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Manuale di diritto commerciale di M. Cian - V Ed. (I-II-III-IV-V-VI-VII), Sintesi del corso di Diritto Commerciale

Riassunto manuale delle Sezioni I-II-III-IV-V-VI-VII Impresa-Titoli di credito-Contratti

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 16/09/2023

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Scarica Manuale di diritto commerciale di M. Cian - V Ed. (I-II-III-IV-V-VI-VII) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! 1 Manuale di diritto commerciale di M. CIAN Quinta Edizione SEZIONE PRIMA LA FATTISPECIE “IMPRESA” 1.LA NOZIONE D’IMPRESA Le norme sono contenute nel codice civile, esattamente nel libro V (intitolato Del lavoro). Più in particolare, la parte che interessa comincia dal titolo II (intitolato Del lavoro nell'impresa), che si apre con l’art. 2082 (rubricato Imprenditore), che recita: “è imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. L’art. 2082 c.c. definisce, più che l'imprenditore, il fenomeno che l’imprenditore pone in essere, in modo da isolarlo idealmente da esso. Cioè, descrive in termini oggettivi un suo comportamento, che si sostanzia in un'attività, qualificata come produttiva, a sua volta triplicemente qualificata dai requisiti di organizzazione, professionalità ed economicità: tale attività prende il nome di impresa. II. L'impresa quale attività produttiva triplicemente qualificata 1. L'attività produttiva L’art. 2082 c.c. descrive l’impresa in termini di attività e la qualifica, poi, come produttiva. a) L'attività può essere immaginata come modello comportamentale costituito da tanti singoli comportamenti, che rilevano sul piano normativo non nella loro individualità, bensì nel loro insieme, ossia teologicamente orientata rispetto al raggiungimento di un determinato scopo o risultato programmato. b) L'attività si presta ad essere qualificata seconda della natura del suo scopo (o risultato che mira a raggiungere). Atteso che qui interessa l'attività produttiva, dev’essere orientata al perseguimento di un risultato socialmente riconoscibile come produttivo. Ciò significa che tale sequenza dev’essere rivolta a produrre un’utilità che prima non c'era, quindi ad incrementare il livello di ricchezza complessiva rispetto allo status quo ante. E ciò attraverso la produzione o scambio di beni e servizi. Si può sin da subito individuare un primo gruppo di fenomeni estranei ai nostri interessi: quelli che si presentano nella forma dell'attività non produttiva, ossia l'attività di godimento. Essa può essere immaginata come una sequenza di comportamenti finalizzati a trarre le utilità d'uso o 2 di scambio di qualcosa che già si ha, pertanto senza dar luogo ad alcun incremento di ricchezza preesistente. 2. La professionalità Un'attività produttiva, per poter essere qualificata come impresa, dev’essere svolta professionalmente, cioè deve soddisfare il primo requisito stabilito dall’art. 2082 c.c., quello della professionalità. Si tratta del requisito che colloca l'attività sul piano della frequenza relativa al suo svolgimento, richiedendo che essa abbia luogo in maniera abituale, stabile e reiterata, in definitiva non occasionale o sporadica. Se è agevole e immediato definire a livello teorico quando l'attività può considerarsi esercitata professionalmente, lo stesso non può dirsi dal punto di vista pratico e concreto. Al riguardo: i) si ritiene che professionalità non sia sinonimo di esclusività, il requisito è integrato anche nel caso in cui un'attività produttiva non costituisca l'unica attività svolta da parte di chi la pone in essere. A titolo d’esempio, s’immagini un soggetto che di giorno gestisce un punto di ristoro e poi di sera va ad insegnare aerobica in una palestra. ii) si ritiene che professionalità non sia sinonimo di continuità, il requisito è integrato anche nel caso in cui l'attività produttiva sia svolta in modo non continuativo, cioè sia caratterizzata da interruzioni, in un lasso di tempo considerato. Si precisa che tali interruzioni devono essere legate alle esigenze naturali del ciclo produttivo sottostante, sicché l'attività interrotta ricomincia dopo un certo periodo. Si pensi alle attività stagionali, come la gestione di un impianto sciistico o di uno stabilimento balneare. iii) si ritiene che professionalità non sia sinonimo di pluralità di risultati prodotti, il requisito è integrato anche nel caso in cui sia finalizzata alla realizzazione di un unico affare. 3. L’organizzazione Un'attività produttiva, per poter essere qualificata come impresa, dev’essere, poi, organizzata, cioè deve soddisfare il secondo requisito stabilito dall’art. 2082 c.c.: l'organizzazione. Si tratta del requisito che connota l'attività sul piano dei mezzi impiegati nel suo svolgimento, richiedendo che essa sia esercitata non solo (o non tanto) con la capacità lavorativa di chi la pone in essere, ma anche (o piuttosto) con l'ausilio di (altri) fattori produttivi. I fattori produttivi possono essere i più vari. Essi sono riconducibili alle due categorie fondamentali: il lavoro e il capitale. Con il primo si allude alla forza lavoro acquisita sul mercato del lavoro. Con il secondo si allude a qualunque entità materiale o immateriale, a prescindere dal titolo che ne consente di avere la disponibilità. 5  il primo, guardando alla natura della produzione e, in quest’ottica, enucleando dalla nozione generale di impresa l'impresa agricola;  il secondo, guardando alla dimensione dell'organizzazione e, in quest'ottica, enucleando dalla nozione generale di impresa la piccola impresa. II. L’impresa agricola La nozione di impresa agricola si desume dall’art. 2135 c.c., il quale la descrive come attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse: tradizionalmente, si suole qualificare le prime tre come attività agricole essenziali, mentre le ultime come attività agricole per connessione. Occorre soffermarsi sulla ragione della scelta di attribuire all'impresa agricola rilevanza normativa più ristretta, escludendola dal novero dei fenomeni imprenditoriali destinatari della parte di disciplina posta a tutela dell'informazione al mercato e al credito alla produzione. Tale fenomeno si caratterizzava per avere un processo produttivo incentrato essenzialmente sul fondo: si trattava di un'attività in cui il fattore produttivo principale era rappresentato dalla terra e il cui esercizio si compenetrava con l'esercizio del diritto di proprietà sul fondo (l'imprenditore era normalmente il proprietario). L'impresa agricola si sostanziava nello sfruttamento del fondo, attraverso la sua messa a coltura e/o la sua utilizzazione come luogo di allevamento del bestiame, attività alla quale poteva aggiungersene una accessoria di trasformazione e/o commercializzazione dei prodotti provenienti dalla prima. La definizione contenuta nell’originario art. 2135 c.c. fotografava esattamente questo fenomeno. È ragionevole ritenere che il legislatore del 1942 si fosse orientato nel senso di assoggettare l'impresa agricola ad una disciplina di portata più circoscritta, sul presupposto che essa non presentava particolari esigenze di investimento, poiché i fattori produttivi coincidevano in larga parte con il fondo. Né investimenti significativi potevano essere richiesti dall’attività di trasformazione o di commercializzazione dei prodotti, dato il suo carattere tipicamente accessorio e secondario rispetto all'attività principale di coltivazione e/o di allevamento. Non può essere trascurato che un eventuale finanziamento alla produzione veniva acquisito, di regola, attraverso operazioni che consentivano al creditore di attivare forme di tutela autotutela, cioè rappresentate perlopiù dall'ottenimento di garanzie (reali): da ipoteche sul fondo o da privilegio su bestiame, merci, scorte, materie prime, macchine, attrezzature e altri beni, comunque acquistati con il finanziamento concesso. Sta di fatto che, il d.lgs. n. 228/2001, la versione originaria dell’art. 2135 c.c. è stata integrata di due commi (il co. 2 e 3), che descrivono, che cosa 6 sono le attività agricole essenziali (co. 2) e le attività agricole per connessione (co. 3). Ai sensi dell’art. 2135, co. 2, per attività essenziali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico (o di una sua fase necessaria) di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque (dolci, salmastre o marine). Ai sensi dell’art. 2135, co. 3, per attività connesse si intendono le attività di conservazione, manipolazione, trasformazione e commercializzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalle attività agricole essenziali, nonché le attività dirette alla produzione e alla fornitura di beni o servizi ottenuti mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda agricola. Ne è uscita una nozione di impresa agricola decisamente più ampia di quella immaginata dal legislatore storico del ’42. a) Quanto alle attività agricole essenziali, il dato normativo stabilisce espressamente che un'attività è di coltivazione o di allevamento se utilizza o può utilizzare il fondo. Con la conseguenza che il fondo è passato dall’essere fattore produttivo essenziale a fattore produttivo eventuale e, non è più elemento costitutivo o caratterizzante della fattispecie. L'elemento costitutivo o caratterizzante è rappresentato invece dalla cura e dallo sviluppo di un ciclo biologico (animale o vegetale), può essere qualificata come impresa agricola qualunque attività che si sostanzia in tale cura o tale sviluppo. b) L'ampliamento della nozione si coglie anche e soprattutto sul versante delle attività connesse. Queste non si identificano più soltanto con le attività tipicamente poste in essere da un agricoltore o da un allevatore. Il dato normativo stabilisce che sono comunque connesse le attività trasformative alla sola condizione che utilizzino come materia prima prevalente i prodotti derivanti dalle attività di coltivazione e/o di allevamento di animali esercitata dal medesimo soggetto: a prescindere dal fatto di restare subordinate rispetto all’attività essenziale. Oggi sono attività agricole per connessione tutte le attività di manipolazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti che provengono prevalentemente dall’attività agricola essenziale. Sono comunque connesse le attività di produzione e di fornitura di beni e servizi ottenuti impiegando principalmente le attrezzatture o le risorse che costituiscono l'azienda agricola dello stesso soggetto. Il riferimento è, principalmente, alle attività di agriturismo, le quali sono qualificati come imprese agricole se le strutture di recezione degli ospiti per offrire loro servizi di ristorazione o alberghieri sono le strutture che compongono l'azienda agricola. 7 Se l’impresa agricola non è più connotata da un processo produttivo che si incentra sul fondo e dalla necessaria subordinazione economica delle eventuali attività diverse, non è raro che le iniziative corrispondenti, potendo realizzarsi in strutture molto sofisticate e costose richiedono investimenti, le quali vengono coperte attraverso un sempre più consistente ricorso al capitale di credito. Sono esposte ad un rischio ulteriore rispetto ad un'iniziativa imprenditoriale di diversa natura: non solo al rischio di impresa ma anche al rischio naturale insito al ciclo biologico. Viceversa, all'ampliamento dell’impresa agricola sul piano della fattispecie non si è accompagnato un contestale adeguato ampliamento della disciplina. Il fatto che nell’impresa agricola siano stati ricompresi fenomeni produttivi c.d. “industrializzati” avrebbe dovuto indurre a considerare ormai superata la sua originaria rilevanza normativa e, dunque, applicare alla stessa impresa agricola il diritto dell'impresa nella sua interezza. Gli interventi sul piano della disciplina sono stati parziali. III. La piccola impresa 1. La piccola impresa nel codice civile La nozione di piccola impresa si desume dall’art. 2083 c.c., il quale la descrive come un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro del titolare e dei componenti della sua famiglia e la specifica, poi, nelle figure soggettive del coltivatore diretto del fondo, dell'artigiano e del piccolo commerciante. Tale processo si incentra essenzialmente sul fattore produttivo rappresentato dal lavoro del titolare e dei suoi familiari. Appare evidente che la piccola impresa, esattamente come l'impresa agricola prefigurata dal legislatore storico del ’42, risulta come un fenomeno produttivo nel quale le esigenze di investimento attengono essenzialmente a fattori produttivi secondari. Nella piccola impresa non è sembrato necessario l’assoggettamento delle corrispondenti iniziative al diritto dell’impresa nella sua interezza. Si ritiene che la prevalenza vada accertata non tanto in senso quantitativo, cioè verificando che il lavoro del titolare e dei componenti della sua famiglia valga di più in termini economici rispetto agli altri fattori impiegati nel processo produttivo; quanto piuttosto in senso qualitativo, cioè verificando che il lavoro del titolare e dei componenti della sua famiglia costituisca il fattore essenziale, imprescindibile e centrale nel processo produttivo sottostante. Dovrebbe essere allora evidente la distinzione tra piccola impresa e impresa (non piccola o medio-grande). Si ha la prima tutte le volte che il titolare (e gli eventuali componenti della famiglia) è (sono) chiamato(i) a 10 A questa interpretazione si perviene ad una nozione di impresa commerciale in positivo. Essa si riferirebbe a tutti i fenomeni produttivi caratterizzati dal processo produttivo anzidetto (cioè, automatizzato o che dà luogo alla trasformazione fisico-tecnica della materia) o diretti alla circolazione dei beni attraverso un preventivo acquisito e una successiva rivendita. In quest'ottica, la nozione generale di impresa si articolerebbe, non solo nell’impresa agricola, da un lato, e nell'impresa commerciale, dall'altro, ma a questa coppia di categoria se ne aggiungerebbe una terza che è invalso qualificare come impresa civile. Sono state considerate imprese civili: i) le imprese artigiane, sul presupposto che il sottostante processo produttivo non possa qualificarsi industriale, in quanto mai interamente automatizzato; ii) le imprese primarie e le imprese di pubblici spettacoli, il sottostante processo produttivo non possa qualificarsi come industriale, in quanto non dà luogo ad una trasformazione fisico- tecnica della materia, ma si limita a sfruttare risorse che si trovano in natura (come le pietre estratte dalle cave) o risorse che rientrano nelle abilità umane (la capacità di recitare); iii) le imprese finanziarie, sul presupposto che facciano circolare il denaro limitandosi a raccogliere risparmio da collocare in opportune soluzioni di investimento; iv) le agenzie matrimoniali, le agenzie di collegamento o il mediatore di prodotti agricoli, sul presupposto che si tratti di attività ausiliarie ad iniziative che non rientrano nell'elenco di cui all’art. 2195. L’interpretazione è stata oggetto di numerose critiche. E la principale ragione di simili critiche è da ricondurre alle incertezze che caratterizzerebbe l'impresa civile con riferimento alla sua relativa normativa. Al riguardo, prevale, tra chi ne ammette la configurabilità, l'idea che l'impresa civile abbia una rilevanza normativa non diversa da quella riconosciuta all'impresa agricola e alla piccola impresa. b) Proprio nella prospettiva di evitare il suddetto risultato, l'opinione prevalente è ormai orientata nel senso di interpretare in altro modo i due requisiti appena menzionati, in particolari attribuendo al primo (all’industrialità) il significato di non agricolo e al secondo (all’intermediarietà) il significato di scambio. In quest'ottica, si perviene ad una nozione di impresa commerciale residuale, diversa, perciò, rispetto alle altre già esaminate, atteso che si configura nozione in grado di assorbire tutti i fenomeni imprenditoriali che, in ragione della loro natura, non possono qualificarsi come agricoli. 11 In base alla natura, un fenomeno imprenditoriale è o un'impresa agricola o un'impresa commerciale, non residuano invece alcuno spazio per l’ulteriore categoria dell’impresa civile. V. Le implicazioni della forma giuridica dell'impresa sulla disciplina applicabile Resta da vedere se tale categoria debba essere articolata in sottocategorie. L’impresa commerciale può essere classificata nelle categorie dell'impresa pubblica e dell'impresa privata. 1. L'impresa pubblica L'espressione impresa pubblica fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale di natura commerciale esercitato da o riconducibile ad un soggetto di diritto pubblico (un ente pubblico). Un'attività commerciale può costituire oggetto esclusivo o principale di un ente pubblico, che si è soliti qualificare come ente pubblico economico; ma può essere anche un'iniziativa secondaria di un ente che allora si è soliti qualificare come ente pubblico non economico. Infine, è possibile che un ente pubblico detenga il controllo di una società (società in mano pubblica). a) L’ente pubblico economico è un ente che si prefigge di perseguire il suo fine istituzionale (principalmente) attraverso un'attività commerciale. Si tratta di una conformazione dell'impresa pubblica che in passato assumeva grande importanza, riscontrandosi nei principali settori dell'economia italiana, ma che ormai assume una dimensione senz'altro più circoscritta. La ragione di questo mutamento sta nel fatto che gran parte degli enti pubblici economici, specie quelli a rilevanza nazionale, sono stati interessati da un processo di privatizzazione, che ne ha comportato la “trasformazione” in società (di capitali). Se all'esito di tale processo l'impresa ha assunto la forma giuridica di un soggetto privato, l'interesse economico rimane di natura pubblica, atteso che le società risultanti dalla “trasformazione” sono società in mano pubblica, in quanto le relative partecipazioni sociali sono attribuite ad un ente pubblico (rappresentato dallo Stato o da un altro ente pubblico territoriale). Ragion per cui si suole qualificare il descritto processo con l'espressione di privatizzazione in senso formale. b) Le società in mano pubblica sono comuni società, caratterizzate dal fatto che la partecipazione di controllo è detenuta da un ente pubblico. Tra queste vi sono società a partecipazione interamente pubblica, nelle quali tra l’ente-socio e la società intercorre una relazione talmente intensa da 12 poter essere qualificata interorganica più che intersoggettiva: si parla in tal caso di “società in house providing”. c) L’ente pubblico non economico è invece un ente che realizza i molteplici fini istituzionali attraverso numerose iniziative, le quali tipicamente non presentano i caratteri dell'impresa (soprattutto per difetto del requisito di economicità), ma che talvolta possono essere vere e proprie imprese. L'esempio più importante è caratterizzato senz'altro dagli enti pubblici locali, a fianco alle tipiche attività amministrative, anche una o più attività commerciale. In una di queste tre forme, un ente pubblico può, direttamente o per il tramite di una società, esercitare un'attività economica. L'oggetto di questa può essere il più vario e può consistere anche nella fornitura di un servizio pubblico. I servizi pubblici si distinguono in servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica. La gestione dei primi non può essere effettuata direttamente dall'ente pubblico ma deve essere affidata necessariamente ad una società in house. La gestione dei servizi privi di rilevanza economica è invece lasciata alla discrezionalità dell'ente pubblico e può essere da quest'ultimo affidata o ad una società in house o ad un’autonomia funzionale con soggettività (l'azienda speciale, che si sostanza in un vero e proprio ente pubblico economico) o priva di soggettività giuridica. Passiamo a vedere quali siano le implicazioni sul piano della disciplina applicabile. i) Nel caso in cui l'impresa assuma la forma giuridica di diritto privato, cioè la società, l'applicazione della disciplina dell'impresa dovrebbe avvenire in maniera non diversa da qualsiasi altra società. ii) Nel caso in cui l'impresa assuma la forma giuridica di diritto pubblico, cioè l’ente pubblico, occorre muovere dall'art. 2093, il quale dispone l'applicazione delle disposizioni contenute nel libro V. Pertanto non sembra che la forma pubblica dell'impresa possa incidere significativamente sulla disciplina operante. Bisogna tenere presente che ci sono norme che adattano alla forma pubblica dell’impresa alcuni istituti che costituiscono la relativa disciplina. Si devono leggere: l’art. 2201, il quale riserva ai soli enti aventi per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; l’art. 1, co. 1, c.ins, che esclude tutti gli enti pubblici. La ratio di tali disposizioni induce a ritenere che si tratti di norme eccezionali. Dal che discende l'importante corollario che nei confronti dell'impresa pubblica trova applicazione tutta la parte della disciplina dell'impresa per la quale il dato normativo non stabilisce diversamente. 2. L'impresa privata 15 Una diversa conclusione sarebbe preclusa dalla disposizione contenuta nell’art. 2238, co. 1. Tale norma subordina l'applicazione delle disposizioni contenute nel titolo II (comprendenti lo statuto dell'impresa commerciale) alla condizione che l'esercizio della professione costituisca elemento di un'attività organizzata in forma d’impresa: condizione, quest'ultima, che viene intesa come allusiva all'ipotesi in cui lì la professione rappresenti la componente di una più ampia attività organizzata in forma d’impresa, in cui, cioè, il servizio professionale sia realizzato a favore di o confluisca in un'attività imprenditoriale. S’immagini, ad es., ad un medico che presta assistenza all'interno della propria clinica. Se ne deve dedurre che non troverà applicazione il titolo II nei casi in cui l'attività produttiva si esaurisca nella realizzazione di un servizio professionale, cioè nei casi in cui si tratti di una prestazione intellettuale tout court. L’art. 2238, co. 1, costituisce così una sorta di privilegio a favore dei professionisti. Al fine di individuare la relativa categoria, bisogna far ricorso ad un criterio oggettivo, che viene ravvisato nella circostanza che nello svolgimento dell'attività e nella cessazione del servizio che ne deriva venga utilizzata la particolare tipologia del contratto d'opera intellettuale. Un contratto che è connotato dai requisiti di cui agli artt. 2230 e 2232, vale a dire, da un minimo di intellettualità nello sforzo professionale profuso e da un minimo di personalità nella prestazione. 4.L'INIZIO E LA FINE DELL'IMPRESA L'inizio e la fine dell'impresa debbono valutarsi secondo un criterio di effettività rispetto alla sussistenza o meno del fenomeno (l’impresa) cui la disciplina si riferisce. I. L'inizio dell'impresa 1. Il criterio di effettività. Le operazioni di organizzazione Con l'espressione inizio dell'impresa si suole far riferimento al momento dal quale comincia a trovare applicazione la disciplina dell'impresa. Se tale momento dev’essere accertato secondo il criterio di effettività, la sua individuazione deve prescindere da qualunque tipo di adempimento formale che si associ allo svolgimento dell'impresa, come, ad es., l'iscrizione nel registro delle imprese o l'autorizzazione o la licenza che siano richieste per lo svolgimento di specifiche attività. Non sembra che il discorso possa differenziarsi a seconda che l'impresa sia esercitata da una persona fisica oppure da una società. Meno certo è invece se l'inizio delle imprese debba aversi sin dalla fase di organizzazione, cioè sin dall’approntamento dei fattori produttivi alla 16 successiva attività produttiva, ovvero debba posticiparsi alla fine di questa fase. Si tratta di una demarcazione agevole da tracciare solo in teoria e difficile da accertare in pratica. Ciò in quanto non è semplice fissare uno spartiacque tra la fase di preparazione del complesso produttivo e l'attività produttiva in senso stretto. Si potrà escludere che l'inizio dell'impresa possa aversi già a seguito dell'elaborazione di un semplice programma produttivo o del compimento di singoli atti di organizzazione e, di conseguenza, ritenere necessaria l'esecuzione di una serie di atti, coordinati tra loro e volte ad organizzare un'attività produttiva che abbia assunto fisionomia unitaria e finalità non equivoche. II. La fine dell'impresa 1. Il criterio di effettività. Le operazioni di liquidazione Con l'espressione fine dell'impresa si suole fare riferimento al momento al cui verificarsi cessa di trovare applicazione la disciplina dell'impresa. Anche la fine dell'impresa dev’essere accertata secondo il criterio di effettività, ossia dev’essere identificata nel momento in cui nella realtà concreta viene meno il fenomeno produttivo qualificabile come impresa, senza che possano aver rilievo, quanto meno generalmente, gli eventuali adempimenti formali obbligatori. Con riferimento alla fine si deve invece sicuramente escludere che occorra attendere la fase di disgregazione del complesso produttivo, cioè la liquidazione: fase nella quale si monetizzano tutti i beni costituenti il complesso aziendale e si risolvono tutti i rapporti pendenti (sia creditori che debitori). Non può trascurarsi che la liquidazione è una fase non essenziale nell'impresa. Essa è una fase che attiene all’eliminazione dell'ente attraverso il quale si esercita l'impresa, cioè all’eliminazione del centro di imputazione al quale l’impresa si riferisce. Non si può escludere che l'impresa di una società cessi anche prima della fine della società, che, invece, sopravvive fintanto che non è liquidata(o) e, successivamente, estinta(o) attraverso la sua cancellazione dal registro delle imprese. 2. La cancellazione dal registro delle imprese. La decorrenza degli effetti ex art. 33 c.ins. (rinvio) Presenta una significativa eccezione con riferimento ad uno degli istituti nei quali si scompone la disciplina dell'impresa: le procedure concorsuali. La fine dell'impresa non comporta di per sé il venir meno della possibilità di aprire una procedura concorsuale (rectius: la liquidazione giudiziale): 17 possibilità che residua ancora per l'anno successivo alla cessazione, a condizione che lo stato di insolvenza sia antecedente alla cessazione dell'attività o si sia verificato nell'anno successivo. In tal modo, si impedisce al titolare dell'impresa di sfuggire alla soluzione concorsuale dell'insolvenza attraverso una situazione improvvisa della sua iniziativa e, nel contempo, si consente ai creditori o, al pubblico ministero di chiedere l'apertura della procedura anche in questa eventualità. 5.L’IMPUTAZIONE DELL'IMPRESA Rimane da vedere a chi si imputa l'impresa, cioè chi ne è il referente soggettivo, vale a dire il soggetto tenuto ad adempiere ai diversi obblighi comportamentali in cui la disciplina dell'impresa si scompone. Si tratta di comprendere chi è l’imprenditore in senso giuridico. Ciò postula, preliminarmente, appurare quale sia il criterio di imputazione di un fenomeno descritto in termini di attività, cioè il criterio che consenta di attribuire ad una sfera giuridica soggettiva un’attività oggettivamente considerata, quale è l'impresa. I. Il criterio di imputazione I principali orientamenti che si contendono il campo sono due: da un lato, c'è chi ritiene che l'impresa si imputi secondo un criterio formale o della spendita del nome nello svolgimento della stessa, concludendo che è l’imprenditore colui che svolge l'impresa a proprio nome; dall'altro, c'è chi ritiene che l'impresa si imputi secondo un criterio sostanziale o dell'interesse perseguito nello svolgimento della stessa, concludendo che è l'imprenditore colui nel cui interesse l'impresa è svolta. È evidente che la questione relativa l'imputazione appare risolta senza particolare contrasto di opinioni allorché l'impresa venga svolta in nome e per conto di uno stesso soggetto, cioè quando l'elemento formale della spendita del nome e l’elemento sostanziale dell'interesse perseguito convergono sulla stessa sfera soggettiva. Ad es., se una persona fisica svolge l'impresa a proprio nome e nel proprio interesse non v’è dubbio che essa sia l'imprenditore. Una siffatta conclusione prescinde dalla circostanza che il soggetto con riferimento al quale si riscontra la ricorrenza dell’elemento formale e dell’elemento sostanziale eserciti materialmente l'impresa. L'imprenditore può affidarne l'esercizio ad uno o più altri soggetti (i quali eseguono tale incarico in nome e per conto del primo). Ipotesi, quest'ultima non certo infrequente nelle imprese non piccole, dove l'esercizio concreto dell'iniziativa è affidato all'organizzazione e, in particolare, alla componente personale dell'apparato organizzativo dell'impresa (i collaboratori). 20 INTRODUZIONE ALLE SEZIONI II-VIII La fattispecie “impresa” costituisce il presupposto di applicazione di una disciplina che si scompone in una pluralità di istituti, che vanno guardati come connessi e complementari tra loro. Le regole comportamentali che costituiscono lo statuto suddetto investono l’attività sotto molteplici profili. a) Un primo livello di azione si concretizza attraverso gli obblighi di pubblicità dell'organizzazione di impresa, che mirano a presentare l'organizzazione medesima al mercato. b) Un secondo intervento attiene all'organizzazione dell'attività. Strumentale al soddisfacimento degli stessi interessi è pure l'obbligo di tenuta delle scritture contabili. c) L'impresa è riguardata nella dimensione relazionale. d) Un ultimo livello di azione del diritto dell'impresa riguarda le vicende dell'attività. Vi rientra pure l’amplissimo corpo normativo dedicato alla regolazione della crisi dell’impresa. 21 SEZIONE SECONDA LA PUBBLICITÀ DI IMPRESA 6.IL REGISTRO DELLE IMPRESE I. Caratteristiche generali La disciplina dell'impresa contempla un obbligo di pubblicità, finalizzato ad assicurare un minimo di trasparenza informativa su alcuni fatti o atti previsti espressamente dal dato normativo. Si tratta di un obbligo pubblicitario minimo, che mira a contemperare due diverse esigenze:  da un lato, l’esigenza dell'imprenditore di poter contare sulla certezza legale che talune informazioni possano considerarsi conosciute da parte dei terzi con i quali entra in contatto;  dall’altro lato, l'esigenza dei terzi e del mercato di poter fruire concretamente di talune informazioni inerenti all’impresa. L'obbligo pubblicitario è informato al principio di tipicità, in forza del quale le informazioni da sottoporre a pubblicità sono tutte quelle ma soltanto quelle per le quali la legge impone siffatto obbligo pubblicitario. Ad un tale obbligo si adempie attraverso il registro delle imprese, cioè un registro pubblico: si tratta di una vera e propria “banca dati”. Il registro è stato in concreto istituito dall’art. 8, l. 580/1993, ed attuato con il d.p.r. 581/1995, più volte modificato. È affidato alla gestione delle camere di commercio di ogni provincia. È tenuto secondo tecniche informatiche. È consultabile tramite terminale ed è disponibile in tempo reale su internet sul portale della camera di commercio. Un simile “contenitore informatico” si articola in sezioni: una sezione ordinaria e diverse sezioni speciali. II. La sezione ordinaria e le relative iscrizioni La sezione ordinaria è destinata ad accogliere: le imprese commerciali non piccole, le forme giuridiche commerciali (cioè le società commerciali e le cooperative) e le altre forme giuridiche (gli enti pubblici economici e i consorzi) per le quali il codice civile prevede un obbligo di iscrizione. L'iscrizione deve avvenire attraverso la presentazione di una domanda, che nelle società coincide con l’atto costitutivo. Le informazioni sono quelle relative agli elementi dell'assetto organizzativo strutturale dell’impresa stabilite dall’art. 2196, co. 1, c.c., e cioè: le generalità dell'imprenditore; l'eventuale ditta; l’oggetto dell'impresa; la sede dell'impresa; gli eventuali institori e procuratori. Ad esse si aggiungono il domicilio digitale (come indirizzo di posta elettronica certificata). 22 Alle informazioni appena menzionate se ne aggiungono di ulteriori nel corso dello svolgimento dell'iniziativa, che variano a seconda del contesto soggettivo di riferimento, ad es., l'autorizzazione alla continuazione dell'impresa di un incapace, la procura rilasciata all’institore o al procuratore, la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. L'iscrizione dev’essere richiesta entro il termine di trenta giorni dall'inizio dell'impresa o dal verificarsi del fatto o dell’atto oggetto di pubblicità. Quanto all'inizio dell'impresa, la richiesta di iscrizione nel registro delle imprese deve ormai anticipare e non seguire il concreto avvio dell'iniziativa imprenditoriale. L'iscrizione è subordinata ad un controllo finalizzato ad accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l'iscrizione. Si tratta di un controllo volto a verificare il rispetto del principio di tipicità, cioè che siano un’iscrizione prescritta dalla legge, e la regolarità formale della domanda con cui si chiede l'iscrizione. Tale controllo è esercitato normalmente dall'ufficio del registro, tuttavia è stato devoluto recentemente al pubblico ufficiale (ad es., al notaio) per le iscrizioni richieste dalle imprese (diverse dalle s.p.a.), che siano costituite sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata. Se l'iscrizione avviene senza che ricorrano le condizioni è possibile porre rimedio attraverso la cancellazione d'ufficio, che è ordinata dal giudice del registro con decreto, sentito l'interessato. Gli effetti che si associano all’iscrizione. L'iscrizione ha un’efficacia dichiarativa, in forza della quale, una volta che si perfeziona, essa determina una presunzione di conoscenza del fatto o dell’atto per il quale la legge prescrive l'obbligo di pubblicità, con il che la relativa informazione si considera conosciuta senza bisogno di accertare che lo sia in concreto. Inizialmente, una tale presunzione era assoluta sin da subito con riferimento a tutti i fatti e gli atti iscritti, senza possibilità alcuna per i terzi di eccepire la propria ignoranza ancorché incolpevole. Successivamente, il diritto europeo ha imposto di rendersi siffatta presunzione relativa per i primi 15 giorni di iscrizione con riferimento ai soli fatti o atti delle società di capitali. La presunzione diventa poi assoluta dal 16 giorno. Nell'ipotesi in cui l'iscrizione obbligatoria sia stata omessa, si verifica una presunzione di ignoranza dei fatti o degli atti che avrebbero dovuto essere iscritti. La presunzione è sempre relativa e può essere superata dall'imprenditore, se dimostra che, nonostante l’omissione della pubblicità, il fatto o l’atto da pubblicare era comunque conosciuto. Si aggiunge un’efficacia normativa, nel senso che talvolta l'obbligo pubblicitario costituisce condizione per rendere applicabile una certa disciplina o un certo regime giuridico. Ad es., l'iscrizione di una società commerciale di persone rappresenta una condizione per rendere 25 SEZIONE TERZA L'ORGANIZZAZIONE DELL'IMPRESA 7.LA STRUTTURA DELL'ORGANIZZAZIONE I. L'organizzazione del complesso produttivo e della struttura collaborativa: nozione e rinvio Il diritto non fornisce specifici strumenti giuridici per l'organizzazione dell'impresa. L'imprenditore, per il procurarsi dei fattori produttivi e collaborativi, si avvale delle comuni fattispecie contrattuali a disposizione di ogni soggetto (compravendita, somministrazione, contratti di lavoro, ecc). È vero che della struttura organizzativa dell'impresa esiste una definizione giuridica: ex art. 2555 c.c., il “complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa” forma l’azienda. Questa non è disciplinata come tale. Viene in rilievo solo quando è oggetto di atti di disposizione, cioè quando, per il tramite della sua vendita o concessione in godimento, si realizza una sostituzione del soggetto che esercita l'impresa: che, così, diviene titolare. Si tratta di un istituto che non attiene all’organizzazione dell'impresa in senso proprio, ma a una vicenda concernente l'impresa stessa sotto il profilo soggettivo di chi la esercita. Il diritto commerciale non si occupa della “dimensione” costituita dalle componenti della struttura organizzativa. II. L’organizzazione della struttura decisionale Il diritto commerciale si occupa della “dimensione” funzionale e della struttura decisionale dell'impresa, cioè della struttura delle funzioni in cui si articolano i poteri decisionali e da cui promanano gli atti dell'impresa. L'imprenditore persona fisica (se si tratta di impresa individuale) o gli amministratori (se si tratta di società) non curano personalmente ogni atto, ma demandano taluni poteri a propri collaboratori. Viene a delinearsi una articolata piramide, di cui l'imprenditore (gli amministratori, nelle società) rappresentano solo il vertice, mentre, più a valle e su diversi livelli, le decisioni vengono prese e gli atti vengono compiuti da altri soggetti per conto e in nome del titolare dell'impresa. Il codice civile disciplina le figure funzionali che tipicamente compongono questa struttura, operano all'interno dell'apparato organizzativo e ne regola la posizione e i poteri: gli institori, i procuratori e i commessi. Anche altri collaboratori possono essere affidatari di poteri decisori, ma operano dall'esterno, cioè come i collaboratori autonomi che rimangono strutturalmente estranei all'impresa, alla quale sono legati da rapporti contrattuali di diritto privato che regolano anche i loro poteri decisori rispetto alla prima: mandatari (incaricati di curare specifici affari), agenti, mediatori. 26 Il fenomeno appena descritto non riguarda la piccola impresa e, neppure l'impresa agricola. 1. I collaboratori interni di impresa. La disciplina generale Le tre tipologie dei collaboratori interni sono distinte a seconda del posto occupato nell’ambito dell’apparato organizzativo e dei poteri tipicamente attribuiti ad ognuna di esse per l’espletamento delle mansioni affidate. a) La prima è la figura dell’institore, si identificano i collaboratori che occupano il livello più alto nell’organigramma di impresa. Essi sono preposti all'esercizio dell'impresa, ad una sede secondaria o ad un ramo particolare, vale a dire al vertice dell'intera iniziativa o di una sua parte. Essi sono dei veri e propri alter ego dell'imprenditore o soggetti con qualifiche dirigenziali, che nel linguaggio comune sono noti come direttori generali, direttori di filiale o responsabili di uno specifico settore produttivo. b) La seconda è la figura del procuratore, si identificano i collaboratori che occupano un livello intermedio nell'organigramma dell'impresa. Essi sono preposti al compimento di atti riconducibili ad uno specifico ambito funzionale, quale può essere il personale, gli acquisti, le vendite, il marketing, ecc. Essi sono soggetti con qualifiche dirigenziali rispetto ad uno degli ambiti funzionali, che nel linguaggio comune sono noti come direttori del personale, responsabili del servizio commerciale, responsabili della comunicazione. c) La terza è la figura dei commessi, si identificano i collaboratori che occupano il livello più basso dell'organigramma di impresa. Sono preposti al compimento delle diverse operazioni che consentono all'impresa di interfacciarsi con i terzi e con il mercato, attraverso la cessione dei beni e dei servizi alla clientela. Si tratta di soggetti con qualifiche essenzialmente esecutive.  Ciascuna di queste figure è investita dei poteri necessari al compimento delle mansioni ad essa tipicamente sottostanti. Non solo dei poteri decisori, ma anche dei poteri dichiaratori, che consentono di dare esecuzione alle decisioni prese, attraverso la stipulazione di atti negoziali e di contratti con i terzi (disporre un bonifico, ricevere un pagamento, stipulare un contratto). Fa sì che ciascuno di essi sia un vero e proprio centro decisionale e, di conseguenza, commisura al potere decisionale così decentrato il potere di rappresentanza: nel senso che attribuisce ad ogni collaboratore poteri di gestione esterna (appunto, di rappresentanza) congrui rispetto ai poteri di gestione interna (cioè, decisori) che ad esso fanno capo tipicamente. Nell'eventualità in cui si voglia circoscrivere il potere che appartiene normalmente ad un collaboratore, cioè apportare limitazioni ai suoi 27 poteri naturali, che possono essere limitazioni qualitative e/o limitazioni quantitative, occorre un atto specifico che formalizzi tali limitazioni. L'atto in questione prende il nome di procura. In quest’eventualità, si pone il problema di come rendere opponibili nei confronti dei terzi detti limiti. Problema che viene risolto attraverso l’assoggettamento della procura ad un regime di pubblicità: alla pubblicità di impresa mediante la sua iscrizione nel registro delle imprese, nel caso in cui essa sia rilasciata all'indirizzo degli institori o dei procuratori; alla pubblicità di fatto, rendendola conoscibile con mezzi idonei, nel caso in cui sia rilasciata all'indirizzo dei commessi. In assenza di tale pubblicità, la procura e, quindi i limiti che essa contiene, non può essere opposta a terzi, a meno che non si provi che questi ne erano comunque a conoscenza. 2. L’institore L’institore è il collaboratore preposto all'esercizio dell'impresa (art. 2203, co. 1) o ad una parte di essa, che può essere rappresentata da una sede secondaria o da un ramo particolare. Può esservi un unico institore preposto all'intera iniziativa, oppure possono esservi plurimi institori: uno preposto all'impresa e uno o più altri ad ogni sua articolazione organizzativa o funzionale (sede o ramo che siano), o ancora due o più ad ogni sua articolazione. Nel caso in cui vi siano più institori essi agiscono disgiuntamente, cioè ognuno agisce indipendentemente dall'altro o dagli altri. L'institore può compiere tutti gli atti pertinenti all'impresa. Ne consegue che l’institore non può spingersi al di là della gestione dell’impresa, non può, dunque, ad es., alienare l'azienda oppure cambiare l'oggetto dell'impresa gestita; così come non può alienare o ipotecare degli eventuali beni immobili di cui si compone l'azienda. Peraltro, ai poteri dell’institore possono essere sempre apportate ulteriori limitazioni da parte dell'imprenditore attraverso il rilascio di un'apposita procura. Tuttavia, tali ulteriori limiti devono essere resi opponibili nei confronti dei terzi. Il che si realizza attraverso la pubblicità della procura nel registro delle imprese. L’institore aggiunge ai poteri sostanziali i poteri processuali, potendo stare in giudizio per l'imprenditore come attore o come convenuto. Egli è inoltre tenuto all'osservanza delle disposizioni riguardanti le scritture contabili e la pubblicità commerciale. L’institore è poi tenuto a spendere il nome dell'imprenditore. In caso di omissione, diventa titolare di tutti gli atti compiuti a proprio nome. Tuttavia, se si tratta di atti pertinenti all'impresa, si affianca anche la responsabilità dell'imprenditore. 30 Il legislatore rende obbligatoria una regola di condotta che, all'evidenza, è una regola di buona gestione. L'obiettivo è quello di creare le condizioni per una conduzione razionale ed efficiente dell’impresa e, di conseguenza, di accrescere il livello di tutela dei terzi coinvolti nell'attività e, soprattutto, di coloro che l'hanno finanziata a titolo di capitale di credito. Attraverso le scritture contabili, l’imprenditore può avere il riscontro ex post di come si è svolta l'iniziativa e accertare se i risultati che ci sono derivati siano in linea con quanto ex ante era stato programmato, così da poter decidere in maniera consapevole se è il caso di proseguire regolarmente la gestione ovvero riprogrammarla ovvero, al limite, arrestarla del tutto. In altre parole, le scritture contabili obbligatorie sono uno strumento di controllo finalizzato a far sì che l'attività venga gestita consapevolmente. 1. Le scritture contabili obbligatorie Il codice civile fissa due scritture contabili obbligatorie minime, che vanno tenute quale che sia la natura e la dimensione dell'impresa, individuandole nel libro giornale e nel libro degli inventari (cc.dd. scritture contabili nominate, art. 2214, co.1). Il libro giornale è la scrittura contabile nella quale vanno indicate giorno per giorno tutte le operazioni relative all'esercizio dell'impresa (art. 2216). È, cioè, una scrittura contabile in cui devono essere riportate le operazioni di impresa secondo l'ordine con il quale si susseguono. Essa è, perciò, una scrittura che va tenuta secondo un criterio cronologico. Nel libro giornale vanno rilevati i fatti di gestione nel loro profilo patrimoniale e reddituale, cioè accertandone l'impatto sulla consistenza del patrimonio (d’impresa) e sulla formazione del risultato (di esercizio). Il libro degli inventari è la scrittura contabile nella quale vanno periodicamente indicate e valutate le attività e le passività relative all'impresa, nonché le attività e le passività estranee alla medesima (art. 2217, co. 1). Essa è, perciò, una scrittura che va tenuta secondo un criterio sistematico. Il libro degli inventari deve dare contezza di tutto il patrimonio dell'imprenditore. Infatti, gli elementi da cui è costituito devono essere indicati e valutati. C’è poi una valutazione dei soli elementi che si prestano ad essere valutati, cioè degli elementi la cui utilità può essere misurata ed espressa attraverso un valore. L'inventario deve essere redatto all'inizio dell'impresa (c.d. inventario iniziale) e poi con cadenza annuale (c.d. inventario annuale). L'inventario annuale si chiude con il bilancio e con il con il conto dei profitti e delle perdite. 2. Il bilancio di esercizio 31 L'espressione bilancio d’esercizio designa l'insieme di quattro documenti: lo stato patrimoniale, il conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa. Lo stato patrimoniale contiene gli elementi attivi e passivi suscettibili di valutazione economica e pertinenti all'impresa. Il conto economico contiene i componenti positivi (i ricavi) e negativi (i costi) di reddito. Il rendiconto finanziario evidenzia la composizione delle disponibilità liquide dell'impresa (il denaro in cassa) e la relativa variazione (in aumento o in diminuzione) avvenuta nell'esercizio per effetto della gestione caratteristica delle operazioni di investimento e di finanziamento. La nota integrativa è un documento descrittivo, che chiarisce i documenti quantitativi. Nell'ordinamento giuridico italiano manca una disciplina giuridica generale sul bilancio d’esercizio. Una regolamentazione in proposito è prevista soltanto nel diritto delle società per azioni. Resta aperta la questione su quale disciplina debba applicarsi al bilancio d'esercizio delle imprese che assumono forma giuridica diversa, come, ad es., una società di persone, un ente non societario o una persona fisica. L'orientamento del tutto prevalente risponde in senso affermativo. La conclusione secondo cui sarebbe possibile generalizzare la disciplina delle s.p.a. suscita non poche perplessità, non essendo previsto alcun obbligo di pubblicità del bilancio nelle società di persone e nelle imprese individuali. Pertanto, in queste ultime realtà imprenditoriali non sembra azzardato ritenere che il bilancio possa avere una struttura diversa, atteso che tale documento non è destinato ad avere diffusione all'esterno dell'impresa. 32 SEZIONE QUARTA IL COMPLESSO ORGANIZZATIVO E LA “CIRCOLAZIONE” DELL'IMPRESA 9.IL TRASFERIMENTO DELL'IMPRESA L'azienda è definita dal codice come il complesso dei beni che l'imprenditore (persona fisica o ente) organizza per l'esercizio dell'impresa (art. 2555). Essa appartiene al mondo degli oggetti di diritto. La disciplina che la riguarda è dedicata a regolare taluni aspetti della sua circolazione. La cessione o la concessione in godimento dell'azienda realizza il subentro di un nuovo soggetto nella sua gestione e dunque nell'esercizio dell'impresa che essa serve. Il fenomeno disciplinato è dunque la sostituzione nella conduzione dell'impresa, che si attua tramite il trasferimento dell'unità operativa. I. La nozione di azienda a) Sotto il profilo economico, l'azienda rappresenta un'entità unitaria che trascende le singole componenti, sia sul piano del valore, sia su quello della funzione. È a questa caratteristica che fa riferimento anche la nostra giurisprudenza, quando individua tra i beni aziendali “un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo”. Tale vincolo è dato dall'organizzazione, cioè dal coordinamento dei diversi elementi da parte dell'imprenditore. Alla base della sua attuazione vi è un progetto imprenditoriale. L’attitudine alla produzione di nuova ricchezza e alla maturazione di un reddito rappresenta l'avviamento dell'azienda. L'avviamento rappresenta una qualità immanente ad ogni azienda, insuscettibile di essere ceduto separatamente dal complesso, ma naturalmente computato nella determinazione del prezzo di quest'ultimo; almeno, è definibile in questi termini il cosiddetto avviamento oggettivo, cioè quello che dipende da fattori intrinseci allo stesso complesso (la sua obiettiva efficienza e collocazione sul mercato), mentre vi rimane estraneo l’avviamento soggettivo, ossia la componente dipendente dalle abilità e dalla reputazione personale dell'imprenditore. b) L'azienda può essere composta da un insieme assai vario di beni. Giuridicamente, ciascuno di essi conserva la propria autonomia e rimane oggetto di una posizione giuridica indipendente da quella degli altri beni. Non è necessario che l'imprenditore sia proprietario di ciascuno di essi, sufficiente essendo che egli abbia un titolo giuridico per poterne godere: ad es., i macchinari goduti in leasing. L'azienda è inoltre complesso di beni mutevole, la cui composizione è destinata a variare pressoché quotidianamente, per effetto dell'ingresso di 35 Il divieto è limitato all'avvio di una nuova attività e ha una durata quinquennale. Sono vietate le attività intraprese per conto proprio, ma anche per conto di terzi, cosicché violerebbe il divieto il cedente che assumesse la carica di amministratore di una società concorrente. È precluso sia l'avvio di un'impresa individuale, che la partecipazione ad un’impresa societaria. Non sono specificati l'oggetto e i caratteri dell’attività preclusa, poiché l'estensione del divieto deve essere determinata in concreto, in ragione dell’idoneità alla distrazione della clientela (attuale e potenziale), ed esso abbraccia dunque ogni iniziativa di fatto manifesti tale caratteristica. Le parti possono in ogni caso regolare questo aspetto nel contratto traslativo dell'azienda, definendo la dimensione del divieto o anche riducendone la portata. Il divieto si applica a tutte le ipotesi di cessione (volontaria o coattiva), a qualunque titolo, dell'azienda. Deve però trattarsi di un'azienda commerciale. La norma risulta poi analogicamente applicabile anche a vicende che, pur non configurandosi formalmente come traslative di un'azienda, realizzano sostanzialmente effetti simili, introducendo un terzo nell'esercizio di una attività d’impresa precedentemente facente capo ad un altro, su cui viene a gravare il divieto. 4. La successione nei contratti, nei crediti e nei debiti A) L’art. 2558 dispone l’automatico subingresso dell’acquirente (cessionario) nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda, che non abbiano carattere personale. Si tratta dei contratti in forza dei quali il titolare dell'azienda può godere dei beni aziendali di cui non è proprietario (ad es., il contratto di locazione o di leasing aventi ad oggetto i locali o i macchinari). In tutti questi rapporti negoziali è naturale e logico che subentri l'acquirente dell'azienda: ciò risponde al suo interesse ad acquisire un complesso pienamente operativo e a mantenere la clientela già raggiunta, ma anche all'interesse dei terzi contraenti ad avere, quale controparte contrattuale, il soggetto che continuerà nell'esercizio dell'impresa. i) La successione in tali rapporti contrattuali rappresenta un effetto naturale e automatico del trasferimento dell'azienda e si determina ex lege, al momento in cui viene efficace il trasferimento stesso. Si tratta di una previsione normativa che deroga significativamente alla disciplina generale in tema di cessione del contratto. Non è richiesto il consenso del terzo contraente. ii) La successione riguarda però solo i contratti a prestazioni corrispettive, non ancora eseguite da nessuno dei due 36 contraenti nel momento in cui si verifica il trasferimento dell'azienda. iii) Vi è tuttavia una categoria di rapporti contrattuali, rispetto ai quali la regola della successione non opera, sì che essi continuano a far capo all’alienante: si tratta dei contratti a carattere personale. Prevale la tesi, secondo cui tali sarebbero i contratti nella cui stipulazione il terzo contraente abbia attribuito specifica rilevanza alle qualità personali della controparte, e dunque dell'alienante l'azienda: si tratta dei contratti in cui la prestazione promessa dall’alienante è oggettivamente infungibile o soggettivamente infungibile. iv) La previsione normativa sin qui risulta ad ogni modo ampiamente derogabile dalle parti. Nel contratto traslativo dell'azienda, alienante ed acquirente possono escludere dalla successione uno o più rapporti contrattuali, senza limiti alcuno. v) Il terzo subisce la modificazione soggettiva del rapporto che a lui fa capo. Lo stesso art. 2558 predispone una tutela a suo favore, riconoscendogli il diritto di recesso dal contratto (co. 2), che va esercitato nei confronti dell'acquirente entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento e determina l'estinzione del rapporto, con efficacia ex nunc. Esso è però possibile solo in presenza di una giusta causa, ossia quando il terzo contraente possa invocare l'esistenza di ragioni oggettive che ostano alla prosecuzione del rapporto stesso con l'acquirente. vi) In caso di recesso, lo stesso art. 2558, co. 2, fa salva la responsabilità dell'alienante. Si tratta di una responsabilità nei confronti del terzo, per i danni che questi abbia subito per essere stato costretto a risolvere anticipatamente il contratto. B) Diversa è la disciplina contenuta negli artt. 2559 e 2560; questi regolano la sorte dei crediti e debiti cosiddetti puri, cioè dei rapporti obbligatori di fonte extracontrattuale (il credito dell'alienante al risarcimento del danno arrecato da un terzo; il debito al versamento dell'IVA) e di quelli di fonte contrattuale, quando residui esclusivamente una prestazione isolata, a favore o a carico del cedente. Deve trattarsi sempre di crediti e debiti inerenti all’esercizio dell’azienda. i) Per i crediti, l’art. 2559 si limita a stabilire che il loro trasferimento diviene efficace nei confronti dei terzi, anche in assenza della notifica o dell’accettazione del debitore ceduto, con l'iscrizione al registro delle imprese dell’atto traslativo dell'azienda. ii) Per i debiti, l’art. 2560 dispone che l'acquirente ne risponde verso i creditori se, (ma solo se) essi risultano dalle scritture 37 contabili obbligatorie (co. 2). In quanto stabilita a protezione del terzo, la norma è senz'altro inderogabile dalle parti. In ogni caso, l'alienante continua a rispondere di tali debiti in solido con l'acquirente, a meno che i creditori non acconsentano alla sua liberazione. iii) Entrambi gli articoli in esame disciplinano esclusivamente la sorte dei rapporti obbligatori nei confronti dei terzi, ma non si occupano in alcun modo dei rapporti interni tra cedente e cessionario. III. Usufrutto e affitto dell'azienda L'azienda può essere oggetto anche di negozi costitutivi di un diritto di godimento sui beni che la compongono:  di un diritto reale, e in tal caso si avrà concessione in usufrutto dell'azienda;  di un diritto personale di godimento, e in tal caso si avrà affitto della medesima. Queste sono vicende giuridiche casualmente destinate a produrre, attraverso la costituzione di un diritto su un bene, la continuazione dell'attività, sia pure a titolo provvisorio, da parte del beneficiario. Centrale, nella disciplina è il profilo della gestione dell'azienda. Quest'ultima richiede infatti, perché ne siano conservati l’attitudine produttiva e l'avviamento, l'esercizio costante dell'attività. Pertanto, l'usufruttuario e l'affittuario devono esercitare l'impresa sotto la ditta che la contraddistingue, conservando “l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte”, senza modificare la destinazione del complesso. Si tratta di un vero e proprio obbligo, non limitato alla semplice manutenzione ordinaria dei beni, ma esteso ad ogni atto necessario per salvaguardarne l'avviamento. Ne segue che l'usufruttuario/affittuario è tenuto ad ammodernarne o sostituire gli impianti obsoleti, ad introdurre le nuove tecnologie di produzione, a rinnovare il ventaglio dell'offerta dei prodotti per stare al passo con le mutate esigenze del mercato, sostenendo anche spese. Collegato e strumentale al potere di gestione, è il potere di disposizione dei beni aziendali appartenenti al concedente, che si costituisce in capo all’usufruttuario/affittuario, quantunque costui non acquisti la proprietà di nessuno di tali beni. Analoga variabilità riguarda il patrimonio aziendale. Alla costituzione del rapporto l'usufruttuario/affittuario subentra nei contratti in corso di esecuzione, negli stessi limiti e secondo le stesse regole che valgono nel trasferimento dell'azienda. 40 danneggiare l'altrui azienda”. La giurisprudenza ha elaborato una casistica di generali tipologie di comportamenti scorretti. a) La clausola generale è valorizzata per vietare comportamenti antitetici ai principi di trasparenza del mercato. Sono dunque vietate tutte le affermazioni ingannevoli relative al proprio prodotto o attività. L'ipotesi è normalmente definita in termini di mendacio. b) Emergono poi ipotesi che in ultima analisi riflettono una scorretta imputazione dei costi e dei benefici dell'attività imprenditoriale. La scorrettezza può derivare dalla violazione di norme di diritto pubblico che introducono limiti e costi allo svolgimento dell'attività di impresa. La violazione di queste norme consente di realizzare opportunità di guadagno o di sottrarsi a fattori di costo contrarie al modello di mercato che il legislatore riconosce e protegge. c) In questa prospettiva appaiono scorretti gli atti intesi a trarre profitto da altrui iniziative imprenditoriali, o a scaricare sui terzi i costi delle proprie decisioni. Un primo esempio in tal senso è rappresentato dagli atti di spionaggio industriale, con cui un imprenditore cerca di venire a conoscenza dei segreti tecnici o commerciali di un concorrente, e così di risparmiare sui costi di investimento in ricerca, sviluppo o organizzazione della rete di fornitura e distribuzione. Più in generale la sottrazione di segreti può avvenire scorrettamente non soltanto attraverso atti di vero e proprio spionaggio, ma anche grazie alle rilevazioni di dipendenti e collaboratori del concorrente. d) Può in alcuni casi costituire illecito concorrenziale il c.d. storno di dipendenti, e cioè l'iniziativa diretta a sottrarre lavoratori al concorrente promettendo loro migliori condizioni di retribuzione e mansioni. 6. Sanzioni e processo La violazione della disciplina della concorrenza sleale comporta l'applicazione delle sanzioni degli artt. 2599-2600. Anche in materia di concorrenza riveste importanza centrale l'azione inibitoria, e cioè l'ordine del giudice di cessare dalla continuazione dell'illecito (art. 2599). Lo stesso ordine può disporre gli “opportuni provvedimenti” per eliminare gli effetti dell'atto. L’inibitoria prescinde dallo stato soggettivo di dolo e colpa dell'autore di atti di concorrenza sleale. Oltre che con sentenza definitiva, essa può inoltre essere pronunciata anticipatamente in via cautelare d'urgenza, in modo da prevenire tempestivamente attività che diversamente produrrebbero danni difficilmente quantificabili. Il risarcimento del danno può essere richiesto solo in caso di atti dolosi o colposi, ma la disciplina concorrenziale prevede da questo punto di vista un'agevolazione dell’onere probatorio, in quanto “accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume” (art. 2600, co. 3). Nelle ipotesi in cui 41 può essere pronunciato il risarcimento del danno può inoltre essere ordinata la pubblicazione della sentenza. II. Le pratiche commerciali Queste regole si trovano nel d.lgs. 206/2005 c.d. codice del consumo (c.cons.). Il legislatore impone a chi offre beni o servizi di tenere un comportamento corretto in qualsiasi contatto instaurato con i consumatori, “prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto” (art. 19 c.cons.). La disciplina del comportamento delle imprese nei rapporti con i consumatori è ispirata a un generale divieto di “pratiche commerciali scorrette” (art. 20 c.cons.). La nozione di pratica commerciale è intesa come “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto”. Il divieto si applica in via generale a tutti i professionisti, e cioè non soltanto agli imprenditori ma a “qualsiasi persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale artigianale o professionale”, compresi dunque anche i lavoratori autonomi e i professionisti intellettuali. La struttura della disciplina è particolarmente complessa. Il legislatore introduce una clausola generale di divieto di “pratiche commerciali scorrette”. Tipizza poi due tipologie di pratiche scorrette: e precisamente le pratiche ingannevoli e le pratiche aggressive. L’art. 20, co. 2, c.cons. definisce scorrette le pratiche commerciali contrarie alla diligenza professionale ed idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore. Il criterio della diligenza professionale impone ai professionisti il dovere di prestare “il normale grado della specifica competenza e attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono”. Il comportamento economico del consumatore risulta falsato quando la pratica commerciale altera “sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, relativamente all'acquisto o alla cessione del prodotto, alle modalità di pagamento o all'esercizio dei diritti. La prima categoria di pratiche sleali tipizzate è costituita dalle pratiche ingannevoli. Queste costituiscono probabilmente la più importante tipologia sleali, e rivestono particolare rilievo economico e sociale quando vengono poste in essere attraverso comunicazioni pubblicitarie. L’art. 21, co. 1, c.cons. definisce in via generale le azioni ingannevoli, ricomprendendovi la comunicazione di informazioni non rispondenti al vero, nonché qualsiasi pratica che “seppure di fatto corretta, induce o è 42 idonea ad indurre in errore il consumatore medio”. Il successivo art. 22 c.cons. prevede inoltre che l'ingannevolezza può derivare anche da omissioni di informazioni rilevanti perché il consumatore medio possa prendere una decisione consapevole. La seconda categoria di pratiche scorrette tipizzata è quella delle pratiche aggressive. Si tratta essenzialmente di pratiche attuate attraverso molestie (di carattere fisico o psicologico) idonee a “limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio”. Il codice del consumo qualifica l'adozione di pratiche commerciali scorrette come illecito amministrativo. L'accertamento dell'illecito e l'applicazione delle relative sanzioni rientrano pertanto nella competenza di un'autorità amministrativa, indipendente dal governo, e precisamente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM). I poteri sanzionatori dell’AGCM si esprimono attraverso l'inibizione della continuazione delle pratiche scorrette. L'Autorità può inoltre applicare sanzioni pecuniarie non solo a fronte delle accertate violazioni passate, ma anche per l’inosservanza dei provvedimenti inibitori. I provvedimenti dell’AGCM sono naturalmente impugnabili davanti alla giurisdizione amministrativa. È possibile che l'adozione di pratiche commerciali scorrette rilevi anche sul piano privatistico come fonte di obbligazione di risarcimento del danno. III. La pubblicità ingannevole e comparativa L’impresa acquista normalmente visibilità sul mercato in un contesto di comunicazione pubblicitaria, e cioè attraverso annunci trasmessi dai mezzi di comunicazione di massa, diretti ad accreditare presso la generalità del pubblico i propri prodotti o servizi. La pubblicità costituisce una pratica commerciale. Essa è sottoposta ai divieti di scorrettezza ed in particolare di ingannevolezza a tutela degli interessi dei consumatori. Il legislatore ha inoltre dettato una disciplina specifica contro gli atti di pubblicità ingannevole e contro la pubblicità comparativa scorretta, anche per tutelare i professionisti. La disciplina della pubblicità ingannevole è stata uniformata a livello europeo con la dir. 2006/114/CE. La direttiva è stata attuata nell'ordinamento italiano dal d.lgs. 145/2017. Le norme contenute hanno “lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa”. Il legislatore qualifica ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge” e che “possa pregiudicare il loro comportamento economico”. 45 prodotti o servizi. L'intesa rappresenta un esercizio di potere di mercato in forma congiunta da parte delle imprese aderenti al mercato all'accordo, nel loro interesse ed in danno dei consumatori. Il divieto di intese colpisce gli “accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza”. Il divieto ricomprende perciò tutte le forme di concentrazione, indipendentemente dal loro carattere giuridicamente vincolante. Rientrano nella nozione le pratiche concordate, costituite da accordi privi di valore contrattuale, ma di fatto osservati spontaneamente. Il divieto di intese restrittive della concorrenza si applicano non solo agli accordi fra imprese operanti allo stesso livello economico (c.d. intese orizzontali), ma anche a quelli fra imprese operanti a diversi livelli economici della catena di produzione e distribuzione (ad es. fra un venditore ed i suoi distributori, c.d. intese verticali). Gli artt. 101 TFUE e 2 l.at. contengono una elencazione delle tipologie di intese vietate, che ha tuttavia carattere esemplificativo. L'elenco ricomprende: le intese consistenti nel “fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita”; le intese dirette a “limitare o controllare la produzione”; le intese dirette a “ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento”; le intese dirette ad “applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti”; le intese dirette a “subordinare la conclusione di contratti all’accettazione di prestazioni supplementari, che non abbiano alcun nesso con i contratti stessi”. Alcune intese possono essere esentate dai divieti antitrust qualora risultino idonee a produrre effetti positivi di efficienza economica. Gli artt. 101.3 TFUE e 4 l.at. prevedono in particolare la possibilità di esentare dal divieto le intese che contribuiscono “a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il processo tecnico o economico”. L'intesa deve evitare restrizioni “che non siano indispensabili” al miglioramento della produzione, e non deve dare alle imprese partecipanti “la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti”. V. Gli abusi di posizione dominante La seconda fattispecie anticoncorrenziale disciplinata dall'ordinamento antitrust europeo e nazionale è costituita dallo “sfruttamento abusivo da una o più imprese di una posizione dominante sul mercato”. La posizione dominante consiste in un potere di mercato che consente al suo titolare di tenere comportamenti indipendenti: cioè comportamenti (ad es., aumenti di prezzi) che non espongono al rischio di perdita di fatturato a vantaggio dei concorrenti. Gli artt. 102 TFUE e 3 l.at. contengono una elencazione di ipotesi di sfruttamento abusivo di posizione dominante, in larga parte 46 corrispondente a quella contenuta nella norma sulle intese. Si tratta ancora una volta di un'elencazione di carattere esemplificativo, che comprende le ipotesi consistenti “nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transizione non eque”; nel “limitare la produzione a danno dei consumatori”; “nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza”; “nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari”. VI. Le concentrazioni La terza fattispecie disciplinata dall'ordinamento antitrust europeo e nazionale è costituita dalle operazioni di concentrazione restrittive della concorrenza. La disciplina europea delle concentrazioni si ritrova nel Reg. 139/2004 del Consiglio. La disciplina nazionale si ritrova invece agli artt. 6-7 e 16 ss. l.at. Le concentrazioni rilevanti sul piano concorrenziale si realizzano attraverso qualsiasi operazione idonea a determinare una “modifica duratura del controllo”, per effetto della quale imprese precedentemente indipendenti vengono assoggettate ad un potere di direzione unitaria. La nozione concorrenziale di “controllo” fa leva sulla “possibilità di esercitare un'influenza determinante sull’attività di impresa”. Le operazioni di concentrazione possono realizzarsi attraverso fusioni societarie, acquisti di partecipazioni, trasferimenti di aziende o relativi rami. La disciplina di tutte queste operazioni risulta la medesima sul piano antitrust. Gli obiettivi giustificano la scelta del legislatore antitrust di intervenire solo quando il fatturato delle imprese coinvolte supera alcuni “valori critici”. Le soglie di fatturato che determinano l'intervento delle autorità antitrust sono fissate a diversi livelli dall'ordinamento europeo e dal legislatore nazionale. Il superamento dei livelli fissati dal legislatore europeo determina l'applicazione del Reg. 139/2004, e reciprocamente esclude l'applicazione della normativa italiana. Il superamento delle soglie fissate dal legislatore nazionale determina l'applicazione della legge italiana. Le operazioni che rientrano nelle soglie di rilevanza del diritto europeo o nazionale devono essere oggetto di una notificazione preventiva alla Commissione o all’AGCM. Il procedimento avviato dalla notifica si conclude con una decisione della Commissione o dell’AGCM che verifica la compatibilità dell'operazione con la disciplina della concorrenza, in tal caso autorizzandola. Nel sistema europeo la Commissione valuta se l'operazione ostacola “in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato di comune o in una parte sostanziale di esso”. 47 VII. Profili procedimentali e sanzionatori La Commissione e l’AGCM esercitano i loro poteri sanzionatori attraverso l'applicazione di pene pecuniarie (ammende). Commissione e AGCM dispongono inoltre di poteri inibitori in ordine alla continuazione dell’illecito, nonché di ripristino della concorrenza. In alternativa le autorità di controllo della concorrenza possono accettare gli impegni proposti dalle imprese ed idonei ad eliminare gli effetti restrittivi del comportamento. Il procedimento giurisdizionale di applicazione del diritto antitrust si svolge davanti ai giudici dei paesi membri. L'azione giudiziaria mira ad ottenere l’accertamento della nullità delle intese restrittive della concorrenza. Può inoltre essere promossa azione di risarcimento del danno derivante da comportamenti anticoncorrenziali vietati. Il risarcimento del danno può essere richiesto da qualsiasi danneggiato, anche indiretto. Il danno è pari al sovrapprezzo praticato per effetto della restrizione. È da ritenere esercitabile in via giudiziale anche l'azione inibitoria. 12.I DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE: PROFILI GENERALI I. La nozione di proprietà industriale L'espressione “proprietà industriale” è utilizzata nel titolo del “Codice della proprietà industriale”, approvato con d.lgs. 30/2005. Il codice protegge un insieme eterogeneo di fattori di produzione che non si concretizzano in beni materiali: di qui la frequenza espressione “beni immateriali”. Una prima tipologia di “beni immateriali” è costituita dai cosiddetti segni distintivi dell'impresa. Una seconda tipologia di “beni immateriali” è costituisca dai risultati dell’attività di ricerca in un campo tecnico-industriale. Il diritto sui risultati dell'innovazione tecnologica e come economicamente più importante è costituito dal brevetto d’invenzione (di durata ventennale), cui si affianca un brevetto su ritrovati “minori”, definiti come i modelli di utilità (di durata decennale). A queste tipologie di brevetto si aggiunge ulteriormente un diritto fondato sulla registrazione di modelli e disegni industriali: con funzione di protezione dell'innovazione del design del prodotto, di durata lunga (25 anni). II. La tutela dei segni distintivi L’opportunità di attrarre i diritti precedentemente elencati all’interno di un’unica nozione di proprietà industriale può apparire dubbia, data 50 possibilità per il giudice di “fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”. I provvedimenti inibitori e di rimozione non richiedono il dolo o la colpa del contraffattore. Il principio generale dell’art. 2043 c.c. porta ad affermare che dolo o colpa costituiscono presupposti per la sanzione del risarcimento del danno. VI. Fonti e sistema Il codice della proprietà industriale dedica gran parte delle proprie norme ai c.d. diritti titolati: protetti per effetto di una complessa fattispecie costitutiva, che si perfeziona a seguito di un procedimento amministrativo di registrazione (di marchi e modelli industriali) o brevettazione (delle invenzioni e modelli di utilità) presso un pubblico ufficio denominato Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM). La disciplina dei diritti titolati è completata da poche norme contenute nel codice civile, che assumono peraltro scarsa importanza. Nella disciplina codicistica vi rientrano i diritti su ditta, insegna e marchio non registrato, che sorgono direttamente per effetto dell'uso, indipendentemente da brevettazione o registrazione. La registrazione e la brevettazione dei marchi e delle invenzioni può inoltre avvenire presso appositi Uffici internazionali e europei, per estendere i propri effetti oltre i confini dei singoli paesi. In materia di marchi opera nella UE un apposito Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO). In materia di invenzioni la Commissione sul Brevetto europeo (CBE) ha istituito una Organizzazione europea dei brevetti, ed al suo interno un Ufficio europeo dei brevetti (UEB), con sede a Monaco. 13.I SEGNI DISTINTIVI I. La ditta La ditta e l'insegna sono segni distintivi espressamente disciplinati dagli artt. 2563-2568. La disciplina codicistica non contiene peraltro una definizione espressa né dell'uno né dell'altro segno. Il sistema generale di protezione della ditta e dell’insegna appare ricostruibile con maggiore compiutezza integrando la lettura degli artt. 2563-2568 con l’art. 2598, n. 1, e cioè con la norma che qualifica come atto di concorrenza sleale l'uso di “nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri”. Fra essi rientrano senz'altro la ditta e l'insegna, che risultano quindi tutelate secondo i principi e nei limiti del divieto di atti di concorrenza sleale confusoria. 51 L’art. 2563 stabilisce che “l'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta”. La ditta contraddistingue l'imprenditore nella propria attività d’affari, ma questa definizione non presenta chiari elementi di contrapposizione rispetto al marchio, il quale a sua volta contraddistingue l'imprenditore cui è imputabile l'offerta di prodotti e servizi. L’esistenza di discipline autonome in tema di ditta e di marchio sottintende probabilmente l'intenzione del legislatore di contrapporre la funzione distintiva (propria della ditta) dell'imputabilità della responsabilità dell'organizzazione aziendale rispetto alla funzione distintiva (propria del marchio) dell'imputabilità della responsabilità della qualità di un prodotto o servizio. Assolvono ad es. la funzione propria della ditta i segni che compaiono negli elenchi telefonici, nella carta intestata, ed anche nelle pubblicità che invitano il pubblico a recarsi direttamente negli stabilimenti del titolare, indicandone l’indirizzo. Un segno è invece utilizzato in funzione di marchio per distinguere la responsabilità delle qualità dei risultati dell'attività imprenditoriale, nei rapporti con un pubblico cui non interessano le modalità organizzative di questa attività, né la sua continuità nel tempo. Assolve tipicamente la funzione di marchio il segno che compare in grande evidenza grafica sulla confezione del prodotto. L’art. 2564, co. 2, stabilisce che “la ditta comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore”. L’art. 2654 presuppone che la ditta sia formata da espressioni letterali, non dà disegni. In realtà nella moderna economia è sempre maggiormente avvertito l'interesse a che la ditta identifichi non un soggetto, ma un'organizzazione imprenditoriale (c.d. teoria oggettiva). L’art. 2563, co. 2, consente di inserire il nome in posizione assolutamente marginale, o di sostituirlo con una semplice sigla, e di formare la ditta con ulteriori elementi maggiormente idonei ad attrarre l'attenzione del pubblico (c.d. ditta di fantasia). La stessa ditta priva di nome o sigla (c.d. ditta irregolare) non è ritenuta tutelabile in base alla disciplina della concorrenza sleale. Infine lo stesso art. 2563, co. 2, dopo avere imposto l'inserimento del cognome o della sigla all'interno della ditta, fa “salvo quanto è disposto dall’art. 2565”, che consente il trasferimento della ditta (c.d. ditta derivata). L’art. 2565 prevede comunque che “la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda”. La legge non disciplina espressamente i requisiti della ditta che sono ricavabili dai principi generali precedentemente ricostruiti in materia di segni distintivi. La tutela della ditta presuppone l'esistenza di una capacità distintiva, e cioè la capacità del segno di identificare la responsabilità di scelte riferibili ad uno ed uno solo imprenditore. 52 La ditta deve rispondere al requisito della novità, e cioè diversificarsi rispetto ad altri segni distintivi anteriori di terzi. L’art. 2564 disciplina in particolare l'ipotesi del conflitto fra ditte, stabilendo che “quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla. Analoghi principi valgono con riferimento all'ambito di tutela della ditta, da ritenere protetta solo a fronte di rischi concreti di confusione. Si tratta di un diritto relativo al territorio e al settore merceologico di utilizzazione. Il diritto è poi da ritenere estinto ove il titolare abbia cessato l'uso del segno ed il pubblico ne abbia perduto il ricordo, così da non poter incorrere in rischi di confusione con chi utilizzi analoghi segni. II. L'insegna Il codice civile dedica all'insegna un’unica norma di rinvio all’art. 2564, co. 1, in materia di ditta. Anche l'insegna rientra inoltre fra i segni distintivi. La nozione di insegna va ricavata dal significato del termine nel linguaggio comune. L'insegna è utilizzata all'ingresso dei locali e degli stabilimenti dell'impresa ed assume una funzione distintiva della responsabilità di un'organizzazione aziendale fisicamente collocata in un certo luogo. L'insegna (a differenza della ditta) può essere liberamente formata. Può essere costituita non solo da espressioni letterali, ma anche da disegni e figure; né qui è necessaria l'indicazione del cognome o della sigla dell'imprenditore. Anche l’insegna è protetta in base alla disciplina della concorrenza sleale, in quanto segno distintivo utilizzato e conosciuto dal pubblico, a fronte di un rischio di confusione concreto, da accertare relativamente al territorio e al settore merceologico di attività dell'imprenditore. III. Ragione e denominazione sociale La disciplina codicistica dei segni distintivi menziona ragione e denominazione sociale per rinviare da un lato alle norme in materia di società e dall'altro all’art. 2564 in materia di ditta. Il duplice rinvio riflette la duplice funzione di questi segni distintivi: che da un lato costituiscono uno strumento di spendita del nome della società rispettivamente di persone e di capitali; dall'altro ne costituiscono la ditta. L’art. 2567, co. 2, dichiara applicabile a ragione e denominazione sociale “le disposizioni dell’art. 2564”. La ragione e denominazione sociale sono tutelate dalla disciplina della concorrenza sleale, in quanto segni distintivi utilizzati e conosciuti dal pubblico, nei limiti di un rischio di confusione. 55 La più importante categoria di impedimenti relativi deriva dall'esistenza di diritti di terzi su segni distintivi anteriori in conflitto con il marchio registrato. La presenza di segni anteriori fa venir meno il requisito della novità. Gli impedimenti fondati sull'esistenza di diritti su segni distintivi anteriori hanno una portata corrispondente all'estensione di questi diritti. Sono quindi privi di novità i marchi la cui utilizzazione rappresenterebbe una violazione dei diritti sui segni distintivi anteriori. Le ipotesi di assenza di novità possono essere classificate in relazione alle diverse tipologie di segni in conflitto. a) Una prima tipologia è costituita dai segni distintivi registrati con efficacia anteriore. L'anteriorità deve essere valutata in relazione alla data di deposito della domanda, così che la validità di un marchio può essere pregiudicata da qualsiasi segno depositato anteriormente, ancorché registrato successivamente. Le registrazioni anteriori fanno venir meno il requisito della novità nei limiti in cui attribuiscono al registrante la possibilità di vietare l'uso del marchio successivo. b) Il requisito della novità del segno è inoltre pregiudicato dall'esistenza di diritti anteriori su segni distintivi non registrati. La più importante tipologia di questi segni è costituita dai marchi utilizzati anteriormente alla registrazione. Il legislatore distingue due diverse situazioni, a seconda che il segno abbia acquisito notorietà locale, o invece sia conosciuto in ambito nazionale. Nel primo caso “l'uso precedente del segno, quando non importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la novità, ma il terzo preutente ha diritto di continuare nell'uso del marchio, nei limiti della diffusione locale, nonostante la registrazione del marchio stesso”. L'uso del segno che viceversa importi una vera e propria notorietà nazionale attribuisce diritti estesi a tutto lo stato. Esso fa perdere la novità dei marchi posteriori confondibili, e determina un vizio di nullità relativa. Il legislatore italiano regola il conflitto fra marchio registrati e segni anteriori noti come “ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio” usato nell’attività economica. Anche questi segni fanno venir meno la novità delle successive registrazioni, in situazioni corrispondenti a quelle del conflitto con i marchi non registrati. 4. Il procedimento di registrazione La fattispecie costitutiva della tutela disciplinata dalle norme europee e nazionali si perfeziona attraverso la registrazione del marchio, a seguito di un apposito procedimento avviato su domanda (c.d. deposito) dell'aspirante titolare. In Italia la registrazione avviene presso l'Ufficio 56 Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), ed offre una protezione limitata al territorio italiano. La domanda di registrazione deve contenere le generalità del richiedente, la riproduzione del marchio, l'elenco dei prodotti e servizi che è destinato a contraddistinguere. L’UIBM concede la registrazione dopo aver verificato la regolarità del deposito e la proteggibilità del marchio. La concessione della registrazione non garantisce la valida nascita di diritti sul segno. È infatti sempre possibile lamentare davanti all'autorità giudiziaria o allo stesso UIBM, che il marchio registrato è privo di uno o più requisiti di protezione. L'assenza di questi requisiti impone al giudice o all’IUBM di dichiarare la nullità della registrazione. In presenza dei requisiti di tutela, la registrazione ha invece efficacia costitutiva di diritti che prescindono dall'uso e dalla conoscenza del segno presso il pubblico, e che si estendono all'intero territorio nazionale. Il titolare della registrazione ha l'onere di utilizzare il proprio segno entro 5 anni, diversamente perdendo i propri diritti per decadenza. Il marchio registrato ha una protezione di durata potenzialmente perpetua, ma la registrazione deve essere rinnovata a scadenze decennali, con apposita domanda all’UIBM. Diversamente, il marchio si considera scaduto. Il reg. (UE) 1001/2017 sul marchio UE (RMUE) disciplina una registrazione con effetti sovranazionali necessariamente estesi all'intero territorio della UE. Il procedimento si svolge davanti ad un apposito ufficio, con sede ad Alicante (EUIPO). La registrazione europea “produce gli stessi effetti in tutta l'Unione”. Diversamente, dal marchio UE, infine, il marchio depositato in base ad una domanda internazionale all'Ufficio di Ginevra non produce effetti unitari, ma equivale ad una pluralità di registrazioni autonome in ciascun paese (c.d. fascio di marchi): registrazioni che possono essere ad es. trasferite e dichiarate nulle distintamente per ciascuno stato. 5. L'estensione della tutela della registrazione Il titolare vanta un diritto esclusivo sul marchio, ed in particolare il diritto di vietarne l'uso da parte di terzi. Nella comune terminologia le utilizzazioni del segno illecite in quanto non consentite dal titolare vengono definite contraffazioni. La teoria dei segni distintivi valorizza la funzione della tutela per ricavarne un principio di relatività della protezione: secondo cui la contraffazione presuppone un rischio di confusione in ordine all'impresa cui è imputabile l'offerta, e non ricorre quando invece gli utilizzatori del segno offrono prodotti o servizi merceologicamente diversificati, che il pubblico non riferisce ad un unico imprenditore. Secondo cui il titolare del marchio ha il diritto di vietare l'uso di “un segno di identico o simile al marchio registrato, per 57 prodotti o servizi identici o affini, ma possono determinarsi un rischio di confusione per il pubblico”. Il principio di relatività della protezione muta però contorni quando si sia in presenza di un marchio rinomato/notorio. L’art. 20, co. 1, lett. c, c.p.i. riconosce al titolare il diritto di vietare ai terzi l'uso di un “segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”. La tutela del marchio rinomato/notorio si fonda sull’indebito vantaggio o pregiudizio alla notorietà o carattere distintivo, prescinde dal rischio di confusione, e può essere fatta valere contro l'utilizzazione del segno per qualsiasi prodotto o servizio, sia esso o meno simile a quelli per i quali ha acquisito notorietà. La norma esprime la volontà del legislatore di proteggere la funzione pubblicitaria e in generale promozionale acquisita dal marchio per effetto della sua notorietà e conseguente accreditamento sul mercato. Il legislatore disciplina le tipologie di atti che possono costituire contraffazione del marchio. Il diritto di marchio opera nei riguardi dell'uso del segno “nell'attività economica” o “nel commercio”. Il diritto di marchio si estende in particolare a tutti gli atti di commercio, importazione ed esportazione: e consente perciò al titolare di agire non solo nei confronti di chi fabbrichi prodotti contraffatti, ma anche nei confronti di distributori che non abbiano partecipato agli atti di fabbricazione. Frequentemente il titolare del marchio è addirittura interessato a controllare la circolare successiva alla prima messa in commercio anche legittima, ad es. attraverso clausole contrattuali tendenti a impedire l'ingresso del prodotto in alcune zone geografiche o in alcuni canali distributivi. Il diritto della UE ha fortemente limitato la protezione di questo interesse, attraverso il principio del c.d. esaurimento, secondo cui il diritto conferito dal marchio “non permette al titolare di impedirne l'uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso”. I prodotti messi lecitamente in circolazione nella UE con il consenso del titolare possono dunque essere in linea di principio commercializzati liberamente: così che, ad es., il diritto non può essere azionato per impedire le importazioni da uno ad altro paese del mercato unico, o per vietare l'ingresso su circuiti commerciali “sgraditi”. 6. Cessioni e licenze di marchio 60 B3) I diritti decadono infine se il marchio “per il fatto dell’attività o dell'inattività del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia perduto la sua capacità distintiva”. L'ipotesi è definita dal legislatore nazionale con il termine volgarizzazione, che riflette la relatività nel tempo della percezione di alcuni termini da parte del pubblico. Un esempio è costituito dal termine nailon, che era originariamente un marchio registrato, ma che ha assunto successivamente nei consumatori un significato descrittivo della particolare tipologia di fibra sintetica. V. I nomi a dominio La diffusione di internet ha posto il problema relativo all'esistenza ed al riconoscimento di una funzione giuridica dei nomi a dominio: e cioè delle espressioni letterali che consentono ad un computer (client) di indirizzare il proprio collegamento verso un altro computer (server) per ricevere informazioni da quest'ultimo. I nomi a dominio vengono assegnati ai gestori delle informazioni ospitate sui server dalle autorità preposte al funzionamento di internet, attraverso un procedimento di registrazione del domain name, che non va confuso con quello di registrazione del marchio. Qualora l'offerta di informazioni attraverso il client avvenga nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, il nome a dominio svolge una funzione distintiva di questa attività. L’art. 22 c.p.i. attrae il nome a dominio di un sito usato nell'attività economica nel principio di unitarietà dei segni distintivi. La norma vieta l'utilizzazione (anche) di un nome a dominio “uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell'identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico”. I nomi a dominio devono rispettare il divieto di utilizzazioni confusorie, o comunque dirette a sfruttare la fama di altrui marchi notori. Il nome a dominio può essere protetto secondo i principi generali dei segni distintivi, e perciò contro l'uso di marchi con esso confondibili. L’art. 12, co. 1, lett. b, c.p.i. ricomprende i nomi a dominio aziendali fra i segni che costituiscono impedimento alla registrazione di marchi successivi uguali o simili, in quanto idonei a produrre rischi di confusione. Analogamente il titolare del nome a dominio può lamentare l’illecita utilizzazione da parte di terzi di nome a dominio simili al proprio, e perciò idonei a determinare confusione in ordine all’identità dell'impresa responsabile delle informazioni del sito ospitate sul server. VI. I segni distintivi a uso plurimo 1. Il certificato collettivo e di certificazione 61 L'ordinamento nazionale ed europeo riconoscono e proteggono ulteriori tipologie di segni distintivi. Si tratta dei segni destinati all’utilizzazione parallela di una pluralità di imprenditori. Una prima categoria di segni destinati ad una utilizzazione plurima è costituita dai marchi collettivi e di certificazione. I marchi collettivi sono registrati da associazioni di categoria imprenditoriali e per essere destinati all'uso dei membri dell'associazione. I marchi di certificazione sono destinati alla registrazione da parte di “persone fisiche o giuridiche” preposte a “garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”. Funzione giuridicamente proprietà del marchio di certificazione è perciò quella di garantire che i prodotti o servizi contraddistinti presentino particolari caratteristiche qualitative (standard) “certificate” dal titolare. I marchi collettivi possono attestare una generica condivisione delle finalità istituzionali dell'associazione o ente registrante. L'utilizzazione dei marchi collettivi e di certificazione deve avvenire nel rispetto di appositi “regolamenti”, allegati alla domanda di registrazione (c.d. regolamenti d'uso). L'omissione “da parte del titolare delle misure ragionevolmente idonee a prevenire un uso del marchio non conforme alle condizioni del regolamento d'uso del marchio collettivo del marchio collettivo o del marchio di certificazione” costituisce motivo di decadenza dai diritti sul segno per sopravvenuta ingannevolezza. La disciplina di questi marchi corrisponde in linea di principio a quella del marchio individuale. 2. Le indicazioni geografiche Un'ulteriore tipologia di segni distintivi destinati all’utilizzazione da parte di una pluralità di imprenditori è costituita dalle indicazioni geografiche, che il c.p.i. disciplina agli artt. 29-30, da accordi internazionali e norme europee. La funzione giuridicamente protetta delle indicazioni geografiche consiste nella garanzia della presenza nel prodotto di caratteristiche qualitative riconducibili alla tradizione del territorio. La collocazione delle indicazioni geografiche nel sistema nazionale all'interno della categoria dei segni distintivi non registrati, e tutelati sulla base dell'esistenza in via di fatto di una tradizione produttiva riconosciuta dal pubblico. Le indicazioni geografiche hanno particolare importanza nel settore dei prodotti agroalimentari. Proprio nel settore agroalimentare la protezione delle indicazioni geografiche è disciplinata a livello europeo dal reg. (UE) 1151/2012. Il regolamento prevede la possibilità di tutelare le indicazioni geografiche mediante registrazione a titolo di denominazione d’origine protette (D.O.P.), o alternativamente di indicazioni geografiche protette (I.G.P.). I requisiti di tutela delle I.G.P. appaiono meno stringenti rispetto alle D.O.P. La protezione è identica. La 62 registrazione è concessa sulla base di un complesso procedimento davanti alla Commissione, che deve verificare essenzialmente la possibilità che il pubblico percepisca l'indicazione geografica in funzione distintiva della provenienza del prodotto da una determinata zona. La registrazione conferisce alla D.O.P. o I.G.P. una totale unitaria estesa a tutti i paesi membri. La protezione si estende non soltanto alle utilizzazioni ingannevoli sotto il profilo della provenienza geografica del prodotto, ma qualsiasi tentativo di approfittamento della notorietà del nome. I diritti sulle D.O.P. e I.G.P. non decadono per effetto di volgarizzazione. 14.TECNOLOGIA E DESIGN I. I brevetti d’invenzione 1. La nozione di invenzione Il concetto di invenzione non trova espressa definizione né nel c.p.i. né nelle norme internazionali. Appare tuttavia corretta la definizione tradizionale di “soluzione di un problema tecnico”. L’invenzione applica queste leggi naturali per soddisfare bisogni umani: e per soddisfarli attraverso una produzione industriale (tecnica) serializzata. La definizione così ricostruita pare confermata dalla elencazione legislativa (art. 45, co. 2, c.p.i.) di ciò che non si considera come invenzione: e cioè a) le scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici; b) metodi e principi puramente intellettuale, giochi e metodi commerciali; c) le presentazioni di informazioni (non è brevettabile). La previsione di non brevettabilità dei metodi di trattamento chirurgico o terapeutico: non è perciò brevettabile una tecnica operatoria o una prescrizione medica, ferma restando tuttavia la brevettabilità dei farmaci prescritti. La non brevettabilità di razze animali; la non brevettabilità delle novità vegetali. Più difficile da comprendere è l'esclusione dal concetto di invenzione dei programmi per elaboratore, che ha forse alla base una discutibile concezione del programma in termini di puro metodo matematico. È tuttavia difficile negare all'interazione fra software e hardware la capacità di risolvere problemi tecnici, velocizzano le operazioni di un macchinario o anche dello stesso processore del computer. L’esclusione dalla brevettabilità delle scoperte riflette un più ampio principio generale, per il quale l’esistenza in natura di una composizione di elementi non ostacola la brevettazione della sua capacità di soddisfare bisogni umani. È ammessa la brevettazione di qualsiasi sostanza chimica, indipendentemente da considerazioni relative alla sua esistenza allo stato naturale, purché l'inventore ne individui funzionalità industrialmente riproducibili. Nel settore biotecnologico il principio è espressamente riconosciuto con riferimento alla brevettabilità di 65 particolare il brevetto europeo rilasciato dall'Ufficio europeo Brevetti (UEB) produce effetti in tutti i paesi aderenti alla Convenzione sul Brevetto europeo. Il brevetto europeo non ha carattere unitario, ma si fraziona in tanti brevetti nazionali (c.d. fascio di brevetti). La domanda di brevetto deve indicare le generalità del richiedente, una descrizione dell'invenzione idonea a consentirne l’attuazione da parte di un esperto del ramo e concludersi con una o più rivendicazioni indicanti “specificatamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto”. Le rivendicazioni sintetizzano l'oggetto dell'invenzione, puntualizzandone gli aspetti di differenziazione rispetto allo stato della tecnica. La concessione del brevetto europeo avviene a seguito della verifica della regolarità della domanda e della presenza dei requisiti di tutela. In ogni caso l'assenza di questi requisiti può essere fatta valere davanti al giudice come causa di nullità del brevetto. 4. L'estensione della tutela Il titolare del brevetto vanta un diritto esclusivo di sfruttamento di durata ventennale. Il termine ventennale decorre dal giorno di deposito della domanda, e può essere eccezionalmente prolungato per i prodotti medicinali, attraverso una complessa procedura di rilascio di un certificato complementare di protezione. Il diritto è azionabile solo dal momento in cui la domanda è stata resa accessibile al pubblico. L'accessibilità al pubblico avviene automaticamente al decorso di 18 mesi dal deposito, ma a richiesta del titolare può essere anticipata a 90 giorni. Il diritto di brevetto può essere fatto valere contro lo sfruttamento di prodotti o procedimenti in tutto identici a quelli rivendicati nella domanda, ma anche in presenza di modifiche apportate ad alcuni elementi dell'invenzione (c.d. contraffazione per equivalenti, si pensi alla sostituzione di una vite con una saldatura). È possibile che la modifica ad opera del terzo rappresenti un perfezionamento dell'invenzione a suo tempo brevettata, e che costituisca a sua volta un’invenzione brevettabile. L'invenzione di perfezionamento può essere in tali casi oggetto di brevetto dipendente, attuabile solo con il consenso del titolare del brevetto (se ed in quanto non scaduto) anteriore. Il diritto esclusivo si estende alla produzione, commercio e uso industriale in Italia del prodotto brevettato. Nei brevetti di procedimento, il diritto si estende all’attuazione del metodo industriale, ma anche al commercio ed uso dei prodotti che ne derivano. Il diritto di brevetto non si estende però agli atti compiuti in ambito privato o in via sperimentale. 66 Accanto al diritto patrimoniale di sfruttamento esclusivo, l'inventore vanta un diritto morale ad essere riconosciuto autore dell'invenzione, e fra l'altro a venire menzionato nella domanda di brevetto. Il diritto morale non è alienabile, e spetta sempre e solo all'autore dell'invenzione. 5. Cessioni e licenze di brevetto I diritti patrimoniali di brevetto sono liberamente trasferibili, ed è previsto un sistema di trascrizione con effetti dichiarativi corrispondenti a quelli illustrati in materia di marchio. Il titolare (licenziante) può concludere contratti di licenza e consentire a terzi (licenziatari) di sfruttare il brevetto secondo le modalità e nei limiti di tempo stabiliti dall'accordo. La licenza può essere pattuita con clausola di esclusiva, e quindi contenere l'obbligo del licenziante di non sfruttare in proprio l'invenzione e di non concedere ulteriori licenze a terzi. Gli effetti della licenza non possono comunque contraddire il principio dell'esaurimento: per cui un licenziatario ancorché esclusivo di un brevetto italiano non può impedire le importazioni in Italia dei prodotti brevettati che il titolare ha commercializzato nello Spazio Economico Europeo direttamente o attraverso altri licenziatari paralleli. Il legislatore ha inoltre previsto alcune particolari ipotesi in cui titolare può essere obbligato a concedere licenze a terzi (c.d. licenza obbligatoria). La licenza obbligatoria può essergli imposta quando non abbiano ottemperato all'onere di attuale l'invenzione entro 3 anni dalla concessione del brevetto. Può essere imposta a favore del titolare di un brevetto dipendente che rappresenti un “progresso tecnico di considerevole rilevanza economica”. La licenza obbligatoria è concessa dietro pagamento di un “equo compenso” dal Ministero dello sviluppo economico. 6. Nullità e decadenza del brevetto Il brevetto può essere sempre dichiarato nullo dall’autorità giudiziaria ordinaria. L'azione di nullità può essere esercitata da chiunque vi ha interesse. Spesso viene promossa in via riconvenzionale dal convenuto in contraffazione. La dichiarazione di nullità (così come quella di decadenza) ha efficacia erga omnes. Le cause di nullità derivano tipicamente dall'assenza dei requisiti di brevettabilità. È inoltre nulla l'invenzione non sufficientemente descritta. L'invenzione può poi essere dichiarata nulla se il brevetto è stato concesso al non avente diritto, e cioè ad un soggetto diverso dall’inventore e dai suoi aventi causa. Le ipotesi di decadenza, derivanti essenzialmente dal mancato pagamento delle tasse brevettuali e della mancata attuazione dell'invenzione nei due anni successivi al rilascio della prima licenza obbligatoria. 67 II. I modelli di utilità I “modelli di utilità” definiti come “modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere”. La distinzione fra invenzioni e modelli non è realtà agevole. Certo i modelli sono circoscritti all'ambito della meccanica, mentre non sono concepibili nel settore della chimica o della biotecnologia. I modelli di utilità coprono tipicamente la valenza tecnica del design, e si contrappongono ai modelli e disegni industriali. La disciplina dei modelli industriali ricalca quella sulle innovazioni. La minore importanza tecnologica del trovato giustifica una durata del brevetto decennale, anziché ventennale. III. I modelli e disegni industriali L'ordinamento europeo e nazionale tutelano anche l'innovazione del design del prodotto (inteso dei disegni e colori) indipendentemente dalla sua valenza tecnica. È proteggibile come disegno o modello “l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori e della forma”. La tutela dei disegni e modelli è data principalmente dalla registrazione, che può avvenire in sede nazionale e in sede europea. La protezione derivante dalla registrazione per il considerevole periodo di 25 anni. Disegni e modelli devono rappresentare il requisito della novità, e cioè differenziarsi dai modelli anteriormente accessibili al pubblico. Disegni e modelli devono inoltre presentare “carattere individuale”. Il carattere individuale del disegno o modello ricorre precisamente quando “l'impressione generale che suscita nell'utilizzatore informato differisce dall'impressione generale suscitata in tale utilizzatore” dai disegni e modelli divulgati anteriormente. L'originalità del disegno o modello dipende dalla percezione del destinatario acquirente (utilizzatore), non dallo sforzo inventivo del designer. I diritti sul disegno e modello si estendono “a qualunque disegno o modello che non produca nell'utilizzatore informato un'impressione generale diversa”. Il diritto sul disegno e modello si estende agli atti di fabbricazione, commercio ed uso, ferma restando l'applicazione del principio di esaurimento. Anche la validità della registrazione del disegno e modello può essere contestata attraverso l'esercizio di azioni di nullità. L'esercizio dell'azione segue regole tendenzialmente corrispondenti a quelle dei marchi europeo e nazionale. 70 Nelle vendite dei beni di consumo, la legge prevede una garanzia di conformità del bene. La disciplina sin qui esposta può essere poi integrata a livello contrattuale prevedendosi ulteriori garanzie convenzionali. Molto importante e diffusa è anche la c.d. garanzia di fabbrica, ossia la dichiarazione negoziale con cui un soggetto garantisce una prestazione riparatoria o di sostituzione, per le ipotesi in cui il bene presenti delle anomalie materiali (ad es. lo smartphone non risulta funzionante). L’art. 1498 stabilisce l’obbligazione principale del compratore: il pagamento del prezzo, determinato nel contratto oppure da parte di un terzo, se così dispone il contratto stesso. 2. La somministrazione La somministrazione o fornitura (art. 1559), ossia il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire prestazioni periodiche o continuative di beni (ad es., di energia elettrica). La somministrazione è un rapporto di durata, che può essere a tempo o indeterminato. Poiché la somministrazione implica il trasferimento periodico di beni, operano tutte le garanzie già esaminate per la compravendita. Trattandosi di un contratto di durata, inoltre, secondo quello che è ritenuto un principio generale di tali rapporti quando siano conclusi a tempo indeterminato, è concessa a ciascuna delle parti la facoltà di recedere in ogni momento, previo congruo preavviso. Vi è una speciale disciplina dell'inadempimento relativo ad una delle singole prestazioni: l'altra parte ha diritto a richiedere la risoluzione del contratto se l'inadempimento non solo ha notevole importanza, ma, anche, sia tale da far venir meno la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti. Allo scopo di assicurare la continuità delle forniture e poter fare affidamento su un flusso continuo di richieste oppure offerte, è contenuta una clausola di esclusiva a carico del somministrante o dell'avente diritto alla somministrazione, con cui rispettivamente il fornitore o il beneficiario si impegnano a non compiere a favore o a non ricevere da terzi prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto; nonché una clausola di preferenza con cui l’avente diritto alla somministrazione si obbliga, per un periodo massimo di cinque anni, a dare preferenza al forniture nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, se questi è disposto a praticargli le medesime condizioni contrattuali offerte da terzi. 3. Locazione, noleggio 71 A) L’accesso all’utilizzo di un bene può essere realizzato attraverso il contratto di locazione, con cui una parte (il locatore) si obbliga, verso un determinato corrispettivo, a far godere all'altra parte (il conduttore) una cosa mobile (un macchinario; un'automobile) o immobile. Nel caso si tratti di bene produttivo (ad es., un'azienda) il contratto si denomina affitto. La disciplina del contratto prevista dal codice è integrata, con riferimento agli immobili, da varie e importanti leggi speciali, come le locazioni ad uso commerciale; d'altro lato a rafforzare la protezione del conduttore per quanto concerne i rapporti di locazione ad uso abitativo. Si tratta di un contratto a titolo oneroso, consensuale, ad efficacia obbligatoria e a prestazioni corrispettive. Con riferimento alla durata del contratto, il codice civile prevede (art. 1573) solo un termine massimo (inderogabile) di 30 anni. Con riferimento agli immobili urbani ad uso non abitativo, ossia le locazioni ad uso commerciale, si stabilisce, al fine di garantire la stabilità della sede dove è svolta l'attività d’impresa un termine minimo di 6 anni automaticamente rinnovato e per altri 6. Con riferimento agli immobili adibiti ad uso abitativo, è stabilita una durata minima quadriennale, con previsione anche qui vincolante, con alcune eccezioni, di un rinnovo alla scadenza per un uguale periodo. Con riferimento alla forma del contratto, si distingue a seconda che questo abbia ad oggetto beni mobili, per cui non è richiesta una forma particolare, o immobili, in cui è imposta la forma scritta e la trascrizione del contratto se la durata risulta superiore di 9 anni. La disciplina tributaria, tuttavia, al fine di consentire l’emersione, e quindi la tassazione, dei rapporti di locazione ed i relativi redditi, ha imposto la registrazione (che ovviamente richiede la forma scritta) del contratto a pena di nullità, con la conseguenza che anche al di fuori dei due casi indicati la forma scritta della locazione immobiliare è divenuta la regola generale. Il contratto attribuisce al conduttore un diritto personale di godimento, che si caratterizza per la sicurezza e stabilità nel rapporto. Egli deve essere tutelato dal locatore (oltre che rispetto ai vizi) rispetto alle molestie di diritto, ossia nei confronti dei terzi che pretendono di avere dei diritti sulla cosa locata. Il conduttore può anche tutelarsi direttamente nei confronti dei terzi, se del caso attraverso un'azione inibitoria. Il contratto di locazione, ove il bene locato venga alienato a terzi durante il rapporto, è opponibile a quest’ultimi qualora abbia una data certa anteriore all’alienazione; in mancanza di data certa, il conduttore cuore la sua detenzione del bene. La legge riconoscere al conduttore di un immobile ad uso non abitativo la prelazione nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile. 72 Il conduttore ha l'obbligo di pagare il corrispettivo, denominato canone, che costituisce un elemento necessario della locazione. La manutenzione del bene immobile spetta al locatore; sono escluse solo le spese di piccola manutenzione. B) Una disciplina speciale è stata introdotta, con riferimento ai beni immobili, per il rent to buy, ossia la locazione in funzione della successiva alienazione del bene. Si tratta di un contratto in cui si prevede che, a fronte dell’immediata concessione in godimento dell'immobile, i canoni di locazione pagati dal conduttore vengano, in tutto o in parte, imputati a corrispettivo del trasferimento qualora lo stesso conduttore eserciti il diritto, previsto dal contratto di acquistare il bene entro un termine determinato. Nel caso in cui il conduttore non eserciti tale diritto, il concedente ha l'obbligo di restituire parte del corrispettivo incassato, in quanto i canoni non compensano esclusivamente, come nella locazione, il godimento del bene, ma costituiscono un anticipo del prezzo finale d'acquisto. Il contratto rappresenta, dal 2014, una fattispecie negoziale unitaria, ancorché a struttura complessa, che coniuga elementi del contratto di locazione e del preliminare di vendita. Il contratto può essere trascritto al fine di far prevalere l'eventuale futuro acquisto del conduttore. C) Il contratto di noleggio, essendo regolato esclusivamente nel codice della navigazione, la cui disciplina riguarda la navigazione aerea e marittima. Con il termine noleggio si allude anzitutto al contratto di locazione di beni mobili, con ciò, facendosi riferimento al contratto con cui un soggetto (noleggiante) mette a disposizione di un altro soggetto (utilizzatore) un bene mobile per un dato periodo di tempo e dietro un corrispettivo (canone). La convenienza del noleggiante è di poter disporre di un bene per un periodo di tempo contenuto, senza necessità di acquistarlo, pagando una somma periodica. L'oggetto del contratto costituisce nell'utilizzo, sia per finalità d’impresa che ricreative, di attrezzature ovvero mezzi e veicoli di trasporto: biciclette, sci, tavole da surf e, in particolare, autoveicoli (il c.d. autonoleggio). D) Il contratto di leasing operativo, ossia il contratto con cui il proprietario di beni mobili ad alta standardizzazione tecnologica e rapida obsolescenza si obbliga a concedere gli stessi in godimento all'utilizzatore (oltre ad offrire manutenzione), verso pagamento di un corrispettivo (canone) anche a prescindere dalla durata della vita economica del bene; alla scadenza del contratto, di regola, avviene la restituzione del bene. Si tratta di un contratto di leasing da tenere distinto da quello finanziario, in quanto quest'ultimo coinvolte quantomeno sul piano economico tre 75 Gli elementi caratterizzanti il contratto sono l’obbligazione (di risultato), in capo al vettore di trasferire persone o cose da un luogo ad un altro; l'obbligazione del passeggero trasportato o del mittente (nel caso di trasporto di cose) al pagamento del prezzo. Al di là di questi elementi possono essere configurate prestazioni ulteriori a carico delle parti, in generalmente a carico del vettore. Il contratto di trasporto è a forma libera: la forma scritta ad probationem è eccezionalmente richiesta solo per il trasporto marittimo di persone e di cose, nonché per il trasporto aereo di cose. Con riguardo al trasporto di persone, il codice civile si limita a disciplinare la responsabilità del vettore, che sorge per inadempimento, per danni alla persona del viaggiatore e per la perdita e avaria delle cose che il viaggiatore e porta con sé, salvo che il vettore dia prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. A questa responsabilità di natura contrattuale si aggiunge, ricorrendone i presupposti, anche la configurabilità della responsabilità extracontrattuale: circostanza, quest'ultima, particolarmente rilevante per evitare la scadenza del termine di prescrizione breve di un anno cui è altrimenti soggetta l'azione contrattuale. Inoltre, sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri. Con riguardo al trasporto di cose, la peculiarità principale consiste nel fatto che sul vettore grava l'obbligazione di custodia della merce, che è strumentale rispetto a quella del trasferimento. Ciò amplia il raggio di responsabilità del vettore, tenuto al risarcimento del danno non solo nel caso di inadempimento all'obbligo di trasporto, ma anche nel caso di perdita o avaria delle cose trasportate, salva la prova che la perdita o l’avaria siano derivate da caso fortuito. 3. Viaggio Il contratto di viaggio è quel contratto con cui un imprenditore turistico svolge attività di intermediazione o di organizzazione di viaggi e ogni altra forma di prestazione turistica accessoria a servizio del cliente finale (il turista). L'espressione contratto di viaggio è riferita a due distinte tipologie contrattuali. La prima consiste nel contratto di organizzazione di viaggio, con cui l'agenzia turistica (tour operator) stipula una serie di contratti di trasporto (con i vettori), soggiorno in albergo (con i gestori delle strutture ricettive) e ogni altro servizi ad essi riferito ad essi riferito, in nome proprio ma con la previsione di indicare successivamente coloro che beneficeranno dei relativi servizi. Si tratta di un insieme di servizi riuniti in un c.d. pacchetto turistico. La seconda tipologia riguarda il contratto di intermediazione di viaggio, in cui un imprenditore turistico (travel agent) procura un contratto di 76 organizzazione di viaggi già allestito da un tour operator e lo offre al turista; in tal caso il travel agent puro intermediario, agisce quale mandatario con rappresentanza del turista cliente finale nei confronti del tour operator. 4. Servizi della società dell'informazione Un’esigenza sempre più sentita dalla realtà imprenditoriale contemporanea è rappresentata dalla possibilità di utilizzare spazi digitali, all'interno dei quali diffondere contenuti digitali o, se si è un'impresa, a promuovere i prodotti ed i servizi offerti. Tale possibilità si realizza attraverso la stipulazione dei contratti di hosting providing e dei contratti di adesione ad un social network. Il contratto di hosting providing è il contratto in base al quale un soggetto, fornisce alla controparte contrattuale uno spazio informatico allocato su un server per ospitare delle pagine web, rendendoli così accessibili agli utenti mediante l'utilizzo di internet. Il contratto di adesione ai social network è invece il contratto che disciplina le modalità di creazione, di utilizzo e di cancellazione di un profilo da parte di un utente su un determinato social. La finalità perseguita è sostanzialmente di natura pubblicitaria. Sia i contratti di hosting provider e di adesione ai social network, sia i contratti di pubblicità radiotelevisiva sono caratterizzati da una spiccata atipicità. Si rinvengono alcune clausole ricorrenti, le quali riflettono il maggiore potere contrattuale rivestito dal fornitore dei servizi, fra cui: clausole di manleva, con le quali il committente, in considerazione della oggettiva difficoltà da parte del fornitore del servizio di verificare i contenuti caricati nello spazio acquisito, si impiega a tenere indenne quest'ultimo da qualsiasi pretesa proveniente da terzi. 5. Deposito Il deposito è il contratto con cui una parte (depositario) riceve dall'altra parte (depositante) una cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla in natura. Il deposito è un contratto reale ed a forma libera; ad esecuzione continuata; che si presume gratuito, salvo dalla qualità professionale del depositario o da altre circostanze sia desumibile una diversa volontà delle parti. Il contratto di deposito soddisfa l'interesse del depositante a vedere il proprio bene custodito da un altro soggetto per un certo periodo di tempo, e l'interesse del depositario a percepire un corrispettivo per la custodia, se il contratto è oneroso. Con riguardo alle obbligazioni delle parti, il depositario non può servirsi della cosa mobile che gli è stata consegnata, deve adempiere 77 l'obbligazione di custodia secondo la diligenza del buon padre di famiglia e deve restituire la cosa a semplice richiesta del depositante; dall'altro lato, il depositante è obbligato a rimborsare il depositario delle spese sostenute per conservare la cosa, a tenerlo indenne dalle perdite causate dal deposito e, nel caso di mandato oneroso, a pagare il compenso pattuito. Una disciplina specifica è prevista per il deposito in albergo. 17. I CONTRATTI DI ORGANIZZAZIONE I. Organizzazione della filiera di sblocco: i contratti allocativi Si deve guardare alla fase di sbocco anche in una dimensione più globale, cioè alle modalità attraverso cui l'impresa struttura la distribuzione commerciale dei propri beni o servizi. Tale distribuzione può avvenire: a) in forma diretta, ossia attraverso il trasferimento dal produttore al cliente finale; b) in forma indiretta, attraverso più passaggi tra loro; c) in forma ancora indiretta, ma allestendo una struttura distributiva organizzata; in tale ultimo caso si realizza, per mezzo di specifici contratti tra il produttore e i distributori intermedi, una vera e propria filiera allocativa. 1. Concessione di vendita Il contratto di concessione di vendita, con cui il concedente, che di norma è il produttore di determinati beni, si obbliga a fornire al concessionario, o distributore, i propri prodotti, a fronte del obbligo del secondo di acquistarli o di venderli sul mercato, attraverso un’attività promozionale nella maggior parte dei casi controllata dal concedente (si pensi ai concessionari automobilistici). Si tratta di un contratto, non espressamente disciplinato dalla legge, e pertanto atipico, ma di grande rilevanza pratica. Si ritengono per lo più applicabili le norme in tema di somministrazione. Il contratto di concessione di vendita si distingue da quello di agenzia in quanto il concessionario acquista i beni che rivende direttamente al pubblico, e quindi sopporta sia il rischio dell’organizzazione dell'attività di commercializzazione, sia il rischio del mancato pagamento da parte del cliente. Di recente, tuttavia, nell'ottica di tutelare maggiormente il contraente debole, si è ritenuto abusivo, e fonte di responsabilità per danni a favore del concessionario, il recesso improvviso e immotivato da parte del concedente. 2. Affiliazione commerciale (franchising) Con il contratto di affiliazione commerciale (franchising) un imprenditore (affiliante, o concedente) attribuisce ad un altro imprenditore (affiliato), verso un determinato corrispettivo, il diritto all'uso di un 80 servizi manuali o intellettuali d'altro tipo (ad es. la tenuta della contabilità da parte di un dottore commercialista), nel qual caso si avrà un contratto d'opera. Esso è il contratto con cui “una persona si obbliga a compiere verso corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. 1. Il mandato Il mandato è il contratto mediante il quale una parte (il mandante) affida ad un'altra parte (il mandatario) il compito di compiere, per suo conto, uno o più atti giuridici. Si suole distinguere tra mandato senza rappresentanza e mandato con rappresentanza. In questo secondo, gli effetti degli atti compiuti dal mandatario con i terzi si producono direttamente in capo al mandante; nel primo, si producono in capo al mandatario. In tal caso, questi avrà diritto di ricevere i mezzi per adempiere alle obbligazioni contratte e dovrà ritrasferire al mandante quanto ricevuto dai terzi. Il mandato è normalmente a titolo oneroso. Il mandante deve sottostare ad alcuni obblighi. In particolare, deve provvedere a fornire la provvista (finanziaria); è tenuto, cioè, a mettere a disposizione del mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione dell’incarico e per l’adempimento delle obbligazioni che sono state contratte nel corso delle stesse. Inoltre, può revocare il mandatario in ogni momento. Gli sono riconosciuti anche diversi poteri, come quello di dare istruzioni vincolanti per il mandatario in ordine all’esecuzione. Il mandatario ha, a sua volta, obblighi e poteri. È tenuto all'esecuzione dell'incarico conformandosi alla diligenza del buon padre di famiglia, attenendoli alle eventuali istruzioni impartite dal mandante, dalle quali, peraltro, può discostarsi per circostanze sopravvenute. Deve, poi, informare il mandante di tutte le circostanze che potrebbero indurre il mandante a rideterminare o revocare l'incarico e, al termine dell'incarico, deve darne rendiconto. Il mandatario ha normalmente piena libertà di decidere se eseguire personalmente l’incarico o farsi sostituire, come può decidere di rinunciare all'incarico in qualsiasi tempo, esponendosi, tuttavia, al risarcimento dei danni qualora la rinuncia venga senza giusta causa e senza preavviso. 2. L'agenzia Nell’art. 1742, co. 1, con il contratto di agenzia, una parte (l’agente) assume stabilmente l'incarico di promuovere, dietro corrispettivo, la conclusione di contratti nell'interesse dell'altra parte (il proponente) in una zona determinata. L’agente, con organizzazione propria e a proprio rischio, 81 si obbliga a ricercare, prendere contatto e condurre eventuali trattative con soggetti interessati all'attività del proponente. Il contratto di agenzia deve essere stipulato in forma scritta ad probationem e si caratterizza per la presenza di alcuni elementi essenziali, quali la stabilità dell'incarico, il suo riferimento ad una determinata circostanza territoriale e l'obbligo di promuovere la conclusione dei contratti il cui perfezionamento è rimesso alle determinazioni del proponente. In contrapposizione all’agente di commercio che è privo di poteri rappresentativi. L’agente è tenuto ad operare secondo le istruzioni del proponente e deve adoperarsi per farne conoscere i prodotti o l'attività e così procurargli affari. Deve fornirgli ogni indicazione utile sulle condizioni di mercati e sulla convenienza di ciascun affare, in adempimento di un dovere di informazione. Il proponente è tenuto a corrispondere all’agente il compenso pattuito. Questo si configura come una provvigione. L'agenzia può essere stipulata a tempo determinato o indeterminato. Con la cessazione del contratto, l'agente ha diritto ad un’indennità di fine rapporto che rappresenta una sorta di corrispettivo posto a carico del proponente per la clientela procuratagli e con la quale presumibilmente continuerà a concludere affari. L'attività degli agenti e dei rappresentanti di commercio è regolata, oltre che dal codice civile, anche dalle norme dei contratti collettivi e dalla l. 204/1985, che ne prevede l’iscrizione in appositi ruoli istituiti presso le camere di commercio. 3. La mediazione Mediatore è “colui che mette relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”. Il mediatore assume una posizione di indipendenza rispetto alle parti, resa possibile dall’insussistenza di un obbligo di svolgimento dell'attività rispetto a quel determinato affare. Il mediatore, quand’anche abbia ricevuto uno specifico incarico, è libero tanto di iniziare l'attività o non iniziarla, quanto di coltivarla o non coltivarla. Queste sono libere di concluderlo o meno. In caso negativo, grava su di esse e, precisamente, su quella che aveva incaricato il mediatore, solo l'obbligo di rimborso delle spese sostenute per l'attività prestata; mentre ove l’affare giunta a compimento le parti saranno tenute a corrispondere il compenso quando il contratto sia concluso “per effetto del suo intervento” e a prescindere dalla successiva esecuzione del medesimo. La misura della provvigione va calcolata sul valore dell'affare 82 concluso. La determinazione del relativo ammontare è rimessa alla camera di commercio che vi provvedono. Tipico dell’attività del mediatore è il carattere dell'imparzialità per cui egli non si obbliga ad adoperarsi nell'interesse specifico di questa. 18. I CONTRATTI DI APPROVVIGIONAMENTO FINANZIARIO I. Classificazione e rinvio L'impresa manifesta tipicamente bisogni finanziari. Il bisogno finanziario ha ad oggetto la disponibilità di denaro; il denaro svolge una funzione intermediaria nella circolazione e nel conseguimento di ogni altro bene o servizio; rappresenta, cioè, un potere d'acquisto. Al soddisfacimento di questo bisogno sono funzionali i contratti di finanziamento, fra i quali spiccano per la loro rilevanza nelle dinamiche economiche quelli conclusi con le banche (contratti bancari). Si tratta del mutuo, dell'apertura di credito, del factoring. Parimenti importante è il bisogno di canalizzazione dei pagamenti, cioè la disponibilità di strumenti e servizi per la veicolazione, in entrata e in uscita, dei flussi di denaro. Al suo soddisfacimento concorrono contratti stipulati ancora con gli istituti bancari (contratto di conto corrente bancario). Cruciale è infine il bisogno di copertura dal rischio finanziario, cioè di protezione di fronte alla prospettiva di una possibile, futura perdita patrimoniale. Funzionale a questo scopo è il contratto di assicurazione, stipulato con una compagnia di assicurazione, per mezzo del quale l’assicurato si garantisce, mediante la corresponsione di un corrispettivo (premio), il diritto ad un indennizzo in denaro, per il caso in cui si verifichi un dato evento e si realizzi pertanto la temuta perdita finanziaria. 85 consorziati” da calcolarsi per teste. Il riferimento alle “deliberazioni” lascia poi presumere che l'organo operi secondo il metodo collegiale. Le modificazioni del contratto di consorzio devono essere fatte per iscritto a pena di nullità e decise all'unanimità, se non è convenuto diversamente. L'organo esecutivo del consorzio è composto delle persone preposte dai consorziati alla direzione del sodalizio, per le quali è previsto un regime di responsabilità, che si esaurisce nel richiamo delle regole del mandato in caso di compimento di atti di gestione pregiudizievoli per i consorziati. Tale organo deve anche controllare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai consorziati (compreso il versamento dei contributi). d) Anche la disciplina generale del consorzio prevede cause di scioglimento del contratto e della singola partecipazione dei consorziati. Il contratto di consorzio si scioglie per il decorso del termine di durata, per il conseguimento dell'oggetto o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, o in seguito ad una decisione unanime dei consorziati o ad una loro delibera maggioritaria se sussiste una giusta causa. Resta salva la possibilità di prevedere nel contratto ulteriori cause di scioglimento. Lo scioglimento della singola partecipazione può essere originato dalla volontà del consorziato (recesso) o dalla decisione degli altri consorziati (esclusione). Il recesso e l'esclusione sono possibili nei casi previsti dal contratto, ai quali deve aggiungersi almeno la perdita della qualità di imprenditore che è requisito essenziale di partecipazione al consorzio. 2. Le regole specifiche dei consorzi con attività esterna I consorzi con attività esterna costituiscono autonomi centri di imputazione dotati di soggettività giuridica. Essi acquistano la qualità di imprenditori commerciali, esercitando un'attività ausiliaria. La soggettività dei consorzi con attività esterna è consacrata dall’istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi e dalla iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese di un estratto del contratto. Ad analoga pubblicità legale è sottoposta ogni modificazione dell'accordo. I consorzi con attività esterna possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione. I consorzi con attività esterna godono di un regime di autonomia patrimoniale. I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi confluiscono in un patrimonio autonomo denominato fondo consortile del quale, per l'intera durata del consorzio, non può essere chiesta la divisione dai consorziati; né i loro creditori particolari possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo, che costituisce la garanzia principale dei creditori del consorzio. 86 Corollario dell'autonomia patrimoniale è un particolare regime di responsabilità verso i terzi delle obbligazioni consortili. Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio da suoi rappresentanti, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile. Le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto di singoli consorziati sono giuridicamente imputabili solo a costoro, con l'aggiunta di una responsabilità sussidiaria, a mero titolo di garanzia, del fondo consortile. Se il consorzio è costretto a pagare, gli organi consortili potranno esercitare azione di rivalsa per l'intera gamma somma pagata nei confronti del consorziato interessato (c.d. solidarietà passiva disuguale). Le persone che hanno la direzione del consorzio devono redigere, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio, una situazione patrimoniale in conformità delle regole relative al bilancio di società per azioni. 3. Le società consortili Gli scopi tipici del contratto di consorzio di coordinamento interaziendale possono costituire anche l’oggetto sociale di una società consortile. Gli imprenditori che vogliano coordinare e accentrare lo svolgimento di una fase delle rispettive imprese possono scegliere tra la costituzione di un consorzio e quella di una società. L’art. 2615-ter consente infatti la costituzione di società consortili in tutti i tipi di società di persone e di capitali, esclusa la società semplice; l’art. 2538, co. 3, permette la costituzione di società consortili cooperative, i cui “soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l'integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse”. Tale natura accomuna scopo lucrativo, scopo mutualistico e scopo consortile. Va precisato che l'obiettivo che gli imprenditori aderenti si prefiggono e il conseguente carattere ausiliario dell'attività svolta dall'impresa consortile fanno sì che il consorzio operi tendenzialmente a beneficio delle sole imprese dei consorziati, offrendo loro beni e servizi a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle altrimenti ottenibili dal singolo aderente sul mercato. Tutto questo normalmente esclude natura lucrativa all'attività dell'impresa consortile, sebbene essa resti pur sempre gestita con metodo economico, ossia assicurando la copertura dei costi con i ricavi. La disciplina delle società consortili è fortemente controversa. Merita adesione la tesi prevalente per la quale le società consortili vanno regolati esclusivamente sulla base delle norme stabilite per il tipo societario prescelto. Deve invece respingersi l'idea di applicare alle società consortili una disciplina “mista”. In caso di società consortile per azioni o a responsabilità limitata, per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. 87 III. Le forme di cooperazione potenzialmente “flessibili” Sono classificate come forme di cooperazione tra imprenditori potenzialmente flessibili i contratti associativi la cui disciplina non prevede inderogabilmente l'erezione di un’organizzazione comune e che possono utilizzarsi anche per il perseguimento di obiettivi contingenti o per una collaborazione temporanea. Queste forme di cooperazione, previste e disciplinate da leggi speciali, sono: a) il contratto di rete; b) le associazioni temporanee di impresa. 1. Il contratto di rete Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e competitiva sul mercato e “a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa”. Si basa su un programma condiviso tra le imprese aderenti. La necessaria flessibilità della rete è funzionale all’eterogeneità dell’oggetto della cooperazione tra le imprese. Basti pensare che la rete può avere il mero scopo di consentire lo scambio di informazioni commerciali tra le aderenti: ad esempio più imprese che producono beni complementari si scambiano i nominativi dei propri clienti nei singoli mercati esteri in cui smerciano i propri prodotti. In particolare, il contratto deve recare una serie di indicazioni, tra cui: gli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti; un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune. Il patrimonio della rete può consistere in un fondo comune alimentato dai contributi delle imprese partecipanti. Per le obbligazioni contratte dall'organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune. La previsione nel contratto di rete di un organo comune e di un fondo patrimoniale comune non necessariamente implica che la rete acquisti soggettività giuridica. È tuttavia possibile costituire anche una “rete soggettivata”: in tal caso è però necessario che il contratto sia stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per atto munito di firma digitale, ma che siano anche osservate le formalità pubblicitarie, ossia l'iscrizione nella 90 a) la circolazione della posizione giuridica documentata alla circolazione della chartula; l'acquirente acquista la prima in quanto acquista questa seconda: per tal via, l'acquirente del titolo di credito acquista a non domino anche il diritto documentato; b) il contenuto della pretesa azionabile dall'acquirente è quello risultante dal titolo; c) il possessore che esibisce la chartula non deve fornire altra prova della titolarità della sua pretesa e, il debitore che paga il suo favore è sempre liberato. Chi acquista una cambiale non ha da temere che il proprio dante causa non ne sia titolare, poiché il conseguimento del possesso in buona fede gliene assicura comunque la proprietà; né ha da temere che il rapporto documentato sia stato modificato o addirittura estinto. L'incorporazione del diritto nel titolo rappresenta una soluzione tecnica che apre la strada all'operatività di principi altrimenti non applicabili. La più importante forma alternativa è oggi quella dei titoli scritturali (titoli dematerializzati), la cui disciplina è contenuta nel Testo Unico della Finanza (d.lgs. 58/1998, artt. 79-decies ss.). Qui il rapporto giuridico è documentato in forma telematica in un conto acceso presso un intermediario abilitato (banche, imprese di investimento) e intestato al “possessore” del titolo. La circolazione dei titoli dematerializzati avviene attraverso movimentazioni contabili telematiche (operazioni di giro). La disciplina ricalca, nei principi, quella dei titoli cartacei. Infatti: a) l'acquirente che ha ottenuto l’accredito a proprio favore in buona fede non è soggetto alla “rivendicazione” di precedenti titolari; b) all'intestatario del conto in cui il titolo è registrato sono opponibili solo le eccezioni a lui personali e quelle comuni a tutti gli altri titolari di titoli della stessa serie; c) il titolare del conto ha la legittimazione piena ed esclusiva all'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto documentato. II. La fattispecie titoli di credito La figura in esame abbraccia un'ampia varietà di specie. A seconda della natura della posizione giuridica documentata possono distinguere: a) titoli di finanziamento, che incorporano un diritto di credito avente ad oggetto una prestazione pecuniaria: cambiali, titoli di Stato; b) titoli partecipativi, che incorporano una posizione giuridica complessa: azioni di società, strumenti finanziari partecipativi; qui il rapporto documentato comprende diritti patrimoniali e amministrativi (di voto); c) altri valori finanziari, che documentano posizioni giuridiche di vario tipo, come diritti di opzione, quote di fondi comuni di investimento; d) titoli rappresentativi di merci, che incorporano il diritto alla consegna di merci depositate presso un terzo o trasportate da un vettore, il possesso delle stesse e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo. 91 È tuttavia opinione comune, che il sistema sia retto dal principio di atipicità, che, cioè, sia possibile la creazione di titoli diversi da quelli normativamente tipizzati. Tutto questo comporta la necessità di individuare gli elementi costitutivi della fattispecie cartolare, i requisiti e le condizioni in presenza dei quali, cioè, un documento menzionante una posizione giuridica è qualificabile come titolo di credito. Non lo è ad es. l'atto notarile di compravendita di un immobile, nonostante vi sia indicato il credito del venditore al prezzo. La questione dell'individuazione della fattispecie calcolare è uno dei nodi irrisolti di questa materia. La nozione esposta in apertura non ha rilievo alcuno, poiché enuncia la disciplina, non la fattispecie. Per quel che riguarda il titolo di credito, la più moderna dottrina ne ha messo in luce la funzione di promozione del mercato e di mediazione nella raccolta e nella circolazione dei finanziamenti. Può definirsi titolo di credito quel documento formato ed emesso per realizzare un'operazione di finanziamento tra colui che è interessato a conseguire l'investimento e colui che è interessato a concederlo assicurandosene però una facile liquidabilità mediante la negoziazione del rapporto. Essa va interpretata, ex art. 1366, secondo il significato che l'indeterminato, potenziale destinatario di media diligenza potrebbe attribuirle; perché il documento sia effettivamente qualificabile come titolo di credito, occorre che esso venga percepito come tale dalla comunità dei consociati. In particolare, consente di cogliere la distinzione fra i titoli di credito e i c.d. documenti di legittimazione, che hanno la sola funzione di permettere una pronta identificazione del destinatario di una prestazione: così è per i biglietti della lotteria, per i contrassegni rilasciati al deposito bagagli, che non presentano alcuna destinazione alla circolazione e la cui unica funzione è quella di facilitare l'esecuzione della prestazione conferendo al loro possessore una prova immediata del suo diritto e giovando altresì al debitore, che si libera se paga in buona fede a chi gli esibisce il documento, secondo il principio del pagamento al creditore apparente. III. I principi cartolari I relativi principi vengono riassunti nelle formule dell'autonomia (reale ed obbligatoria), della letteralità e dell’astrattezza, che traducono e spiegano la tutela degli acquisti, e della legittimazione attiva e passiva, che attengono alla fase esecutiva del rapporto documentato. 1. Le leggi di circolazione dei titoli A)Per i titoli cartacei, centrale nel sistema è il possesso della chartula: l'autonomia dell'acquisto (artt. 1993 e 1994) giova chi consegue il possesso del documento, la legittimazione all'esercizio del diritto spetta al possessore, il debitore è liberato se adempie la prestazione a favore del possessore. 92 Tuttavia non è sempre sufficiente il semplice possesso. Esistono infatti tre distinte categorie di titoli di credito, ciascuna caratterizzata da una propria legge di circolazione: 1) titoli al portatore, circolano mediante semplice consegna materiale; 2) titoli all'ordine (ad es. assegni, cambiali), contengono l'impegno ad eseguire la prestazione “all'ordine di” un soggetto menzionato nel documento e dunque circolano mediante consegna materiale accompagnata dalla girata, cioè dalla sottoscrizione apposta dall’alienante (girante) sul documento stesso, con l'indicazione del nuovo creditore (giratario); 3) titoli nominativi (ad es. azioni), il nome del creditore è menzionato nel documento, ma, in più, esso è riprodotto anche in un registro tenuto dall'emittente; la circolazione avviene mediante consegna della chartula e indicazione del nome dell'acquirente sul titolo e nel registro, a cura dell'emittente, oppure mediante girata autenticata e successivo aggiornamento nel registro dell’emittente. Si parla, per i titoli all'ordine e nominativi, di possesso qualificato. Il trasferimento di un titolo di credito richiede sempre l'esistenza di un valido ed efficace negozio traslativo; la consegna attiene alla fase esecutiva del negozio. B) Per i titoli scritturali la disciplina poggia sulla menzione del diritto del conto e della movimentazione virtuale tra conti; non è configurabile una situazione di possesso in senso tecnico del documento, cioè del supporto materiale, né una sua movimentazione fisica; ad essi equivale però la titolarità del conto in cui questo è registrato al possessore del titolo cartaceo corrisponde qui il titolare del conto e alla consegna del titolo corrisponde l'operazione di giro (addebito/accredito) tra conti. 2. L’autonomia reale L’art. 1994 dispone, per i titoli cartacei, che “chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito non è soggetto a rivendicazione”; in altre parole, ne acquista la titolarità anche a non domino e il terzo proprietario non può rivendicare il titolo nei suoi confronti. Si parla perciò di autonomia reale nella circolazione. L'operatività di questo principio è resa possibile dall’incorporazione del primo nel secondo: il rapporto obbligatorio, per sua natura immateriale, viene materializzato, aggregato alla chartula, cosa mobile materiale a tutti gli effetti; e a questo vincolo giuridico fa sì che, acquistando la proprietà della cosa, l'acquirente divenga altresì titolare del rapporto obbligatorio. L'acquisto della proprietà del documento e della titolarità del rapporto incorporato presuppone perciò l'esistenza di un negozio traslativo pienamente valido ed efficace: il possesso sana esclusivamente il difetto di proprietà dell’alienante, non altri vizi che inficiano l'atto. L'acquirente acquista il titolo libero da vincoli che non risultino da questo. 95 agli strumenti finanziari in esso registrati. L'intestazione del conto sostituisce dunque il possesso della chartula. I diritti patrimoniali sono esercitati, in forma mediata, collettiva e anonima; solo i diritti amministrativi sono esercitati direttamente dall'intestatario del conto, dietro presentazione di una “certificazione”, cioè di un documento rilasciato su richiesta dall'intermediario e attestante la registrazione dei titoli nel conto intestato al richiedente. Anche nel sistema scritturale, la legittimazione non coincide con la titolarità del rapporto giuridico registrato e può accadere che legittimato sia soggetto diverso dal titolare (ad es. colui che ha acquistato in base ad un atto nullo). Perciò l'emittente può eccepire all'intestatario del conto il difetto di titolarità, se riesce a provarlo. E corollario di ciò, anche qui, è la legittimazione passiva: il principio dell’art. 1992, co. 2, cosicché il debitore che senza dolo o colpa grave adempie nei confronti dell'intestatario del conto è liberato anche se questi non è il titolare del diritto. 21. LA CIRCOLAZIONE DEL DENARO: GLI STRUMENTI DI PAGAMENTO I. Dalla circolazione di denaro contante all'utilizzo di strumenti di pagamento “sostitutivi” e “alternativi” Nella società contemporanea può dirsi ormai acquisito che ogni trasferimento di denaro tra un soggetto ed un altro possa essere eseguito oltre che con la materiale consegna di pezzi monetari anche con modalità differenti. Gli strumenti di pagamento più tradizionali, fra quelli più utilizzati nella prassi, fra mezzi di pagamento c.d. sostitutivi e mezzi di pagamento c.d. alternativi del denaro contante. Ai mezzi di pagamento c.d. sostitutivi venivano e sono ancora ricondotti tutti quegli strumenti che consentono di evitare un trasferimento diretto di denaro contante fra debitore e creditore sostituendolo con la consegna di documenti rappresentativi di esso, comunemente accettati come corrispettivo lo scambio in sostituzione temporanea della moneta medesima. I c.d. mezzi di pagamento “alternativi” sono invece strumenti attraverso i quali viene totalmente evitato il trasferimento materiale di denaro o documenti rappresentativi, in luogo del quale vengono eseguite da banche o istituti di pagamento scritturazioni a debito e a credito su conti di titolarità dei soggetti coinvolti nell'operazione. II. Gli strumenti di pagamento sostitutivi: l'assegno bancario e circolare 1. I titoli bancari: profili generali I titoli cambiari sono stati, specie in passato, spesso impiegati nel pagamento di debiti pecuniari consentendo al debitore di evitare un trasferimento materiale di pezzi monetari. Sotto l’aspetto strutturale, cambiale e assegno mostrano caratteri di forte similitudine presentandosi come una promessa di pagamento del sottoscrittore 96 a favore della persona indicata nel titolo (prenditore); ovvero come un ordine di pagamento impartito da un soggetto (traente) ad un altro soggetto (trattario) sempre a favore del portatore del titolo. Sotto l'aspetto funzionale, invece, i titoli bancari vengono bipartiti in maniera differente: la cambiale tratta e il pagherò cambiario rispondono ad una funzione creditizia, ossia di differimento nel pagamento di una certa somma; l'assegno bancario e l'assegno circolare rispondono ad una funzione di pagamento, consentendo a chi abbia somme disponibili presso una banca di utilizzarle per effettuare, suo tramite, pagamenti a terzi. “Cambiale” è un titolo normalmente all'ordine contenente l'obbligazione incondizionata di pagare o di far pagare una somma di denaro alla scadenza e nel luogo indicati nel titolo stesso. “Assegno” si connota essenzialmente come strumento di pagamento. E ciò in quanto è caratterizzato dall’esigibilità a vista. Solo l'assegno, poi, si presenta come inscindibilmente connesso con l'attività di intermediazione bancaria, dovendo di necessità sia il trattario di un assegno bancario che l'emittente di un assegno circolare essere banche. 2. La cambiale: cenni La cambiale è un documento, che viene detto completo, nel senso che tutte le clausole che individuano e regolano il diritto cartolare di credito devono essere contenute nello stesso documento cambiario. Solo ai fini fiscali e non per la validità della cambiale è obbligatorio l'uso dell’apposita carta bollata: se però, sin dall'inizio, il documento non è stato bollato, la cambiale non ha qualità di titolo esecutivo. Essendo un titolo normalmente all'ordine, essa circola per mezzo della girata, che produce l'effetto di fare diventare il giratario portatore legittimo della cambiale (funzione di trasferimento). È un titolo astratto, perché il rapporto sottostante tra traente (o emittente) della cambiale e primo prenditore (detto rapporto di valuta) non risulta dal titolo e può essere il più vario (ad es. l'obbligo di pagare il corrispettivo di una compravendita oppure l'obbligo di restituzione che deriva da un contratto di finanziamento). Nella cambiale tratta, oltre al rapporto di valuta intercorrente tra traente e primo prenditore, vi è il rapporto di provvista, intercorrente tra traente e trattario, che vede di solito quest'ultimo debitore della somma verso il primo per un debito non cambiario. In questa ipotesi, il trattario, pagando la cambiale, estingue contemporaneamente il rapporto di valuta del traente verso il prenditore e il rapporto di provvista di sé stesso verso il traente. La cambiale nasce con la dichiarazione cambiaria del traente (o dell'emittente). Nella cambiale tratta può accadere che il trattario accetti (scrivendo e sottoscrivendo sul documento una dichiarazione di accettazione), diventando obbligato cambiario. Oppure, nell'ipotesi di circolazione per mezzo della girata, è il girante a divenire obbligato cambiario nei confronti del primo giratario e dei giratari successivi (funzione di garanzia). Vi possono essere poi 97 le dichiarazioni di avallo, con cui si garantisce il pagamento del debito cambiario assunto da un altro soggetto. Le varie obbligazioni godono del principio di indipendenza, nel senso che l'invalidità di una delle obbligazioni non influisce sulla validità delle altre. Alla scadenza, il pagamento della somma cambiaria deve essere chiesto al trattario nella cambiale tratta, all'emittente nella cambiale propria. Legittimato a chiedere il pagamento è il portatore legittimo della cambiale, cioè, trattandosi di un titolo all'ordine, chi risulta ultimo giratario in base ad una serie continua di girate. Se l’obbligato principale rifiuta il pagamento della somma indicata, l'ultimo giratario può rivolgersi per il pagamento ad uno qualunque, a sua scelta, tra gli altri obbligati cambiari. Se il pagamento viene eseguito da un altro obbligato cambiario, questi può pretendere a sua volta il rimborso di quanto ha pagato dai giranti che lo precedono, dal traente e dai loro avallanti. In questo consiste il c.d. ordine (o nesso) cambiario. La cambiale è un titolo esecutivo, in quanto il creditore cambiario ha il potere di dare avvio subito alla procedura esecutiva sui beni del debitore cambiare inadempienti. Va segnalato che sulla falsariga di tale titolo di credito è stata introdotta nel nostro ordinamento, con l. 43/1994, la figura della cambiale finanziaria, al preciso scopo di fornire alle imprese uno strumento di raccolta diverso dalle normali obbligazioni. 3. L'assegno bancario Uno dei più comuni metodi di pagamento è l'assegno bancario. Con l'assegno bancario, il cliente (traente) ordina alla banca (trattaria) di pagare una determinata somma di denaro a favore del legittimo portatore del titolo (prenditore o beneficiario). L'assegno bancario è soggetto ad alcuni requisiti formali: i) la denominazione di assegno bancario; ii) l'ordine incondizionato di pagare una somma determinata; iii) il nome del trattario; iv) il luogo di pagamento; v) l'indicazione della data e del luogo di emissione dell'assegno; vi) la sottoscrizione del traente. Sempre nel rispetto dei limiti, l'assegno pagabile ad una persona determinata si trasferisce per mezzo della girata. L'emissione dell'assegno bancario presuppone: i) l'esistenza della c.d. convenzione di assegno, ovvero dell’accordo in forza del quale la banca consegna al proprio cliente il libretto degli assegni, lo autorizza ad emetterli e, in presenza di fondi disponibili, si obbliga ad onorarli; ii) l'esistenza di fondi disponibili, ove per fondi disponibili non si intendono solo quelli risultanti da rapporti attivi (ad es. depositi in conto), ma
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