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Manuale di diritto parlamentare, Sintesi del corso di Diritto Parlamentare

Sintesi di Manuale di diritto parlamentare

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 05/02/2024

Atena1995
Atena1995 🇮🇹

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Scarica Manuale di diritto parlamentare e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Parlamentare solo su Docsity! SINTESI COMPLETA DI Gianniti, Lupo, Manuale di diritto parlamentare Esame di DIRITTO PARLAMENTARE (UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO) 1) LA POLITICA E I SUOI LIMITI: DIRITTO PARLAMENTARE E DIRITTO COSTITUZIONALE 2) UNA DEFINIZIONE DI DIRITTO PARLAMENTARE Il diritto parlamentare (definizione di Vincenzo Miceli, 1910) è un complesso di norme che disciplinano l’organizzazione interna delle Camere, l’esercizio delle loro funzioni e i rapporti con gli altri organi (costituzionali e di rilevanza costituzionale) e con soggetti terzi. Vengono usate anche altre denominazioni. I manuali anglosassoni (Mason's Manual of Legislative Procedure, 1935 curato dalla conferenza nazionale dei Parlamenti degli Stati membri degli USA; Robert's Rules of Order, 1876), contengono regole ritenute utilizzabili da qualsiasi assemblea deliberativa, le quali: a) peccano di eccessiva vastità ed eterogeneità degli organi collegiali cui si fa riferimento; b) presentano una dimensione prescrittiva labile, trattandosi di forme di regolamentazione a carattere generalissimo e residuale, alle quali i titolari di tali organi collegiali possono decidere di fare di volta in volta ricorso, non essendovi però in alcun modo giuridicamente obbligati. Il diritto parlamentare sembra differenziarsi da essi, a partire dall'esperienza statunitense (Manual of Parliamentary Pratice Composed for the Use of the Senate of the United States, 1801 redatto da Thomas Jefferson) e francese (fondata sulla traduzione del manuale di Jefferson e su La tattica parlamentare del filosofo Jeremy Bentham), del resto la stessa rivoluzione francese trae origine da una questione di diritto parlamentare, relativa alle modalità di voto (per stati o per teste) in seno agli Stati generali. Nell’ordinamento italiano, la nozione di diritto parlamentare può perciò a buon titolo esser utilizzata per riferirsi alle regole che si applicano nelle due Camere in cui si articola in Parlamento repubblicano. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 106/2002 ha ritenuto la dizione Parlamento non estensibile ai Consigli regionali per 2 motivi: - Il nomen Parlamento non ha valore solo lessicale ma individua la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale: - Solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale (art 67 Cost.) che imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica e infungibile. Assemblee parlamentari. Certo, la prescrittività del diritto parlamentare non può dirsi acquisita una volta per tutte, ma ciò sembra discendere dal fatto che: a. il diritto parlamentare pretende di porre regole che limitano il potere politico nelle sedi che esso è abituato a considerare come proprie; b. le regole del diritto parlamentare raramente sono garantite da un giudice esterno rispetto alle Camere; c. le regole del diritto parlamentare sono caratterizzate dall'esistenza di una clausola di flessibilità (in assenza di esplicite obiezioni); d. sussiste uno spazio notevole per le fonti non scritte, a testimonianza dell'esigenza di flessibilità e della necessità di un ancoraggio al passato e alla tradizione. Ciò non può portare ad affermare che in Parlamento viga solo la legge del più forte, non mancando soggetti e meccanismi (sia interni sia esterni all'ordinamento parlamentare) in grado di rilevare le violazioni delle regole dettate dalla Cost., dalle leggi e dai regolamenti parlamentari. Il diritto parlamentare può considerarsi come una sorta di “avanguardia” del diritto costituzionale: una disciplina della quale è talvolta particolarmente arduo cogliere il carattere prescrittivo, ma proprio per questo di grande interesse per misurare fino a che punto si spinge il principio dello Stato di diritto. Si deve poi sottolineare che, se si guarda al panorama fornito dal diritto comparato, può individuarsi una tendenza di lungo periodo nel senso di una progressiva giuridicizzazione delle regole della vita parlamentare, affidandone sempre più spesso la tutela al giudice costituzionale. 2) LA STORIA DEI REGOLAMENTI PARLAMENTARI 1) UN’ EVOLUZIONE NEL SEGNO DELLA CONTINUITà Caratteristica dominante nella storia del diritto parlamentare italiano è l’evoluzione nel segno della continuità, rarissimi sono i cambiamenti drastici o radicali. Scelta in linea con la necessità di assicurare un buon funzionamento dell’assemblea (la continuità delle regole rende più agevole la loro applicazione. Al tempo stesso però la disciplina dei regolamenti parlamentari va ad incidere, a volte in modo determinante sui rapporti tra Governo e Parlamento (sulla forma di governo), da questo punto di vista il metodo della 3 continuità determina il rischio di dare origine a testi disorganici, privi di una ratio unitaria ben identificabile, ma anche il pericolo di legittimare la permanenza in vigore di regolamenti parlamentari non in sintonia con il quadro delineato dalla costituzione. Per questo motivo, non bisogna soffermarci solo sui regolamenti ma anche sulle costituzioni. Esemplare è l’evoluzione del rapporto tra regolamenti parlamentari (in particolare quello della camera) e lo statuto Albertino: questo affermava una forma di governo costituzionale pura, mentre nella prassi si andò progressivamente istaurando una forma di governo di tipo parlamentare (detta anche pseudo parlamentare per l’incertezza che vi regnava). 2) EPOCA STATUARIA Nel 1848, al’indomani della concessione dello Statuto Albertino, la Camera dei deputati e il Senato regio della Repubblica procedettero all’adozione di un regolamento provvisorio (in attuazione dell’art 61 dello statuto:ai sensi del quale ciascuna camera determina per mezzo di un regolamento interno il modo in cui esercitare le proprie attribuzioni), non era elaborato autonomamente ma dal governo presieduto da Cesare Balbo su modello di quello francese del 1839 e di quello belga: per lo più una traduzione letterale dei modelli. Si trattò di un lavoro non originale, frutto di una delibera assunta senza discussione. Lo statuto Albertino, come le altre carte dell’800, rivolgeva ampio spazio alla disciplina strutturale e funzionale del parlamento: 32 articoli su 84 era dedicati alle Camere, di questi 6 articoli disciplinavano il Senato del regno con l’indicazione analitica delle categorie entro le quali Re poteva nominare i senatori, 9 riguardavano la Camera dei deputati, della quale era invece sancito il carattere elettivo e la durata quinquennale e infine 17 contenevano disposizioni comuni alle Camere, tra queste emblematica era la previsione sulla obbligatorietà dello scrutinio segreto nella votazione finale delle leggi. In coerenza con il modello francese, nell’organizzazione del procedimento legislativo la Camera adottò il “sistema degli uffici” per l’esame delle proposte di leggi, a scapito dei modelli alternativi: come quello delle 3 letture proposto dall’esperienza inglese, nel quale cioè l'Assemblea procede a 3 tipi di esame di ciascun progetto di legge; e quello statunitense delle commissioni permanenti specializzate per materie. Gli uffici erano collegi minori di carattere temporaneo (rinnovati ogni 2 mesi) la cui composizione derivava da un’estrazione a sorte tra i nomi di tutti i parlamentari e quindi non rispecchiava la composizione politica dell’Assemblea, né poteva essere proporzionale ai gruppi parlamentari dal momento che nelle Camere statuarie non esistevano (e neppure di veri e propri partiti si poteva ancora parlare). Deputati e senatori si articolavano in aggregazioni di carattere territoriale e personale, e solo assai genericamente li si poteva ricomprendere all’interno di formazioni quali “destra o sinistra storica” (cmq privi di ogni forma di organizzazione extraparlamentare). Presentato il progetto di legge era inviato a tutti gli uffici e ciascuno di essi procedeva a una discussione 4 informale, al termine della quale eleggeva al suo interno un relatore. Tutti i relatori eletti andavano a costituire una commissione che esaminava ed emanava il progetto di legge, presentandolo all’Assemblea correlato di una relazione. Nel 1850 il Senato si diede il suo regolamento definitivo, alla Camera il regolamento provvisorio del 1848 durò 15 anni (falliti 2 progetti di riforma), nel 1863 fu adottato un altro regolamento, anch’esso provvisorio, che fu modificato nel 1865 e nel 1868. Con il regolamento del 1968 si tentò l’introduzione del metodo delle 3 letture, ma il tentativo fallì infatti nel 1873 si tornò al metodo degli uffici, temperandolo con istituzione di alcune commissioni permanenti. Nel 1886 fu creata alla Camera, come organo permanente, la Commissione (poi giunta) per il regolamento, i cui membri non erano estratti a sorte, ma nominati dal Presidente dell’Assemblea (passaggio dall’idea di riforma d’insieme rivelatasi illusoria a quella di manutenzione regolamentare da realizzarsi attraverso la codificazione degli usi e l’esperienza). La commissione per il regolamento nei 2 anni successivi intraprese una serie di modifiche, note come riforme “Bonghi” (dal nome del relatore e presidente della commissione). Si intervenne sulla disciplina dell’andamento della discussione, delle questioni pregiudiziali e sospensive, delle interrogazioni e interpellanze, delle autorizzazioni a procedere, modalità di votazione, e metodo delle tre letture. Modifiche che furono inglobate in un testo approvato nel 1888, ed è con questo (modificato lievemente nel 1991) che si giunse alla “crisi di fine secolo”: con le dimissioni di Di Rudiny, s i costituì il governo Pelloux che svoltò a destra appoggiandosi su Sidney Sonnino (posizione nettamente contraria la forma di governo parlamentare) e ripropose misure restrittive in tema di pubblica sicurezza e libertà di stampa. Si scatenò per la prima volta nel Parlamento statuario l’ostruzionismo delle sinistre capeggiate dal socialista Enrico Ferri. Spazi per l’ostruzionismo furono allargati dalla scelta di adottare il metodo delle tre letture. Sonnino era Presidente della commissione per il regolamento, decisero di adottare nel giugno 1899 misure proposte con un decreto legge e un pacchetto di modifiche regolamentari, l’ostruzionismo delle sinistre si sposò sulle modifiche regolamentari: furono approvate il 3 aprile 1900 ma provocarono una spaccatura nella commissione per il regolamento, e in Assemblea ove l’opposizione abbandonò l’aula. Si arrivò allo scioglimento anticipato delle Camere e a nuove elezioni nel giugno 1900, si formò il governo Saracco. La nuova Camera, con Tommaso Villa (presidente della Camera) , azzerò le riforme regolamentari e incaricò una commissione da lui presieduta per predisporre il nuovo regolamento. A garanzia dell’equilibrio individuato, si stabilì che la commissione doveva essere presieduta dal Presidente dell’Assemblea e che i membri dell’ufficio di presidenza sarebbero stati eletti con voto limitato per assicurare la rappresentanza delle minoranze. A soluzioni analoghe giunse anche il Senato. In questo modo, si posero le precondizioni per una fase di relativa stabilità parlamentare e regolamentare, in coincidenza con l' età giolittiana. Nel corso di questa fase va segnalata, nel 1912 l’ introduzione dell’ indennità parlamentare: questa fu prevista a 5 notano sopratutto per le successive modifiche, durante la prima legislatura la Camera adottò profonde riforme regolamentari incisive, relative alla programmazione dei lavori (istituzione della conferenza dei presidenti, oggi dei capigruppo), procedimento legislativo (con la disciplina della sede redigente), la procedura di revisione costituzionale e le prerogative parlamentari. Al Senato si preferì lasciare inalterato il testo del 1948. Il coordinamento più efficace, mai integrale, tra i due rami del Parlamento si registrò con riferimento alle procedure finanziarie. 4) I NUOVI REGOLAMENTI DEL 1971 E LE LORO SUCCESSIVE MODIFICHE Solo nel 1971 si giunse alla redazione di regolamenti parlamentari completamente nuovi e maggiormente coerenti. La riforma fu preparata da elaborazioni svolte sia dalle forze politiche, sia dai funzionari parlamentari, sia dalla dottrina costituzionalistica. Queste riflessioni agevolarono il coordinamento delle iniziative, assunte con un'operazione senza precedenti nel diritto parlamentare italiano, sotto il forte stimolo dei due presidenti: Pertini alla Camera e Fanfani al Senato. I nuovi regolamenti comportarono un processo di modernizzazione dell’istituzione parlamentare, facendo leva sulla dimensione del gruppo parlamentare e valorizzando il lavoro delle commissioni permanenti e al tempo stesso si proposero di aprire il Parlamento alla società superando il principio dell’esclusività del rapporto con il Governo. I limiti di questa riforma non furono pochi e derivarono soprattutto dalla necessità di non far venire meno il consenso del principale gruppo di opposizione che proprio nel Parlamento aveva trovato la principale sede di legittimazione istituzionale e di compartecipazione ai processi decisionali. Comunque un passo avanti fu compiuto rispetto ai precedenti regolamenti: si mise un limite temporale ai dibattiti e si dichiarò la non appellabilità davanti all’Assemblea delle decisioni presidenziali interpretative del regolamento. L’azione di aggiornamento dei regolamenti del 1971, pur soggetti a molte critiche (gruppocrazia o gruppo centrismo), se viste nel loro complesso rispetto a quelli precedenti, sicuramente hanno apportato notevoli cambiamenti in positivo accentuando la capacità decisionale dell'istituzione parlamentare. I ritmi e le modalità di aggiornamento sono state differenti nei due rami: - Al Senato, il grosso delle innovazioni è stato apportato con un unico intervento riformatore nel 1988, con la presidenza di Spadolini, con il quale furono aggiunti 46 articoli: tra questi la revisione delle modalità di votazione in nome della prevalenza del voto palese e generalizzazione del contingentamento dei tempi. Altre successive modifiche hanno riguardato il sindacato ispettivo, le procedure finanziarie e comunitarie e la composizione del consiglio di presidenza. - Alla Camera, invece il percorso è stato più travagliato. Le modifiche apportate nel corso degli anni ‘80 con la presidenza di Nilde Iotti sono state numerose e riguardavano: la programmazione lavori, la durata interventi, la limitazione dei poteri di presidenti dei gruppi minori, la mozione di sfiducia individuale e gli effetti dei pareri delle commissioni. 8 Nel 1988 si realizzò il passaggio dall’obbligo di votazione finale dei progetti di legge a scrutinio segreto a favore del voto palese. Ulteriori revisioni nel 1990 (programmazione lavori e procedure per le modifiche regolamentari) e nel 1997, l’ ultimo intervento riformatore realizzato in coincidenza con lo svolgimento dei lavori della commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da D'Alema, appare di peculiare importanza, in quanto costituisce oggi il principale tentativo di adeguamento dei regolamenti parlamentari all'evoluzione in senso maggioritario e bipolare della forma di governo italiana. A questo scopo, si propose da un lato di prevedere tempi certi per la maggior parte delle deliberazioni e dall'altro lato, si valorizzò l'istruttoria delle commissioni parlamentari e le funzioni di controllo, anche mediante il riconoscimento di significativi diritti alle opposizioni e di specifici doveri del Governo nei confronti delle richieste di informazione e di dati, formulate anche dalle. Tuttavia si è trattato di un tentativo disorganico che non ha intaccato la tradizionale organizzazione della camera per gruppi e che non è riuscito a mantenere in sede applicativa l’equilibrio originariamente delineato. Se la riforma ha conseguito i suoi effetti nell'assicurare una maggior efficienza alla "macchina" parlamentare, garantendo anche alla Camera l'effettivo rispetto della programmazione dei lavori, si è assistito invece al fallimento dell'istruttoria legislativa delle commissioni parlamentare e alla scarsa tenuta degli obblighi posti nei confronti del Governo. 1) LA COSTITUZIONE E LE LEGGI COSTITUZIONALI Le fonti di produzione del diritto sono quegli atti e fatti ai quali un ordinamento, riconnette la capacità di porre in essere norme giuridiche. E’ anzitutto nella Costituzione che occorre cercare le fonti sulla produzione. Pellegrino Rossi (1837): la Costituzione contiene le têtes de chapitre delle diverse branche del diritto: la Costituzione cioè contiene sia i principi fondamentali di ciascuna branca del diritto, sia i criteri attraverso cui altre fonti normative sono abilitate a sviluppare tali principi. -In un ordinamento a costituzione rigida la fonte del diritto è la Costituzione. Essa contiene sia i principi fondamentali di ciascuna branca del diritto sia i criteri attraverso cui le altre fonti normative sono abilitate a sviluppare questi principi. Riguardo al Parlamento la Costituzione dedica il titolo I della parte seconda, diviso in 2 sezioni: nella prima sezione (“le Camere”, art 55-69) disciplina l’aspetto strutturale: l’ articolazione bicamerale, lo status del parlamentare. Nella seconda sezione (“la Formazione delle leggi”, art 70-82) disciplina il profilo funzionale, in particolare la funzione legislativa. Il passaggio dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana ha portato due novità: la prima di ordine tecnico, ossia la rigidità della costituzione repubblicana (contrapposta alla flessibilità dello statuto). Tale carattere comporta la sovraordinazione della Costituzione rispetto alle leggi ordinarie e agli stessi regolamenti delle Camere (le prescrizioni costituzionali sono da un lato principi da sviluppare, dall'altro limiti all’autonomia regolamentare delle Camere, sebbene manchi una specifica forma di controllo da parte del giudice costituzionale). Questa caratteristica è stata sfruttata a pieno con la Costituzione del 1958 che ha sottoposto i regolamenti parlamentari ad un previo e necessario controllo di costituzionalità. Le Camere sono dunque sottoposte alla Costituzione, sebbene esse siano stesse titolari (pressoché esclusive) del potere di revisione costituzionale. La seconda novità attiene alla forma di stato: con l’allargamento del suffragio ai cittadini maggiorenni di ambedue i sessi si passa allo Stato democratico, nel quale secondo l’art 1 Cost.: la sovranità appartiene al popolo che deve esercitarla nelle forme e nei limiti posti dalla Costituzione. Dunque il parlamento non è più (se mai lo è stato) sovrano ma, costituisce una delle forme in cui, in una democrazia rappresentativa, si esercita la sovranità popolare. Ciò comporta che il Parlamento si vede affiancato da altre forme di espressione della sovranità popolare: referendum abrogativo, attività dei partiti politici e dei sindacati, e altresì, de iure condendo, le reiterate e prospettate elezioni dirette del Capo dello Stato o del capo dell'esecutivo. Il costituente si è limitato a richiamare una serie di organi e istituti, con ciò evidentemente presupponendo uno sviluppo ad opera di altre fonti (anzitutto dei regolamenti parlamentari). Ciò a cominciare dallo stesso nomen “Parlamento”, assente nello statuto Albertino e che parte della dottrina ha valorizzato allo scopo di evidenziare l'unitarietà di tale organo nel bicameralismo perfetto e paritario disegnato dalla Costituzione. Ora: in 10 Subito dopo aver stabilito che i regolamenti parlamentari costituiscono una fonte del diritto, e una fonte dell’ordinamento generale, ci si pone evidentemente il problema di determinarne il rango. Anche qui, nonostante il nomen, che è quello in genere utilizzato per identificare fonti di rango secondario, in dottrina vi è una tendenza prevalente a classificare i regolamenti parlamentari come fonti primarie. Essi infatti, nel quadro di un sistema delle fonti del diritto articolato in base ai criteri di gerarchia e di competenza, appaiono abilitati dalla Costituzione a sostituirsi nella disciplina di determinate materie ad essi riservate alla stessa legge formale. Ne discende che i regolamenti parlamentari sono da qualificarsi come fonti primarie, equiparate perciò alla legge e agli atti aventi forza di legge: anzi sono stati anch’essi considerati atti con forza di legge pure ai fini della loro sindacabilità avanti alla Corte Cost. ai sensi art 134Cost.. In quanto fonti primarie ben si presterebbero ad entrare al far parte del “blocco di costituzionalità”, ossia a costituire un parametro del giudizio di costituzionalità delle leggi, quali norme interposte tra la Costituzione e la legge ordinaria il cui processo formativo esse disciplinano. Questo quadro (conseguenze relative alla definizione dell’oggetto e del parametro del sindacato costituzionale) è stato però rifiutato dalla giurisprudenza costituzionale, che ha recentemente affermato come l’esigenza che le norme che integrano il parametro di costituzionalità siano esse stesse conformi alla Costituzione è assoluta e inderogabile per evitare il paradosso che una legge venga dichiarata incostituzionale in base ad un’altea norma sub costituzionale a sua volta in contrasto con la Cost.. La Corte costituzionale con una sentenza del 1959 ha escluso che i regolamenti parlamentari potessero operare come parametro del giudizio di legittimità costituzionale delle leggi. Si è dichiarata competente a sindacare esclusivamente le violazioni delle norme costituzionali sul procedimento legislativo, ma non anche il mancato rispetto delle disposizioni contenute nei regolamenti parlamentari. Di conseguenza, se per un verso ha superato il dogma ottocentesco ai sensi del quale i procedimenti interni delle Camere sono insindacabili da soggetti esterni all’Assemblea, per altro verso ha finito per rimettere a ciascuna camera l’interpretazione e la garanzia dell’osservanza delle previsioni contenute nei regolamenti parlamentari pure laddove a questi ultimi il rinvii testo costituzionale. La partita della sindacabilità dei regolamenti sembrava chiusa, tuttavia, la Corte Costitizionale dopo aver sbarrato la via del giudizio sulle leggi, ha lasciato aperta quella del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, attraverso cui è giunta a svolgere forme incisive di sindacato sulle procedure parlamentari, e dunque, seppure indirettamente, sulla disciplina posta dai regolamenti di Camera e Senato. La sentenza che ha risolto in via negativa è la n. 154/1985. Sentenza n. 1150/1988: la Corte Costituzionale si riserva un penetrante controllo sul cattivo uso dei poteri parlamentari. 2.3. LA RISERVA DI REGOLAMENTO PARLAMENTARE 13 Per quanto riguarda l’ambito di competenza dei regolamenti parlamentari (l’ art 64 Cost. disciplina solo il procedimento di formazione) vi è un esplicito rinvio nell’art 72 Cost. relativo al procedimento legislativo. Sulla base di questi dati costituzionali, si è visto come la dottrina non abbia comunque esitato ad individuare una riserva costituzionale di competenza a favore dei regolamenti delle due Camere. Anzi, il caso dei regolamenti parlamentari è stato ed è tuttora considerato come applicazione nell’ordinamento italiano, del criterio di competenza (qui inteso come fonte destinataria di una riserva costituzionalmente esclusiva). L’area di competenza del regolamento parlamentare, oltre che il procedimento legislativo, riguarda anche una serie di altri settori che sono stati così identificati: - Organi interni delle Camere (Presidente, ufficio di presidenza, commissioni, giunte ecc.) - Componenti delle Camere (diritti e doveri dei singoli parlamentari, la loro organizzazione in gruppo) - Procedimenti relativi alle diverse funzioni parlamentari - Strutture di servizio e rapporto con i dipendenti delle Camere - Rapporti che occasionalmente possono istaurarsi tra le Camere e terzi estranei Resta comunque un limite all’intervento dei regolamenti parlamentari, nel senso che questi possono muoversi fintanto che rimangano nell’ambito dell’attuazione e dello sviluppo delle funzioni che la Costituzione attribuisce al Parlamento. La giurisprudenza costituzionale, pur richiamandosi alla riserva di regolamento parlamentare, non ha fornito chiarimenti quanto all’ambito materiale in cui tale riserva è destinata ad operare. 2.4. IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE Art 64 Cost. “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.” Al procedimento di formazione dei regolamenti parlamentari, l’art 64 Cost. dedica una specifica attenzione, richiedendo che siano approvati da ciascuna Camera, a maggioranza assoluta dei componenti. A partire dal 1993 questa previsione è stata a lungo criticata in quanto tale quorum non sarebbe sufficiente ad assicurare un’effettiva garanzia alle minoranze o all’opposizione in un Parlamento eletto con meccanismi maggioritari. Nel procedimento di revisione dei regolamenti parlamentari un ruolo incisivo ce l’ha la giunta per il regolamento: tale organo oltre a coadiuvare il Presidente nell’interpretazione del regolamento, detiene anche una sorta di monopolio dell’iniziativa di revisione regolamentare. Al Senato tale monopolio è più attenuato, l’art 67 del regolamento del Senato si limita a stabilire l’obbligo di un previo esame nella giunta sia 14 delle proposte di modifica sia degli emendamenti ad esse riferiti (salva possibilità del presidente di ammettere nuovi emendamenti correlati a modifiche approvate). Più diffusa e innovativa è la disciplina del regolamento della Camera: art 16 del regolamento della Camera ha deferito alla giunta lo studio delle proposte di revisione e ha riservato ad essa quasi il “monopolio della penna” con cui tali norme sono scritte. I singoli deputati possono presentare non emendamenti, ma principi e criteri direttivi i quali se approvati obbligano la giunta a redigere un nuovo testo. La giunta perde la penna solo nel caso in cui il presidente di un gruppo o 20 deputati dissentano sul modo in cui la giunta, nel nuovo testo, ha recepito i principi e criteri direttivi, e presentino perciò un testo interamente sostitutivo di quello della giunta che viene posto a votazione in alternativa. Una previsione comune ai due regolamenti consiste nel divieto per il Governo di porre la questione di fiducia sulle proposte di modifica del regolamento e sulle condizioni di funzionamento di Camera e Senato (art 116 R.C, art 161 R.S). 2.5. I REGOLAMENTI PARLAMENTARI SPECIALI E QUELLI MINORI Accanto al regolamento parlamentare il Parlamento italiano riconosce una molteplicità di altri atti, denominati anch’essi regolamenti rivolti a disciplinare organi della Camera o Senato o profili specifici del diritto parlamentare. Essi sono in genere sono previsti dal regolamento parlamentare in generale, anche se non mancano casi in cui il loro fondamento si può ritrovare anche all’interno di leggi ordinarie. Nell’ambito dei regolamenti “altri” rispetto a quello generale occorre operare una fondamentale distinzione a seconda del procedimento di formazione: - I regolamenti approvati dall’Assemblea dell’una o altra Camera, con le medesime procedure, inclusa perciò la garanzia della maggioranza assoluta, richieste per il regolamento maior e in genere con l’aggiunta di una consultazione (al Senato, per norma regolamentare) o proposta (alla Camera, per prassi) dell’organo collegiale interessato, rivolta alla giunta per il regolamento (che vede attenuarsi il proprio monopolio). I regolamenti rientranti nella prima categoria si possono denominare regolamenti speciali. - I regolamenti approvati dall’ufficio di presidenza della Camera o dal consiglio di presidenza del senato. I regolamenti che appartengono alla seconda categoria, si possono denominare regolamenti minori o di diritto parlamentare amministrativo - Regolamenti speciali: si tratta di sezioni specializzate dei regolamenti generali, dotati perciò del medesimo rango, formatisi con un procedimento normativo (lievemente) aggravato e abilitati anche a derogare, per la parte di loro competenza, alle prescrizioni dei regolamenti generali. Es. regolamento interno della giunta delle elezioni della Camera, regolamento per la verifica dei poteri applicabile alla giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, regolamento parlamentare per i procedimenti d’accusa contro il Presidente della Repubblica, approvato nel medesimo testo da Senato e Camera nel 15 Vi sono poi differenze tra legge ordinaria e regolamento parlamentare: riguardo al procedimento formativo la legge è bicamerale a maggioranza semplice, il regolamento parlamentare è monocamerale a maggioranza assoluta. Riguardo poi al regime giuridico, la legge è soggetta al vaglio del Presidente della Repubblica in sede di promulgazione e al sindacato di legittimità da parte della Corte Costituzionale, può essere abrogata totalmente o parzialmente con referendum. Il regolamento parlamentare no. Il panorama appena delineato dunque, fa sì che, l’ambito materiale riservato integralmente e in via esclusiva al regolamento parlamentare risulti piuttosto ristretto e limitato e che invece non mancano aree in cui si sovrappongono norme legislative e regolamenti parlamentari. Ciò comporta che, riguardo a tali aree occorre individuare un criterio per la risoluzione di possibili antinomie tra legge e regolamento parlamentare. In proposito, una parte della dottrina ha sostenuto che si debba applicare il criterio cronologico. Altra parte nega che sussista un tale problema, ritenendo che tra i due atti- fonte si realizzi una divisione di compiti in nome del principio di cooperazione, idonea a ad impedire ogni forma di antinomia tra legge e regolamento parlamentare. 4) GLI STATUTI DEI GRUPPI, DEI PARTITI E DELLE COALIZIONI: FONTI DEL DIRITTO PARLAMENTARE ? Fonte del diritto parlamentare è ritenuta da alcuni anche la normazione interna ai singoli gruppi parlamentari: i regolamenti dei gruppi parlamentari (ove esistenti) e anche gli statuti dei partiti cui essi corrispondono, o persino gli delle coalizioni (ovviamente, nella misura in cui tali atti dettino norme relative all’attività parlamentare dei propri membri). In Italia sono nati prima i partiti politici e poi le loro proiezioni parlamentari. Ciò ha fatto sì che spesso la proiezione del partito sia risultata sacrificata rispetto a quella extraparlamentare. È evidente che le qualificazioni di tali atti come fonti del diritto parlamentare appare tutt’altro che pacifica dipendendo dalla scelta adoperata dai diversi autori circa la natura giuridica dei gruppi parlamentari: se si propende per la lettura di essi come associazione tra privati o come organi dei partiti politici è ben difficile qualificare come fonti del diritto anche i relativi regolamenti. Se invece si opta per essi come organi delle Camere allora le loro regole (che spesso limitano il diritto attribuito al singolo parlamentare) sono rilevanti. In ogni caso, relativamente a tali atti, sussiste un grave problema di pubblicità in quanto gli statuti dei gruppi parlamentari appaiono poco conoscibili. La scelta della non pubblicità è coerente con la non giuridicizzazione del diritto interno ai partiti. Una rilevanza nell’ordinamento parlamentare degli statuti dei gruppi è stata sancita dall’ art 53 comma 7 r. S del 1988 il quale richiede che “i regolamenti interni dei gruppi parlamentari stabiliscano procedure e forme di partecipazione che consentano ai singoli senatori di esprimere i loro orientamenti e di presentare proposte sulle materie in discussione” (per dare tutela anche alle minoranze). Molto si discute intorno al valore di 18 tale prescrizione: secondo alcuni è una norma inutile o comunque di carattere meramente esortativo poiché caratterizzata dall’assenza di sanzioni; altri tendono a valorizzarla ritenendo come essa abbia posto fine al tradizionale atteggiamento di indifferenza tenuto dai regolamenti parlamentari rispetto agli interna corporis dei gruppi, delineando uno schema tipo di statuto con forti limiti all’autonomia della disciplina di gruppo. Alla Camera non ci sono previsioni analoghe, ma norme dirette a garantire appositi spazi a favore dei deputati dissenzienti rispetto al proprio gruppo: sia in sede di predisposizione del calendario, riservando agli interventi personali 1/5 del tempo totale attribuito al gruppo, sia in sede di dichiarazione del voto, in quanto spetta al Presidente d’ Assemblea stabilire modalità e tempo. Anche al Senato ci sono queste norme disciplinate rispettivamente dagli artt. 84 e 109. In Senato si è discusso se il dissenso potesse sussistere solo per il voto. 5) LE FONTI-FATTO 5.1. LE CONSUETUDINI COSTITUZIONALI Come è noto, le sole vere e proprie fonti-fatto sono costituite, nel nostro ordinamento, dalle consuetudini, vale a dire da comportamenti ripetuti nel tempo e tenuti in quanto reputati giuridicamente obbligatori. Esse trovano ampio spazio nella disciplina dei rapporti tra organi costituzionali, quindi anche nel diritto parlamentare caratterizzato da un alto tasso di politicità e perciò da un gran bisogno di adattabilità e flessibilità. Le uniche due volte che la Corte Costituzionale si è richiamata espressamente alle consuetudini costituzionali è stato in riguardo di istituiti propri del diritto parlamentare: autonomia contabile delle Camere e la mozione di sfiducia nei confronti del singolo ministro. Esempi di consuetudini rilevanti per il diritto parlamentare sono la questione di fiducia, l’immunità di sede e la non partecipazione del Presidente di Assemblea alle votazioni che in quell’Assemblea si svolgono. - Il rapporto fiduciario (la questione di fiducia): nel silenzio della Costituzione e dei regolamenti parlamentari è stato considerato disciplinato da una consuetudine costituzionale formatasi sulla base di decisioni presidenziali. E anche con la codificazione, lo spazio per le fonti - fatto non è venuto meno: le previsioni del regolamento della Camera sono state superate mediante pronunce presidenziali, e al Senato la disciplina introdotta dal regolamento appare parziale (sancisce il divieto di porre la fiducia su determinati oggetti). - L’ Immunità di sede: codificata in misura parziale solo di recente - La non partecipazione del Presidente di Assemblea alle votazioni dell’Assemblea è fatta risalire a Francesco Crispi che era Presidente dell’Assemblea 19 Vi è poi una consuetudine di tipo orizzontale, in quanto interessa, almeno potenzialmente, tutte le regole dettate dai regolamenti parlamentari: si tratta della già ricordata consuetudine nemine contradicente, che consente di derogare a singole disposizioni del regolamento in caso di assenso unanime sull’opportunità di tale deroga. 5.2. LE CONVENZIONI COSTITUZIONALI In merito ai caratteri delle convenzioni costituzionali sussistono diversi orientamenti dottrinali. Si discute se si tratti o meno di vere e proprie fonti dell’ordinamento giuridico (in genere prevalendo la risposta negativa) e se esse presuppongano in qualche misura un accordo, tacito o espresso, tra i titolari degli organi costituzionali interessati (in senso positivo Crisafulli; in senso negativo Zagrebelsky che ne sottolinea il carattere spontaneo). E’ pacifico che mentre nell’ordinamento inglese esse giocano un ruolo determinante ai fini della configurazione della forma di governo, nel vigente ordinamento italiano esse possono al più integrare la disciplina contenuta nella Costituzione, risolvendo questioni e difficoltà che si pongono all’atto della concreta applicazione delle norme costituzionali. Nel vigente ordinamento italiano esse possono integrare la disciplina contenuta della Costituzione, risolvendo questioni e difficoltà che si pongono all’atto della concreta applicazione delle norme costituzionali. La loro individuazione è problematica, non è sempre agevole distinguere le convenzioni costituzionali dalle regole di correttezza costituzionale, o da meri impegni e dichiarazioni di intenti politici, rese con riferimento al caso concreto, o ancora dalle mere prassi; e si traducono altresì nella difficoltà di delineare meccanismi istituzionali volti a sanzionare, se non sul piano giuridico almeno su quello politico - istituzionale, la loro eventuale violazione. Esempi di convenzioni costituzionali rilevanti per il diritto parlamentare possono forse considerarsi: - Gli accordi interistituzionali, i quali anche in Italia conoscono alcune manifestazioni come le circolari sulla redazione tecnica dei testi legislativi, sottoscritte dai Presidenti delle due Camere e Presidente consiglio dei ministri. - Le intese tra i Presidenti delle Camere, attraverso le quali sulle questioni di rilievo più generale e per lo più, in funzione di ausilio del Presidente della Repubblica hanno dettato regole per lo scioglimento di alcuni nodi istituzionali o relativi all’andamento del processo legislativo. - Gli impegni che il Governo prende in Parlamento e nei confronti delle Camere relativamente a fattispecie puntuali, ma costituzionalmente rilevanti e suscettibili di ripetersi in futuro: es. dichiarazione con cui il Presidente del consiglio, su sollecitazione delle opposizioni, si ripromette di non porre più questioni di fiducia su disegni di legge contenenti norme di delega. 20 1) UNA SERIE DI GARANZIE A TUTELA DELLA FUNZIONE PARLAMENTARE Ai deputati e ai senatori le norme costituzionali attribuiscono una serie di poteri, competenze e garanzie: immunità (art 68 Cost.) e indennità (art 69 Cost.). Tali previsioni sono integrate da disposizioni di legge e soprattutto, dai regolamenti parlamentari. Questo complesso di attribuzioni vanno intesi non come diritto del singolo (altrimenti violerebbe l’ art 3 Cost.) ma come situazioni giuridiche di natura individuale, strettamente inerenti alla funzione parlamentare che costituiscono lo status, cioè la condizione giuridica. Vanno intese quindi come situazioni individuali tutelate per assicurare l’indipendenza degli organi parlamentari. La Corte Costituzionale nella sentenza 231/1975 ha affermato che l’ indipendenza delle Camere si articola: - nell’autonomia organizzativa e normativa spettante a ciascuna di esse (riserva di regolamento e art 64 comma 1 Cost.); - nella loro esclusiva competenza alla convalida dei propri membri (art 66 Cost.) - nella non responsabilità dei medesimi per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (art 68 comma 1, immunità assoluta). L’ art. 122 ult. comma Cost. in omaggio al principio democratico rappresentativo, estende tale immunità anche ai membri dei Consigli regionali. - Nella loro immunità relativa (art 68 comma 2 Cost.) Lo status di parlamentare si acquista dal momento della proclamazione, atto conclusivo del procedimento elettorale. La proclamazione proviene o dagli uffici elettorali o, per i subentranti (a seguito delle opzioni dei parlamentari proclamati eletti più volte) dalla giunta provvisoria delle elezioni. Nel caso dei “senatori di diritto e a vita” (ex Presidenti della Repubblica) lo status di parlamentare si acquista automaticamente al momento steso in cui cessano dalla carica di Capo dello Stato. I “senatori a vita di nomina presidenziale” diventano tali dal momento della comunicazione al Senato della loro nomina. La proclamazione non garantisce da sola l’acquisto irrevocabile dello status, che è sottoposto alla condizione risolutiva che l’elezione non sia annullata dalla Camera di appartenenza e che da questa venga convalidata (art 66: spetta Cost.: a ciascuna Camera spetta giudicare dei titoli di ammissione (regolarità delle elezioni, mancanza di cause di ineleggibilità e incompatibilità) dei suoi componenti. Oltre che quando sia la Camera stessa ad accertare la mancanza dei requisiti per l’elezione di un parlamentare, la cessazione della carica parlamentare avviene per fine 23 della legislatura o per dimissioni. Riguardo le dimissioni la decisione spetta alla camera di appartenenza: le dimissioni di un parlamentare devono essere annunciate all’Assemblea. Se sono dovute a cause di incompatibilità di altri incarichi col mandato parlamentare, delle dimissioni si prende semplicemente atto senza dibattito e senza voto; se sono motivate da ragioni diverse dall’incompatibilità (fattori eminentemente politici) devono essere accettate dall’Assemblea con un voto esplicito (di solito per ragioni politiche o personali non vengono accettate in prima battuta). L'insieme di tali garanzie è periodicamente sottoposto a critica, in nome di una rigorosa applicazione del principio di eguaglianza e per gli aspetti dello status che configurano limitazioni al potere giudiziario. Da una parte tali istituti mantengono molta della loro utilità nel garantire l’ autonomia ai processi decisionali che si svolgono in Parlamento, dall'altra parte si prestano ad un uso distorto ed eccessivo dal potere politico. Si ha la necessità di individuare un equilibrio, cioè tra la tutela del libero funzionamento delle Assemblee parlamentari e l'applicazione dei principi dello Stato di diritto (che possono subire deroghe solo se previste nella Costituzione). La determinazione di questo equilibrio viene sistematicamente affidata alla Corte Costituzionale in sede di risoluzione di conflitti di attribuzione tra giudici e Camere relativi all'art.68 Cost. o concernenti il riconoscimento, da parte del giudice e a favore del parlamentare-imputato, di un “legittimo impedimento” alla partecipazione al processo in caso di concomitante svolgimento di lavori parlamentari (sent.225/2001-451/2005 sull'on. Previti; sent.263/2003 sull'on. Matacena; sent.284/2004 sull'on. Cito). 2) LE IMMUNITA’ PARLAMENTARI 2.1. LE ORIGINI, TRA INGHILTERRA E FRANCIA L’ immunità è Insieme dei meccanismi di tutela previsti dall’ art 68 Cost. , a garanzia dell’indipendenza e del regolare funzionamento delle Camere di fronte agli altri poteri dello Stato. Veri e propri divieti sono rivolti agli altri poteri, soprattutto a quello giudiziario. La prima immunità ad essere stata codificata è l’ insindacabilità (art 68 comma 1 Cost.): i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (irresponsabilità). Si tratta di una garanzia sostanziale che immunizza i parlamentari da ogni responsabilità giuridica (penale, civile, amministrativa, disciplinare) per tutte le decisioni e per tutte le manifestazioni del pensiero che hanno avuto luogo “nell’esercizio delle loro funzioni”. Questa tutela non viene meno con la cessazione dello status di parlamentare Già nel ‘300 il Parlamento inglese, nell’affermare la propria autorità, denunciò i costumi scandalosi della corona e della sua corte e seppe resistere alla volontà del Re di censurare questa discussione condannandone i protagonisti. Il Re fu costretto ad 24 annullare una sentenza di condanna pronunciata su suo ordine e a riconoscere quindi la libertà di parola e discussione del Parlamento. La libertà di parola fu poi iscritta nel Bill of Rights (nel 1689 dopo la cosiddetta “Gloriosa rivoluzione”) in base al quale (art.9) essa in Parlamento non può essere ostacolata o contestata né in sede giudiziaria né in altra sede diversa da quella parlamentare. Un secolo dopo, con la Costituzione del 1791, l’Assemblea nazionale francese affermando lan sua indipendenza dal sovrano, sancì in aggiunta una garanzia di tipo procedurale: l’inviolabilità della persona di ciascun deputato senza il consenso della camera di appartenenza. Si tratta del divieto di perseguire, arrestare o detenere un deputato senza l’autorizzazione dell’Assemblea stessa. Il parlamentare può essere arrestato in caso di flagranza o in forza di un mandato di cattura, ma ne sarà dato immediato avviso al corpo legislativo e l’azione giudiziaria potrà essere continuata solo dopo che il corpo legislativo avrà deciso che vi è luogo all’accusa (art 7-8 Cost. 1791) Il modello francese fu seguito dallo Statuto Albertino: si prevedeva sia insindacabilità che inviolabilità (art. 51 insindacabilità / artt.45-46 nessun deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, né tradotto in giudizio senza il previo consenso delle Camere). Dopo lo svuotamento delle prerogative parlamentari realizzato dal fascismo, la Costituente ripristinò, con alcune varianti, la disciplina statuaria sia relativamente all'insindacabilità sia riguardo all'inviolabilità: c.d. “autorizzazione a procedere” (art 68 c 2-3 Cost.). Mentre l’insindacabilità ha effetto su tutti i procedimenti giurisdizionali, non viene meno con la cessazione dello status parlamentare ed è tendenzialmente automatica la sua applicazione esclusivamente in relazione ad opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, l’inviolabilità si applica solo nei riguardi di misure relative al processo penale ed esclusivamente fin tanto che il parlamentare è in carica. Insindacabilità è anche tendenzialmente automatica nell’applicazione, mentre l’inviolabilità è superabile con un’autorizzazione da parte della camera di appartenenza, la quale può dare il “via libera” alle misure coercitive o investigative nei confronti del parlamentare. Il testo originario dell' art. 68 Cost. e quello attualmente vigente Testo originario Testo attualmente vigente (come modificato dalla legge. cost. 3/1993) “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. 25 risoluzioni, interpellanze e interrogazioni per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto, per ogni atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, divulgazione, critica e denuncia politica connessa alla funzione parlamentare espletata anche fuori dal parlamento”. Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 120/2004, ha escluso che la legge n. 140/2003 abbia eliminato la necessità del “nesso funzionale” fra le opinioni espresse dal parlamentare fuori dal Parlamento, assunte come diffamatorie, e l’esercizio delle funzioni parlamentari. Ha ribadito invece che queste rientrano nell’insindacabilità solo se costituiscono “divulgazione e riproduzione” di attività parlamentari. La legge n. 140/2003 ha cristallizzato una serie di principi di ordine procedimentale, così codificando regole non scritte che si erano andate consolidando nei rapporti tra giudici e Parlamento quanto all’applicazione del comma 1. Pregiudizialità parlamentare (art 3 della legge n. 140/ 2003): il giudice di fronte all’invocazione della prerogativa parlamentare, o ritiene il comportamento coperto dall’insindacabilità e tale lo dichiara chiudendo il processo con rigetto della domanda risarcitoria o con l’assoluzione oppure sospende il procedimento e attende la delibera della Camera interessata. La garanzia dell’insindacabilità se non applicata direttamente dal giudice, può esser fatta valere dal deputato o senatore interessato, il quale attiva così il procedimento parlamentare. Si tratta quindi di una “pregiudizialità impropria” giacchè la questione dell’insindacabilità si pone solo se eccepita dall’interessato e non accolta dal giudice. Se invece il parlamentare non volesse sollevare il problema e preferisse difendersi nel merito dei rilievi che gli fossero mossi, il Parlamento non avrebbe titolo ad intervenire. Sia le richieste di deliberazioni in materia di insindacabilità presentate dai magistrati sia quelle dei parlamentari stessi sono deferite al Presidente dell’Assemblea che le riceve a un organo che le istruisce: la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari al Senato e la giunta per le autorizzazioni alla Camera. La giunta deve presentare una proposta, corredata da una relazione, all’Assemblea. Nel frattempo il procedimento dinanzi al giudice è sospeso. La legge n. 140/2003 fissa il termine massimo di tale sospensione: 90 giorni dalla ricezione degli atti da parte della camera, prorogabili di altri 30 giorni su richiesta della camera. Oltre tale termine il procedimento può riprendere, ma è ancora suscettibile di essere bloccato dall’intervento fuori termine della Camera interessata purché sentenza non sia divenuta definitiva. Nell’elaborazione delle proposte al giunta segue un procedimento quasi giurisdizionale, invitando il parlamentare a fornire chiarimenti ritenuti opportuni. È poi il plenum della Camera o del Senato a decidere sulle richieste presentate dall’autorità giudiziaria o sottoposte dai parlamentari. L’ Assemblea può anche rovesciare le indicazioni della giunta. Nel maggio 1993 (dopo il diniego dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi) le giunte per il regolamento stabilirono che le votazioni delle autorizzazioni al procedimento avessero luogo a scrutinio palese, non dovendosi più considerare come votazioni riguardanti persone, ma espressione di una prerogativa dell’organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri organi dello Stato. 28 2.3. INVIOLABILITA, SALVO AUTORIZZAZIONIE AL PROVVEDIMENTO Cancellata nel 1993 la necessità dell’autorizzazione alle indagini e all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei parlamentari, resta tuttavia imprescindibile la necessità l’ autorizzazione della Camera di appartenenza per arrestare il parlamentare (salvo che si tratti di eseguire una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero qualora il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto come obbligatorio l’arresto in flagranza) e compiere alcuni atti rilevanti della precedente fase di indagine e di acquisizione delle prove, invasivi della sfera della libertà personale dei parlamentari: quindi, perquisizioni domiciliari e personali e, a partire dal 1993, sequestro di corrispondenza e ogni altra forma di intercettazione di conversazioni o comunicazioni. La regola generale che le Camere devono seguire, per evitare che la prerogativa si trasformi in privilegio, è che la concessione dell’autorizzazione all’arresto o alla privazione in qualsiasi altra forma della libertà personale del parlamentare sia negata solo in via eccezionale, sulla base del sospetto di una volontà persecutoria, cosiddetto fumus persecutionis, negli intenti che muovono l’azione dell’autorità giudiziaria: fumus che si ritiene non sussistente nel caso dell’arresto in flagranza e nelle ipotesi di condanna definitiva. Si distingue tra fumus soggettivo per le modalità e i tempi dell’esercizio dell’azione penale e fumus oggettivo per l’evidente infondatezza dell’azione stessa. Al criterio del fumus persecutionis si aggiunge la considerazione di un ulteriore interesse che attiene strettamente alla funzionalità e all’indipendenza delle istituzioni parlamentari: l’ interesse a che non venga alterata l’integrità della composizione delle Camere, come risultante dal voto dei cittadini. Lo scrutinio parlamentare deve essere in tal caso più rigoroso, venendo in ballo sia l’integrità numerica, sia la composizione politica dell’Assemblea. Nella prassi, le Camere hanno finora autorizzato l’arresto di parlamentari non condannati in via definitiva solo in 4 casi (tra la 1° e 4° legislatore) per deputati inquisiti per gravi fatti di sangue, istigazione ai reati di terrorismo o di detenzione di armi, nelle ultime legislature, invece vi sono stati solo dinieghi all’arresto. Il problema più scottante ora è quello delle intercettazioni telefoniche: sin dall’entrata dell’art 68 Cost. si osservò che le intercettazioni (ma lo stesso dovrebbe dirsi per le perquisizioni domiciliari, che proprio nella sorpresa trovano una condizione essenziale per la loro riuscita) non avrebbero potuto più essere efficacemente utilizzate dai magistrati inquirenti, i quali quindi avrebbero dovuto rinunciare a una serie di strumenti per istruire l’accusa nei confronti dei parlamentari. E in effetti avrebbe poco senso chiedere l’autorizzazione preventiva ad una Camera per sottoporre ad intercettazione un’utenza telefonica intestata ad un parlamentare. Tuttavia, proprio la delicatezza di questo strumento investigativo giustifica la scelta del legislatore costituzionale del ’93 a garanzia della funzione parlamentare, volta a impedire che “l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività parlamentare” (intercettazioni indirette). 29 La legge n. 140 /2003 ha previsto che l’obbligo di richiedere l’autorizzazione sussiste anche: - Per acquisizione di tabulati di comunicazioni che si riferiscono a utenze intestate al parlamentare - Per utilizzo delle cosiddette “intercettazioni indirette” (riguardanti cioè le comunicazioni del parlamentare, ma effettuate su utenze diverse da quelle a lui intestate). In questo caso l’autorizzazione non può essere preventiva. Spetta quindi al giudice per le indagini preliminari decidere della rilevanza o meno dei verbali e delle registrazioni alle quali hanno preso parte membri del Parlamento : disponendone la distruzione, ove ritenuti irrilevanti o, in caso contrario, richiedendo, entro i 10 giorni successivi, “l’autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in cui le conversazioni o le comunicazioni sono state intercettate”. 3) L’ INDENNITA’ PARLAMENTARE, LA DIARIA E IL DOVERE DI PARTECIPARE ALLE SEDUTE Art 69 Cost. “I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge.” A tutela dell’indipendenza dei parlamentari, per consentire a tutti i cittadini l’accesso al mandato parlamentare e permettere l’esercizio di tale mandato, senza condizionamenti economici, l’art 69 Cost. prevede che deputati e senatori abbiano diritto a percepire un’indennità stabilita dalla legge. Pare un vero e proprio diritto soggettivo del singolo parlamentare. Secondo la legge n. 1261/1965 ai parlamentari spetta un’indennità costituita da quote mensili, una vera e propria retribuzione del lavoro parlamentare, determinata dagli uffici di presidenza delle Camere in misura tale da non superare lo stipendio mensile dei magistrati con funzione di presidenti di sezione della Corte di cassazione, unitamente ad una “diaria” corrisposta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma e determinata sempre dagli uffici di presidenza (sulla base di 15 giorni di presenza al mese e in misura non superiore all’indennità giornaliera prevista per i magistrati cassazione). Lo statuto Albertino prevedeva la gratuità dell’attività parlamentare, la diaria era l’unica via per garantire una retribuzione ai parlamentari. Secondo molti la diaria è fonte di confusione e problemi dato che l’ammontare sia dell’indennità (secondo i limiti cui si è accennato), sia della “diaria” non è definito dalla legge, dal momento che questa rinvia a decisioni degli uffici di presidenza delle due Assemblee, limitandosi a stabilire una serie di criteri. Per la sua funzione, tuttavia, quella di garantire l’indipendenza dei parlamentari, l’indennità è indisponibile, né può essere soggetta a sequestro o pignoramento. Oggetto di polemica è anche il trattamento fiscale dell’indennità: un tempo era esente Art 67 Cost. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” Art 48 Cost. “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” Art 58 Cost. “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età.” Art 51 Cost. “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.” Art 65 Cost. “La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o senatore.” La caratteristica essenziale dei parlamenti è l’essere rappresentativi: ciò fonda la legittimazione delle loro decisioni la centralità degli stessi nei sistemi politici. Solo perché dotato di una funzione costituzionale di rappresentanza generale della società nello Stato, di rappresentanza dunque politica, relativa non a singoli o a parti, ma alla comunità nazionale (art. 67 Cost.), il Parlamento, a maggioranza, può adottare deliberazioni che si presume rappresentino la volontà degli elettori. L’ elezioni a suffragio universale diretto della Camera e Senato ogni 5 anni sono lo strumento che garantisce questa legittimazione del Parlamento e quindi del sistema istituzionale. Le elezioni hanno una funzione di legittimazione e al contempo di espressione delle opinioni e degli interessi; garantiscono il ricambio dei governanti e permettono un controllo dei rappresentati sui rappresentanti e quindi dei cittadini sulle strutture dello Stato. La materia elettorale è oggetto di prescrizioni costituzionali soprattutto per elettorato attivo e passivo. L’art 48 Cost. fissa le condizioni dell’elettorato attivo precisando che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età. Ma il successivo art. 58 Cost. specifica che gli elettori per il Senato sono solo i cittadini che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Il voto di ciascun cittadino, il cui esercizio è un dovere civico, è sempre, secondo l’art. 48 Cost., personale, uguale, libero e segreto. L’art. 51 Cost. stabilisce il principio per cui tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, rinviando però alla legge la fissazione dei relativi requisiti (con la revisione del 2003 la Repubblica si impegna a promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini). L’ Art 65 Cost. riserva alla legge la determinazione dei casi di ineleggibilità e incompatibilità con ufficio di deputato e senatore. Art 56 Cost. “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di 630. Sono eleggibili a deputati tutti coloro che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età.” 33 Art. 57 Cost. “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. Il numero dei senatori elettivi è di 315. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiori a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’ Aosta uno. Art 58 Cost. “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anni di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.” Gli artt. 56-57-58 Cost. ribadiscono che le due Camere sono elette a suffragio universale diretto. Il numero dei deputati è 630, quello dei senatori 315, cui si aggiungono i 5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica e quelli di diritto (gli ex Presidenti della Repubblica). Sono eleggi bili alla Camera i cittadini che abbiano compiuto 25 anni, al Senato quelli che abbiano compiuto 40 anni. La Costituzione disciplina poi il modo con cui sono ripartiti i seggi: proporzionalmente alla popolazione di ogni regione al Senato che è eletto a base regionale (nessuna regione può avere meno di 7 senatori), per la Camera si parla su base nazionale Le leggi cost. n. 1/ 2000 e n. 1/2001 hanno istituito la “circoscrizione estero” per cui gli italiani residenti all’estero eleggono, votando per corrispondenza, 12 deputati e 6 senatori suddivisi in 4 ripartizioni (Europa, America settentrionale e centrale, America meridionale e resto del mondo: Africa, Asia, Oceania e Antartide). 2) I SISTEMI ELETTORALI DI CAMERA E SENATO 2.1. DAL SISTEMA PROPORZIONALE A QUELLO PREVALENTEMENTE MAGGIORITARIO La Costituzione tace su quello che è ritenuto il cuore della materia elettorale, ossia il sistema elettorale in senso proprio: il meccanismo di traduzione dei voti in seggi. La scelta del sistema elettorale è rimessa al legislatore ordinario statale (art 117 Cost.) con la sola garanzia di escludere questa materia da quelle esaminabili con il procedimento semplificato e meno garantistico delle cosiddette commissioni in sede legislativa o deliberante. La materia non è invece fra quelle per cui l’ art 75 Cost. esclude il referendum abrogativo e così all’inizio degli anni ’90 la legislazione elettorale che adottava per entrambe le Camere sistemi proporzionali fu oggetto di due referendum abrogativi nel 1991 e nel 1993: il primo comportò il passaggio alla Camera dalla preferenza multipla (se ne potevano esprimere fino a 5 nelle circoscrizioni più ampie) alla preferenza unica (indicazione del nome del candidato). Il secondo trasformò il sistema elettorale del Senato in un sistema maggioritario di collegio con recupero 34 proporzionale (relativo a ¼ di seggi). La spinta del referendum portò a una completa revisione delle leggi elettorali di entrambi i rami del parlamento: con la legge n. 276/ 1993 e la legge n. 277/1993. Col sistema elettorale proporzionale vigente fino al 1993 le coalizioni di governo si formavano dopo le elezioni mentre a partire dal ’94 vi è progressiva affermazione di un confronto elettorale bipolare. 2.2. IL VECCHIO SISTEMA ELETTORALE DELLA CAMERA Il vecchio sistema elettorale alla Camera (dal 1993 al 2005) previsto dalla legge n. 277/1993 (applicato nel 1994, 1996 e 2001) stabiliva la possibilità di espressione di due voti su due schede separate: il primo valido per l’assegnazione del 75% dei seggi in collegi uninominali con formula maggioritaria relativa (“plurality”, il candidato con maggioranza dei voti viene eletto), il secondo per il restante 25% dei seggi ripartiti proporzionalmente tra le liste che avessero conseguito almeno il 4% dei voti a livello nazionale. Un collegamento tra le due schede era dato dal cosiddetto “scorporo”: al riparto dei seggi proporzionali, infatti, le liste concorrevano non con tutti i voti ottenuti, ma scorporando, cioè sottraendo da questi una parte dei voti ottenuti nei collegi uninominali dai candidati vincenti collegati alle liste medesime (i voti necessari per aggiudicarsi il collegio, ossia quelli del candidato risultato secondo più uno). Aggiramento dello scorporo con le “liste civetta”: proprio per evitare la penalizzazione derivante dallo scorporo nelle elezioni del 2001 le due maggiori coalizioni hanno fatto collegare gran parte dei candidati dei collegi uninominali non con le effettive liste di appartenenza ma con liste civetta (prive con ogni probabilità di consensi nella scheda proporzionale). Ciò ha avuto per il partito della coalizione vincente (Forza Italia) un risultato paradossale: il sistema elettorale infatti prevedeva che, qualora ad una lista spettassero più seggi rispetto al numero dei candidati al proporzionale si sarebbe dovuto procedere al ripescaggio dei candidati non eletti ai collegi uninominali collegati alla lista. Questo caso si è verificato nel 2001 per le liste di Forza Italia, ma essendo quasi tutti i candidati appartenenti al partito di Forza Italia, nei collegi uninominali, collegati non alle liste recanti questo contrassegno ma a liste civetta non si è riusciti a individuare un numero sufficiente di candidati perdenti nei collegi uninominali da ripescare. Secondo il regolamento di attuazione della legge elettorale questi seggi si sarebbero dovuti distribuire proporzionalmente alle altre liste (e cosi 7 degli 11 seggi sarebbero passati all’opposizione). Ciò ha determinato un lungo contenzioso che si è risolto con la decisione salomonica della Camera di non assegnare questi 11 seggi. 35 organo, la giunta delle elezioni, composta da 30 membri alla Camera e 23 al Senato, scelti dal Presidente (su indicazioni non formalizzate dei gruppi) e per prassi consolidata presieduta da esponenti dell’opposizione. Queste giunte, raccolto il materiale documentale dagli uffici elettorali, ricevuti gli eventuali ricorsi, predispongono relazioni circoscrizione per ogni circoscrizione. La funzione di relatore è affidata a ciascun componente della giunta purché non eletto nella medesima circoscrizione (criterio automatico). Su iniziativa dei relatori la giunta può decidere di proporre all’aula la convalida delle elezioni o aprire un’ istruttoria: decisione quest’ultima che può prendere d’ufficio o stimolata da ricorsi. Così la giunta, o meglio un comitato costituito al suo interno, procede a verificare le schede: le bianche, le nulle e le valide, a campione o se necessario a tappeto. Tutte queste attività sono compiute alla Camera in contraddittorio, mentre il Senato segue un modello inquisitorio che considera il contraddittorio come meramente eventuale A conclusione dell’istruttoria la giunta può proporre la convalida o la contestazione dell’elezione. In quest’ultimo caso si sviluppa una procedura quasi dibattimentale: si svolge una vera e propria udienza pubblica, ove le parti possono farsi assistere da un avvocato, al termine della quale, in camera di consiglio la giunta decide proponendo convalida o l’annullamento dell’elezione contestata. La decisione passa poi all’ Assemblea che può sovranamente rovesciare, con un voto privo di motivazione, la proposta argomentata dalla giunta , senza la possibilità di alcun rimedio giurisdizionale. Fino al 1992 l’annullamento portava alla proclamazione di un parlamentare dello stesso partito del candidato, dal 1992 al 2006 porta la proclamazione di un parlamentare dello schieramento avverso. Oggi l’esistenza di liste bloccate riduce il contenzioso tra candidati. Dal 1992 il regolamento del Senato prevede che sulle proposte della giunta l’Assemblea non proceda a votazioni, intendendosi approvate le conclusioni della giunta stessa. Alla camera dal 1990 questa procedura di silenzio-assenso si segue qualora una proposta discenda dal risultato di accertamenti meramente numerici, in tal caso, 20 deputati possono chiedere di rinviare la questione alla giunta per ulteriori verifiche. (al senato 20 senatori possono presentare conclusioni difformi da quelle della giunta). L’aula stessa resta pertanto sovrana nel decidere se annullare o meno elezione, ma con obbligo di fornire una qualche motivazione ove si discosti dalle indicazioni della giunta. 4) L’ ACCERTAMENTO DELLE CAUSE DI INELEGGIBILITA’ E DI INCOMPATIBILITA’ Un procedimento analogo segue l’accertamento delle cause di ineleggibilità e incompatibilità. Il fine è di mantenere distinte le classi politiche nazionali e locali. 38 - Le cause di ineleggibilità sono raccolte nel testo unico n. 361/1957 e possono essere ricomprese in 5 gruppi: - Titolarità di alcune cariche elettive (presidenti di provincia, sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti) - Titolarità di determinati uffici (magistrati, prefetti, diplomatici, capi di gabinetto dei ministeri, direttori generali delle ASL) - Titolarità di particolari rapporti economici con lo Stato - Titolarità di rapporti di impiego con governi esteri - L’essere giudici costituzionali (e più di recente, componenti di autorità di vigilanza) Per potersi candidare i titolari di cariche elettive e di uffici pubblici per i quali è prevista ineleggibilità devono abbandonare la carica almeno 180 giorni prima della fine della legislatura, o nel caso di scioglimento anticipato, entro i 7 giorni successivi alla pubblicazione del relativo decreto. Quest’ultima possibilità è negata dal 1997, ai magistrati che intendono candidarsi nelle circoscrizioni sottoposte alla giurisdizione degli uffici cui sono assegnati (unico caso di ineleggibilità assoluta giustificato dal legislatore, per tutelare imparzialità dell’amministrazione della giustizia). Alcuni funzionari statali se eletti possono collocarsi in aspettativa, mentre i sindaci dei comuni più popolosi e i presidenti delle giunte provinciali devono abbandonare la carica prima delle elezioni. È ingiustamente oneroso un naturale cursus honorum quando in gran parte degli stati il ceto politico nazionale trova nella classe di governo locale il primo ed essenziale canale di alimentazione. Non vale, invece, la regola inversa: deputati e senatori possono essere eletti sindaci o presidenti di provincia e, oggi, tendono comunque a conservare il proprio mandato parlamentare. In passato per prassi si era adottata l’interpretazione che la carica che determina ineleggibilità, nel caso fosse assunta successivamente all’elezione parlamentare, comportava l’incompatibilità. La più recente giurisprudenza ha rivisto l’orientamento e facendo leva sulla mancanza di una norma sull’ineleggibilità “a specchio”, ossia di una norma che, oltre all’ineleggibilità alla carica di parlamentare per i presidenti delle giunte provinciali e per i sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti, preveda espressamente anche l’ineleggibilità dei parlamentari in corso di mandato alle stesse cariche locali, le giunte di Camera e Senato sono addirittura arrivate a riconoscere le legittimità del cumulo dei mandati. Sono storicamente datate anche le disposizioni che prevedono ineleggibilità di chi ha rapporti economici con lo Stato, qui il criterio seguito è quello formale del rapporto con lo Stato: la pura “fornitura statale”. E così non può candidarsi chi è legato con lo Stato da rapporti d’affare anche di modesta entità, mentre la via è aperta a chi controlla società titolari di importanti concessioni che lo pongono in condizioni di incidere sulla formazione del consenso elettorale. 39 - La Costituzione prevede anche alcune ipotesi di Incompatibilità per il parlamentare: mira cioè ad impedire il cumulo del mandato parlamentare con altro incarico per evitare che questo possa pregiudicare il corretto e libero esercizio della funzione parlamentare (art 67 Cost.) e il buon andamento dell’amministrazione (art 97 Cost.). Non si può essere contemporaneamente: - deputato e senatore -Parlamentare e giudice costituzionale, membro del CSM o consigliere regionale -Parlamentare e Presidente della Repubblica (ufficio quest’ultimo incompatibile con ogni carica) Le leggi prevedono molti altri casi di incompatibilità con: - Cariche di nomina governativa, cariche in enti o associazioni che garantiscono servizi in concessione o ai quali lo stato contribuisce in via ordinaria, cariche direttive in istituti bancari o società finanziarie. - Mandato di parlamentare europeo - Consigliere del CNEL - Cariche di autorità di garanzia e molte altre … Mentre il giudizio sulle cause di ineleggibilità rientra nella verifica dei poteri, e dunque si svolge contestualmente alla convalida di cui costituisce un aspetto, il giudizio sulla compatibilità degli incarichi dei parlamentari presuppone che la convalida sia già avvenuta. I parlamentari hanno l’obbligo, strumentale a entrambi i giudizi, di comunicare ai Presidenti dell’ Assemblea gli incarichi ricoperti. Sulla base di questa documentazione, appositi comitati permanenti delle 2 giunte, svolgono un istruttoria in contraddittorio con l’interessato. Se emerge un’ incompatibilità il parlamentare deve optare tra il mandato di parlamentare e l’incarico incompatibile . Se sceglie il suo incarico, le dimissioni sono annunciate in aula senza voto. Qualora non vi sia l’opzione, la giunta propone all’Assemblea di dichiarare la decadenza del parlamentare e ad esso subentra il primo dei non eletti. 5) I GRUPPI PARLAMENTARI 5.1. LA COSTITUZIONE DEI GRUPPI (ORDINARI E AUTORIZZATI) 40 All’interno dell’ordinamento parlamentare la suddivisione dei parlamentari in gruppi è funzionale a esigenze organizzative. Consente di disporre di un metro per comporre in modo proporzionalmente rappresentativo gli organi delle Camere, innanzitutto le commissioni permanenti e d’inchiesta. Serve inoltre per attribuire alcuni poteri procedurali, in genere in alternativa ad un certo numero di parlamentari. Alla Camera, per evitare che questi poteri fossero esercitati in modo ostruzionistico dai presidenti dei gruppi autorizzati, si è previsto il criterio ponderale: si è espressamente previsto che i presidenti dei gruppi che esercitano il potere in questione siano a capo di gruppi di consistenza numerica tale da raggiungere, separatamente o congiuntamente, la soglia di deputati necessari per esercitare quel potere. Il regolamento del Senato tende invece ad attribuire tali poteri solo ad un certo numero di senatori, ma esistono anche poteri attribuiti in esclusiva ai presidenti dei gruppi (come quello di presentare interpellanze di gruppo). I presidenti dei gruppi, riuniti dal Presidente d’Assemblea e sotto la presidenza di quest’ultimo, formano la conferenza dei presidenti di gruppi: l’ organo di direzione politica di ciascuna Camera che definisce il programma e il calendario dei lavori, ossia quali siano gli argomenti da discutere e con quali tempi e priorità. Un organo solo sommariamente disciplinato dal regolamento della Camera, e in modo indiretto da quello del Senato, che svolge funzioni politiche anche tipiche e crescenti, costituendo oggi il vero baricentro delle due Camere. Ai gruppi l’amministrazione e il bilancio delle Camere assicurano la disponibilità di locali e attrezzature e il versamento periodico di contributi. Per il regolamento della Camera nel distribuire queste risorse bisogna “tener presente le esigenze di base comuni a ciascun gruppo e la consistenza numerica dei gruppi stessi”. Il regolamento del Senato si limita a richiedere che i contributi siano differenziati in relazione alla consistenza numerica dei gruppi stessi. Presso i gruppi possono essere distaccati o comandati dipendenti pubblici o privati. Particolari contributi a favore degli editori di quotidiani e periodici se organi o giornali di un gruppo parlamentare. Si aggiungono i contributi per i deputati e senatori del gruppo. Il funzionamento dei gruppi è disciplinato da statuti e regolamenti interni ai quali il regolamento del Senato richiede di stabilire “procedure e forme di partecipazione che consentano ai singoli senatori di esprimere i loro orientamenti e presentare proposte sulle materie comprese nel programma dei lavori o comunque all’ordine del giorno”. La disciplina di gruppo è un vincolo a cui volontariamente il parlamentare si sottopone, senza alcuna violazione dell’art. 67 Cost., Il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi che gli vengono dall’esterno, compreso il proprio gruppo parlamentare, ma è anche libero di sottrarvisi. Lo stesso gruppo può dare, in alcune materie, libertà di voto. Ma generalmente i parlamentari seguono le indicazioni dei gruppi. Il che permette un’organizzazione politica dei dibattiti nei quali al momento della votazione prende parola un oratore per gruppo, che quindi esprime la volontà del gruppo politico nel suo complesso. Il tempo disponibile è ripartito, dividendolo non per i parlamentari ma per gruppo, tenendo conto della loro consistenza numerica: sarà poi ciascun gruppo a decidere chi, quando e per quanto tempo far intervenire tra i parlamentari che ne fanno 43 parte. I regolamenti, nel rispetto dello spirito dell’art. 67 Cost., assicurano tuttavia spazi ai dissenzienti. Viene così tutelata la libertà del mandato del singolo parlamentare, che al di là dell’organizzazione partitica di cui i gruppi sono espressione, è la garanzia ultima dell’apertura del Parlamento al pluralismo culturale e sociale, della sua piena capacità di rappresentanza. 1) IL BICAMERALISMO Art 55 Cost. “ Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.” Art 70 Cost. “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.” Art 94 comma 1 Cost. “Il Governo deve avere fiducia nelle due Camere” Alla pluralità di funzioni del Parlamento corrisponde una struttura complessa e articolata. E’ l’esigenza di inserire un elemento equilibratore, di limite, a motivare l’assetto bicamerale del Parlamento. La scelta a favore del bicameralismo prevalse nell’ Assemblea Costituente sin dall’inizio dei suoi lavori (1946) rimanendo minoritaria l’opzione del monocameralismo sostenuta da socialisti e comunisti. Si affermò la scelta per un bicameralismo paritario nell’attribuzioni sancito nella Costituzione agli art 55 ( “Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”), art 70 ( “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”) e art 94 (“Il Governo deve avere la fiducia nelle due Camere). Questi aprirono il dibattito che si articolò su 3 orientamenti: - Intento di arricchire con altri elementi la rappresentanza parlamentare prevedendo una Camera rappresentativa anche degli interessi e delle categorie professionali - Volto a fare del Senato la “Camera delle regioni” - Si contrappone agli altri: diretto a garantire la sostanziale omogeneità delle due Camere (unica condizione perché i monocameralisti accettassero le due Camere). Il risultato fu un compromesso che ha inserito nella Costituzione solo pochi elementi di differenziazione tra le due Camere: 1) In primo luogo, la diversa disciplina nell’elettorato attivo e passivo (età). È un elemento che nella storia connota le Camere alte, deputate alla riflessione che giustifica la maggiore anzianità degli eletti e pure quella degli elettori. 2) In secondo luogo, il minor numero di componenti nella seconda camera (630 alla Camera dei deputati, 315 al Senato), che è anch’esso un elemento comune delle seconde Camere. Come pure il numero minimo di senatori assegnato a ciascuna regione: 7 (tranne per il Molise e la Val d’Aosta che ne hanno rispettivamente 2 e 1), il quale determina una disomogeneità rappresentativa a favore delle regioni meno popolate. 3) Mentre la Camera è tutta elettiva fanno parte del Senato anche alcuni membri vitalizi: i senatori a vita. Sono senatori di diritto a vita coloro che hanno ricoperto la carica di Presidente della Repubblica. Lo stesso Presidente può inoltre nominare senatori a vita 5 cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, 45 che abbiano compiuto atti contrati alla Costituzione, gravi violazione di legge o per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica”. La Costituzione, all’ art 126, prevede espressamente una sola commissione bicamerale: la commissione “di deputati e senatori” per le questioni regionali, cui affida una funzione consultiva nel procedimento di scioglimento dei consigli regionali. Oltre questa attribuzione costituzionale, la commissione, composta da 20 deputati e 20 senatori, è titolare di altre funzioni consultive: sia nei confronti del Governo, sia nel procedimento legislativo esprimendo il proprio parere obbligatorio, ma non vincolante, alle commissioni permanenti competenti su disegni di legge che riguardano le attribuzioni delle regioni. Un altro organismo bicamerale è previsto da una fonte costituzionale (legge cost. 1/1989). Si tratta del comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa. Esso è l’organo che istruisce la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. Questo organo risulta dalla giustapposizione dei due collegi parlamentari competenti per le autorizzazioni a procedere. Questi due organi costituiscono il modello per un vero e proprio sistema di commissioni bicamerali, sorte per decisione del legislatore, allo scopo di svolgere funzioni di indirizzo, controllo e vigilanza che il Parlamento esercita così attraverso organi che si collocano in una dimensione comune, riunendosi in una sede, a palazzo San Macuto, anche fisicamente ubicato a metà strada tra palazzo Madama e palazzo Montecitorio. Il legislatore, dove non vincolato dalle prescrizioni costituzionali, ha sviluppato i poteri del Parlamento utilizzando prevalentemente lo strumento della commissione bicamerale. Oltre le due commissioni previste dalla Costituzione e dalla legge costituzionale e le commissioni d’inchiesta (anche il potere di inchiesta è stato spesso utilizzato da commissioni bicamerali) vi sono commissioni bicamerali di indirizzo, dotate anche di poteri idonei ad incidere sull’amministrazione degli enti vigilati . Oggi l’unica di indirizzo in senso proprio è quella sui servizi radiotelevisivi (che ha peraltro soprattutto funzioni di vigilanza). Molte sono invece le commissioni bicamerali con funzioni di controllo: dal comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, presieduto dal un presidente eletto tra i parlamentari di opposizione, al comitato parlamentare di controllo su Europol, alla commissione di vigilanza sull’anagrafe tributaria. Vi sono poi commissioni dell’antica tradizione o di più recente istituzione che non sono commissioni parlamentari in senso proprio, poiché non composte solo da deputati e senatori, ma anche da soggetti esterni, per lo più di designazione governativa (commissioni “miste”): commissione di vigilanza sulla circolazione dei biglietti di banca, sull’istituto di emissione, ecc. commissioni più recenti ad esempio quelle sull’accesso ai documenti amministrativi ( non parlamentari in senso proprio dato che sono composte anche da soggetti esterni). 48 Alle bicamerali si possono assimilare, per la collocazione dell’ordinamento parlamentare, le delegazioni delle Camere presso organismi europei e internazionali (es. assemblea della NATO, del Consiglio d’Europa, ecc). I due regolamenti e la prassi poi hanno sviluppato una rete di sedi di lavoro comune, che superano funzionalmente la divisione bicamerale, laddove possibile, nella fase preparatoria e istruttoria di procedimenti che si concludono comunque con decisioni distinte delle due Camere. Le prospettive di una maggiore integrazione tra Camera e Senato sono molte. L’unico limite è quello del momento deliberativo, decisionale, che la Costituzione assegna a ciascuna Camera separatamente. 3) LE COMMISSIONI PERMANENTI L’evoluzione del Parlamento, con l’aumento delle sue funzioni ha un riflesso organizzativo. In Italia attraverso l’articolazione interna di ciascuna Camera in una serie di collegi minori: le commissioni che consentono di esercitare efficacemente l’insieme delle sue funzioni, in primo luogo quella legislativa, svolgendo un effettivo ruolo decisionale. L’articolazione in gruppi (riflesso parlamentare del sistema dei partiti politici) ha portato all’organizzazione di commissioni specializzate per materia, e conseguentemente permanenti, alle quali sono assegnati, secondo l’indicazione dei gruppi e proporzionalmente alla loro consistenza, tutti i parlamentari (con la sola eccezione del Presidente di Assemblea). La loro costituzione che avviene con la convocazione dei presidenti di ciascuna camera è uno dei primi atti della legislatura e ha luogo successivamente alla formazione del Governo: ciascuna commissione rappresenta l’interfaccia parlamentare di uno o più dicasteri. In particolare l’elezioni dei presidenti di commissione è legata agli equilibri politici della formazione di gabinetto: sia nel senso che questi sono spesso eletti tra coloro che aspiravano ad incarichi governativi ma non li hanno ottenuti, sia nel senso che si cerca di evitare che tali soggetti appartengano alla stessa forza politica del ministro che devono “controllare”. Ogni parlamentare è chiamato a far parte di una commissione permanente. Anche i membri del Governo (ministri e sottosegretari), i quali per la durata del loro ufficio, sono sostituiti, nell’attività della commissione, da un collega dello stesso gruppo. Quest’ultimo quindi farà parte di più commissioni, in deroga alla regola generale che ciascun parlamentare può essere membro di una sola commissione (art 19 R.C e art 21 R.S). La regola subisce poi un ulteriore e rilevante eccezione al Senato, ove 10 senatori possono costituire un gruppo a pieno titolo: i gruppi più piccoli, la cui consistenza sia inferiore al numero delle commissioni, possono designare uno stesso senatore in più commissioni, così da garantire la rappresentanza dei gruppi in tutte le commissioni permanenti. Il principio della rappresentanza proporzionale dei gruppi nelle commissioni, un principio sancito dalla Costituzione (art 72 comma 3 ) per le sole commissioni con 49 poteri deliberanti e d’inchiesta, è applicato dai regolamenti in via tendenzialmente generale. Salvo poteri correttivi dei Presidenti d’Assemblea spetta ai gruppi designare i propri rappresentati in commissione. Un potere che si ripropone dopo 2 anni di legislatura quando la composizione della commissione viene rinnovata e, ogni giorno con la possibilità di sostituire i propri membri in commissione per la seduta o per il provvedimento. La sostituzione è lo strumento che garantisce il controllo politico dei gruppi sulla composizione e quindi sui lavori delle commissioni ed è utilizzata per sanare le assenze di parlamentari. L’articolazione delle loro competenze materiali consente di coprire, attraverso di esse, l’intero spettro delle questioni che le Camere possono essere chiamate ad affrontare. Funzioni delle commissioni: - Le commissioni svolgono funzioni preparatorie rispetto all’attività dell’Assemblea. Nel procedimento legislativo istruiscono, per disposizione costituzionale, i progetti di legge, elaborando il testo sul quale poi l’aula discute e delibera. - Hanno anche il potere di definire automaticamente la volontà delle Camere cui appartengono: il procedimento legislativo può svolgersi tutto secondo i limiti e le garanzie fissate dall’art 72 Cost., nelle commissioni parlamentari permanenti in sede deliberante. - Le commissioni possono formulare atti di indirizzo al Governo nelle materie di loro competenza, approvando risoluzioni e in esse possono essere svolte le interrogazioni. - Alle commissioni è affidata una funzione consultiva “interna” mediante pareri indirizzati alle altre commissioni. Ciò in primo luogo qualora una materia investa le competenze di una pluralità di commissioni. In questo caso o viene fissata dai Presidenti la competenza prevalente in una sola commissione, invitandosi le altre a svolgere una funzione consultiva attraverso pareri; oppure si sceglie la via dell’ assegnazione del progetto di legge alle commissioni riunite (comporta una serie di inconvenienti pratici per l’ ampiezza del collegio). In secondo luogo è anche utilizzata per garantire la tutela di interessi trasversali di cui bisogna tenere conto per l’attività legislativa. È questa la ratio dell’intervento obbligatorio consultivo delle commissioni filtro: la affari costituzionali, la bilancio, ma anche quella per le politiche dell’Unione Europea. - Il legislatore ha poi previsto, con notevole frequenza, un’ attività consultiva “esterna” delle commissioni: sugli atti normativi del Governo, sugli atti preparatori della normativa su UE, sulle nomine fatte dal Governo. Le commissioni parlamentari (permanenti) sono dunque centri nevralgici dell’attività parlamentare, ciascuna secondo la propria competenza per materia, che corrisponde sostanzialmente ai vari settori dell’ amministrazione pubblica. È una ripartizione non perfettamente corrispondente nei due rami del Parlamento: es. il pubblico impiego trattato alla Camera dalla la commissione lavoro, rientra nel Senato tra le competenze della commissione affari costituzionali. Comunque garantisce una specializzazione dell’attività parlamentare. Il carattere negativo che li si contestava era l’estensione della legislazione 50 affidata dall’ art 66 Cost. a ciascuna Camera, che consiste nel controllo sulla regolarità delle operazioni elettorali e sull’accertamento di eventuali situazioni di ineleggibilità o incompatibilità. La giunta, composta di parlamentari nominati dal Presidente della Camera per l’intera legislatura, e perciò non sostituibili dai gruppi, opera secondo un proprio regolamento, il quale per i procedimenti che si svolgono dinnanzi alla giunta delinea forme procedurali garantite, quasi giurisdizionali. L’attività della giunta è un’ attività solo preparatoria di decisioni (annullamento elezioni ecc …) che possono essere rovesciate dall’ Assemblea, salvo che non si tratti del risultato di accertamenti numerici, in tal caso la proposta della giunta s’intende approvata, a meno che prima della conclusione discussione 20 deputati non chiedano con ordine del giorno motivato che si proceda ad ulteriori verifiche. - La giunta per le autorizzazioni è l’organo competente a valutare se un dato comportamento del parlamentare rientra tra quelli coperti da insindacabilità, a valutare se debbano essere accolte le richieste provenienti dall’autorità giudiziaria per esecuzione di provvedimenti in capo a un parlamentare nonché le richieste di autorizzazione a procedere nel caso di reati ministeriali, di reati cioè compiuti da ministri - deputati, nell’esercizio delle loro funzioni (art 96 Cost.). La giunta per le autorizzazioni è composta da 21 deputati (il corrispondente organo al Senato da 23 senatori) nominati dal Presidente della Camera e deve entro 30 giorni dal momento in cui è stata investita della questione presentare una proposta, corredata da una relazione all’Assemblea, che decide. La giunta segue un procedimento quasi giurisdizionale: invita il parlamentare a fornire chiarimenti assistito dal difensore. 6) IL PRESIDENTE D’ ASSEMBLEA Come per qualsiasi organo collegiale, anche nelle due Camere il Presidente è l’organo cui spetta regolare i lavori, dirigere e moderare le discussioni. Per assicurargli prestigio e ampia legittimazione, i regolamenti vigenti prevedono che sul nome del Presidente converga un consenso il più ampio possibile. Per l’elezione del Presidente è necessaria: - Al 1° scrutinio: la maggioranza costituzionale di 2/3 dei componenti alla Camera, al Senato basta invece la maggioranza assoluta. - Al 2° scrutinio : alla Camera i 2/3 dei voti dei presenti, al Senato la maggioranza assoluta dei presenti. Dopo il 3° scrutinio è sufficiente: la maggioranza assoluta dei presenti alla Camera, al Senato si procede al ballottaggio tra i 2 più votati, prevalendo in caso di parità, il più anziano. Le maggioranze elevate richieste nei primi scrutini alla Camera derivano da previsioni del 1971 che hanno contribuito a costruire nella dottrina la figura del Presidente “uomo della 53 Costituzione”, collocato in una posizione neutrale e super partes assimilabile a quella del Capo dello Stato. A consolidare questa raffigurazione ha contribuito la pratica dal 1976 al 1994 di eleggere Presidente della Camera un esponente del maggior partito di opposizione (al 1° scrutinio). Dalla XII legislatura l’elezione dei Presidenti è stato invece il primo atto di una divisione netta tra maggioranza e opposizione: nel 1994 sono stati eletti rappresentanti della maggioranza (con votazioni sul filo del rasoio). Nelle ultime tre legislature sono stati eletti leader riconosciuti di partiti minori della maggioranza. Durante l’ 800 (statuto Albertino) il voto per l’elezione del Presidente era considerato un vero e proprio voto di fiducia, da cui era fatta dipendere la sopravvivenza del Governo. La carica di presidente della Camera doveva essere rinnovata per ogni sessione. Il meccanismo adottato fino al 1971 dal regolamento Camera era rapido: 1) maggioranza assoluta 2) maggioranza dei presenti 3) ballottaggio. La convenzione di affidare la guida ad un esponente dell’opposizione era conforme all’assetto di democrazia bloccata degli anni ‘70. Funzioni del Presidente di Assemblea: Il Presidente regola lo svolgimento di ogni seduta, cui partecipa senza votare. “Il presidente dà la parola, dirige e modera la discussione, mantiene l’ordine, pone le questioni, stabilisce l’ordine delle votazioni, chiarisce il significato del voto e ne annunzia il risultato” (art 8 R.C). In questa attività il Presidente interpreta e applica il regolamento consultando nei casi più complessi la giunta per il regolamento. Si tratta di decisioni inappellabili, si pensi alle delicate decisioni sull’ammissibilità degli emendamenti. Alcune delle pronunce del Presidente costituiscono dei precedenti (si trasformano in fonti del diritto integrative del regolamento). Il Presidente tutela l’ordine dei lavori, e a tal fine, dispone di poteri disciplinari nei confronti dei parlamentari, nei casi più gravi può irrogare sanzioni come la censura o l’esclusione dell’aula per una o più sedute. In casi gravissimi può richiedere anche intervento della forza pubblica. Più in generale, il Presidente coordina l’attività di tutti i soggetti e organi che operano all’interno di ciascuna Camera : a lui spetta assegnare i progetti di legge e ogni altro affare alle commissioni parlamentari e alle giunte, autorizzate le stesse a compiere indagini conoscitive, nonché risolvere eventuali conflitti di competenza tra le medesime. Ma le funzioni del Presidente non si esauriscono al’interno di ciascuna Camera: i due Presidenti sono titolari di funzioni che incidono su alcuni snodi fondamentali della nostra forma di governo. La Costituzione affida al Presidente del Senato la funzione di supplenza del Capo dello Stato e nel caso di un suo impedimento e parallelamente, per mantenere un equilibrio tra le due figure e i due rami del Parlamento, al Presidente della Camera è affidata la funzione di Presidente del Parlamento in seduta comune. La Costituzione prevede inoltre che entrambi i Presidenti debbano essere consultati dal Presidente della Repubblica in caso di scioglimento delle Camere. Da ciò si evince che come i Presidenti hanno sviluppato nel tempo anche un generale ruolo di “primi consiglieri” del Capo dello Stato, consultati nei momenti più significativi della vita istituzionale. Ed è proprio in considerazione del particolare ruolo di garanti del buon andamento di ciascuna Camera e al contempo interpreti qualificati degli interessi delle istituzioni 54 parlamentari, che ha indotto il legislatore, tra anni ‘80 e ‘90 ad affidare ai due Presidenti una serie di altre funzioni, anche al di fuori degli ordinamenti delle due Camere: dalle delicatissime attribuzioni in materia di controllo sulla regolarità del finanziamento dei partiti politici, alla nomina o designazione dei componenti o presidenti di una serie di organi, parlamentari e non. I Presidenti nominano infatti, con atto congiunto, i presidenti di alcune commissioni d’inchiesta parlamentare e soprattutto i componenti degli organi esterni al parlamento. Si tratta essenzialmente degli organi di “autogoverno” di alcune magistrature (4 membri del consiglio di presidenza della corte dei conti) e di autorità indipendenti (componenti della commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici e dell’autorità garante della concorrenza e del mercato). Dopo la fine della consuetudine per cui uno dei due presidenti affidato a un esponente dell’opposizione, si è messo in discussione l’idea che i Presidenti fossero i soggetti più adatti a operare nomine pubbliche caratterizzate da un alto tasso di indipendenza. E così per le autorità indipendenti create dopo quella data sono stati previsti sistemi di nomina diversi. Il Presidente non ha mai svolto funzione di semplice Speaker. 7) LA CONFERENZA DEI CAPIGRUPPO Nell’esercitare le sue delicatissime funzioni in tema di programmazione dei lavori, Il Presidente di Assemblea non è solo, ma è assistito dalla conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari (conferenza dei capigruppo) nell’organizzare la programmazione dei lavori) . Questa è composta, oltre che dal Presidente che la convoca e la presiede, da tutti i presidenti dei gruppi parlamentari. Alla conferenza dei capigruppo della Camera possono essere invitati anche i vicepresidenti di Assemblea, i presidenti di commissione e i presidenti delle principali componenti politiche del gruppo misto ; a quella del Senato partecipano i vicepresidenti del Senato. In entrambe i rami del Parlamento, il Governo è parte necessaria della conferenza è sempre informato dal presidente del giorno e dell’ora della riunione per mandare un proprio rappresentante, che è in genere il ministro per i rapporti con il Parlamento. Inoltre il Governo è parte necessaria della conferenza, e può farvi intervenire un proprio rappresentante, che è in genere il ministro per i rapporti con il Parlamento. Inoltre, il Governo è attivamente coinvolto nella fase preparatoria della programmazione dei lavori, essendo tenuto a presentare le sue indicazioni di priorità che saranno tenute in considerazione nel programma e nel calendario dei lavori. Dunque il Governo è uno dei protagonisti della programmazione dei lavori. Le riunioni della Conferenza dei capigruppo non sono pubbliche, di esse viene redatto un resoconto che resta strettamente riservato (gli esiti delle sedute più importanti vengono comunicate in Assemblea). Per questa riservatezza, le sue funzioni negli ultimi anni si sono ampliate (talvolta si è sovrapposta alle attribuzioni della giunta per il regolamento) ed è stata in più occasioni chiamata a svolgere funzioni ben diverse dalla programmazione 55 Le amministrazioni delle Camere e le Camere nel loro complesso sono dotate altresì autonomia contabile: hanno bilancio autonomo e annualmente richiedono al ministero dell’economia l’iscrizione nel bilancio dello stato delle somme occorrenti al loro fabbisogno annuale. Ognuna stabilisce l’ammontare della propria dotazione (somma che può aumentare o diminuire, ciascuna Camera deve valutare le proprie priorità). L’autonomia contabile è fondata su una vera e propria consuetudine costituzionale. 58 7) LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO 1) LA CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI PARLAMENTARI Sia l’eco del principio della tripartizione dei poteri, sia l’architettura del testo costituzionale italiano, sia l’evoluzione del nostro sistema istituzionale hanno a lungo spinto per un’identificazione pressoché completa delle funzioni parlamentari con quella legislativa. Eppure il Parlamento italiano è titolare di altre funzioni. Per la loro identificazione non c’ è accordo tra gli studiosi: i manuali di diritto pubblico o costituzionale raggruppano le funzioni (diverse dalla legislativa) all’interno di due e o una categoria definita a seconda dei casi, di indirizzo, di controllo, direzione politica. Nei testi politologici si individua un’ autonoma funzione rappresentativa (a ben vedere non è una funzione ma è la natura stessa del Parlamento). La più chiara e più frequentemente richiamata è la classificazione proposta da Walter Bagehot con riferimento alla camera dei comuni inglese di metà ‘800: il Parlamento deve eleggere un buon Governo, fare buone leggi, educare bene la nazione, farsi correttamente interprete dei desideri della nazione, portare i problemi all’attenzione del paese (5 funzioni non in ordine casuale). 1) Per lui la funzione principale è quella elettorale che consiste nell’ eleggere il Primo ministro. Essa non termina al momento delle elezioni dato che ha il potere di far dimettere il premier (i rapporti non cessano mai, la camera dei comuni lo indirizza). 2) La funzione legislativa (ma classificata per quinta nella trattazione più analitica): non ne disconosce l’importanza, ma nega che sia più importante dell’elezione dell’esecutivo. Nella funzione legislativa ricomprende anche quella che potrebbe essere una sesta funzione: la funzione finanziaria (cadenza annuale, quindi non è diversa dalle funzioni relative alle altre materie legislative). Le altre 3 funzioni si contraddistinguono perché pongono la camera dei comuni in rapporto con opinione pubblica (con la nazione, che per Bagehot è il vero sovrano). Queste sono: 3) La “funzione pedagogica” attraverso la quale la camera dei comuni è chiamata a incidere e a modificare la società (deve migliorarla insegnando alla nazione ciò che non sa). 4) La “Funzione espressiva” o di rappresentanza che consiste nell’esprimere l’opinione dei cittadini su tutti gli argomenti che le vengono presentati. Tende a sovrapporsi alle prime due funzioni dato che vale il principio “ il parlamento sceglie bene quando sceglie come l’opinione pubblica vorrebbe che scegliesse”, quindi sia nel lavoro di scelta del governo che in quello legislativo. 5) La “funzione informativa” (la ritiene la seconda in ordine di importanza): la camera dei comuni informa la nazione su ciò che non va nel paese (evidenziando argomenti che 59 classi dirigenti non vogliono sentire). È la nazione che dialoga con se stessa tramite il Parlamento (la collocazione istituzionale le consente di ascoltare se stessa). 2) LE FUNZIONI DI INDIRIZZO POLITICO, LEGISLATIVA, DI CONTROLLO, DI GARANZIA COSTITUZIONALE E DI COORDINAMENTO La classificazione di Bagehot oggi non può essere più riproposta, dato che il rapporto tra il Parlamento e l’opinione pubblica si è trasformato essendo ormai condizionato dai partiti politici e dai mezzi di comunicazione di massa. Tuttavia vanno mantenuti di essa due degli aspetti più innovativi: la relativizzazione della funzione legislativa e la consapevolezza che le funzioni del parlamento si devono articolare in tipologie più complesse di quelle tradizionalmente considerate. Classificazione di Andrea Manzella (2003) in 5 funzioni parlamentari: - Funzione di indirizzo politico: intesa come concorso alla determinazione di grandi obiettivi della politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in specificazione attualizzazione del programma di governo. - Funzione legislativa: comprensiva dei procedimenti legislativi “duali”, che vedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti dotati di potestà normativa. - Funzione di controllo: definita come verifica dell’attività di un soggetto politico in grado di attivare una possibile reazione sanzionatoria. - Funzione di garanzia costituzionale, interpretata come concorso delle Camere alla salvaguardia delle condizioni di normalità costituzionale; - Funzione di coordinamento delle autonomie, invero di sempre più difficile attuazione, in un sistema che nelle sedi di raccordi a livello sia internazionale che infranazionale tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi. Le prime 3 fanno riferimento al ruolo del Parlamento come organo dello Stato-persona, le altre richiamano il ruolo di Stato-ordinamento. 60 contingentamento dei tempi: in tal caso si può intervenire solo se il proprio gruppo ha ancora del tempo residuo o se il Presidente decide di concedere più tempo. In alcuni parlamenti (come quello dell’UE) la dichiarazione del voto non è ammessa, la ragione di tale scelta è discutere senza farsi influenzare dal voto. La discussione in aula, dopo sedi ristrette, permette di svolgere funzione arena e non solo votificio. 4.4. IL NUMERO LEGALE E LA SUA VERIFICA Art 64 comma 3 Cost. “Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”. Perché si possa procede al voto, vi è la necessità di un requisito, che è fissato direttamente dalla Costituzione, all’ art 64 comma 3: “Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti”. È il numero legale di votazione. La Costituzione non prevede, invece, un numero legale di seduta, il numero cioè di componenti che deve essere presente perché si possa dare inizio alla seduta. Questo è previsto solo per le commissioni del Senato in sede deliberante e redigente, o per “affari di cui non si deve riferire all’Assemblea”. All’ art 64 Cost. i regolamenti di Camera e Senato hanno dato un’ attuazione tutt’altro che rigida: innanzitutto la presenza del numero legale è generalmente presunta. La presidenza di Assemblea la deve verificare solo se lo richiedano 20 deputati o 12 senatori. Nelle commissioni le due Camere seguono regole assai differenti. Al Senato vige una disciplina più rigorosa: nelle sedute relative a questioni in cui le commissioni si esprimono in via definitiva si procede alla sottoscrizione di un registro delle presenze in modo da constatare, all’inizio della seduta, la presenza del numero legale (pari a metà +1 dei componenti). Nelle sedute relative alle altre questioni si verifica cmq d’ufficio,prima di procedere a votazioni, la presenza del numero legale (pari a 1\3 dei componenti). Alla Camera, al contrario, il numero legale ( di regola pari a 1/5 dei componenti, salvo che in sede legislativa e per pareri su atti del Governo, ove è pari alla metà +1 dei componenti) è pressochè sempre presunto, salvo che in sede legislativa per la votazione finale quando si tratti di procedere a votazioni segrete (pareri su proposte di nomina). I regolamenti sotto un secondo profilo hanno attenuato il rigore della previsione costituzionale L’art 46 R.C. stabilisce che i deputati impegnati fuori sede per un incarico alla camera, o se membri del Governo, in ragione del loro ufficio, sono computati come presenti ai fini della determinazione del numero legale. Stesso obiettivo persegue l’art 108 R.S che sottrae dal computo i senatori assenti per missioni o in congedo. Si tratta di norme preesistenti alla Costituzione e cosi questa è stata interpretata sulla base di un sistema di norme e prassi da lungo tempo vigenti. La maggioranza dell’art 64 Cost. non è una vera e 63 propria maggioranza assoluta, ma viene calcolata in rapporto al numero dei soggetti che sono nella condizione effettiva , materiale di svolgere le loro funzioni. Qualora venga accertata l’assenza del numero legale le conseguenze sono diverse: - Alla Camera la seduta è sospesa per un ora dal Presidente, che altrimenti, se lo ritiene opportuno può anche toglierla (art 47 R.C) - Al senato la sospensione è di 20 minuti e solo dopo 4 consecutive mancanze del numero legale la seduta viene tolta. L’ Assemblea viene in questo caso riconvocata il giorno dopo, con lo stesso ordine del giorno, a meno che il calendario non preveda un’ altra seduta (che si apre comunque con ordine del giorno della seduta precedente, art 108) Alla Camera la verifica del numero legale viene effettuata in occasione delle votazioni nominali con sistema elettronico (la richiesta è fatta da 20 deputati ad inizio seduta). Al Senato la verifica del numero legale va chiesta da 12 senatori presenti in aula, prima di ogni votazione (va accertato anche che la richiesta sia appoggiata, cioè che i senatori siano in aula). La verifica del numero legale è tutt’oggi uno dei principali strumenti ostruzionistici in mano all’opposizione, se non altro in quanto è sostanzialmente in grado di raddoppiare i tempi delle operazioni materiali di voto. Per evitare le assenze gli uffici di presidenza hanno previsto forme di ritenuta sulla diaria. (il rimedio si è dimostrato efficace). 4.5. LE MODALITà DI VOTAZIONE: VOTO PALESE E VOTO SEGRETO Con quale metodo si vota? In alcuni casi non c’è una vera e propria “indizione” della votazione da parte del Presidente, ma vi sono votazioni tacite: per es. l’approvazione del processo verbale, che, una volta letto, se nessuno chiede di parlare, risulta approvato. (nemine contradicente, senza obiezioni). In altri casi, è la Costituzione a dare un’ indicazione: secondo l’ art 94 Cost., ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata “votata per appello nominale”. L’ appello nominale è la forma di voto più impegnativa e complessa. È un voto palese che permette di fissare negli atti il numero e il nome dei parlamentari che votano a favore o contro e gli astenuti. È un voto non simultaneo, non consente quindi sorprese. Rispondendo all’appello nominale ogni parlamentare esprime il proprio voto ad alta voce passando davanti al banco della presidenza (spesso rumoreggiano). Al di là di questa indicazione, la Costituzione lascia ampia libertà ai regolamenti di disciplinare le modalità di votazione. Si può distinguere tra: 64 - Votazioni palesi e votazioni segrete: segrete sono quelle che non permettono di sapere se il parlamentare abbia dato un voto favorevole, contrario o si sia astenuto. Tali sono lo scrutinio segreto e il voto per schede (cui si ricorre, in genere, per le elezioni che si svolgono sempre in forma segreta). - Si può distinguere poi tra votazioni sommarie, per determinare il risultato delle quali basta una valutazione ad occhio del Presidente, senza contare i voti e, votazioni qualificate con le quali viene analiticamente registrato nome e numero dei votanti. Implicano un automatica verifica del numero legale. Sia alla Camera che al Senato il metodo di votazione ordinario (palese e sommario) e anche il più semplice, è quello ordinario per alzata di mano (art 49 R.C e 113 R.S). Proprio perché è semplice il ricorso a questo metodo è imposto dai regolamenti per le questioni procedurali che non hanno diretta influenza sul merito della discussione. Su richiesta di 20 deputati o 15 senatori si può procedere per votazione nominale che ormai da decenni si effettua con il sistema elettronico (caduta in desuetudine la votazione per divisione). A questo sistema che garantisce certezza dell’esito il Presidente può ricorrere anche d’ufficio, oppure quando gli venga chiesta una controprova, in questo caso ordina la chiusura delle porte e se è una controprova ad alzata di mano i nomi non vengono neanche registrati. Sia alla Camera che al Senato la votazione nominale col sistema elettronico è diventato il modo ordinario di voto. La regola generale è che le votazioni parlamentari si svolgono a scrutinio palese. Entrambi i regolamenti prevedono però la possibilità per 30 deputati o 20 senatori di chiedere lo scrutinio segreto per determinate materie. Sino al 1988 alla Camera esisteva il ricorso allo scrutinio segreto per la votazione finale delle leggi (due Governi caddero perché pur avendo posto con successo la questione di fiducia su un testo legislativo, andarono sotto nel voto finale). Oggi non è più così. Vi sono poi, alcune votazioni da svolgersi necessariamente a scrutinio segreto e altre da effettuarsi per forza a scrutinio palese. -Le materie su cui si può chiedere il voto segreto sono quelle, delicatissime, dei diritti e delle libertà previsti nella prima parte della Costituzione. Qui il possibile ricorso al voto segreto è a piena tutela del libero mandato parlamentare, agevolando la costruzione di maggioranze trasversali, che sfuggano al vincolo della disciplina di gruppo. Può esservi, inoltre, richiesta di voto segreto sulle modificazioni al regolamento di ciascuna Camera. Sia alla Camera che al Senato, sono necessariamente sottoposte a scrutinio segreto, oltre ovviamente alle elezioni, cui si procede mediante schede, le votazioni relative alle persone (interpretazione restrittiva). All’opposto, lo scrutinio segreto è vietato nelle votazioni concernenti le leggi finanziarie e di bilancio e, più in generale, su disposizioni ed emendamenti che comportino aumenti di spese o diminuzione di entrate. Obbligatoriamente a scrutinio palese si svolgono le votazioni in commissione, con la sola eccezione delle votazioni concernenti persone. Il Governo può comunque, quale sia la materia, fare prevalere il vincolo di maggioranza mediante la posizione della questione di fiducia (votata a scrutinio palese per appello nominale), precludendo così ogni possibilità 65 8) I PROCEDIMENTI PARLAMENTARI 1) I PROCEDIMENTI ORGANIZZATORI: LA PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI IN AULA E IN COMMISSIONE 1.1. LE ORIGINI E LE EVOLUZIONI DELLA PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI I procedimenti che conducono alla programmazione dei lavori parlamentari possono qualificarsi come procedimenti di 2° grado: è con essi, infatti, che ciascuna Camera decide quando riunirsi e a quali argomenti dedicare le proprie sedute. Evidentemente per questi procedimenti vale il principio della “polifunzionalità”. Le decisioni organizzative finiscono spesso per essere quelle politicamente più rilevanti: è con esse che si stabiliscono le priorità anche in rapporto al programma di governo, si consente o meno il tempestivo inserimento di un dibattito parlamentare su una questione scottante, si può agevolare o ostacolare il raggiungimento del numero legale, si favoriscono o impediscono le negoziazioni e gli accordi tra le forze politiche, si determinano il peso relativo e il ritmo di lavoro dell’Assemblea e delle commissioni. I regolamenti parlamentari del 1971 nell’adottare per le Camere il metodo della programmazione dei lavori hanno inteso superare la logica della definizione dell’ordine del giorno seduta per seduta. Questo era infatti approvato alla fine della seduta precedente, su proposta del Presidente con decisione assunta a maggioranza della stessa Assemblea. Con l’adozione del metodo della programmazione dei lavori, invece, si è inteso organizzare la produzione legislativa, evitando provvedimenti sporadici, occasionali e intermittenti, e altresì assicurare parametri essenziali per l’attività dell’Assemblea, delle commissioni e, anche del singolo deputato, fornendo a quest’ultimo una serie di riferimenti temporali e materiali. Tuttavia, l’adozione di questo metodo non si è rivelata sufficiente. Per un verso, infatti, si era ancorata la definizione del programma e del calendario dei lavori al raggiungimento di un accordo unanime nella conferenza dei capigruppo (ritenendo che questo fosse il solo modo di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze dei gruppi di maggioranza e quelle dei gruppi di opposizione). Per altro verso, si era sottovalutava l’importanza del momento attuativo del programma e del calendario, senza cioè prevedere, specie alla Camera, strumenti procedurali che consentissero l’effettivo rispetto dei tempi previsti in sede di programmazione dei lavori. Alla luce dell’estrema difficoltà nel raggiungere l’ unanimità in seno alla conferenza dei capigruppo, sono state adottate soluzioni di ripiego che hanno a lungo regolato la programmazione dei lavori: mentre alla Camera si è continuato a procedere come prima ossia con la definizione dell’ordine del giorno seduta per seduta, al Senato si è proceduti con “schemi dei lavori” di durata settimanale che il Presidente del Senato poteva 68 predisporre sulla base delle indicazioni emerse dalla conferenza e lo comunicava all’Assemblea. Con le modifiche del regolamento del Senato approvate nel 1988 il quadro si è completato. Vi è stata la trasformazione da facoltativo in obbligatorio dello strumento del contingentamento dei tempi, il che ha reso possibile attuare, con relativa certezza, le indicazioni contenute nel programma e nel calendario. La disciplina di programmazione dei lavori era articolata su base bimestrale (4 settimane dedicate alle commissioni, 3 all’Assemblea e una all’attività dei gruppi e dei singoli senatori, art 53), nelle sessioni di bilancio diventa obbligatorio il contingentamento dei tempi. Alla Camera il percorso è stato più tormentato: nel caso in cui non si registri l’accordo unanime nella conferenza, solo il Presidente può assumere una decisione definitiva e inappellabile (mutamento del ruolo del Presidente nel tempo). Le tappe principali dell’evoluzione della programmazione dei lavori alla Camera sono costituite dalle novelle regolamentari del 1981, del 1990 e del 1997. - Con la prima tappa (1981) si è consentito al il Presidente dell’Assemblea in caso di mancato raggiungimento dell’ unanimità, in seno alla conferenza di predisporre sulla base degli orientamenti prevalenti e tenuto conto delle altre proposte un programma bimestrale e un calendario bisettimanale dei lavori da sottoporre all’approvazione Assemblea. - Con la seconda (1990) si esclusa ogni votazione dell’Assemblea sui programmi e calendari predisposti dal Presidente. Si è introdotto anche qui, con cautela, lo strumento del contingentamento dei tempi. - Infine con la terza (1997) si è superato il principio dell’ unanimità in seno alla conferenza dei capigruppo, richiedendosi per l’approvazione di programma e di calendario il consenso dei presidenti di gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari a ¾ dei componenti della Camera e al tempo stesso si è generalizzato completamente il ricorso al contingentamento tempi. 1.2. GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI NELLA DISCIPLINA VIGENTE Dunque, la disciplina vigente nei due rami del Parlamento vede la programmazione dei lavori incentrarsi intorno a tre strumenti: il programma dei lavori (di orizzonte bimestrale al Senato, bimestrale o trimestrale alla Camera), il calendario dei lavori (a cadenza mensile al Senato, trisettimanale alla Camera), l’ordine del giorno (spesso detto “di seduta”). - L’ ordine del giorno è l’unico ad essere determinato in via quasi esclusiva dal Presidente d’ Assemblea senza il coinvolgimento della conferenza dei capigruppo. È annunciato alla fine della seduta precedente e alla Camera potrebbe essere oggetto di opposizione e di conseguente votazione da parte dell’Assemblea. Sia il potere di formare 69 l’ordine, che quello di opporvisi, sono condizionati e “vincolati” dall’esistenza del programma e del calendario. L’ordine del giorno di seduta tende a diventare una mera attuazione della programmazione. - Il calendario dei lavori è il documento cruciale. Esso fissa il numero e la data delle singole sedute con indicazione degli argomenti da trattare (r.S.) ovvero individua gli argomenti e stabilisce le sedute per la loro trattazione, specificando quali sono i giorni destinate la discussione e quelli nei quali l’Assemblea procederà alla votazioni (r.C.) (solo per votazioni serve numero legale). In realtà, però, è frequente che il calendario si spinga oltre, fissando cioè anche l’ orario di inizio e fine della seduta o delle votazioni, e specificando l’ordine con cui i diversi provvedimenti dovranno essere iscritti all’ordine del giorno. All’interno viene pubblicato il contingentamento dei tempi. - Il programma dei lavori, infine è il documento di taglio più astratto e generale. In esso, ci si limita a inserire, per ognuno dei due o tre mesi in esso ricompresi, provvedimenti o argomenti che saranno oggetto di trattazione (si da una blanda attuazione all’art 23 r.C “elenco argomenti con indicazione ordine di priorità e periodo in cui si deve trattare). Il procedimento per la formazione del programma e del calendario dei lavori è abbastanza articolato. Ai fini della formazione del programma sono previste diverse fasi: 1) Opportuni contatti della Presidenza di Assemblea con l’altro ramo del Parlamento e con il Governo (ministro per i rapporti con il Parlamento) in vista della conferenza dei capigruppo. 2) Eventuale convocazione della conferenza dei presidenti di commissione (Al Senato si parla di contatti anche con i presidenti delle commissioni permanenti e speciali e si consente una convocazione da parte del presidente di assemblea dei presidenti di commissione, con l’intervento del rappresentante di governo). 3) Alla Camera, comunicazione preventiva (almeno 2 giorni prima della conferenza) delle indicazioni del Governo in ordine di priorità, ed eventualmente anche proposte dei gruppi. 4) Riunione della conferenza dei capigruppo, nella quale, per prassi, il Presidente di Assemblea presenta una bozza di programma, approntata sulla base delle indicazioni del Governo e delle proposte dei gruppi 5) In esito della riunione della conferenza, possono verificarsi due ipotesi: o il programma è approvato (all’unanimità al Senato, con maggioranza qualificata alla Camera), o in mancanza di tale approvazione, è definito dal Presidente. 6) Il programma è comunicato all’Assemblea e, dopo tale comunicazione diviene definitivo. Solo al Senato, nel caso in cui sia stato predisposto dal Presidente, esso può essere discusso ed, eventualmente, anche modificato. Il procedimento per la formazione del calendario è analogo a quello appena descritto, ma un po’ semplificato nelle fasi preparatorie, non essendo necessari i contatti preliminari ed 70 componenti politiche, in base alla loro consistenza numerica), per i richiami al regolamento, e, infine, per le operazioni di voto - Del tempo residuo dopo questa sottrazione, 1/5 sia riservato per gli interventi a titolo personale. - I restanti 4/5 siano invece distribuiti tra i gruppi: una parte in misura uguale e un’altra parte in misura proporzionale alla consistenza degli stessi; a ciò si aggiunge la regola per cui, per l’esame dei disegni di legge governativi, va riservato ai gruppi di opposizione un tempo complessivamente maggiore di quello attribuito ai gruppi di maggioranza. Nella prassi, per semplificare sono stati proposti modelli - tipo di contingentamento dei tempi, da applicare ai diversi provvedimenti a seconda della loro complessività. Il potere di determinare il contingentamento dei tempi spetta a chi decide il calendario dei lavori: perciò, alla conferenza dei capigruppo, nel caso si raggiunga maggioranza richiesta ( unanimità al Senato, ¾ dell’assemblea alla Camera), oppure ove tale maggioranza non si ottenga, al Presidente di Assemblea. L’introduzione del contingentamento alla Camera è stata sofferta: tracce si trovano nel diverso trattamento nell’ambito del procedimento legislativo a seconda che si applichi alla fase della discussione sulle linee generali (non meno di 30 minuti per gruppo) o alle fasi successive (esame articoli e votazioni finali). Il contingentamento va deliberato all’ unanimità dalla conferenza dei capigruppo quando si tratta di progetti di legge: - costituzionale - vertenti prevalentemente su una materia cui è possibile chiedere lo scrutinio segreto, vale a dire relativa a diritti e libertà, previsti nella prima parte della Costituzione - riguardanti questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale ed economica riferite ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione, su richiesta di un gruppo parlamentare. In ogni caso, una volta scaduti i tempi (contingentati) a disposizione dei gruppi si procede alle votazioni, che si succedono una dietro l’altra, in un clima un po’ surreale, e anche se il tempo preventivato per la loro effettuazione fosse stato consumato tutto. A meno che il Presidente d’Assemblea non decida di assegnare un tempo ulteriore a ciascun gruppo, o anche solo ai gruppi che hanno esaurito il tempo a loro disposizione. 73 1.4. I RAPPORTI PER LA PROGRAMMAZIONE IN ASSEMBLEA E IN COMMISSIONE Anche nelle commissioni trova applicazione la programmazione dei lavori, che è affidata oltre che ai loro presidenti, anche agli uffici di presidenza integrati dai rappresentanti dei gruppi: una sorta di miniconferenza dei capigruppo In commissione (di rado partecipa anche il rappresentante del governo). Nella prassi tende ad essere prevalente una programmazione a cadenza settimanale: in concomitanza, cioè, con l’invio delle convocazioni settimanali delle commissioni, i cui lavori si devono incastrare negli spazi lasciati liberi dall’Assemblea. A lungo nell’esperienza parlamentare repubblicana, sono state proprio le commissioni gli organi decisivi, ancor prima che nella definizione dei contenuti della legislazione approvata, ai fini della selezione dei progetti di legge di cui avviare l’esame. Nell’ambito delle centinaia di progetti assegnati a ciascuna commissione, e, ricompresi nell’ordine del giorno generale, erano gli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle singole commissioni a decidere quali prendere in considerazione: procedendo nella maggior parte dei casi in sede legislativa o deliberante, o in sede referente quando non c’era un sufficiente grado di consenso tra i gruppi parlamentari o quando la materia era coperta da riserva d’assemblea. L’ordine del giorno dell’Assemblea finiva per essere determinato anch’esso dalle scelte operate dalle commissioni. A partire dagli anni ’90, grazie all’operatività della programmazione dei lavori e del contingentamento dei tempi, si è realizzato uno spostamento di indirizzo e delle priorità della legislazione con una valorizzazione della conferenza dei capigruppo. E’ ora l’Assemblea, attraverso appunto la conferenza dei capigruppo, a decidere, quali progetti di legge esaminare condizionando l’agenda delle commissioni. Diverse sono le modalità attraverso cui si assicura alle Camere l’effettiva prevalenza della programmazione di Assemblea su quella delle commissioni: alla Camera una volta che il calendario prevede l’inizio dell’esame di un progetto di legge, la commissione può applicare il contingentamento e quando finisce il tempo, lascia il passo all’aula per la votazione,in applicazione del principio di economia procedurale (art 79). Al Senato invece, in sede referente è esclusa applicazione del contingentamento tempi (è frequente che la commissione non concluda neanche l’esame del progetto di legge, e che si vada in aula senza relatore). Tale spostamento dalle commissioni all’Assemblea ha originato significativi effetti sia sui rapporti tra Governo e Parlamento sia su quelli tra maggioranza e opposizione: a vantaggio ambedue del primo dei due soggetti, così il Governo e la sua maggioranza hanno molta più facilità a controllare le dinamiche di un unico centro decisionale di quanta non ne avessero a seguire l’attività di quasi una trentina di centri decisionali poco coordinati tra loro e settoriali. 74 2) I PROCEDIMENTI CONOSCITIVI E ISPETTIVI 2.1. L’INFORMAZIONE PARLAMENTARE Ogni potere che delibera deve conoscere la verità, il Parlamento è dotato di una serie di strumenti conoscitivi per esercitare le sue funzioni e per soddisfare la sua “curiosità”. Chi per primo deve soddisfare la curiosità delle Camere è il Governo, e per suo tramite, l’amministrazione: è questo un necessario canale istituzionale di informazione, per anni tendenzialmente esclusivo (fino al 1971). Ma la Costituzione prevede uno strumento autonomo, l’inchiesta, che consente una diretta acquisizione di notizie (art 82 Cost.). Tale articolo è collocato alla fine del titolo relativo alla funzione legislativa, in posizione indipendente dal rapporto fiduciario. Negli anni il legislatore ha inserito una serie di strumenti conoscitivi che forniscono al Parlamento una massa di informazioni indipendenti: per l’ es. le relazioni annuali al Parlamento delle autorità indipendenti e di altri soggetti. Si è soliti enucleare, nell’ambito della generica attività conoscitiva un’attività propriamente ispettiva. L’ ispettiva è l’attività di acquisizione di conoscenze da parte del Parlamento cui corrisponde un obbligo, variamente graduato, di risposta da parte dei soggetti interrogati. Lo strumento ispettivo per eccellenza è l’inchiesta parlamentare, che reca con sé addirittura l’attribuzione dei poteri dell’autorità giudiziaria in capo all’organo che la svolge. Mezzi meramente conoscitivi sono invece: le indagini conoscitive nelle quali i soggetti da ascoltare sono semplicemente invitati ad intervenire. Un carattere seppure blandamente coercitivo, e quindi ispettivo, hanno le interrogazioni e le interpellanze, a cui il Governo non può, ma tendenzialmente “deve” rispondere ( obbligo prettamente politico). Vi sono poi apposite commissioni parlamentari bicamerali, dette di vigilanza, istituzionalmente dotate di penetranti e particolari poteri ispettivi. Anche le commissioni parlamentari permanenti, nelle materie di competenza per la loro attività legislativa, di indirizzo e di controllo, si possono avvalere di strumenti ispettivi: audizione di ministri sugli indirizzi politici, acquisizione di notizie, dati o documenti, esame di relazioni presentate periodicamente dal governo, ecc … Si possono svolgere anche interrogazioni all’interno delle commissioni permanenti (non interpellanze). La disponibilità di questo complesso insieme di strumenti conoscitivi e ispettivi e il loro uso mirato e settoriale dovrebbero garantire alle commissioni permanenti che lo desiderino di essere i veri centri di propulsione dell’attività parlamentare: non solo di quella legislativa, ma soprattutto di quella di indirizzo e di controllo. 75 seduta, o frammento, da dedicare a queste attività informative. Tuttavia, il ricorso a questo strumento è condizionato da un pesante vincolo strutturale, introdotto nella prospettiva che vedeva nel Governo la principale fonte di informazione parlamentare, e dunque gli unici soggetti che possono essere uditi, oltre ai membri del Governo, sono dirigenti e amministratori delle amministrazioni centrali e degli enti sottoposti comunque a controllo ministeriale. Sono i ministri a vagliare chi dovrà andare a rispondere, e a loro le commissioni devono rivolgersi se vogliono procedere alle audizioni. L’elenco dei soggetti udibili si è ristretto ulteriormente con la privatizzazione degli enti pubblici ed economici. Oggi questi strumenti, poco usati, si colorano di una connotazione ispettiva piuttosto che semplicemente conoscitiva. Mentre l’obiettivo di acquisire semplicemente conoscenze viene perseguito attraverso audizioni informali (senza limiti soggettivi) che si svolgono in sede appunto informale: al Senato, negli uffici di presidenza integrati dai rappresentanti dei gruppi parlamentari, e alla Camera le commissioni si riuniscono informalmente nel plenum dei suoi componenti. Le audizioni informali si svolgono poi, senza pubblicità o più esattamente senza più nessuna forma di resocontazione scritta (in alcuni casi si è ritenuto di dare pubblicità audiovisiva). A fronte dell’inaridirsi del ricorso allo strumento delle audizioni formali e del proliferale incontrollato di quelle informali, i regolamenti hanno visto la formalizzazione di strumenti conoscitivi settoriali, che consistono in vere e proprie audizioni in due campi: la programmazione economica finanziaria e le politiche dell’UE. 2.5. LE INTERROGAZIONI L’ interrogazione è una semplice domanda che ogni parlamentare può rivolgere al Governo su un fatto determinato, chiedendo informazioni particolari, documenti, notizie o esprimere la propria posizione politica (art 128 r. C. e 144 r. S.). Alle interrogazioni il rappresentante del governo interessato (Presidente consiglio, ministro o sottosegretario) risponde in Assemblea, in commissione o per scritto a seconda dell’opzione esercitata dall’interrogante al momento della presentazione . L’interrogante può solo replicare, intervenendo, appunto in Assemblea o in commissione, dichiarandosi soddisfatto o insoddisfatto ovvero nel caso di risposta scritta, accontentarsi delle informazioni ricevute. Il Governo può essere chiamato a rispondere su questioni gravi (terremoti, epidemia mucca pazza, ecc) con interrogazioni urgenti, ma la maggior parte delle volte consistono in semplici segnalazioni (richiamare l’ attenzione dell’amministrazione statale su un problema, circa 1/3 rimangono senza risposta). Una particolare specie di interrogazione è quella “a risposta immediata” con la quale si è cercato di introdurre in Italia il “question time” tipico del parlamento inglese (30 minuti nella seduta della camera dei comuni ogni mercoledì, senza programmi). In Italia è stato approvato con molti correttivi e viene praticato alla Camera dal 1997 e al Senato dal 1999. Una volta a settimana (il mercoledì alla Camera), viene riservato uno spazio della seduta dell’aula alle interrogazioni presentate da un deputato per ciascun gruppo parlamentare, entro mezzogiorno del giorno precedente. Ad esse dovrebbero rispondere il Presidente del Consiglio dei ministri o il vicepresidente del consiglio (premier nella question time) 78 due volte al mese, e i ministri competenti una volta al mese. Gli argomenti sono i più disparati, ma sempre conosciuti preventivamente dal Governo. Ciò insieme alla scarsa fantasia degli interroganti, alla sistematica assenza del Premier e alla frequente sostituzione del Ministro competente con quello per i rapporti col Parlamento impedisce di suscitare nelle aule quel clima teso e brillante che caratterizza il question time britannico. 2.6. LE INTERPELLANZE Anche l’ interpellanza consiste in una domanda formulata al Governo da uno o più parlamentari. Si tratta però, a differenza della interrogazione, di una domanda motivata tesa a conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardano determinati aspetti della sua politica. La maggior rilevanza politica della domanda spiega perché la sua risposta debba aver luogo in Assemblea. La procedura si articola nello svolgimento della parte del presentatore, dell’interpellanza, nella conseguente risposta del rappresentante del Governo e in una replica dell’interpellante stesso (interpellanza, risposta, replica dell’interpellante). Obiettivo di questo strumento di ispezione parlamentare è quello di far emergere la posizione politica del Governo su una determinata questione. Si comprende quindi come, dopo il dialogo tra il rappresentate del Governo e interpellante, se l’interpellante non è soddisfatto può presentare una mozione (art 138 r. C.) prospettando una diversa linea politica rispetto a quella indicata dal Governo, sulla quale si apre un dibattito che si conclude con un voto. Nella prassi l’interpellanza si è progressivamente confusa con lo strumento dell’ interrogazione. Gli oggetti trattati vanno dall’uso delle basi NATO ai ritardi dei traghetti per la Sardegna, e il Governo spesso tardivamente, risponde solo ad una parte delle interpellanze. Per rivitalizzare l’ istituto si è introdotto, sulla base del Bundestag, una corsia preferenziale per le interpellanze urgenti, presentate cioè da un gruppo di parlamentari. Sorge diritto alla risposta in tempi brevi: entro 2 settimane al Senato e entro 48 ore alla Camera. Per evitare l’utilizzo ostruzionistico sono posti anche limiti quantitativi: è concessa un’ interpellanza al mese al Senato e due alla Camera per ciascun gruppo; e per ciascun parlamentare 6 l’anno al Senato e una al mese alla Camera (art 156 bis del 1988 al Senato, e art 138 bis del 1997 alla Camera). 3) I PROCEDIMENTI DI INDIRIZZO 79 3.1. INDIRIZZO POLITICO E PROGRAMMA DI GOVERNO NEI SISTEMI MAGGIORITARI Il potere di indirizzo consiste nella determinazione dei grandi obiettivi della politica nazionale e nell’approntamento dei mezzi principali per conseguirli. Rispetto alla funzione di indirizzo politico il Parlamento gioca un ruolo attivo ed importante, in un circuito, che lo vede concorrere con il Governo e con il corpo elettorale, oltre che con il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale (ai quali spettano essenzialmente poteri di garanzia). Il peso del corpo elettorale tende a variare a seconda degli assetti del sistema politico e della legge elettorale: - nei sistemi proporzionali il corpo elettorale si limita per lo più a determinare il peso relativo, in termini di seggi parlamentari, spettante alle diverse forza politiche, lasciando poi alla dialettica tra queste la formazione della coalizione e programma di governo. - nei sistemi maggioritari, invece, aumenta sensibilmente il contributo del corpo elettorale alla definizione dell’indirizzo politico in quanto è esso è chiamato ad esprimersi sia sulla coalizione che si forma prima delle elezioni, sia sul programma di Governo. Da tali mutamenti trae origine la retorica del programma secondo cui, nei sistemi maggioritari, il Governo, nel corso del suo mandato si limiterebbe a dare attuazione al suo programma già presentato agli elettori. In questa ricostruzione vi è del vero ma anche molta retorica: infatti, in parte per la sua naturale ambiguità, in parte per lo scorrere del tempo, l’indirizzo contenuto nel programma ha bisogno perciò di costanti precisazioni e continui aggiornamenti. Il contributo delle Camere alla funzione di indirizzo politico si esplica attraverso tutti i procedimenti parlamentari. In altri termini, un intervento delle Camere nel circuito di indirizzo politico si verifica, a volte, anche mediante atti che si collocano in procedimenti non prettamente di indirizzo: per es., interrogazioni, interpellanze, audizioni, indagini conoscitive, quando non nell’esame di proposte di legge o nelle inchieste parlamentari. Gli strumenti di indirizzo sono delineati dai regolamenti di Camera e Senato con procedure diverse a seconda che si tratti dell’Assemblea ( mozioni, ordini del giorno, risoluzione d’Assemblea) o delle commissioni (per lo più risoluzioni, o ordini del giorno). Attraverso i procedimenti di indirizzo politico, le Camere assumono esplicitamente decisioni volte ad indirizzare l’attività di Governo affrontando questioni come ad es. la partecipazione italiana a missioni internazionali (spesso con mozioni), ecc.. 3.2. L’ORIGINE STORICA E L’ EFFICACIA DEGLI ATTI DI INDIRIZZO Mozioni, risoluzioni e ordini del giorno sono, in origine e su un piano generalissimo, tutti strumenti volti a promuovere votazioni di una Camera su uno specifico oggetto. 80 “Ordine del giorno” è un’espressione che ha molti significati. Letteralmente è l’ordine del giorno della seduta, cioè l’elenco degli argomenti che saranno trattati. Ma anche l’ordine del giorno generale, cioè il complessivo elenco dei documenti (disegni di legge, relazioni, documenti diversi) che pendono, che sono all’ordine del giorno delle Camere. Questa espressione è usata per designare atti di indirizzo nei confronti del Governo. Ordini del giorni di istruzione al Governo possono essere presentati dal singolo parlamentare che, alla Camera non ne può sottoscrivere più di uno per procedimento. Essi possono essere discussi e approvati nel corso di un procedimento legislativo, ma anche in occasione dell’esame di altri atti di indirizzo. Sono dunque atti accessori, che si inseriscono in discussioni che hanno oggetto altri alti: progetti di legge, mozioni o risoluzioni (in questo caso può avvenire che l’ordine del giorno alla fine sia l’ultimo atto approvato). La procedura di esame di questi atti nel corso del procedimento legislativo si differenzia non poco tra Senato e Camera. In Senato possono essere anticipati in commissione in sede referente e devono essere presentati prima (o al massimo nel corso) della discussione generale e la loro votazione ha normalmente luogo durante l’esame e la votazione degli articoli e degli emendamenti ad essere riferiti. Alla Camera, invece, essi possono essere presentati anche durante la discussione degli articoli e sono esaminati in un momento successivo, ossia “dopo l’approvazione dell’ultimo articolo”, subito prima della votazione finale del progetto di legge (pregio di farli votare, dopo aver definito il testo normativo a cui si riferiscono). In entrambi i rami del Parlamento, sugli ordini del giorno è chiamato ad esprimersi obbligatoriamente il rappresentante del Governo. Le alternative sono tre: 1) Se il Governo li accetta integralmente, di solito non c’è bisogno di porli in votazione, dal momento che essi hanno così già conseguito lo scopo. 2) Se, al contrario, esprime parere negativo, essi sono votati sempre che il presentatore sia presente e insista per votarli. 3) Nell’ipotesi intermedia, cioè quando il rappresentante del Governo li accoglie solo come raccomandazione, spetta al presentatore decidere se accontentarsi di questo generico impegno o chiedere il voto in Assemblea, che può approvarlo o respingerlo del tutto. Anche se accettati dal Governo o votati dall’Assemblea, gli ordini del giorno producono effetti giuridici piuttosto incerti. Non possono fare altro che “esprimere un’intenzione, un desiderio delle Camere”. I loro effetti, dunque, dovrebbero esaurirsi all’interno dei rapporti tra Parlamento e Governo. Non sono mancati casi in cui invece di vincolare il Governo, fossero diretti all’interprete (amministrazione pubblica) con l’obiettivo di condizionare l’interpretazione delle disposizioni che si stavano per approvare. Per evitare contrasto tra testo e ordini del giorno: “non possono essere presentati ordini del giorno che riproducano emendamenti o articoli aggiuntivi respinti, in contrasto con deliberazioni già adottate nel corso della discussione”. Per evitare questo impedimento, il presentatore di un emendamento può ritirarlo prima della votazione e con il consenso del presidente trasformarlo non un ordine del giorno (solo nel regolamento del Senato). 83 4) I PROCEDIMENTI FIDUCIARI 4.1. IL RAPPORTO FIDUCIARIO E LA DEBOLE “RAZIONALIZZAZIONE” DELLA FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE Art 94 comma 1 Cost. “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.” Il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo costituisce il cuore della forma di governo parlamentare. Senza fiducia di ambedue le Camere il Governo non può restare validamente in carica, e reciprocamente, le Camere non possono continuare nella loro attività e devono essere sciolte dal Presidente della Repubblica se non sono in grado di esprimere la fiducia ad un Governo. È la sussistenza, la necessaria permanenza, di questo rapporto fiduciario che, realizzando una sorta collaborazione dei due poteri fa sì che le Camere contribuiscano legittimamente alla funzione di indirizzo politico - amministrativo e che il Governo, reciprocamente possa svolgere una ruolo di coprotagonista nell’attività legislativa. L’opzione a favore della forma di governo parlamentare fu sancita dall’ordine del giorno Perassi, approvato dalla seconda commissione costituita nell’ambito della commissione dei 75, il 4 settembre 1946. 4.2. LA MOZIONE DI FIDUCIA Art 94 comma 2 Cost. “Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.” Art 94 comma 3 Cost. “Entro 10 giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alla Camere per ottenere la fiducia.” L’ art 94 Cost. disciplina specificatamente le modalità di instaurazione del rapporto fiduciario, evitando che la fiducia debba desumersi per implicito dalle singole votazioni che avvengono nel corso del mandato governativo e obbligando i parlamentari e le forze politiche a prendere posizione in modo esplicito, sul programma di governo e sulla sua composizione. E’ entro dieci giorni dalla formazione del Governo, ossia dal giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, che il Governo è tenuto a presentarsi alle due Camere per ottenere la fiducia. La presentazione avviene il medesimo giorno (stabilito dai Presidenti di Assemblea), prima all’una e poi all’altra Camera (criterio dell’alternanza): il Presidente del consiglio , per effetto di una prassi informata all’economia procedurale affermatasi a 84 partire dal 1980, rende le proprie dichiarazioni sul programma in forma orale (come “comunicazioni del Governo”) solo ad un ramo del Parlamento, mentre nell’altro le deposita per scritto. Il discorso programmatico del Presidente del Consiglio è oggetto di dibattito parlamentare, in successione nelle due Camere. Nel corso del dibattito, alla Camera come al Senato, viene presentata ad opera dei capigruppo di quella che sarà la maggioranza, la mozione di fiducia, ossia quella specifica mozione, necessariamente motivata e da votarsi per appello nominale, che ai sensi dell’art. 94 comma 2 Cost. è lo strumento la cui approvazione, a maggioranza semplice, è richiesta perché le Camere accordino la fiducia al Governo (non è una mozione in senso proprio, il dibattito si instaura inizialmente sulla base della mozione, quindi prosegue con comunicazioni del Presidente del consiglio. È comunque classificabile come atto di manifestazione della volontà parlamentare). Il requisito della motivazione della mozione di fiducia è sicuramente quello che è stato valorizzato meno nella prassi repubblicana (sola eccezione dei due governi Spadolini del 1981 e 1982) e consiste in un riferimento esplicito ma generico ai contenuti delle dichiarazioni programmatiche rese dal Presidente del Consiglio. Una motivazione dunque ob relationem. Formula tralatizia: “la Camera udite le dichiarazione programmatiche del presidente del consiglio le approva e passa all’ordine del giorno”. Dietro questa formula rimangono i conflitti. L’art 94 Cost. prevede per la mozione di fiducia (come per tutte le votazioni fiduciarie) la necessità di un voto per appello nominale: ossia il ricorso ad una forma di votazione palese e in qualche misura “solenne” e inequivocabile, dal momento che richiede a ciascun parlamentare di passare davanti al banco della presidenza e di rispondere individualmente, ad alta voce, alla “chiama”, dicendo “sì”, “no” o “mi astengo”. D’altronde è per effetto della votazione della mozione di fiducia che si costituiscono, in Parlamento, qualificandosi giuridicamente, la maggioranza e l’opposizione. Gli effetti si producono tanto su quelli che votano a favore che su quelli che votano contro, unica differenza i fronti opposti in cui si schiereranno ogniqualvolta venga chiamato in causa il nesso fiduciario. Per l’approvazione della mozione di fiducia, è sufficiente la maggioranza semplice. Nel disciplinare il procedimento di approvazione della mozione di fiducia, i regolamenti parlamentari si sono limitati a riprodurre esattamente il dettato costituzionale salvo aggiungere che per queste mozioni non è consentita la votazione per parti separate, né la presentazione di ordini del giorno. 85 Decisamente più rilevante sul piano quantitativo e sul piano del sistema è la questione di fiducia. Con la questione di fiducia è il Governo a dichiarare che dall’esito di una certa votazione parlamentare dipende la sua permanenza in carica: a chiamare a raccolta, cioè la propria maggioranza su una certa votazione, legando il suo destino al risultato di un voto. Si osserva che la ratio dell’istituto è di tipo “ricattatorio”: con la sua posizione il Governo pone l’Assemblea davanti a un’ alternativa netta, o approva il testo voluto dal Governo o questo si dimetterà. In Italia la questione di fiducia non è oggetto di disciplina costituzionale ma, è una lettura in negativo del disposto dell’art 94 Cost.: “ la sconfitta in una votazione parlamentare non comporta per il Governo obbligo di dimissioni ” (ciò non impedisce di dichiarare che il destino del Governo dipende dal voto). Vi sono stati accesi dibattiti sull’ ammissibilità e soprattutto sugli effetti procedurali quando la votazione ha luogo nell’ambito del procedimento legislativo. Vi è una vera e propria consuetudine costituzionale in forza della quale la questioni di fiducia produce tre ordini di effetti (anche in deroga ai principi costituzionali che informano il procedimento legislativo) : 1) Il voto palese per appello nominale. 2) La priorità della votazione su cui è stata posta la fiducia. 3) L’ inemendabilità (e indivisibilità) dell’oggetto di tale votazione. Oggi tale consuetudine è stata in parte codificata, in parte integrata da norme inserite nei regolamenti parlamentari (alla Camera nel 1971, al Senato nel 1988). A queste fanno riscontro, sul versante governativo, due disposizioni legislative contenute nella legge n. 400/1988: la disposizione legislativa secondo cui “Il consiglio dei ministri esprime l’assenso all’ iniziativa del Presidente del consiglio di porre la questione di fiducia davanti alle Camere” e quella secondo cui “spetta al Presidente del consiglio direttamente o a mezzo di un ministro espressamente delegato porre la questione di fiducia”. Per il resto si applica la consuetudine che in parte emende da un parere della giunta per il regolamento del 1984: la questione di fiducia ha priorità su ogni altro voto e preclude non solo la votazione, ma anche l’illustrazione degli emendamenti. Al Senato, la disciplina regolamentare si limita a vietare la posizione della questione di fiducia sulle proposte di modifica del regolamento e, in generale, su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno del Senato. Per il resto, trova applicazione la suddetta consuetudine. Alla Camera la ben più diffusa disciplina regolamentare allarga i divieti presenti in Senato: vieta la questione di fiducia anche per le proposte di inchieste parlamentari, e su tutte le votazioni per alzata di mano o scrutinio segreto. Sancisce la modalità di votazione (per appello nominale), gli effetti sulla discussione e sull’ordine delle votazioni nonché l’intervallo di almeno 24 ore che deve intercorrere tra la sua posizione e la sua votazione. Un momento di svolta si ebbe con la celebre decisione del Presidente Iotti (seduta della durata di 10 giorni) che ha stabilito che la questione di fiducia, modificando in base all’art 116 l’ordinario procedimento di discussione e di approvazione dei progetti di legge, dà vita ad un iter autonomo e speciale. Le finalità in vista delle quali il Governo decide di porre la questione di fiducia sono in genere ricondotte a due. Anzitutto, vi è lo scopo originario dell’istituto che consiste nel 88 cosiddetto “ricompattamento della maggioranza” : mediante la questione di fiducia si vuole ricondurre all’indirizzo politico – governativo le posizioni di quei parlamentari delle forze di maggioranza che, altrimenti, su quel voto agirebbero con maggiore libertà. Accanto a questo scopo, vi è quello di tipo antiostruzionistico, che fa leva sugli effetti procedurali che sono essere riconnessi alla posizione della questione di fiducia. Entrambe le finalità tendono ad essere esaltate quando la questione di fiducia è posta su un maxiemendamento. La questione di fiducia, proprio perché disciplinata prevalentemente da fonti non scritte, costituisce uno strumento estremamente duttile. Oltre che nel procedimento legislativo, può essere posta anche su atti di indirizzo. Di questo tipo sono state le questioni di fiducia che hanno comportato la caduta di entrambi i governi Prodi. 5) IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO 5.1. L’INIZIATIVA LEGISLATIVA Art 71 Cost. “L’ iniziativa legislativa appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere e ad altri organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”. Il procedimento di formazione delle leggi ordinarie è, nelle sue linee essenziali, regolato dalla Costituzione (artt. da 70 a 74), la quale rinvia per una disciplina più puntuale ai regolamenti parlamentari, così ponendo una “riserva di regolamento parlamentare”. La Costituzione fissa alcuni passaggi ineliminabili: l’ iniziativa, la deliberazione delle due Camere in momenti distinti e successivi, l’esame in commissione, il voto articolo per articolo e il voto finale. Tali passaggi rappresentano tutti anelli necessari di una catena, la cui mancanza origina un vizio di legittimità costituzionale della legge, sindacabile dalla Corte costituzionale. Il primo anello della catena è l’iniziativa legislativa, la redazione cioè di un progetto di legge, composto in articoli e corredato da una relazione illustrativa da parte dei soggetti individuati dall’ art 71 Cost. : il Governo, i singoli parlamentari, 50.000 elettori, ciascun consiglio regionale e il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Quando non proviene dai singoli parlamentari, l’inizia legislativa è a sua volta il risultato di un procedimento. Per l’iniziativa del Governo si prevede un itinerario assai complesso: l’iniziativa del ministro competente o del Presidente del consiglio, il concerto degli altri ministri coinvolti, la delibera del consiglio dei ministri e a chiusura per espressa previsione costituzionale l’ autorizzazione del Presidente della Repubblica (se riscontra vizi può chiedere un riesame al consiglio dei ministri) per la presentazione ad una delle due 89 Camere. In questo iter il testo dell’iniziativa legislativa del Governo (alla Camera si chiama “disegno di legge”, dato che gli altri progetti sono chiamati “proposte di legge”, al Senato, non c’è differenza, tutti “disegni di legge”) si correda di relazioni (illustrativa, tecnico finanziaria ecc …) che dovrebbero rappresentare la motivazione sostanziale dell’intervento normativo, giustificandone la prevalenza politica sulle altre. Vanno ricordate tre caratteristiche dell’iniziativa legislativa: 1) La prevalenza dell’iniziativa legislativa del Governo rileva solo su un piano politico, poiché invece le iniziative legislative sembrano tutte avere per la Costituzione un uguale valore giuridico. 2) L’iniziativa legislativa non è idonea a produrre effetti sostanziali (neppure se si individua in termini estati al materia su cui intervenire), gli emendamenti dei parlamentari o dello stesso Governo sono liberi di modificare pure il testo dei disegni di legge governativi, potendo così aggirare sia tutta la fase endogovernativa, sia l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. 3) L’iniziativa legislativa è in genere considerata un semplice impulso al procedimento, le Camere non si ritengono obbligate a deliberare su un testo, ma libere di scegliere o elaborare i testi da approvare, conformemente alla prescrizione costituzionale (art 70 Cost.) secondo cui la funzione legislativa appartiene a loro. Caratteristiche che apparivano comprensibili per valorizzare l’autonomia della funzione legislativa per i primi 4 decenni, ma che ora dovrebbero essere riviste per l’accresciuto peso del Governo quale soggetto normatore e per effetto dell’adesione all’UE. Vi sono tuttavia iniziative legislative “obbligatorie” (anche dette vincolate o doverose) come i disegni di legge di approvazione del bilancio, di rendiconto e dell’assestamento, che devono essere presentati ogni anno e con la medesima cadenza approvati dalle Camere. E iniziative legislative “riservate”, che spettano cioè ad uno solo dei soggetti titolari del potere di iniziativa: è riservata a esempio al Governo la presentazione dei disegni di legge di bilancio e quelli di conversione dei decreti legge. Può essere subordinata, in casi limitati previsti dalla Costituzione, al raggiungimento di un accordo (per la ratifica dei patti che regolano rapporto tra stato e chiesa) o di un intesa (rapporti tra Stato e altre confessioni religiose), oppure allo svolgimento di consultazioni delle regioni o di referendum, ecc.. La sussistenza di questi prerequisiti va verificata dai Presidenti d’Assemblea a quali l’ iniziativa è presentata, ad essi spetta dunque un generale giudizio sulla ricevibilità dei progetti di legge: una verifica che dovrebbe limitarsi all’accertamento dell’esistenza dell’atto, della sua regolarità formale e alla constatazione che un progetto di legge consista in un articolato e che sia preceduto da una relazione illustrativa e ove richiesto da quella tecnico- finanziaria. 90 Questo rappresenta la commissione nel corso dell’esame del progetto di legge in Assemblea esercitando quelle funzioni di guida e sostegno della discussione in aula, oltre che esprimendosi preventivamente su tutti gli emendamenti presentati. Il testo proposto dalla commissione viene stampato, preceduto dalla relazione del relatore. Possono essere presentate oltre alla relazione di maggioranza anche relazioni di minoranza (corredate con un testo alternativo). 5.3. L’ ESAME IN ASSEMBLEA Arrivati in Assemblea (la stessa procedura si segue in commissione in sede “deliberante” o “redigente”) sul testo predisposto dalla commissione si apre una discussione generale. È questo il momento del primo e più ampio confronto pubblico sul testo del provvedimento che dovrebbe coinvolgere tutti i parlamentari (piena pubblicità dei lavori dell’aula), tuttavia, nei fatti, la discussione generale si è ridotta ad essere un passaggio di rito a cui sono dedicati spazi residuali dei lavori parlamentari ( essa si svolge per lo più in aule deserte ove deputati o senatori spesso stancamente leggono testi da lasciare agli atti). Alla Camera dovrebbe essere un dibattito limitato (relatori, un deputato per gruppo e per componenti del gruppo misto, i dissenzienti, e poi i rappresentanti del Governo e i relatori in replica), ma solo 20 deputati o un capogruppo possono chiedere l’ampliamento. Ad ogni modo, essa è in genere oggetto di contingentamento per entrambe le Camere. La discussione può altresì concludersi con la votazione di una questione pregiudiziale o sospensiva. Il procedimento si interrompe nel caso di votazione di una questione pregiudiziale o anche, al Senato, per approvazione della proposta di “non passaggio agli articoli”. Si tratta di voti che equivalgono al rigetto del provvedimento. Nel caso di approvazione di una questione sospensiva il progetto di legge risulta solo accantonato in attesa di un evento od del superamento di una certa scadenza. Diverso è, invece, il rinvio in commissione: uno strumento che interrompe l’esame in Assemblea ed è di solito strumentale alla ricerca di un accordo politico in una sede ristretta, ossia nella commissione, in cui la fase referente viene così a riaprirsi. Finita la discussione generale, si passa all’ esame degli articoli che compongono il testo e dei relativi emendamenti, ossia delle proposte di modifica presentate da singoli parlamentari o dal Governo, a loro volta suscettibili di ulteriori proposte di modifica, dette subemendamenti. Con un emendamento si possono sostituire più articoli, un comma, una parola, anche una sola virgola del testo in esame. Quello di presentare emendamenti è un diritto riconosciuto a ciascun parlamentare, che in genere si presenta come una sorta di proiezione del diritto costituzionale di iniziativa legislativa. Non è un diritto privo di limiti, innanzitutto nei tempi del suo esercizio: i regolamenti dettano termini e modalità per la presentazione degli emendamenti (art 86 r. C e 100 r. S). Sfuggono tendenzialmente ai vincoli temporali il Governo e la commissione, i quali per la loro posizione si fanno portatrici di scelte politiche che si risolvono in aggiustamenti al testo. Rispetto all’iniziativa 93 legislativa, la presentazione degli emendamenti presenta limiti che l’iniziativa non ha, ma al contrario di essa, può esercitarsi anche su materie la cui iniziativa legislativa è riservata al Governo. Non tutti gli emendamenti presentati vengono esaminati. Ai Presidenti è riconosciuto un rilevante potere circa la loro ammissibilità o proponibilità, non sono ammissibili emendamenti relativi ad argomenti estranei all’oggetto del testo in esame. La verifica dovrebbe farla anche il presidente della commissioni nel corso della fase referente. Al Senato sono espressamente ritenuti inammissibili gli emendamenti “privi di ogni reale portata modificativa” e sono improponibili quelli governativi che comportino oneri, privi della relazione tecnico-finanziaria. Alla Camera si arriva a soluzioni analoghe con la prassi: sono ammissibili in aula solo argomenti già considerati in commissione. Criteri più restrittivi per la conversione dei decreti-legge, della manovra di bilancio, della legge comunitaria, ecc.. Sugli emendamenti presentati in Assemblea vanno acquisiti poi i pareri delle commissioni di bilancio, per i profili di copertura finanziaria, e delle commissioni affari costituzionali. Diversi sono gli effetti procedurali che ne derivano: solo al Senato il parere contrario della commissione bilancio rende non votabile l’emendamento a meno che ne facciano richiesta 15 senatori. Alla Camera come al Senato, nessun vincolo nella procedura d’Assemblea è indotto dal parere contrario della commissione affari costituzionali. Gli emendamenti sono illustrati non autonomamente, ma nell’ambito della discussione relativa a ciascun articolo nella quale ogni parlamentare, anche se presentatore di più emendamenti, può intervenire una sola volta. Sugli emendamenti vengono acquisiti pareri del Governo e del relatore: elementi essenziali di orientamento per il voto dei parlamentari, che nelle sedute caotiche non riescono a seguire e votano secondo le indicazioni dei colleghi. Arriva quindi il momento più delicato: quello delle votazioni sugli emendamenti e poi su ogni articolo, come prescritto dalla Costituzione. Per garantire un’ espressione della volontà chiara, gli emendamenti sono messi in ordine e posti in votazione, ove si riferiscano alla stessa porzione di testo, a partire da quelli che più si allontanano dal testo base. Dunque, prima gli emendamenti interamente soppressivi, poi quelli parzialmente soppressivi, quindi quelli modificativi e infine quelli aggiuntivi. Gli articoli aggiuntivi sono votati alla fine, dopo la votazione dell’articolo. I subemendamenti sono invece votati prima degli emendamenti a cui si riferiscono (non sono ammissibili quelli interamente soppressivi). Sempre per garantire un risultato coerente delle votazioni, il Presidente non mette in votazione gli emendamenti che dichiara “preclusi”, perché oggettivamente incompatibili con precedenti votazioni, o “assorbiti” dall’approvazione precedente di un testo. Questa è la procedura normalmente seguita. Tuttavia, specie qualora ci si trovi di fronte a molti emendamenti, per es. nel caso di ostruzionismo, il Presidente può modificare l’ordine delle votazioni degli emendamenti quando lo reputi opportuno ai fini dell’economia o chiarezza delle votazioni (r. S) . 94 Votati gli emendamenti, si vota ciascun articolo che può essere approvato o respinto, ma anche accantonato quindi rinviato dal Presidente in commissione per un ulteriore approfondimento. Uno o più articoli possono anche essere “stralciati”, cioè separati dal progetto di legge: serve qui una decisione dell’Assemblea e la parte stralciata diviene un autonomo progetto di legge che ha una vita propria (il più delle volte si conclude negli archivi). Dopo la votazione articoli alla Camera (prima invece, al Senato) vengono discussi e votati gli ordini del giorno. Quindi, il progetto di legge deve essere votato nel suo complesso, con le relative dichiarazioni di voto (anch’esse soggette, di regola, a contingentamento dei tempi). Questa deliberazione avveniva un tempo a scrutinio segreto mentre oggi invece avviene generalmente a scrutinio palese, salva la possibilità di richiederne quello segreto nei soli casi previsti dai regolamenti. Il voto finale è in genere preceduto dal coordinamento formale, ossia dall’introduzione di modifiche esclusivamente di forma, che si rendono in genere necessarie per ovviare ad errori materiali, imperfezioni o contraddizioni. Il coordinamento è oggetto di un’accurata disciplina nei regolamenti parlamentari. Infine il testo del progetto di legge, come approvato da una camera, per il principio del bicameralismo perfetto, viene poi trasmesso all’altra, con il “messaggio” del Presidente dell’una al Presidente dell’altra Assemblea, al quale spetta, nei modi che si sono visti, attivare il procedimento legislativo presso quale ramo del Parlamento. Il testo viaggerà quindi da palazzo Montecitorio a palazzo Madama (o viceversa) avanti e indietro (le navette) anche più di una volta fino a che non vi sia una deliberazione conforme sul medesimo testo, di Camera e Senato. I regolamenti prevedono comunque che la Camera che ha approvato per prima il testo debba limitare il suo esame, nel caso non infrequente che l’altra Camera glielo rimandi modificato, alle sole parti modificate. Ne discende l’inammissibilità degli emendamenti che non si trovino in diretta correlazione con le modifiche apportate dall’altro ramo del Parlamento, con la sola eccezione di quelli diretti ad aggiornare la clausola di copertura finanziaria (termini di contesa quindi ristretti). 5.4. I PROCEDIMENTI IN SEDE LEGISLATIVA (O DELIBERANTE) E IN SEDE REDIGENTE Art 72 comma 3 Cost. “Il regolamento può altresì stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei disegni di legge sono deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un 1/10 dei componenti della Camera o 1/5 della Commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con le sole 95
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