franco diceva, fregandosi le mani, che pa- reva un piccolo Parlamento, e andava a piantarsi dietro il banco, pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo che pareva si volesse mangiare qualcuno a colezione, e alle volte si lasciava scappare sottovoce del- le mezze parole dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gam- bette, e si vedeva che la sapeva più lunga degli altri, tan- to che don Giammaria non poteva patirlo e ci si mangiava il fegato, e gli sputava in faccia parole latine. Don Silvestro, lui, si divertiva a vedere come si guastava- no il sangue per raddrizzare le gambe ai cani, senza gua- dagnarci un centesimo; egli almeno non era arrabbiato come loro, e per questo, dicevano in paese, possedeva le più belle chiuse di Trezza, – dove era venuto senza scar- pe ai piedi – aggiungeva Piedipapera. Ei li aizzava l’un contro l’altro, e rideva a crepapancia con degli Ah! ah! ah! che sembrava una gallina. – Ecco don Silvestro che fa l’uovo, osservò il figlio della Locca. – Don Silvestro fa le uova d’oro, laggiù al Municipio, rispose Piedipapera. – Uhm! – sputò fuori padron Fortunato – pezzente- rie! comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuola. – Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova delle sue galline; rispose padron ‘Ntoni. E padron Cipolla disse di sì col capo. – «’Ntroi ‘ntroi, ciascuno coi pari suoi», aggiunse pa- dron Malavoglia. Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest’ora ci avrebbe la zappa in mano invece della penna. – Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? disse alfin padron Cipolla volgendosi a padron ‘Ntoni. Giovanni Verga - I Malavoglia 17Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – «Ognuno all’arte sua, e il lupo alle pecore». Padron Cipolla continuava a dir di sì col capo, tanto più che fra lui e padron ‘Ntoni c’era stata qualche paro- la di maritar la Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l’affare si sarebbe conchiuso presto. – «La ragazza com’è educata, e la stoppa com’è fila- ta», disse infin padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò che tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva saputo educarla la figliuola, e ognuno che passava per la stradicciuola a quell’ora udendo il colpettare del telaio di Sant’Agata diceva che l’olio della candela non lo perdeva, comare Maruzza. La Longa, com’era tornata a casa, aveva acceso il lu- me, e s’era messa coll’arcolaio sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l’ordito della settima- na. – Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al telaio notte e giorno, come Sant’Agata, dicevano le vicine. – Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispon- deva Maruzza, invece di stare alla finestra. «A donna al- la finestra non far festa». – Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dall’uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta. Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella stra- da c’era conversazione, si affacciò anch’essa sull’uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sac- co come un colabrodo, e pareva che l’avessero fatto ap- posta, come se ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene 18Letteratura italiana Einaudi avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunica- te! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant’oro, ed era morto di una pedata di compare Tino. – I gatti grigi so- no i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a sco- varli in una cruna di ago. – Ai gatti non conveniva aprire l’uscio di notte, perché una vecchia di Aci Sant’Antonio l’avevano ammazzata così, che i ladri le avevano rubato il gatto tre giorni avanti, e poi glielo avevano riportato mezzo morto di fame a miagolare dietro l’uscio; e la po- vera donna non sentendosi il cuore di lasciar la bestiola sulla strada a quell’ora, aveva aperto l’uscio, e così s’era ficcati i ladri in casa. Al giorno d’oggi i mariuoli ne in- ventano di ogni specie per fare i loro tiri; e a Trezza si vedevano delle facce che non si erano mai viste sugli scogli, col pretesto d’andare a pescare, e arraffavano la biancheria messa ad asciugare, se capitava. Alla povera Nunziata le avevano rubato in quel modo un lenzuolo nuovo. Povera ragazza! rubare a lei che lavorava per dar pane a tutti quei fratellini che suo padre le aveva lasciato sulle spalle, quando l’aveva piantata per andare a cercar fortuna ad Alessandria d’Egitto! – Nunziata era come la cugina Anna, quando l’era morto il marito, e le aveva la- sciato quella nidiata di figliuoli, che Rocco, il più grandi- cello, non le arrivava alle ginocchia. Poi alla cugina An- na le era toccato di tirar su quel fannullone per vederselo rubare dalla Mangiacarrubbe. In mezzo a quel chiacchierio saltò su la Zuppidda, la moglie di mastro Turi il calafato, la quale stava in fondo alla straduccia, e compariva sempre all’improvviso, per dire la sua come il diavolo nella litania, ché nessuno s’ac- corgeva di dove fosse sbucata. – Del resto, venne a brontolare, vostro figlio Rocco non vi ha aiutata neppur lui, ché se si è buscato un soldo è andato subito a berlo all’osteria. La Zuppidda sapeva tutto quello che succedeva in Giovanni Verga - I Malavoglia 19Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – Ho fatto tardi con comare Anna al lavatoio, e poi non ci avevo legna per il focolare. La ragazzina accese il lume, e si mise lesta lesta ad ap- parecchiare ogni cosa per la cena, mentre i suoi fratellini le andavano dietro per la stanzuccia, che pareva una chioccia coi suoi pulcini. Alessi s’era scaricato del suo fascio, e stava a guardare dall’uscio, serio serio, e colle mani nelle tasche. – O Nunziata! le gridò Mena dal ballatoio; quando avrai messo la pentola a bollire, vieni un po’ qua. Nunziata lasciò Alessi a custodire il focolare, e corse ad appollaiarsi sul ballatoio, accanto alla sant’Agata, per godersi il suo riposo anche lei, colle mani in mano. – Compar Alfio Mosca sta facendo cuocere le fave; osservò la Nunziata dopo un po’. – Egli è come te, poveraccio! che non avete nessuno in casa che vi faccia trovare la minestra alla sera, quando tornate stanchi. – Sì, è vero, e sa pure cucire e si fa il bucato da sé, e si rattoppa le camicie – la Nunziata sapeva ogni cosa che faceva il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della mano; – Adesso, diceva, va a prender la le- gna; ora sta governando il suo asino – e si vedeva il lume nel cortile, e sotto la tettoia. Sant’Agata rideva, e la Nunziata diceva che per essere preciso come una donna a compare Alfio gli mancava soltanto la gonnella. – Così, conchiudeva Mena, quando si mariterà, sua moglie andrà attorno col carro dell’asino, e lui resterà in casa ad allevare i figliuoli. Le mamme, in crocchio nella strada, discorrevano an- ch’esse di Alfio Mosca, che fino la Vespa giurava di non averlo voluto per marito, diceva la Zuppidda, perché la Vespa aveva la sua brava chiusa, e se voleva maritarsi non prendeva uno il quale non possedeva altro che un carro da asino: «carro cataletto» dice il proverbio. Ella ha gettato gli occhi su di suo zio Campana di legno, la furbaccia! 22Letteratura italiana Einaudi Le ragazze fra di loro prendevano le parti di Mosca, contro quella brutta Vespaccia; e la Nunziata poi si sen- tiva il cuore gonfio dal disprezzo che gettavano su di compare Alfio, pel solo motivo che era povero, e non aveva nessuno al mondo, e tutto a un tratto disse a Me- na: – Se fossi grande io me lo piglierei, se me lo dessero. La Mena stava per dire anche lei qualche cosa; ma cambiò subito discorso. – Che ci vai tu alla città, per la festa dei Morti? – No, non ci vado perché non posso lasciar la casa so- la. – Noi ci andremo, se il negozio dei lupini va bene; l’ha detto il nonno. Poi ci pensò su, e soggiunse: – Compar Alfio ci suole andare anche lui, a vendere le sue noci. E tacquero entrambe, pensando alla festa dei Morti, dove compar Alfio andava a vendere le sue noci. – Lo zio Crocifisso, con quell’aria di Peppinino se la mette in tasca la Vespa! ripigliava la cugina Anna. – Questo vorrebbe lei! rispose di botto la Zuppidda, la Vespa non vorrebbe altro, che se la mettesse in tasca! Ella gli è sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i buoni bocconi, e il vecchio non dice di no, tanto più che non gli costa nulla. Ella lo ingrassa come un maiale, quando gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole entrargli in tasca! Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso, il quale piagnucolava sempre, e si lamentava come Cristo in mezzo ai ladroni, e intanto aveva denari a palate, ché la Zuppidda, un giorno che il vecchio era malato, aveva vi- sta una cassa grande così sotto il letto. La Longa si sentiva sullo stomaco il debito delle qua- rant’onze dei lupini, e cambiò discorso, perché le orec- chie ci sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discorrere con don Giammaria, mentre passavano per la Giovanni Verga - I Malavoglia 23Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia piazza, lì vicino, tanto che la Zuppidda interruppe i vi- tuperi che stava dicendo di lui per salutarlo. Don Silvestro rideva come una gallina, e quel modo di ridere faceva montare la mosca al naso allo speziale, il quale per altro di pazienza non ne aveva mai avuta, e la lasciava agli asini e a quelli che non volevano fare la rivo- luzione un’altra volta. – Già, voi non ne avete mai avuta, perché non sapre- ste dove metterla! gli gridava don Giammaria; e don Franco, ch’era piccino, ci si arrabbiava e accompagnava il prete con parolacce che si sentivano da un capo all’al- tro della piazza, allo scuro. Campana di legno, duro co- me un sasso, si stringeva nelle spalle, e badava ripetere che a lui non gliene importava, e attendeva ai fatti suoi. – Come se non fossero fatti vostri quelli della Confrater- nita della Buona Morte, che nessuno paga più un soldo! gli diceva don Giammaria. – La gente, quando si tratta di cavare i denari di tasca, diventa una manica di prote- stanti, peggio dello speziale, e vi lascia tenere la cassa della Confraternita per farvi ballare i sorci, che è una ve- ra porcheria! Don Franco dalla sua bottega sghignazzava alle loro spalle a voce alta, cercando d’imitare la risata di don Sil- vestro che faceva andare in bestia la gente. Ma lo spezia- le era della setta, e si sapeva; e don Giammaria gli grida- va dalla piazza: – I denari li trovereste, se si trattasse di scuole e di lampioni! Lo speziale stette zitto, perché si era affacciata sua moglie alla finestra; e lo zio Crocifisso, quando fu abba- stanza lontano da non temere che l’udisse don Silvestro il segretario, il quale si beccava anche quel po’ di stipen- dio di maestro elementare: – A me non me ne importa – ripeteva – Ma ai miei tempi non c’erano tanti lampioni, né tante scuole; non si faceva bere l’asino per forza, e si stava meglio. 24Letteratura italiana Einaudi Padron ‘Ntoni si fece la croce e rispose: – Pace ai vivi e riposo ai morti. – Don Giammaria ha i vermicelli fritti per la cena sta- sera; osservò Piedipapera fiutando verso le finestre della parrocchia. Don Giammaria, passando lì vicino per andare a casa, salutò anche Piedipapera, perché ai tempi che corrono bisogna tenersi amici quelle buone lane; e compare Ti- no, che aveva tuttora l’acquolina in bocca, gli gridò die- tro: – Eh! vermicelli fritti stasera, don Giammaria! – Lo sentite! anche quello che mangio! borbottava don Giammaria fra i denti; fanno anche la spia ai servi di Dio per contar loro i bocconi! Tutto in odio alla chie- sa! – e incontrandosi naso a naso con don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, il quale andava attor- no colla pistola sullo stomaco, e i calzoni dentro gli sti- vali, in cerca di contrabbandieri: – A questi altri non glielo fanno il conto di quel che mangiano. – Questi qui mi piacciono! rispondeva Campana di legno: questi qui che stanno a guardia della roba dei ga- lantuomini mi piacciono! – Se gli dessero l’imbeccata sarebbe della setta anche lui! diceva fra di sé don Giammaria picchiando all’uscio di casa. Tutti una manica di ladri! e continuò a borbot- tare, col picchiatoio in mano, seguendo con occhio so- spettoso i passi del brigadiere che si dileguavano nel buio, verso l’osteria, e rimuginando perché andasse a guardarli dalla parte dell’osteria gl’interessi dei galan- tuomini colui! Però compare Tino lo sapeva perché don Michele an- dasse a guardare gl’interessi dei galantuomini dalla parte dell’osteria, ché ci aveva perso delle notti a stare in ag- guato dietro l’olmo lì vicino per scoprirlo; e soleva dire: – Ci va per confabulare di nascosto con lo zio Santo- ro, il padre della Santuzza. Quelli che mangiano il pane Giovanni Verga - I Malavoglia 27Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia del re devono tutti far gli sbirri, e sapere i fatti di ognu- no a Trezza e dappertutto, e lo zio Santoro, così cieco com’è, che sembra un pipistrello al sole, sulla porta dell’osteria, sa tutto quello che succede in paese, e po- trebbe chiamarci per nome ad uno ad uno soltanto a sentirci camminare. Ei non ci sente solo quando massa- ro Filippo va a recitare il rosario colla Santuzza, ed è un tesoro per fare la guardia, meglio di come se gli avessero messo un fazzoletto sugli occhi. Maruzza udendo suonare un’ora di notte era rientrata in casa lesta lesta, per stendere la tovaglia sul deschetto; le comari a poco a poco si erano diradate, e come il pae- se stesso andava addormentandosi, si udiva il mare che russava lì vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto sbuffava, come uno che si volti e rivolti pel letto. Soltan- to laggiù all’osteria, dove si vedeva il lumicino rosso, continuava il baccano, e si udiva il vociare di Rocco Spa- tu il quale faceva festa tutti i giorni. – Compare Rocco ha il cuore contento, disse dopo un pezzetto dalla sua finestra Alfio Mosca, che pareva non ci fosse più nessuno. – Oh siete ancora là, compare Alfio! rispose Mena, la quale era rimasta sul ballatoio ad aspettare il nonno. – Sì, sono qua, comare Mena; sto qua a mangiarmi la minestra; perché quando vi vedo tutti a tavola, col lume, mi pare di non esser tanto solo, che va via anche l’appe- tito. – Non ce l’avete il cuore contento voi? – Eh! ci vogliono tante cose per avere il cuore conten- to! Mena non rispose nulla, e dopo un altro po’ di silen- zio compare Alfio soggiunse: – Domani vado alla città per un carico di sale. – Che ci andate poi per i Morti? domandò Mena. – Dio lo sa, quest’anno quelle quattro noci son tutte fradicie. 28Letteratura italiana Einaudi – Compare Alfio ci va per cercarsi la moglie alla città, rispose la Nunziata dall’uscio dirimpetto. – Che è vero? domandò Mena. – Eh, comare Mena, se non dovessi far altro, al mio paese ce n’è delle ragazze come dico io, senza andare a cercarle lontano. – Guardate quante stelle che ammiccano lassù! rispo- se Mena dopo un pezzetto. Ei dicono che sono le anime del Purgatorio che se ne vanno in Paradiso. – Sentite, le disse Alfio dopo che ebbe guardate le stelle anche lui; voi che siete sant’Agata, se vi sognate un terno buono, ditelo a me, che ci giuocherò la camicia, e allora potrò pensarci a prender moglie… – Buona sera! rispose Mena. Le stelle ammiccavano più forte, quasi s’accendesse- ro, e i tre re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce, come Sant’Andrea. Il mare russava in fondo alla stradicciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore di qualche carro che passava nel buio, sobbal- zando sui sassi, e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sem- pre, giorno e notte, non arriverebbe mai, e c’era pure della gente che andava pel mondo a quell’ora, e non sa- peva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti; – così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno. Il nonno s’affacciò ancora due o tre volte sul balla- toio, prima di chiudere l’uscio, a guardare le stelle che luccicavano più del dovere, e poi borbottò: – «Mare amaro!». Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell’osteria davanti al lumicino. – «Chi ha il cuor contento sempre canta» conchiuse padron ‘Ntoni. Giovanni Verga - I Malavoglia 29Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – Oggi, andava dicendo Piedipapera, padron ‘Ntoni vuol fare il protestante come don Franco lo speziale. – Se fai di voltarti per guardare quello sfacciato di don Silvestro, ti dò un ceffone qui dove siamo; borbot- tava la Zuppidda colla figliuola, mentre attraversavano la piazza. – Quello lì non mi piace. La Santuzza, all’ultimo tocco di campana, aveva affi- data l’osteria a suo padre, e se n’era andata in chiesa, ti- randosi dietro gli avventori. Lo zio Santoro, poveretto, era cieco, e non faceva peccato se non andava a messa; così non perdevano tempo all’osteria, e dall’uscio pote- va tener d’occhio il banco, sebbene non ci vedesse, ché gli avventori li conosceva tutti ad uno ad uno soltanto al sentirli camminare, quando venivano a bere un bic- chiere. – Le calze della Santuzza, osservava Piedipapera, mentre ella camminava sulla punta delle scarpette, come una gattina – le calze della Santuzza, acqua o vento, non le ha viste altri che massaro Filippo l’ortolano; questa è la verità. – Ci sono i diavoli per aria! diceva la Santuzza facen- dosi la croce coll’acqua santa. – Una giornata da far pec- cati! La Zuppidda, lì vicino, abburattava avemarie, seduta sulle calcagna, e saettava occhiatacce di qua e di là, che pareva ce l’avesse con tutto il paese, e a quelli che vole- vano sentirla ripeteva: – Comare la Longa non ci viene in chiesa, eppure ci ha il marito in mare con questo tem- paccio! Poi non bisogna stare a cercare perché il Signo- re ci castiga! – Persino la madre di Menico stava in chie- sa, sebbene non sapesse far altro che veder volare le mosche! – Bisogna pregare anche pei peccatori; rispondeva la Santuzza; le anime buone ci sono per questo. – Sì, come se ne sta pregando la Mangiacarrubbe, col naso dentro la mantellina, e Dio sa che peccatacci fa fare ai giovanotti! 32Letteratura italiana Einaudi La Santuzza scuoteva il capo, e diceva che mentre si è in chiesa non bisogna sparlare del prossimo – «Chi fa l’oste deve far buon viso a tutti», rispose la Zuppidda, e poi all’orecchio della Vespa: – La Santuzza non vorreb- be si dicesse che vende l’acqua per vino; ma farebbe me- glio a non tenere in peccato mortale massaro Filippo l’ortolano, che ha moglie e figliuoli. – Per me, rispose la Vespa, gliel’ho detto a don Giam- maria, che non voglio più starci fra le Figlie di Maria se ci lasciano la Santuzza per superiora. – Allora vuol dire che l’avete trovato il marito? rispo- se la Zuppidda. – Io non l’ho trovato il marito, saltò su la Vespa con tanto di pungiglione. Io non sono come quelle che si ti- rano dietro gli uomini anche in chiesa, colle scarpe ver- niciate, e quelli altri colla pancia grossa. Quello della pancia grossa era Brasi, il figlio di pa- dron Cipolla, il quale era il cucco delle mamme e delle ragazze, perché possedeva vigne ed oliveti. – Va a vedere se la paranza è bene ammarrata; gli dis- se suo padre facendosi la croce. Ciascuno non poteva a meno di pensare che quell’ac- qua e quel vento erano tutt’oro per i Cipolla; così vanno le cose di questo mondo, che i Cipolla, adesso che ave- vano la paranza bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca; mentre i Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i capelli, per quel carico di lupi- ni che avevano preso a credenza dallo zio Crocifisso Campana di legno. – Volete che ve la dica? saltò su la Vespa; la vera di- sgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza. «Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno». Lo zio Crocifisso se ne stava ginocchioni a piè dell’al- tare dell’Addolorata, con tanto di rosario in mano, e in- tuonava le strofette con una voce di naso che avrebbe Giovanni Verga - I Malavoglia 33Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia toccato il cuore a satanasso in persona. Fra un’avemaria e l’altra si parlava del negozio dei lupini, e della Provvi- denza che era in mare, e della Longa che rimaneva con cinque figliuoli. – Al giorno d’oggi, disse padron Cipol- la, stringendosi nelle spalle, nessuno è contento del suo stato e vuol pigliare il cielo a pugni. – Il fatto è, conchiuse compare Zuppiddu, che sarà una brutta giornata pei Malavoglia. – Per me, aggiunse Piedipapera, non vorrei trovarmi nella camicia di compare Bastianazzo. La sera scese triste e fredda; di tanto in tanto soffiava un buffo di tramontana, e faceva piovere una spruzzati- na d’acqua fina e cheta: una di quelle sere in cui, quan- do si ha la barca al sicuro, colla pancia all’asciutto sulla sabbia, si gode a vedersi fumare la pentola dinanzi, col marmocchio fra le gambe, e sentire le ciabatte della don- na per la casa, dietro le spalle. I fannulloni preferivano godersi all’osteria quella domenica che prometteva di durare anche il lunedì, e fin gli stipiti erano allegri della fiamma del focolare, tanto che lo zio Santoro, messo lì fuori colla mano stesa e il mento sui ginocchi, s’era tira- to un po’ in qua, per scaldarsi la schiena anche lui. – E’ sta meglio di compare Bastianazzo, a quest’ora! ripeteva Rocco Spatu, accendendo la pipa sull’uscio. E senza pensarci altro mise mano al taschino, e si la- sciò andare a fare due centesimi di limosina. – Tu ci perdi la tua limosina a ringraziare Dio che sei al sicuro, gli disse Piedipapera; per te non c’è pericolo che abbi a fare la fine di compare Bastianazzo. Tutti si misero a ridere della barzelletta, e poi stettero a guardare dall’uscio il mare nero come la sciara, senza dir altro. – Padron ‘Ntoni è andato tutto il giorno di qua e di là, come avesse il male della tarantola, e lo speziale gli domandava se faceva la cura del ferro, o andasse a spas- so con quel tempaccio, e gli diceva pure: – Bella Provvi- 34Letteratura italiana Einaudi CAPITOLO 4 Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo zio Crocifisso non si contentava di «buone parole e mele fradicie», per questo lo chiamavano Campana di legno, perché non ci sentiva di quell’orecchio, quando lo volevano pagare con delle chiacchiere, e’ diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli era un buon diavolac- cio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato al muro della chie- sa, con quel giubbone tutto lacero che non gli avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza sen- za pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno» a patto di averli restituiti la domenica, d’argento e colle colonne, che ci era un carlino dippiù, com’era giusto, perché «coll’interesse non c’è amicizia». Comprava anche la pe- sca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero diavolo che l’aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pesargliela colle sue bilancie, le quali era- no false come Giuda, dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l’altro corto, co- me san Francesco; e anticipava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e prendeva soltanto il denaro anti- cipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in questo mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio. Insomma era la provvidenza per quelli che erano in angustie, e aveva anche inventato cento modi di render servigio al prossimo, e senza essere uomo di mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne ave- vano, e li prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della barca, che contava come Giovanni Verga - I Malavoglia 37Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se voleva- no prestati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo – e quando gli dicevano perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che si pappava il meglio della pesca senza pericolo, risponde- va: – Bravo! e se in mare mi capita una disgrazia, Dio li- beri, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli affari miei? – Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe prestato anche la camicia; ma poi voleva esser pagato, senza tanti cristi; ed era inutile stargli a contare ragioni, perché era sordo, e per di più era scarso di cervello, e non sapeva dir altro che «Quel che è di patto non è d’inganno», oppure «Al giorno che promise si conosce il buon pagatore». Ora i suoi nemici gli ridevano sotto il naso, a motivo di quei lupini che se l’era mangiati il diavolo; e gli tocca- va anche recitare il deprofundis per l’anima di Bastianaz- zo, quando si facevano le esequie, insieme con gli altri confratelli della Buona Morte, colla testa nel sacco. I vetri della chiesetta scintillavano, e il mare era liscio e lucente, talché non pareva più quello che gli aveva ru- bato il marito alla Longa; perciò i confratelli avevano fretta di spicciarsi, e di andarsene ognuno pei propri af- fari, ora che il tempo s’era rimesso al buono. Stavolta i Malavoglia erano là, seduti sulle calcagna, davanti al cataletto, e lavavano il pavimento dal gran piangere, come se il morto fosse davvero fra quelle quat- tro tavole, coi suoi lupini al collo, che lo zio Crocifisso gli aveva dati a credenza, perché aveva sempre conosciu- to padron ‘Ntoni per galantuomo; ma se volevano truf- fargli la sua roba, col pretesto che Bastianazzo s’era an- negato, la truffavano a Cristo, com’è vero Dio! ché quello era un credito sacrosanto come l’ostia consacrata, e quelle cinquecento lire ei l’appendeva ai piedi di Gesù crocifisso; ma santo diavolone! padron ‘Ntoni sarebbe andato in galera! La legge c’era anche a Trezza! 38Letteratura italiana Einaudi Intanto don Giammaria buttava in fretta quattro col- pi d’aspersorio sul cataletto, e mastro Cirino cominciava ad andare attorno per spegnere i lumi colla canna. I con- fratelli si affrettavano a scavalcare i banchi colle braccia in aria, per cavarsi il cappuccio, e lo zio Crocifisso andò a dare una presa di tabacco a padron ‘Ntoni, per fargli animo, che infine quando uno è galantuomo lascia buon nome e si guadagna il paradiso, – questo aveva detto a coloro che gli domandavano dei suoi lupini: – Coi Mala- voglia sto tranquillo perché son galantuomini e non vor- ranno lasciar compare Bastianazzo a casa del diavolo; padron ‘Ntoni poteva vedere coi suoi propri occhi se si erano fatte le cose senza risparmio, in onore del morto; e tanto costava la messa, tanto i ceri, e tanto il mortorio; – ei faceva il conto sulle grosse dita ficcate nei guanti di cotone, e i ragazzi guardavano a bocca aperta tutte quel- le cose che costavano caro, ed erano lì pel babbo: il cata- letto, i ceri, i fiori di carta; e la bambina, vedendo la lu- minaria, e udendo suonar l’organo, si mise a galloriare. La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice: «triste quella casa dove ci è la visita pel marito!» Ognuno che passava, al vedere sull’uscio quei piccoli Malavoglia col viso sudicio e le mani nelle tasche, scrol- lava il capo e diceva: – Povera comare Maruzza! ora cominciano i guai per la sua casa! Gli amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e ogni ben di Dio, che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio Mosca era venuto con una gallina per mano. – Prendete queste qua, gnà Mena, diceva, che avrei voluto trovar- mici io al posto di vostro padre, vi giuro. Almeno non avrei fatto danno a nessuno, e nessuno avrebbe pianto. La Mena, appoggiata alla porta della cucina, colla fac- cia nel grembiale, si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli voleva scappare dal petto, come quelle povere bestie che Giovanni Verga - I Malavoglia 39Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia vere, e nessuno si maritava più. – O a donna Rosolina cosa gliene importa oramai? susurrava Piedipapera. Donna Rosolina intanto raccontava a don Silvestro le grosse faccende che ci aveva per le mani: dieci canne di ordito sul telaio, i legumi da seccare per l’inverno, la conserva dei pomidoro da fare, che lei ci aveva un segre- to tutto suo per avere la conserva dei pomidoro fresca tutto l’inverno. – Una casa senza donna non poteva an- dare; ma la donna bisognava che avesse il giudizio nelle mani, come s’intendeva lei; e non fosse di quelle fra- schette che pensano a lisciarsi e nient’altro, «coi capelli lunghi e il cervello corto», ché allora un povero marito se ne va sott’acqua come compare Bastianazzo, buon’anima. – Beato lui! sospirava la Santuzza, è morto in un giorno segnalato, la vigilia dei Dolori di Maria Vergine, e prega lassù per noi peccatori, fra gli angeli e i santi del paradiso. «A chi vuol bene Dio manda pene». Egli era un bravo uomo, di quelli che badano ai fatti lo- ro, e non a dir male di questo e di quello, e peccare con- tro il prossimo, come tanti ce ne sono. Maruzza allora, seduta ai piedi del letto, pallida e di- sfatta come un cencio messo al bucato, che pareva la Madonna Addolorata, si metteva a piangere più forte, col viso nel guanciale, e padron ‘Ntoni, piegato in due, più vecchio di cent’anni, la guardava, e la guardava, scrollando il capo, e non sapeva che dire, per quella grossa spina di Bastianazzo che ci aveva in cuore, come se lo rosicasse un pescecane. – La Santuzza ci ha il miele in bocca! osservava coma- re Grazia Piedipapera. – Per fare l’ostessa, rispose la Zuppidda, e’ s’ha ad es- sere così. «Chi non sa l’arte chiuda bottega, e chi non sa nuotare che si anneghi». La Zuppidda ne aveva le tasche piene di quel fare me- lato della Santuzza, che persino la Signora si voltava a discorrere con lei, colla bocca stretta, senza badare agli 42Letteratura italiana Einaudi altri, con que’ guanti che pareva avesse paura di spor- carsi le mani, e stava col naso arricciato, come se tutte le altre puzzassero peggio delle sardelle, mentre chi puzza- va davvero era la Santuzza, di vino e di tante altre por- cherie, con tutto l’abitino color pulce che aveva indosso, e la medaglia di Figlia di Maria sul petto prepotente, che non voleva starci. Già se la intendevano fra di loro per- ché l’arte è parentela, e facevano denari allo stesso mo- do, gabbando il prossimo, e vendendo l’acqua sporca a peso d’oro, e se ne infischiavano delle tasse coloro! – Metteranno pure la tassa sul sale! aggiunse compare Mangiacarrubbe. L’ha detto lo speziale che è stampato nel giornale. Allora di acciughe salate non se ne faranno più, e le barche potremo bruciarle nel focolare. Mastro Turi il calafato stava per levare il pugno e in- cominciare: – Benedetto Dio! -; ma guardò sua moglie e si tacque mangiandosi fra i denti quel che voleva dire. – Colla malannata che si prepara, aggiunse padron Cipolla, che non pioveva da santa Chiara, e se non fosse stato per l’ultimo temporale in cui si è persa la Provvi- denza, che è stata una vera grazia di Dio, la fame quest’inverno si sarebbe tagliata col coltello! Ognuno raccontava i suoi guai, anche per conforto dei Malavoglia, che non erano poi i soli ad averne. «Il mondo è pieno di guai, chi ne ha pochi e chi ne ha as- sai», e quelli che stavano fuori nel cortile guardavano il cielo, perché un’altra pioggerella ci sarebbe voluta come il pane. Padron Cipolla lo sapeva lui perché non pioveva più come prima. – Non piove più perché hanno messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la piog- gia, e se la porta via. – Compare Mangiacarrubbe allora, e Tino Piedipapera rimasero a bocca aperta, perché giu- sto sulla strada di Trezza c’erano i pali del telegrafo; ma siccome don Silvestro cominciava a ridere, e a fare ah! ah! ah! come una gallina, padron Cipolla si alzò dal mu- ricciuolo infuriato e se la prese con gli ignoranti, che Giovanni Verga - I Malavoglia 43Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia avevano le orecchie lunghe come gli asini. – Che non lo sapevano che il telegrafo portava le notizie da un luogo all’altro; questo succedeva perché dentro il filo ci era un certo succo come nel tralcio della vite, e allo stesso mo- do si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lonta- no, dove ce n’era più di bisogno; potevano andare a do- mandarlo allo speziale che l’aveva detta; e per questo ci avevano messa la legge che chi rompe il filo del telegrafo va in prigione. Allora anche don Silvestro non seppe più che dire, e si mise la lingua in tasca. – Santi del Paradiso! si avrebbero a tagliarli tutti quei pali del telegrafo, e buttarli nel fuoco! incominciò com- pare Zuppiddu, ma nessuno gli dava retta, e guardavano nell’orto, per mutar discorso. – Un bel pezzo di terra! diceva compare Mangiacar- rubbe; quando è ben coltivato dà la minestra per tutto l’anno. La casa dei Malavoglia era sempre stata una delle pri- me a Trezza; ma adesso colla morte di Bastianazzo, e ‘Ntoni soldato, e Mena da maritare, e tutti quei mangia- pane pei piedi, era una casa che faceva acqua da tutte le parti. Infine cosa poteva valere la casa? Ognuno allungava il collo sul muro dell’orto, e ci dava una occhiata, per sti- marla così a colpo. Don Silvestro sapeva meglio di ogni altro come andassero le cose, perché le carte le aveva lui, alla segreteria di Aci Castello. – Volete scommettere dodici tarì che non è tutt’oro quello che luccica, andava dicendo; e mostrava ad ognu- no il pezzo da cinque lire nuovo. Ei sapeva che sulla casa c’era un censo di cinque tarì all’anno. Allora si misero a fare il conto sulle dita di quel che avrebbe potuto vendersi la casa, coll’orto, e tutto. – Né la casa né la barca si possono vendere perché ci è su la dote di Maruzza, diceva qualchedun altro, e la gente si scaldava tanto che potevano udirli dalla camera 44Letteratura italiana Einaudi gna, gli diceva: – Questo ti terrà caldo, quando verrai a lavorare; perché adesso bisogna aiutarci tutti per pagare il debito dei lupini. Maruzza si tappava le orecchie colle mani per non sentire la Locca che si era appollaiata sul ballatoio, die- tro l’uscio, e strillava dalla mattina, con quella voce fessa di pazza, e pretendeva che le restituissero loro il suo fi- gliuolo, e non voleva sentir ragione. – Fa così perché ha fame, disse infine la cugina Anna; adesso lo zio Crocifisso ce l’ha con tutti loro per quell’affare dei lupini, e non vuol darle più nulla. Ora vo a portarle qualche cosa, e allora se ne andrà. La cugina Anna, poveretta, aveva lasciato la sua tela e le sue ragazze per venire a dare una mano a comare Ma- ruzza, la quale era come se fosse malata, e se l’avessero lasciata sola non avrebbe pensato più ad accendere il fuoco, e a mettere la pentola, che sarebbero tutti morti di fame. «I vicini devono fare come le tegole del tetto, a darsi l’acqua l’un l’altro». Intanto quei ragazzi avevano le labbra pallide dalla fame. La Nunziata aiutava anche lei, e Alessi, col viso sudicio dal gran piangere che aveva fatto vedendo piangere la mamma, teneva a bada i picci- ni, perché non le stessero sempre fra i piedi, come una nidiata di pulcini, ché la Nunziata voleva averle libere le mani, lei. – Tu sai il fatto tuo! le diceva la cugina Anna; e la tua dote ce l’hai nelle mani, quando sarai grande. Giovanni Verga - I Malavoglia 47Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia CAPITOLO 5 La Mena non sapeva nulla che volessero maritarla con Brasi di padron Cipolla per far passare la doglia alla mamma, e il primo che glielo disse, qualche tempo do- po, fu compare Alfio Mosca, dinanzi al rastrello dell’or- to, che tornava allora da Aci Castello col suo carro tirato dall’asino. Mena rispondeva: – Non è vero, non è vero – ma si confondeva, e mentre egli andava spiegando il co- me e il quando l’aveva sentito dire dalla Vespa, in casa dello zio Crocifisso, tutt’a un tratto si fece rossa rossa. Anche compare Mosca aveva un’aria stralunata, e ve- dendo in quel modo la ragazza, con quel fazzoletto nero che ci aveva al collo, se la prendeva coi bottoni del far- setto, si dondolava ora su di un piede ed ora su di un al- tro, e avrebbe pagato qualche cosa per andarsene. – Sentite, io non ci ho colpa, l’ho sentito dire nel cortile di Campana di legno, mentre stavo spaccando il carrubbo che fu schiantato dal temporale di Santa Chiara, vi ram- mentate? adesso lo zio Crocifisso mi fa fare le faccende di casa, perché non vuol più sentir parlare del figlio del- la Locca, dopo che l’altro fratello gli fece quel servizio che sapete col carico dei lupini. La Mena teneva in ma- no il nottolino del rastrello, ma non si risolveva ad apri- re. – E poi, se non è vero, perché vi fate rossa? Ella non lo sapeva, in coscienza, e girava e rigirava il nottolino. Quel cristiano lo conosceva soltanto di vista, e non sape- va altro. Alfio le andava snocciolando la litania di tutte le ricchezze di Brasi Cipolla, il quale, dopo compare Na- so il beccaio, passava pel più grosso partito del paese, e le ragazze se lo mangiavano cogli occhi. La Mena stava ad ascoltare con tanto d’occhi anche lei, e all’improvviso lo piantò con un bel saluto, e se ne entrò nell’orto. Alfio, tutto infuriato, corse a lagnarsi colla Vespa che gli dava a bere di tali bugie, per farlo litigare colla gente. 48Letteratura italiana Einaudi – A me l’ha detto lo zio Crocifisso; rispose la Vespa. Io non ne dico bugie! – Bugie! bugie! borbottò lo zio Crocifisso. Io non vo- glio dannarmi l’anima per coloro! L’ho sentito dire con queste orecchie. Ho sentito pure che la Provvidenza è dotale, e che sulla casa c’è il censo di cinque tarì all’an- no. – Si vedrà! si vedrà! un giorno o l’altro si vedrà se ne dite o non ne dite delle bugie, – seguitava la Vespa, don- dolandosi appoggiata allo stipite, colle mani dietro la schiena, e intanto lo guardava cogli occhi ladri. – Voi al- tri uomini siete tutti di una pasta, e non c’è da fidarsi. Lo zio Crocifisso alle volte non ci sentiva, e invece di abboccar l’esca seguitò a saltar di palo in frasca, e a par- lare dei Malavoglia che badavano a maritarsi, ma a quel discorso delle quarant’onze non ci pensavano neppure. – Eh! saltò su infine la Vespa, perdendo la pazienza, se dassero retta a voi, a maritarsi non ci penserebbe più nessuno! – A me non me ne importa che si maritino. Io voglio la roba mia. Ma del resto non me ne importa. – Se non ve ne importa a voi, c’è a chi gliene importa! sentite? Che non tutti pensano come voi, a rimandare le cose da oggi a domani! – E tu che fretta hai? – Pur troppo. Voi ci avete tempo, voi; ma se credete che gli altri vogliano far venire gli anni di San Giuseppe per maritarsi!… – L’annata è scarsa, diceva Campana di legno, e non è tempo di pensare a queste cose. La Vespa allora si appuntellò le mani sui fianchi, e sfoderò la lingua come un pungiglione. – Ora sentite, che questa voglio dirvela! Alla fin fine la mia roba ce l’ho, e grazie a Dio non sono in istato di dover mendicare un marito. O che credete? E se non fosse che mi avevate messo quella pulce nell’orecchio, Giovanni Verga - I Malavoglia 49Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia Ei non sapeva nulla; sapeva soltanto che il sangue suo era nelle mani di Dio. E i ragazzi dei Malavoglia non osavano giocare sul ballatoio quando egli passava da- vanti alla porta di Piedipapera. E se incontrava Alfio Mosca, col carro dell’asino, che gli faceva il berretto anche lui, colla faccia tosta, si senti- va bollire il sangue, per la gelosia della chiusa. – Mi uc- cella la nipote per portarmi via la chiusa! brontolava con Piedipapera. Un fannullone! che non sa far altro che an- dare attorno col carro dell’asino, e non possiede altro. Un morto di fame! Un birbante che le dà ad intendere d’essere innamorato del suo grugno di porco, a quella brutta strega di mia nipote, per amor della roba. E quando non aveva altro da fare andava a piantarsi davanti all’osteria della Santuzza, accanto allo zio Santo- ro, che sembrava un altro poverello come lui, e non ci andava per spendere un soldo di vino, ma si metteva a guaiolare come lo zio Santoro, tale quale come se chie- desse la limosina anch’esso; e gli diceva: – Sentite, com- pare Santoro, se vedete da queste parti mia nipote la Ve- spa, quando Alfio Mosca viene a portare il carico del vino a vostra figlia la Santuzza, state a vedere cosa fanno fra di loro; – e lo zio Santoro col rosario in mano e gli occhi spenti, gli diceva di sì, che non dubitasse, che era lì per questo, e non passava una mosca che ei non lo sa- pesse; tanto che sua figlia Mariangela gli diceva: – A voi cosa ve ne importa? perché state a mischiarvi nei fatti di Campana di legno? Già un soldo, che è un soldo, non lo spende all’osteria, e sta davanti all’uscio per niente. Però Alfio Mosca non ci pensava nemmeno alla Ve- spa, e se ci aveva qualcheduna per la testa, era piuttosto comare Mena di padron ‘Ntoni, che la vedeva ogni gior- no nel cortile o sul ballatoio, o allorché andava a gover- nare le bestie nel pollaio, e se udiva chiocciare le due galline che le aveva regalato si sentiva una certa cosa dentro di sé, e gli sembrava che ci stesse lui in persona 52Letteratura italiana Einaudi nel cortile del nespolo, e se non fosse stato un povero carrettiere dal carro dell’asino, avrebbe voluto chiedere in moglie la Sant’Agata, e portarsela via nel carro dell’asino. Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e dell’asino che portava quattro quintali me- glio di un mulo, povera bestia. Mena l’accarezzava colla mano, la povera bestia, ed Alfio sorrideva come se gliele facessero a lui quelle ca- rezze. – Ah! se il mio asino fosse vostro, comare Mena! – Mena crollava il capo e il seno le si gonfiava pensando che sarebbe stato meglio se i Malavoglia avessero fatto i carrettieri, ché il babbo non sarebbe morto a quel mo- do. – «Il mare è amaro, ripeteva, ed il marinaro muore in mare». Alfio che aveva fretta d’andare a scaricare il vino della Santuzza, non sapeva risolversi a partire, e rimaneva a chiacchierare della bella cosa che era il fare l’oste, un mestiere col quale si ha sempre il suo guadagno, e se au- menta il prezzo del mosto basta crescere l’acqua nei ba- rili. – Lo zio Santoro si è fatto ricco in tal modo, ed ora chiede l’elemosina per passatempo. – E voi ci guadagnate bene, coi carichi del vino? do- mandò la Mena. – Sì, nell’estate, quando si può andare anche di notte; allora mi busco una bella giornata. Questa povera bestia se lo guadagna il pane. Quando ci avrò messi da parte un po’ di soldi comprerò un mulo, e potrò tirarmi su a fare il carrettiere davvero, come compare Cinghialenta. La ragazza era tutta intenta a quello che diceva com- pare Alfio, e intanto l’ulivo grigio stormiva come se pio- vesse, e seminava la strada di foglioline secche accartoc- ciate. – Ecco che se ne viene l’inverno, e tutto ciò non si Giovanni Verga - I Malavoglia 53Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia potrà fare prima dell’estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi seguiva l’ombra delle nuvole che correva per i campi, come fosse l’ulivo grigio che si dileguasse; così correvano i pensieri della sua testa, e gli disse: – Sapete, compare Alfio, di quella storia del figlio di padron For- tunato Cipolla non ce n’è nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei lupini. – Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne andate dal vicinato. – Ora poi che torna ‘Ntoni da soldato, col nonno e tutti gli altri, ci aiuteremo per pagare il debito. La mam- ma ha preso della tela da tessere per la Signora. – Bel mestiere anche quello dello speziale! osservò Mosca. In questa spuntò nella viottola comare Venera Zup- pidda, col fuso in mano. – Oh! Dio! esclamò Mena, vien gente! e scappò dentro. Alfio frustò l’asino, e se ne voleva andare anche lui. – Oh compare Alfio, che fretta avete? gli disse la Zup- pidda; volevo domandarvi se il vino che portate alla Santuzza è della stessa botte di quello della settimana scorsa. – Io non lo so; il vino me lo danno nei barili. – Aceto da fare l’insalata! rispose la Zuppidda, un ve- ro veleno; così si è fatta ricca la Santuzza, e onde gabba- re il mondo si è messo sul petto l’abitino di Figlia di Ma- ria. Belle cose che copre quell’abitino! Al giorno d’oggi per andare avanti bisogna fare quel mestiere là; se no si va indietro al modo dei gamberi, come i Malavoglia. Ora hanno pescato la Provvidenza, lo sapete? – No, io non ci sono stato qui; ma comare Mena non sapeva nulla. – Hanno portato adesso la notizia, e padron ‘Ntoni è corso verso il Rotolo, per vederla che stanno rimor- chiandola verso il paese, e pareva che ci avesse le gambe nuove, il vecchio. Adesso colla Provvidenza i Malavoglia 54Letteratura italiana Einaudi che gli era morto il padre; Luca avrebbe fatto come lui, che s’era pianta la sua disgrazia laggiù dove si trovava, e avrebbe voluto non far più niente, quando gli recarono la notizia del babbo, se non fosse stato per quei cani di superiori. – Per me, disse Luca, ci vado volentieri a fare il solda- to, in cambio di ‘Ntoni. Così, come tornerà lui, potrete mettere in mare la Provvidenza, e non ci sarà più biso- gno di nessuno. – Questo è proprio un Malavoglia nato sputato! os- servava padron ‘Ntoni gongolante. Tutto suo padre Ba- stianazzo, che aveva un cuore grande come il mare, e buono come la misericordia di Dio. Una sera, dopo che tornarono le barche dal mare, pa- dron ‘Ntoni arrivò in casa trafelato, e disse: – C’è qui la lettera; me l’ha data or ora compare Cirino, mentre an- davo a portare le nasse in casa dei Pappafave. – La Lon- ga si fece bianca come un fazzoletto, dalla contentezza, e corsero tutti in cucina a veder la lettera. ‘Ntoni arrivò col berretto sull’orecchio, e la camicia colle stelle, che la mamma non sapeva saziarsi di toccar- gliela, e gli andava dietro in mezzo a tutti i parenti e gli amici, mentre tornavano dalla stazione; in un momento la casa e il cortile si riempirono di gente, come quando era morto Bastianazzo, tempo addietro, che nessuno ci pensava più. A certe cose ci pensano sempre soltanto i vecchi, quasi fosse stato ieri – tanto che la Locca era sempre lì davanti alla casa dei Malavoglia, seduta contro il muro, ad aspettare Menico, e voltava il capo di qua e di là per la straduccia, ad ogni passo che sentiva. Giovanni Verga - I Malavoglia 57Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia CAPITOLO 6 ‘Ntoni era arrivato in giorno di festa, e andava di por- ta in porta a salutare i vicini e i conoscenti, sicché tutti stavano a guardarlo dove passava; gli amici gli facevano codazzo, e le ragazze si affacciavano dalle finestre; ma la sola che non si vedesse era Sara di comare Tudda. – Se n’è andata ad Ognina con suo marito, gli disse la Santuzza. Ha sposato Menico Trinca, il quale era vedo- vo con sei figliuoli, ma è ricco come un maiale. Si è mari- tata che non era compiuto il mese dacché a Menico Trinca gli era morta la prima moglie, e il letto era ancora caldo, Dio liberi! – Uno che è vedovo è come uno che vada soldato, ag- giunse la Zuppidda. «Amore di soldato poco dura, a tocco di tamburo addio signora». E poi, s’era persa la Provvidenza. Comare Venera, la quale era alla stazione, quando era partito ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, per vedere se Sara di comare Tudda fosse andata a salutarlo, ché li aveva visti parlare dal muro della vigna, voleva godersi la faccia che avrebbe fatto ‘Ntoni a quella notizia. Ma era passato del tempo anche per cotesto, e si suol dire «lontan dagli oc- chi, lontan dal cuore». ‘Ntoni ora portava il berretto sull’orecchio. – Compare Menico vuol morire becco! disse egli per consolarsi, e questo le piacque, alla Man- giacarrubbe, che l’aveva chiamato «cetriolo» ed ora ve- deva che era un bel cetriolo, e l’avrebbe barattato volen- tieri con quel disutilaccio di Rocco Spatu, il quale non valeva niente, e l’aveva preso perché non c’era altri. – A me non mi piacciono quelle fraschette che fanno all’amore con due o tre per volta, disse la Mangiacarrub- be, tirandosi sul mento le cocche del fazzoletto da testa, e facendo la madonnina. Se volessi bene ad uno, non vorrei cambiarlo nemmeno per Vittorio Emanuele, o Garibaldi, vedete! 58Letteratura italiana Einaudi – Lo so a chi volete bene! disse ‘Ntoni col pugno sul fianco. – No che non lo sapete, compare ‘Ntoni, e vi hanno detto delle chiacchiere. Se qualche volta poi passate dal- la mia porta, vi racconterò ogni cosa. – Ora che la Mangiacarrubbe ha messo gli occhi ad- dosso a ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, la sarà una provviden- za per la cugina Anna, diceva comare Venera. ‘Ntoni se ne andò tutto borioso, dondolandosi sui fianchi, con un codazzo di amici, e avrebbe voluto che tutti i giorni fosse domenica, per menare a spasso la sua camicia colle stelle; quel dopopranzo si divertirono a prendersi a pugni con compare Pizzuto, il quale non aveva paura nemmeno di Dio, sebbene non avesse fatto il soldato, e andò a rotolare per terra davanti all’osteria, col naso in sangue; ma Rocco Spatu invece fu più forte, e si mise ‘Ntoni sotto i piedi. – Per la madonna! esclamarono quelli che stavano a vedere. Quel Rocco è forte come mastro Turi Zuppid- du. Se volesse lavorare se lo buscherebbe il pane! – Io le mie devozioni so dirmele con questo qui! dice- va Pizzuto mostrando il rasoio, per non darsi vinto. Insomma ‘Ntoni si divertì tutta la giornata; però la se- ra, mentre stavano attorno al desco a chiacchierare, e la mamma gli domandava di questo e di quello, e i ragazzi, mezzo addormentati, lo stavano a guardare con tanto d’occhi, e Mena gli toccava il berretto e la camicia colle stelle, per vedere com’eran fatti, il nonno gli disse che gli aveva trovato d’andare a giornata nella paranza di compar Cipolla, con una bella paga. – Li ho presi per carità, diceva padron Fortunato a chi voleva sentirlo, seduto davanti alla bottega del bar- biere. Li ho presi per non dir di no, quando padron ‘Ntoni è venuto a dirmi, sotto l’olmo, se ci avessi biso- gno di uomini per la paranza. Di uomini io non ne ho mai bisogno; ma «carcere, malattie, e necessità, si cono- Giovanni Verga - I Malavoglia 59Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia ‘Ntoni continuò a remare brontolando, perché non poteva andarsene a piedi, e compare Mangiacarrubbe, per metter la pace, disse che era ora di far colazione. In quel momento spuntava il sole, e un sorso di vino si beveva volentieri, pel fresco che s’era messo. Allora quei ragazzi si misero a lavorare di mascelle, col fiasco fra le gambe, mentre la paranza mareggiava adagio ada- gio fra il largo cerchio dei sugheri. – Una pedata per di dietro a chi parla per il primo! disse lo zio Cola. Per non buscarsi la pedata tutti si misero a masticare come buoi, guardando le onde che venivano dal largo, e si rotolavano senza spuma, quelle otri verdi che in un giorno di sole fanno pensare al cielo nero e al mare color di lavagna. – Padron Cipolla le lascerà correre quattro bestem- mie stasera; saltò su lo zio Cola; ma non ci abbiamo che fare. Col mare fresco non se ne piglia pesci. Prima compare Mangiacarrubbe gli sferrò una peda- ta, perché lo zio Cola che aveva fatta la legge aveva par- lato pel primo; e poi rispose: – Intanto ora che siamo qui, aspettiamo a tirare le reti. – La maretta viene dal largo, e a noi ci giova; aggiunse padron ‘Ntoni. – Ahi! borbottava intanto lo zio Cola. Ora che il silenzio era rotto, Barabba chiese a ‘Ntoni Malavoglia: – Me lo dai un mozzicone di sigaro? – Non ne ho, rispose ‘Ntoni, senza pensare più alla quistione di poco prima, ma te ne darò mezzo del mio. Gli uomini della paranza, seduti sul fondo, colla schiena contro il banco e le mani dietro il capo, cantava- no delle canzonette, ognuno per suo conto, adagio ada- gio, per non addormentarsi, che infatti socchiudevano gli occhi sotto il sole lucente; e Barabba faceva scoppiet- tare le dita, come i cefali sguizzavano fuori dell’acqua. – Essi non hanno nulla da fare, diceva ‘Ntoni, e si di- vertono a saltare. 62Letteratura italiana Einaudi – Buono questo sigaro! rispose Barabba, ne fumavi a Napoli, di questi? – Sì, ne fumavo tanti. – Però i sugheri cominciano ad affondare, osservò compare Mangiacarrubbe. – Lo vedi dove si è persa la Provvidenza con tuo pa- dre? disse Barabba; laggiù al Capo, dove c’è l’occhio del sole su quelle case bianche, e il mare sembra tutto d’oro. – Il mare è amaro e il marinaro muore in mare; rispo- se ‘Ntoni. Barabba gli passò il suo fiasco, e dopo si misero a brontolare sottovoce dello zio Cola, il quale era un cane per gli uomini della paranza, quasi padron Cipolla fosse là presente, a vedere quel che facevano e quel che non facevano. – Tutto per fargli credere che senza di lui la paranza non andrebbe, aggiunse Barabba. Sbirro! – Ora gli dirà che il pesce l’ha preso lui, per l’abilità sua, con tutto il mare fresco. Guarda come affondano le reti, i sugheri non si vedono più. – O ragazzi! gridò lo zio Cola, vogliamo tirare le reti? perché se ci arriva la maretta ce le strappa di mano. – Ohi! oohi! cominciarono a vociare gli uomini della ciurma passandosi la fune. – San Francesco! esclamava lo zio Cola, ei non par ve- ro che abbiamo preso tutta questa grazia di Dio, colla maretta. Le reti formicolavano e scintillavano al sole a misura che s’affacciavano dall’acqua, e tutto il fondo della pa- ranza sembrava pieno d’argento vivo. – Padron Fortu- nato ora sarà contento, mormorò Barabba, tutto rosso e sudato, e non ci rinfaccerà quei tre carlini che ci dà per la giornata. – Questo ci tocca a noi! aggiunse ‘Ntoni, a romperci la schiena per gli altri; e poi quando abbiamo messo as- sieme un po’ di soldi, viene il diavolo e se li mangia. Giovanni Verga - I Malavoglia 63Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – Di che ti lagni? gli disse il nonno, non te la dà la tua giornata compare Fortunato? I Malavoglia si arrabattavano in tutti i modi per far quattrini. La Longa prendeva qualche rotolo di tela da tessere, e andava anche al lavatoio per conto degli altri; padron ‘Ntoni coi nipoti s’erano messi a giornata, s’aiu- tavano come potevano, e se la sciatica piegava il vecchio come un uncino, rimaneva nel cortile a rifar le maglie al- le reti, a raccomodar nasse, e mettere in ordine degli at- trezzi, ché era pratico di ogni cosa del mestiere. Luca andava a lavorare nel ponte della ferrovia, per cinquanta centesimi al giorno, sebbene suo fratello ‘Ntoni dicesse che non bastavano per le camicie che sciupava a traspor- tar sassi nel corbello; ma Luca non badava che si sciupa- va anche le spalle, e Alessi andava a raccattar dei gambe- ri lungo gli scogli, o dei vermiciattoli per l’esca, che si vendevano a dieci soldi il rotolo, e alle volte arrivava si- no all’Ognina e al Capo dei Mulini, e tornava coi piedi in sangue. Ma compare Zuppiddu si prendeva dei bei soldi ogni sabato, per rabberciare la Provvidenza, e ce ne volevano delle nasse da acconciare, dei sassi della ferro- via, dell’esca a dieci soldi, e della tela da imbiancare, coll’acqua sino ai ginocchi e il sole sulla testa, per fare quarant’onze! I Morti erano venuti, e lo zio Crocifisso non faceva altro che passeggiare per la straduccia, colle mani dietro la schiena, che pareva il basilisco. – Questa è storia che va a finire coll’usciere! andava dicendo lo zio Crocifisso con don Silvestro e con don Giammaria il vicario. – D’usciere non ci sarà bisogno, zio Crocifisso, gli ri- spose padron ‘Ntoni quando venne a sapere quello che andava dicendo Campana di legno. I Malavoglia sono stati sempre galantuomini, e non hanno avuto bisogno d’usciere. – A me non me ne importa; rispose lo zio Crocifisso colle spalle al muro, sotto la tettoia del cortile, mentre 64Letteratura italiana Einaudi temi sino a giugno, se volete farmi questo favore, o pren- detevi la Provvidenza e la casa del nespolo. Io non ci ho altro. – Io voglio i miei danari, ripicchiava Campana di le- gno colle spalle al muro. Avete detto che siete galantuo- mini, e che non pagate colle chiacchiere della Provviden- za e della casa del nespolo. Egli ci perdeva l’anima ed il corpo, ci aveva rimesso il sonno e l’appetito, e non poteva nemmeno sfogarsi col dire che quella storia andava a finire coll’usciere, perché subito padron ‘Ntoni mandava don Giammaria o il se- gretario, a domandar pietà, e non lo lasciavano più veni- re in piazza, per gli affari suoi, senza metterglisi alle cal- cagna, sicché tutti nel paese dicevano che quelli erano danari del diavolo. Con Piedipapera non poteva sfogarsi perché gli rimbeccava subito che i lupini erano fradici, e che egli faceva il sensale. – Ma quel servizio lì potrebbe farmelo! disse a un tratto fra di sé – e non dormì più quella notte, tanto gli piacque la trovata – e andò a tro- vare Piedipapera appena fatto giorno, che ancora si sti- rava le braccia e sbadigliava sull’uscio. – Voi dovreste fingere che mi comprate il mio credito, gli disse, così po- tremo mandare l’usciere dai Malavoglia, e non vi diran- no che fate l’usuraio, se volete riavere il vostro denaro, né che è danaro del diavolo. – Vi è venuta stanotte la bella idea? sghignazzò Piedipapera, che mi avete sve- gliato all’alba per dirmela? – Son venuto a dirvi pure per quei sarmenti; se li volete potete venire a pigliarveli. – Allora potete mandare per l’usciere, rispose Piedipape- ra; ma le spese le fate voi. Quella buona donna di coma- re Grazia s’era affacciata apposta in camicia per dire a suo marito: – Cosa è venuto a confabulare con voi lo zio Crocifisso? Lasciateli stare quei poveri Malavoglia, che ne hanno tanti di guai! – Tu va a filare! rispondeva com- pare Tino. Le donne hanno i capelli lunghi ed il giudizio corto. – E se ne andò zoppicando a bere l’erbabianca da compare Pizzuto. Giovanni Verga - I Malavoglia 67Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – Vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mormorava comare Grazia colle mani sulla pancia. Davanti a ogni casa c’era la cappelletta adornata di frasche e d’arance, e la sera vi accendevano le candele, quando veniva a suonare la cornamusa, e cantavano la litania che era una festa per ogni dove. I bambini gioca- vano ai nocciuoli, nella strada, e se Alessi si fermava a guardare colle gambe aperte, gli dicevano: – Tu vattene, se non hai nocciuoli per giocare. – Ora vi pigliano la casa. Infatti la vigilia di Natale venne apposta l’usciere in carrozza pei Malavoglia, talché tutto il paese si mise in subbuglio; e andò a lasciare un foglio di carta bollata sul canterano, accanto alla statua del Buon Pastore. – L’avete visto l’usciere che è venuto pei Malavoglia? andava dicendo comare Venera. – Ora stanno freschi! Suo marito, che non gli pareva vero di aver ragione, allora cominciò a gridare e a strepitare. – Io l’avevo detto, santi del Paradiso! che quel ‘Ntoni a bazzicare per la casa non mi piaceva! – Voi state zitto che non sapete nulla! gli rimbeccava la Zuppidda. Questi sono affari nostri. Le ragazze si ma- ritano così, se no vi restano sulla pancia, come le casse- ruole vecchie. – Che maritare! ora che è venuto l’usciere! Allora la Zuppidda gli piantava le mani sulla faccia. – Che lo sapevate che doveva venire l’usciere? Voi ab- baiate sempre a cose fatte, ma un dito, che è un dito, non lo sapete muovere. Infine l’usciere non se la mangia, la gente. L’usciere è vero che non si mangia la gente, ma i Ma- lavoglia erano rimasti come se li avesse presi un acciden- te tutti in una volta, e stavano nel cortile, seduti in cer- chio, a guardarsi in viso, e quel giorno dell’usciere non si misero a tavola in casa dei Malavoglia. – Sacramento! esclamava ‘Ntoni. Siamo sempre come 68Letteratura italiana Einaudi i pulcini nella stoppa, ed ora mandano l’usciere per ti- rarci il collo. – Cosa faremo? diceva la Longa. Padron ‘Ntoni non lo sapeva, ma infine si prese in mano la carta bollata e andò a trovare lo zio Crocifisso coi due nipoti più grandicelli, per dirgli di prendersi la Provvidenza, che mastro Turi l’aveva rattoppata allora allora, e al poveraccio gli tremava la voce come quando gli era morto il figlio Bastianazzo. – Io non so niente, gli rispose Campana di legno. Io non c’entro più. Ho ven- duto il mio credito a Piedipapera e dovete sbrigarvela con lui. Piedipapera appena li vide venire in processione co- minciò a grattarsi il capo. – Cosa volete che ci faccia? ri- spose lui; io sono un povero diavolo e ho bisogno di quei denari, e della Provvidenza non so che farne, per- ché non è il mio mestiere; ma se la vuole lo zio Crocifis- so vi aiuterò a venderla. Or ora torno. Quei poveracci rimasero ad aspettare seduti sul mu- ricciolo, e senza aver coraggio di guardarsi in faccia; ma gettavano occhiate lunghe sulla strada donde s’aspettava Piedipapera, il quale comparve finalmente adagio ada- gio – ma quando voleva sapeva arrancare speditamente colla sua gamba storpia. – Dice che è tutta rotta come una scarpa vecchia, e non sa che farsene; gridò da lonta- no; – mi dispiace, ma non ho potuto far nulla. Così i Ma- lavoglia se ne tornarono a casa colla carta bollata in ma- no. Pure qualche cosa bisognava fare, perché quella carta bollata lì, posata sul canterano, avevano inteso dire, si sarebbe mangiato il canterano, la casa e tutti loro. – Qui ci vuole un consiglio di don Silvestro il segreta- rio, suggerì Maruzza. Portategli quelle due galline là, e qualche cosa vi saprà dire. Don Silvestro disse che non c’era tempo da perdere, e li mandò da un bravo avvocato, il dottor Scipioni, il Giovanni Verga - I Malavoglia 69Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia – Allora bisogna andare da don Silvestro; conchiuse padron ‘Ntoni. E di comune accordo, nonno, nipoti e nuora, persino la bimba, andarono di nuovo in processione dal segreta- rio comunale, per chiedergli come dovevano fare per pagare il debito, senza che lo zio Crocifisso mandasse dell’altre carte bollate, che si mangiavano la casa, la bar- ca e tutti loro. Don Silvestro, il quale sapeva di legge, stava passando il tempo costruendo una gabbia a trap- pola che voleva regalare ai bambini della Signora. Ei non faceva come l’avvocato, e li lasciò chiacchierare e chiacchierare, seguitando ad infilar gretole nelle can- nucce. Infine disse quel che ci voleva: – Orbè, se la gnà Maruzza ci mette la mano, ogni cosa si sarebbe aggiusta- ta. La povera donna non sapeva indovinare dove doves- se mettere la sua mano. – Dovete metterla nella vendita, le disse don Silvestro, e rinunziare all’ipoteca della dote, quantunque i lupini non li abbiate presi voi. – I lupini li abbiamo presi tutti! mormorava la Longa, e il Signore ci ha castigati tutti insieme col prendersi mio marito. Quei poveri ignoranti, immobili sulle loro scranne, si guardavano fra di loro, e don Silvestro intanto rideva sotto il naso. Poi mandò a chiamare lo zio Crocifisso, il quale venne ruminando una castagna secca, giacché ave- va finito allora di desinare, e aveva gli occhietti più lustri del solito. Dapprincipio non voleva sentirne nulla, e di- ceva che lui non ci entrava più, e non era affar suo. – Io sono come il muro basso, che ognuno ci si appoggia e fa il comodo suo, perché non so parlare come un avvocato, e non so dire le mie ragioni; la mia roba par roba rubata, ma quel che fanno a me lo fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce; e seguitava a borbottare e brontolare colle spalle al muro, e le mani ficcate nelle tasche; né si capiva nemmeno quel che dicesse per quella castagna che ci aveva in bocca. Don Silvestro sudò una camicia per far- gli entrare in testa che infine i Malavoglia non potevano 72Letteratura italiana Einaudi dirsi truffatori, se volevano pagare il debito, e la vedova rinunziava all’ipoteca. – I Malavoglia si contentano di restare in camicia per non litigare; ma se li mettete colle spalle al muro, cominciano a mandar carta bollata anche loro, e chi s’è visto s’è visto. Infine un po’ di carità biso- gna averla, santo diavolone! Volete scommettere che se continuate a piantare i piedi in terra come un mulo, non avrete niente? E lo zio Crocifisso allora rispondeva: – Quando mi prendono da questo lato non so più che dire; e promise di parlarne a Piedipapera. – Per riguardo all’amicizia io farei qualunque sacrificio. – Padron ‘Ntoni poteva dirlo, se per un amico avrebbe fatto questo ed altro; e gli offrì la tabacchiera aperta, fece una carezza alla bimba, e le regalò una castagna. – Don Silvestro conosce il mio de- bole; io non so dir di no. Stasera parlerò con Piedipape- ra, e gli dirò di aspettare sino a Pasqua; purché comare Maruzza ci metta la mano. – Comare Maruzza non sape- va dove bisognava metterla, la mano, e rispose che ce l’avrebbe messa anche subito. – Allora potete mandare a prendervi quelle fave che mi avete chiesto per seminarle; – disse poi lo zio Crocifisso a don Silvestro, prima di an- darsene. – Va bene, va bene, rispose don Silvestro; lo so che per gli amici avete il cuore grande quanto il mare. Piedipapera davanti alla gente non voleva sentir par- lare di dilazione; e strillava e si strappava i capelli, che lo volevano ridurre in camicia, e volevano lasciarlo senza pane per tutto l’inverno, lui e sua moglie Grazia, dopo che l’avevano persuaso a comprare il debito dei Malavo- glia, e quelle erano cinquecento lire l’una meglio dell’al- tra, che s’era levate di bocca per darle allo zio Crocifis- so. Sua moglie Grazia, poveretta, spalancava gli occhi, perché non sapeva di dove li avesse presi quei denari, e metteva buone parole pei Malavoglia, i quali erano bra- va gente, e tutti li avevano sempre conosciuti per galan- Giovanni Verga - I Malavoglia 73Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia tuomini nel vicinato. Lo zio Crocifisso adesso prendeva anche lui la parte dei Malavoglia. – Han detto che pa- gheranno, e se non potranno pagare vi lasceranno la ca- sa. La gnà Maruzza ci metterà la mano anche lei. Non lo sapete che al giorno d’oggi per avere il fatto suo bisogna fare come si può? – Allora Piedipapera s’infilò il giub- bone di furia, e se ne andò via bestemmiando, che faces- sero pure come volevano, lo zio Crocifisso e sua moglie, giacché lui non contava per nulla in casa. 74Letteratura italiana Einaudi – Questa cosa mi piace! disse ‘Ntoni. – Sentite, andateci il lunedì alla sciara, quando mia madre va alla fiera. – Al lunedì il nonno non mi lascerà pigliar fiato, ora che mettiamo in mare la Provvidenza. Appena mastro Turi disse che la barca era in ordine, padron ‘Ntoni venne a pigliarsela coi suoi ragazzi, e tut- ti gli amici, e la Provvidenza, mentre camminava verso la marina, barcollava sui sassi come avesse il mal di mare, in mezzo alla folla. – Date qua! gridava più forte di tutti compare Zup- piddu; ma gli altri sudavano e gridavano per spingerla sui regoli, quando la barca inciampava nei sassi. – La- sciate fare a me; se no me la piglio in braccio come una bambina, e ve la metto nell’acqua tutta in una volta. – Compare Turi è capace di farlo, con quelle braccia! dicevano alcuni. Oppure: – Adesso i Malavoglia si met- tono di nuovo a cavallo. – Quel diavolo di compare Zuppiddu ci ha le fate nel- le mani! esclamavano. Guardate come l’ha ridotta, che prima sembrava una scarpaccia vecchia addirittura! E davvero adesso la Provvidenza sembrava tutt’altra cosa, lucente della pece nuova, e con quella bella fascia rossa lungo il bordo, e sulla poppa il san Francesco colla barba che sembrava di bambagia, talché persino la Lon- ga si era riconciliata colla Provvidenza, da quando era tornata senza suo marito, e aveva fatto la pace per la paura, ora che era venuto l’usciere. – Viva san Francesco! gridava ognuno come vedeva passare la Provvidenza, e il figlio della Locca gridava più forte degli altri, per la speranza che adesso padron ‘Nto- ni prendesse a giornata anche lui. Mena si era affacciata sul ballatoio, e piangeva un’altra volta dalla contentezza, e fin la Locca si alzò e andò colla folla anche lei dietro i Malavoglia. – O comare Mena, questa deve essere una bella gior- Giovanni Verga - I Malavoglia 77Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia nata per voi altri; le diceva Alfio Mosca dalla sua finestra dirimpetto; dev’essere come quando potrò comprare il mio mulo. – E l’asino lo venderete? – Come volete che faccia? Io non sono ricco come Vanni Pizzuto; se no, in coscienza, non lo venderei. – Povera bestia! – Se avessi a dar da mangiare a un’altra bocca prende- rei moglie, e non starei solo come un cane! disse Alfio ridendo. Mena non sapeva che dire, ed Alfio aggiunse poi: – Ora che ci avete in mare la Provvidenza, vi marite- ranno con Brasi Cipolla. – Il nonno non mi ha detto nulla. – Ve lo dirà dopo. Ancora c’è tempo. Da ora a quan- do vi mariterete chissà quante cose succederanno, e per quali strade andrò col mio carro? Mi hanno detto che al- la Piana, al di là della città, c’è da lavorare per tutti alla ferrovia. Ora la Santuzza s’è intesa con massaro Filippo, pel mosto nuovo, e non avrò più nulla da far qui. Padron Cipolla invece, malgrado che i Malavoglia si fossero messi di nuovo a cavallo, continuava a scrollare il capo, e andava sentenziando che era un cavallo senza gambe; lui lo sapeva dove erano le magagne, nascoste sotto la pece nuova. – Una Provvidenza rattoppata! – sogghignava lo spe- ziale – sciroppo d’altea, e mucillaggine di gomma arabi- ca, come la monarchia costituzionale. Vedrete che gli fa- ranno pagare anche la ricchezza mobile, a padron ‘Ntoni. – Fin l’acqua che si beve ci faranno pagare. Ora dice che metteranno il dazio sulla pece. Per questo padron ‘Ntoni si è affrettato a far allestire la sua barca; contutto- ché mastro Turi Zuppiddu avanza ancora cinquanta lire da lui. – Chi ha avuto giudizio è stato lo zio Crocifisso, che ha venduto a Piedipapera il credito dei lupini. 78Letteratura italiana Einaudi – Ora, se la ruota non gira pei Malavoglia, la casa del nespolo se la piglia Piedipapera; e la Provvidenza torna da compare Zuppiddu. Intanto la Provvidenza era scivolata in mare come un’anitra, col becco in aria, e ci sguazzava dentro, si go- deva il fresco, dondolandosi mollemente, nell’acqua ver- de, che le colpettava attorno ai fianchi, e il sole le ballava sulla vernice. Padron ‘Ntoni, se la godeva anche lui, col- le mani dietro la schiena e le gambe aperte, aggrottando un po’ le ciglia, come fanno i marinai quando vogliono vederci bene anche al sole, che era un bel sole d’inverno, e i campi erano verdi, il mare lucente, e il cielo turchino che non finiva mai. Così tornano il bel sole e le dolci mattine d’inverno anche per gli occhi che hanno pianto, e li hanno visti del color della pece, e ogni cosa si rinno- va come la Provvidenza, che era bastata un po’ di pece e di colore, e quattro pezzi di legno, per farla tornare nuo- va come prima, e chi non vede più nulla sono gli occhi che non piangono più, e sono chiusi dalla morte. – Compare Bastianazzo non poté vederla questa fe- sta! pensava fra di sé comare Maruzza andando innanzi e indietro davanti all’orditoio, a disporre la trama, che quei regoli e quelle traverse glieli aveva fatti tutti suo marito colle sue mani, la domenica o quando pioveva, e li aveva piantati lui stesso nel muro. Ogni cosa in quella casa parlava ancora di lui, e c’era il suo paracqua d’ince- rata in un cantuccio e le sue scarpe quasi nuove sotto il letto. Mena, mentre imbozzimava l’ordito, aveva il cuore nero anch’essa, pensando a compare Alfio, il quale se ne andava alla Bicocca, e avrebbe venduto il suo asino, po- vera bestia! ché i giovani hanno la memoria corta, e han- no gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente non ci guardano altro che i vecchi, quelli che hanno vi- sto tramontare il sole tante volte. – Ora che hanno rimesso in mare la Provvidenza, dis- se infine Maruzza, vedendo la figliuola pensierosa, tuo Giovanni Verga - I Malavoglia 79Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia grazia di Dio, non ci manderanno più via dalla nostra casa. «Casa mia, madre mia». – Ora i Malavoglia devono pregare Dio e san France- sco perché la pesca riesca abbondante, diceva intanto Piedipapera. – Sì, colle annate che corrono! esclamò padron Cipol- la, ché in mare ci devono aver buttato il colèra anche per i pesci! Compare Mangiacarrubbe diceva di sì col capo, e lo zio Cola tornava a parlare del dazio del sale che voleva- no mettere, e allora le acciughe potevano starsene tran- quille, senza spaventarsi più dalle ruote dei vapori, ché nessuno sarebbe più andato a pescarle. – E ne hanno inventata un’altra! aggiunse mastro Tu- ri il calafato, di mettere anche il dazio sulla pece. Quelli a cui non gliene importava della pece non dissero nulla; ma lo Zuppiddu seguitò a strillare che egli avrebbe chiu- so bottega, e chi aveva bisogno di calafatare la barca po- teva metterci la camicia della moglie per stoppa. Allora si levarono le grida e le bestemmie. In questo momento si udì il fischio della macchina, e i carrozzoni della ferro- via sbucarono tutt’a un tratto sul pendio del colle, dal buco che ci avevano fatto, fumando e strepitando come avessero il diavolo in corpo. – Ecco qua! conchiuse pa- dron Fortunato: – la ferrovia da una parte e i vapori dall’altra. A Trezza non ci si può più vivere, in fede mia! Nel villaggio successe una casa del diavolo quando volevano mettere il dazio sulla pece. La Zuppidda, colla schiuma alla bocca, salì sul ballatoio, e si mise a predica- re che era un’altra bricconata di don Silvestro, il quale voleva rovinare il paese, perché non l’avevano voluto per marito: non lo volevano nemmeno per compagno al- la processione, quel cristiano, né lei né sua figlia! Coma- re Venera, quando parlava del marito che doveva pren- dere sua figlia, pareva che la sposa fosse lei. Mastro Turi avrebbe chiuso bottega, diceva, ma voleva vedere poi 82Letteratura italiana Einaudi come avrebbe fatto la gente a mettere le barche in mare, che si sarebbero mangiati per pane gli uni cogli altri. Al- lora le comari si affacciarono sull’uscio, colle conocchie in mano a sbraitare che volevano ammazzarli tutti, quel- li delle tasse, e volevano dar fuoco alle loro cartacce, e alla casa dove le tenevano. Gli uomini, come tornavano dal mare, lasciavano gli arnesi ad asciugare, e stavano a guardare dalla finestra la rivoluzione che facevano le mogli. – Tutto perché è tornato ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, se- guitava comare Venera, ed è sempre là, dietro le gonnel- le di mia figlia. – Ora gli danno noia le corna, a don Sil- vestro. Infine se non lo vogliamo, cosa pretende? Mia figlia è roba mia, e posso darla a chi mi pare e piace. Gli ho detto di no chiaro e tondo a mastro Callà, quand’è venuto a fare l’ambasciata in persona, l’ha visto anche lo zio Santoro. Don Silvestro gli fa fare quel che vuole, a quel Giufà del sindaco; ma io me ne infischio del sinda- co e del segretario. Ora cercano di farci chiudere botte- ga perché non mi lascio mangiare il fatto mio da questo e da quello! Che razza di cristiani, eh? Perché non l’au- mentano sul vino il loro dazio? o sulla carne, che nessu- no ne mangia? ma questo non piace a massaro Filippo, per amore della Santuzza, che sono in peccato mortale tutti e due, e lei porta l’abitino di Figlia di Maria per na- scondere le sue porcherie, e quel becco dello zio Santo- ro non vede nulla. Ognuno tira l’acqua al suo mulino, come compare Naso, che è più grasso dei suoi maiali! Belle teste che abbiamo! Ora vogliamo fargli la festa a tutte coteste teste di pesce della malannata. Mastro Turi Zuppiddu si dimenava sul ballatoio colla malabestia ed il patarasso in pugno, che voleva far san- gue, e non l’avrebbero trattenuto nemmen colle catene. La bile andava gonfiandosi da un uscio all’altro come le onde del mare in burrasca. Don Franco si fregava le ma- ni, col cappellaccio in capo, e diceva che il popolo leva- Giovanni Verga - I Malavoglia 83Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia va la testa; e come vedeva passare don Michele, colla pi- stola appesa sulla pancia, gli rideva sul naso. Anche gli uomini, a poco a poco si erano lasciati riscaldare dalle loro donne, e si cercavano l’un l’altro per mettersi in collera; e perdevano la giornata a stare in piazza colle mani sotto le ascelle, e la bocca aperta, ad ascoltare il farmacista il quale predicava sottovoce, perché non udisse sua moglie ch’era di sopra, di fare la rivoluzione, se non erano minchioni, e non badare al dazio del sale o al dazio della pece, ma casa nuova bisognava fare, e il popolo aveva ad essere re. Invece certuni torcevano il muso e gli voltavano le spalle, dicendo: – Il re vuol esse- re lui. Lo speziale è di quelli della rivoluzione, per affa- mare la povera gente! E se ne andavano piuttosto all’osteria della Santuzza, dove c’era buon vino che scal- dava la testa, e compare Cinghialenta e Rocco Spatu fa- cevano per dieci. Ora che si ricominciava la canzone delle tasse si sarebbe parlato nuovamente di quella del pelo, come la chiamavano la tassa sulle bestie da soma, e di aumentare il dazio sul vino. – Santo diavolone! sta- volta andava a finir male, per la madonna! Il vino buono faceva vociare, e il vociare metteva sete, intanto che non avevano ancora aumentato il dazio sul vino; e quelli che avevano bevuto levavano i pugni in aria, colle maniche della camicia rimboccate, e se la prendevano persin colle mosche che volavano. – Questa è come una festa per la Santuzza! dicevano. Il figlio della Locca, il quale non aveva denari per bere, gridava lì fuori dell’uscio che voleva farsi ammazzare piuttosto, ora che lo zio Crocifisso non lo voleva più nemmeno a mezza paga, per quel suo fratello Menico che s’era annegato coi lupini. Vanni Pizzuto aveva anche chiuso la bottega, perché nessuno andava più a farsi ra- dere, e portava il rasoio in tasca, e vomitava improperi da lontano, e sputava addosso a coloro che se ne anda- vano pei fatti loro, coi remi in collo, stringendosi nelle spalle. 84Letteratura italiana Einaudi andare attorno, con quella faccia tosta; e Rocco Spatu e Cinghialenta, come lo vedevano, rientravano in fretta nell’osteria per non fare uno sproposito, e Vanni Pizzu- to bestemmiava forte toccando il rasoio dentro la tasca dei calzoni. Don Silvestro, senza badarci, andava a far quattro chiacchiere collo zio Santoro, e gli metteva due centesi- mi nella mano. – Sia lodato Dio! esclamava il cieco, questo è don Sil- vestro il segretario, ché nessun’altri di tutti quelli che vengono qui a gridare e a pestare i pugni sulle panche fa un centesimo di limosina per le anime del Purgatorio, e vengono a dire che vogliono ammazzarli tutti, il sindaco e il segretario; l’hanno detto Vanni Pizzuto, Rocco Spa- tu, e compare Cinghialenta. Vanni Pizzuto s’è messo ad andare senza scarpe, per non essere conosciuto; ma io lo riconosco egualmente, che striscia sempre i piedi per terra, e fa levar la polvere come quando passano le peco- re. – A voi che ve ne importa? gli diceva sua figlia, appe- na don Silvestro se ne andava. Questi non sono affari nostri. L’osteria è come un porto di mare, chi va e chi viene, e bisogna essere amici con tutti, e fedeli con nes- suno; per questo l’anima l’abbiamo ciascuno la sua, e ognuno deve badare ai suoi interessi, e non fare giudizi temerari contro il prossimo. Compare Cinghialenta e Spatu spendono del denaro in casa nostra. Non dico di Pizzuto che vende l’erbabianca e cerca di levarci gli av- ventori. Don Silvestro poi andava a fermarsi dallo speziale, il quale gli piantava la barba in faccia, e gli diceva che era tempo di finirla, e buttar tutto a gambe in aria, e far casa nuova. – Volete scommettere che questa volta va a finir ma- le? ribatteva don Silvestro, mettendo due dita nel taschi- no del farsetto per cavar fuori il dodici tarì nuovo. Non Giovanni Verga - I Malavoglia 87Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia c’è tasse che bastano, e un giorno o l’altro bisognerà fi- nirla davvero. S’ha a mutar registro con Baco da seta che si lascia metter la gonnella dalla figlia, e il sindaco lo fa lei; – a massaro Filippo poi non gliene importava un ca- volo, e padron Cipolla, aveva la superbia di non voler fa- re il sindaco neanche se l’accoppavano. – Tutti una ma- nica di borbonici della consorteria; dei minchioni che oggi dicono bianco e domani nero, e l’ultimo che parla ha ragione lui. La gente fa bene a strillare con questo go- verno che ci succhia il sangue peggio di una mignatta; ma i denari devono venir fuori per amore o per forza. Qui ci vorrebbe un sindaco di testa e liberale come voi. Lo speziale allora cominciava a dire quel che avrebbe fatto lui, e come aggiustava ogni cosa; e don Silvestro stava ad ascoltarlo zitto ed intento che pareva fosse alla predica. Bisognava pensare anche a rinnovare il consi- glio; padron ‘Ntoni non ce lo volevano, perché egli ave- va la testa stramba, ed era stato causa della morte di suo figlio Bastianazzo, – un uomo di giudizio colui, se fosse stato vivo! – poi in quell’affare dei lupini aveva fatto mettere la mano nel debito a sua nuora, e l’aveva lasciata in camicia. Se gli interessi del comune li faceva a quel modo!… Ma intanto se la Signora si affacciava alla finestra, don Franco cambiava discorso, e gridava: – Bel tempo, eh? – ammiccando di nascosto a don Silvestro, per fargli capi- re quel che ci aveva nello stomaco da dire. – Andate a fi- darvi di quel che vuol fare uno che ha paura della mo- glie! pensava fra di sé don Silvestro. – Padron ‘Ntoni era di quelli che si stringevano nelle spalle e se ne andavano coi remi in collo; e al nipote, il quale avrebbe voluto cor- rere in piazza anche lui, a vedere quel che si faceva, gli andava ripetendo: – Tu bada ai fatti tuoi, ché tutti costoro gridano ognuno pel suo interesse, e l’affare più grosso per noi è quello del debito. 88Letteratura italiana Einaudi Anche compare Mosca era di quelli che badavano ai fatti propri, e se ne andava tranquillamente, insieme al suo carro, in mezzo alla gente che gridava coi pugni in aria. – A voi non ve ne importa se mettono la tassa del pelo? gli domandava Mena, come lo vedeva arrivare coll’asino tutto ansante e colle orecchie basse. – Sì che me ne importa, ma bisogna camminare per pagarla, la tassa; se no si pigliano il pelo con tutto l’asino, e il carro pure. – Dice che vogliono ammazzarli tutti, Gesummaria! Il nonno ha raccomandato di tenere la porta chiusa, e non aprire se non tornan loro. Voi andrete ancora via doma- ni? – Io andrò a prendere un carico di calce per mastro Croce Callà! – O cosa ci andate a fare? non lo sapete che è il sinda- co, e vi ammazzeranno anche voi? – Egli dice che non gliene importa a lui; che fa il mu- ratore, e deve allestire quel muro della vigna per conto di massaro Filippo, e se non vogliono il dazio della pece, don Silvestro ci penserà lui a qualche altra cosa. – Ve l’aveva detto io ch’è tutta roba di don Silvestro! sclamava la Zuppidda la quale era sempre lì, a soffiare nel fuoco colla conocchia in mano. È roba di ladri e di gente che non ha nulla da perdere, e non paga nulla col dazio della pece, perché non ha mai avuto nemmeno un pezzo di tavola in mare. – La colpa è di don Silvestro, seguitava poscia a sbraitare di qua e di là, per tutto il paese, e di quell’imbroglione di Piedipapera, il quale non ha barche, e vive alle spalle del prossimo, tiene il sacco a questo e a quello. – Volete saperne una? Non è vero niente che ha comprato il credito dello zio Crocifis- so! È tutta una finzione fra lui e Campana di legno, per spogliare quei poveretti. Piedipapera non li ha mai visti cogli occhi cinquecento lire! Don Silvestro, per sentire quello che dicevasi di lui, Giovanni Verga - I Malavoglia 89Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia tutto unto e colla faccia rossa, che non aveva paura di nessuno al mondo, e compare Tino Piedipapera. – Quello lì non ha nulla da perdere! vociava dall’uscio la Zuppidda, e ci viene per succhiare il sangue alla povera gente, peggio di una sanguisuga, perché vive alle spalle del prossimo, e tiene il sacco a questo e a quello per fare le birbonate! Razza di ladri e di assassini! Piedipapera, sebbene volesse far l’indifferente, pel decoro della carica, finì col perdere la pazienza, e si rizzò sulla gamba storta, gridando a mastro Cirino, l’in- serviente comunale, il quale era incaricato del buon or- dine, e per questo ci aveva il berretto col rosso quando non faceva il sagrestano: – Fatemi tacere quella linguac- cia là. – Eh, a voi vi piacerebbe che nessuno parlasse, eh! compare Tino? – Come se tutti non lo sapessero il mestiere che fate, che poi chiudete gli occhi quando ‘Ntoni di padron ‘Ntoni viene a parlare con vostra figlia Barbara. – Gli occhi li chiudete voi, becco che siete! quando vostra moglie fa il comodino alla Vespa, la quale viene tutti i giorni a mettersi sulla vostra porta per cercare Al- fio Mosca, e voi altri tenete il candeliere. Bel mestiere! Ma compare Alfio non vuol saperne, ve lo dico io; ci ha pel capo Mena di padron ‘Ntoni, e voi altri ci perdete l’olio della lucerna, se la Vespa ve l’ha promesso. – Ora vengo a romperti le corna! minacciò Piedipa- pera, e cominciò ad arrancare dietro la tavola d’abete. – Oggi va a finir male! borbottava mastro Croce Giufà. – Ohè! ohè! che maniere son queste, vi par d’essere in piazza! urlava don Silvestro. – Volete scommettere che vi caccio fuori tutti a calci? Ora l’aggiusto io questa faccenda. La Zuppidda non voleva sentirne affatto d’aggiustar- la, e si dibatteva contro don Silvestro il quale la spingeva 92Letteratura italiana Einaudi fuori tirandola pei capelli, e poi se la menò in disparte dietro il rastrello della chiusa. – Infine che volete? le disse come furono soli, a voi che ve ne importa se mettono il dazio sulla pece? forse che lo pagate voi o vostro marito? o non devono pagarlo piuttosto quelli che hanno bisogno di far accomodare le loro barche? Sentite a me: vostro marito è una bestia ad essere in collera col municipio, e a far tutto questo chiasso. Ora si devono fare gli assessori nuovi, in cam- bio di padron Cipolla o di massaro Mariano, che non valgono niente, e si potrebbe metterci vostro marito. – Io non ne so nulla, rispose la Zuppidda, calmatasi tutt’a un tratto. – Io non me ne immischio negli affari di mio marito. So che si mangia le mani dalla collera. Io non posso far altro che andare a dirglielo, se la cosa è certa. – Andate a dirglielo, è certo come è certo Dio, vi di- co! Siamo galantuomini o no? santissimo diavolo! La Zuppidda partì correndo a prendere suo marito, il quale stava rincantucciato nel cortile a cardar stoppa, pallido come un morto, e non voleva escire per tutto l’oro del mondo, gridando che gli facevano fare qualche sproposito, santo Dio! Per aprire il sinedrio, e vedere che pesci si pigliavano, ci mancava ancora padron Fortunato Cipolla, e massaro Filippo l’ortolano, i quali non spuntavano mai, sicché la gente incominciava ad annoiarsi, tanto che le comari s’erano messe a filare lungo il muricciuolo della chiusa. Infine mandarono a dire che non venivano perché avevano da fare; e il dazio, se volevano, avrebbero potu- to metterlo senza di loro. – Il discorso di mia figlia Betta tale e quale! brontolava mastro Croce Giufà. – Allora fatevi aiutare da vostra figlia Betta! esclamò don Silvestro. Baco da seta non fiatò più e continuò a masticarsi fra i denti il suo brontolio. – Ora, disse don Silvestro, vedrete che i Zuppiddi verranno loro stessi a Giovanni Verga - I Malavoglia 93Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia dire che mi danno la Barbara, ma voglio farmi pregare, io. La seduta fu sciolta senza concludere nulla. Il segreta- rio voleva un po’ di tempo per prender lume; in questo mentre era suonato mezzogiorno e le comari se n’erano andate leste leste. Le poche che erano rimaste, come vi- dero mastro Cirino chiudere la porta e mettersi la chiave in tasca, se ne andarono anch’esse pei fatti loro di qua e di là, chiacchierando degli improperii che s’erano detti Piedipapera e la Zuppidda. La sera ‘Ntoni di padron ‘Ntoni seppe quelle chiac- chiere, e sacramento! voleva fargli vedere che era stato soldato, a Piedipapera! Lo incontrò giusto che veniva dalla sciara, vicino alla casa dei Zuppiddi, con quel suo piede del diavolo, e cominciò a dirgli il fatto suo, che era una carogna, e si guardasse bene dal dir male dei Zup- piddi e di quel che facevano, che lui non ci aveva nulla a vedere. Piedipapera non aveva la lingua in tasca. – O che ti pare che sei venuto da lontano a fare lo spacca- montagne, qui? – Son venuto a rompervi le corna, se aggiungete altro. – Alle grida la gente si era affacciata sugli usci, e si era radunata una gran folla; sicché si azzuffarono perbene, e Piedipapera, il quale ne sapeva più del diavolo, si lasciò cadere a terra tutto in un fascio con ‘Ntoni Malavoglia, che così non valevano a nulla le gambe buone, e si avvol- tolarono nel fango, picchiandosi e mordendosi come i cani di Peppi Naso, tanto che ‘Ntoni di padron ‘Ntoni dovette ficcarsi nel cortile dei Zuppiddi, perché aveva la camicia tutta stracciata, e Piedipapera lo condussero a casa insanguinato come Lazzaro. – Sta a vedere! strepitava ancora comare Venera, do- po che ebbero chiusa la porta sul naso ai vicini, sta a ve- dere che in casa mia non sono padrona di fare quello che mi pare e piace. Mia figlia la do a chi vogl’io. La ragazza, tutta rossa, s’era rifugiata in casa, col cuo- re che gli batteva come un pulcino. 94Letteratura italiana Einaudi
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