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Misure rieducative nei Processi Penali Minorili: Obiettivi Educativi e Ruoli Sociali, Prove d'esame di Diritto Di Famiglia

Diritto processuale penaleDiritto dei MinoriDiritto amministrativo penaleDiritto Penale

Sulla qualificazione delle misure rieducative come misure di prevenzione sociale e sostitutive della carente educazione genitoriale. Esamina l'articolo 25 della legge minorile e le nuove forme di devianza. Illustra come il processo penale deve avere obiettivi educativi e come i servizi sociali svolgono un ruolo centrale nel processo. Menciona la scelta del difensore di fiducia e l'importanza dell'affidamento agli servizi minorili.

Cosa imparerai

  • Quali sono le finalità educative delle misure rieducative nei confronti dei minori?
  • Quali sono le condizioni di applicabilità delle misure rieducative nei confronti dei minori?
  • Quali tipi di misure rieducative possono essere applicate ai minori?
  • Quali sono le disposizioni legali che regolano l'applicazione delle misure di sicurezza nel corso del processo minorile?

Tipologia: Prove d'esame

2016/2017

Caricato il 20/10/2017

sissi-tagliamonte
sissi-tagliamonte 🇮🇹

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Scarica Misure rieducative nei Processi Penali Minorili: Obiettivi Educativi e Ruoli Sociali e più Prove d'esame in PDF di Diritto Di Famiglia solo su Docsity! PARTE IV: MINORE E RECUPERO SOCIALE Cap.17: LA DEVIANZA MINORILE La nozione di devianza, utilizzata per la prima volta negli Stati Uniti, attorno agli Anni ’30, al fine di ricomprendere in un unico concetto una serie di problemi sociali, è stata introdotta in Italia negli Anni ’60 e utilizzata per superare classificazioni troppo rigide e troppo cariche di valenze fortemente negative, come quella di pazzia o di criminalità. Se la devianza è non solo il radicato rifiuto dei valori, mete, procedure socialmente prescritte, ma anche violazione di norme fondamentali che consentono lo sviluppo della persona e la convivenza sociale, devianza non può essere sinonimo di disadattamento o di disagio, che sono cose molto diverse. Il disadattamento è solo l’espressione di una difficoltà del soggetto di comunicare con se stesso, con il mondo delle cose, delle persone e dei valori in maniera adeguata. Il disagio è, invece, una situazione di difficoltà, ambientale o razionale, che rende meno sereno e lineare il difficile percorso di sviluppo. Si deve perciò riconoscere che disagio, disadattamento, devianza, possono costituire fasi diverse di un unico percorso involutivo: perciò è necessario intervenire tempestivamente sin dal momento in cui emerge la situazione di disagio per risolve i problemi che, se non affrontati, possono portare a forme sempre più gravi di disadattamento prima, e devianza poi. La devianza minorile non sembra così preoccupante come viene spesso rappresentata nel nostro paese dai mezzi di comunicazione di massa e da qualche iniziativa parlamentare. Ciò ovviamente non significa che il fenomeno della devianza minorile non debba inquietare e portare il mondo degli adulti ad un salutare esame di coscienza. Ma una cosa è un’attenta riflessione e cosa assai diversa è la facile criminalizzazione di un’intera generazione. Il mondo degli adulti, dovrebbe interrogarsi se le devianze che oggi il mondo adolescenziale evidenzia siano conseguenza di un disadattamento delle nuove generazioni nei confronti di valori ampiamente condivisi, ovvero se esse non evidenzino, invece, un conformistico adattamento dei giovani a quelli che sono i valori realmente vissuti e seguiti, che circolano nella nostra società. (Per esempio: la grave crisi economica è sicuramente il prodotto delle scelte effettuate dalle precedenti generazioni). La condizione giovanile d’oggi non è il buco nero della nostra società, ma piuttosto la finestra spalancata su una realtà sociale, celata spesso, ma drammaticamente pervasiva di tutte le fasce sociali e d’età. La devianza che s’esprime in comportamenti delittuosi. I dati statistici sulla criminalità minorile non sembrano autorizzare una lettura particolarmente inquietante del fenomeno: essa è stabile, ma in realtà in forte decremento per quel che riguarda la componente italiana, l’unica per cui può parlarsi d’autentica devianza. Se i dati quantitativi non appaiono particolarmente allarmanti, più inquietanti sono, invece, altri elementi che caratterizzano la devianza penalmente rilevante. A) La devianza di coloro che, non avendo raggiunto i 14 anni, non sono punibili, presenta alcuni elementi di preoccupazione. Innanzitutto perché, se nella maggioranza dei casi riguarda comportamenti di scarsa rilevanza criminologica, non mancano casi in cui i fatti addebitati presentano una certa rilevanza e poi perché fortemente presente in questa fascia d’età una ripetitività di comportamenti delittuosi in uno stretto periodo di tempo. Quel che preoccupa è che di fronte a comportamenti sintomatici la risposta delle istituzioni sia sostanzialmente quasi nulla. B) Come s’è già visto, una gran parte della criminalità minorile è una criminalità straniera. C) Si va sviluppando un uso dei minori da parte della criminalità organizzata adulta: i minori vengono usati come sicari o per i reati “di strada”; i modelli mafiosi possono essere fortemente attraenti per i ragazzi che vivono esperienze di emarginazione e che trovano nell’ambiente della criminalità adulta una valorizzazione delle proprie capacità sia pure delinquenziali, uno status coronato da rispetto, possibilità di far carriera e assumere posizioni elevate sia pure in contesti illegali. D) La devianza minorile non è omogeneamente distribuita sul territorio nazionale. La devianza non penalmente rilevante. Sono in aumento forme di devianze che, se non s’esprimono sempre in comportamenti penalmente sanzionati, sono egualmente distruttivi della personalità individuale e della convivenza sociale. A) Va aumentando nel nostro paese la prostituzione maschile e femminile, anche nella fascia d’età preadolescenziale. Spesso al fondo vi è il desiderio di annientarsi, di punirsi, di degradare se e l’altro e con lui il mondo adulto cattivo e sfuggente. B) Vanno aumentando i casi di ripetute fughe da casa. C) È in forte incremento la violenza nelle scuole e negli stadi. D) È assai preoccupante anche il fenomeno dei comportamenti autodistruttivi dei giovani. (Suicidi, stupefacenti, giochi di morte). Nella fascia della devianza minorile non penalmente rilevante devono essere compresi i comportamenti irregolari e le condotte illecite posti in essere da minori infraquattordicenni e pertanto non imputabili. In proposito la legge istitutiva del tribunale per i minorenni ha previsto un’apposita competenza, detta competenza amministrativa o rieducativa, disciplinata dagli art.25 e seguenti del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, che prevede l’applicazione di apposite misure non penali di controllo e sostegno. La devianza minorile esplicita il malessere di un mondo giovanile incompreso nei suoi bisogni fondamentali e spesso emarginato. È necessario che si prenda coscienza che la società di oggi è di rischio per il preadolescente e l’adolescente, perché ha di fatto soppresso questo momento particolarmente significativo del ciclo maturativo. Il preadolescente e l’adolescente hanno innanzitutto bisogno, lungo l’itinerario per la conquista dell’autonomia e per abbandonare le sicurezze dell’identità infantile, di trovare un punto di riferimento in adulti responsabili, capaci di dare al ragazzo segnali precisi e facilmente decodificabili, ai quali può adattarsi od opporsi, ma che non può ignorare e di cui non può fare a meno. Ha bisogno l’adolescente di elaborare il lutto dell’abbandono forzato del corpo e delle sicurezze infantili e del trauma delle molte trasformazioni che caratterizzano la fase preadolescenziale prima, e quella adolescenziale dopo. Ha bisogno l’adolescente di “iniziazione”, ossia di predisposizione di spazi e tempi perché si realizzi un passaggio di consegne tra le generazioni e si effettui la presa in carico del soggetto da parte della collettività. Nella società che ha preceduto l’attuale, l’adolescenza era ben presente come momento su cui investire. Ha bisogno l’adolescente d’adeguarsi ad alcuni codici normativi esistenti nella società perché ha bisogno d’adeguarsi per non sentirsi “fuori”, “diverso”. Se il fenomeno della devianza giovanile deve considerarsi preoccupante, non appare giustificata né una lettura del fenomeno in termini di gravissimo allarme sociale, né una criminalizzazione di tutta la generazione che s’affaccia alla vita sociale. Inoltre, la devianza giovanile può essere in gran parte recuperata ove si riesca a riattivare percorsi formativi interrotti o deviati e ove la risposta della società non sia una risposta meramente etichettante e sanzionante, ma sappia appagare quel bisogno di sostegno che il ragazzo in formazione esprime anche attraverso il suo comportamento deviante. S’è cercato di spiegare il fenomeno della devianza minorile indagando sulle cause generatrici di comportamenti asociali o antisociali. Nessuno può seriamente negare che la devianza è strettamente collegata a fattori deficitari, che s’intersecano profondamente tra loro e che operano come concause anche rilevanti del disadattamento che sfocia in devianza. Le condizioni sociali, familiari, economiche, culturali… vanno valutate per come sono vissute dal ragazzo, per la visione del mondo che il ragazzo si costruisce interagendo con esse, per la capacità o l’incapacità che esse provocano nel ragazzo di costruirsi o non, una propria visione del mondo. Il problema del ragazzo deviante è un problema psicologico e sociale, ma è principalmente un problema pedagogico. Bisogna riconoscere che il punto terminale d’arrivo della riflessione sulla devianza e sugli interventi recuperativi a cui s’è approdati negli Anni ’70, ha finito con il rendere assai ambigua una seria attività di sostegno e di sviluppo personale del minore deviante. Si tende a pensare di operare solo nella società causatrice di devianza, lasciando spesso il minore in difficoltà abbandonato. Inoltre non vi è solo un problema di carente formazione sulle problematiche adolescenziali; vi è anche il problema che non sussiste una metodologia d’intervento di fronte a queste situazioni, ma solo improvvisazioni e una gestione singola e occasionale degli specifici casi. I servizi mancano di un progetto generale e unitario. Nel caso in cui la devianza giovanile s’esprima in comportamenti distruttivi del sé e della collettività non penalmente sanzionati, possono essere assunte dal magistrato minorile misure di recupero che l’ordinamento giuridico definisce rieducative. La competenza rieducativa deve essere soppressa? L’ancora vigente competenza rieducativa del T.M. è stata molto contestata sia dalla dottrina sia in alcune iniziative legislative sia dagli stessi giudici minorili che progressivamente, hanno in gran parte rinunciato ad avvalersi di queste competenze. La rinuncia ad utilizzare questo tipo di intervento ha finito con il risolversi in una sostanziale abdicazione della funzione rieducativa. In particolar modo: 1. Non sembra giustificata la critica relativa all’attribuzione di quest’intervento al giudice, potendo essere all’accusa l‘onere della prova della capacità, sia cognitiva che volitiva. L’ incapacità hai sensi dell’art.98 c.p. è sinteticamente definita “immaturità”, nozione non ricollegabile ad alcuna norma giuridica ma frutto di elaborazione giurisprudenziale. Deve ritenersi che la capacità su cui si radica l’imputabilità esige non solo un accertamento della capacità del minore di rendersi conto della significanza antisociale dell’atto che pone in essere ma anche la capacità di valutarne le conseguenze. È ancora da sottolineare che in caso di dubbio sulla sussistenza della capacità del minore, egli deve essere dichiarato non imputabile. Inoltre la seminfermità mentale (non la totale infermità) non comporta automaticamente il riconoscimento dell’insussistenza della capacità. Occorre distinguere il caso in cui la malattia abbia inciso sul normale sviluppo del minore dal caso in cui l’infermità di mente abbia diminuito ma non escluso quel minimo di maturità sufficiente per l’imputabilità. In questo secondo caso dovrà essere riconosciuto al minore, ritenuto capace, la diminuente del vizio parziale di mente che concorre con la diminuzione della minore età. L’accertamento della capacità del minore. La giurisprudenza ha unanimemente riconosciuto che la capacità del minore non può essere presunta, ma deve essere dimostrata e che pertanto deve ritenersi affetta da nullità la sentenza che senza motivazione abbia ritenuto la capacità del minore. Sarà compito del giudice dei minorenni far sì che si svolgano “speciali ricerche” per accertare i precedenti personali e familiari dell’imputato sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e ambientale. E cioè lo sviluppo nella sua globalità della personalità in formazione. Tali ricerche non possono essere legate al rigore di forme e schemi prestabiliti ma devono essere lasciate al libero apprezzamento del magistrato. Ovviamente una cosa è non esigere steriotipi di indagine, cosa assai diversa è eludere ogni serio accertamento sulla personalità del minore, basandosi su mere informazioni di soggetti. La lettura delle recenti massime della Corte di Cassazione riafferma il principio che consente al giudice di valutare la capacità in base a tutti gli elementi desumibili dagli atti. L’ordinamento prevede la possibilità che si rinunci all’irrogazione della conseguente sanzione, se ciò possa essere utile a realizzare più compiutamente un recupero del minore. Ciò perché non sempre i fatti posti in essere dal minore sono sintomo di una reale distorsione del processo di socializzazione, in quanto possono anche essere mera conseguenza di un momento di sbandamento. La risposta penale non appare sempre necessaria. Il ventaglio di formule che oggi l’ordinamento giuridico pone a disposizione dell’operatore minorile impegnato nel recupero del ragazzo deviante costituiscono strumenti che debbono essere calibrati sulle necessità e potenzialità di recupero del ragazzo. Non vi è perciò una gerarchia delle formule di proscioglimento. Il giudice dovrà perciò individuare quella più adeguata al ragazzo. L’irrilevanza del fatto. Il D.P.R., che ha riformato il processo penale minorile, ha anche introdotto nell’ordinamento una nuova formula di proscioglimento, che costituisce più una modifica di diritto sostanziale che processuale. Attraverso questa formula di rinuncia all’irrogazione di una sanzione penale, si tende ad estrometter, il più rapidamente possibile, dal circuito penale, quei minori che hanno commesso reati che, non sono sinonimo di un’antisocialità del suo autore. L’ordinamento non limita l’adozione dell’istituto a una particolare tipologia di reato. L’ordinamento richiede tre requisiti per poter pervenire a questa formula di proscioglimento: Che il fatto sia tenue, ossia di scarsa consistenza e gravità; Che il fatto sia occasionale, ossia non rientri in una reiterazione abituale e sistematica; Che l’ulteriore corso del procedimento potrebbe pregiudicare le esigenze educative del minore. Il giudice, rilevato che il fatto è tenue ed occasionale, deve valutare se il processo possa avere egualmente valenza educativa o possa invece compromettere lo sviluppo educativo del minore. Il perdono giudiziale. Il C.P. (art.169) prevede una rinuncia da parte dello Stato alla potestà punitiva nei confronti del minore, quando l’astensione dall’irrogazione di una sanzione penale possa costituire un’agevolazione per il superamento della difficoltà del soggetto. La rinuncia attraverso il perdono, all’irrogazione di una pena è lasciata alla valutazione discrezionale del giudice che, sulla base di un’approfondita valutazione della personalità del minore, presume che il minore si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati. Il perdono può essere concesso in relazione non al reato commesso ma alla quantità della pena che deve essere inferiore a due anni di reclusione. La concessione del perdono presuppone un riconoscimento pieno di colpevolezza, anche se comporta un’estinzione del reato, per cui la concessione del perdono può essere valutata quale precedente penale e giudiziario, ai fini di un successivo diniego delle attenuanti generiche. Una simile formula di proscioglimento prevede che il minore si renda pienamente conto della significanza antisociale del suo comportamento e sappia che se l’ordinamento può tollerare una sua sbandata non è disposto ad accettare successive violazioni significative della legge. L’estinzione del reato per esito positivo della prova. L’ordinamento prevede una terza ipotesi in cui è possibile, nei confronti del minorenne, rinunciare ad ogni pretesa punitiva e quindi omettere una condanna pur in presenza di un reato di cui s’è individuato l’autore: quando, a seguito della sospensione del procedimento con messa alla prova, si verifichi un’evoluzione positiva della personalità del minorenne ed un suo recupero sociale. La sanzione penale. Se il minore risulta capace d’intendere e di volere e quindi imputabile, se è stato accertato che ha commesso il reato che gli è stato contestato, se non sussistono quelle situazioni che legittimano una rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva, il giudice deve pervenire ad un’affermazione di responsabilità penale ed all’irrogazione di una sanzione. Al minore sono applicabili tutte le penne previste dal codice, detentive e pecuniarie, ma non la pena dell’ergastolo. L’inapplicabilità al minore della pena dell’ergastolo. La Corte costituzionale ha riconosciuto che nei confronti del minore non poteva essere adottata la pena dell’ergastolo. Ciò perché l’art.31 della Costituzione, che prevede una speciale protezione per l’infanzia e la gioventù, appare incompatibile con la previsione dell’ergastolo anche per gli infradiciottenni, in quanto non è possibile accomunare, per tale istituto d’indubbia gravità, nel medesimo contesto punitivo, tutti i soggetti senza tener conto della particolare condizione minorile. Una condizione che esige di diversificare accentuando l’spetto educativo più che rieducativo della pena nei riguardi di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria identità. La diminuente della minore età. Nel determinare la sanzione da irrogare, il giudice è tenuto (art.98 c.p.) a diminuire la pena. La diminuente della minore età tuttavia, deve essere valutata insieme alle altre attenuanti nel globale giudizio di comparazione tra attenuanti e aggravanti. Le pene pecuniarie. Nel caso d’irrogazione di sole pene pecuniarie, avviene spesso che il minore, che non ha un proprio patrimonio e spesso una fonte di reddito, non sia in grado di pagare la somma irrogata come multa o ammenda. In questi casi opera la conversione delle pene pecuniarie, prevista dall’art.136 del C.P. La pena pecuniaria non si converte in pena detentiva ma nella sanzione della libertà controllata o, su richiesta del condannato in lavoro sostitutivo. Alla conversione provvede il giudice di sorveglianza (art.678 C.P.). Le pene sostitutive. L’ordinamento ha introdotto nel C.P., misure sostitutive che consentono d’uscire dal tradizionale binomio pene detentive-pene pecuniarie. Per l’art. 30 delle disposizioni sul processo minorile il limite per l’applicazione di queste misure sostitutive è solo quello che la pena irrogabile in concreto sia non superiore a quella detentiva di due anni. Le misure sostitutive, che vanno applicate tenendo conto della personalità del minore e delle sue esigenze di lavoro o studio nonché delle sue condizioni familiari, sociali, ambientali, sono due. La libertà controllata: essa consente al minore di permanere nel suo ordinario ambiente di vita, ma, nello stesso tempo, d’essere sottoposto ad un programma educativo che è costituito da prescrizioni negative (ma anche positive e di essere controllato e sostenuto dal servizio sociale minorile). La semidetenzione. Essa implica l’obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno in un apposito istituto minorile, destinato ai semiliberi e di seguire, nel resto della giornata, il programma predisposto per la risocializzazione del minore. Le pene accessorie. L’ordinamento prevede che, in caso d’irrogazione della sanzione penale, debbano anche essere applicate altre sanzioni, che sono complementari, accessorie e conseguenziali alle pene principali. Al minore, possono essere applicate solo le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore ai 5 anni e la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale: presupposto per l’applicazione di dette pene accessorie è la condanna ad una pena detentiva superiore ai 5 anni e deve trattarsi di pena inflitta per un singolo reato e senza tener conto della continuazione. La sospensione condizionale della pena. L’ordinamento prevede la possibilità, per il giudice che emette condanna, di sospendere condizionalmente la pena per la durata di un quinquennio (art.163 C.P.). il beneficio può essere concesso quando il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. Non può essere concessa più di una volta. Se nel quinquennio il condannato non commette un altro delitto, ossia una contravvenzione della stessa indole, e adempie agli obblighi impostigli, il reato viene estinto e non si dà più luogo all’esecuzione della pena (art.167 C.P.). Le misure di sicurezza. Il nostro ordinamento penale ha voluto attuare un sistema di “doppio binario”, consentendo una possibilità di risposta sociale al reato, sia attraverso la pena, sia attraverso l’irrogazione di una misura di sicurezza, sia attraverso l’applicazione prima di una pena e poi di una misura di sicurezza. Il codice penale disciplina le ipotesi in cui possono essere applicate ai minori le misure di sicurezza e le tipologie di tali misure: - per il minore degli anni 14,o maggiore degli anni 14 ma minore di 18 anni, che sia stato prosciolto per ragione di età e che sia affetto da infermità psichica o da intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti. È previsto il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. – al minore di anni 14 che abbia commesso un fatto preveduto dalla legge come reato e che sia pericoloso si applica la misura di sicurezza del ricovero in riformatorio se il minore è ultraquattordicenne ma riconosciuto non imputabile. – al minore imputabile può essere applicata, dopo l’esecuzione della pena la misura del ricovero in riformatorio o la libertà vigilata quando sia pericoloso. - al minore che sia delinquente abituale deve sempre essere applicato il ricovero in riformatorio giudiziario - al minore che durante il ricovero in riformatorio ordinario, si sia rivelato particolarmente pericoloso, deve essere applicato il ricovero in un riformatorio speciale. Sulla base dell’art.36 del D.P.R. n. 448/1988, le misure di sicurezza che sembrano attualmente possibili sono solo due. 1. La libertà vigilata è applicabile facoltativamente nei casi previsti dall’art.229 del C.P. (casi in cui è prescritta da speciali disposizioni di legge, reclusione superiore ad un anno, misura di sicurezza prevista per un fatto non preveduto dalla legge come reato) o obbligatoriamente nei casi previsti dall’art.230 (se è inflitta pena per non meno di 10 anni, se il condannato è ammesso alla liberazione condizionale, se il contravventore abituale o professionale commette nuovo reato, negli altri casi determinati dalla legge) nonché, per il minore non imputabile quando sia pericoloso e la legge stabilisce una pena inferiore nel minimo a tre anni per delitto non colposo (art.224). 2. Ιl riformatorio giudiziario è la misura applicabile ai minori non imputabili quando la legge stabilisce la reclusione non inferiore a tre anni (art.224) ed ai minori imputabili delinquenti abituali, professionali o per tendenza (art.226) ( collocamento in comunità pubblica) in caso di violazione degli obblighi il giudice dispone il trasferimento in carcere per un tempo non superiore ad un mese. colpevolezza, che il minore sia imputabile, che non sia prevedibile che si pervenga ad una pronuncia per irrilevanza del fatto o ad un perdono giudiziale, che sussistano ragioni di cautela processuale o di difesa sociale. Un quarto principio è quello della tipicità delle misure cautelar: l’art.19 espressamente prescrive che non possono essere applicate personali misure cautelari, diverse da quelle legislative previste. Un ulteriore principio è quello dell’adeguatezza e proporzionalità: adeguatezza alla natura e grado delle esigenze cautelari da soddisfare; proporzionalità all’entità del fatto ed alla sanzione che potrà essere irrogata. Un ultimo principio attiene all’indispensabilità che, qualunque misura sia attuata, deve essere disposto un affidamento dell’imputato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, “i quali svolgono attività di sostegno e controllo, in collaborazione con i servizi d’assistenza, istituiti dagli Enti locali” (art.19 comma 3). Il fermo e l’arresto del minore. L’arresto esige che il minore sia colto in flagranza di reato, ossia che sia colto nell’atto di commettere il reato o che sia inseguito subito dopo il reato o che sia sorpreso con cose o tracce da cui appaia che abbia commesso il reato, immediatamente prima (art.382 C.P.). Non per ogni situazione di flagranza di reato è però ammesso l’arresto (è necessario che si tratti di un reato non inferiore nel massimo a 9 anni). Il fermo del minorenne indiziato per un delitto è possibile solo se può essere disposta la misura della custodia cautelare e la legge stabilisca per il reato commesso una pena non inferiore nel minimo a due anni. Naturalmente valgono presupposti che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga e la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. I provvedimenti conseguenti all’arresto o al fermo sono costituiti innanzitutto dal dovere degli operanti l’arresto o il fermo d’avvisare l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, nonché di dare immediata notizia della misura adottata al P.M., nonché all’esercente la potestà, all’eventuale affidatario, ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Il minore nel caso di arresto in flagranza, viene consegnato al genitore o all’affidatario invitati a presentarsi nell’ufficio: il soggetto che riceve il minore è investito dell’obbligo di tenere il minore a disposizione del P.M. e di vigilare sul suo comportamento (obblighi sui genitori ma non per il minore). Le prescrizioni. Se non appare necessario ricorrere ad “altre” misure cautelari, il giudice può impartire al minorenne specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro o utili alla sua educazione (art.20). La disposizione in esame è un classico esempio di confusione e ambiguità legislativa tra misure educative e misure cautelari. Lo svolgere un’attività di studio, lavoro o educativa può essere funzionale ad un itinerario di recupero, ma non ha alcuna seria valenza al fine di escludere inquinamenti probatori o la pericolosità sociale. Inoltre nessuna seria finalità educativa può adempiere una misura che perde efficacia dopo due mesi: in un simile periodo di tempo non si imposta neppure un efficace progetto educativo. La permanenza in casa. Una misura cautelare meno blanda è data dal provvedimento con cui il giudice prescrive al minorenne di permanere presso l’abitazione familiare o in altro luogo di privata dimora (art.21), imponendo contestualmente limiti e divieti alla facoltà del minorenne di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che l’assistono. È comunque previsto che al minore possa essere consentito di allontanarsi dall’abitazione per ragioni di studio o lavoro. È anche in questo caso l’onere per il genitore è quello di vigilare sul comportamento del minore. Trasformare la casa in prigione ed obbligare il genitore ad un compito di vigilanza può comportare non un superamento delle situazioni di difficoltà ma un rilevante aumento delle conflittualità anche intrafamiliare. Il collocamento in comunità. Può essere dal giudice ordinato, come misura cautelare, il collocamento del minore in una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro o ad altre attività utili all’educazione (art.22). La custodia cautelare. La custodia cautelare in carcere (art.23) è possibile quando si procede per delitti non colposi per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, o, per uno di quei delitti di cui è previsto l’arresto in flagranza di reato. I riti speciali. Anche nel procedimento penale minorile sono previsti, come nella procedura per gli adulti, alcuni meccanismi processuali che consentono una definizione anticipata del processo. I riti speciali non ammessi nel procedimento minorile o ammessi condizionatamente. Nel processo minorile non è ammesso il patteggiamento, perché, come precisa la relazione al progetto preliminare, “l’applicazione della pena su richiesta presuppone nell’imputato una capacità di valutazione e di decisione che richiedono piena maturità e consapevolezza di scelte”. Non è ammesso neppure il procedimento per decreto, in quanto legato ad un meccanismo processuale che non consente un’adeguata valutazione della personalità dell’imputato. Inoltre l’irrogazione di una pena pecunaria al minore che non gode di autonomia patrimoniale ha scarsa incidenza educativa. Il giudizio direttissimo è ammesso a condizione che sia possibile compiere gli accertamenti sulla personalità del minore e assicurargli l’assistenza. Presupposti di un tale rito sono, la situazione di arresto in flagranza, ovvero la confessione dell’indiziato e la richiesta del P.M. di procedere entro brevissimi termini dall’arresto o dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato. La condizione giustamente posta dal legislatore in pratica consente l’adozione di tale rito solo nel caso in cui il ragazzo sia già conosciuto dai servizi, sia sul versante delle sue condizioni personali che sul versante delle condizioni socio-familiari, il che solo consente una risposta calibrata in funzione educativa, tant’è vero che il codice di procedura penale minorile non consente che si proceda con rito direttissimo quando la scelta del rito pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore. Il salto dell’udienza preliminare comporta che, chiamato a giudicare, è il Tribunale nella sua composizione ordinaria e con tutte le garanzie e formalità proprie dell’udienza dibattimentale. Il giudizio abbreviato. È il giudizio che si svolge all’udienza preliminare e quindi avanti ad un collegio trinario, composto da un magistrato togato e due giudici onorari. Il giudizio abbreviato presuppone la richiesta dell’imputato, che deve esprimere personalmente la sua volontà. Nel giudizio abbreviato minorile, non è possibile solo l’assoluzione nel merito o la condanna con una diminuzione di un terzo: è possibile anche la sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziario o per irrilevanza del fatto. Il giudizio immediato. Nel caso in cui la prova appare evidente, il P.M. può chiedere il giudizio immediato previo interrogatorio dell’imputato o, se questi, invitato a presentarsi, ometta di comparire senza addurre un legittimo impedimento. L’imputato di fronte alla richiesta del P.M. può nel termine di 15 giorni chiedere il giudizio abbreviato o il giudizio abbreviato condizionato. Anche l’imputato può chiedere il giudizio immediato. Con il giudizio immediato viene saltata ‘udienza preliminare ed il giudizio si svolge avanti al tribunale per i minorenni nella sua composizione ordinaria. I presupposti per la sospensione. La sospensione è applicabile a tutti i soggetti, siano o non minori al momento del giudizio, che abbiano commesso un reato quando erano minorenni. Nessun limite esiste in relazione alla tipologia del reato commesso. Fondamentale presupposto per l’applicazione della misura penale della sospensione, è il previo accertamento della sussistenza del reato e della responsabilità del minore. La procedura applicativa della sospensione. La sospensione è applicata dal giudice: può essere il G.U.P. o il giudice del dibattimento, ma mai il G.I.P. Il provvedimento che dispone la messa alla prova è l’ordinanza motivata che dovrà constatare di due parti: la dichiarazione di sospensione del processo per un periodo non superiore ai tre anni se si proceda per reati che comportano l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a tre anni o non superiore a un anno negli altri casi; l’affidamento al servizio sociale per lo svolgimento delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. La messa alla prova. L’attività di trattamento e di sostegno deve basarsi su un progetto d’intervento che i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi del territorio, avranno predisposto. Il progetto dovrà specificare le modalità di coinvolgimento del minore, gli impegni, le prescrizioni positive o negative che dovrà rispettare. Il programma dovrà inoltre essere adottato sulla base di una reale partecipazione del ragazzo. Nel corso della messa alla prova è anche opportuno che colui che è preposto alla vigilanza abbia periodiche riunioni col ragazzo per valutare con lui i progressi o i regressi che si stanno compiendo. Ciò anche per predisporre le eventuali modifiche ad un programma che deve non rimanere statico ma essere necessariamente dinamico. La revoca della misura è possibile solo nel caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte. La valutazione dell’esito della prova. Decorso il periodo di sospensione, il giudice che ha emesso il provvedimento sospensivo valuta l’esito della prova sulla base del comportamento tenuto dal minorenne e dall’evoluzione della sua personalità. Se il risultato raggiunto sarà positivo il giudice dichiarerà estinto il reato, se la valutazione sarà negativa il G.U.P. effettuerà il rinvio a giudizio o applicherà sanzione sostitutiva. La procedura nei riti ordinari. Deve essere esaminata distintamente l’ipotesi in cui il procedimento si svolga ed esaurisca nell’ambito dell’udienza preliminare da quella in cui il procedimento si svolga anche nell’ordinaria fase dibattimentale. L’udienza preliminare (art.31, 32, 32-bis). Si giunge all’udienza preliminare sulla base della richiesta del P.M. È da rilevare che l’iniziativa del P.M. può contenere solo la richiesta di rinvio a giudizio e non altre richieste più congeniali alle molteplici possibilità risolutive a cui può pervenire il G.U.P. Il minore è “sentito” dal giudice: l’uso di questo termine, diverso da quello usuale di “interrogare”, sta ad indicare che nell’udienza preliminare minorile si tende più che ad una formale contestazione delle accuse, all’instaurazione di un dialogo, al fine di individuare compiutamente la personalità, i bisogni, i problemi dell’imputato minore. Prima dell’inizio della discussione il giudice deve chiedere all’imputato se consente alla definizione del processo in quella stessa fase, salvo che il consenso sia stato già presentato in precedenza. La norma di riforma per la verità pone qualche non irrilevante problema. Vi è il problema se il consenso debba essere dato personalmente dall’imputato minorenne ovvero se esso può essere presentato anche dal suo difensore: ci sembra che la natura personalissima del consenso in questa ipotesi prevista imponga la prima opzione. Ad ogni modo in caso di consenso il giudice può pronunciare: una sentenza di non luogo a procedere; sentenza a non procedere per irrilevanza del fatto; per concessione del perdono giudiziario. L’udienza dibattimentale. Se v’è giudizio immediato o direttissimo, se il G.U.P. ha disposto il rinvio a giudizio, se v’è opposizione alla condanna del G.U.P., s’apre l’udienza dibattimentale. Essa (art.33) deve essere svolta a porte chiuse, a meno che l’imputato, che abbia compiuto 16 anni, chieda l’udienza pubblica sulla base di motivazioni che il Tribunale valuterà nell’esclusivo interesse dell’imputato. Le impugnazioni. Il regime delle impugnazioni nel procedimento minorile presenta qualche caratteristica diversa da quella del procedimento d’impugnazione nel processo ordinario per adulti, anche se molte norme di questo valgono anche nel procedimento minorile. 1. Chi può impugnare. Nel processo minorile l’impugnazione può essere effettuata dall’imputato minorenne, ma anche dall’esercente la potestà genitoriale. 2. L’impugnazione, avverso i provvedimenti limitativi della libertà. La legge processuale minorile non individua un regime particolare per le impugnazioni, avverso i provvedimenti cautelari limitativi della libertà: gli strumenti predisposti dall’ordinamento processuale per adulti valgono quindi anche per l’ordinamento processuale minorile. 3. L’opposizione ad alcune pronunce emesse nell’udienza preliminare. Più che una vera e propria impugnazione, l’opposizione è sostanzialmente una richiesta di giudizio, non accettandosi dall’imputato o dal suo difensore, una decisione che presuppone la responsabilità penale dell’imputato, ma che si radica su un accertamento non sufficientemente approfondito. 4. L’appello. Le altre pronunce, rincorribili solo per Cassazione, possono essere impugnate attraverso il tradizionale strumento dell’Appello avanti alla sezione specializzata della C.A.. 5. I provvedimenti non appellabili, ma impugnabili solo in Cassazione. Vale anche per il procedimento minorile la preclusione all’appello prevista nel procedimento ordinario. Risultano oggi inappellabili: Le sentenze di condanna relative a contravvenzioni per cui è stata applicata la solo pena dell’ammenda; L’ordinanza di sospensione del processo (art.28 C.P. minorile), mentre resta impugnabile in appello l’ordinanza recettiva della richiesta. 6. Il ricorso per Cassazione. Il ricorso per cassazione, contro il provvedimento di primo grado quando è richiesto dall’ordinamento o contro il provvedimento di secondo grado, non presenta, nel processo minorile, peculiarità particolari, essendo regolato senza alcuna deroga dalle norme del procedimento ordinario. L’applicazione provvisoria della misura di sicurezza. Oltre alle norme contenute nel codice penale esistono previsioni che regolano l’applicazione delle misure di sicurezza nel corso del processo minorile. Secondo il principio generale nessuna misura di sicurezza può essere applicata se non previa valutazione in concreto della pericolosità del soggetto. È prevista la possibilità di applicazione provvisoria delle misure di sicurezza da parte del giudice dell’udienza preliminare, previa richiesta del P.M. che dichiari non luogo a procedere e se il fatto e la personalità dell’imputato ne facciano presumere la pericolosità sociale. L’ art. 38 d.p.r. 448/1988 prevede che il tribunale per i minorenni proceda nelle forme dell’art.678 c.p.p. (ossia quelle del procedimento di sorveglianza), al giudizio sulla pericolosità sentendo il minore, i genitori e i servizi, utilizzando spazi di discrezionalità e decidendo con sentenza. Nel corso del procedimento il tribunale può Giustizia sia dai servizi, chiamati ad una collaborazione assai attiva con i primi, dell’Ente locale. Il processo penale minorile richiede al sistema integrato dei servizi un rilevante impegno sul piano sia organizzativo che metodologico; per sviluppare un progetto di recupero che tenga conto in primo luogo delle risorse del soggetto e poi di tutte quelle della comunità familiare e sociale in cui è inserito. Nel precedente ordinamento i servizi del ministero di grazia e giustizia erano gli esclusivi servizi di cui il T.M. si poteva avvalere nello svolgimento di tutti i suoi compiti nei tre settori di competenza dello stesso (penale, amministrativo e civile). Successivamente la competenza dei servizi ministeriali si è concentrata esclusivamente nel settore degli interventi nel campo penale, poiché per gli interventi civili e rieducativi del T.M. la competenza era attribuita ai servizi degli enti locali. Con il nuovo processo penale minorile il legislatore ha voluto realizzare una forte integrazione e collaborazione tra servizi penitenziari e servizi della comunità locale. Per i servizi ministeriali penali deve rilevarsi che una profonda revisione è stata attuata con l’entrata in vigore del nuovo sistema normativo sul processo minorile (22/09/1988). È però da rilevare che la nuova normativa accumula, sotto la comune terminologia di servizi, realtà molto diverse tra loro: infatti se il servizio sociale ha precise caratteristiche di servizio non sembrano potersi far rientrare tra i servizi gli istituti penali per minorenni o gli istituti di semilibertà. I servizi dell’amministrazione della giustizia sono parificati del tutto ai servizi di assistenza istituiti dagli enti locali. È poi da sottolineare come i servizi ministeriali siano (art.7) inseriti nei Centri per la giustizia minorile, che costituiscono i vecchi Centri di rieducazione. I servizi dell’Ente locale, accanto ai servizi del Ministero di Grazia e Giustizia, sono chiamati dal nuovo ordinamento a sviluppare un notevole impegno nell’attività di sostegno e di recupero del minore deviante. La collaborazione indispensabile per attuare in pieno le finalità proprie del nuovo processo penale minorile vuole essere un rapporto tra l’intero sistema penitenziario e l’intero sistema locale di welfare e cioè con l’impegno collettivo di integrazione sociale e di sviluppo del benessere a cui è chiamata l’intera comunità a cui il minore appartiene. Una funzione particolarmente rilevante nel processo penale minorile ha il servizio minorile dell’amministrazione della giustizia ed in particolare il servizio sociale che già da tempo ha utilmente operato nell’ambito dei servizi del Ministero di Grazia e Giustizia, per attuare una significativa tutela dei diritti dei minori. Le funzioni del servizio sociale ministeriale sono: - svolgere funzione di assistenza al minore; -svolgere inchieste nei confronti di minori coinvolti in procedimenti penali a loro carico, effettuando trattamenti psicologico-sociali e attività educative; - svolgere attività di sostegno, vigilanza, risocializzazione. Il servizio sociale è chiamato ad operare su aree diverse: Un’area d’assistenza e sostegno personale. Il minore coinvolto in un fatto penalmente rilevante ed introdotto nel circuito penale vive un momento della sua vita particolarmente delicato che può, a seconda del modo con cui è vissuto, pregiudicare il suo sviluppo futuro, divenendo o occasione di una profonda revisione di vita o di una definitiva immersione nel ruolo di “eroe negativo”. Un’area di diagnosi della situazione del minore. Per esprimere un giudizio sul ragazzo, è indispensabile una reale e non superficiale comprensione di chi il ragazzo è, di quali sono i problemi della sua vita personale e sociale che lo hanno portato a sviluppare quei comportamenti, su quali valori o pseudo- valori è radicata la sua esistenza, in quali giochi perversi nelle relazioni interpersonali è immesso, di quali risorse sia potenzialmente portatore, quali risorse abbia e possa mettere in campo l’ambiente familiare re sociale in cui è immesso. Un’area d’approfondimento della personalità del minore, attraverso l’osservazione. Dall’inchiesta possono emergere anche necessità d’ulteriori approfondimenti che possono e debbono essere effettuati da servizi specialistici collegati con il servizio. Un’area di prognosi e progettazione. Il servizio è anche chiamato a collaborare con il giudice nell’individuazione di quale possa essere la più opportuna misura da adottare per raggiungere quella finalità di recupero sociale che non l’intero processo penale minorile s’intende perseguire. Un’area di trattamento e di controllo. A seguito dell’adozione da parte del giudice di una misura, s’inizierà un’attività di trattamento che non può che essere sviluppata dai servizi ministeriali, in collaborazione con i servizi degli Enti locali. A conclusione va rilevato che non appare del tutto opportuna la scelta operata in sede di legge di attuazione del procedimento penale a carico dei minori di identificare con l’ufficio di servizio sociale i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Per svolgere le pesanti funzioni di controllo e di trattamento dei minori soggetti a interventi penali sarebbe stato opportuno prevedere a fianco dell’ufficio di servizio sociale anche in ufficio in probation con una sua autonoma anche se, ovviamente strettamente collegato con l’ufficio di servizio sociale. Vi è il rischio che tutte le energie dell’unico ufficio siano polarizzate sull’attuazione, per esempio, della sospensione processuale con la messa alla prova trascurando le funzioni di assistenza, valutazione della personalità. Strutture di accoglienza e trattamento. L’art.8 del D.L. 28 Luglio 1989, n.272, elenca, accanto agli Uffici di servizio sociale per minorenni, una serie di strutture d’accoglienza e trattamento dei minori coinvolti in un procedimento penale, inseriti nei Centri per la giustizia minorile. I centri di prima accoglienza. Non possono essere considerati, questi Centri, strutture assistenziali, in quanto svolgono esclusivamente la funzione d’ospitare sino all’udienza di convalida i minorenni arrestati e quelli accompagnati in flagranza di reato dalla polizia giudiziaria. Sono veri istituti penali articolati su 2 aree: una custodita che raccoglie gli arrestati e i fermati; una assistita per gli accompagnati dalla polizia essendo stati colti in flagranza di delitto non colposo. Le Comunità. L’art.10 prevede che i Centri per la giustizia minorile organizzino proprie Comunità d’accoglienza di minori o stipulino convenzioni con comunità pubbliche o private, associazioni e cooperative che operano in campo adolescenziale e siano riconosciute o autorizzate dalla Regione competente. L’organizzazione e la gestione di queste comunità deve rispondere ai seguenti criteri: costituirsi come organizzazione di tipo familiare che prevedano la presenza anche di minorenni non sottoposti a procedimento penale; avere una capienza non superiore a 10 unità per consentire progetti personalizzati; utilizzare operatori professionali delle diverse discipline; collaborare con tutte le istituzioni interessate e utilizzare tutte le risorse del territorio. Gli istituti di semilibertà e semidetenzione. Si tratta di veri e propri istituti penitenziari sia pure organizzati e gestiti “in modo da assicurare un’effettiva integrazione con la comunità esterna” (art.11) e che danno forte incentivo alle attività scolastiche, di formazione lavoro e di tempo libero per realizzare più compiutamente finalità risocializzanti. I servizi polifunzionali diurni. Questi Centri dovrebbero attuare, in collaborazione con gli Enti locali, attività educativa, di formazione lavoro, di tempo libero, d’animazione sia per minori sottoposti a misure cautelari, alternative e sostitutive sia per minori non sottoposti a procedimenti penali. Formazione degli operatori. Appare evidente come, per realizzare compiutamente le finalità proprie del processo penale minorile, sia indispensabile una significativa attività di formazione del personale che, secondo metodologie d’intervento diverso, è chiamato comunque a sostenere e guidare il minore in un itinerario di mutamento. È subito da rilevare che, quando si parla di formazione degli operatori minorili, non ci si può riferire solo agli operatori di base: gli assistenti sociali, gli educatori, il personale della polizia giudiziaria. La formazione deve prendere in considerazione tutte le categorie di personale, anche quella di chi ha funzioni organizzatorie e direzionali. È anche da sottolineare come la norma, anche quando parla dei servizi degli Enti locali, si riferisce ad operatori minorili: appare evidente che il legislatore ritiene essenziale che anche gli enti locali si dotino di servizi specifici per affrontare questi problemi con forte caratteristica di specializzazione. È da sviluppare una competenza interpretativa per saper adeguare l’intervento alla specificità del caso, alle risorse sussistenti, alla costante evoluzione delle situazioni anche a seguito degli interventi, alle reali potenzialità riscontrate senza restare nell’indeterminatezza delle formule stereotipe e senza sclerotizzarsi in prassi operative rigide. È anche da costruire una competenza alla progettualità, per saper costruire, verificare ed adattare percorsi e processi di cambiamento, ed una competenza alla verifica del lavoro svolto.
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