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MANUALE DI CHIRURGIA, Sbobinature di Chirurgia Generale

COLECISTI E VIE BILIARI OCCLUSIONE INTESTINALE PANCREAS STOMACO FWGATO MAMMELLA ERNIA ADDOMINALE INTESTINO TENUE TIROIDE COLON,ANO E RETTO POLMONE,TRACHEA E PLEURA

Tipologia: Sbobinature

2020/2021
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Caricato il 17/04/2021

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giorgiasava-2 🇮🇹

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Scarica MANUALE DI CHIRURGIA e più Sbobinature in PDF di Chirurgia Generale solo su Docsity! Andrea Torre con la collaborazione di Rossella Grammatico e Antonino Perrone Indice Apparato circolatorio pag. 1 Sistema Arterioso pag. 2 Aneurisma pag. da 3 a 6 Esami Diagnostici pag. 7 Ischemia Acuta Arti Inferiori pag. 8 - 9 Arteriopatie Obliteranti Croniche Arti Inferiori pag. da 10 a 13 Patologia dei Tronchi Sovraortici pag. da 14 a 17 Sistema Venoso pag. 18 Varicosi pag. 19 - 20 Edema pag. 21 Vasi Linfatici pag. da 22 a 23 Coagulazione pag. 24 Mammella pag. 25 Tumori della Mammella da pag.26 a 36 Tiroide pag. da 37 a 38 Tumori della Tiroide da pag. 39 a 41 Polmone pag. da 42 a 43 Tumore al Polmone da pag. 44 a 50 Pneumotorace pag. da 51 a 54 Melanoma pag. da 55 a 62 Deglutizione pag. 63 Esofago pag. da 64 Tumore esofageo pag. 65 Diverticolo Esofageo da pag. 66 a 67 1 APPARATO CIRCOLATORIO L’apparato circolatorio è l'insieme degli organi (emopoietici, linfatici e muscolari) deputati al trasporto di fluidi diversi (come il sangue e in un'accezione più generale, la linfa) che hanno il compito primario di apportare alle cellule dell'organismo gli elementi necessari al loro sostentamento. In questo appartato l’organo centrale è rappresentato dal cuore (organo muscolare). La distribuzione degli elementi necessari avviene tramite la circolazione, che è opera del cuore e dai vasi sanguigni. Esistono sostanzialmente due tipi di vasi ed è bene differenziarli. Ci sono vasi che si allontanano dal cuore che prendono il nome di arterie (sistema divergente) e vasi che si avvicinano al cuore che prendono il nome di vene (sistema convergente). Quando si parla di questo sistema è bene fare una distinzione tra i due tipi di vasi, perché mentre il sistema arterioso è un tipo di sistema che lavora a RESISTENZA, il sistema venoso lavora a CAPACITANZA. Se si dovesse considerare quale tra i due è più importante, si dovrebbe immediatamente mettere a fuoco il sistema venoso. Il sistema venoso è più importante di quello arterioso perché assicura al cuore il giusto apporto di sangue, infatti UN ADEGUATO RITORNO VENOSO permette un corretto e adeguato riempimento, prima delle camere atriale e poi delle camere ventricolare e dunque una corretta contrazione del cuore (LEGGE DI STARLING). “Il muscolo cardiaco regola la forza della sua contrazione, la sistole, in relazione alla quantità di sangue presente nel ventricolo alla fine della diastole: più sangue sarà entrato più ne sarà eiettato, garantendo l'equilibrio tra il precarico (ritorno venoso) e la gittata cardiaca”. Se così non fosse le fibre non riuscirebbero a distendersi e quindi successivamente a contrarsi. In un caso di shock il dato più importante da rilevare è la PRESSIONE VENOSA CENTRALE. Questo dato infatti mostra quanto il cuore si riempie e quindi quanto è in grado di agire e contrarsi per mandare sangue e sostanze nutritizie ai tessuti; inoltre permette di capire quanti liquidi infondere per mantenere il corretto riempimento. La P.V.C. però non è sempre un dato veritiero, capita spesso che in un giovane che abbia subito un trauma con una grossa perdita ematica, il valore non risulti alterato, questo perché subentrano dei meccanismi compensatori come l’aumento della F.C. L’aumento di quest’ultimo permette per un determinato periodo di tempo, un corretto riempimento del cuore, ciò infatti non fa altro che ritardare la diagnosi, con grave conseguenze. Diversamente nell’anziano questi meccanismi compensatori non sono cosi perfetti e un caso di shock emorragico, si manifesta immediatamente con una ipovolemia e quindi con una ipotensione. Questa situazione spiega come paradossalmente il ritorno venoso è più critico e più importante della eiezione cardiaca. Infatti se è vero che i tessuti e gli organi hanno bisogno di un giusto apporto di sangue e nutrienti, attraverso la contrazione, è fondamentale che il cuora si riempia correttamente, diversamente, al mancare del secondo il primo non potrebbe verificarsi. La legge di Starling è di vitale importanza affinché tutto funzioni. 2 IL SISTEMA ARTERIOSO Il sistema arterioso è un sistema a resistenza, significa che esso deve resistere a delle alte pressioni e per far ciò si avvale della sua struttura anatomica che differisce da quella venosa. Tale capacità di resistere ad alte pressioni è dato dalle Fibre Elastiche, che si trovano nella tonaca media e che consento all’arteria di distendersi al passaggio di sangue e tornare poi nuovamente alla condizione precedente evitando di rimanere distese. L’arteria è composta da 3 tonache:  Tonaca Intima: permette di avere un flusso laminare, la parte fluida è a contatto con la tonaca intima, mentre quella corpuscolare (GR, GB, Piastrine) al centro  Tonaca Media: è presente la parte muscolare e sono contenute le fibre elastiche  Tonaca Avventizia: sono presenti i Vasi Vasorum (vasi dei vasi) e Vasa Nervorum (nervi dei vasi), quest’ultimi permettono la vasocostrizione e la vasodilatazione, anche se c’è da dire che la vasodilatazione non è altro che il rilasciamento della muscolatura. Un esempio lampante è quello della differenza tra maschi e femmine. Nelle femmine le mani sono più fredde rispetto ai maschi. Questo perché le donne dal menarca fino alla menopausa hanno un tono vasocostrittore superiore a quello dell’uomo. Tanto è vero che in quel periodo le donne sono molto meno a rischio di eventi vascolari acuti rispetto agli uomini. Questo perché devono salvaguardare la moltiplicazione della specie. La natura ha fatto si che siano più protette. Dopo quel periodo i rischi si equivalgono. Mentre il sistema arterioso lavora secondo resistenze, il sistema venoso è un sistema a capacitanza, che grazie al muscolo che si dilata, riesce ad accumulare grandi quantità di liquidi (sangue). Diversamente le arterie che sono soggette alla pressione sistolica, devono sopportare questa grande forza di eiezione; infatti il sistema arterioso è un sistema a resistenza. Quando arriva il sangue pompato, il vaso deve essere in grado di assorbire o per meglio dire accogliere, quindi si dilata (come quello venoso del resto), dilatandosi e basta si accumulerebbe solo lì il sangue, dunque per far sì che il sangue progredisca c’è bisogno che ci sia il ritorno elastico. Questa è la cosiddetta legge di Laplace (In contenitori con parete distendibile (organi cavi, vasi), il riempimento deforma la parete, che sviluppa una tensione in risposta all’allungamento) che governa i vasi arteriosi e che fa sì che in ogni punto in cui la parete riceve questa forza, sotto forma di pressione laterale, la restituisca. Ciò consente di mantenere il flusso laminare e continuo. ANEURISMA L'aneurisma è una dilatazione patologica di un vaso arterioso (non può essere una dilatazione di un vaso venoso). Si definisce patologica poiché in termini medici la semplice dilatazione viene definita come ectasia. Ci sono tanti vasi che possono essere ectasici in vari punti, perché sono congenitamente cosi strutturati. Ci sono diversi tipi di aneurisma (eziopatogenesi): e Aneurismi congeniti: sono rappresentati dagli aneurismi endocranici, caratterizzati da una debolezza della parete arteriosa presente fin dalla nascita e Aneurismi acquisiti: o Degenerativi -> i più rappresentati sono gli aterosclerotici, ma possono essere comunque secondari a fibrodisplasia o /nfiammatori -> sono accompagnati da un ispessimento della parete che appare biancastra per l'intensa fibrosi periparietale che è fortemente adesa alle strutture vicine o Luetici -> caratterizzati da una risposta vasculitica secondaria all’infiltrazione dei cvasi vasorum da parte di agenti infettivi, in particolare nelle endocarditi o Micotici -> si definiscono cosi quelli di origine settica, causati dall'invasione dei vasi vasorum 7 da parte di emboli settici, con conseguente arterite transmurale. Sono spesso correlati all’endocardite batterica, all'immunodeficienze acquisite nei tossici dipendenti. o Post-Traumatici -> l'anatomia del vaso può essere compromessa dal trauma senza determinarne la rottura “il locus minoris resistentiae” cosi prodotto può preludere alla formazione dell’aneurisma. Gli aneurismi sono più frequenti nell'uomo che nella donna (6/1) e colpiscono prevalentemente soggetti di età superiore ai 60 anni. Quello su cui noi presteremo l’attenzione è l'aneurisma di tipo acquisito, ovvero dilatazioni patologiche delle arterie di tipo acquisito. Tra queste la più importante di tutti è quella che interessa l’aorta (il vaso principale del cuore). L'aorta anatomicamente è divisa in: * Aorta ascendente ® Arco dell'aorta * Aorta toracica discendente * Aorta addominale discendente Aneurisma Degenerativo L'aneurisma dell'aorta discendente è in assoluto la più frequente delle circostanze e colpisce in maniera più netta l’aorta addominale rispetto a quella toracica. Questo perché gli aneurismi si formano prevalentemente nei punti dove sono presenti grandi biforcazioni, dove il flusso ematico è turbolento e dove vi sono livelli pressori elevati (biforcazione iliache). In tale sedi il flusso turbolento sommato agli alti livelli pressori favorisce il variare della resistenza interna provocando stasi importanti da cui originano placche aterosclerotiche. 6 Diagnosi Quando si vuole fare diagnosi di aneurisma si fa semplicemente un’ecografia. L’ecografia identifica qual è la caratteristica del vaso, quanto è dilatato, se c’è un trombo, se c’è del materiale al livello del trombo. Si può diagnosticare un aneurisma anche casualmente, magari facendo una diagnosi per una cisti renale e ci si accorge di un aneurisma dell’aorta. Da quel punto si seguirà il paziente con tante ecografie per monitorare la situazione, man mano che passa il tempo, l’aneurisma crescerà di dimensioni fin quando non si riterrà opportuno operare (quando l’aorta arriverà ad avere un diametro di 4,5 – 5 cm di diametro). Se si vuole fare un approfondimento si fa anche l’angiografia, attraverso l’inserimento di un mezzo di contrasto all’interno dell’arterie superficiali i cosiddetti “polsi” che sono la temporale, la carotidea, la brachiale, la radiale, la ulnare, aortico/addominale, la femorale, la poplitea (a gamba flessa), la tibiale e la pedidia (parte dorsale del piede). Si prenderà ad esempio la femorale e attraverso il cateterismo di Seldinger, verrà isolata la femorale, facendo una piccola incisione e introducendo un catetere. Questo catetere viene fatto avanzare per via retrograda nel sistema arterioso e a seconda del distretto che si vuole analizzare, si inietta il mezzo di contrasto. Paradossalmente l’angiografia da meno informazioni rispetto all’ecografia questo perché il mezzo di contrasto potrebbe non andarsi a localizzare nell’aneurisma per la possibile presenza di un trombo. Detto ciò si riuscirebbe ad intuire la presenza di un aneurisma vedendo un vaso tortuoso. L’intervento chirurgico L’unico modo attraverso il quale si può agire sull’aneurisma è l’intervento chirurgico. L’intervento può o sostituire il tratto ammalato, facendo un taglio sopra e uno sotto all’aneurisma e sostituendo parte di quel vaso con un protesi in goretex. Altro tipo di intervento sfruttando sempre il cateterismo di Seldinger è l’inserimento di un endoprotesi che eviti che la pressione vada ad esercitarsi sull’aneurisma. Il trattamento viene dettato dalle condizioni del paziente, nel senso che non tutti riescono a sopportare un intervento del genere. 7 CLASSIFICAZIONE DEGLI ESAMI DIAGNOSTICI Si parte dal fare quello meno invasivo a quello più invasivo. ECOGRAFIA (sfrutta gli Ultrasuoni) = non sono invasivi, non fastidiosi e non sono dannosi. Non può essere usato per tutti gli organi o apparati e quindi non è efficacie per studiare tutte le patologie. Es. a livello gastrointestinale non serve perché il tubo è pieno d’aria e l’aria ostacola la visione ecografica. Le informazioni che si ottengono dall’ecografia sono: le dimensioni, lo spossero della parete (immagine iper/ipocogeno), la forma ed il contenuto dell’aneurisma, la presenza di un ematoma pulsante (indice di rottura). I limiti dell’esame sono rappresentati dall’obesità del paziente, dal contenuto gassoso intestinale, dalla non chiara individuazione delle arterie viscerali, specie le arterie renali. RADIOGRAFIA “RX” (sfruttano le radiazioni ionizzanti) che sia angiografia (un RX con un mezzo di contrasto) o un RX toracico o un Rx con pasto baritato (primo tratto del digerente) o un Rx con clisma opaco (mezzo di contrasto nel primo tratto del colon) = non sono invasive, non fastidiosi, ma fortemente dannosi, ancor peggio dove si utilizza un mezzo di contrasto (allergie). E’ utile per la ricerca delle calcificazioni parietali. Il segno caratteristico dell’aneurisma in questo esame è rappresentato dalla presenza di una linea convessa a varia distanza tra le spine dorsali TAC (sfruttano le radiazioni ionizzanti) = Consente di definire oltre alle dimensioni dell’arteria anche i rapporti che questa contrae con gli organi adiacenti. Il lume arterioso viene facilmente messo in evidenza con il mezzo di contrasto e quindi anche il trombo endoluminale ed il grado di organizzazione di esso. E’ inutile soprattutto in caso di rottura dell’aneurisma, poiché evidenzia la presenza di sangue nel peritoneo. ENDOSCOPIA (sfruttano le fibre ottiche) = sono invasivi, molto fastidiosi e non sono dannosi. ANGIOGRAFIA (sfruttano sostanze radioattive) = non sono invasivi, non sono fastidiosi, ma con il tempo possono essere dannose. E’ un esame importante per la programmazione terapeutica in quanto è possibile determinare l’esatta estensione dell’aneurisma e i rapporti con le arterie vicine. RMN è un esame di recente introduzione e offre opportunità diagnostiche notevoli, in quanto permette di visualizzare arterie anche di medio calibro senza introduzione di mezzo di contrasto, in quanto il naturale contrasto è rappresentato dal flusso sanguigno rispetto alle pareti vascolari che è sufficiente per ottenere delle immagini sia in senso trasversale che longitudinale e sagittale. SCINTIGRAFIA è un esame nel quale una piccola ed innocua quantità di radioattività è usata al fine di ottenere delle immagini che, esaminando il funzionamento dell’organo o/e degli organi, aiutano il medico a diagnosticare correttamente lo stato di salute del paziente. Il farmaco è iniettato in una vena del braccio. Successivamente bisogna aspettare un tempo variabile a seconda dell’esame. Durante l’esecuzione dell’esame la posizione del paziente può essere distesa o seduta. La gamma camera, che è l’apparecchio con il quale si esegue l’esame, sarà posto vicino al paziente 8 ISCHEMIA ACUTA DEGLI ARTI INFERIORI Per ischemia si intende una totale assenza di apporto di sangue in un determinato distretto, situazione che si viene a creare quando un vaso si occlude. Diversamente dalla stenosi che sta per un ridotto apporto di sangue. Ischemia: completa chiusura di un vaso Stenosi: riduzione del lume E’ prevalentemente una patologia a carattere cronico che si può esprimere anche con un evento acuto. I meccanismi che possono scaturire una completa occlusione di un lume sono:  Un meccanismo Trombotico (graduale)  Un meccanismo Embolico (repentino) Il primo meccanismo colpisce un vaso ammalato (aterosclerotico) e richiede del tempo prima che si formi, ciò gli consente di adattarsi alla situazione, avvalendosi dei circoli collaterali, circoli che sono presenti fin dalla nascita ma che non vengono sfruttati fin quando non ce n’è la necessità, affinché si possa mantenere il corretto afflusso di sangue nel distretto. Le sede più colpite in questo caso sono gli arti inferiori, rispetto agl’arti superiori. L’origine (principalmente per un’alterazione della parete, sulla quale si forma un trombo che crescendo occlude il vaso) può derivare da natura: - Aterosclerotica - Iatrogena - Anatomica - Chimica - Traumi - Angiopatie non aterosclerotiche il secondo meccanismo è di forma acuta poiché il vaso viene occluso improvvisamente da un corpo estraneo, che proviene dall’aorta (10%) ma soprattutto dal cuore (90%) es. determinate da alterazioni valvolari, endocarditi (uno stato infiammatorio dell'endocardio, il tessuto che riveste le cavità interne e le valvole del cuore) e colpisce dei vasi sani che ovviamente essendo soggetti a un problema che si crea in pochi secondi l’arteria non riesce ad attivare nessun meccanismo di compenso, non assicurando il giusto apporto di sangue al distretto. Ciò fa capire che tra le due patologie, quella più pericolosa è sicuramente l’embolia. Un distretto (arto inf.) che non viene irrorato per via di una ischemia embolica avrà queste caratteristiche:  Freddo  Pallido (biancastro)  Dolore  Impotenza funzionale Dolore perché non arriva ossigeno e la glicolisi in condizioni anaerobie produce acido lattico. Queste caratteristiche identificano già di per se un’embolia, ma se si vuole approfondire potrà essere eseguito una ecografia. Potrebbe essere fatta anche una angiografia, ma si preferisce operare il prima possibile visto il dolore che prova il paziente. 11 vetrine dei negozi). E’ quindi un dolore che si ha solo sotto sforzo. La caratteristica sta nel fatto che la persona riuscirà a camminare sempre meno ogni volta (percorre 100 metri, avverte il dolore, si ferma e ne fa altri 80 metri, poi nuovamente il dolore, si arresta e prosegue e ne fa 50 e via via). Questo perché la discrepanza tra le esigenze metaboliche delle masse muscolari e l’apporto ematico obbliga la fibrocellula muscolare a contrarsi in condizioni di metabolismo anaerobio (passaggio da una glicolisi aerobia ad anaerobia) ed i cataboliti (tra cui acido lattico) che vengono così prodotti hanno un’azione irritante sulle terminazioni nervose provocando dolore. A seconda del punto in cui la claudicatio si manifesta vuol dire che c’è il vaso ostruito (es: un dolore al polpaccio significherebbe la chiusura della poplitea e della femorale, se c’è un dolore alla coscia un occlusione dell’iliaca esterna, se c’è una claudicatio glutea che tra l’altro porta ad avere sicuramente del dolore anche alla coscia e al polpaccio, è occlusa l’iliaca comune. La sede del dolore è espressione del vaso occluso. (Imparare questi esempi per l’esame). Capita in alcuni casi che la malattia evolve progressivamente interessando la biforcazione aortica. Se viene interessata la biforcazione, si avrà la SINDROME DI LERICHE, ovvero si ha un problema bilaterale. Problema facilmente riconoscibile, soprattutto nell’uomo perché oltre alla claudicatio (dolore) avrà un’altra caratteristica; infatti essendo chiusa la biforcazione, non c’è possibilità di vascolarizzazione né attraverso l’iliaca interna destra, né attraverso l’iliaca interna di sinistra. Il piccolo bacino non riceve sangue e non c’è la possibilità di riempire i corpi cavernosi del pene. Bisogna infatti chiedere al paziente se riescono ad avere normali rapporti con il partner. Per guarire da questo stadio basta effettuare un’educazione sulla deambulazione, visto che più camminano, più vincolano il dolore, più fanno strada e migliorano il quadro (grazie ai circoli collaterali). Se invece la malattia viene trascurata e il medico non interviene si arriva al terzo stadio. III stadio: Non parla più di un dolore sotto sforzo, ma di un dolore a riposo. Si tratta di un dolore persistente che compare di notte, impedisce il sonno, interessa la parte distale di un arto. Il paziente cerca di alleviare il dolore ponendo l’arto in posizione ortostatica o flettendo la gamba sulla coscia. Le persone che arrivano a questo stadio, spesso dormono seduti con le gambe sospese verso il basso per sfruttare appunto la forza di gravità per far arrivare il sangue agli arti, poiché l’eiezione cardiaca non è più sufficiente. Queste posizioni antalgiche determinano un rallentamento del flusso venoso nel distretto; ne consegue da una parte la riduzione del gradiente pressorio artero-venoso capillare con l’aumento di estrazione di ossigeno a favore dei tessuti ischemici, ma dall’altra la comparsa di edema interstiziale co ridotta diffusione dell’ossigeno ai tessuti 12 IV stadio: Gangrena. Caratterizzata da lesioni trofiche della cute ad arrivare fino alla necrosi. Gli arti di si presentano assottigliati, con componente muscolare bassa perché gli arriva poco sangue, cadono i peli proprio perché non c’è vascolarizzazione del pigmento. Bisogna sapere che in una situazione di scompenso, l’organismo cerca di preservare i tessuti a seconda dell’importanza che ricoprono. La cute solitamente è la prima cosa che viene sacrificata (essendo il meno nobile), al fine di riservare un corretto apporto di sangue ai muscoli; c’è da dire però che se la malattia avanza verrà sacrificato anche quest’ultimo, portando a una ipotrofia muscolare arrivando così alla gangrena. Esistono 2 tipi di Gangrena che interessano le patologie vascolari:  Secca: presenza di escara tipica dell’arteriopatia obliterante cronica (classica) che evolve in vari stadi  Umida: presenza di essudato tipica del paziente che ha il diabete. Si chiama umida perché c’è un’accumulazione di batteri ed tipica del paziente diabetico perché ha difese immunitarie inferiori rispetto al paziente sano. Esiste anche una gangrena Gassosa che è caratterizzata dalla presenza di microrganismi anaerobi che penetrano nel corpo umano attraverso una ferita, ma è comunque causata da fattori esterni, non è collegata a nessuna patologia. Una differenza tra la vasculopatia diabetica e quella arteropatica è che nel diabete vengono colpiti i vasi arteriosi di piccolo calibro e sempre nel caso del diabete gli stadi prevedenti si saltano (gli stadi della Claudicatio Intermittens) e si evidenzia solo il IV stadio con la formazione di ulcere e il cosiddetto piede diabetico. Diagnosi Il paziente si rivolgerà al medio solo quando compaiono i primi sintomi (stadio II della malattia). La visita inizierà con l’anamnesi (raccolta dei dati soggettivi che riferisce il paziente) Esame Obbiettivo  Ispezione: permette di valutare il colorito della cute (lucida e desquamata) e le sue alterazioni (cianosi e pallore), la sua integrità; il trofismo cutaneo degli annessi e delle masse muscolari (ipotrofico = ridotto tono muscolare, l’arto apparirà più sottile), la mobilità delle articolazioni sarà minore, la cute sarà priva di peli a causa della mancanza di nutrienti.  Palpazione: consente di apprezzare la presenza delle pulsazioni nelle sedi dei polsi periferici. Si palperà anche la cute per la valutare la sua temperatura (arto più freddo).  L’auscultazione: viene seguita nelle sedi dove vengono palpati i polsi, consente di apprezzare la presenza di eventuali soffi di origine vascolare e di valutarne le caratteristiche (quando è presente un rallentamento del flusso il rumore del passaggio del sangue è più lungo). Il battito comunque è normale Cianosi? La cute si presenta violacea dovuta alla stasi ed ad un conseguente accumulo della meta-Hb (Hb ridotta) che per meccanismo di compenso rimane a lungo in periferia; infatti la meta-Hb è ancora legata all’O2 (per sopprimere a situazioni di difficoltà). Infatti la stasi favorisce lo sfruttamento dell’O2 nel sangue; in successione si avrà  Vasocostrizione (che impedisce il ritorno venoso)  Stasi ematica  Sfruttamento al massimo di O2 Se questo meccanismo non si risolve si andrà incontro a necrosi tessutale. 13 Esami Strumentali Questa patologia si studia attraverso un eco doppler dei vasi periferici della gamba, con l’ecografia vediamo le caratteristiche morfologiche della parete e con il doppler le caratteristiche del flusso (nb: effetto doppler è un fenomeno fisico che attraverso il suono ci permette di capire se qualcosa si sta avvicinando o si sta allontanando, esempio il fischio del treno mentre si avvicina e mentre si allontana “variazione del suono”) L’esame scintigrafico che sfrutta le sostanze radioattive marcate (come lo ione radioattivo) non serve per lo studio delle AOCP poiché la sostanza marcata non riuscirebbe a legarsi a qualcosa. Terapia La terapia in questo caso è medica, addirittura riabilitativa già dal secondo stadio, che vengono accompagnati dall’aiuto di farmaci che fluidificano il sangue migliorando lo stile di vita. NB: tutte le manifestazioni trombotiche sono legate a tre fattori ovvero la triade di Virchow:  Ipercoaguabilità  Variazioni emodinamiche (stasi, turbolenza).  Lesioni/disfunzioni endoteliale. Il fenomeno di Raynaud consiste in un vasospasmo eccessivo per uno stimolo fisiologico di vasocostrizione per stimoli simpatici (emozione, spavento) o passaggio da ambienti caldi a freddi. Prende il nome dal medico francese Maurice Raynaud (1834-1881). Nel 50% dei casi il fenomeno può essere secondario ad altre patologie; in questo caso prende il nome di sindrome di Raynaud. Il fenomeno di Raynaud si verifica soprattutto in quei distretti a maggior dispersione calorica e minore richiesta metabolica (più sacrificabili) cioè le dita (soprattutto quelle delle mani). La prima fase è quella caratterizzata da insensibilità ma non dolore ed è la fase ischemica con riduzione del flusso di sangue nelle singole arteriole segmentarie; la seconda fase cioè la fase della stasi venosa è caratterizzata da cianosi, formicolio, dolore. A volte quando tutto si risolve c'è la fase di iperemia reattiva. 16 Patologie ad esempio che possono creare problemi a distanza, come aterosclerosi (placca) nei vasi sovraortici. Se il lume del vaso si riduce, si riduce anche l’apporto ematico (ad esempio si sviluppa una placca non solo nei vasi periferici ma anche nei tronchi sovraortici) ed è tale per cui la placca che va a ridurre il lume del 70%, può creare un danno a livello cerebrale. Ma non tutte le placche che si formano riducono il lume, si posso creare delle placche molli, friabili che hanno del materiale trombotico sovrapposto e in questo caso può succedere che si stacchi un frammento e si crei un embolo che va a livello dei vasi cerebrali, andando a mettere in crisi un determinato distretto cerebrale. Il paziente in questo caso potrà avere un disturbo motorio (emiparesi), un disturbo nel linguaggio (afasia), un disturbo della vista (emianopsia), avrà fondamentalmente una patologia di ischemia a livello cerebrale che potrà essere:  In forma semplice (che si risolve), TIA (attacco ischemico transitorio) con la caratteristica che nel giro di 24 h si ha un ripristino della funzione)  Il potract TIA o RIND in cui il dolore si protrae per alcuni giorni con recupero parziale  STROKE o Ictus ischemico dove l’area cerebrale è definitivamente andata in necrosi e non può essere più recuperata. o Stroke in evoluzione: quando si presenta un peggioramento della sintomatologia focale nell’arco di alcune ore o giorni o Stroke completo: quando la sintomatologia neurologica focale permane relativamente stabil e non reversibile Quindi si possono avere due situazioni, 1. una placca emodinamicamente significativa, cioè che riduce il lume del 70% e quindi può provocare questo disturbo, 2. una placca a rischio emboligeno da cui si può staccare un embolo e determinare un’ischemia periferica Ovviamente queste due possibilità valgono per tutto l’organismo, dove il quadro più complicato è quello cerebrale. Fortunatamente oggi grazie alla prevenzione è difficile che il paziente possa arrivare a un ictus senza che si sia manifestato alcun tipo di problema. Fumatori – obesi – diabetici a queste categorie il medico avrà sicuramente raccomandato di fare degli esami, questo consente di prevenire; è difficile che venga si presenti un problema di questo tipo (trombo o embolo) a chi non ha mai presentato nessuna patologia concomitante o fattori di rischio. Segni E Sintomi La sintomatologia della malattia cerebrovascolare è molto varia e dipende dall’arteria lesa. Il segno classico dell’ischemia è il deficit neurologico focale a comparsa improvvisa. Altri segni possono essere: - La perdita di una funzione motoria sensitiva - Alterazione del linguaggio - Alterazione della corteccia visiva (turba visiva) -> Amaurosi = perdita transitoria/perenne della vista senza lesioni - Parestesia -> riduzione della mobilità - Paralisi -> perdita della motilità - Emiplegia/emiparesi 17 Indagini diagnostiche Possono essere individuate 3 tipologie diagnostiche: 1. Non invasiva: ecodoppler o doppler trans-cranico 2. Invasiva: angiotac (attraverso un mezzo di contrasto introdotto con un agocanula) vengono fornite indicazioni sul lume e le pareti del vaso 3. Diagnostica per immagini: TAC, PET, RMN, SPECT. Intervento/Terapia Bisogna intervenire chirurgicamente sia nel paziente che è asintomatico, ma ha comunque già delle lesioni del 70%, sia in quello sintomatico. Asintomatico: I tempi devono essere brevi, si vede evitare che si verifichi un TIA o un ictus, nel giro di 20-30 giorni, la persona viene operata (a livello della carotide togliendo la placca e si ripulendo il vaso) in più si prescrive una terapia farmacologica evitando cosi le complicanze che sono le situazioni sopra citate. Sintomatico: Paziente che ha avuto un TIA con una un emiparesi o un’afasia o altro, che fortunatamente è regredito, raggiunta l’attenzione del medico si fanno gli esami e si constata che la situazione è clinicamente rientrata (il paziente non ha più quel problema), ma ciò nonostante a livello di quell’aria celebrale ci sarà stata una lesione, che è stata fortunatamente delimitata dai meccanismi di compenso che l’hanno resa talmente piccola da renderla clinicamente non evidente, ma comunque i segni di una lesione a livello celebrale ci sarà sempre. Pazienti che si trovano in queste situazioni devono sicuramente essere operari ma con delle tempistiche più lunghe. Questo perché l’intervento richiederebbe il clampaggio a monte e a valle del vaso (per circa 20 minuti non passerebbe più sangue da quel vaso) ed essendo una situazione critica che è stata parzialmente risolta dai meccanismi di compensazione. Andando ad operare nel breve tempo si rischierebbe di avere una ipoperfusione (riduzione del flusso di sangue), andando a creare ulteriori danni per questo prima dell’intervento è meglio aspettare che l’area cicatrizzi completamente. Quindi:  Paziente asintomatico si deve operare nelle 3– 4 settimane  Paziente sintomatico prima di operare si deve aspettare la cicatrizzazione, ovviamente sarà monitorato e sarà prevista una terapia antiaggregante Diversi casi Un paziente asintomatico con carotide non stenotica ma chiusa non va operato. E’ vero che da quella carotide non passa più niente però c’è l’altra carotide e le altre due vertebrali che riescono a mantenere il flusso, tanto da mantenermi il paziente asintomatico, quel vaso ormai è da considerarsi perso, dedicando più attenzione ai vasi sani che si riescono a mantenere il flusso necessario ma che non possono andare minimante in deficit quindi vedendo una placca allora si deve operare nell’immediato dato che ha già un vaso chiuso. Il tutto seguito da un monitoraggio attraverso gli ecodoppler fatti ogni 6 mesi, accompagnati da una terapia antiaggregante. L’unica situazione in cui si interviene al momento stesso è quando si ha una carotide dove la stenosi è superiore al 90% (preocclusiva) anche se è asintomatico, vuol dire che manca pochissimo che si chiuda e si deve ripulire immediatamente, non si aspetta 20-30 giorni ma lo si fa in tempi di ore. L’intervento è immediato perché si può ancora salvaguardare quel vaso e anche perché potrebbe non esserci un compenso da parte degl’altri vasi portando a un TIA o Ictus. 18 SISTEMA VENOSO Il sistema venoso è un sistema che lavora a capacitanza che assicura un corretto riempimento del cuore di sangue senza il quale non riuscirebbe a contrarsi correttamente per via della legge di Starling e le vene che permettono ciò sono la Vena Cava Superiore e la Vena Cava Inferiore. Normalmente per ogni arteria si hanno 2 vene come nel caso Aorta: Vena Cava Sup. + Inf., negli arti inferiori però la situazione è diversa. Le vene infatti si dividono in vene profonde e vene superficiali. Le vene profonde che drenano all’incirca l’80% di sangue, corrispondono a quei vasi che decorrono parallelamente ai vasi arteriosi, ad un’arteria femorale corrisponderà una vena femorale, all’arteria poplitea corrisponderà la vena poplitea e così via; che alla fine andranno a finire nelle vene iliache, che a loro volta si dirigeranno verso la vena cava inferiore replicando a pieno il sistema arterioso. Quelle superficiali che invece hanno come incarico di occuparsi del restante 20% partendo dalla grande e piccola safena, dove la prima sarà tributaria della vena femorale mentre la seconda sfocerà nella poplitea. Si capisce bene che tra questi due tipi di vasi, il più importante è il sistema venoso profondo vista la grande quantità di sangue che trasporta, oltre al fatto che alla fine le superficiali sfoceranno nelle vene profonde. Questo sistema però non funziona sempre cosi perché, mentre nella coscia e nella gamba il sistema superficiale sfocia nel sistema profondo, nel piede ciò varia, avviene il contrario, ovvero le profonde dreneranno verso il superficiale. Mentre al livello della coscia e della gamba i vasi comunicanti sono tutti dotati di sistemi valvolari che oltre a non consentire un reflusso, dall’alto verso il basso, orientano la circolazione ematica che consente il passaggio dalle vene superficiali a quelle profonde, diversamente la situazione del piede dove avviene il contrario poiché al livello del piede c’è una circolazione capillare, dove il sangue che arriva al sistema arterioso si scarica direttamente nel sistema venoso profondo, questo si può attuare attraverso la camminata che consente la spremitura dei vasi venosi profondi, grazie all’arcata di Legian che si trova a livello della pianta del piede. Ciò dimostra come l’insufficienza venosa è particolarmente presente nei pazienti che hanno un piede piatto, perché non essendoci l’arcata non si riesce ad avere una spremitura dei vasi e quindi una maggiore difficoltà per il sangue ad imboccare la strada per il suo ritorno al cuore. Questi vasi prendono il nome di vasi comunicanti o detti anche perforanti che si trovano al di sotto della fascia muscolare e dei muscoli, mentre sopra la cute c’è il sistema superficiale. Tante patologie coinvolgono questo sistema, ma tra queste una delle più importanti, anche perché molti soggetti ne sono coinvolti è la Varicosi. 21 EDEMA L’edema è una situazione patologica con la quale si definisce l’accumulo di liquidi nello spazio extracellulare. Normalmente i liquidi che noi introduciamo e i liquidi che sono già presenti nel nostro organismo, appartengono a due distretti:  Intra-cellulare  Extra-cellulare (per poi andare al distretto vascolare) Quelli che noi introduciamo dall’esterno, raggiungono fondamentalmente il distretto vascolare, o perché assorbiti attraverso il circolo, o perché introdotti in modo traumatico-iatrogeno (trattamenti farmacologici- interventi) attraverso i vasi. Questi liquidi introdotti attraverso il sistema ematico vanno a costituire il grado di volemia dell’organismo, ciò è un utile informazione che ci permette di capire quanto il cuore riuscirà a riempirsi e quindi a sfruttare la legge di Starling per l’eiezione. Normalmente all’interno del vaso e a livello della membrana basale esiste un equilibrio di forze: 1. Una pressione di filtrazione/idrostatica data dalla pressione esercitata dal cuore, che fa sì che i liquidi contenuti nel torrente vascolare vadano a distribuirsi nello spazio extra cellulare 2. Una pressione colloido-osmotica/oncotica data dal contenuto proteico, che invece riporta i liquidi nel torrente circolatorio dallo spazio extra cellulare. I liquidi contenuti nel torrente circolatorio poi vengono eliminati dall’organismo per via renale. Tanto è vero che quando si parla di bilancio terapeutico (idrico) nei confronti di un paziente, si calcola il contenuto di liquidi introdotti meno la quantità di urine eliminate, la temperatura corporea ed eventuali perdite da drenaggi. Infatti per ogni grado superiore di 37.4° C si perdono 500 cc di liquidi. Es. All’interno dell’organismo è presente una grossa perdita di sangue, cosa succede? Si riduce enormemente la pressione di filtrazione, ma anche la pressione osmotica che è data dal contenuto proteico presente nella parte plasmatica del sangue. Essendoci un’ipovolemia, si avrà una diuresi tendenzialmente ridotta. Il paziente che sanguina avrà pochi liquidi nello spazio extracellulare e comunque ne potrà richiamare pochi perché non c’è un alta pressione colloido-osmotica. Si dovrà allora andare a recuperare un’idonea volemia attraverso l’infusione di liquidi, che potranno essere soluzioni idro-elettrolitiche o colloido-osmotiche Idro-elettrolitiche sono per esempio: Fisiologica, Glucosata 5%, Ringer lattato. Queste soluzioni è vero che andranno ad occupare spazio all’interno del lume e quindi riporteranno a una situazione di normo-volemia ma, è pur vero che verranno eliminate attraverso la diuresi molto rapidamente oppure se non c’è uno scambio inefficace di membrane (quando si ha una patologia) questi liquidi andranno nello spazio extra cellulare. Colloido-Osmotiche sono per esempio: il Sangue (plasma), Albumina, oppure Plasma expanders (emagel). I Plasma expander sono sostanze ad alto contenuto proteico che mimano il plasma. Questo fa in modo che i liquidi nello spazio extracellulare tornino nel lume. 22 VASI LINFATICI Quando si parla di vasi, parliamo di:  Vasi Arteriosi (in cui vige la pressione idrostatica)  Vasi Venosi (in cui vige la pressione oncotica)  Vasi Linfatici (in cui vige la pressione oncotica) I vasi linfatici sono d’aiuto al sistema venoso per riportare, prima attraverso il sistema venoso e poi attraverso il cuore i prodotti di scarto. Tutto ciò che è prodotto come rifiuto a livello periferico, viene convertito e riportato al cuore attraverso il sistema venoso (direttamente) o attraverso il sistema linfatico (indirettamente), per passare poi nel sistema venoso e quindi al cuore e infine dirigersi verso i reni attraverso cui tali sostanze verranno eliminate. In particolare i vasi linfatici hanno un elevato contenuto proteico (la linfa), ciò determina il loro ruolo. I vasi linfatici hanno infatti una elevata pressione oncotica, che gli consente di richiamare liquidi. In ambito chirurgico esistono interventi in cui si rivela la necessità di asportare uno o più linfonodi. I vasi linfatici sono come delle rotaie su cui scorrono i treni (liquidi), che si dirigono verso le stazioni intermedie (rappresentate dai linfonodi), che potranno essere o grandi centri o piccoli centri. Nei centri più grandi affluiranno i liquidi che provengono dai piccoli centri. Se si togliesse un grosso centro, si interromperebbero i collegamenti con i piccoli, che appunto erano diretti verso quest’ultimo. Stessa cosa per la via linfatica e linfonodo tributario. Togliendo un grande linfonodo si interrompe il collegamento linfatico ovvero la via linfatica efferente (che esce dal grosso centro ovvero dal linfonodo maggiore) ma anche quella afferente (via d’ingresso al linfonodo). Se si toglie un linfonodo (grande) si blocca la via linfatica efferente che va al sistema venoso e quindi resta solo quella afferente. La quota di linfa che si crea in un’area distrettuale non cambia anche se si toglie il linfonodo principale e quindi tutta la linfa che non trova sfogo (che non va nel sistema venoso), si 23 accumula nelle vie linfatiche, facendo aumentare la pressione idrostatica. Questo comporta la fuoriuscita e il conseguente accumulo di liquidi nello spazio extracellulare. Si avrà quindi un rigonfiamento in corrispondenza del tessuto in cui è stato asportato il linfonodo. Stessa cosa avviene a livello cardiaco, quando c’è una condizione di insufficienza. La pressione che necessaria per riportare il sangue al cuore (quella che vige nel sistema venoso) deve aumentare notevolmente perché in tale circostanza patologica il cuore non riesce ad ottenere un corretto riempimento e di conseguenza le sue fibre non riescono a distendersi adeguatamente e il cuore fa fatica a riempirsi correttamente (legge di Starling). L’aumento di pressione fa sì che all’interno del sistema venoso non ci sia più una forza oncotica maggiore rispetto a quella idrostatica (condizione fisiologica), ma viceversa. Essendoci una pressione di filtrazione maggiore, il lume tenderà a “cacciare” fuori i liquidi nello spazio extracellulare, causando i cosiddetti edemi declive. Se si ha un paziente che presenta un edema periferico, la prima cosa da fare è rilevare la pressione venosa centrale, se si può (che dovrebbe essere tendenzialmente alta, per i motivi sopra citati). Il paziente quindi avrà una volemia ridotta o tuttalpiù nella norma se la pressione arteriosa è ancora buona, ma si ci potrebbe anche aspettare che sia leggermente ipoteso. Il quadro quindi potrebbe essere:  Paziente Ipoteso  Edemi periferici  PVC alta Il diuretico non andrebbe bene in questo caso perché ridurrebbe ancor di più la volemia. Mai dare un diuretico se non si ha una corretta volemia. Nemmeno liquidi come fisiologica o Ringer andrebbero bene, perché non farebbero altro che andare a finire nel liquido extracellulare. È per ciò necessario introdurre soluzioni che richiamino i liquidi che sono presenti nello spazio extracellulare, come ad esempio i plasma expander che non vanno ad agire direttamente sulla volemia ma essendo delle sostanze ad alto contenuto proteico, andranno ad esercitare una pressione oncotica che consentirà un richiamo dei liquidi presenti nello spazio extracellulare a favore dello spazio intracellulare. Questo di conseguenza ridurrà gli edemi periferici. Inoltre migliorerà la situazione respiratoria, aumenterà la volemia (avendo richiamato i liquidi) e contestualmente si avrà l’effetto diuretico. Per ridurre gli edemi si ha un’unica soluzione: introdurre delle sostanze oncotiche (che richiamano liquidi). 26 TUMORI DELLA MAMMELLA Tumori benigni: Fibroadenoma – Filloide - Papilloma Intraduttale - Cisti  Fibroadenoma Il fibroadenoma è un tumore benigno della mammella, nel cui nome sono già insite le caratteristiche che lo definiscono come un tumore misto. Misto perché una parte di tumore nasce dalla componente fibrosa (fibro -) quindi dal tessuto connettivale della mammella e una parte dal tessuto ghiandolare (- adenoma) e si presenta con margini e superfici regolari e capsulato che lo separa da tutti gl’altri tessuti. Questo tumore è tipico nelle donne giovani dove appunto la componente ghiandolare ha una certa importanza e si presenza 9 volte su 10 con un nodulo che spesso è anche dolente; il dolore sta proprio a identificare che si tratta di un tumore benigno. (DOLORE SEGNO DI BENIGNITA’). Il nodulo alla palpazione risulta ben definito, gli specialisti lo definiscono come una consistenza parenchimatosa cioè che ricorda molto il tessuto mammario, è mobile perché non ha capacità di infiltrazione. Il tumore benigno essendo capsulato ha un tipo di crescita espansiva, significa che il nodulo nel tempo cresce rapidamente diventando ben circoscritto andando a comprimere i tessuti sottostanti creando dolore. C’è da dire però che questo dolore non è sempre presente perché il fibroadenoma può presentarsi asintomatico o sintomatico (dolore o fastidio). Succede però che se una donna ha una mammella voluminosa e il fibroadenoma non è abbastanza grande la donna non ne sentirà la presenza. Ciò che ne consentirà la scoperta, sarà un ecografia eseguita durante uno screening volontario (essendo donne giovani). Quando il tumore arriva ad avere una dimensione di 2 cm (limite critico) in una mammella di dimensioni normali viene asportato, in una mammella più piccola, un fibroadenoma di 2 cm se superficiale va già a deformare la normale struttura della mammella. Si deve anche tener conto che quando viene asportato il fibroadenoma che con le sue dimensioni espansive, avrà determinato delle compressioni sul tessuto che gli sta attorno, a cui servirà un determinato tempo per ritornare alla stadio originale. Se il fibroadenoma non raggiunge le dimensioni che ne permetterebbero l’asportazione (rapporto dimensione del fibroadenoma con le dimensioni della mammella), si monitorerà la situazione tenendo la crescita sotto controllo. Pressoché gli indicatori per operare o meno sono: 1. Paziente sintomatica (che avverte dolore o fastidio) 2. Dimensione del fibroadenoma 2 – 2,5 cm 3. Crescita molto rapida del fibroadenoma nell’unità di tempo L’intervento viene eseguito in day-surgery (si entra in ospedale, si viene operati e in giornata stessa si torna a casa), e verrà effettuato lungo la regione periareolare o nel solco inferomammario (si sfrutta la ptosi per coprire l’incisione) oppure lateralmente seguendo le linee ad arco di cerchio. Le incisioni possono essere fatte nell’ambito del parenchima mammario (preferite per lesioni non facilmente raggiungibili con le tecniche sopra citate), ma l’incisione è di piccola dimensione per un miglior esisto estetico. Si ricorda che l’incisione periareolare è preferibile per le lesioni che coinvolgono i dotti galattofori. 27  Filloide Tumore filloide (dal greco Fyll – foglia) è anch’esso un tumore misto dove pero la componente ghiandolare è coinvolta poco rispetto alla componente connettivale. Anch’esso è capsulato, mobile, molto simile al fibroadenoma insomma, ma ha 2 grandi differenze 1. Cresce molto velocemente rispetto al fibroadenoma 2. Alcune forme di filloide crescono al tal punto da poter nell’ambito del filloide stesso dare uno scenario di malignità Può colpire le giovani donne è le procedure sono medesime al fibroadenoma per quanto riguarda la diagnosi, il trattamento chirurgico e gli esami per controllo con la sola e unica differenza che quando il filloide viene diagnosticato si toglie subito per scongiurare la possibilità che possa diventare maligno.  Papilloma Intraduttale / Papillomatosi Il papilloma intraduttale della mammella è una patologia dei dotti galattofori della mammella che ha una bassa probabilità di trasformazione maligna. La lesione papillare può essere unica o multipla, anche bilaterale. I papillomi multipli (papillomatosi) originano dai dotti più periferici e possono evolvere verso il cancro della mammella. Le dimensioni del papilloma sono in genere piccole e non palpabili. La manifestazione più frequente è una secrezione dal capezzolo della mammella. Per questo motivo la secrezione ematica del capezzolo viene definita come patognomonica della presenza di un tumore intraduttale o papillomatosi benigni. Questo perché si forma un papilla che può sanguinare. Solo la secrezione ematica viene identificata come patognomonica. Esistono infatti altri tipi di secrezione come: sierosa, lattiginosa che identificano altro. “La lattiginosa tipica nelle donne nel periodo dell’allattamento, che però può essere presente anche nelle donne che non hanno avuto figli o non sono nel periodo di allattamento ciò può essere segno dell’aumento della prolattina, che è un tipico ormone che aumenta nella fase dell’allattamento, stimolano infatti la produzione di latte. Ci sono donne che hanno la prolattinemia aumentata che è causa di assenza di mestruazioni, che porta quindi la donna a non poter rimanere incinta.”  Mastopatia Fibrocistica (cisti) Le cisti del seno sono noduli che si formano nel tessuto mammario. Sono costituite da una capsula all'interno della quale vi è un liquido e si distinguono dagli altri tipi di noduli perchè hanno:  una consistenza morbida (gli specialisti la definiscono "fluttuante"),  una forma ben definita (detta "ovoidale"). Le loro dimensioni sono estremamente variabili (da un diametro di pochi millimetri sino a 4-5 centimetri), così come lo è il loro numero: possono essere singole o molteplici e possono localizzarsi a un solo seno o a entrambi. La maggior parte delle volte, le cisti del seno sono una delle manifestazioni di quella che viene definita "mastopatia fibrocistica", ovvero un'alterazione del tessuto mammario che coinvolge ben il 30 per cento delle donne in età compresa tra i 30 e i 50 anni. Proprio per la sua diffusione, molti studiosi non la definiscono più una malattia, ma una piuttosto una "situazione costituzionale": per natura, cioè, alcune donne hanno un seno che ha un tessuto maggiormente fibroso e al cui interno sono disseminate piccole cisti, senza che si possa parlare di vera malattia. 28 Tumore maligno Carcinoma Mammario Il tumore maligno a differenza del tumore benigno prende origine dalla componente (solo) ghiandolare. L’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età. Su 100 se ne trovano: 2-3 < 30anni 10 dai 30 anni ai 40 anni Tutto il resto sopra i 40 anni con una netta prevalenza sopra i 70 anni Paradossalmente però ci sono delle fasce di età dove anche se le donne sono giovani l’incidenza del tumore è aumentata, per questo si è deciso di abbassare la foglia per lo screening da 50 a 45. Questo permette di andare ad individuare un possibile tumore che altrimenti si sarebbe visto 5 anni più avanti. Ad oggi non è stato ancora individuato un possibile causa effetto se non l’associazione fumo di sigaretta – trattamento estroprogestinico (anticoncezionale), il resto come menarca precoce o tardiva, menopausa precoce o tardiva non sono ancora stati dimostrati. E’ chiaro che una donna che ha un periodo fertile più lungo rispetto ad altre, ha un rischio maggiore essendo esposto a un fattore ormale più lungo. L’80% dei tumori alla mammella risentono nella loro moltiplicazione cellulare dell’influenza degli ormoni. Tanto è vero che nello studio dell’esame istologico delle pazienti operate alla mammella, si valutano i recettori ormonali, cioè quei recettori che sono presenti nella cellula tumorale per gli estrogeni e progesterone. Gli estrogeni e i progesteroni (sono i principali ormoni sessuali femminili. Si tratta di ormoni steroidei, che prendono il loro nome dall'estro e sono presenti in entrambi i sessi, anche se nelle donne in età fertile raggiungono livelli sierici molto più alti) che vengono prodotti da queste donne agiscono su questi recettori e stimolano la moltiplicazione cellulare. La terapia farmacologica è incentrata anche su questo. Evoluzione dei Tumori 1985 2015 Incidenza Mortalità Incidenza Mortalità 1° Tumore Collo dell’Utero Tumore Collo dell’Utero 1° Tumore della Mammella Tumore della Mammella 2° Tumore della Mammella Tumore della Mammella 2° Tumore del Colon Tumore al Polmone 3° 3° Tumore al Polmone Segni e Sintomi I segni e sintomi che possono portare una donna all’attenzione del medico sono:  Percezione o sensazione della presenza di un nodulo  Retrazione del capezzolo o una alterazione dello stesso  Secrezione dal complesso areola-capezzolo  Presenza di dolore o contrattura  Presenza di linfonodi aumentati di dimensione a livello del cavo ascellare  Alterazione della cute del seno  Un trauma (anche se non è la causa scatenante del tumore alla mammella, il trauma subito da una donna, che magari picchia sull’armadio di casa o altro) porta la donna all’attenzione del medico, che farà in modo che venga sottoposta a degli esami diagnostici, dal quale sarà possibile notare la presenza di un tumore 31 Appunto: Classificazione TNM T  le dimensioni (tramite eco/mammografia) T1= 2-2,5 cm T2= 2,5 – 5 cm N  interessamento dei linfonodi (tecnica del linfonodo sentinella) M  metastasi a distanza (eco epatica/ scinti ossea / rx torace) Una paziente che viene operata con un T1N0 (inferiore a 2-2,5cm e dove non vengono interessati i linfonodi) si ha una percentuale di sopravvivenza se correttamente trattata con la terapia chirurgica insieme alle altre terapie (ormonale - radio-chemio) pari al 94%. Qualunque donna che viene operata che è al primo stadio della malattia ha il 94% di sopravvivenza con la conseguente guarigione (per essere considerata ciò devono passare 10 anni). Ciò permette di dire che la diagnosi “precoce” è la più efficacie arma di difesa, che non dipende dalla volontà dello stato italiano, ma della volontà del singolo. Diagnosi Le situazioni che possono portare alla diagnosi di un tumore non sono solo concentrate sugli esami alla mammella, ma a livello anatomico si deve tener presente anche il linfonodo. La mammella si estende dal secondo al quinto spazio intercostale, poggia separata da una fascia sui muscoli grande e piccolo pettorale. Il cavo ascellare è una cavità virtuale, perché non è una reale cavità come il cavo pleurico o il cavo peritoneale, si determina nel momento in cui facciamo dei movimenti particolari, come il cavo popliteo del resto, riusciamo infatti a sentire il polso popliteo solo quando la gamba è flessa. Se il braccio è abdotto rispetto al busto il cavo ascellare non è palpabile, se invece si adduce il braccio notiamo che si forma la cavità. La cavità ascellare è data da una serie di punti di riferimento: grande pettorale, vena ascellare, grande dorsale. All’interno di questo spazio sono contenuti i linfonodi, che servono a drenare la linfa proveniente dal braccio e in parte dalla mammella. Le vie di drenaggio linfatico della mammella sono rappresentate da i linfonodi ascellari, e dai vasi mammari interni che sono tributari dell’arteria vertebrale, che a sua volta è un ramo della succlavia. Un nodulo che può essere palpato può trovarsi nella cavità ascellare. E’ molto frequente che le donne si presentino in pronto soccorso preoccupate per aver notato il nodulo, in questo caso l’infermiere di triage dovrebbe dare un codice bianco, perché 9 volte su 10 quella donna avrà un ostruzione di un dotto di una ghiandola sudoripara. La zona si presenterà arrossata, fortemente dolente; molto probabilmente si tratterà di una idrosadenite, che con un antinfiammatorio e nei casi peggiori un antibiotico, si risolve. In 1 caso su 10, là dove non ci sono segni di flogosi, segni di infiammazione e dolore, potrebbe essere un linfonodo patologico e potrebbe essere anche una metastasi di un tumore maligno della mammella. In quel caso la paziente non si lamenterà del dolore, si sentirà solo un nodulo che è il motivo per cui andrà in pronto soccorso, quel nodulo andrebbe valutato con un codice bianco o al massimo verde, semplicemente per stimolare l’attenzione della paziente a sottoporsi ad esami diagnostici di approfondimento mentre nell’altro 32 caso è pressoché inutile. A parte i segni clinici con cui la donna si presenta, si può eseguire un’ecografia e una mammografia ed evidenziare un nodulo che non si è mai visto, oppure molto più importante sarebbe la diagnosi di tante microcalcificazioni, che hanno significato patologico. In quel caso si arriva alla diagnosi di tumore prima che si sia formato il nodulo. Bisogna ricordare che la prima cellula tumorale che nasce in tempo X, per arrivare a 1 cm di dimensione, quindi X+1, sono necessarie 164 milioni di cellule e questo replicazione varia in base all’età della persona. “In 1 cm quadrato di tumore ci sono 164 milioni di cellule” In una ragazza di 30-35 anni si formerà sostanzialmente in 1-2 anni un tumore di una certa dimensione, perché nei giovani il tempo di raddoppio cellulare è di 6 mesi, diversamente in una donna di 70-75 anni, questo formazione si compie in 2-3 anni, perché ha un tempo di raddoppio cellulare più lento. Applicare quindi lo screening a donne giovani in termini biologici è più che giusto, perché se prendiamo l’esempio di una donna a 50 anni che si fa lo screening e ha un tumore di 0,5 cm, questo tumore passerà inosservato alla prima mammografia, ma alla seconda che farà dopo 2 anni avrà già una dimensione di 2 cm. Questo perché dopo 12 mesi il tumore diventerà 1 cm, e dopo 24 mesi 2 cm. Diversamente nella donna di 75 anni che va a compierlo ogni 2 anni lo screening, non cambierà quasi nulla, perché il tempo di raddoppio è relativamente lento. Il tumore passerà da 0,5 cm a 1 cm in 2 anni, in questo caso la diagnosi clinica corrisponde alla diagnosi precoce Quindi poiché il sistema sanitario dopo i 50 anni attua lo screening solo 1 volta ogni 2 anni, è consigliabile indirizzare la persona a farla 1 volta gratuitamente e 1 volta a proprie spese, in modo tale che la situazione clinica possa essere monitorata il più frequentemente possibile. Quando durante uno screening si trovano le microcalcificazione, è l’apoteosi della diagnosi precoce nella mammella, perché si arriva a diagnosticarlo prima ancora che si formi la lesione principale e quando parliamo di carcinoma alla mammella, se ne hanno due tipi:  Una forma in situ: la moltiplicazione anomala è dentro al dotto, si parla di duttale o intraduttale, oppure intralobulare se nel lobulo  Una forma infiltrante: quando il tumore si accresce e supera la membrana basale vanno nella parte extraduttale e diventa quindi infiltrante; La grande differenza è che le cellule del tumore infiltrante, superano la lamina basale, riescono a raggiungere i vasi sottostanti e quindi può andare in circolo, raggiungendo i linfonodi attraverso le vie linfatiche, oppure in organi a distanza (dando metastasi “a distanza”) attraverso le vie ematiche, venose (fegato e ossa). Diversamente il tumore in situ ha una malignità locale, non è capace di dare metastasi a distanza. La forma in situ o intraduttale si evidenza spesso e volentieri sotto forma di microcalcificazioni, ci sono dei casi in cui l’intraduttale evolve tutto in infiltrante, degli altri invece in cui una parte dell’intraduttale evolve in infiltrante e c’è una componente intraduttale attorno. Se si evidenziano solo delle microcalcificazioni si arriva ad una diagnosi estremamente precoce e si è certi che quella paziente non avrà mai la possibilità di avere delle metastasi a distanza. Quando si parla di sopravvivenza non si ci riferisce al carcinoma intraduttale “in situ”, ma solo alla forma infiltrante, perché quella è l’unica forma per cui le donne possono morire, perché dà metastasi. Il processo patologico vuole che la forma in situ possa evolversi nella forma filtrante. Per questo è importante lo screening, dove si si cercare di scoprire la forma in situ prima che si evolva in filtrante, in modo tale che si possa escludere completamente la presenza di metastasi a distanza. Nella forma in situ per risolvere il problema basta eseguire un intervento chirurgico senza la necessità di accompagnarla con un processo terapeutico. Oggi si riesce ad avere circa il 30% di anticipazione diagnostica e quindi un 30% in più di donne che vengono salvate, grazie al fatto che vengono trovati in una fase precoce. 33 Terapia Per poter dare un indicazione terapeutica in senso lato, è necessario che la paziente abbia fatto sempre una mammografia associata ad un’ecografia ed eventualmente una risonanza di approfondimento soprattutto in caso di microcalcificazioni. Ad esse però laddove ci sono dei dubbi o dei sospetti diagnostici clinici fondati deve sempre essere abbinato, un esame citologico o un esame istologico. Sarebbe utile andare in sala operatoria solo dopo aver visualizzato l’esame istologico perché così si hanno delle ulteriori informazioni che il citologico non potrebbe fornire, questo perché l’esame citologico analizza le cellule fra di loro e quindi, capire se c’è un carcinoma, ma senza sapere se è infiltrante o intraduttale, mentre l’istologico che esamina il tessuto permette di capire se quelle cellule hanno superato o meno la membrana basale. Si deve quindi valutare anche l’esame istologico per capire se si tratta di un tumore infiltrante o intraduttale. Ma non basta, dovremmo sapere anche come sono i recettori per gli ormoni, qual è indice di proliferazione cellulare, e il grading. Il grading è il grado di differenziazione cellulare, che può dividersi  G1 rappresenta un grado di replicazione basso, vuol dire che queste cellule sono molto simili alle cellule normali  G2  G3 analizza il fatto che le cellule sono molto diverse dalle cellule normali, quindi si tratta di un avanzata fase di moltiplicazione La biopsia ci da molte informazioni: se è intraduttale o infiltrante, come sono i recettori, qual è l’indice di proliferazione, qual è il grading. Questo oggi è fondamentale per capire la giusta terapia del tumore alla mammella (ma come quella di tanti altri tumori) che è data da: Componente Componente Componente Componente Chirurgica Radioterapica Ormonale Chemioterapica Nel lontano 1985 si faceva solo la terapia chirurgica, tutte le pazienti erano operate e non si facevano terapie di supporto, in 30 anni le pazienti vengono comunque operate ma si fanno le terapie di supporto, che possono avvenire dopo la chirurgica (in questo caso di parlerà di TERAPIE ADIUVANTI), oppure possono precedere la chirurgica (TERAPIE NEODIUVANTI). Oggi si ha questo tipo di atteggiamento perché una volta il chirurgo era l’unica e ultima soluzione al trattamento di molte patologie fra cui i tumori, ma con il passar del tempo è diventata sempre più importante la connotazione istologica dei vari tumori, questo consentirà in futuro di personalizzare al massimo la terapia per un paziente affetto da tumore alla mammella. Diversamente dal passato dove per esempio un gruppo di pazienti con carcinoma infiltrante T1N0G2 facevano tutti la stessa terapia. I farmaci a loro volta saranno sempre più differenziati, perché ad una paziente sarà necessario trattare l’aspetto A e non il B, ad un'altra sarà necessario trattare l’aspetto B e non A. Un giorno si arriverà ad ottenere pazienti che non faranno più chemioterapia, perché la chemio è come una mitragliatrice che spara su tutte le cellule sia sane che malate, mentre si cercherà di puntare su una terapia fatta stile cecchino, che colpisce uno (cellula malata) e preserva le altre (cellule sane). Terapia 36 del cavo ascellare che sono mediamente 15-30 (anche se la quantità di linfonodi dipende molto dall’abilità del chirurgo) e che alla fine erano state giudicate tutte come T1/T2N0, ovvero dall’analisi dell’anatomopatologo quei 15/30 linfonodi erano tutti sani; abbiamo ripreso quelle stesse pazienti, e ciascuno di quei 20 linfonodi è stato trattato come un solo sentinella, cioè l’anatomopatologo ha ripreso tutti è 20 i linfonodi tolti (perché vengono conservati per 5 anni) e li ha sezionati tutti come si fa con il linfonodo sentinella, a sezioni di 100 micron, dimostrando che in realtà il 27€ in più dei pazienti era T1/T2N+, cioè era stato detto a quelle pazienti che i loro linfonodi erano sani, e invece non erano sani. In quello stesso periodo le pazienti con T1N0 faceva tuttalpiù l’ormono-terapia, un T1/T2N+ faceva la chemio terapia; abbiamo detto che con un T1N0 abbiamo una sopravvivenza del 94% dei casi, e invece in quelle pazienti avevamo un 70% di sopravvivenza, quindi morivano circa il 20% in più di pazienti, perché era N+ di pazienti con metastasi che erano state giudicate sane, e che non avevano fatto un adeguato trattamento. Questo ha dimostrato non solo che la metodica del linfonodo sentinella era corretta, considerando che mediamente nei primi casi abbiamo solo un 18% di pazienti che hanno metastasi ai linfonodi, quindi a 82 pazienti su 100 veniva fatta una linfoadenectomia inutile. La terapia chirurgica va sempre bene però non è la sola, abbiamo anche la radioterapica, la chemioterapia, la terapia biologica e l’ormone terapia, dall’insieme di queste terapie nasce il miglior risultato, e quando parliamo di 94% di sopravvivenza è inteso nell’insieme di queste terapie. È importante ricordare che la terapia chirurgica non è la prima in assoluto ma potrebbe essere preceduta da altro, che la terapia chirurgica può essere conservativa o demolitiva ed è condizionata non dalla dimensione del nodulo ma dalla posizione di questo e che comunque anche la demolitiva in realtà al giorno d’oggi non è demolitiva. “Quando da me arrivano signore su cui la gravità ormai ha avuto il suo effetto, e dico sempre loro per cercare di creare psicologicamente quell’empatia che possa in qualche modo ridurre lo stato di tensione, non dico che tutti i mali vengono per nuocere, però è l’occasione laddove si dovrà fare una mastectomia e qualcuna lo chiede anche bilaterale perché non ne vuole più sentir parlare di tumore al seno, e quindi si fanno mastectomia bilaterale con ricostruzione protesica, si passa così dai 50-60 anni ai 18 anni! Non solo, ma nella fase dell’intervento loro parlano con me di questi aspetti “negativi”, però poi li invio al chirurgo plastico con cui decidono misura, posizione ecc… È fondamentale il fatto che la paziente si svegli con la mammella, perché questo consente di affrontare le terapie successive in modo più costruttivo; ma non solo, teniamo presente che con le alte percentuali di guarigione che abbiamo adesso le pazienti con gli anni si possono dimenticare di essere state operate, e l’unica cosa che rimane è l’estetica dell’intervento chirurgico, ecco perché si sono sviluppare le tecniche di oncoplastica sugli interventi conservativi.” Alcune pazienti sono costretti a fare la mastectomia anche per il solo rischio genetico (come nel caso di Angelina Jolie che aveva una mutazione genetica) oggi infatti, se in una famiglia capita un caso di tumore si va a fare l’analisi genetica, e se quel gene è espresso sulla persona che ha il tumore, si va fare contestualmente sulle figlie o sorelle l’analisi genetica, evidenziando così il gene, a quel punto ci sono due strade: la mastectomia bilaterale con ricostruzione protesica, oppure si fa un monitoraggio stretto, cioè controlli ogni 6 mesi proprio perché a rischio nell’80% di sviluppare un tumore. 37 TIROIDE La Tiroide è una ghiandola endocrina (riversa il suo secreto all’interno del circolo ematico), ubicata subito al di sotto della cartilagine tiroidea che costituisce gran parte della superficie anteriore della laringe, avvolge la superficie anteriore della trachea. In ragione della sua topografia, la ghiandola tiroidea può facilmente essere percepita alla palpazione; in caso di alterazione della funzionalità può diventare sporgente. Le dimensioni della tiroide variano considerevolmente in relazione a fattori ereditari, ambientali e nutrizionali ma il peso medio si aggira sui 34g. Ha un colorito rosso scuro dovuto alla ricca vascolarizzazione, che avviene per mezzo dell’arteria tiroidea superiore (ramo della carotide esterna) e tiroidea inferiore (ramo del tronco tireocervicale della succlavia). Il ritorno venoso avviene ad opera delle vene tiroidee superiore e media, tributarie della vena giugulare interna e della vena tiroidea inferiore, affluente della vena brachiocefalica. L’aspetto della ghiandola tiroidea è quella di una farfalla le cui ali corrispondono a due lobi uniti sulla linea mediana per mezzo di un istmo. La porzione superiore di ciascun lobo si estende sulla superficie laterale della trachea verso il margine inferiore della cartilagine tiroidea; la porzione inferiore termina a livello del II- III anello tracheale, cui aderisce per mezzo di una sottile capsula dalla quale si dipartono i setti di tessuto connettivo che suddividono il tessuto ghiandolare e circondano i follicoli tiroidei. I follicoli tiroidei hanno il compito di sintetizzare, accumulare e secernere gli ormoni tiroidei. Essi hanno una forma sferica e normalmente sono rivestiti da un epitelio cubico semplice, composto da tireociti (anche detti cellule follicolari). Un altro aspetto importante è la presenza dei nervi ricorrenti o laringeo-ricorrenti (ricorrenti perché ricorrono sul vaso), posti lateralmente ai due lobi. Questi nervi sono responsabili della sollecitazione delle due cartilagini aritenoidee, che sono in grado di far muovere le corde vocali e che quindi permettono la respirazione e la parola. 38 Gli Ormoni secreti dalla tiroide sono: 1) Tiroxina/Tetraiodotironina/T4 prodotte dalle cellule Tireociti/Follicolari – Hanno come bersaglio la maggior parte della cell. corporee 2) Triiodotironina/T3 Mentre come azione: - A livello tissutale o all’interno dell’organismo: consumo d’ossigeno, Catabolismo proteico negli adulti, ma anabolismo nei bambini. Normale sviluppo del sistema nervoso (Nei primi anni di nascita, la mielina richiede la presenza di T4 e T3) - Azione a livello cellulare: Aumenta l’attività degli enzimi metabolici e della pompa Na+ K+ ATPasi - Azione a livello molecolare: Produzione di nuovi enzimi 3) Calcitonina prodotte dalle cellule C – Hanno come bersaglio Ossa e Reni – Diminuzione della concentrazione di ioni calcio nei fluidi corporei. E’ uno dei 3 ormoni che controlla la regolazione del calcio (Paratormone – Calcitriolo – Calciotonina) La produzione di questi ormoni è regolata dall’ipofisi anteriore attraverso l’ormone TSH (Ormone Stimolante della Tiroide), che a sua volta è regolato dall’ormone TRH (Ormone Rilasciante della Tireotropina), rilasciato dall’ipotalamo. Di norma, gli ormoni tiroidei attraverso un segnale a retrazione negativa (detto anche feedback negativo) prevengono l’ipersecrezione ormonale. Quindi se ci sono tanti ormoni stimolanti, all’ipotalamo arriva un feedback negativo che lo induce a produrre meno TRH, che porterà a una scarsa produzione di TSH, che stimolerà a secernere pochi ormoni alla tiroide. Viceversa se ci sono pochi ormoni, sarà prodotto tanto TSH. Infatti un aumento ponderale del TSH può essere un chiaro segnale di ipotiroidismo. La tiroide può essere colpita principalmente da 4 tipi di tumori maligni:  Tumore Papillare  Tumore Follicolare  Tumore Midollare  Tumore Anaplastico: tutta la struttura della ghiandola è mutata (evoluzione naturale della forma o Follicolare o Papillare) Forma differenziata Forma indifferenziata 41 Analogamente alle cellule C della tiroide, le cellule principali controllano la concentrazione ematica di ioni calcio. Quando i livelli di calcio scendono al di sotto del valore normale, le cellule principali secernono il paratormone, che stimola gli osteoclasti e gli osteoblasti, e riduce l’escrezione urinaria di calcio. Inoltre il paratormone stimola la produzione di calcitriolo, un ormone renale che favorisce l’assorbimento di calcio a livello intestinale. I livelli di PTH (ormone paratiroide) restano elevati fino a quando la concentrazione di ioni non torna nella norma. Quando si toglie la tiroide si deve fare non solo rispettando i nervi correnti, ma anche le paratiroidi. Se si porta via le paratiroidi, la persona non avrà più la produzione di paratormone e quindi il calcio in circolo diminuisce. Abbassando il calcio, i muscoli non riusciranno a distendersi quindi rimanendo contratti si ha la presenza di parestesie e tetania. Il corretto allineamento dei filamenti contrattili all’interno del sarcomero (unità contrattile del tessuto muscolare striato) è assicurato dalla presenza delle proteine giganti titina e nebulina. Le funzioni della titina sono due: (1) Stabilizzare la posizione dei filamenti contrattili e (2) consentire con la sua elasticità il ritorno del muscolo alla lunghezza iniziale dopo il suo stiramento. La tetania si presenta con il segno di Chvostek e Trousseau, cioè contrazione del massetere e contrazione dei muscoli della mano. Anche se si perde una sola paratiroide (quindi ne restano 3) c’è sempre un problema. Le paratiroidi non funzionano tutte e 4 contemporaneamente, ma si alternano. Se durante l’intervento viene tolta la paratiroide funzionante, il calcio si abbassa notevolmente e quindi si ha la tetania, per questo si dovrà dare della terapia compensatoria per un arco di tempo, in modo che le paratiroidi quiescenti ricomincino a produrre una determinata quota di ormoni per ripristinare un corretto livello di calcio a livello ematico. 42 POLMONE L’essere umano respira per eliminare la CO2 che si accumula. E’ l’ipercapnia che dà l’input ai centri nervosi per attivare la respirazione e non la mancanza di ossigeno, infatti nell’iperventilazione ovvero l’aumento degli atti respiratori porta ad una eliminazione eccessiva di anidride carbonica, causando l’inattivazione della respirazione, non si avrà più CO2 da espellere e quindi non si sentirà il bisogno di respirare. Bronchi La trachea si ramifica nel mediastino, dando origine ai bronchi principali destro e sinistro i quali, decorrendo al di fuori dei polmoni, vengono anche definiti bronchi extrapolmonari. Alla loro origine è presente una cresta detta carena. L’organizzazione istologica dei bronchi principali è la stessa della trachea, con anelli cartilaginei di supporto a forma di C. Ogni bronco ventila il rispettivo polmone. Il bronco destro ha un diametro maggiore rispetto al sinistro e scende con un andamento più in verticale verso il polmone destro; per questa ragione, i corpi estranei che entrano in trachea prendono più facilmente la via del bronco destro. Ciascun bronco principale, prima di suddividersi ulteriormente, passa attraverso un incavo situato nella faccia mediale del rispettivo polmone, l’ilo polmonare, che rappresenta il punto di passaggio per i vasi e i nervi destinati al polmone. Questa formazioni vascolari e nervose sono fissate a un traliccio di tessuto connettivo denso (la radice del polmone) che tiene ancorati i polmoni del mediastino e rende stabile la posizione dei principali nervi dei vasi sanguigni e linfatici. Le radici dei polmoni si trovano anteriormente a T5 (destra) e T6 (sinistra). 43 Bronchi Polmonari I bronchi principali e le rispettive ramificazioni formano l’albero bronchiale. I bronchi destro e sinistro decorrono al di fuori dei polmoni e sono pertanto definiti extrapolmonari. Dopo il loro ingresso nei polmoni, i bronchi principali si suddividono a formare condotti aerei di dimensioni progressivamente inferiori, che vengono chiamati nel loro complesso bronchi intrapolmonari. Ogni bronco principale si suddivide a formare i bronchi lobari (o secondari, per ciascun lobo) che, a loro volta, si ramificano per formare i bronchi segmentali (o zonali, o terziari), ciascuno dei quali ventila un singolo segmento broncopolmonare. La componente cartilaginea delle pareti dei bronchi diminuisce progressivamente a partire dai bronchi principali, per ridursi a semplici placche cartilaginee che circondano il lume nei bronchi secondari e nei bronchi terziari. Queste cartilagini hanno lo stesso significato funzionale degli anelli cartilaginei della trachea e dei bronchi principali. Parallelamente alla riduzione della componente cartilaginea si ha un incremento della componente muscolare liscia che circonda il lume dei dotti. La presenza della componente cartilaginea è una caratteristica che permette di discriminare le varie diramazioni dei bronchi, caratterizzati da placche cartilaginee, dai bronchioli, privi di cartilagine. Polmoni I due polmoni, destro e sinistro, sono situati nelle rispettive cavità pleuriche destra e sinistra. Ciascun polmone ha la forma di un cono tronco la cui punta, o apice, si estende superiormente, fino alla base del collo, al di sopra della prima costa. La porzione inferiore, o base, più ampia e concava, poggia sulla faccia superiore del diaframma. I polmoni sono suddivisi in lobi ad opera di profonde scissure. Il polmone destro è costituito da tre lobi: superiore, medio e inferiore, mentre il polmone sinistro è diviso da due lobi: superiore e inferiore. Il polmone destro ha un volume maggiore rispetto al sinistro, perché il cuore e i grossi vasi si proiettano in gran parte verso la cavità pleurica sinistra. Il polmone sinistro ha un diametro verticale leggermente maggiore rispetto al polmone destro, poiché il diaframma si solleva sul lato destro per fare spazio al fegato. Vascolarizzazione del polmone Le superfici deputate agli scambi respiratori ricevono sangue dalle arterie del circolo polmonare. Le arterie polmonari, sinistra e destra, entrano nel rispettivo polmone attraverso l’ilo, e si suddividono seguendo le ramificazioni dei bronchi via via che si avvicinano ai lobuli. Ogni lobulo riceve un’arteriola che forma una rete capillare, circondante i singoli alveoli e si riunisce a formare una venula. Oltre a provvedere agli scambi gassosi, il letto capillare è la fonte principale dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) che converte l’angiotensina I circolante in angiotensina II, un ormone coinvolto nella regolazione del volume e della pressione ematica. Dai capillari alveolari il sangue passa, attraverso le venule polmonari, nelle vene polmonari dirette nell’atrio sinistro del cuore. Il tratto di conduzione dell’apparato respiratorio riceve sangue dalle arterie carotidi esterne (cavità nasali e laringe), dal tronco tireocervicale (rami delle arterie succlavie che vascolarizzano la porzione inferiore della laringe e la trachea) e dalla arterie bronchiali. I capillari che originano dalla arterie bronchiali forniscono ossigeno e sostanze nutritizie alla vie di conduzione del polmone; il sangue venoso fluisce nelle vene polmonari, bypassando il resto del circolo sistemico e diluendo sangue ossigenato proveniente dagli alveoli. 46 Diagnosi In presenza di sintomi sospetti è importante contattare il proprio medico di base che, dopo una visita approfondita nella quale valuterà tutti i segni e i sintomi, potrà prescrivere ulteriori esami di approfondimento come per esempio una radiografia al torace (ricordiamo che è invasiva perché ci vuole una quota di radiazioni enormi perché deve superare la struttura ossea quale la gabbia toracica). Il medico di base che tiene la radiografia del torace può avere il sospetto di una massa o di un addensamento. Ulteriori approfondimenti possono prevedere anche l'uso di TC (esame che sfrutta radiazioni ionizzanti) se questa risulta positiva si cerca di avere un approfondimento istologico attraverso un esame endoscopico (fastidioso ma non crea danni al pz) si può associare a delle agobiopsie ma si può associare un altro esame che è l’ecografia perché ci sono degli endoscopi che nel loro interno hanno un sistema che emette ultrasuoni quindi intanto che si fa l’endoscopia si fa anche l’ecografia e così facendo possiamo studiare i linfonodi. Dopo il torace e dopo la tac la stadiazione del T l’abbiamo già fatta (sappiamo la grandezza). L’N (i linfonodi) non sappiamo ancora se sono metastatici e per avere la certezza dobbiamo prelevare il linfonodo sentinella e farlo analizzare solo dopo sappiamo se c’è metastasi. Risonanza magnetica e PET sono utili per l’M, ma per arrivare a una diagnosi certa è necessario effettuare una biopsia - prelievo di un frammento di tessuto tumorale - e il successivo esame istologico, cioè lo studio al microscopio del frammento prelevato. Spesso viene anche effettuato l'esame citologico dello sputo, nel quale si cercano eventuali cellule tumorali che provengono dai polmoni. Per avere un quadro più preciso della situazione, il medico può prescrivere anche altri esami, un po' più fastidiosi per il paziente come per esempio la broncoscopia che riesce a visualizzare l'interno dei bronchi grazie a un sottile tubo inserito attraverso la bocca, utile anche per eseguire prelievi del tessuto senza ricorrere all'intervento chirurgico. Per valutare se la malattia è diffusa alle ossa si utilizza in genere la scansione ossea (scintigrafia), mentre la valutazione della funzionalità polmonare, ovvero di come lavorano i polmoni, è fondamentale se si pensa di ricorrere all'intervento chirurgico per l'asportazione di parte del polmone. Nel corso delle analisi dei campioni di tessuto prelevati, è oggi possibile determinare la presenza di particolari molecole sulle cellule tumorali, una pratica importante nell'era dei cosiddetti "farmaci intelligenti": tali molecole possono infatti rappresentare i bersagli di questi farmaci e la loro presenza o assenza aiuta i medici a decidere quale trattamento utilizzare per la cura di ogni singolo paziente. Stadiazione La stadiazione dei tumori polmonari rappresenta una modalità attraverso la quale si tenta di ordinare, in base all’estensione, i diversi tumori del polmone e di conseguenza di standardizzare i diversi trattamenti chemio/radio/chirurgici. Negli anni sono state proposte numerose classificazioni per il carcinoma broncogeno, quella attualmente impiegata è quella proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). SCLC (small cell lung cancer o carcinoma polmonare a piccole cellule): Rappresenta l’istotipo caratterizzato da cellule di piccola taglia, che assai frequentemente si accompagna a metastasi diffuse. Si differenzia dal NSCLC in quanto caratterizzato, soprattutto in I linea, da una buona risposta alla chemioterapia (con alto numero di totale/parziale regressione di malattia) dovuta all’alta attività proliferativa delle cellule che lo formano. Dal punto di vista stadiativo si distingue in: Malattia Limitata (LD): localizzata al polmone e pertanto irradiabile. Malattia Estesa (ED):con presenza di metastasi a distanza. NSCLC (non small cell lung cancer o carcinoma polmonare non a piccole cellule): Il NSCLC comprende almeno 4 istotipi*: -Carcinoma squamoso: prevalentemente a carico dei bronchi di grosso calibro (alte vie aeree). In passato rappresentava l’istotipo più diffuso negli uomini fumatori. 47 -Adenocarcinoma: si presenta solitamente come lesione periferica. Negli ultimi anni la sua incidenza è significativamente incrementata, rappresentando l’istotipo più frequente non solo nelle donne. Si distingue in adenocarcinoma di derivazione bronchiale (la forma in assoluto più frequente) e BAC (carcinoma bronchioloalveolare, che trae origine dall’epitelio (ovvero superficie di rivestimento) degli alveoli (sede degli scambio aria-sangue). -Carcinoma a grandi cellule o anaplastico (scarsamente differenziato): ha un andamento peggiore rispetto ai due precedenti istotipi perché più aggressivo. *l’istotipo rappresenta l’aspetto attraverso cui questi tumori si presentano all’osservazione dell’anatomo- patologo in fase diagnostica. E utile per guidare la scelta del clinico sugli eventuali trattamenti da impiegare. Per il NSCLC la classificazione si basa sul TNM, ove per T, N, M si intende: 1)T valuta la dimensione del tumore e la sua estensione rispetto ad alcune strutture pleuro-polmonari. 2)N valuta l’interessamento linfonodale, cioè la presenza di cellule maligne nei linfonodi. 3)M indica la presenza di metastasi (ovvero organi solidi in cui ci sia evidenza di cellule di derivazione polmonare). I siti più frequenti di metastasi da carcinoma polmonare sono: encefalo, surreni (piccole ghiandole localizzate sopra i reni), fegato, ossa. Per “T” si riconoscono quattro livelli: T1: tumore uguale o inferiore a 3 cm senza interessamento della pleura viscerale e/o del bronco principale. T2: tumore di dimensioni maggiori a 3 cm oppure di qualunque dimensione che però sia localizzato a 2 cm dalla carena tracheale, o che coinvolga al pleura viscerale, o provochi atelettasia polmonare. T3: qualunque dimensione purché infiltri la parete toracica, il diaframma, la pleura medistinica, dia atelettasia di un intero polmone o sia entro 2 cm dalla carena tracheale. T4: qualunque tumore che invada il mediastino, il cuore o i grossi vasi, la trachea o il corpo vertebrale, la carena, che presenti noduli multipli in uno stesso lobo e/o versamento pleurico. Per “N” si riconoscono quattro livelli: N0: non evidenza di metastasi linfonodali. N1: metastasi a carico dei linfonodi bronchiali o ilari omolaterali al tumore primitivo. N2: metastasi a carico dei linfonodi mediastinici e carinali omolaterali. N3: metastasi a carico dei linfonodi ilari, mediastinici e carinali controlaterali o sovraclaveari. Per “M” si riconoscono due livelli: M0: non evidenza di metastasi a distanza. M1: presenza di metastasi a distanza.** **Vengono considerati M1 anche le neoplasie con noduli in lobi polmonari omolaterali diversi da quello in cui è localizzato il tumore, nonché presenza di linfonodi laterocervicali. La combinazione dei diversi T, N ed M determina la stadiazione. Quelli sotto riportati corrispondono alla suddivisione nei 4 stadi principali con i rispettivi sottotipi. Stadio Ia: T1N0M0 Stadio Ib: T2N0M0 Stadio IIa: T1N1M0 Stadio IIb: T2N1M0; T3N0M0 Stadio IIIa: T1N2M0; T2N2M0; T3N1M0 Stadio IIIb: qualsiasi T N3M0; T3N2M0; T4 qualsiasi N M0. Stadio IV: qualsiasi T, qualsiasi N, M1. Nb: si deve intervenire con la radio e la chemioterapia associate in fase preoperatoria cioè in forma neoadiuvante quando il tumore è così avanzata che non è operabile che anche se togli tutto il polmone magari hai un invasione della biforcazione dei grossi bronchi e quindi non si risolverebbe e quindi si fa radio chemio che riducono l’M e lasciano solo il T e l’N. Casi in cui viene fatta la terapia ormonale: La terapia ormonale (o terapia endocrina) modifica il funzionamento di determinati ormoni nell’organismo e/o dei tessuti che da essi sono influenzati. Si utilizza soprattutto per curare i cosiddetti tumori ormono- sensibili, come quello della mammella, dell’endometrio e della prostata, e viene principalmente usata come terapia adiuvante in associazione ad altri trattamenti in pazienti con tumori localizzati, ma avanzati, o che hanno già dato luogo a diffusione (metastatici). 48 Generalmente la terapia ormonale è ben tollerata, pur avendo comunque effetti collaterali. Gli effetti collaterali di questa terapia, infatti, risultano per lo più meno gravi rispetto a quelli della chemioterapia (1). Limitandosi ad interferire con il funzionamento di ormoni o dei loro recettori, essa è molto meno aggressiva della chemioterapia che colpisce i meccanismi di replicazione delle cellule danneggiandole o distruggendole. Tuttavia, la terapia ormonale è efficace solo a determinate condizioni: quando sono presenti ormoni o recettori ormonali sensibili a quello specifico trattamento e se i recettori sensibili sono espressi in modo significativamente maggiore (in inglese overexpressed: “super-espressi”) sulle cellule tumorali rispetto alle cellule normali (1). L’espressione dei recettori, vale a dire la loro produzione e localizzazione nella parte della cellula dove entrano in funzione, è influenzata da diversi fattori, a cominciare dalla genetica. Come funziona la terapia ormonale? Gli ormoni stimolano la proliferazione (crescita numerica) di alcune cellule normali come, ad esempio, cellule presenti nella mammella, nell’endometrio (superficie interna dell’utero) e della prostata. Gli stessi ormoni (principalmente estrogeni o progesterone) possono anche stimolare la crescita di tumori che si sviluppano a partire da quelle cellule. Per questo tali neoplasie si definiscono ormoni-dipendenti. Poiché la terapia ormonale agisce bloccando la produzione o l’attività di uno specifico ormone, è efficace solamente nei confronti dei tumori ormono-dipendenti che ne rappresentano il bersaglio. Pertanto, prima di somministrarla, occorre che la neoplasia sia studiata accuratamente per valutarne la possibile risposta al trattamento. Tra le altre valutazioni, si considera lo stato ormonale del tumore, cioè la quota di cellule tumorali che possiede i recettori ormone specifici ai quali il farmaco si lega. Lo stato ormonale di un tumore può variare con il passare del tempo: ad esempio, frequentemente i tumori del seno in fase iniziale sono tumori ormono-dipendenti a differenza dei tumori mammari in fase avanzata che non lo sono o lo sono meno. Differenti tipi di terapia ormonale Esistono vari modi di applicare la terapia ormonale:  Additiva – consiste nell’aggiungere ormoni artificiali a quelli prodotti dall’organismo, per incrementare il livello complessivo dell’ormone.  Competitiva – utilizza sostanze che si legano agli stessi recettori di un certo ormone fisiologico impedendone l’azione. Ad esempio, il tamoxifene “compete” con gli estrogeni per gli stessi recettori.  Inibente – consiste nell’uso di farmaci che inibiscono la sintesi di specifici ormoni naturali (ad esempio gli inibitori delle aromatasi che bloccano la sintesi degli estrogeni) Tumori in fase avanzata  tumore al polmone non a piccole cellule: gefitinib ed erlotinib Combattere il tumore al polmone affamandolo, cioè togliendogli i rifornimenti necessari per vivere. La nuova speranza terapeutica viene dalla citochina IL-12, una sorta di ormone prodotto naturalmente dall'organismo, che può contrastare la formazione di vasi sanguigni intorno all'adenocarcinoma polmonare, il più diffuso fra i tumori al polmone. La scoperta è dell'Istituto Gaslini di Genova e nasce dalla necessità di scovare nuove e più efficaci terapie di contrasto al tumore rispetto a quelle convenzionali rappresentate da chemioterapia, radioterapia e rimozione chirurgica, che scontano un'efficacia limitata, risultando peraltro debilitanti per il paziente. I ricercatori hanno dimostrato che gli adenocarcinomi polmonari di stadio precoce, cioè a migliore prognosi, posseggono il recettore per la citochina IL-12 e possono così essere bersaglio dell’attività di tale molecola. Al contrario gli adenocarcinomi polmonari ad uno stadio avanzato perdono spesso l’espressione del recettore di IL-12 suggerendo che il recettore della citochina IL-12 può rappresentare un marcatore 51 PNEUMOTORACE Un’altra patologia del polmone oltre al tumore è il PNX ovvero condizione patologica in cui si viene a trovare aria nel cavo pleurico. Cavità e sierose pleuriche La cavità toracica ha la forma di un tronco di un cono. Le sue pareti sono costituite dalla gabbia toracica e il pavimento del muscolo del diaframma. Nella cavità toracica sono contenute le due cavità pleuriche separate dal mediastino. Ogni polmone occupa una singola cavità pleurica delimitata da una membrana sierosa, la pleura. Quest’ultima viene suddivisa in pleura parietale (riveste la superficie interna della parete toracica e si estende sul diaframma e sul mediastino) e la pleura viscerale (riveste la superficie esterna dei polmoni e si approfonda all’interno delle scissure che separano i lobi). Lo spazio esistente tra pleura parietale e pleura viscerale, viene chiamato cavità pleurica e in esso vige una pressione negativa (intorno ai -3 mmHg) e diventa ancor più negativa durante inspirazione (intorno ai -6 mmHg). Entrambe le pleure secernano una piccola quantità di liquido pleurico, un fluido umido e viscoso che ha diverse funzioni: 1) creare una superficie umida e scivolosa in modo che i due foglietti membranosi possano scorrere l’uno sull’altro. 2) mantenere i polmoni a stretto contatto con la parete toracica. Il Pneumotorace si può classificare in:  Spontaneo  Post traumatico Pneumotorace spontaneo · Spontaneo, è un PNX chiuso dove l’aria entra spontaneamente nel cavo pleurico e arriva agli alveoli. Esso può essere: 1. Primitivo, insorge in soggetti sani e giovani. È dato da un deficit di un enzima alfa1-antitripsina responsabile della produzione di surfactante che è un liquido che riveste l’alveolo riducendo la tensione superficiale ed impedendo al polmone di collassare, in mancanza di questa sostanza gli alveoli tendono a 52 fondersi l’uno con l’altro formando delle bolle (blebs), che possono andare incontro a rottura, anche a causa della fragilità e assottigliamento della parete alveolare, riversando l’aria contenuta nella bolla nello spazio intra-pleurico. 2. Secondario, insorge in individui affetti da malattie polmonari quali BPCO, fumatori; quindi in tutti quei soggetti affetti da enfisema(fisiologicamente si ha una difficoltà nell’espirazione perché l’aria rimane intrappolata, mentre anatomicamente si assiste alla fusione degli alveoli), come la BPCO, infatti, anche il fumo va a ledere i setti intralveolari, riducendo così la superficie di scambio, la formazione di blebs che provocando assottigliamento e fragilità della parete possono andare incontro a rottura; a questo punto l’aria che non riesce più ad uscire si accumulerà nel cavo pleurico. Dell’aria spontaneamente entra nel cavo pleurico. Tipico paziente è l’anziano fumatore con enfisema. L'enfisema polmonare è una malattia dei polmoni, caratterizzata da un'alterazione anatomica degli alveoli e, in alcuni casi, anche dei bronchioli terminali; si tratta di un'alterazione negativa, in quanto provoca difficoltà respiratorie più o meno gravi. Anatomicamente, gli alveoli si dilatano più del normale e diventano di fatto un tutt'uno. Incluso nell'elenco delle cosiddette broncopneuomopatie croniche ostruttive (BPCO), l'enfisema polmonare rappresenta uno stato morboso cronico e solitamente bilaterale (colpisce cioè entrambi i polmoni). Origine del termine enfisema. Il termine enfisema significa "dilatazione enorme" o "ampliamento enorme". Che cosa sono gli alveoli? Gli alveoli sono delle piccole cavità polmonari, in cui avvengono gli scambi di gas tra sangue e atmosfera. Gli alveoli sono delle piccole camere d'aria, in cui si raccoglie l'aria inspirata. Situati alle estremità dei bronchioli terminali, cioè le ramificazioni ultime dei bronchi, gli alveoli presentano un'estesa superficie parietale, molto elastica, che serve loro ad aumentare l'area per gli scambi gassosi. All'interno di essi, infatti, il sangue si arricchisce dell'ossigeno contenuto nell'aria inspirata e si "libera" dell'anidride carbonica prodotta dai tessuti. Circondati da pareti elastiche, gli alveoli sono separati l'uno dall'altro dai cosiddetti setti alveolari; queste strutture divisorie sono fondamentali, perché amplificano enormemente la superficie per gli scambi gassosi, consentendo una miglior ossigenazione sanguigna. Un insieme di alveoli forma il cosiddetto acino polmonare; l'acino polmonare, o più semplicemente acino, risiede all'estremità di un bronchiolo terminale; i bronchioli terminali sono le ramificazioni ultime delle vie aeree inferiori, le quali iniziano dalla trachea e proseguono con i bronchi primari, i bronchi secondari, i bronchi terziari, i bronchioli e, appunto, i bronchioli terminali. Un gruppo di più acini polmonari e di più bronchioli terminali costituisce la più piccola struttura polmonare visibile a occhio nudo: il lobulo. Nel lobulo polmonare, si possono riconoscere acini più interni, detti centrali, e acini periferici, detti distali. Ma il pnx spontaneo viene anche nei giovani non fumatori in questo caso il problema è dato dal fatto che anche il giovane in questo caso ha delle bolle. Il perché si vengono a creare queste bolle è dato che non 53 produce surfactante. Il surfactante è quella sostanza che consente di passare dalla situazione ideale in senso fisico alla situazione ideale in senso fisiologico. Se viene meno il surfactante gli alveoli per l’elevata tensione superficiale tendono a fondersi l’uno con l’altro e si crea la bolla. Il giovane è soggetto a molti più sforzi fisici rispetto all’anziano quindi è facile che si venga a creare la rottura della bolla. L’aria contenuta nel parenchima non sta più li mi va a finire nel cavo pleurico. Segni e sintomi pnx Il segno clinico evidente è la dispnea, oltre alla dispnea ha dolore causato dalla rottura della pleura viscerale a causa della rottura della bolla. Dal momento che l’aria fuoriesce dal cavo pleurico ci sarà una ridotta funzionalità respiratoria e quindi difficoltà a respirare e si arriverà al collasso del polmone, atelectasia completa del polmone, perché non c’è più una pressione negativa intra-pleurica che durante l’inspirazione porta dietro con se il polmone. Esami diagnostici Un pneumotorace è generalmente diagnosticato con un esame radiografico del torace si vedrà aria fuori dal parenchima polmonare. Pneumotorace post traumatico Entra dell’aria nel cavo pleurico in seguito a trauma toracico e viene classificato in aperto chiuso e a valvola. Aperto: Il cavo pleurico comunica con l’esterno (colpo di pugnale, foro di proiettile). Dispnea, il pz non respira e dolore. Chiuso: Il cavo pleurico non comunica con l’esterno e l’aria proviene dal polmone, è lo stesso caso del pnx spontaneo infatti il pnx spontaneo è un pnx chiuso. Può essere dovuto a una frattura della costa e picchia contro il parenchima polmonare creando una soluzione di continuo sul parenchima e in questo caso l’individuo ogni volta che inspira fa entrare aria nei suoi polmoni ma essendoci una comunicazione l’aria va a finire nel cavo pleurico. Ipertensivo o a valvola: si chiama ipertensivo perché avviene quando aumenta la pressione nel cavo pleurico e avviene quando si crea un cosiddetto meccanismo a valvola. Durante un inspirazione la gabbia toracica si muove e di conseguenza anche il polmone si espande e poi ritorna indietro, se vi è una frattura costale in due punti vuole dire che questo tratto di costa diventerà indipendente dal resto della gabbia toracica quindi il resto della g t si espande durante l’inspirazione portando con se la pleura viscerale e parietale ma quel tratto di costa no e quindi entra aria. Con il rientro dopo l’inspirazione si crea di nuovo la continuità e l’aria fa fatica ad uscire quindi ad ogni atto respiratorio entra sempre più aria. Si avrà uno sbandamento mediastinico cioè l’asse del mediastino si sposta e i vasi che vanno al cuore vengono compromessi e questo si riversa sul ritorno venoso e se non c’è non ci sarà un adeguata funzionalità cardiaca secondo la legge di Starling e quindi ci sarà un insufficienza cardiaca (possibile arresto cardiaco). 56 Derma Il derma è l'ultimo strato della pelle, nonché il più profondo. È costituito da tessuto connettivo lasso e denso ed è formato da una parte papillare ed una reticolare. Essendo in connettivo è vascolarizzato e presenta la via di diffusione che i metaboliti e l'ossigeno compiono per arrivare dal sangue all'epidermide. Le numerose anse epidermiche che costituiscono le creste e i solchi si giustappongono con strutture analoghe nel derma denominate papille dermiche, strutture coniche provviste di un'ansa capillare e di numerose terminazioni nervose. Ricco di fibre collagene ed elastiche conferisce elasticità e resistenza alla cute. Continua senza un netto distacco con l'ipoderma. Proprietà meccaniche In quanto tessuto molle, la cute possiede un particolare comportamento meccanico se sottoposta a trazioni. La pelle intatta possiede una tensione interna, simile a quella di una muta in neoprene tesa sul corpo di un subacqueo. L'esecuzione di tagli profondi nella pelle determina una sua retrazione che allontana i lembi della ferita, allargandola. Caratteri superficiali Nella cute sono presenti diverse strutture, che coinvolgono sia l'epidermide che il derma, che contribuiscono all'irregolarità della superficie. La pelle è caratterizzata da:  Depressioni puntiformi o pori che corrispondono con gli orifizi dei follicoli piliferi e delle ghiandole sudoripare;  Rilievi cutanei o creste cutanee, bene evidenziati nei palmi delle mani e nelle piante dei piedi, sono separati dai solchi cutanei e presentano sulla sommità diversi sbocchi di ghiandole sudoripare;  Rafi, rilievi che si formano dalla fusione di due labbri adiacenti durante lo sviluppo, come accade per scroto, pene e la linea mediana anogenitale;  Pieghe muscolari che corrispondono a solchi dovuti a trazioni ripetitive esercitate dai muscoli mimici, sono dipendenti dalla contrazione dei muscoli e perpendicolari ai fasci muscolari stessi;  Pieghe articolari permanenti o temporanee, dovute ai movimenti articolari;  Pieghe senili o rughe dovuti principalmente all'alterazione delle fibre elastiche e collagene del derma che, con il tempo, non bilanciano più la forza di gravità. 57 Il melanoma è un tumore maligno dei melanociti. Nel derma sono presenti i vasi; una delle funzioni più importanti della cute è la termoregolazione, che funziona attraverso la variazione del tono vasocostrittorio periferico. Se ci esponiamo al freddo avremo infatti un aumento del tono vasocostrittorio, ovvero i vasi della cute diminuiranno il loro calibro e quindi diminuirà il flusso di sangue. Quando c’è freddo, si avverte molto nelle mani perché abbiamo una riduzione del tono vasocrostrittorio, e quindi diminuisce l’apporto di sangue in periferia per evitare la dispersione del calore con l’esterno che servirà a mantenere l’omeostasi interna, permettendo così che tutte le reazioni avvengano alla giusta temperatura, ovvero 37° circa. Quando c’è molto caldo invece, il tono vasocostrittorio diminuisce e quindi i vasi si dilatano consentendo di disperdere il calore con l’esterno, diminuendo quindi la temperatura interna per mantenere omeostasi interna. La Sindrome di Raynaud colpisce le donne, alterando la normale funzione di vasocostrizione. In genere è legata ad un alterazione del normale stimolo simpatico tale per cui per esposizioni al freddo si ha una vasocostrizione così importante nelle donne, che si arriva addirittura all’ischemia (le dita saranno bianche, poi dopo cianotiche). La cianosi è un compenso. Normalmente i tessuti vengono ossigenati con sangue ricco di O2 e quindi di emoglobina ossigenata, l’emoglobina poi cede l’O2 ai tessuti e diventa emoglobina ridotta o deossigenata, cioè parte dell’ossigeno, circa il 30-40%, resta sempre nell’emoglobina (in condizioni di benessere l’organismo è uno sprecone). Quando per qualche motivo questo sangue ossigenato non arriva più al tessuto interessato subentra l’ischemia, quindi l’organismo per compensare tende a consumare la piccola percentuale di ossigeno presente nell’emoglobina ridotta aumentando il tono vasocostrittorio delle venule, diminuendo quindi la quota di sangue che ritorna al cuore, quindi il tessuto usufruisce dell’ossigeno rimasto nell’emoglobina ridotta che accumulandosi conferisce al tessuto il tipico colore bluastro. Parlando di termoregolazione può essere utile rendere l’idea con una scena di un celebre film quale Titanic, nell’ultima scena infatti succede che dopo l’affondamento del Titanic Jack decide di far mettere Rose sopra la zattera perché era molto più probabile che fuori dall’acqua Rose sopravvivesse visto che la temperatura dell’acqua era molto più bassa di quella dell’aria. Jack inoltre consiglia a Rose di muoversi il più possibile, perché muovendosi e vasocostringendo aumenta la temperatura corporea, perché fuori si sta raffreddando tantissimo è per aumentare la temperatura interna non basta solo la vasocostrizione, è necessario anche muoversi così da attivare il metabolismo e produrre calore. Queste risorse purtroppo hanno un limite, e man mano che la temperatura si abbassa l’uomo tende ad addormentarsi, morendo senza sentire alcun dolore; i passeggeri del Titanic morirono per congelamento, e quindi ipotermia, diventando dei cubetti di ghiaccio che galleggiavano. La cute ha anche funzione di protezione da agenti chimici, biologici, meccanici, fisici come le radiazioni emesse dall’ambiente esterno; protegge anche da agenti termici perché grazie ai termocettori riusciamo a percepire una fonte di calore e quindi un possibile pericolo; abbiamo anche dei recettori tattili che ci permettono di capire in base all’esperienza l’ambiente esterno anche ad occhi chiusi. Quando ci si fa la doccia, impostando l’acqua ad una certa temperatura e controllando con la mano sembra una buona temperatura, una volta entrati sotto la doccia però la prima sensazione è che sia più fredda per un istante, questo accade perché c’è un principio di difesa da parte dei termocettori. Nella funzione di protezione dalle radiazioni ionizzanti entra in gioco la melanina. La melanina è una sostanza che filtra le radiazioni ultraviolette, è prodotta dai melanociti. Il numero di melanociti non varia da persona a persona, cambia invece la quantità di melanina prodotta. D’estate infatti quando ci si espone al sole viene stimolata la produzione di melanina, di conseguenza la carnagione diventa più scura, questo è un sistema di difesa della nostra cute. Il melanoma è un tumore maligno che colpisce i melanociti. Questo tumore oggi ha il più alto indice di crescita di tutti gli altri tumori, ha una crescita esponenziale ed è dotato di una malignità estrema. Per fortuna l’incidenza del melanoma è relativamente bassa anche se è aumentata nel tempo, la mortalità è invece molto alta. 58 Fattori di rischio Il fattore di rischio più importante per quanto riguarda il melanoma è l’esposizione frequente ed intensa esposizione ai raggi ultravioletti. La più alta incidenza di melanoma nel mondo è in Australia, perché il continente australiano è in assoluto quello che è il risultato della più alta incidenza di immigrazione. Gli indigeni australiani sono gli aborigeni, ma la popolazione australiana è fatta solo da una piccola parte di aborigeni, per il resto sono tutti frutto di immigrazione. Gli irlandesi che sono una buona parte delle popolazioni che vivono in Australia, hanno una carnagione chiara, con efelidi, occhi chiari e capelli biondo/rosso. In Irlanda queste popolazioni sono esposte ad un entità di radiazioni decisamente inferiori trattandosi di un emisfero boreale invece di un emisfero australe. Un altro problema riguarda l’eccessivo passaggio di raggi UV per via del buco dell’ozono. Abbronzarsi non fa male, al contrario, esporsi al sole da benessere all’organismo, fa bene alle ossa, aiuta nell’ipotiroidismo grazie allo iodio, aiuta a produrre vitamina D, tutto questo se si rispettano alcune semplici precauzioni, come evitare le ore più calde e l’uso di una crema protettiva. Quando ci si espone al sole con bassi dosaggi di protezione o senza protezione succede che si irrita la cute, dopo la fase di eritema c’è la fase in cui la cute diventa scura, ma quella cellula che è andato incontro all’eritema vive molto meno. Paradossalmente un abbronzatura indotta da un esposizione senza protezione che ha portato ad un eritema, induce un abbronzatura che si acquisisce in poco tempo ma dura meno tempo, e inoltre fa male. Un abbronzatura che si acquisisce con una crema protettiva a schermo 50 resistente all’acqua, ci si metterà un po’ di più affinché la cute diventi scura, ma il risultato sarà più duraturo. Classificazione Nella classificazione dei melanomi noi distinguiamo ex novo (ex neo) e de novo (de neo), in sostanza possono svilupparsi melanomi dal nulla, oppure inscenarsi nell’ambito di un neo pre-esistente. Esistono infatti diverse lesioni cancerose occulte che possono poi inscenare la comparsa di un melanoma. Segni e Sintomi Si applica la regola dell’ABCDE Asimmetria = immaginando di tagliare il nevo sul lato più lungo si hanno 2 parti diversi tra loro Bordi = irregolari Colore = disomogeneo, non importa che sia chiaro o scuro, ma che all’interno dello stesso nevo ci siano più Colori Dimensione = non è importante se sia grosso o piccolo il nevo, ma vedere se cresce o meno. Elevazione = si presenta sollevato  Prurito: può essere un altro segno, di solito lo si ha prima del dolore;  Satellitosi: presenza di pigmentazioni attorno ad un neo, questo è segno di malignità; Sanguinamento: oggetto d’attenzione, là dove c’è una lesione che sanguina, ci sarà sicuramente un processo riparativo, questo processo porta a una rigenerazione tissutale con caratteristiche diverse e potrebbe inscenare qualche meccanismo moltiplicativo anomalo; se il melanoma è del braccio sinistro il linfonodo sentinella è nell’ascella sinistra; ma se il melanoma è del tronco o del dorso, il linfonodo sentinella potrebbe trovarsi nei linfonodi ascellari sia di destra che di sinistra, se il melanoma si trova sempre nel tronco o nel dorso ma più in basso, in prossimità del centro, il linfonodo sentinella potrebbe trovarsi sia nelle ascelle che negli inguini, o in tutti e due gli inguini. L'applicazione della metodica del sentinella nel melanoma non solo consente di individuare il linfonodo sentinella, ma di individuare quello giusto. Prima che venisse applicata la metodica del linfonodo sentinella i melanomi venivano tolti tramite una biopsia piccola, poi in base a dove si trovava il melanoma veniva tolto il linfonodo più vicino che era ovviamente quello potenzialmente interessato. Se il melanoma si trovava nel tronco o dorso, era un problema capire quale linfonodo si sarebbe dovuto togliere. Il ragionamento logico comportamentale prevedeva però di togliere tutti e quattro le stazioni linfonodali, perché era l’unica sicurezza per non lasciare metastasi linfonodali, ma togliere tutte le stazioni linfonodali crea diversi problemi quali linfedemi, accumulo di liquidi, ecc. Quindi in realtà la logica pratica, proprio per evitare problemi derivanti dalla rimozione di tutti i linfonodi, tendeva a seguire il principio della posizione del melanoma, quindi se il melanoma si trovava appena spostato a destra e in alto si toglievano i linfonodi del cavo ascellare destro, se era un po' più a sinistra si toglievano quelli di destra, se era un po' più in basso, sempre tramite misure anatomiche si toglievano i linfonodi inguinali poiché più vicini e quindi potenzialmente interessati. Se era proprio centrale nel dubbio se ne potevano togliere anche due, ma in realtà non c'era la certezza di aver del tutto rimosso il rischio di metastasi linfonodali, perché anche togliendo una o due stazioni linfonodali poteva capitare che il linfonodo interessato era un altro. L'applicazione della metodica del linfonodo sentinella nel melanoma si differenzia da tutti gli altri organi, perché non solo si è in grado di capire se c'è stato o meno diffusione metastatica ai linfonodi, quindi capire se i linfonodo sentinella sia sano o malato, ma si riesce a capire anche qual è il vero linfonodo sentinella, l'esatta sede in cui questa metastatizzazione sta avvenendo, perché in certi casi potrebbero esserci diversi linfonodi interessati, infatti quando si applica la metodica del linfonodo sentinella per i melanomi del tronco, è capitato più volte di avere un drenaggio linfatico bilaterale ascella-ascella, inguine-inguine oppure addirittura ascella-inguine, e quindi va tolto il linfonodo sentinella sia dell’ascella che dell’inguine, ma in questo caso se ne toglie uno solo per distretto quindi il danno è minimo, se poi dopo l’analisi amatomo- patologica questi due linfonodi sono ammalati, allora si vanno a togliere tutti i linfonodi sia dell’ascella che dell’inguine, perché in questo caso è certo che siano ammalati. Capita spesso di trovare il linfonodo sentinella metastatizzato, e gli altri linfonodi tolti in seguito alla linfedectomia sani, per merito delle cellule immunitarie presenti nel linfonodo sentinella che sono riuscite a bloccare le metastasi. In passato si faceva un tipo di intervento per la rimozione dei linfonodi potenzialmente metastatici chiamata sempling linfonodale, cioè la rimozione parziale di linfonodi dall’ascella o dall’inguine; togliendo solo una parte di linfonodi totali (5-10 su 30-40) succede che quelli su cui si andava a fare il sempling magari erano tutti sani e quelli malati rimanevano sempre. Questa è stata ovviamente una metodica senza senso, era come estrarre i numeri alla lotteria. Quindi, dopo aver fatto un ecteresi piccola, e aver appurato che si tratta di melanoma, la procedura prevede che il giorno prima dell'intervento si faccia un iniezione di sostanza radioattiva (come si fa per la mammella), il giorno dopo poi in sala operatoria viene effettuato l’ampiamento sul tessuto sano dove era presente il melanoma, e l’asportazione del linfonodo sentinella. Se poi il linfonodo sentinella risulta positivo, il chirurgo è obbligato a togliere tutti gli altri linfonodi perché potenzialmente metastatici, ma tante volte capita che tutti gli altri linfonodi alla fine sono sani perché erano sani, purtroppo lo si può sapere solo dopo averli tolti che erano sani. 61 62 Trovato il linfonodo sentinella, gl’altri linfonodi che si vanno a togliere sono tutti presenti nel cavo, non c’è un numero preciso, vanno tolti tutti i linfonodi nello spazio delimitato dalle strutture anatomiche. Il numero di linfonodi varia da persona a persona, ma anche dalla bravura del chirurgo che si può spingere oltre al costo di danneggiare strutture nervose purché ne tolga il più possibile. In genere si considera diagnostico un cavo di almeno 15 linfonodi, che in mano ad un chirurgo esperto dovrebbero essere di più. Terapia Il melanoma ha un altro “piccolo” problema, che è quello di non poter usufruire di alcun trattamento di beneficio se non del trattamento chirurgico, ed è per questo che la radicalità oncologica è il punto di base della possibile sopravvivenza del paziente con un melanoma, perché per il melanoma non funziona chemioterapia, ormonoterapia, radioterapia. Oggi ci si basa su una terapia genetica avanzata, ma non sempre questa mutazione genetica è rappresentata dall’individuo e quindi non ha senso fare questo tipo di terapia. L’unica tipo di terapia che in qualche modo ha consentito di migliorare la sopravvivenza in caso di melanoma è l’interferone. L’interferone è un farmaco che stimola la produzione di cellule immunitarie, l’equilibrio fra tumore e sistema immunitario è delicato, il tempo che infatti serve per far progredire lo sviluppo cellulare di un tumore dipende anche dalla battaglia che esiste fra il sistema immunitario e il tumore, non appena il tumore inizia a svilupparsi infatti il sistema immunitario crea subito un vallo infiammatorio di isolamento, il problema è però che questo tumore (ma in genere quasi tutti) è in grado di autoalimentarsi e possiede una propria neovascolarizzazione, quindi nonostante ci sia il sistema immunitario che toglie apporto ematico e nutrimento al tumore, questo riesce a rigenerarsi da solo continuando a moltiplicare in modo esponenziale. All’inizio però il sistema immunitario riesce addirittura a distruggere parte del tumore, però quest’ultimo è sempre più forte anche se non si capisce il perché, e quindi riesce a trovare successive energie infatti ad un certo punto il tumore vince sul sistema immunitario, quando questo succede, osservando un diagramma di crescita con sistema ad assi cartesiani dove andremo a mettere la numerosità per il tempo, si nota che per lungo tempo la crescita è come controllata e si mantiene bassa, poi ad un certo punto diventa esponenziale, arrivati a questo punto il sistema immunitario ha praticamente perso, e quindi il tumore cresce. La diagnosi precoce è prima che il sistema immunitario perda, cioè prima che il tumore dia i sintomi, infatti prima della fase esponenziale è troppo piccolo per dare sintomi. L’interferone non sempre da i risultati sperati. 63 DEGLUTIZIONE La deglutizione è un’azione complessa che inizia in maniere involontaria, ma una volta iniziata procede spontaneamente. Può essere suddivisa in tre fasi: 1. Buccale (volontaria) 2. Faringea (involontaria) 3. Esofagea (involontaria) Fase buccale La fase buccale inizia con la spinta del bolo contro il palato duro. La successiva retrazione della lingua forza il bolo verso la faringe e porta all’innalzamento del palato molle ad opera dei muscoli palatali, con conseguente isolamento della rinofaringe. Questa fase è sotto il controllo della volontà, ma, una volta che il bolo entra nell’orofaringe, parte un riflesso involontario che ne determina il movimento verso lo stomaco. Fase faringea La fase faringea inizia quando il bolo viene a contatto con gli archi palatali, con la parete posteriore della faringe, o con entrambi. L’innalzamento della laringe (ad opera dei muscoli palatofaringeo e stilofaringeo) e il ripiegamento dell’epiglottide dirigono il bolo oltre la glottide (che ora è chiusa), e in meno di un secondo i muscoli costrittori della faringe lo spingono nell’esofago. Durante il tragitto lungo la faringe fino all’ingresso in esofago, i centri del respiro sono inibiti e la respirazione si arresta. Fase esofagea La fase esofagea inizia con l’apertura dello sfintere esofageo superiore: una volta passato attraverso lo sfintere aperto, il bolo viene spinto lungo l’esofago da onde peristaltiche. L’avvicinamento provoca l’apertura del debole sfintere esofageo inferiore. Ora il bolo può proseguire verso lo stomaco. 66 DIVERTICOLO ESOFAGEO La mancanza della parete sierosa (collagene) fa sì che l’esofago sia un organo fortemente vulnerabile. I diverticoli esofagei sono delle estroflessioni della mucosa dell'esofago. I diverticoli possono essere: Congeniti o Acquisiti. Gli acquisiti a sua volta si dividono in o Veri dove c’è un’estroflessione di tutte le tonache della parete o Falsi dove l’estroflessione riguarda solamente la tonaca mucosa e sottomucosa, lasciando la tonaca muscolare inalterata (in sede) Diverticoli Veri I diverticoli veri sono anche chiamati DIVERTICOLI DA TRAZIONE, sono ormai assai rari perché nascono dal fatto che qualcosa all’esterno determini l’estroflessione. Erano più frequenti quando la tubercolosi era endemica (assai presente), dove attorno all’esofago si formavano delle linfoadeniti (patologia infiammatoria coinvolgente il sistema linfatico, e in particolare il linfonodo) che creavano un effetto retraente sulla parete, causando la formazione del diverticolo. Diverticoli Falsi I diverticoli falsi vengono anche chiamati DIVERTICOLI DA PRESSIONE, sono molto frequenti e nascono dal fatto che all’interno dell’esofago ci sia un aumento della pressione che andranno a sfiancare la parete. Detto ciò i falsi si formeranno nei locci di minor resistenza della tonaca muscolare, ovvero punti dell’esofago dove la tonaca muscolare è più debole, non è ben rappresentata. Questi punti sono localizzati a livello dello sfintere superiore dove sono presenti dei muscoli definiti come il triangolo di Killian (è una zona triangolare nella parete posteriore della faringe, delimitata dalle porzioni tireofaringea e cricofaringea del muscolo costrittore faringeo inferiore.) dove finisce la muscolatura faringea e inizia quella esofagea è presente un punto dove c’è un quantitativo scarso di fibre muscolari, rendendo poco protetto l’esofago, come al livello dello sfintere esofageo inferiore. Il bolo fondamentalmente scende per 2 azioni: sia per forza di gravità che per l’azione della peristalsi. La peristalsi fa in modo che si crei una forza pressoria (aumenta la pressione) all’interno dell’esofago che spinga il bolo, questa pressione se esercitata su un punto debole (con poca tonaca muscolare) nel tempo, porta alla formazione di diverticoli. Il diverticolo più famoso è il diverticolo di Zenker, che è un diverticolo falso, quindi da pulsazione, che si forma all’altezza del triangolo di Killian. Segni e Sintomi Come tutte le patologie legate all’esofago il sintomo sarà la disfagia, in più ci sarà un ulteriore problema, ovvero che quando il paziente passerà dall’ortostatismo al clinostatismo avrà un rigurgito. (non reflusso perché non è arrivato nello stomaco). Un segno del diverticolo è l’alitosi, dato dal fatto che il cibo parzialmente digerito resta per del tempo bloccato all’altezza dello sfintere esofageo superiore. 67 Diagnosi Per fare diagnosi è sempre preferibile utilizzare l’esame diagnostico partendo dal meno invasivo a quello più invasivo. Siccome quando il paziente si presenta dal medico, non si è ancora sicuri se il diverticolo sia presente o meno, prima di utilizzare l’esame endoscopico, un esame sicuramente invasivo; è consigliabile prima eseguire un Rx con mezzo di contrasto. Poiché l’esofago è un organo cavo, il paziente berrà il bario che si evidenzia ai raggi, se il diverticolo sarà presente, il bario si accumulerà al suo interno mettendolo in risalto. Il mezzo di contrasto quindi riuscirà ad evidenziare la malformazione della strutture esofagea. E’ importante sapere che in passato quando era stato appena introdotto l’esame endoscopico, che consiste nell’inserimento della sonda attraverso il canale, aprendo il passaggio con l’insufflazione d’aria (la muscolatura dell’esofago fa sì che a riposo sia tutto collassato), capitava che la sonda viaggiasse in direzione del diverticolo, non vedendo più nulla, si continuava a insufflare aria per spianare la strada e quindi a gonfiare il diverticolo fino a romperlo. Terapia La terapia è diversa in base al tipo di diverticolo (vero o falso). In quello vero la terapia prima è medica, mirata alla rimozione della causa dell’infiammazione, se il grado di sfiancamento è alto si interviene immediatamente con la terapia chirurgica. Nel diverticolo falso invece la terapia è solo di tipo chirurgica, poiché non è una patologia legata a una alterazione funzionale, ma ad una alterazione anatomica dell’esofago. Si andrà quindi a resecare il diverticolo a livello del colletto e ricostruire la parete attraverso una sutura. 68 MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO E’ una malattia di interesse gastroenterologico, causata da complicanze patologiche del reflusso gastroesofageo (risalita di materiale gastrico), determinato dal mancato funzionamento dello sfintere esofageo inferiore (non si chiude nemmeno dopo le onde peristaltiche di pulizia). Il fatto che lo sfintere rimanga aperto permette al contenuto gastrico di risalire fino alle vie superiori (reflusso). I continui reflussi provocano un cambiamento del tessuto esofageo, ovvero l’epitelio diventa da pavimentoso stratificato a cilindrico (come quello dello stomaco); questo prende il nome di “metaplasia gastrica della mucosa esofagea”. Questo è alla base di un cambiamento che avviene nel tempo che prende il nome di esofago di Barrett che è una lesione precancerosa. Un paziente a cui si riscontra una patologia del genere, se non curato, è soggetto a una neoplasia dell’esofago. Questi episodi si possono verificare:  Dopo aver fatto un pasto abbondante ad esempio, dove la pressione all’interno dello stomaco aumenta e va a sfiancare lo sfintere  Nei tipi di pazienti dove l’uso di certe bevande acide (caffè, cioccolata, thè) che vanno al alterare la funzione dello sfintere  Alterazioni di tipo anatomiche-funzionali dello lo sfintere all’altezza dell’angolo di His, l'angolo acuto formato dalla giunzione dell'esofago con lo stomaco che non permette una corretta chiusura dello sfintere. Diagnosi Si possono attuare gli esami endoscopici, ma in particolar modo sono due gli esami che si possono fare:  pH metria esofagea: consiste nella misurazione del pH dell’esofago, che normalmente è basico  Manometria esofagea: esame specifico che calcola il valore pressorio a livello dello sfintere esofageo Terapia La terapia potrà essere sia medica che chirurgica. Medica attraverso dei farmaci inibitori di pompa che riducono l’acidità dello stomaco. La terapia medica però non agisce sulla causa della malattia, ma sul sintomo, la gastrolesività a livello dell’esofago sarà ridotta, ma ci sarà sempre un reflusso. Per questo qualora il paziente non segua il regime terapeutico (mangiare di meno, evitare bevande) o se c’è una malformazione anatomica, (la terapia medica non può essere usata per lunghi periodi), si dovrà agire chirurgicamente. L’intervento consiste in una plastica antireflusso dove viene ricostruito l’angolo di His migliorando l’efficacia dello sfintere esofageo inferiore. 71 STOMACO Lo stomaco, organo intraperitoneale, ha la forma di una grossa J, si localizza nell’ipocondrio sinistro, l’epigastrio e parte della regione ombelicale e lombare sinistra. Ovviamente la forma e le dimensioni dello stomaco sono estremamente variabili da individuo a individuo e a seconda dello stato di riempimento. Fondamentalmente svolge 3 funzioni: 1. Accumulo di cibo 2. Trasformazione meccanica di cibo ingerito 3. Digestione chimica attraverso la rottura di legami chimici per azione di acidi ed enzimi Il rimescolamento delle sostanze ingerite con gli acidi e gli enzimi secreti dalla ghiandole gastriche produce una sostanza viscosa fortemente acida chiamata chimo, mentre prima di tale azione si chiama bolo. Lo stomaco può essere suddiviso in 4 regioni e 2 orifizi: 1. L’esofago si continua on la superficie mediale dello stomaco a livello del cardias, cosi chiamato perché corrisponde al cuore. Il cardias è la porzione supero-mediale dello stomaco, distante 3 cm dalla giunzione tra stomaco ed esofago. Il lume dell’esofago i apre nel cardias tramite l’orifizio cardiale. 2. La regione dello stomaco posta al di sopra della giunzione gastroesofagea è il fondo, in rapporto con la superficie postero-inferiore del diaframma. 3. Il corpo dello stomaco corrisponde alla regione situata tra il fondo e la curvatura della J. Il corpo rappresenta la parte più dilatata dello stomaco, e il serbatoio all’interno del quale avviene il rimescolamento del cibo ingerito con le secrezioni gastriche. 4. Il piloro rappresenta la curva della J ed è diviso in: antro pilorico, connesso al corpo dello stomaco, e canale pilorico, connesso al duodeno, il segmento prossimale dell’intestino tenue. Il piloro solitamente cambia forma in seguito ai movimento di rimescolamento che si svolgono durante la digestione. Uno sfintere pilorico muscolare regola il rilascio del chimo in duodeno. Lo stomaco è vascolarizzato da tre rami del tronco celiaco:  Arteria gastrica (sinistra, destra, breve e posteriore) la sinistra parte dal tronco celiaco, risale sino al cardias, dove si ramifica in un ramo esofageo che sale verso l'esofago, per poi curvare e seguire l'andamento della piccola curvatura dello stomaco, stando all'interno del peritoneo. Lungo la piccola curvatura invia rami sia alla faccia superiore che a quella posteriore dello stomaco, contribuendo quindi alla vascolarizzazione della zona cardiale, talvolta di una piccola parte del fondo dello stomaco e della parte superiore del fondo dello stomaco nelle facce anteriore e posteriore. La destra invece è un ramo dell'arteria epatica propria, essa decorre superiormente all'arteria gastroduodenale, per poi scendere a livello del piloro e seguire la piccola curvatura, anastomizzandosi con l'arteria gastrica sinistra. Come l'arteria gastrica sinistra, invia ramificazioni alla parte superiore del canale pilorico, dell'antro pilorico e del corpo dello stomaco, nelle loro facce anteriori e posteriori. Le brevi in numero variabile da 5 a 7, sono delle piccole arterie che si ramificano a partire dall'arteria lienale, presso l'ilo della milza, esse risalgono fino a portarsi anteriormente e posteriormente al fondo dello stomaco, anastomizzandosi con ramificazioni dell'arteria gastrica sinistra e della gastroepiploica sinistra. La posteriore non è sempre presente, quando lo è si tratta di un ramo dell'arteria lienale che decorrendo posteriormente al corpo dello stomaco risale sino a ramificarsi nella parte superiore di questo e nel fondo dello stomaco.  Arteria gastroepiploica (sinistra e destra) la sinistra è il ramo più grosso dell'arteria lienale e si diparte da questa nella zona inferiore della faccia posteriore della milza, stando all'interno del legamento gastrolienale. Da qui segue l'andamento della grande curvatura dello stomaco inviando ramificazioni alle facce anteriore e posteriore, che si anastomizzano con le arterie gastriche brevi e l'arteria gastrica sinistra. Irrora quindi la parte inferiore del fondo dello stomaco. Alcune sue ramificazioni tuttavia penetrano nel grande omento irrorandone la parte superiore. La destra è un grosso ramo dell'arteria gastroduodenale. Segue la grande curvatura dello stomaco, inviando ramificazioni anteriormente e posteriormente alla zona inferiore del canale pilorico, dell'antro pilorico e di parte del corpo dello stomaco, per poi anastomizzarsi con l'arteria gastroepiploica sinistra.  Arteria gastroduodenale è il ramo principale dell'arteria epatica comune. Decorre inferiormente e posteriormente al piloro e al duodeno, per poi ramificarsi nell'arteria gastroepiploica destra e nell'arteria pancreatico-duodenale antero-superiore Le vene gastrica (sinistra, destra, breve e posteriore) e gastroepiploica (destra e sinistra) drenano il sangue dello stomaco alla vena porta. 72 TUMORE GASTRICO Fortemente rappresentato dall’adenocarcinoma, costituisce il 90% dei tumori maligni gastrici, con incidenza maggiore nei paesi come Giappone, Cile e Scandinavia; è più frequente nell’uomo con età maggiore di 50 anni. I fattori predisponenti sono: · Dieta: pesce affumicato, cibi sott’aceto, alimenti contenenti benzopirene e nitrosamine (sostanze cancerogene) · Fumo · Gruppo sanguigno A · Polipi gastrici adenomatosi · Pregressa resezione gastrica parziale · Gastrite cronica · Anemia perniciosa (deficit vit B12) · Gastrite ipertrofica di Menetrier (iperplasia dell’epitelio gastrico) · Ulcera peptica, principalmente sostenuta da Helycobapter Pylori Sintomi I sintomi principali sono: dolore costante, disfagia se è localizzato a livello del cardias, dispepsia, calo ponderale e anoressia. Sono possibili anche nausea, vomito e riduzione del lume gastrico se il tumore si trova a livello dell’antro. Nel caso in cui il tumore dia sanguinamento può manifestarsi anemia. Diagnosi La diagnosi con: EGDS, mostra la sede del tumore e permette di eseguire prelievi bioptici. Risulta utile la ricerca di sangue occulto; in fase preoperatoria per studiare meglio la parete gastrica si eseguirà un RX delle prime vie digerenti. Si esegue la TC per indagare interessamento linfonodale e presenza di metastasi. La metastasi linfatica riguarda i linfonodi peri-ombelicali e in fase avanzata i sovraclaveari SX (linfonodo di Troisier). La metastatizzazione ematica segue la vascolarizzazione, quindi la sede principale sarà il fegato; altre sedi di metastasi a distanza sono il cervello, diaframma, milza e pancreas. Terapia La terapia è chirurgica e prevede la resezione gastrica e relativa linfoadenectomia regionale. Se il tumore è nell’antro pilorico sarà possibile risparmiare parte dello stomaco, quindi si avrà una resezione parziale; se invece il tumore è localizzato a livello del cardias o del corpo, sarà necessaria la resezione totale anastomizzando il cardias e il duodeno. Nel caso in cui le metastasi siano molte ed estese e lo stomaco sia completamente compromesso, si provvederà ad un intervento palliativo, che prevede il posizionamento di una protesi che ricrei il lume gastrico permettendo il passaggio di cibo. Nell’immediato post-operatorio sarà necessaria una dieta frazionata, con 6-7 pasti al giorno. 73 ERNIA IATALE L’ernia è un’anomala dislocazione di un organo in altra sede. Ne esistono varie: ernia inguinale, crurale o femorale, ombelicale, otturatoria, interne e l’ernia iatale. L’ernia iatale consiste nella fuoriuscita di una parte dello stomaco dalla cavità addominale alla cavità mediastinica-toracica, attraverso lo iatus-diaframmatico. Si hanno due tipi di ernia iatale: · da scivolamento, è una completa erniazione(dislocazione) dello stomaco in mediastino, attraverso lo iatus diaframmatico; anche il cardias si troverà in mediastino. Si presenta con reflusso gastrico che causa un esofagite da reflusso. · paraesofagea, è la parziale erniazione dello stomaco in mediastino, il cardias rimane in sede; per questo motivo non avremo reflusso di succhi gastrici ma erosione nella mucosa con posibile sanguinamento e anemia. Diagnosi La diagnosi si esegue con RX con MDC (il bario) per evidenziare la forma dell’ernia, gastroscopia invece per differenziare i tipi di ernia. Terapia La terapia medica utilizza i farmaci per limitare l’acidità e il reflusso esofageo, mentre la terapia chirurgica è eziologica, usata per la correzione dell’ernia tramite plastiche correttive che riposizionano il viscere e il cardias, ristabilendo così la normale posizione e funzione. 76 Diagnosi Un esame clinico della peritonite è la manovra di Blumberg (manovra di rimbalzo, quando si affonda la mano il paziente ha meno dolore rispetto a quando rilascio, perché quando si rilascia il peritoneo di distende). Gli esami strumentali che dovranno essere attuati, sono quei strumenti che permettano di vedere l’aria in cavità peritoneale (vista la comunicazione tra tratto digerente e peritoneo), che normalmente non è presente. Un esame che permette di vedere l’aria è l’Rx diretta addome con il paziente in piedi (l’aria si troverà nella parte alla del peritoneo ovvero nelle cupole diaframmatiche soprattutto nella dx (per la presenza del fegato), mentre se il paziente sarà disteso si metterà sul decubito laterale (fianco) e l’aria si troverà in alto. Terapia La terapia è chirurgica e sostanzialmente consiste o nella chiusura dell’ulcera o nella resezione della parte interessata. La perforazione può interessare anche l’intestino tenue e crasso. Entrambe sono ricchi di batteri chiamata, flora batterica che è fisiologica Da qui si capisce che una perforazione, e quindi una comunicazione tra questi organi e il peritoneo i batteri in esso contenuti vanno nel peritoneo e si ha la peritonite batterica. Per il peritoneo questo materiale non è particolarmente lesivo quanto l’acido contenuto nello stomaco, infatti una perforazione gastrica crea un dolore acuto che permette di fare una diagnosi istantanea. Per questo è usuale dire che la peritonite chimica è molto più lesiva, ma è molto meno grave perché la diagnosi precoce con consecutivo intervento, non permette di creare dei scenari irrecuperabili. Al contrario in un paziente con peritonite batterica, che non ha segni clinici emergenti, la diagnosi viene tardata, e il quadro con il tempo si evolve in uno shock settico, che può provocare la morte del soggetto. L’intervento sarà diverso in base al tipo di intestino interessato, se interesserà l’ileo si toglierà il tratto perforato e si anastomizzerà, se sarà interessato il colon nella parte distale si farà l’intervento secondo Hartmann ovvero si chiuderà il tratto a valle e si abboccherà il tratto a monte alla cute, facendo una stomia temporanea. Sanguinamento Il sanguinamento è un tipo di complicanza che può appartenere sia all’ulcera gastrica che all’ulcera duodenale. Sintomi Il sintomo è ovvio che sia la fuoriuscita di sangue che assumerà un nome preciso a seconda da dove venga espulso, infatti potrà uscire o dalle vie gastrointestinali superiori quindi dalla bocca o dalle vie gastrointestinali inferiori quindi l’ano. Tutto dipende dalla quantità di sangue che si perde nell’unità di tempo. Se ci sarà una grossa perdita di sangue in poco tempo, che sia in duodeno o nello stomaco, questo sì accumulerà nello stomaco, evocando il riflesso del vomito, quindi il sangue sarà espulso dalle vie superiori, prendendo il nome di ematemesi. 77 Diversamente se il sanguinamento non è così eccessivo il sangue avrà il tempo di essere digerito ed espulso dalle vie inferiori, quindi il sangue sarà presente tra le feci, prendendo il nome di melena (presenza di sangue digerito nelle feci con caratteristica di odore sgradevole dato dal fatto che il sangue è digerito e in più ha un nerastro). La melena si avrà per i sanguinamenti del tratto alto dell’apparato gastrointestinale come stomaco e duodeno ovvero dove avvengono i processi digestivi. Altro elemento importante è capire come il tempo di transito ab-orale dalla bocca all’ano di cibo venga velocizzato. Mediamente per percorrere tutto il percorso sono necessarie 10-12 ore, mentre se c’è la presenza di sangue, quest’ultimo aumenterà la peristalsi intestinale permettendo al contenuto di percorrere il tratto molto più velocemente (circa 4-6 ore). Ricapitolando nello stomaco il sanguinamento si può manifestare sotto forma di:  Ematemesi  Melena  Sangue occulto Diagnosi L’esame specifico per il sanguinamento dello stomaco o del duodeno è l’esame endoscopico. Il vantaggio consiste nel poter fare le biopsie, permette di veder bene la sede esatta del sanguinamento e si riesce a fermar la fonte del sanguinamento attraverso la cauterizzazione (un'operazione di bruciatura che si effettua mediante l'utilizzo del cauterio). Se a sanguinare è un vaso invece si preferisce utilizzare l’angiografia attraverso l’embolizzazione del il vaso (Consiste nell'occlusione selettiva di vasi sanguigni grazie all'introduzione di emboli). Se non si riesce a fermare il sanguinamento con questi metodi, allora si interverrà chirurgicamente. Altri tipi di sanguinamenti A livello del tenue quindi digiuno e ileo il contenuto è ancora liquido, quindi se ad esempio c’è un sanguinamento, il sangue sarà diluito e una volta che questo contenuto arriva al cieco ci sarà il riassorbimento dei liquidi, portando alla formazioni di feci, che ovviamente conterranno anche del sangue, ovvero la presenza di sangue frammisto con le feci. Se il paziente invece sanguinerà a livello del trasverso o del discendente o del sigma, dove in quei distretti c’è già la formazione delle feci, quel tipo di sanguinamento andranno a verniciare le feci, non potranno mai essere frammiste. Entrambi i sanguinamenti prendono il nome di ematochezia, ma il fatto che il sangue possa essere frammisto o possano verniciare le feci è un elemento importante per capire se la perdita è a monte o a valle. Diversamente se il sanguinamento è a livello del retto o dell’ampolla rettale, il sangue non farà in tempo, né a verniciare le feci o né a mescolarsi con esse. Essendoci un accumulo in quel distretto, il sangue potrebbe riempire l’ampolla, distendendola e quindi causare l’apertura dello sfintere anale involontario, che al rilascio di quello volontario da parte del paziente, porteranno a una fuoriuscita di sangue vivo e allora in quel caso si parlerà di rettorragia. E’ importante sapere che il sanguinamento più importante e frequente è il sangue occulto nelle feci. Si parla di "sangue occulto nelle feci" quando gli escrementi presentano tracce di sangue piuttosto esigue, tali da non essere visibili ad occhio nudo ma apprezzabili soltanto mediante specifiche analisi di laboratorio. La ricerca di sangue occulto nelle feci rappresenta un importante test di screening per il tumore del colon- retto. 78 Altri tipi di vomito  Vomito acquoso: se è acido, con poca mucina, e sono presenti succhi gastrici  Vomito mucoso: se non è acido, ricco di mucina, e sono presenti succhi gastrici  Vomito biliare: se si presenta emissione di bile ed ha un caratteristico colore verde scuro, dettata da una occlusione a valle della papilla duodenale e quindi la bile invece proseguire per il duodeno, refluisce nello stomaco  Vomito fecaloide: nel caso abbia un colore marrone scuro ed un tipico odore di feci, dovuti a stasi prolungata nell'intestino (nel caso, ad esempio, di occlusione intestinale), per cui la flora batterica prolifera indefinitamente  Vomito emorragico o Ematemesi: se è presente sangue rosso vivo, dettato da un sanguinamento di grande entità dello stomaco o del duodeno.  Vomito caffeano: se è presente sangue digerito con un tipico colore nerastro tipico di sanguinamenti dello stomaco di moderata entità  Vomito di tipo cerebrale: dettato da un problema endocranico (tumori, meningiti, ipertensione endocranica) 81 Nessuno delle tre in genere porta ad una occlusione, ma solo una di esse porta attraverso una complicanza ad un quadro di occlusione. Questo è il morbo di Crohn. Interessando tutta la parete intestinale una complicanza può essere una perforazione, che crea un quadro di peritonite (batterica più frequentemente). Questa però da solo non riesce a creare un quadro di occlusione. Ciò che succede infatti nella situazione di perforazione, le anse per meccanismo di autodifesa cercano di tappare il buco andando a creare una occlusione intestinale. Esami diagnostici L’esame diagnostico sarà una colonscopia con una biopsia che consentirà la diagnosi vera e propria (istologica). Se il tratto interessato è tutto l’intestino si parlerà di rettocolite ulcerosa mentre se si avrà la segmentarietà del tratto interessato si parlerà al morbo di Crohn. Terapia Terapia medica di tipo sintomatica che serve per ridurre i sintomi, ovvero emorragia, dolore ecc… che agisce sul self. Non sempre la terapia porta ad un risoluzione e per questo si deve intervenire chirurgicamente, che nel morbo di Crohn nel caso di perforazione verrà tolto il segmento interessato (si è visto nel tempo che aveva poco senso togliere il segmento coinvolto preventivamente, perché interessando tutti gli strati dell’intestino, la malattia passava al tratto vicino, venendo a poco a poco affettato nel tempo). Nella rettocolite ulcerosa invece essendo ammalato tutto il tratto, viene eliminato il tratto colon-retto e si anastomizza il tratto ileo-anale. Nel tempo l’ileo riesce a svolgere più o meno la funzione del colon, che permetterà alle feci di essere meno fluide. Occlusione di tipo Dinamica Le possibili cause che provocano una ostruzione di tipo dinamica possono essere: - Intervento chirurgico perché si va a intaccare il peritoneo - Anestesia generale (farmaci) - Squilibrio elettrolitico anche se raro - Trauma addominale perché va a ledere il peritoneo - Peritonite I quadri sintomatologici A seconda di dove si trova l’occlusione si avranno quadri diversi. Nell’ileo il contenuto è ancora fluido (liquido); nel colon essendoci l’assorbimento di acqua il contenuto diventa più consistente, solido. Quando il contenuto si ferma tende a stratificarsi, ovvero c’è una separazione dei liquidi/solidi e gas. Si creano i cosiddetti livelli idro-aerei, i liquidi/solidi staranno in basso mentre i gas in alto. Nell’occlusione meccanica i livelli idro-aerei si osserveranno nel tratto di intestino a monte (prima) dell’occlusione, mentre nell’occlusione dinamica i livelli idro-aerei saranno diffusi in tutto l’intestino. Il ristagno del contenuto all’interno dell’intestino tende come meccanismo di compenso ad aumentare la peristalsi in maniera tale da far avanzare il contenuto; ovviamente questo vale solo per quello di tipo meccanico, infatti in quello dinamico le peristalsi non sono presenti. Aumentando la peristalsi tutto ciò che c’è a valle progredisce più velocemente, mentre quello che c’è a monte rimane immobile per via dell’occlusione, solo che ci sarà un richiamo di liquidi nel tratto a monte. Detto ciò il paziente che avrà una 82 occlusione meccanica, aumentando la peristalsi, riuscirà lo stesso ad eliminare sia le feci che l’aria, avendo un alvo aperto per un lungo periodo. L’iperperistaltismo nel tempo porta a sfiancare le anse, facendole cedere (ovvero non ci sarà più una peristalsi), da ciò si capisce che l’evoluzione naturale di un occlusione meccanica è quella di diventare un occlusione dinamica. Nell’occlusione di tipo dinamico si avrà diversamente un alvo chiuso fin da subito, sia ad aria che feci, questo perché non avendo uno stimolo gli sfinteri saranno chiusi e ciò non permetterà la fuoriuscita di aria, inoltre non essendoci peristalsi le feci non avranno modo di avanzare. Diagnosi Per far diagnosi di un occlusione intestinale basta un esame, il più specifico è un Rx in ortostatismo che metta in evidenza i livelli idro-aerei, che identificherà se si parla di occlusione meccanica o occlusione dinamica. Ci sono anche altri metodi per far diagnosi:  Auscultazione dell’addome: in quello di tipo meccanico si sentiranno dei rumori di tipo metallico, dato dal movimento peristaltico che è incrementato dalla presenza di molti liquidi che ristagnano nell’ileo, mente nel dinamico non si avvertiranno suoni poiché la peristalsi è assente.  Esplorazione rettale: durante l’esplorazione nel caso dell’occlusione meccanica ci potrà essere un ampolla rettale piena, ma anche vuota, questo a seconda di quando il paziente verrà alla nostra attenzione, diversamente nel caso dell’ileo dinamico, gli sfinteri sono chiusi causando un accumulo di gas e liquidi/solidi, l’esplorazione porta all’apertura degli sfinteri e una volta retratto il dito, fuoriescono i gas e feci. Le posizioni con il quale avviare l’esplorazione rettale sono: Posizione di Sims (1) Posizione ginecologica per i pazienti chirurgici (in S.O.) (2) Terapia Nell’occlusione di tipo meccanico la terapia sarà chirurgica, verrà infatti rimossa la causa attraverso un intervento. Nell’occlusione di tipo dinamico la terapia sarà medica, andando a correggere la causa che l’ha determinata ad esempio: farmaci, squilibri idro-elettrolitico. 83 86 DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEI TUMORI DEL COLON DESTRO E SINISTRO I pazienti che hanno un tumore al colon sinistro e i pazienti che hanno un tumore al colon destro hanno sintomatologia diversa. Bisogna sapere che le feci cominciano a formarsi nel colon trasverso, perché nel colon ascendente c’è gran parte dell’assorbimento di liquidi che comunque continuerà per tutto il colon. I tumori del colon sinistro si manifestano prevalentemente con quadro di tipo occlusivo, ma c’è un lieve segno premonitore che bisogna saper riconoscere. I tumori del colon possono ispessire la parete e quindi ridurre il lume, o cresce nel lume e quindi riduce comunque il lume, con conseguente passaggio di meno feci che saranno ridotte di calibro, il paziente inizierà ad essere più stitico. A un certo punto l’alvo da stitico diventa diarroico, questo perché l’organismo per superare questo problema, stenosi, (visto che è una macchina perfetta), sopperisce al problema richiamando liquidi e aumentando l’attività peristaltica, le feci diventano più liquide e riescono a transitare. Una volta passate il problema si risolve, ma questo compenso si attiva ogni volta che arrivano nuove feci. Questo tipo di compenso è detto alvo alterno, che precede l’occlusione definitiva. Il colon destro ha un calibro che in rapporto a quello di sinistra è 3 - 4 volte superiore. Un tumore del colon destro non sarà in grado di crescere talmente tanto da dare un quadro occlusivo senza aver prima mostrato sintomi evidenti. Quindi una differenza anatomica tra il colon sinistro e il colon di destra è data dalla dimensione del calibro, in cui a destra è molto grande rispetto al colon sinistro, detto ciò un quadro occlusivo è molto raro rispetto alla parte opposta. Un’altra differenza di tipo funzionale, ed è data dal fatto che a sinistra si hanno già feci formate, a destra invece le feci sono ancora liquide, tanto è vero che a sinistra in caso di tumore si crea un occlusione o il compenso che richiama liquidi a destra non si avranno segni evidenti. I tumori del colon destro si manifestano inizialmente con un segno precoce e poi invece con un segno tardivo, che rende la diagnosi di tumore del colon destro molto più infausta rispetto ai tumori del colon sinistro. I tumori si accrescono e nella parte centrale di ogni tumore, in qualunque organo si formi c’è la necrosi, e quindi anche sanguinamento. Nel caso quindi del tumore al colon destro, dove le feci sono liquide, questo sanguinamento si potrà vedere solo con la ricerca del sangue occulto nelle feci, se la diagnosi tarda e il tumore quindi continua a crescere e a sanguinare, si manifesterà un altro sintomo ovvero l’anemizzazione, la persona si sentirà stanca e chiamerà l’attenzione del medico. Diversamente in alcuni casi potrebbe non subentrare l’anemizzazione, dato da un non sanguinamento, noto nelle forme infiltranti, (esistono infatti forme vegetanti, ovvero quelle che si sviluppano nel lume, una forma infiltrante che è quella che ispessisce e infiltra la parete, e poi ognuna delle due può evolvere in una forma ulcerata che è quella che fa sanguinare). Qualora quindi ci sia una forma infiltrante della parete e il tumore ha tanto tempo per crescere, il segno tardivo della presenza di un tumore al colon destro sarà il dolore, perché ci sarà un infiltrazione del peritoneo parietale e dei muscoli sottostanti. La diagnosi sarà senz’altro tardiva. Il tumore al colon destro ha una prognosi peggiore di quello sinistro proprio perché viene trattato tardivamente e soprattutto perché al momento della diagnosi sono presenti già metastasi e considerando che il tumore è nel colon destro le metastasi saranno al fegato, perché il sangue refluo dall’intestino raggiunge la vena porta e quindi il fegato. Queste metastasi si definiscono sincrone, vuol dire che le metastasi sono già presenti al momento della diagnosi di tumore al colon destro. Nel colon sinistro invece, essendo il lume più stretto, i sintomi occlusivi compariranno molto precocemente, con un tumore più piccolo che è difficile possa aver dato già metastasi. In genere le metastasi del tumore al colon sinistro si definiscono metacrone cioè compaiono a distanza di anni dalla diagnosi di tumore, anche avendo tolto il tumore. 87 DEFECAZIONE Retto-ano, pavimento pelvico ed il complesso muscolare sfinteriale (interno ed esterno) interagiscono tra di loro determinando la continenza anale e la defecazione. Il retto, ultima porzione del tubo digerente, possiede proprietà al tempo stesso, di viscosità ed elasticità, ragion per cui ha notevole capacità di volume mantenendo basse le pressioni: in particolare con il termine capacità, si intende la proprietà del retto a distendersi per accogliere una certa quantità di feci. Canale anale Il canale anale possiede, nella sua porzione più interna o prossimale, un particolare tipo di recettori, quest’ultimi in grado di discriminare cosa il retto contiene, se cioè aria piuttosto che feci, in questo caso se liquide o formate, ovvero aria commista a feci. Sfintere anale Il complesso muscolare dello sfintere anale è costituito da:  muscolo elevatore dell’ano  sfintere anale esterno  sfintere anale interno In particolare il muscolo elevatore dell’ano costituisce lo sfintere anale esterno, avendo quello interno una diversa origine e collocazione, e determina anche il muscolo pubo rettale, che avvolge il retto come fosse una fionda. Lo sfintere anale interno è un ispessimento delle fibre muscolari proprie dell’ultima porzione del retto, prima di continuarsi nel canale anale; questo, in virtù delle sue caratteristiche anatomiche e fisiologiche, possiede una capacità di contrazione di base che sviluppa una pressione superiore a quella vigente nel retto vuoto. In proctologia, la continenza si basa, per il 80%, sull’attività dello sfintere anale interno. Ciò nonostante, il mantenimento di una condizione di base di contrazione proprio allo sfintere anale interno non determina la chiusura completa del canale anale: a ciò contribuisce sia la contrazione dello sfintere anale esterno, che si dispone a guisa di anello concentrico allo sfintere anale interno, per il 20%, ed i cuscinetto emorroidali per il 10%. Il muscolo pubo rettale ed il muscolo elevatore dell’ano contribuiscono ad angolare la parete anteriore del retto verso la sua pozione posteriore chiudendo l’accesso al canale anale delle feci. Le fibre nervose interagiscono tra loro, a livello essenzialmente locale, cioè tra retto ano e strutture muscolari ricche in recettori, poi spinale sacrale 88 infine a livello del sistema nervoso centrale. Tali fibre nervose si distinguono in eccitatorie per lo sfintere anale interno ed inibitorie lo sfintere anale esterno ed eccitatorie lo sfintere anale esterno e l’elevatore dell’ano ed inibitorie lo sfintere anale esterno, sì da creare dei corto circuiti in grado di far funzionare, con modalità simmetriche e contrapposte, il sistema sfinteriale interno ed esterno. La defecazione così, si basa su tre momenti essenziali, che vedono il coinvolgimento completo di tutte le porzioni anatomiche sopra elencate in maniera armonica: 1. momento riflesso retto rettale 2. momento riflesso retto anale inibitorio; 3. momento riflesso retto anale eccitatorio Con il riflesso retto rettale, le feci raggiungono l’ampolla rettale in una certa quantità in grado di sviluppare una pressione che tende a superare quella vigente all’interno dello sfintere anale interno, primo baluardo della continenza. In questo modo, si sviluppa il riflesso retto anale inibitorio per cui, lo sfintere anale interno riduce la sua contrattilità e permette l’avvicinamento delle feci alla prima porzione del canale anale dove, grazie ai recettori qui presenti, avviene la discriminazione del contenuto rettale in gas, feci liquide o solide. In seguito inizia il riflesso retto anale eccitatorio, col quale lo sfintere anale esterno aumenta la sua pressione, contrastando quindi l’azione di rilassamento dello sfintere anale interno: ciò permette il controllo ultimo della continenza permettendone la supervisione del nostro cervello e quindi della nostra volontà. Se cioè l’aspetto sociale permette l’atto della defecazione, allora la contrazione dello sfintere anale esterno, dalla durata comunque limitata a qualche minuto, permette la continenza sino al raggiungimento della toilette; diversamente la contrazione dello sfintere anale esterno permette l’aggiustamento della pressione di contenimento dello sfintere anale interno sino al raggiungimento delle condizioni di partenza potendo così attendere un momento socialmente migliore per sviluppare l’atto della defecazione. Il tenesmo è quel sintomo espressione di una condizione patologica in cui il paziente ha lo stimolo per andare di corpo, quindi si reca al bagno e non riesce ad evacuare. Dal punto di vista fisiologico, lo stimolo della defecazione avviene perché si attiva la peristalsi in seguito all’introduzione di nuovo cibo e fondamentalmente si riempie l’ampolla rettale, questa si distende ed evoca un riflesso sullo sfintere anale interno involontario che si rilassa e quello è lo stimolo della defecazione. La stessa cosa capita nel tenesmo, solo che quando si prova ad andare di corpo non si elimina niente, le cause possono essere di origine anatomica/meccanica, o di origine funzionale/dinamica. La causa di tipo meccanica è data dal fatto che l’ampolla è distesa da qualcosa che mima le feci, come la presenza di un abbondante quantità di sangue. Nella rettoragia il sangue si accumula in ampolla e quando si va di corpo si elimina solo sangue (ci sono tante patologie che possono portare a rettoragia tra cui la rettocolite ulcerosa, la malattia diverticolare del colon); un'altra causa può essere un tumore del retto che distendendo l’ampolla mima la presenza di feci; altra causa può essere data da un fecaloma, che riempie l’ampolla ma ovviamente il paziente fa fatica ad eliminarlo; La causa di tipo funzionale è data dal fatto che qualcosa va ad alterare tutto quel meccanismo di stimolazione neurologica che porta all’attività riflessa sugli sfinteri, una causa potrebbe essere data da un tumore del retto che infiltrandosi nella parete potrebbe andare a stimolare le fibre nervose e determinare quella risposta. Considerando la distribuzione delle strutture nervose nell’ambito della parete, il tenesmo lo avremo nel Morbo di Chron perché interessa tutta la parete e le fibre nervose si trovano nella muscolaris mucosa e nella muscolare, quindi se quelle fibre sono deputate alla trasmissione di impulsi nervosi l’infiltrazione di queste determina l’assenza del segnale e quindi può dare un falso bisogno di andare in bagno. (Non avremo tenesmo nella rettocolite ulcerosa perché interessa solo mucosa e sottomucosa dove non sono presenti strutture nervose). 91 quando le emorroidi arrivano al terzo stadio. Se si fa subito terapia medica possono anche regredire, altrimenti si passa alla terapia chirurgica. Terapia chirurgica che nel caso di sanguinamento consiste nell’intervento chirurgico, perché non si può far altro, mentre se è presente una trombosi è sufficiente l’incisione del gavocciolo emorroidale (si buca per permettere la fuoriuscita di sangue, creando un sollievo al paziente) Evitare la stitichezza e idratarsi molto. Le persone stitiche, che si idratano poco, che stanno molto in piedi è facile che vadano in contro a problemi di stasi venosa periferica e quindi ad emorroidi. Per quanto riguarda le emorroidi interne sono date da un quadro diverso ovvero dall’ipertensione portale. Ipertensione portale: è spesso conseguente alla cirrosi epatica e all'epatite alcolica; in tal caso le alterazioni strutturali del fegato ostacolano il flusso ematico al suo interno, aumentando la pressione del sangue nella vena porta. Anche la presenza di un'ostruzione all'interno della stessa (trombosi della vena porta) determina il medesimo risultato, esattamente come quando l'ostacolo si trova a valle ed impedisce un normale deflusso di sangue dal fegato alla circolazione generale (per esempio per trombosi delle vene sovra-epatiche o per scompenso cardiaco congestizio). In presenza di ipertensione portale, l'organismo cerca di compensare al blocco della circolazione sviluppando o potenziando circoli collaterali dove il circolo portale viene a contatto con la circolazione sistemica; se l'ostruzione è insita a livello epatico, di conseguenza, parte delle sostanze tossiche abitualmente inattivate dall'organo (sia endogene che esogene, come i farmaci assunti per os) "saltano" il passaggio epatico e si ritrovano inalterate in circolo. Inoltre, si hanno fenomeni di sofferenza dei vasi in cui viene veicolato un maggiore afflusso di sangue a causa dell'ostruzione, con comparsa di lesioni alle varici esofagee e alle emorroidi, aspetto patologico delle vene ombelicali (caput medusae) e ingrossamento della milza. In presenza di ipertensione portale, è comune anche l'ascite (accumulo di liquido sieroso ovvero un trasudato ricco di proteine nel peritoneo che si forma perché la pressione nel sistema venoso è alta, aumenta la pressione idrostatica e quindi la pressione di filtrazione e il liquido viene riversato in addome. Nb: è pericoloso fare la paracentesi più volte, perché il trasudato è ricco di proteine e si potrebbero causare dei grossi scompensi nell’organismo ); si può avere inoltre un anomalo ingrossamento della milza (splenomegalia) e del fenomeni di sofferenza a livello cerebrale (encefalopatia epatica) e renale (sindrome epatorenale). 92 IPERTENSIONE PORTALE Aumento delle resistenze al flusso ematico della vena porta Le cause dell'ipertensione portale sono spesso suddivise, in base alla loro localizzazione, in pre-epatiche, intraepatiche e post-epatiche. Le cause pre-epatiche possono essere una trombosi ostruttiva della vena porta che si verifica prima della sua entrata nel fegato, ad una stenosi portale o a splenomegalia. Le cause intra-epatiche sono costituite nella grande maggioranza dei casi da cirrosi epatica* Le cause post-epatiche sono un'insufficienza cardiaca destra, pericardite o ostruzioni delle vene epatiche. CIRROSI EPATICA: La cirrosi epatica è il risultato di un processo di continuo danno e riparazione del parenchima epatico con formazione di ponti fibrosi tra le unità elementari che costituiscono il fegato: i lobuli. Questo disordine architetturale conduce a un malfunzionamento del fegato sia dal punto di vista metabolico sia dal punto di vista sintetico  La vena gastrica sinistra e le vene del fondo gastrico sono in ampia connessione con i plessi venosi esofagei, di particolare importanza quello intramurale e di questo soprattutto quello della zona sovracardiale dove esistono numerosissime vene sottomucose a palizzata che dopo un decorso di 1,5-3 cm si riuniscono in 4-5 grossi tronchi situati all’esterno della muscularis mucosae) che attraverso le vene azygos ed emiazygos sono tributari della vena cava superiore.  Il plesso emorroidario che mette in comunicazione le vene emorroidarie superiori (tributarie della mesenterica inferiore) con le medie ed inferiori (tributarie delle ipogastriche).  Le vene paraombelicali e la vena ombelicale, se pervia o ricanalizzata, mettono in connessione la branca sinistra della vena porta con le vene superficiali della parete addominale che sono tributarie delle vene epigastriche superiore ed inferiore. La dilatazione di queste vene dà origine al Caput Medusae con la sua tipica disposizione raggiata periombelicale che, nel caso di associazione di cirrosi epatica e ampia pervietà della vena ombelicale, viene denominata sindrome di Cruveilhier- Baumgarten.  Il sistema di Retzius, che è costituito da una miriade di piccole vene che drenano gli organi addominali adesi alla parete posteriore (duodeno, pancreas, colon ascendente e discendente), forma una anastomosi tra territorio mesenterico e vene peritoneali. Esistono infine, anche se non frequentemente, alcuni vasi retroperitoneali, grossi e tortuosi in caso di ipertensione portale, che sono stati denominati anastomosi porto-cavali spontanee; queste possono essere dirette o indirette cioè gettantisi nella cava o nella vena renale sinistra o nelle vene iliache. Complicanze Ipersplenismo Emorroidi = mesenterica inferiore Varici esofagee = gastrica sx 93 APPENDICITE L’appendice è un organo vermiforme cavo, ha la forma di un piccolo tubo cilindrico lungo dai 5 ai 9 cm e largo 7 mm, che si trova in genere nella zona di passaggio tra l’ileo e il cieco e che può andare incontro a un infiammazione. Lo sviluppo questa patologia equivale a quella che è la “borsa di Fabrizio” negli uccelli, ovvero un organo che in quest’ultimi ha il maggior contenuto di cellule del sistema immunitario. L’appendicite si determina per diverse cause: parassiti, corpi estranei (uva, ciliegie), tumori, ma la causa principale è data dall’accumulo di feci, che possono ristagnare e provocare un processo di tipo infiammatorio visto la numerosa presenza, nel tessuto appendicolare, di cellule del sistema immunitario. Dal punto di vista anatomico l’appendice può avere cinque posizioni: L’infiammazione dell’appendice si divide in 4 fasi: 1. Fase catarrale (tessuto edematoso/peritoneo non coinvolto) 2. Fase focale (si riscontra per un’iperemia, l’appendice è arrossata e dolente) 3. Fase flemmonosa (peritonite con essudato sieropurulento) 4. Gangrenosa (c’è la perforazione dell’appendice) Nella fase flemmonosa avviene un’infiammazione causata da un infezione, la temperatura sale molto ed è opportuno misurarla per via rettale (che è normalmente di circa 0,5°C più alta di quella corporea), perché la temperatura all’interno del peritoneo sarà alta, più alta di quella corporea, la temperatura differenziale sarà di almeno 1°C per essere significativa. Detto ciò se c’è un infezione dell’appendice, questa interesserà ovviamente anche il peritoneo (viscerale), dando vita a una peritonite, che sarà localizzata attorno all’appendice appunto. L’infezione determina un aumento della permeabilità e quindi ci può essere anche un alterazione/occlusione delle strutture vascolari di quell’organo, con l’aumento di permeabilità o con l’aumento di lesioni vascolari di quell’organo si può andare incontro a ischemia, successiva necrosi e conseguentemente a perforazione. Se l’organo si perfora, il contenuto passa nel peritoneo, quindi si passa da una “peritonite localizzata a una peritonite generalizzata”. Ovviamente le chance di risolvere il quadro clinico, anche chirurgicamente, si abbassano molto. Un tempo quando l’uso degli antibiotici era poco importante o si arrivava tardi alla diagnosi, i pazienti morivano in sala operatoria a causa della peritonite generalizzata data dalla perforazione dell’appendice. E’ importante capire che anche in questo caso laddove si crea una piccola perforazione, le altre anse tendono a tappare quel buco immediatamente come meccanismo difensivo, creando più danni però, nel senso che rendono la sintomatologia più sfumata e quindi non è sempre facile arrivare ad una diagnosi tempestiva.
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