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Management dell’energia e ecosostenibilità (Parte 3), Sbobinature di Management Theory

Sbobinature delle lezioni di management dell’energia e ecosostenibilità dell’a.a. 2020/2021, relative alla Parte 3 (Ecosostenibilità, Green Economy, Sharing Economy, ecc.). Le sbobinature sono inerenti le lezioni tenute dalla professoressa Vanessa Giannetti.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 04/01/2021

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4.1

(22)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Management dell’energia e ecosostenibilità (Parte 3) e più Sbobinature in PDF di Management Theory solo su Docsity! Management dell’energia e ecosostenibilità – Parte 3 La metamorfosi digitale Società verticale: società gerarchica, in cui tutte le decisioni sono in mano a una o poche persone e il resto della società è quasi estraneo alle decisioni da affrontare. Idea alla base del sistema economico tradizionale, a livello istituzionale la società verticale discende dallo Stato centrale fino ad arrivare alla periferia delle municipalità. Come schema, tale società si muove dall’alto al basso, dal centro alla periferia, attraverso una fitta rete di ramificazione di poteri intermedi e locali deputati alle logiche del centro. Società orizzontale: questo nuovo modello vede i componenti della società posti sullo stesso livello, non esistono persone più importanti di altre, ma tutti attraverso le proprie scelte devono collaborare per un’idea globale di società. Pone al centro il territorio come principio organizzativo della produzione, dell’inclusione e della mobilità sociale. Le attività imprenditoriali sono legate al territorio, nascono dal sommerso, si sviluppano in maniera reticolare attraverso distretti industriali e, poi, attraverso piattaforme produttive arrivano fino alla globalizzazione. Idealizzazione di un modello di società circolare in un’ottica di una città (Smart city). Bisognerà individuare tutti i caratteri che determinano un sistema socio- economico ed andare a rivederli in un’ottica circolare. Ad esempio, per quanto riguarda l’acqua andrebbero riprogettati i sistemi di gestione di tale risorsa, cercando di recuperarla, riutilizzarla e trattarla come un bene comune, uscendo dalle logiche legate alla privatizzazione dei beni comuni. Fondamentale è anche non soltanto l’ottimizzazione dei beni fisici, in tale ottica bisogna valorizzare i cosiddetti beni immateriali (conoscenza, sapere, partecipazione, ecc.). La digitalizzazione diventa fondamentale per poter approcciare a questo nuovo modello. L’economia leggera: definita come l’economia dell’immateriale. Il modello tradizionale non ha visto il valore tradizionale come valore economico, ma ciò va inserito all’interno di un nuovo paradigma. Negli ultimi 30 anni in Italia c’è stata la frattura di un’economia pesante, alleggerita poi da ristrutturazioni, disinvestimenti, delocalizzazioni produttive. Abbiamo così assistito a una riconversione che ora vede uniti manager delle reti hard e soft, conglomerati industriali e finanziari, tante reti sociali e un’economia leggera, che partendo di saperi taciti che nutrivano i distretti e le filiere del Made in Italy, ha incorporato valore. L’obiettivo di tale ideale di società circolare è quello di mettere al pari del valore economico della produzione anche i valori immateriali. L’avvento del digitale ha agevolato tale transizione, trasportando il valore all’interno della comunità e trasferire il sapere tra le varie componenti della società stessa. Oltre al sistema informativo e di diffusione della conoscenza, anche gli stessi mezzi di produzione che ora utilizzano informatica, cibernetica (regola i flussi della produttività e la valorizzazione delle merci, trasforma le logiche a lineari a circolari), immaterialità e conoscenza sono stati influenzati dalla digitalizzazione. Il passaggio al modello orizzontale vede l’affermarsi del nuovo concetto del peer-to-peer (pari a pari), quindi nell’ottica di una società circolare bisogna immaginare 1 una condivisione tra pari, sia di risorse che di servizi. Cambia il modo di produrre, stampa 3D, ritornanti che con imprese innovative vanno a rivalorizzare territori che erano stati lasciati ai margini dello sviluppo. Il modo di produzione industriale è basato sulla proprietà privata sia nell’assetto giuridico che in quello economico, separazione dei saperi e relative professioni, distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata con le relative istituzionalizzazioni; fondamentale è l’idea di progresso; dualismo (città e campagna, servo e padrone, pubblico e privato). Nel modello digitale le specializzazioni rientrano nell’universo cibernetico e avviene una continua negazione tra i saperi. Vengono rivalorizzate le specializzazioni (es. artigianalità, a lungo scomparsa poiché soppiantata dall’industria). Tutto è circolare, i dualismi perdono di connotazione, le aziende guardano alle società che investono nel rapporto con le comunità, nascono le aziende no profit, le for profit (che producono beni e servizi per la persona), nascono start-up, imprese per la sharing economy, le fabbriche della condivisione (fab lab). Si affermano perciò modelli di vita e di società Smart, green e social. La green economy È la risposta ai modelli economici che credevano fortemente nell’efficienza del settore privato e del mercato, ha le sue radici nel Rapporto Brundtland dell’87, che mette in luce un nuovo principio etico per l’umanità: la responsabilità da parte delle generazioni di oggi nei confronti delle generazioni future rispetto ad almeno due aspetti dell’eco-sostenibilità: il mantenimento delle risorse e l’equilibrio ambientale del nostro pianeta. Caratteristiche: è pulita, minimizza quindi emissioni e inquinamento, minimizza l’uso sia a livello quantitativo che qualitativo di materiali ed energia. È un modello rigenerativo, visto l’obiettivo di ricostruire gli ecosistemi impattati dalle attività antropiche; mira ad utilizzare in maniera maggiore le energie rinnovabili. È circolare perché l’efficienza nell’uso delle risorse impone la minimizzazione dei rifiuti e la loro trasformazione in materia prima seconda. Bio-based perché utilizza materie prime derivate da piante e rifiuti piuttosto che minerali e fossili non rinnovabili. È inoltre basata su un concetto nuovo di ricchezza e benessere, oltre al PIL bisogna misurare anche tutte le esternalità e tutti gli stock di capitale diverso da quello economico. Fondazione Ellen McArthur, è quella che per la prima volta definisce l’economia circolare (che è soltanto una parte della green economy) come: “un’economia industriale che è concettualmente rigenerativa e riproduce la natura nel migliorare e ottimizzare in modo attivo i sistemi mediante i quali opera”. Alla base del suo sviluppo troviamo: assenza dello scarto di processo, estensione della vita utile dei prodotti, produzione di prodotti di lunga durata, attivazione di economie di ricondizionamento e riduzione della produzione dei rifiuti. La nuova società circolare La circolarità dei beni materiali è meno intuitiva di quelli materiali, questi sono stati a lungo immagazzinati nelle università, oggi c’è la necessità della loro condivisione. Con l’avvento del sistema digitale si perde la gerarchia delle idee, si arriva alla crisi del sapere e dell’intelligenza privata, c’è collaborazione, che per tanto tempo è mancata nella ricerca scientifica. La creatività delle persone è dovuta anche alle relazioni sociali (sharing economy). C’è stato inoltre un grande sviluppo dell’internet of things, in cui oggetti, persone e macchine dialogano, in forma circolare, tra loro. La sharing economy Ad oggi non esiste una definizione ben precisa di sharing economy, che come sinonimo ha consumo collaborativo ed economia della condivisione. Sappiamo comunque che fa riferimento al consumo collaborativo, alla produzione collaborativa, la formazione collaborativa, ma manca comunque una definizione. Molti modelli di business possono essere, seppur con caratteristiche tra di loro differenti, accumunati sotto la sharing economy. Non è un modello che andrà a sostituite il modello 2 È significativo che l’UE abbia identificato precisi obiettivi per i rifiuti nel c.d. Pacchetto sull’economia circolare: - Riciclo dei rifiuti urbani: 65% entro il 2030; - Riciclo dei rifiuti di imballaggio: 75% entro il 2030; - Collocamento dei rifiuti in discarica: max 10% entro il 2030; - Divieto di collocare i rifiuti della raccolta differenziata in discarica. -da rifiuto a risorsa; - da materie prime a materie secondarie; - da consumatori a co-produttori; -da singoli a network. Mobilità: elemento strategico per il funzionamento della città, cercando di ridurre l’inquinamento e la congestione stradale. La città circolare sceglie la mobilità sostenibile secondo modelli integrati e differenziati nelle diverse zone della città. Potenza il trasporto pubblico locale con corsie preferenziali, integrando i sistemi tariffari e gestendo la bigliettazione in modo integrato su piattaforme digitali. Quindi: - da singolo a collettivo; -da gomma a ferro; -da carburanti fossili a energia elettrica. Dallo Sviluppo Sostenibile alla Bioeconomia Bioeconomia: un’economia socialmente e ambientalmente sostenibile. Il profondo legame che esiste tra l’attuale crisi finanziaria e la profonda crisi ambientale nel suo complesso, maturata negli ottimi 60 anni, ci porta a pensare che il sistema di sviluppo che ha dominato in questi anni è diventato precario. L’uomo per perseguire il proprio sviluppo ha manipolato gli ecosistemi rendendo però imprevedibili le loro mutazioni spesso a causa della mancanza di conoscenze. Red economy (o brown economy) Un’economia di scala punta generalmente ad avere costi marginali sempre più bassi per ogni unità aggiuntiva prodotta. Consuma a discapito della natura, dell’umanità e dei beni comuni senza tenere conto del debito che genera; questo viene poi trasferito alle generazioni future. La crisi economico- finanziaria del 2008 ha esercitato pressioni sui capitali (anche quello naturale) accumulando debiti così esorbitanti da rendere la crescita controproducente. Impronta ecologica: dà un indice quantitativo misurato in area di terreno utilizzato per le attività e area di terreno necessaria affinché l’ambiente in cui viviamo sia in grado di assorbire rifiuti, scarti e emissioni generati da nostro stile di vita, incluse le attività produttive. Grazie a questo indicatore sono state individuate due grandi categorie di paesi: 1) debitori ecologici (Paesi Occidentali) e 2) creditori ecologici (Paesi in via di Sviluppo). Sono indicatori standardizzati a livello internazionale, così che i risultati possano sere paragonati tra i vari paesi. Il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato nel 1972, rappresenta una prima pietra miliare sul cammino verso lo sviluppo sostenibile che oggi/domani ci riguarda/riguarderà da vicino. Il rapporto, basato sulla simulazione, pedice le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Il messaggio di questo libro è ancora oggi molto attuale: il sistema globale della natura, probabilmente non è in grado di sopportare i tassi attuali di crescita economica e della popolazione molto oltre l’anno 2100 anche con l’avvento della tecnologia avanzata. Ai tempi della sua pubblicazione, furono esaminati i cinque fattori di base che determinano, anche in base alle loro interazioni, i limiti della crescita sul nostro pianeta: - L’aumento della popolazione; - La produzione agricola; - L’impoverimento delle risorse non rinnovabili; - La produzione industriale; - La generazione di inquinamento. La conclusione di tale studio fu la necessità di agire nell’immediato con delle politiche mirate appunto alla mitigazione dei fenomeni di degradazione ambientale. Negli anni c’è stato un consistente aumento di utilizzo di materie prime, con la previsione di un significativo incremento entro il 2050. 5 Il Consumo materiale interno (CMI): misura il consumo apparente di risorse materiali di un Paese, pari alla quantità di materiali che alla fine del periodo di riferimento sono stati trasformati in residui (emissioni nelle acque, nell’aria e nel suolo) oppure nuovi stock del sistema socio-economico (rifiuti in discariche controllate; beni capitali, quali edifici, infrastrutture e macchinari; beni durevoli di consumo). Nel 2016, il CMI italiano ammonta a oltre 515 milioni di tonnellate, con una diminuzione complessiva di quasi il 41% rispetto al 1991. Ciò dimostra come le politiche preventive nella produzione di rifiuti, nell’utilizzo più efficiente di materie prime, nel riutilizzo di materie prime seconde, ha portato ad una riduzione dei consumi interni di materiali. COP 21 – Parigi 2015: accordo globale, per la prima volta tutte le nazioni hanno accettato almeno inizialmente l’accordo. L’obiettivo si sposta dalle riduzioni di emissioni di CO2 alla riduzione dell’aumento delle temperature. Contenere l’aumento della Temperatura media globale al di sotto dei 2* C. Si cerca di limitare l’incremento della temperatura a 1,5* C rispetto ai livelli preindustriali per ridurre significativamente i rischi e gli impatti dovuti al cambiamento climatico. Accrescere la capacità di adattamento agli impatti di tale cambiamento, promuovendo la resilienza e uno sviluppo a basse emissioni di GHG (gas climalteranti). Agenda 2030 A settembre 2015 (data in cui terminava il raggiungimento dei precedenti obiettivi, gli “Obiettivi del millennio”) le Nazioni Unite, hanno adottato l’agenda 2030 che consiste di 17 nuclei strategici (obiettivi) e programmatici ai quali è stato dato il nome di Sustainable Development Goals (SDGs), all’interno di questi obiettivi, ognuno di essi ha una serie numerosa di sottoobiettivi (target) differenziati a seconda dei diversi Paesi del mondo. Ad ogni sottoobiettivo è stato associato un determinato numero di indicatori di monitoraggio, ogni Paese può decidere di adottare gli indicatori proposti o variare e renderli più adatti per la situazione nazionale. Punto fondamentale per la strada verso la sostenibilità, è stato accettato a livello mondiale di intraprendere il perseguimento di questi obiettivi. Questi, essendo obiettivi, sono vincolanti. Al loro interno ci sono obiettivi quantitativi da dover raggiungere. Giovannini, nel suo riadattamento del sistema sostenibile con i SDGs, va a riposizionare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 nel sistema, per cercare di migliorare il benessere individuale e quello della collettività, sia a breve che a lungo termine. 6 L’Italia e i 17 SDGs L’Italia, attraverso l’Istat ha presentato un primo rapporto annuale (2018) cn un aggiornamento e un ampliamento degli indicatori già diffusi a livello globale. In questo rapporto (il primo scritto) emerge un set di 117 indicatori, seguiti da 235 misure nazionali. Non c’è quindi corrispondenza univoca tra gli indicatori forniti a livello internazionale e quelli forniti da ogni singolo Paese. Seppur a livello internazionale sono stati forniti i vari indicatori per monitorare e quantificare i vari obiettivi, poi ogni paese ha rivisto e revisionato tale set per renderli più idonei ed adatti alla situazione nazionale. Obiettivo 7: Energia pulita e accessibile Una persona su 5 nel mondo non ha accesso ai moderni mezzi elettrici, 3 miliardi di persone dipendono da legno, carbone, carbonella o concime animale per cucinare e scaldarsi. L’energia è il principale responsabile del cambiamento climatico, rappresentando il 60% delle emissioni di gas serra. I deficit maggior si riscontrano in Asia Meridionale e Africa Sub-Sahariana, tuttavia, entrambe le regioni hanno compiuto progressi sostanziali. Nel 2014, il Consiglio Europeo, nell’ambito del Quadro per il clima e l’energia 2030, ha approvato i nuovi target 40-27-27, adottati a livello italiano dalla Strategia Energetica Nazionale 2017. I target prevedono il 40% di riduzione di gas serra e i 27% per il consumo di rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica, mentre i target approvai dal Parlamento Europeo nel 2018 prevedono l’ulteriore innalzamento al 32% per le rinnovabili e al 32,5% per l’efficienza energetica. Già si sta delineando inoltre la roadmap per il 2050. I consumi da FER in Italia hanno una variabilità in base alle aree geografiche, es. Valle D’Aosta, la più virtuosa, copre 80% del proprio fabbisogno con le FER, all’opposto il Lazio a malapena il 10%. Una quota del 16% della popolazione italiana ha difficoltà a riscaldare adeguatamente la propria abitazione (nella media europea tale valore è del 9%); l’incidenza di famiglie che presentano problemi nel riscaldamento è inferiore ne lette trio e e nella ripartizione centrale, e superiore al sud e nelle isole. L’Italia, come molti altri Paesi sviluppati, pur non scontando particolari difficoltà nello accesso alle risorse energetiche, può presentare rischi di povertà energetica, soprattutto nell’ambito delle categorie sociali più svantaggiate. Obiettivo 11: Città e comunità sostenibili Nelle città italiane il livello di inquinamento atmosferico migliora, anche se aumentano i valori legati alla presenza del particolato (PM10 e PM2,5). Diminuisce la quota di rifiuti urbani conferiti in discarica, non migliora però la soddisfazione per l’utilizzo di mezzi pubblici. Cresce il dato sull’abusivismo edilizio, ma con forti differenze territoriali. La spesa 7 La blue economy Modello iniziato durante gli Anni Novanta da Gunter Pauli, è un modello rigenerativo che si basa sullo studio dei percorsi evolutivi degli ecosistemi, cercando di mimarli. ZERI: zero Emissions research and initiatives, progetto fondato dallo stesso Pauli. L’obiettivo dei progetti inseriti in ZERI è zero incidenti, zero sprechi e zero emissioni. È un movimento open-source, è uno sviluppo ulteriore della green economy; infatti, mentre quest’ultima prevede una semplice riduzione di CO2 entro un limite accettabile, la blue economy prevede di arrivare a emissioni zero di anidride carbonica. Tenta di rispondere ai bisogni di tutti, introducendo innovazioni ispirate dalla natura e generando molteplicità vantaggi, compresi occupazione e capitale sociale, offrendo più con meno. Nei sistemi naturali, basati su nutrienti a cascata, materia ed energia, i rifiuti non esistono e qualsiasi sottoprodotto è la fonte di un nuovo prodotto. La natura si è evoluta da poche specie a una ricca biodiversità. La natura funziona solo con quello che è localmente disponibile, risponde prima alle esigenze di bade e poi si evolve da una condizione di sufficienza ad una di abbondanza. La green economy Il petrolio ha per molto tempo alimentato le borse mondiali, ma nel 2019 gli investimenti in rinnovabili sul Pianeta son stati il doppio rispetto alle fonti fossili. Le risorse naturali nel loro complesso sono state a lungo sottovalutate, non essendo considerate come fattore di produzione vero e proprio. Solo quando verrà dato valore al capitale naturale si potrà cominciare a pensare ad una transizione verso la green economy. Solo agli inizi degli anni ’70 la classica teoria della crescita è stata modificata per abbracciare l’ambiente, denominato poi “capitale naturale”. La strategia dell’UE sull’economia circolare è basta su diversi settori, chiamati iniziative Faro, ognuna di queste proposte va a toccare un settore su cui investire in ottica di economia circolare. Il concerto di green economy fu descritto per la prima volta nell’89 (rimane però un concetto chiuso all’interno delle comunità scientifiche), però soltanto più tardi emerge una vera e propria strategia sulla green economy. I parametri macroambientali e macroeconomici su cui si basa solo gli stessi dello sviluppo sostenibile. Soltanto nel 2008, a livello internazionale, l’UNEP delinea una vera e propria linea guida sulla green economy, in coincidenza con la crisi economica e ambientale. Alla green cognome viene riconosciuto il ruolo di guida della transizione green verso un modello di sviluppo economico sostenibile e verso l’eradicazione della povertà. Green non fa riferimento solo alla parte ambientale, ma anche alle dimensioni dello sviluppo sostenibile, per poter raggiungere un equilibrio tra le 3 dimensioni, bisogna aggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030. Ecco perché una green economy punta anche alla radicazione della povertà estrema. La green economy si basa sulla crescita verde, ovvero che promuove la crescita economica e lo sviluppo, garantendo nel contempo che il patrimonio naturale continui a fornire le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il nostro benessere. Per fare ciò si devono catalizzare gli investimenti e l’innovazione che consentirà di rafforzare una crescita sostenibile e dar luogo a nuove opportunità economiche. 10 Nella visione dell’UNEP la green economy è ritenuta: - Capace di stimolare nuovi mercati; - Creare più posti di lavoro; - Generare sostenuti tassi di crescita a medio termine; - Migliorare i rendimenti degli investimenti; - Ridurre il rischio individuale e collettivo. Il tutto mentre rafforza la ricchezza delle collettività nelle forme del capitale sociale naturale ed umano. Abbiamo bisogno di una crescita verde perché i rischi per lo sviluppo crescono via via che la nostra crescita continua a erodere il capitale naturale. Lasciando senza controllo questo processo, si andrebbe verso un aumento della scarsità d’acqua, peggioramento della disponibilità di risorse, maggiore inquinamento, cambiamenti climatici e irrecuperabili perdite di biodiversità. Queste tensioni potrebbero minare le prospettive di crescita futura per almeno due ragioni: 1) Diventa sempre più costoso sostituire capitale naturale con capitale fisico; 2) I cambiamenti non seguono necessariamente traiettorie lineari e prevedibili. Sono numerosi i rapporti che mostrano come l’impatto dei cambiamenti climatici sia sempre più aggressivo e minaccioso per le risorse ambientali. La lotta ai cambiamenti climatici è legata alla progressiva decarbonizzazione dell’economia, che dovrebbe avvenire entro la seconda metà del XXI secolo, un percorso passa per lo sviluppo delle FER. Nel 2014 c’è stata un’iniziale diminuzione delle emissioni di GHG (emissioni gas serra), in parte ciò deriva dal rallentamento della Cina nell’utilizzo del carbone per la generazione elettrica e della maggiore penetrazione delle fonti rinnovabili a livello globale. La transizione green verso la decarbonizzazione risente degli incentivi alle fonti fossili, ancora documentati dal Fondo Monetario Internazionale; la loro eliminazione fa parte di ogni programma di green economy. Questi rappresentano importi di 10 volte superiori rispetto a quelli per le fonti rinnovabili. Capitale naturale: lo sviluppo delle società umane è stato sempre strettamente legato all’utilizzo di stock di capitali e beni e servizi da essi forniti. Oggi si definisce “capitale naturale” tutte le risorse naturali che contribuiscono nella fornitura di beni e servizi per l’umanità e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati. La nozione di capitale, deriva dal settore finanziario, serve a descrivere il valore delle risorse e le capacità degli ecosistemi di fornire flussi di beni e servizi (servizi ecosistemici) come acqua, medicine e cibo. Come un investire utilizza il capitale finanziario per generare profitti, così uno stock naturale fornisce un flusso presente/futuro di risorse che, se utilizzato in modo sostenibile, sarà fonte di benefici a lungo termine per gli esseri umani. Dai processi naturali di interazione degli asset del capitale naturale all’interno degli ecosistemi si ottengono flussi di servizi ecosistemici come: - Purificazione naturale dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo; - La formazione di suolo fertile da coltivare; - La conservazione della diversità genetica per il cibo e la ricerca medica e industriale; - Fauna ittica per nutrirci; - Le fibre tessili per produrre abiti; - Un paesaggio alpino o un parco urbano per passeggiare; - I sistemi di piante e micronutrienti del suolo che preservano dal dissesto idrogeologico; - La biodiversità degli insetti necessaria all’impollinazione. Dall’inizio del ‘900 la popolazione mondiale è aumentata, con un tasso di crescita mai registrato, pari a 4,5 volte in un solo secolo, lo sviluppo tecnologico, le produzioni, i commerci e consumi hanno fatto aumentare di 10 volte il prelievo naturale. Si è riscontrato quindi un ritmo doppio rispetto quello della popolazione, con un nuovo contesto globale nel quale si moltiplicano le pressioni sul capitale naturale. Basti pensare al fatto che il solo aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera, ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 800.000 anni, portando a un cambiamento climatico che genera ulteriori rilevanti impatti sul capitale naturale. 11 Il non aver attribuito in passato un ruolo adeguato al Capitale Naturale rappresenta oggi un problema prioritario in ambito politico. Significa in altre parole non aver fornito, nell’ambito dei sistemi contabili e statistici (con cui si valutano le performance delle imprese, società e sistemi economici) un valore ai sistemi idrici, alla rigenerazione del suolo, alla composizione chimica dell’atmosfera, alla ricchezza della diversità biologica e alla fotosintesi, tutti fenomeni rispetto ai usali le nostre società presentano ormai pesanti deficit. 2017, Primo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia. Finalmente anche in Italia nasce tale rapporto, da tali rapporti è possibile ottenere tuti i dati relativi al capitale naturale, mostrati attraverso indicatori elaborati ad hoc. Attraverso questi indicatori è possibile monitorare tutti i servizi derivati dal capitale naturale e finalmente è stato possibile valutare la situazione quantitativa e qualitativa del capitale naturale in Italia. Fino al 2017 quindi, il Capitale Naturale non è stato soggetto aduna contabilità “ufficiale” ed estesa tranne alcuni flussi di materia utilizzati nelle attività economiche, ma misurati solo in termini fisici. La totale assenza di una misurazione o la sottovalutazione del valore del capitale naturale e dei servizi da esso forniti, può portare a scelte sbagliate con rilevanti costi, diretti e indiretti, non solo nell’immediato ma anche a medio e lungo termine. Nel 2015 in Italia è stata approvata con il cd. Collegato Ambientale alla legge di stabilità 2014, una vera e propria legge in materia ambientale per promuovere le misure per la transizione verso la green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali. Grazie all’introduzione di questa legge è stato istituito il “Comitato per il capitale naturale”, organo presieduto dal ministro dell’ambiente e composto da altri diversi ministri, è grazie ad esso che nel 2017 è stato stipulato il “Primo rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia”. Fanno anche parte del comitato un rappresentante ANCI, un rappresentante della Conferenza delle Regioni, il Governatore della Banca d’Italia, i presidenti di ISTAT, ISPRA, CNR, ENEA. La tutela del capitale naturale è necessaria per il raggiungimento del disaccoppiamento tra gli indicatori, per rimanere all’interno dei limiti del pianeta, per imitare la scarsità delle risorse naturale, per mantenere sotto controllo il debito naturale e per il raggiungimento di un benessere equo e sostenibile (BES). Il capitale naturale fornisce un’idea tutti quei servizi senza i quali a vita sarebbe pressoché impossibile e per questo motivo è diventato sempre più importante considerarlo non solo da un punto di vista etico e naturale ma anche in un’ottica economica. Nel tempo i servizi ecosistemici sono stati oggetto di diverse classificazioni: 1) MEA (Millenium Ecosystem Assessment); 2) TEEB (The Economics of Biodiversity and Ecosystem Services); 3) CICESv4 (Common International Classification of Ecosystem Services v4). I servizi ecosistemici possono essere raggruppati in: - Servizi di approvvigionamento, tutte quelle risorse prodotte dal capitale naturale che possono essere utilizzate dall’uomo (cibo, acqua, materie prime); - Servizi di regolazione, quando gli ecosistemi svolgono delle funzioni che permettono all’uomo d vivere sul pianeta terra (clima, impollinazione, attività svolta dalle foreste); - Servizi culturali, tutti quei servizi immateriali che derivano dagli ecosistemi (paesaggio, aspetti estetici e creativi che agevolano il benessere); - Servizi di supporto, quei servizi di cui l’uomo usufruisce indirettamente per mezzo di altri servizi (la formazione di elementi che vanno a costituire il suolo e quindi a prendere parte al ciclo nutritivo). Il TEEB, iniziativa internazionale con lo scopo di attirare l’attenzione sui benefici della tutela ella biodiversità, richiama più dettagliatamente le categorie dei servizi ecosistemici, esempi: - Approvvigionamento: cibo prodotto da ecosistemi agricoli o marini; materiali vergini e energia; 12 I prodotti sostenibili secondo la visione OCSE: la creazione di manufatti che utilizzano processi che minimizzino gli impatti ambientali negativi , risparmio energia e risorse naturali, sono sicuri per i dipendenti, le comunità, i consumatori in modo economicamente sano. Un’impresa sostenibile cerca di ridurre al minimo i rischi aziendali inerenti a qualsiasi operazione di produzione e cerca di massimizzare le nuove opportunità che derivano dal miglioramento dei processi e dei prodotti. La sostenibilità non è soltanto ambientale, ma riguarda anche altri fattori (es. attenzione alla salute, attenzione alla comunità). L’OCSE ha sviluppato un modello per stabilire le performance green e le relazioni di un’impresa sostenibile. Si tratta di un modello circolare che ricorda i modelli di gestione della qualità aziendale e/o ambientale (es. PDCA), l’approccio infatti si basa sul miglioramento continuo delle prestazioni. Prepara: l’obiettivo è quello di analizzare gli impatti generati e fissare gli obiettivi creando eventualmente uno o più gruppi di lavoro con personale di preparazione adeguata. Bisogna scegliere poi gli indicatori di performance necessari, identificare gli indicatori importanti per l’impresa e i dati che devono essere raccolti per guidare una crescita verde e progredire nel tempo. Misura: una volta individuati obiettivi e indicatori, questi vanno misurati. Quindi bisogna: - Misurare gli input usati per la produzione, identificare quali materiali e quali prodotti intermedi possono essere causa di impatto sull’ambiente. - Analizzare tutte le fasi operative dell’azienda, valutare gli impatti di ogni processo e ogni passaggio, l’intensità energetica, i flussi di materia e d’acqua, le emissioni di GHG, i reflui liquidi e gassosi, i rifiuti solidi. - Valutare i prodotti e i servizi, identificare fattori come il consumo di energia, la riciclabilità, l’eventuale presenza di sostanze tossiche, vado cioè a dare una misura di quantitativa di ciò che emerge grazie all’utilizzo di questi indicatori. Progredisci e migliora: capire i risultati misurati, valutare gli indicatori e comprendere le tendenze e le potenzialità di miglioramento. Prendere misure e intraprendere azioni per migliorare la performance, sfruttare le opportunità e operare le scelte e la programmazione che possono far progredire l’azienda, fissando chiari target e determinando i passaggi necessari. Imprese nella green economy: facendo riferimento al mondo industriale, per quanto riguarda gli obiettivi green, ogni azienda decide se fissare come suo obiettivo quello di trasformare il processo di produzione in un processo eco-compatibile, quindi green; oppure trasformerà il suo prodotto o servizio in un prodotto o servizio green. Si distingue quindi in : 1) Core-green: imprese che producono beni o servizi di valore ambientale; 2) Go-green: imprese che hanno adottato modelli green di business. Il loro business non è legato ad un prodotto verde, ma applicano le politiche ambientali nelle fasi dell’organizzazione aziendale. Quindi, nella green economy, le imprese possono essere tali all’origine; oggi, però, un sempre maggiore interesse è rivolto alla grande massa di imprese in transizione verso la green economy, per esse vanno valutate quattro caratteristiche essenziali, quali: 1) Qualità delle motivazioni; 2) Livello dell’eco-innovazione; 3) Risultati ambientali e la qualità ecologica; 4) Il modello i business adottato a cui si chiede di mettere lo sviluppo sostenibile al centro delle decisioni strategiche aziendali. A livello di imprese, la green economy include: 15 1) Sia imprese orientate ad un mercato che richiede beni e servizi ambientali; si parla pertanto di Green Business oriented, ovvero imprese che producono una tecnologia, un prodotto o un servizio che minimizza l’impatto ambientale di altri soggetti lungo la filiera senza fornire garanzie palesi sul ridotto impatto ambientale del proprio processo/prodotto. È stimolato più da logiche di mercato ma non è detto che produca benefici diretti nel territori su cui insiste (“sono verde perché l’ambiente è il mio business”). 2) Imprese orientate a produrre con un minore impatto ambientale; ci si riferisce quindi a imprese Green Production oriented, che approcciano il tema della sostenibilità ambientale intervenendo prevalentemente sul proprio p esso produttivo o tramite l’applicazione di tecnologie a ridotto impatto ambientale. A prescindere dalle motivazioni di partenza, è sinonimo di benefici diretti per l’ambiente locale su cui le organizzazioni operano (“sono verde perché produco riducendo i miei impatti sul territorio”). Un prodotto è sostenibile se rispecchia alcune esigenze tipiche della nostra società nella logica della tutela delle generazioni future. Il consumo si dice sostenibile se richiede/porta al cambiamento del modello economico attuale basato sulla teoria della crescita, sulla finanziarizzazione e lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali. Porta inoltre alla ridefinizione della catena del valore. Le buone pratiche di consumo sostenibile consentono interessanti contaminazioni tra gli strumenti dell’economia tradizionale e dominante e quelli dei modelli economici alternativi. In Italia i principali strumenti per il raggiungimento della Produzione e Consumo Sostenibile (SCP) sono: - strumenti di analisi: LCA (Life Cycle Assessment), LCT (Life Cycle Thinking), ecc.; - Strumenti di comunicazione delle prestazioni ambientali dei prodotti: ecolabel, DAP (Dichiarazione Ambientale di Prodotto), altre etichette; - Strumenti di gestione ambientale: EMAS, ISO 14001; - Acquisti verdi; - Strumenti economici di varia natura. A partire dagli anni ‘70 si trovano le prime applicazioni della teoria del LCT. È stata inizialmente utilizzata come supporto alle decisioni delle grandi aziende statunitensi, dall’EPA (Environmental Protection Agency) e dai produttori di bottiglie inglesi. L’obiettivo principale era caratterizzare il ciclo di vita di alcuni prodotti ottenuti da importati produzioni industriali. Lo scopo principale era confrontare, da un punto di vista ambientale, funzioni equivalenti ma con l’utilizzo di materiali e soluzioni diversi. Tra la fine degli anni ’60 e inizio ’70 la stessa Coca-Cola commissionò alcuni studi per stabilire le conseguenze ambientali e le opzioni energeticamente ed ecologicamente migliori relative alla produzione di diversi tipi di contenitori per le sue bevande, seguendo due logiche: 1) Quale materiale utilizzare (plastica, vetro o alluminio); 2) Quale strategia di impiego a fine vita del contenitore (a perdere o a rendere). Oggi i confronti sui materiali da imballaggio, basati su logiche LCT/LCA sono molto diffusi in tutto il mondo ed in tutti i settori del packaging alimentare. Definizione di LCA: procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici ambientali relativi 16 ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività comprendendo tutte le fasi che vanno dall’estrazione e trattamento delle materie prime fino al riciclo e smaltimento finale. Economia circolare Nuovo modello di economia che va all’interno del concetto di green economy. È una società definita più sobria per l’utilizzo di risorse naturali. Questa condizione implica un riprogettamento del modello economico attuale e una transizione verso nuovi modelli economici. Si tratta di modelli che hanno l’obiettivo finale del raggiungimento dello sviluppo sostenibile, che si deve basare sulla valorizzazione: 1) del capitale economico (investimenti e ricavi); 2)del capitale naturale (risorse primarie e impatti ambientali); 3) del capitale sociale (lavoro e benessere). Presupposti dell’economia circolare: alla base del modello circolare ci sarebbe l’assenza totale del rifiuto, il cui concetto va ripensato e riprogettato. I componenti di un prodotto possono essere progettati per adattarsi all’interno di un nuovo ciclo produttivo, ovvero adatti per lo smontaggio e la rigenerazione (refurbishment), la ricostruzione (re-manufacturing) o la rideterminazione (repurposing). In questa ottica il rifiuto viene considerato come una “sostanza nutritiva”, pertanto bisogna fare riferimento a due macro-categorie di elementi, i nutrienti biologici, che sono tutti quei prodotti costituiti da materiali biodegradabili, che quindi possono essere reinseriti nei cicli produttivi in quanto compostabili, e i nutrienti tecnici, che sono tutti quei materiali artificiali, che na vota utilizzabili non sono biodegradabili, ma devono essere necessariamente differenziati ed essere riutilizzati e quindi riciclati. Un altro concetto alla base dell’economia circolare è la resilienza, resiliente viene considerato un sistema in grado di riassorbire un impatto esterno e di ritrovare le sue condizioni di equilibrio. In un modello circolare la resilienza deve essere costruita attorno a quella che è la diversità, più un ecosistema è costituito da un’elevata biodiversità e più risulta essere resiliente. In termini generali quindi, la resilienza rappresenta la capacità di un sistema di riadattarsi al cambiamento. Il modello di economa circolare prevede una nuova forma di pensiero delle fasi dell’attività economica che agisce: sul reperimento delle risorse; sulla produzione dei beni e dei materiali, con lo scopo di ridurre la quantità di materia e energia utilizzata, di gannire maggiori performance di durata già ella fase progettuale e massimizzare la riutilizzabilità e il recupero una volta che il prodotto giunge a fine vita; sulla gestione finale dei rifiuti, in modo integrato e sostenibile. Le principali critiche mosse verso il modello tradizionale (estrai-produci-getta) riguardano lo spreco di materiali, le perdite di risorse lungo la catena del valore e le quantità di rifiuti create, un lusso che la società attuale non può permettersi. Uno dei presupposti dell’economia circolare è quello di approcciarsi non più secondo il concetto “dalla culla alla tomba”, ma un concetto differente, quello “dalla culla alla culla”. Emerge già dagli anni ’80 anche se la ver teoria sull’economia circolare emerge più avanti. Vengono quindi introdotti 2 nuovi concetti, che fanno riferimento sempre alla gestione di rifiuti, abbiamo la fase dell’approvvigionamento, della produzione e del consumo, ma alla fine nella parte relativa alla gestione dei rifiuti, rispetto al concetto tradizionale interviene la raccolta dei rifiuti con la successiva differenziazione ed il conseguente riciclo. Concetto di qualità fondamentale nell’economia circolare, i nutrienti, soprattutto quelli tecnici, devono mantenere un certo livello di qualità per poter essere riutilizzati o trasferiti in un determinato ciclo produttivo. Nell’ottica del nuovo modello circolare, l’UE interviene con un piano d’azione, quindi con un pacchetto sull’economia circolare. Un documento non vincolante, che contiene linee guida; pubblicato nel 2015, revisionato nel 2018. I testi revisionati contengo diverse modifiche alla normativa europea vigente e dovranno essere repeti nell’Ordinamento Nazionale entro il 5 luglio 2020. La Commissione europea ha ultimato le attività che riguardano la c.d. Strategia sulla Plastica, inserita anch’essa nel Piano d’azione 17 assuma volta si concentra sulla gestione dei rifiuti, alla cui base c’è la prevenzione e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse. Il perimetro dell’economia circolare si allarga alla resilienza degli ecosistemi e al benessere umano. Parole chiave dell’economia circolare: - disassemblaggio: progettare e produrre prodotti che siano in grado di essere smontati al termine del loro ciclo di vita, nell’ottica che in tutto o in parte possano essere riutilizzati, o che comunque possano prevedere la sostituzione di parti difettose; - Riciclabilità; - Modularità: insistere cioè su beni che siano modulari; - Riparabilità e manutenzione; - Sostituzione di sostanze pericolose, visto che a fine vita il bene dovrà sere riutilizzato, in mancanza di sostanze pericolose sarà più facile riutilizzare il bene. - Riutilizzo; - Raccolta; - Rigenerazione; - Qualità del riciclo: evitare che durante il processo di riciclo ci sia un’alterazione delle caratteristiche dei materiali tali da non consentire un nuovo utilizzo. Una riduzione della qualità del materiale porta inevitabilmente ad una riduzione del valore economico dello stesso. - Produrre solo quello che si può “ricircolare”: nel nuovo paradigma non si generano più rifiuti che non possono essere riciclati o residui che non possono essere riutilizzati in altri cicli produttivi. Nel 2015 la Commissione europea ha pubblicato il Piano d’Azione dell’Unione Europea per l’economia circolare: “L’anello mancante”. Il Piano prende in considerazione 5 ambiti specifici di azione, tipici della catena del valore di un prodotto o servizio: 1) Progettazione dei prodotti stessi; 2) Produzione; 3) Dinamiche di consumo; 4) Gestione dei rifiuti; 5) Mercato delle materie prime seconde. In ottica di circolarità deve essere ripensato il modello alla base della progettazione, il design diventa fondamentale. Ciò consente infatti di essere agevolati nelle eventuali riparazioni del prodotto, il produttore quindi deve interessarsi anche alle fasi successive alla vendita (manutenzione e riuso, fine vita). L’approvvigionamento diventa importante. Il Piano d’azione della Commissione europea si concentra su 5 settori prioritari: 1) Plastiche; 2) Rifiuti alimentari; 3) Materie prime critiche; 4) Materiali da costruzione; 5) Biomasse e prodotti biologici. 20 L’attenzione particolare ai cinque settori è legata alla specificità dei prodotti, alla catena del valore, all’impronta ambientale e alla dipendenza da materie prime di importazione provenienti da Paesi terzi extra europei, che posseggono la maggior parte delle riserve terrestri. Azioni strategiche sulle plastiche: estesa a tutta la catena del valore del settore per favorire la prevenzione e il riciclo dei rifiuti; alternative allo smaltimento in discarica o per incenerimento, la non-dispersione nell’ambiente, con tutte le problematiche connesse, compreso l’inquinamento dei mari. Azioni strategiche per i rifiuti alimentari: misurare la quantità di rifiuti alimentari effettivamente generati lungo tutta la catena del valore; mirare al conseguimento di obiettivi di riduzione; lanciare una piattaforma dedicata allo spreco alimentare per raccogliere buone pratiche e innovazioni funzionali a tale obiettivo. Materie prime critiche: si tratta di materie in cui l’Europa è fortemente dipendente dall’importazione (es. terre rare). Saranno necessari, perciò interventi per favorire il recupero dai prodotti a fine vita fissando obiettivi più vincolanti in materia di rifiuti, e in particolare di quelli derivati da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE); promuovere l’eco-design e favorire lo scambio di informazioni tra fabbricanti e imprese di riciclaggio; introdurre specifiche norme per il riciclo di qualità e promuovere il potenziale delle materie prime riciclate presso gli operatori. I tre livelli dell’economia circolare: sono stati individuati a seguito delle pubblicazioni della fondazione Ellen Macarthur. I tre livelli in questione sono Macro, Meso e Micro. La misurazione dell’economia circolare si basa sulla misurazione degli aspetti fisici ed economici dei sistemi pres insieme. ‘Economia circolare utilizza strumenti ed indicatori di tipo economico per valutare il grado di circolarità di un paese, una regione, una città, un prodotto o un servizio, una risorsa materica, idrica o energetica. Vanno inoltre utilizzati strumenti ed indicatori in grado di misurare la parte fisica dell’economia circolare, cioè i flussi di materia ed energia, relativi ad un sistema economico. 21
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