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Manganelli - Pinocchio: un libro parallelo, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

sintesi dei principali contenuti e citazioni del testo

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 04/07/2021

camilla-cacciamani
camilla-cacciamani 🇮🇹

4.8

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Scarica Manganelli - Pinocchio: un libro parallelo e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli è un libro che nasce dalla fantasia dell’autore sul modo di leggere libri: ogni pagina può dilatarsi all’infinito perché ogni parola ne nasconde un’altra e scatena la fantasia e il ragionamento di un attento lettore, che può fermarsi ore davanti al più insignificante degli oggetti che però gli racconta una storia. Di conseguenza, il libro si dilata all’infinito, eppure non è mai fittizio. Ogni grande libro genera infiniti libri, perché un buon commentatore non parla delle parole che si leggono ma piuttosto di quelle che si nascondono. Capitolo I: Il “c’era una volta” dà immediatamente accesso al luogo della fiaba, che tuttavia si delinea subito come una fiaba diversa, in quanto viene chiarito che non tratterà di un re. Tale inizio è definito catastrofico e provocatorio nel confronti dei “piccoli lettori” che solo di fiabe sono competenti. Manganelli si chiede se questo non sia un tentativo di uccidere la fiaba, e in che misura e modo il re non sia presente in essa: potrebbe essere presente nella forma che gli consente di essere ovunque, ovvero l’assenza, oppure potrebbe essere nascosto in un oggetto, in un’immagine, in un personaggio. Comunque, al posto del re abbiamo un “semplice pezzo di legno da catasta”: ci si chiede perché sia quest’ultimo ad essere presente al posto del re e da dove venga, in quanto sembra essere “capitato” nella bottega di maestro Ciliegia, dando l’impressione che abbia lui stesso scelto di recarvisi. Questa sua autonomia ci fa interrogare su una sua eventuale trasformazione o nascita, mentre si delineano due destini paralleli: è sia legno da ardere (e che quindi non ha futuro) che legno che può essere lavorato per farne la gamba di un tavolino, e quindi che chiama a distruzione e cenere, ma insieme vuole diventare e trasformarsi. In quanto a maestro Ciliegia, appare come un estraneo in quel contesto fiabesco, non avendo alcun tratto distintivo se non quello di bere e di avere allucinazioni oltre al fatto di non porsi alcun interrogativo su quel che gli accade (il pezzo di legno comparso nella bottega). Ma come l’appellativo suggerisce, questo personaggio ha anche una vocazione pedagogica: essendo il destinatario sbagliato che ignora il destino, ha il compito di rendere il pezzo di legno consapevole del proprio (“levargli la scorza”, “digrossarlo”, “ora lo accomodo io!”). Il pezzo di legno, oltre a capitare nella bottega, sa anche parlare, e rivela la sua “vocina” infantile. Ciò disorienta maestro Ciliegia, che guarda ovunque al fine di capire da dove la vocina provenga. Manganelli insiste sul fatto che guardi all’interno di “un armadio che stava sempre chiuso”, considerandolo un comportamento maniacale e interrogandosi sul perché un uomo pragmatico come lui debba tenere un oggetto così ingombrante e inutile. L’armadio potrebbe essere un luogo in cui si nasconde la follia di maestro Ciliegia. Comunque, non vedendo nessuno e non sentendo nulla, si rassicura. Preferisce accettare la sua tendenza allucinatoria piuttosto che trasferire l’allucinazione nel mondo. La curiosità di Manganelli viene scatenata anche dalla decisione dell’uomo di canterellare per tranquillizzarsi: cosa avrà cantato? Canta solo per paura? Capitolo II: Il “c’era una volta”, oltre a calarci nell’ambito della fiaba, non offre nessi causali né temporali, quindi, nonostante maestro Ciliegia si fosse appena affacciato sulla strada senza vedere nessuno, qualcuno bussa alla sua porta. Geppetto indossa una parrucca gialla che gli vale il soprannome di “Polendina”, che tanto lo innervosisce, e che è associata ad una sorta di travestimento. Il colloquio tra i due è sgarbato e frettoloso. Il sarcasmo di maestro Ciliegia che afferma di essere a terra per “insegnare l’abbaco alle formicole” ci riporta nella dimensione pedagogica, così come farà un altro animale ironico e pedagogico dicendo al pezzo di legno di divertirsi a “contare le formicole”. Geppetto vuole fabbricare un burattino: ciò suggerisce che non ha un mestiere stabile/certo, oltre a rivelare il sogno adolescenziale di “girare il mondo”. Inoltre, le parole “pane e vino” gli conferiscono i poteri di taumaturgo e la sua consapevolezza del destino. La natura di Geppetto ha qualcosa di vegetale che lo rende parente del pezzo di legno che lo è andato a cercare: il granturco della parrucca, il pane e il vino di cui vuole nutrirsi, il peperone a cui somiglia quando si adira. Infatti, il pezzo di legno riconosce in Geppetto il destinatario giusto approvando il suo progetto di fabbricare un burattino. L’insolenza che gli rivolge chiamandolo “Polendina”, poi, tradisce un’intimità tra i due, oltre a rivelare di conoscere un soprannome che fino ad allora non era mai stato pronunciato. Comunque, molti personaggi sembrano conoscere Pinocchio da sempre. Un altro aspetto interessante è che nella lite con maestro Ciliegia, Geppetto gli rivolge insulti quali “asino”, “somaro”, “scimmiotto”. Capitolo III: È il capitolo della nascita di Pinocchio, che si apre con la descrizione della casa di Geppetto. Manganelli nota che si fa riferimento ad un sottoscala, che quindi dovrebbe portare ad un altro piano e ad altre stanze, a cui però non si fa mai cenno, facendoci immaginare la casa come un luogo inconcluso. Inoltre, anche qui è presente un “tavolino rovinato”, che ricorda la gamba di tavolino che maestro Ciliegia voleva sistemare. Comunque, la casa di Geppetto ha un interno povero: al muro è dipinto un fuoco con il caminetto acceso con accanto una pentola che bolle. La casa si lascia così inventare, ma il dipinto ha anche una funzione rassicurante: il fuoco non scalda e non brucia, la pentola non sfama ma neanche chiede che si mettano ad ardere pezzi di legna parlanti (come voleva fare maestro Ciliegia). Non sappiamo se sia stato Geppetto a dipingere la parete, in quanto lo vediamo intagliare e scolpire ma mai dipingere, e possiamo supporre che la casa abbia dipinto da sé quell’immagine, che non riproducendo alcun suono, inasprisce la solitudine che la caratterizza. Per quanto riguarda la scelta del nome del burattino, Manganelli dubita che Geppetto abbia davvero conosciuto una famiglia di Pinocchi, piuttosto ciò serve a legare il burattino a un destino caratterizzato da povertà. Della famiglia di Pinocchi dice: “il più ricco di loro chiedeva l’elemosina”. Mentre Geppetto lavora, il pezzo di legno è stranamente silenzioso: è come se ora dovesse attendere di avere una bocca e una lingua per poter parlare, e al tempo stesso fa dubitare della consapevolezza dell’artigiano riguardo a ciò che sta portando in vita. Fin da subito, comunque, emerge l’impertinenza di Pinocchio: gli occhi diventano “occhiacci”, il naso cresce nonostante venga più volte accorciato, la bocca “canzona” Geppetto e le mani gli rubano la parrucca gialla. La reazione e i divieti di Geppetto sono quelli tipici di un genitore, tuttavia Manganelli non è totalmente d’accordo sul suo ruolo di padre. Se da un lato, in quanto generante di Pinocchio gli spettino la sfida e la ribellione filiale che scaturiscono dalla sproporzione tra il nascere e il cominciare immediato a morire, dall’altro è Pinocchio che si è proposto a Geppetto, la sua vita è cominciata nel momento in cui si è staccato dalla pianta, è come se fosse lui stesso il portatore del proprio grembo, quasi a sostituire la figura materna. Inoltre, Pinocchio non conosce la crescita: non conosce l’apprensione del futuro né è depositario del passato. Geppetto è per lui, quindi, una sorta di custode e pedagogo. Pinocchio fuggirà varie volte, accostando la sua immagine a quella di lepri e capretti in un mondo di cacciatori. A bloccare la sua prima fuga è un carabiniere, che lo acciuffa per il naso. Tuttavia, i compaesani di Geppetto, che le voci che mettono in giro, lo fanno arrestare. Si dice che è “un vero tiranno con i ragazzi” e che “se gli lasciano quel burattino è capacissimo di farlo a pezzi”. In questo modo, viene da chiedersi se questa associazione tra ragazzi e burattini abbia fatto parte del passato di Geppetto, o se le voci siano dovute al fatto che Geppetto è una figura che spaventa. Appare incredibile che colui che ha appena portato a termine una creazione sia accusato di essere un torturatore, ma allo stesso tempo, è ciò che significa essere padre. Capitolo IV: La prigione sembra essere l’unico modo per proclamare l’innocenza di Geppetto, essendo un luogo che accoglie esclusivamente innocenti, in quanto ha a che fare con la legge e la sua violenza, non con la giustizia. Così, indirettamente, Geppetto espia la sua “colpa” paterna. Ma anche il figlio è colpevole, colpevole in quanto figlio, sciagurato in quanto ha un padre. Tornato a casa Pinocchio mette il paletto alla porta (per tenere fuori i cacciatori che lo inseguiranno sempre e ovunque), e si rinchiude in quella che scopriamo essere un’unica stanza, abitata da oltre cento anni anche da un Grillo parlante (il primo animale parlante finora – prima erano nominati come insulti o metafore). Nel “cri-cri-cri” del Grillo sente chiamare il suo nome, rivelando la sua consapevolezza dell’intimità. Poi non sociale, come deve essere in un mondo in cui la potenza è divisa tra il Re e il Mendicante, anche se qui il Re è introvabile. Capitolo IX: È evidente ormai che Pinocchio sia nato accerchiato dalla sventura. Nel suo tragitto verso la scuola è pieno di buoni propositi, vuole studiare e guadagnare per poter comprare a Geppetto una giacca. Inizialmente pensa ad una giacca di panno, ma poiché sta “onestamente mentendo”, diventa una giacca d’oro e d’argento. Poi, nel bel mezzo delle sue buone intenzioni, lo raggiunge la musica di un circo, luogo di fughe, tentazioni e scoperte. Significativamente, la strada che lo porta al circo è “lunghissima” e “traversa” rispetto a quella che lo porta a scuola, ma decide comunque di percorrerla. Arrivato al circo, deve chiedere a qualcuno di leggere per lui il cartello, su cui è scritto “Gran Teatro dei Burattini” a lettere “rosse come il fuoco”. La rievocazione dell’incubo del burattino è costante, il circo è fuoco e Pinocchio ne è affascinato, insidiato, aggredito, non può rinunciare alla propria morte, questo tema lo insegue. Anche le scarpe di scorza d’albero che vorrebbe vendere per accedere al circo sono “buone per accendere il fuoco”, Pinocchio è irreparabilmente combustibile. Vende, quindi il suo Abbecedario a un venditore di panni usati, un uomo tetro e associabile a miseria e decadenza. Vendendo l’Abecedario, Pinocchio si è liberato dalle imposizioni della realtà o è stato sedotto dal fuoco? Il fuoco è segno di distruzione o valico da varcare? Capitolo X: Bisogna tenere presente che la logica del Gran Teatro è esclusiva, nel senso che coloro che ne fanno parte non esistono altrove. Pinocchio, invece, ne fa parte pur essendo un estraneo, un itinerante. Quanto ai burattini, recitano una finta metamorfosi, in realtà vivono quella esperienza come una degradazione dell’umano; gli spettatori credono che i burattini siano tanto bravi da farsi passare per esseri umani senza tuttavia nascondere la finzione. Comunque, Arlecchino smette di recitare perché riconosce Pinocchio, e lo chiama. Tuttavia, le parole che usa sono un misto di falsità, di emotività, di impeto, in quanto si trova pur sempre all’interno del Gran Teatro, dove esiste solo la recitazione, non esiste un linguaggio privato. Inoltre, i burattini si riconoscono come “fratelli” di Pinocchio. In che modo sono fratelli? Sono stati fratelli nella selva originaria, dove fin da allora erano teatranti per destino. Ma allora perché Pinocchio ha percorso una strada diversa? Nessuno chiede a Pinocchio di restare, forse perché queste poche ore da umano lo hanno già reso estraneo. Appare il burattinaio, che fa parte del Gran Teatro ma è fondamentalmente un Orco. Anche lui è tenuto a quel linguaggio della recitazione, ma il risultato è un altro linguaggio, quello del Teatro dei Teatri. Quindi, nel “c’era una volta” si inserisce il linguaggio del Gran Teatro, estraneo al primo (solo Pinocchio partecipa a entrambi), e all’interno del Gran Teatro, il linguaggio dei burattini è diverso da quello del burattinaio. Il linguaggio del burattinaio è particolare: si rivolge a Pinocchio “con un vocione da Orco gravemente infreddato”. La sua voce diventa duplice, perché il raffreddore fa pensare che il suo vocione non sia naturale, che anche la sua voce sia parte di un copione. Pinocchio è in grado di riconoscere la recitazione perché viene da fuori, e invece di smentirla, vi si inserisce. Infine, affermando di non voler morire, svela come abbia orrore della morte perché non saprebbe recitarla: per poter morire dovrebbe ancora vivere. Capitolo XI: Mangiafuoco si conferma essere un personaggio duplice. Abbiamo visto che non è attendibile come Orco, e ne abbiamo la conferma in questo capitolo. Mangiafuoco deve inventare un percorso indiretto per mettere in atto le tenerezze di cui è capace. Quindi, come Orco dà ordini terribili, gli ordini terribili generano suppliche, le suppliche consentono di concedere la grazia senza cessare di essere tirannico, guadagnando così devozione. Vediamo Mangiafuoco commosso e turbato dalla sua stessa tirannia attraverso lo starnuto, il suo modo di esibire la commozione essendo Orco di teatro. Pinocchio per la prima volta tocca uno dei grandi temi della sua storia, il fatto che non abbia mai conosciuto la madre. L’Orco ha così un’occasione per graziare Pinocchio, ma in cambio ordina di buttare Arlecchino nel fuoco. Tocca così a Pinocchio recitare la supplica. Inizialmente lusinga Mangiafuoco, poi si offre eroicamente di essere gettato al suo posto tra le fiamme, trasformandosi linguisticamente in un burattino del Gran Teatro. Mangiafuoco chiede un bacio a Pinocchio, che significativamente glielo dà in un luogo pinocchiesco, il naso. Inoltre, offrendosi di essere gettato nel fuoco, Pinocchio si è riconosciuto come “pezzo di legna da catasta”, segnando una distanza infinita dagli altri burattini, perché ha incontrato se stesso e si è riconosciuto, si è salvato. Un’altra interpretazione del rapporto tra Pinocchio e Mangiafuoco è che Mangiafuoco sia alleato di Pinocchio nel comune complotto di distruggere l’Orco, e quindi se stesso. Nel mondo del Gran Teatro, tutti sono inesauribilmente contraddittori, e nessuno lo è più di Mangiafuoco. C’è anche un’esigenza di morte, nel senso che ciascuno vuole cessare di essere quell’altra cosa che la sua condizione teatrale gli impone di essere. Ma dal Gran Teatro non si può uscire, perché la duplicità delle parti si ricompone. Capitolo XII: Mangiafuoco regala cinque monete d’oro a Pinocchio, un dono dal sapore regale. Un dono che cambia il futuro di Pinocchio. Sulla via di casa, gli vengono incontro due personaggi che personificano la frode, l’errore, la benevolenza, l’indulgenza, la ferocia. La Volpe finge di essere zoppa, il Gatto di essere cieco. Sono la Provvidenza capovolta, conoscono le virtù ma ne praticano il negativo. Per la prima volta Pinocchio si stupisce che qualcuno sappia il suo nome (né il Grillo né il pulcino lo avevano stupito), e questo stupore ci fa capire che è definitivamente lontano da casa. Pinocchio, dopo essere stato un pezzo di legno e un burattino tra i burattini, diventa un vagabondo inesperto e astuto. Quando Pinocchio confessa di avere molte monete, i due si rivelano: la Volpe ride, esibendo la sua vanità da usuraia, il Gatto attenua il sorriso pettinandosi i baffi. Mettono la loro esperienza al servizio di Pinocchio, consigliandogli di non andare a scuola. A questo punto compare un Merlo, che legittimamente conosce il nome del burattino, e gli dice di non dargli retta. Il Gatto se lo mangia, giustificando il suo atto come pedagogico: “un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri”, dopotutto Pinocchio ha un’idea vaga di vita e morte. Oltre a ciò, questo episodio è molto simile a quello del Grillo. Comunque, la vocazione del Gatto e della Volpe è di natura provvidenziale e religiosa, anche se in negativo. La Volpe vuole moltiplicare le monete d’oro. L’associazione degli “zecchini” come semi fecondi rende Pinocchio colpevole di “un’usura vegetale”, un saccheggio della madre, in quel campo che dovrebbe lavorare durante il sonno del padrone. Infine, la Volpe sembra nascostamente avvertire dell’uccisione che sta per compiere in quella formula di “acqua e sale”, l’acqua che feconda e il sale che è sterilità e morte. Il vezzo del Gatto di ripetere le ultime parole della Volpe le conferisce un decoro paterno, ci fa pensare a Geppetto. Pinocchio, che in un primo momento sembrava ricordare la sua onesta menzogna di comprare una casacca di argento al padre, è piuttosto attratto dalla frode, dalla generosità dei ladri. Capitolo XIII: Pinocchio, di nuovo di fronte ad un bivio, sceglie ancora la strada sconsigliata e pericolosa. Deve costantemente disubbidire, avere paura e trovarsi di fronte alla morte. La strada che percorre con il Gatto e la Volpe è lunghissima: pare che i due siano forestieri, e che solo nel paese dei Barbagianni possano agire, con l’aiuto dei complici, mentre al di fuori di esso le loro frodi rischiano di essere smentite. L’impressione che si siano recati “altrove” è confermata dalla sosta all’osteria del Gambero Rosso, luogo di confine, amministrata da un Oste furbo e complice (un partente del mercante di panni lisi e del futuro omino di burro). Mentre Pinocchio ha un minuscolo pasto, sempre vegetale, il Gatto e la Volpe celebrano una virtù rovesciata, come di consueto. In questo caso è la sobrietà, esibita come un fastidio di stomaco che gli fa ordinare numerose e abbondanti portate. Dopo la sosta notturna, Pinocchio deve incamminarsi da solo nel buio totale. Tuttavia, percorre la strada come se la conoscesse, o come se fosse una sola, e solo degli uccelli gli attraversano la strada, quasi pare che vogliano fermarlo. Compare anche l’ombra del defunto Grillo, che conferma che Pinocchio si sta avvicinando al paese dei morti. Tenta di fermare Pinocchio e di farlo tornare indietro, ma il burattino, mosso dal suo “sogno mentitore” vuole andare avanti. Capitolo XIV: Pinocchio afferma “tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi”. Il burattino, che non può avere genitori, attira continui interventi paterni: Geppetto, il Grillo, il Merlo e di nuovo il Grillo. Ma Pinocchio diffida dei babbi, come anche degli assassini, contro cui il Grillo lo mette in allerta. Quando poco dopo gli assassini compaiono davvero, il Grillo “del malaugurio” diventa tale. Pinocchio nasconde la monete sotto la lingua e ritrova la recitazione del Gran Teatro facendosi maschera, recitando e muovendo il capo per non farsi scoprire dagli assassini che lo hanno messo a testa in giù. È singolare che Pinocchio non abbia sospetti sui due assassini, ma del resto, se potesse mettere insieme gli indizi, non si troverebbe costantemente intrappolato nell’errore e nella scelta sbagliata. Pinocchio riesce a fuggire, e di nuovo la sua corsa assume tratti animaleschi, perché gli assassini lo inseguono “come due cani dietro una lepre”. Allora si arrampica su un pino, una sorta di rifugio consanguineo e materno, e riesce a fuggire anche al fuoco. Manganelli nota il percorso cromatico di questo capitolo, l’alternanza di buio e luce, e si chiede verso quale luce si stia dirigendo Pinocchio. Capitolo XV: Pinocchio salta il fosso e si trova in un luogo profondamente diverso. Ha di fronte il verde scuro di un bosco in mezzo al quale c’è una casina bianca, candida come la neve. Il verde si contrappone al rosso del Gambero Rosso e del cartello del Gran Teatro, come anche del fuoco, mentre il bianco della casa sfida il buio della lunga notte di Pinocchio. Tuttavia, pur bussando con insistenza, Pinocchio non riesce ad entrare, la casa non lo vuole. Emerge una forte contrapposizione tra il Dio adescatore e moltiplicatore di monete, una divinità che non si nasconde, e la sordità di questa altra divinità che potrebbe salvarlo dagli assassini. Si affaccia alla finestra una bambina con i capelli turchini, che dice “in questa casa non c’è nessuno, sono tutti morti”. La Bambina stessa è morta, e si configura come la conclusione di un itinerario mortale. Pinocchio non capisce l’enigma della Bambina morta, ma ricorderà per sempre i suoi capelli turchini, del colore della notte serena. Quella casina in fondo al fitto e buio bosco sembra essere il deposito della morte, nonostante l’illusione di essere un luogo familiare. Tuttavia, è comunque acuta la sensazione che in quello spazio agisca un incantesimo, che la Bambina stessa sia una potenza incantata. Sembra essere luce prigioniera, ascolta, parla senza muovere le labbra, la finestra si apre e chiude senza che lei la tocchi. Tuttavia, quel potere resta chiuso in quella casa, come se lei stessa ne fosse prigioniera. Oppure, se tutti sono morti, la sua solitudine potrebbe anche significare il suo trionfo. Manganelli nota come Pinocchio, nell’ultima invocazione alla “morta” si definisca “ragazzo”. Comunque, gli assassini lo raggiungono e lo impiccano al ramo di una quercia, che ha insolitamente un nome, la Quercia Grande, il suo legno duro familiare al legno duro di pinocchio. La partenza degli assassini segna curiosamente la fine di Pinocchio, ma anche il suo inizio. Capitolo XVI: Inizia qui la seconda parte delle avventure di Pinocchio (la stesura dell’opera di Collodi si era inizialmente fermata al capitolo XV). È avvenuto un mutamento poiché Pinocchio è penetrato in un luogo liberatorio e potente, dove per la prima volta sperimenta la morte a causa dell’impiccagione, che è anche la conclusione di un itinerario, delle sue avventure infantili, che gli consente l’accesso ad una nuova regione. Vengono avanzate diverse ipotesi sul perché la Bambina si penta, di fonte alla morte di Pinocchio, di non averlo aiutato. Una possibilità potrebbe essere che la Bambina mentiva dicendosi morta per consegnare Pinocchio al supplizio. Infatti, la Fata utilizzerà menzogne dalla valenza pedagogica che hanno a che fare con il sonno, la morte, la lontananza. Però, in questo caso, il rifiuto di aiuto fa supporre un’alleanza indirettamente benevola tra la Bambina e gli assassini. Oppure, si può supporre che la morte di Pinocchio abbia un ruolo fondamentale nel mutamento della Bambina in Fata, che appunto avviene dopo la morte del burattino. Si delinea così l’immagine di una Fata che diventa tale e diventa buona solo dopo aver mandato a morte Pinocchio, ma è anche come se fosse Pinocchio stesso a scioglierla da questo incantesimo, o che quantomeno, solo attraversando entrambi la morte possono incontrarsi. Pinocchio viene finalmente ammesso in presenza della Fata, che chiama un Falco a soccorrerlo, diventando anche la signora degli animali, e potendo lei stessa diventare animale; tutto ciò che tocca è in continua di volpe. Il Serpente ha in comune con il Pappagallo la natura irridente. Il primo ride quando Pinocchio cade nel fango, il secondo quando scava forsennatamente in cerca del denaro. In entrambi i casi Pinocchio ha eseguito una scena comica, solo che il Serpente, dal troppo riso, muore. Infine, per cercare di prendere un grappolo d’uva, finisce in una tagliola per le faine: viene chiamato a sé dal mondo animale. Capitolo XXI: Inizia ora quella che Manganelli definisce un’avventura oscura e polivalente, in cui si mescolano temi morali e fantastici. La tagliola è una tortura per il legno delle caviglie del burattino, che però avevano sopportato la lama di un coltello e la brace, forse più in senso morale che fisico. Inoltre, Pinocchio mostra delle paure umane: il buio e la solitudine. Come spesso accade a Pinocchio nei guai, gli appare una presenza pedagogica, una Lucciola, che non può liberarlo, ma ammonirlo per aver tentato di rubare l’uva. Compare anche il padrone, che lo afferra come “un agnellino di latte” (di nuovo, la trasformazione in animale) e gli dice di sostituire il suo cane da guardia (curioso che ad un sospettato ladruncolo venga affidato questo ruolo). Pinocchio ha fin dalla nascita una vocazione metamorfica e teatrale, e può diventare tutto ciò che gli si chiede. Inoltre, la sua ambivalenza di devozione e fuga lo porta alla fedeltà e all’ubbidienza. Infatti, la sua solitudine è tale che diventa fedele all’uomo che lo considera ladro, e lo dimostra abbaiando. È come se queste sue trasformazioni lo interpretassero, e volessero essere da lui interpretate. Capitolo XXII: Quest’altra avventura è invece definita angosciosa e rivelatrice. Arrivano le faine, ladre, e propongono a Pinocchio gli stessi patti che avevano con Melampo, che è quindi un cane inaffidabile. Pinocchio finge di accettare, ma poi abbaia e le tradisce. Questa testimonianza di lealtà al padrone genera la sensazione che Pinocchio stia correndo un rischio morale e pedagogico. Infatti, Pinocchio è un personaggio complesso e multiforme, come anche il suo futuro. Appartiene sia al mondo degli animali, con i quali parla, che a quello della Fata, ma anche, in parte, a quello degli uomini. Essendo coinvolto in tutti gli strati dell’esistenza, è continuamente portato alla slealtà verso l’uno o l’altro, la degradazione fa parte di lui. Ma tradendo le faine sembra escludersi dal mondo selvatico e avvicinarsi a quello umano, si libera dalla condizione di servo in attesa della morte e si prospetta uomo. Il padrone, si rivela sadico e complice di briganti, consegnando le faine all’oste del paese vicino, complice dell’oste del Gambero Rosso. Per questo, quando afferma di non voler essere complice dei disonesti, la sua affermazione appare comunque ambigua. Capitolo XXIII: Pinocchio vuole tornare dalla Fata, ma si sa che ogni volta che vuole tornare a casa gli si apre di fronte un diverso itinerario. Quando si trova nel bosco, non vedendo la casa, ha un presentimento, per la prima ed unica volta nel racconto. Al posto della casa c’è una piccola lapide, dove è scritto “Qui giace la bambina dai capelli turchini morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio”. Sembrerebbe, quindi, che la fata sia ritornata bambina, e che sia morta di dolore perché pur essendo fata non può esistere se non viene riconosciuta. Vediamo che Pinocchio riesce a leggere pur non essendo mai andato a scuola, e questo, come il presentimento, rientra tra i poteri speciali/specifici del burattino. Comunque, Pinocchio si misura con la dimensione irreparabile della perdita, con l’irragionevolezza della morte (“perché sei morta?”), con la sua gratuità (si offre di morire lui in cambio), ed è atterrito dalla scoperta che se la mancanza di amore uccide, l’amore non ripara dalla morte. Tuttavia, vi è in lui anche una contraddizione in quanto burattino: Pinocchio vorrebbe strapparsi i capelli ma non può, pur avendo addosso le piaghe dell’umanità, gli resta anche un qualcosa di ridicolo, e nel momento in cui la sua disperazione diventa ridicola, è pronto per un’altra avventura. Compare un Colombo che gli dice che Geppetto lo sta cercando da quattro mesi, e lo porta sulla spiaggia sulla quale si trova. Questa nuova avventura, con destinazione amorosa, sembra cancellare il lutto dal cuore di Pinocchio. Ma arrivano in ritardo, Geppetto è già in mare, e il senso di perdita di Pinocchio si fa duplice. Inizia a parlare con una vecchina, anche se dal momento in cui è apparsa la Bambina, ogni donna è sospetta. Infatti, questa vecchina sa troppe cose. Comunque, seppure lontani, Geppetto e Pinocchio si riconoscono, ma subito la barca è travolta da un’onda e Pinocchio si butta in mare. Avviene un’altra metamorfosi, in cui Pinocchio è un legno che nuota, è sia nave che navigante. Ma soprattutto, a Pinocchio viene chiesto di non temere la morte, per amore, e il disubbidiente Pinocchio obbedisce. Infine, in questo capitolo la scomparsa è prossima a tutti i personaggi, che sfuggono, si fanno inseguire e si smarriscono. Capitolo XXIV: Le notti di Pinocchio sono tutte terribili e tetre e scandite da temporali. La tempesta cessa con il cessare della notte e appare un’isola su cui Pinocchio viene scaraventato da un’onda. Ora che Pinocchio ha superato la prova torna il sole, e sull’isola si asciuga i panni: saranno ancora quelli di carta di fiori? Pinocchio si rivolge ad un grande e garbato Delfinio, che gli svela l’esistenza di un grosso Pescecane, “più grosso di un casamento a cinque piani” e con una boccaccia in cui potrebbe entrare un treno “con la macchina accesa”. Il particolare della macchina accesa rivela l’entusiasmo di chi è ancora avvolto nella propria fantasia, ma anche il fatto che il Pescecane sia una sorta di “casamento” abitabile, che ospiti viaggiatori. Cosa possono saperne un delfino e un burattino di un treno? Ovviamente il treno è un’iperbole, che serve solo a comunicare paura. Pinocchio si avvia al “paese delle Api industriose”, dove tutti lavorano e non ci sono oziosi o vagabondi. Pinocchio capisce subito che quel paese non fa per lui. Infatti, affamato, chiede l’elemosina perché non vuole lavorare, e a chi gli offre un lavoro risponde che non è un somaro; una sorta di preveggenza. Compare infine una “buona donnina” che lo convince ad aiutarla a trasportare delle brocche d’acqua in cambio di un ricco pasto. Pinocchio accetta, rivelando un’idea favolosa di denaro, ma anche la sua impossibilità di resistere ai piaceri terrestri e umani. È la prima volta che Pinocchio mangia in modo felice e ricco, placando davvero la fame, tanto che ciò gli consente di vedere che la “buona donnina” è la fata. Capitolo XXV: Abbiamo la conferma che ogni volta la Fata deve essere scoperta. Non ha forma, attraversa un percorso di morte per riapparire in un luogo e in un ruolo diversi, alla morte resistono solo i suoi capelli turchini. Ora sembra cresciuta, sembra in grado di assumersi il ruolo di mamma. Non solo, dichiara anche di aver perdonato Pinocchio vedendolo piangere sulla sua tomba: di nuovo, la Fata ha bisogno di tormentare Pinocchio per cessare di essere morta. Intanto Pinocchio dichiara di essere stanco di essere un burattino e di voler diventare un uomo. La Fata spiega che dipende da lui, che deve meritarselo con lo studio, l’ubbidienza e la sincerità (“tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io”). Al suggerimento di andare a scuola, Pinocchio diventa serio e brontola, e la Fata, come aveva fatto il Grillo, gli parla di prigione e ospedale: i discorsi della morte e della trasformazione, del suicidio e della nascita sono inestricabilmente mescolati. Questo è il capitolo del rovesciamento del lutto: ritrovata la Fata, la morte di Geppetto sembra improbabile, e il mare in tempesta è un luogo in cui Geppetto è nascosto. Capitolo XXVI: Pinocchio va finalmente a scuola. È dignitoso e serioso, ma inevitabilmente i ragazzi lo sentono come diverso e vedono in lui la vocazione al gioco, alla recita. Sono dei vessatori, più degli adulti che Pinocchio ha incontrato, e non tollerano che quel “giocattolo” si rifiuti di farli divertire, oltre a non capire come quel burattino abbia moto e sensi propri. Pinocchio deve difendersi, e usa il suo legno come arma, guadagnandosi anche il rispetto dei compagni. Tuttavia ha delle frequentazioni da cui il maestro e la Fata lo mettono in guardia. Ma Pinocchio è tentato dalla disobbedienza, non può non trasgredire un monito, ma sembra anche che quegli ammonimenti della Fata abbiano il sapore di una sfida, come se Pinocchio possa realizzarsi solo attraverso la disobbedienza. Infatti, seguirà i compagni al mare, per vedere il Pescecane, che gli riporta alla mente Geppetto. Pinocchio andrà a vedere il pescecane anche per amore del padre, oltre che per amore della disobbedienza, e il suo gioco è di nuovo fuga. Capitolo XXVII: All’arrivo alla spiaggia, il Pescecane non c’è, i compagni hanno ingannato Pinocchio per fargli saltare la scuola. Ciò svela anche perché si guadagna il loro rispetto usando la violenza: i compagni credevano che a quella violenza si aggiungesse un’ideologia da monello, in quanto l’amore per la scuola di Pinocchio svelava la loro negligenza. Pinocchio, in una citazione dogmatica, paragona i sette ragazzi ai sette peccati mortali e inizia una lite. Si lanciano libri, che finiscono in mare, ma che anche i pesci rigettano, quasi fornendo attenuanti ai ragazzi. Compare un Granchio, che nel ruolo del Grillo, ammonisce i ragazzi, prevede la disgrazia, che puntualmente arriva. Un ragazzo viene colpito alla testa e cade a terra. Pur essendo Pinocchio innocente, ma essendo l’unico rimasto a soccorrerlo, viene arrestato: ha a che fare con la giustizia solo quando è innocente e vittima. In questo momento di crisi svela anche la sua ambivalenza affettiva, in quanto teme la sua buona mamma. Il destino gli parla per allusioni, e gli manda addosso un vento che gli fa volare il cappello. Con la stessa riverenza con la quale si era rivolto al Serpente, chiede ai carabinieri di poter recuperare il suo cappello, ma invece fugge, mostrando che non ha paura, li inganna, e questa volta non corre come un animale ma come una “palla di fucile”. Capitolo XXVIII: Pinocchio raggiunge la spiaggia e con un salto da ranocchio casca in acqua. Appare il contrasto tra la vita boscosa, selvatica che Pinocchio ha vissuto finora e l’avventura di mare per la quale si prepara adesso. Infatti, è stato paragonato a lepri, cani, capretti, e questo è il primo ranocchio, il primo anfibio. Alidoro, il cane che lo insegue, porta nel nome un che di servile e grazioso. Infatti, quando cade in acqua, non sapendo nuotare, chiede aiuto a Pinocchio, che pur diffidente e senza generosità, salva il suo persecutore, guadagnandosi la devozione del cane. Ma Pinocchio viene catturato da una rete e, in mezzo a un brulichio di pesci, finisce nella grotta di un pescatore. Il pescatore è verde nei capelli, nella barba, nella pelle e negli occhi, è un essere che si nutre del mare, e di quella abbondante pescata ringrazia la “Provvidenza benedetta”. Tuttavia, la sua collocazione appare piuttosto infernale: la grotta è “buia e affumicata”, c’è un “gran padella d’olio” e un “vassoiaccio”. Il pescatore scambia Pinocchio per una ghiottoneria, un “pesce burattino”, e subito la morte è di nuovo addosso a Pinocchio, che avvolto nella farina pare un “burattino di gesso”, un burattino di inferiore qualità rispetto a quello di legno. Pinocchio subisce, quindi, una degradazione simbolica. Capitolo XXIX: Alidoro arriva in soccorso di Pinocchio, e afferrandolo con la bocca lo conduce in salvo: lo stesso gesto che avrebbe segnato dal sua cattura, ne segna ora la liberazione. Il pescatore tenta di inseguirli ma è bloccato da un colpo di tosse: di nuovo una somiglianza con il Serpente, verde come il pescatore, a cui era scoppiata una vena sul petto. Inoltre, il colpo di tosse ci ricorda la “voce di trombone infreddato” del Granchio, che insieme ai malanni del pescecane, dà l’impressione che i luoghi di quell’isola siano malsani. Alidoro ride, e abbiamo il sospetto che in realtà sia la Fata. Poi Pinocchio giunge nella capanna dove era stato soccorso Eugenio, e con il vecchietto ha un breve colloquio, durante il quale mente e il naso cresce. Tuttavia, al termine della conversazione, possiamo concludere che, anche guardando alle esperienze passate di Pinocchio, il suo naso cresce solo quando mente su se stesso (o sulle monete), ma non quando parla di ladri o di essere derubato, come se ci fossero due tipi di bugie e queste ultime fossero quelle con le gambe corte (oltre a suggerire chele storie di ladri non destino alcuna perplessità perché quella è un’isola di malfattori). Pinocchio ha paura di tornare dalla Fata, perché conosce i suoi connotati da strega, e se può avere le vesti di Madre Positiva è solo grazie a Pinocchio. Arrivato a casa della Fata, la Lumaca che fa parte della servitù comunica a Pinocchio che lei sta dormendo e non vuole essere svegliata. Di nuovo, gli è conteso l’ingresso; ogni volta che la Fata dorme o è morta, la casa diventa inaccessibile. La Lumaca impiega una notte intera per aprire a Pinocchio che, impaziente, cerca di afferrare il battente che però diventa un’anguilla e calcia la porta, rimanendovi bloccato. Pinocchio scalcia contro la propria natura e in quella resta catturato. La Lumaca ride di lui, come altri personaggi prima, confermando Pinocchio il personaggio tragico di una burla. Inoltre, la Lumaca evoca Geppetto affermando che per tirare fuori dalla porta il piede di Pinocchio serva un falegname, evocazione completata dall’ironico invito a contar le formicole, lo stesso che Geppetto aveva sentito da maestro Ciliegia. La Lumaca porta poi a Pinocchio un vassoio per la colazione. Innanzitutto, afferma che il vassoio è stato mandato dalla Fata, che però fino a poco tempo prima dormiva e non voleva Pinocchio impara a saltare e ballare, e sembra che per realizzare il sogno di Geppetto abbia dovuto toccare il fondo della sua sventura. Viene agghindato a festa per lo spettacolo, e questa sembra l’estrema provocazione alla sua natura, perché Pinocchio ha sempre sfidato il tema dell’obbedienza. Tra il pubblico riconosce la Fata, e così riconosce anche se stesso, perché la Fata ha al collo una collana con un medaglione che lo raffigura. Quando scompare, Pinocchio, che ha provato la gioia della riscoperta e la miseria della perdita, piange. Ma reimpara anche l’errore perché sbaglia i salti e si azzoppa. Non sappiamo se la fuga della fata sia dovuta all’amoroso sgomento o alla disperata punizione, ma la Fata non può compiere miracoli, può solo mandare messaggi. Pinocchio, zoppo, viene venduto ad un paesano che vuole usare la sua pelle per farne un tamburo, e ha in mente di affogarlo. Il progetto del circo di Pinocchio, lo riconduce alla morte, ma Pinocchio ha visto la Fata. Capitolo XXXIV: Il compratore lascia Pinocchio ben cinquanta minuti sott’acqua, poi i suoi contraddittori affetti gli fanno provare pietà per il ciuchino, che viene tirato su. Al suo posto però appare un burattino. Pinocchio è allegro e disposto alla narrazione delle sue avventure. Si rivolge all’uomo con “caro padrone”, appellativo che lo riconduce alla schiavitù, all’appartenenza che precede la ribellione e la fuga. Pinocchio gli spiega che la Fata è sua mamma, e per questo lo assiste anche quando meriterebbe di essere abbandonato. Infatti, gli ha mandato un branco di pesci a mangiargli la “buccia asinina”; arrivati al legno devono desistere perché troppo duro. Quindi, l’essenza di burattino non è stata compromessa dalla trasformazione, che quindi era una trasformazione non totale, ma piuttosto un travestimento di cui si poteva spogliare solo tramite la morte e la degradazione. Il padrone, comunque, rivuole i suoi quattrini e lo vorrebbe rivendere come legna da ardere: gli si propone, di nuovo, una morte per il fuoco. Ma Pinocchio salta in mare, in mezzo al mare vede uno scoglio bianco, in cima al quale c’era una capretta che gli fa cenno di avvicinarsi. La sua lana era turchina: per la prima volta la Fata, Signora degli animali, si è trasformata in un animale, e lo scoglio bianco è certamente una metamorfosi della sua casina. Mentre Pinocchio nuota gli viene incontro un mostro marino con la bocca spalancata, e nonostante le supplice di sbrigarsi della Capretta, Pinocchio viene inghiottito. Sicuramente la Fata sapeva della presenza del mostro, e di quanto sia importante che Pinocchio cada nella sua bocca. Ma Pinocchio deve cadervi con la certezza che la fata ha tentato di salvarlo e ha fallito. La Fata recita e vive le angosce di mamma, perché sa che Pinocchio non sfuggirà al Pescecane, ma vuole che entri nelle sue viscere con la consapevolezza che non c’è nessuno che può dargli una mano, deve vivere quella avventura da solo. Nel Pescecane c’è abbastanza spazio per sopravvivere, è un animale vecchio, asmatico, non è un animale che segue, ma l’animale da cui si deve uscire. Capitolo XXXV: Nella pancia del Pescecane Pinocchio vive un’esperienza di tenebre e chiarore, ma anche un’esperienza fetale, come se fosse una versione infinitamente fonda nella madre. Quel chiarore che scorge, che “balugina” ricorda il chiarore della casina bianca. Geppetto è seduto ad una piccola tavola apparecchiata, che anch’essa ci ricorda la tavola apparecchiata dalla Fata nel paese delle Api Industriose. Sembra un’alleanza tra personaggi cui è negata ogni possibilità d’incontro. Pinocchio e Geppetto si riconoscono, si riconoscono nell’accogliersi senza rimproveri. Di nuovo, Pinocchio offre uno dei suoi mirabili racconti a Geppetto, e solo ora ci rendiamo conto che il Nuovo Mondo che Geppetto voleva raggiungere potrebbe essere il Paese delle Api Industriose. Comunque, nel racconto della sua storia Pinocchio non mente e non giustifica, ma ricorda la propria vita come una serie catastrofica di eventi. Non è il discorso di Pinocchio ad essere sgrammaticato, ma piuttosto le sue avventure, la sua vita. Geppetto dice di aver riconosciuto Pinocchio dalla sua barchetta ma di non averlo potuto raggiungere. Vi è in questo una somiglianza con il tentativo di salvataggio della Fata sotto forma di Capretta; l’immersione nel Pescecane è preceduta da un lontano e irraggiungibile riconoscimento, da un vano tentativo di salvataggio, da una dichiarazione d’amore. Ora è anche chiaro che il Colombo ha portato Pinocchio sulla spiaggia non perché salvasse Geppetto, ma perché gli desse quel segnale. La candela che si trova sulla tavolo è l’ultima, dopo sarà buio. Ma alla vigilia del buio è arrivato Pinocchio, pronto a tentare il destino. Non invoca la Fata, ma si pone come un padre nei confronti di Geppetto “venite dietro me e non abbiate paura”. Dalla bocca del Pescecane scorge la luna, è la sua prima notte amica. Riescono a uscire dal Pescecane. Capitolo XXXVI: Mentre nuotano, Geppetto trema “fitto fitto”. Trema di freddo o di paura? Colui che ha venduto la giacca in pieno inverno non può avere freddo, ma nemmeno avere paura del mare in quanto navigante che su una barchetta voleva raggiungere il nuovo mondo. Geppetto ha ceduto il suo coraggio a Pinocchio, che si finge più coraggioso di quanto non sia perché sa che la salvezza del padre dipende solo da lui. Stremato, invoca Geppetto, e la sua invocazione viene ascoltata dal Tonno incontrato dentro al Pescecane. Il Tonno si era salvato grazie alla strada apertagli da Pinocchio, ed ora sarà lui a salvarlo. Per ringraziarlo gli dà un bacio sulla bocca, che pare un congedo agli innumerevoli animali che gli hanno parlato e lo hanno aiutato. Qui si conclude il lungo itinerario marino di Pinocchio. Incontrano il Gatto e la Volpe, che sono stati frodati dalla frode: il Gatto è cieco e la Volpe è paralitica, oltre ad aver venduto la coda. Sembrano sudditi sventurati di Acchiappacitrulli, sono e restano maligni e declinano verso una desolata consumazione. L’addio di Pinocchio si articola in tre proverbi che hanno a che fare con la punizione e la frode. È il momento della definitiva biforcazione dei destini, e il Gatto e la Volpe acquistano la dignità postuma di criminale. La decadenza di queste due maschere annuncia la fine del mondo allucinatorio e mondano, degli inganni infantili, si disfa anche Acchiappacitrulli. L’itinerario verso la capanna è solo di Pinocchio e Geppetto lo sa, infatti tace durante tutti i suoi incontri. La capanna è la prima immagine di riposo, una vocina li invita ad entrare, come se li stesse aspettando. C’è il Grillo parlante, a cui la capanna è stata regalata dalla Capretta: è l’ultima forma della Casina della Fata. Ritrovando qui il Grillo, primo interlocutore di Pinocchio, crediamo che la Fata sia stata da sempre presente nelle sue avventure. Pinocchio cerca un bicchiere di latte per Geppetto, il che ha una duplice collocazione: in quanto bianco è positivo e rassicurante, ma ha anche un prezzo. Giangio, infatti, rifiuta di fare la carità a Pinocchio, ma gli offre un lavoro che lo toglie alla mendicità. Pinocchio sostituisce il lavoro dell’asino morente di Giangio, che si rivela essere Lucignolo. Curioso è che, tornato burattino, esegue un lavoro che lo ricolloca come asino, come fu “cane”: entrambe queste degradazioni fanno parte della ricognizione con la realtà. Comunque, a Lucignolo viene concessa una forma di pietà che si manifesta nell’aggettivo “bel” ciuchino e nel gesto di Pinocchio di asciugargli la lacrima. Con la sua morte, finisce la vicenda nel Paese dei Balocchi e Pinocchio passa per una serie di risvegli, ad ognuno dei quali perde qualcosa del suo passato. Inoltre, abbandona nel morto Lucignolo una vergognosa immagine di sé. Pinocchio studia, nessuno gli parla più di scuole, lo fa da solo, su un libro che allegoricamente non ha frontespizio né indice, ed è quindi programmaticamente infinito, e su cui scrive con un fuscello intinto in sugo di more e ciliegie, a rievocare la sua origine vegetale. Iniziano a chiudersi i problemi aperti nelle prime pagine. Pinocchio si reca al mercato ad acquistare un vestito nuovo, simbolico e astratto come la giacca venduta da Geppetto, e vi incontra la Lumaca. Figura enigmatica, muta le sue proprietà a seconda di quel che le richiede la Signora degli animali. Prima lenta, ora corre, come se fosse libera del suo compito di simbolo e maschera. Quanto alla Fata, giace sul letto di un ospedale, affranta dalle sventure. Sappiamo che la Fata mente a scopo pedagogico, e ci chiediamo se lo stia facendo anche ora. Forse sta mettendo alla prova la disponibilità del figlio. Questo è, infatti, il suo ultimo intervento nell’avventura di Pinocchio. Ricordiamo, però, che a Pinocchio era stato promesso, oltre alla prigione, anche l’ospedale (dal Grillo e dalla Fata). Pinocchio ha conosciuto solo la prigione, ma da derubato. Il fatto che vi si trovi la Fata può indicare si che la sua malattia sia sintomo della perdita di Pinocchio (perdita che abbiamo visto assumere molte forme: creduta morte, restituzione di Geppetto, nascita in una nuova condizione) ma anche, appunto, che Pinocchio venga da lei chiamato ad un’ultima prova, alla vera perdita. Forse la Fata è malata perché ha scelto questa miseria e malattia. Inoltre, la malattia della Fata la rende di nuovo inaccessibile, infatti Pinocchio non chiede più di visitarla. Invece, quella sera veglierà due ore in più: gesto inutile, che in quanto inutile lo rende necessario. Pinocchio sogna la Fata, che è guarita, collocandola definitivamente in un altro mondo, di miracoli e dissolvimenti. È il segno che il transito ormai è compiuto, Pinocchio è un ragazzo, e la Fata torna al suo mondo magico. C’è anche da supporre che questo sogno sia speculare: c’è un bacio, un contatto tra ombre. La Fata penetra nel mondo dei vivi per l’ultima volta facendo trovare a Pinocchio 40 monete (numero simbolico: viaggio, digiuno) nella tasca della giacca, concludendo anche il dramma degli zecchini, che sono comunque nate come Pinocchio aveva sperato, da altre monete. Pinocchio ha trovato il “tesoro” seguendo il percorso drammatico che gli era stato designato. Le ultime righe trattano della trasformazione di Pinocchio, ne raccontano la morte. Pinocchio si è ucciso, ha usato la sua storia e il suo destino per farlo ed è l’unico che poteva compiere questo gesto. Con il suo suicidio muoiono anche tutti i mostri. Nella sua morte c’è comunque del mistero: non si è trasformato, il burattino è rimasto come una salma appoggiato alla sedia, simbolo che il vivo dovrà convivere con il vecchio è il morto, che continuerà a sfidarlo. Inoltre, gli ha consegnato un’eredità: non è né orfano ma nemmeno ha madre. La sua origine misteriosa è intatta. Si può preparare a un nuovo itinerario. Anche Geppetto si è trasformato, è sano e arzillo.
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