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Manuale di diritto penale, parte generale. Grosso, Pelissero, Petrini, Pisa, Sintesi del corso di Diritto Penale

Riassunto completo del manuale

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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NicoleMeyerhoff
NicoleMeyerhoff 🇮🇹

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Scarica Manuale di diritto penale, parte generale. Grosso, Pelissero, Petrini, Pisa e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! CAPITOLO III PRINCIPI GENERALI DI POLITICA CRIMINALE politica criminale—> insieme di strumenti che il sistema adotta per contrastare la criminalità. Prende in considerazione quella particolare forma di devianza sociale che è il reato. La politica criminale comprende la politica penale, ma non si esaurisce con essa. Infatti non si avvale esclusivamente degli strumenti penali, ma anche di sanzioni amministrative, disciplinari, interventi di tipo preventivo, meccanismi ingiunzionali. La politica penale è un settore della politica criminale, ed è in grado di incidere sulla libertà personale. La politica criminale a sua volta è un settore della politica sociale—> ha per oggetto qualsiasi fenomeno sociale, interviene in via preventiva per scoraggiare la commissione di reati. Il Diritto penale non è da confondere con la politica criminale. Il diritto penale più essere identificato come l insieme delle regole che disciplinano i presupposti della responsabilità penale e le conseguenze sanzionatorie che ne derivano. Si può parlare di “Magna Charta del reo”. Il diritto penale assicura una duplice garanzia all’autore del reato: - gli garantisce che non sarà punito se non nel rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento - lo tutela da forme di giustizia privata La politica criminale si occupa di definire che cosa costituisce reato: il nostro ordinamento accoglie una definizione formale di reato per cui “costituisce reato solo quel fatto per il quale la legge penale preveda come conseguenza sanzionatoria una pena “. Una volta rispettata la riserva di legge, ci si domanda se il legislatore debba rispettare dei limiti nel ricorrere al diritto penale, considerando la particolare affettività del diritto penale, in grado di incidere sulla libertà personale (arma a doppio taglio—> tutela di beni giuridici attraversi lesione di beni giuridici). Già durante l’illuminismo queste riflessioni erano prese in considerazione (Cesare Beccaria): necessità di distinguere tra reato e peccato. E’ necessario limitare il potere di criminalizzazione del legislatore; affiancare alla garanzia formale, una sostanziale—> che cosa punire. La definizione dei limiti di intervento del legislatore penale trova un aggancio nelle norme della Costituzione. Art. 25 —> principio di legalità art.27—> principio della responsabilità penale personale, limiti al contenuto delle pene e ne fissa il finalismo. Art. 13—> riconosce l’inviolabilità della libertà personale e prescrive le condizioni per la sua limitazione Art. 10 e 26—> limiti all’estradizione Art. 90—> immunità del Presidente Della Repubblica Art. 117—> esclude la potestà legislativa regionale in materia penale A prescindere da questo limitato complesso di norme costituzionali espressamente dedicati alla materia penale, si deve tenere in considerazione che il testo costituzionale incide nel suo complesso sulla materia penale; in particolare l’impronta personalistica della Costituzione. Esempio di interpretazione conforme al personalismo costituzionale è data dalla sentenza della corte costituzionale in un contestonnormativo ancora caratterizzato dall’illiceità penale dell’interruzione di gravidanza (prima della legge n. 194/1978) , la corte aveva dichiarato legittimo l’aborto terapeutico, tramite un interpretazione estensiva della scriminante dello stato di necessità (art. 54), che si fonda sull’equivalenza tra bene offeso dal fatto dell’autore, e bene 1 che col fatto si vuole salvare. La corte ha dato prevalenza alla salute psico-fisica della madre “che è già una persona”, rispetto all’embrione che persona deve ancora diventare. I limiti di ordine costituzionale (limiti nei confronti del legislatore) alle scelte di politica criminale possono essere distinti in : - divieti di incriminazione - limiti di incriminazione - obblighi di incriminazione Divieti di incriminazione Sulla base del principio di non contraddizione e di gerarchia delle fonti il legislatore non può incriminare condotte che costituiscono esercizio di diritti e libertà costituzionali. Divieto rivolto al legislatore e all’interprete—> quest’ultimo deve interpretare le norme penale in modo da salvaguardare l’esercizio degli stessi e qualora ciò non sia possibile , sollevare il giudizio di legittimità costituzionale. Talvolta è possibile un interpetazione costituzionalmente orientata della norma penale—> x esempio è accaduto in merito al delitto di apologia di delitto art. 414 cp; la corte costituzionale l’ha interpretato in senso restrittivo, al fine di garantire il rispetto dell’art. 21 cost. “l’apologia punibile.. non è.. la manifestazione del pensiero puro e semplice, ma quella che per le sue modalità integri un comportamento idoneo a provocare la commissione di delitti” Altre volte non è possibile un interpretazione adeguatrice, al che la norma penale non potrà che essere dichiarata incostituzionale. Divieto di incrimazione di carattere generale—> rispetto del principio di uguaglianza art.3 cost. La Corte Costituzionale ha ravvisato la violazione del’art. 3 Cost. nella cd. “aggravante della clandestinità” checonsentiva l’applicazione di una pena più elevata se il reato era commesso da uno straniero extracomunitario che si trovasse illegalmente sul territorio dello stato. (art. 61n 11 bis) delitto di adulterio art. 559—> punito solo se commesso dalla moglie, dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 29 (principio di uguaglianza tra i coniugi). Limiti di incriminazione Condizionano le scelte di politica criminale alcuni principi: determinatezza, materialità, offensività, proporzionalità, sussidiarietà, efficacia della tutela penale e colpevolezza. prinicpio di determinatezza—> i consociati devono poter prevedere in anticipo quali sono i comportamenti vietati, e qui permessi. il principio di determinatezza impone al legislatore di descrivere fatti chiari e precisi, nonché di prevedere come reato fatti che corrispondono a situazioni riscontrabili nella realtà (non si possono incriminare situazioni o comportamenti irreali o fantastici). principio di materialità—> impone al legislatore di incriminare solo comportamenti umani esteriormente percepibili. “Nessuno può subire una pena per i suoi pensieri “—> principio che risale agli illuministi che evidenziano la necessità di tenere distinti peccati e reati. Il Peccato attiene alla coscienza del soggetto e non è sindacabile dall’autorità giudiziaria. Questo principio è cristallizzato nell’art.25 c.2 Cost. “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”—> riferimento al fatto commesso, esprime la necessita di una condotta. 2 attraverso la predisposizione del piano regolatore e la concessione di permessi di costruire, garantisce la tutela del territorio e dei contrapposti interessi (attività economiche, sportive..) Le funzioni non sono altro che beni strumentali, la cui tutela è inscindibilmente connessa a quella dei beni finali. Principi di proporzionalità, sussidiarietà ed efficacia della tutela penale La dottrina riconosce la necessità di delimitare l’intervento della legge penale alla tutela di beni che appaiono essere meritevoli di tutela attraverso la più grave delle sanzioni di cui l’ordinamento dispone: è necessario cioè che per la tutela del bene appaia proporzionato il ricorso alla legge penale m che incide direttamente o indirettamente sulla libertà personale (principio di proporzionalità o di meritevolezza della pena.) Il giudizio di meritevolezza impone di considerare la proporzionalità sulla base del tipo di bene offeso, e delle modalità di aggressione dello stesso; la lesione di un benne più importante giustifica una sanzione più pesante (omicidio vs furto—> vita vs patrimonio). A giustificare il ricorso alla sanzione penale non basta la meritevolezza di pena in base al bene e alle modalità di aggressione, il sacrificio imposto alla libertà personale dalla sanzione penale richiede che sussista un effettivo bisogno della pena: e cioè che risultino inefficaci altri strumenti di tutela meno afflittivi. Il diritto penale deve essere impiegato come extrema ratio—> si parla a tal proposito di principio di sussidiarietà. (art. 13 e 27 c 3 Cost) Infine, è necessario garantite il principio di efficacia della legge penale: non bastano meritevolezza e bisogno della pena, se poi lo strumento penale si mostra inefficace alla tutela stessa del bene. Solo un diritto penale efficace in termini di scopo è in grado di giustificareil sacrificio delle libertà personale . Anche questo principio trova copertura negli art 13 e 27 c.3 Obblighi di tutela penale? Si possono riscontrare degli obblighi costituzionali espressi: art. 13 c.4 prevede che sia punita “ogni forma di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizione della libertà”. Se il legislatore,abrogasse le norme interne che prevedono specifici reati di violenta a danno di persone detenute (art.607-608 cp) , la norma abrogatrice sarebbe illegittima. Non sono presenti invece obblighi impliciti, che impongono il ricorso alla sanzione penale in ragione dell’importanza di alcuni beni giuridici. Questo perché spetta al legislatore vagliare la legittimità del ricorso al diritto penale in forza dei criteri di sussidiarietà e di efficacia della tutela. Obblighi di incriminazione che derivano da fonti sovranazionali: Ue —> trattati di Lisbona , fonti convenzionali o convenzione europea dei diritti dell’uomo così come interpretata dalla corte di Strasburgo. Gli obblighi di incriminazione di fonte sovranazionale si traducono in un vincolo di ordine costituzionale ex. art 117 c.1 “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La mancata attuazione di una norma sovranazionale vincolante per L’Italia si trauce in una violazone dell’art. 117. Principio di colpevolezza—> esprime il rifiuto di fondare la responsabilità penale esclusivamente su basi oggettive e richiede un imputazione soggettiva; come precisato dalla corte nella sentenza 364/1988—> per il rispetto del principio di personalità della responsabilità 5 penale, dolo o colpa sono elementi imprescindibili e devono investire gli elementi più significativi della fattispecie. Il principio di colpevolezza si traduce in un limite di politica criminale, perché il legislatore non può prevedere forme di imputazione oggettiva del fatto. Nella sentenza 364/1988 la corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ art.5 cp nella parte in cui non esclude dalla responsabilità, i casi di ignoranza inevitabile della legge penale. Ipertrofia del diritto penale e diritto penale della prevenzione L’efficacia del controllo penale è condizionato dal rispetto dei limiti di intervento dello stesso, perché una politica criminale che conducesse ad espandere eccessivamente il ricorso alla sanzione penale finirebbe per abbassare l’efficacia deterrente della risposta punitiva. L’ipertrofia si traduce negativamente anche sul piano processuale—> alcuni reati finirebbero per prescriversi ed altri non potrebbero essere affatto perseguiti. In questo senso è intervenuto il legislatore con la l. n 689 del 24 Novembre 1981; ha operato un ampia depenalizzazione dei reati minori, trasformando i delitti e le contravvenzioni puniti con la pena della multa o dell’ammenda (salvo specifiche eccezioni espresse nella stessa legge). I reati bagatellari sono quelle fattispecie che già ad una valutazione astratta, costituiscono fatti del tutto marginali. Allo stesso tempo è in atto una tendenza opposta—> la progressiva anticipazione della soglia di punibilità. A fronte dei nuovi rischi rwcnologici che mettono in pericolo settori più o meno ampi della collettività, il modello del reato di danno non assicura un adeguata tutela del bene, il quale può essere salvaguardato solo anticipando l’intervento penale. Ciò avviene tramite l’introduzione di nuovi strumenti di controllo preventivo “praeter delictum” . Si pone l’attenzione più sulla autore del fatto, che sul fatto. CAPITOLO IV La riserva di legge Principio di legalità—> ha 3 sottoprincipi: - riserva di legge - irretroattività - determinatezza dei precetti penali. Nel passaggio dall’Ancien regime alle costituzioni ed alle codificazioni penali liberali frutto della rivoluzione francese si consolida il principio di legalità, in virtù dei quali, i precetti penali devono provenire da un Parlamento democraticamente eletto, la legge deve essere previa al fatto, e deve essere chiara e precisa. Il principio di legalità inoltre, costituisce un presupposto della separazione dei poteri. Tale principio, sorto in ambito politico ed istituzionale, acquisisce poi una sua specificità in relazione al diritto penale. Il secondo corollario del principio di legalità è l’irretroattività della legge penale, che impone che la legge preceda il fatto, affinché un soggetto possa essere punito. La certezza del diritto, oltre ad imporre l’irretroattività della legge, impone che i precetti penali siano chiari, tassativi, precisi e comprensibili da tutti consociati (prinicpio di determinatezza) Infine il quarto corollario del principio di legalità è la tassatività—> è vietata qualsiasi forma di analogia in mala partem. Ratio di garanzia contro gli abusi del potere; Ratio di certezza—> tutti i catodici possono conoscere con precisione il confine tra lecito e illecito. 6 Il principio di legalità viene enunciato della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino all’art.8 “La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata”. Già presente nello Statuto Albertino del 1848, oggi il principio di legalità e il principio di irretroattività sono cristallizzati nell’art. 25 della costituzione. “ Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. Il terzo comma estende la riserva di legge (ma non il principio di irretroattività) alle misure di sicurezza “ Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. La riserva di legge La materia penale è di esclusiva prerogativa legislativa con la conseguenza che nessuna fonte subordinata può emanare leggi penali, né con riferimento al precetto della pena. Solo una legge emanata da un parlamento democraticamente eletto tutela i consociati da possibili arbitri del potere politico e offre le garanzie di imparzialità e legittimazione (ratio di garanzia). Inoltre la legge prevede forme di conoscibilità—> pubblicazione in gazzetta ufficiale, garantisce la conoscibilità da parte di coloro che sono obbligati a rispettare le norme penali (ratio di certezza). A livello costituzionale il principio della riserva di legge è contenuto nell’art. 25, nella legislazione ordinaria, la riserva di legge è imposta dagli art. 1 c. 1 cp: “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato” e 119 cp “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi della legge stesse preceduti”, nonché dall’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale “Le leggi penali.. non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. Il nostro modello di legalità può essere definito “formale”, ed è il modello tipico degli ordinamenti liberali e democratici—> impone al giudice di considerare reato solo ciò che è previsto come tale dalla legge. Il problema è allora individuare il significato di “legge”: pacificamente si ritiene che possano essere fonti del diritto penale le leggi costituzionali, le leggi ordinarie, i decreti legislativi in tempo di guerra (ex art. 78 cost). Maggiori problemi sorgono invece in relazione a decreti legislativi e decreti legge. Secondo l’opinione dominante entrambi possono essere fonti del diritto penale, in quanto il Parlamento esercita in entrambi i casi un controllo sull’operato del Governo, rispettivamente ex post, e ex ante. Decreti legislativi (art. 76 Cost) —> Il Governo è tenuto a rispettare i criteri e principi direttivi della legge delega. Inoltre il decreto decade dei suoi effetti se non viene convertito in legge entro 60 giorni. Tuttavia il Governo potrebbe impiegare questo strumento per per abrogare un ipotesi di reato, impedendo di punire i fatti commessi durante la vigenza del decreto legislativo, anche se questo non dovesse essere convertito. Perplessità legate alla possibilità per i decreti legislativi di regolare la materia penale, legate al fatto che spesso la legge delega contiene direttive generiche e poco tassative. Nella prassi decreti legislativi e decreti legge sono impiegati frequentemente. 7 Si può a tal proposito parlare di tutela mediata, indiretta degli interessi comunitari. In un primo periodo le direttive dell’Unione si limitavano a chiedere l’introduzione di sanzioni efficaci, senza imporre il ricorso allo strumento penale. Con il passare degli anni tuttavia, l’Unione diviene sempre più pressante, sino ad imporre il ricorso alla sanzione penale, indicando, i limiti edittali minimi o massimi cui i Parlamenti dei Paesi membri si devono attenere. Attualmente, anche in seguito del Trattato di Lisbona rimane vero che l’Unione non può introdurre nuove fattispecie incriminatrici, è sempre necessario il recepimento delle direttive europee da parte dei parlamenti dei paesi membri. Ma è evidente che la tutela mediata degli interessi comunitari e la lotta al crimine transnazionale rendono sempre più incisivo il ruolo dell’Unione nell’individuazione dei fatti vietati e anche delle relative sanzioni. Inoltre, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, attraverso la sua giurisprudenza, ha affermato il principio della preminenza del diritto comunitario, in virtù del quale in ipotesi di contrasto tra norme interne e norme europee, queste ultime prevalgono. Sebbene vi siano stati dei tentativi, siamo ancora lontani da un “Unificazione” ovvero un unico strumento penale vigente in tutti gli ordinamenti dell’unione. Esistono alcuni progetti tra cui quello di creare un Corpus Iuriss per la protezione degli interessi comunitari, tuttavia per crearlo sarebbero prima necessari: - Una Costituzione europea (tentativo fallito nel 2004 quando il referendum francese ed olandese ebbero esito negativo) - Gli organi deliberativi dell’Unione dovrebbero avere base elettiva, democratica e rappresentativa. L’unione si avvale di due strumenti: - L’assimilazione—> invita i paesi ad estendere la tutela penale già presente nei loro ordinamenti interni a specifici interessi dell’unione stessa. Questo strumento porta ad un evidente disparità di trattamento perché le norme sono ricalcate su ipotesi delittuose già esistenti nei diversi codici statali. - L’armonizzazione—> gli stati sono chiamati ad introdurre nuove fattispecie incriminatrici Ci si può domandare come mai gli stati siano disposti a rinunciare in maniera così consistente alla propria sovranità—> sulla base di quello che dopo Lisbona è il Trattato sul Funzionamento dell’Ue, all’art 258 è previsto che l’Unione possa esercitare un potere di infrazione nei confronti degli stati che non hanno ottemperato alle previsioni di una direttiva. Contrasto tra norma interna e norma comunitaria—> ai sensi degli art. 11 e 117 Cost in giudice italiano deve tenere conto della disciplina europea; e dovrà disapplicare la normativa interna. Si pensi al caso di una fattispecie che punisce un fatto ritenuto lecito da una norma europea. La disapplicazione della norma interna, produce quale risultato che, se vi è una sentenza anche definitiva di condanna, ne cessano immediatamente esecuzione ed effetti. Il giudizio di legittimità da parte della Corte Costituzionale sulle norme interne che violano principi contenuti in una direttiva europee vale anche nei confronti delle norme di favore: la questione è problematica perché la disapplicazione da parte del giudice italiano dovrà avvenire, non sulla base di una pronuncia della nostra Corte costituzionale, ma di una sentenza della Corte europea (è quando avvenuto con la sentenza “Taricco”relativa all’intervenuta prescrizione per alcune gravi frodi fiscali in materia di IVA). Gli articoli di riferimento sono il 160 e 161 cp, che prevedono che il termine di prescrizione di quei reati in presenza di atti interruttori sia prolungato solo di un quarto, con la conseguenza che per molti delitti in materia di IVA , la 10 sentenza definitiva di condanna non interviene prima di giungere al termine di prescrizione. La Corte di Lussemburgo, l 8 settembre 2015, impone al giudice italiano di disapplicare la normativa interna qualora la prescrizione sia maturata, dal momento che essa impedisce un effettiva tutela degli interessi economici dell’Unione. Nella Sentenza Taricco il giudice italiano si trova a dover condannare un cittadino per un reato che in realtà, ai sensi della disciplina penale interna si è prescritto. Ciò determina alcune perplessità in quanto: - si applica una disciplina sfavorevole al reo di creazione giurisprudenziale - il principio di irretroattività della legge penale sarebbe violato, perché si applica retroattivamente una disciplina più sfavorevole, che non era in vigore al momento del compimento del fatto. A livello interpretativo la prevalenza del diritto comunitario impone al giudice di scegliere sempre l’interpretazione più conforme ai principi del diritto comunitario. CEDU (4 novembre 1950) e diritto penale Vale quanto detto in precedenza: ai sensi dell’art. 25 della Costituzione solo una norma emanata dal Parlamento può disciplinare l’ambito penale, quindi la Cedu non può introdurre direttamente fattispecie incriminatrici nel nostro ordinamento. Tuttavia, ex art. 117 Cost il parlamento non potrà emanare norme penali contrastanti con le previsioni della Cedu, e se ciò dovesse accadere la norma in questione sarà dichiarata illegittima. Il vincolo è forte anche per quanto attiene l’interpretazione delle norme—> non solo Cedu; ma anche giurisprudenza della Corte Europea. CAPITOLO V Successione di leggi penali nel tempo Il principio di irretroattività è il secondo corollario del principio di legalità; in virtù del quale nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato al momento del compimento dello stesso. Principio di irretroattività—> ratio di garanzia = si tutela il cittadino funzione di certezza= i cittadini sono in grado di sapere in anticipo le conseguenze dei propri comportamenti. Oggi vi sono 4 disposizioni che prendono in considerazione questo principio: - art. 11 Disposizioni sulla legge in generale “La legge non dispone che per l’avvenire” - art. 1 c. 2 cp “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo non costituiva reato”. - art. 25 Cost. impone che la legge debba “ essere entrata in vigore prima del fatto commesso “ . Se non vi fosse l’art. 25 della costituzione il parlamento potrebbe derogare al divieto di retroattività delle norme penali (in quanto le prime due norme hanno rango di legge ordinaria). - art. 7 CEDU prevede il principio di irretroattività sia in relazione ai fatti sanzionati, che in relazione alle pene. L’interpetazione che la Corte Europea ha dato all’art. 7 —> riferimento anche al divieto di applicare retroattivamente un orientamento giurisprudenziale nuovo. Sentenza Contrada 2015—> delitto di associazione di stampo mafioso , membro dei servizi segreti italiani accusato di aver passato informazioni riservate ad un organizzazione criminale 11 mafiosa. Il comportamento in questione al momento del compimento del fatto non aveva rilevanza penale . (tuttavia il soggetto aveva già scontato la pena) Principio di retroattività della legge penale più favorevole L’art. 2 cp, nei commi successivi al primo introduce una disciplina della successione delle leggi penali nel tempo improntata alla retroattività della norma penale più favorevole al reo. Sicuramente il principio di irretroattività di una nuova fattispecie incriminatrice ha rango costituzionale ax art. 25, e il principio di retroattività della norma più favorevole?—> Si, sulla base dell’art. 3 Cost che sancisce il principio di uguaglianza,in particolare sotto il profilo della ragionevolezza. Tuttavia non ha valenza assoluta, il legislatore, potrebbe introdurre una deroga al principio , ma solo se l’eccezione è giustificata da una qualche ragionevolezza. La legittimità di deroghe alla retroattività di norme penali più favorevoli viene ribadita anche dalla giurisprudenza costituzionale. Abolitio criminis—> una legge successiva abroga una precedente fattispecie incriminatrice. L’art. 2 c. 2 cp prevede che non possano essere punito coloro che hanno commesso il fatto sotto la vigenza di una precedente legge incriminatrice, e se vi è già stata sentenza anche definitiva di condanna, ne devono cessare immediatamente l’esecuzione e gli effetti penali. Non ha senso punire chi ha commesso un fatto che, in un momento successivo non viene più considerato meritevole di pena. Art. 2 c. 4 cp—> diversa ipotesi di successione di leggi penali nel tempo: il fatto continua ad essere considerato reato, ma la disciplina della nuova legge è diversa. Il giudice deve applicare la legge più favorevole al reo. E’ importante distinguere ipotesi di abolito criminis, da altre in cui vi è successione di leggi penali nel tempo: Può parlarsi di abolito criminis quando il fatto incriminato dalla norma previgente, non rientra più a nessun titolo, nella nuova fattispecie. “criterio strutturale”= raffronto tra norma previgente e norma successiva ; se il fatto concreto rientra , pur con disciplina diversa in entrambe le fattispecie allora si ha successione di legge penale nel tempo. In queste ipotesi , ai sensi del comma 4 dell’art. 2 cp si applica la norma più favorevole al reo (per i fatti compiuti prima dell’entrata in vigore della nuova norma.) Es: il legislatore con l. 66 del 1996 ha abrogato il capo del codice ove era contenuto il delitto di violenza carnale, successivamente all’art. 2 ha introdotto il nuovo delitto di violenza sessuale ( che riproduce buona parte degli elementi costitutivi della vecchia fattispecie)—> in questo caso vi è successione di leggi penali nel tempo. 1981—> è stata abrogata la norma che puniva l’infanticidio per causa d’onore (art. 578 cp). La norma è stata sostituita con il delitto di “ infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale” che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, quando il fatto è determinato da abbandono materiale e morale connesse al parto. Tra le due fattispecie non vi è continuità in relazione al tipo di illecito, pertanto la legge del 1981 ha abrogato il delitti di infaticidio per causa d’onore. Si tratta di una norma speciale, rispetto al più generale delitto di omicidio; per cui chi oggi uccida il feto per ragioni di presunto onore, sarà sanzionato sulla base del delitto di omicidio che, abrogata l’ipotesi speciale, si risponde, anche con riferimento ai fatti che in precedenza erano sottoposti al regime della norma speciale. Il criterio strutturale non è l’unico; talvolta la volontà del legislatore è da intendere nel senso dell’abolitivo criminis. Es—> l 22 maggio 1984 in materia di interruzione volontaria della 12 Per ovviare a questo problema —> l.11 marzo 1953 prevede che “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l esecuzione e tutti gli effetti penali.” Oggi la situazione è identica a quanto visto per il decreto legge non convertito: la dichiarazione di illegittimità opera ex tunc , ma ai sensi del 25 Cost, se la norma stessa era più favorevole al reo , si continuerà ad applicare il regime più favorevole. La questione dell’ammissibilità del sindacato sulle leggi penali di favore La corte non può estendere l’ambito di operatività di una fattispecie incriminatrice- In un primo momento si escludeva anche che si potesse sindacare la legittimità costituzionale delle norme penali di favore, per mancanza di rilevanza della questione ; il nuovo e più severo regime derivante dalla declaratoria di illegittimità, non si sarebbe potuto applicare retroattivamente a chi avesse tenuto la condotta nel vigore della norma più favorevole. Quest’orientamento è stato tuttavia superato in riferimento alle situazioni nelle quali la norma di favore sottrae una categoria di soggetti dall’applicazione della norma stessa. (si parla a tal proposito di odioso privilegio).—> solo ed esclusivamente in queste ipotesi, per non violare il principio di legalità. CAPITOLO VI Principio di determinatezza—> il principio di legalità impone che le fattispecie incriminatrici individuino con precisione tutti gli elementi costitutivi. Non basta che le norme penale siano previste da una legge , ma occorre anche che sia possibile per i cittadini individuarne tutti gli elementi costitutivi. Le norme devono essere chiare e precise—> in sintonia con l’art. 1 cp che impone che nessuno possa essere punito, se non per un fatto espressamente previsto dalla legge come reato. Il principio di determinatezza costituisce un corollario del principio di legalità (anche art. 25 cost). L’individuazione certa dei limiti del penalmente rilevante costituisce un presupposto del principio di colpevolezza, come ricorda la corta nella sentenza 364/1988: solo in presenza di un precetto penale chiaro e privo di ambiguità sarà possibile muovere un rimprovero a chi lo abbia violato. Il principio di determinatezza tutela i consociati da possibili abusi del potere giudiziario, che sarebbero possibile se le fattispecie fossero descritte in termini generici. I destinatari del principio di determinatezza sono: il legislatore (che deve dare alla luce fattispecie chiare e precise) ,il giudice (in relazione all’interpetazione). Criteri di tecnica legislativa: - La normazione casistica: tende ad elencare tutti i possibili aspetti della realtà che rientrano nella fattispecie incriminatrice.(es delitto di stampo mafioso art. 416- bis). Questa tecnica legislativa sicuramente rispetta il principio di legalità, in quanto descrive nel dettaglio gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice ; tuttavia ciò che non è esplicitamente descritto come vietato deve essere considerato lecito, con il rischio di lasciare impunite condotte che pur offendendo il bene tutelato non sono state inserite dal legislatore tra gli elementi costituitivi della fattispecie. - La normazione sintetica pare allora preferibile; in quanto in grado di definire con certezza i limiti alla rilevanza penale dei comportamenti dei cittadini, alla stregua di due criteri : da un lato vi deve essere un oggetto giuridico ben definito, in secondo luogo i termini che il 15 legislatore utilizza devono potersi verificare empiricamente. La normazione sintetica basata sul elementi normativi di carattere giudico garantisce a sua volta elevati livelli di determinatezza della fattispecie incriminatrice (es. l art 641 cp punisce come insolvenza fraudolenta, chi assume un obbligazione con il proposito di non adempiere—> il concetto di obbligazione è sicuramente chiaro, alla luce della definizione che ne offre il c.c.) Maggiori problemi sorgono in relazione agli elementi normativi extragiuridici, quali ad esempio il concetto di osceno, pudore,atti sessuali ecc. Il ricorso a questa tecnica legislativa è imprescindibile in primis per evitare una sola di “elefantiasi” dalla descrizione delle fattispecie , in secondo luogo impiegando elementi normativi extragiuridici è possibile adeguare l’interpretazione delle norme penali ai mutamenti del comune sentire. (si pensi a come è cambiato nel tempo il concetto di pudore). Tuttavia gli elementi normativo-sociali necessitano di interpretazione, talvolta non compatibile con il principio di determinatezza. La Corte costituzionale è sempre stata restia a dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma per la sua scarsa precisione; la Corte ha ritenuto sufficientemente determinati i termini rispetto ai quali sia possibile un rinvio al normale significato linguistico. Talora il riferimento al significato linguistico viene arricchito dal giudice che ne da una lettura alla luce dei principi generali di carattere costituzionale. In tal senso la corte ha respinto la questione di legittimità cost. dell’art. 15 della legge sulla stampa, nella parte nella quale estende la norma incriminatrice dell’art. 528 (pubblicazioni e spettacoli osceni) agli “stampati che descrivono o illustrano con particolari impressionanti, avvenimenti realmente verificatisi o immaginari, tali da turbare il comune sentimento della morale…” dal momento che il termine “comune sentimento morale” fa riferimento al contenuto minimo dell’offesa, che consiste nel rispetto della persona umana—> richiamo all’art. 2 Cost alla luce del quale va letta la previsione normativa in questione. Altre volte il parametro della determinatezza si considera rispettato facendo riferimento al diritto vivente cioè all’interpretazione costante e condivisa di un certo termine consolidato nella giurisprudenza di legittimità. D’altra parte non sono mancate pronunce ove la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di fattispecie incriminatrici caratterizzate dalla scarsa determinatezza dei loro elementi costitutivi. Es. 1)—> in materia di plagio una fattispecie puniva “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione”. Secondo la Corte manca qualsiasi riferibili empirica del concetto “soggezione totale”. 2) In materia di sanzioni penali per l’immigrazione clandestina, la Corte ha dichiarato l’illegittimità l’art. 7-bis del d.l 30 dicembre 1989 (norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari e di regolarizzazione di cittadini extracomunitari) nella parte in cui punisce con la reclusione lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione che non si adopera per ottenere dall’autorità competente il rilascio del documento di viaggio occorrente. L’espressione “non si adopera” è carente di precisi parametri oggettivi. CAPITOLO VII Interpretazione della legge penale e divieto di analogia L’interpretazione del diritto penale Il testo normativo necessita sempre di interpretazione, per quanto le norme possano essere chiare e precise non si può prescindere dal raffronto tra fatto storico e fattispecie astratta. 16 L’interpretazione si dice autentica quando promana dal legislatore, è ufficiale quando proviene dall’autorità amministrativa o dagli organi dello Stato. Giudiziale—> effettuata dalla magistratura. Dottrinale—>frutto della riflessione dei giuristi. Prospettiva illuministica, oggi superata vedeva il giudice come mera bocca della legge. Oggi ci si rende conto che l ‘attività interpretativa sia imprescindibile a causa dell’inevitabile ambiguità del linguaggio umano. Art. 12 Preleggi “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole fatto proprio dalla connessione di esse, e dell’intenzione del legislatore”. Due criteri fondamentali per interpretare le leggi: - significato letterale delle parole - intenzione del legislatore Il problema nasce quando i due criteri sono tra loro in contrasto—> es: utilizzo di carta di credito falsa per pagare il pedaggio autostradale. Il dato letterale induce a escludere il delitto di truffa (art. 640 cp) per mancanza di un soggetto fisico indotto in errore; dal punto di vista dell’esigenza della tutela è evidente che il patrimonio dell’ente autostradale venga danneggiato. In un caso come questo l’indicazione dell’art.12 Preleggi non risolve la questione, è allora necessario avvalersi di altri criteri interpretativi proposti dalla scienza penalistica, che devono essere armonizzati tra loro. 1) criterio semantico: volto a chiarire il senso lessicale dei termini utilizzati dal legislatore (da solo sicuramente insufficiente) 2) criterio storico: necessità di rifarsi alla volontà oggettiva del legislatore—> volontà storica espressa dal Parlamento. 3) criterio logico sistematico: consiste nel cercare, tra tutti i significati possibili di una norma penale, quello più coerente con il sistema giuridico nel suo complesso. L’esempio della ragazza 17enne che si fa riprendere dal suo fidanzato mentre fanno l’amore chiarisce l’importanza di questo ultimo criterio. Infatti sulla base del tenore letterale il fidanzato sarebbe punibile per il reato dell’art. 600 tre —> materiale pornografico realizzato utilizzando minori. Ma da un punto di vista semantico la situazione cambia—> art. 609- quater rende legittimo l’atto sessuale compiuto da chi ha compiuto 16 anni, chiunque sia il partner. 4) criterio teleologico: che invita ad individuare lo scopo della fattispecie incriminatrice (telos= scopo), per interpretarla alla luce dei mutamenti che le esigenze di tutela impongono nei diversi momenti storici. Questo criterio è connesso ad una visione dinamica del bene da tutelare. Divieto di analogia: Per analogia si intende l’integrazione dell’ordinamento giuridico attraverso l’applicazione, ad un caso non regolato dalla legge, della disciplina prevista per casi simili. L analogia è espressamente legittima negli altri ambiti dell’ordinamento giuridico (in sintonia con il c. 2 dell’art. 12 disposizioni sulla legge in generale), ma non nel penale. art. 14 Disp sulle leggi—> “ Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati “ Inoltre: art. 1 cp e art 25 Cost—> legittimare il ricorso all’analogia violerebbe il principio di legalità. Il quarto corollario del principio di legalità è il principio di tassatività, che impone al giudice di limitare l’operatività della norma penale ai soli fatti in essa descritti. 17 - “il regresso all’infinito” , sottolinea il rischio di un eccessiva estensione della responsabilità penale: se causali sono tutte le condizioni dell’evento, a loro volta saranno causali le condizioni delle condizioni (es. genitori dell’assassino). Questa tesi è smentita in quanto, a fondare la responsabilità penale non sono sufficienti elementi oggettivi, ma si richiede anche l’accertamento della colpevolezza. - Ulteriore critica alla condicio sine qua non è stata effettuata dalla teoria della causalità alternativa ipotetica: prende in considerazione l’intervento di un fattore causale che avrebbe comunque prodotto l’evento circa nello stesso momento in cui è avvenuta la condotta rispetto alla quale va accertate la causalità. (es dell’incendio, o del medico che con iniezione letale uccide Tizio, che sarebbe cmq morto da li a poco in quanto gravemente malato) In questi casi l’eliminazione mentale potrebbe portare ad escludere il nesso di causalità, in quanto eliminando la condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato. Tuttavia la teoria della causalità alternativa ipotetica considera l’evento in astratto (incendio, morte), ma per accertare il nesso causale è essenziale guardare all’evento “hic et nunc”, ovvero all’evento in concreto. Quindi la teoria condizionalistica supera le obiezione della teoria della causalità alternativa ipotetica. - Causalità addizionale: quando l’evento deriva da azioni congiunte (tre medici forniscono la stessa diagnosi errata che determina morte del paziente); in un ipotesi analoga l’eliminazione mentale dovrebbe condurre ad escludere il nesso di causalità; tuttavia il procedimento di eliminazione mentale va verificato rispetto al complesso sei fattori causali, e non alle singole condotte. (cosi il comportamento dei medici verrà valutato unitariamente) Correttivi alla teoria della condicio sine qua non: - Teoria della causalità adeguata: accoglie i principi della teoria condizionalistica, secondo i quali la condotta umana deve costituire condizione dell’evento, ma limita la responsabilità penale alle sole condotte idonee a produrlo; l’idoneità va valutata ex ante, ovvero si verifica se in base alle massime di esperienza costituisce un fattore probabile di causazione dell’evento. Questa teoria finisce per restringere eccessivamente l’ambito della responsabilità penale, quando una condotta che appariva ex ante inidonea a produrre un evento, lo ha poi di fatto prodotto, appare iniquo in situazioni come queste escludere il nesso causale. La valutazione ex ante si giustifica invece in relazione al delitto tentato, dove l’evento non si è verificato ed è quindi impossibile una valutazione ex post. Questa teoria ha come obiettivo quello di limitare la responsabilità penale, il che è più opportunamente realizzato sul terreno dell’elemento soggettivo, che deve essere sempre accertato con giudizio ex ante al momento della condotta. - Teoria della causalità umana: l’uomo ha una sfera di signoria che gli consente di dominare una serie di circostanze nelle quali si inserisce la sua condotta: i fattori che rientrano in questa sfera possono essere considerati causati dall’uomo, perché dominabili dallo stesso, i fattori che invece non vi rientrano non possono essergli imputati e sono detti fattori eccezionali. In questa prospettiva la causalità è accertate in presenza di un elemento positivo (condicio sine qua non), e un elemento negativo (non deve essere intervenuto un fattore eccezionale)—> in sintonia con l ultimo comma dell’art.41 che prevede che , le cause sopravvenute da sole sufficienti a causare l’evento interrompono il nesso causale; le cause sopravvenute costituiscono proprio quei fattori eccezionali. E’ bene precisare che la Cassazione riconosce il fattore eccezionale in pochi casi; non considera eccezionale l’errore del medico, è invece 20 ritenuto eccezionale la condotta della vittima che ha improvvisamente attraversato la strada col rosso. Nella frana di Sarno, l’eccezionalità è stata esclusa in quanto in passato più volte il fenomeno era avvenuto - Teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento: introduce il criterio dell’aumento del rischio, allo scopo di ridurre l’imputazione penale. Anche queste teoria presuppone la condicio sine qua non, e evidenzia la necessità di 3 requisiti al fine di imputare un evento alla condotta dell’agente. In primis la condotta deve essere condizione dell’evento, in secondo luogo la stessa condotta deve avere determinato un pericolo riprovevole per l’ordinamento, e infine l’evento deve essere la realizzazione del rischio non consentito dall’ordinamento. Questa teoria rischia di ampliare eccessivamente la responsabilità penale se non si presta fedeltà al terzo punto (l’evento deve verificarsi, non è sufficiente che sia aumentato il rischio). La sussunzione sotto leggi scientifiche—> coordinata con la condicio sine qua non garantisce il rispetto del principio di legalità e di personalità della legge penale. Il procedimento di eliminazione mentale di cui si avvale la teoria condizionalistica, funziona nella misura in cui si conosce la legge di copertura che spiega che ad un certo fattore ne segue un altro: es. Tizio spara al cuore di Caio. Chiaramente il quadro si complica in presenza di eventi plurifattoriali (es. tumori che si possono sviluppare sia per fattori professionali che per altri fattori cancerogeni) E’ necessario che il rapporto di causalità sia spiegato facendo riferimento a leggi scientifiche che giustificano la causalità di un certo fattore rispetto ad un altro (sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura) Il giudice non crea leggi scientifiche, ma si avvale di esse in modo da garantire il massimo di certezza nell’accertamento del nesso causale. Talvolta sono leggi universali (ad un fattore segue un evento nel 100% dei casi), altre volte sono leggi statistiche perchè consentono di affermare che ad A segue B solo in una certa percentuale di casi. Anche le leggi statistiche sono rilevanti per definire la responsabilità penale; infatti sono poche le leggi universali. Nell’accertamento del nesso di causalità la giurisprudenza ammette anche il ricorso alle generalizzate regole di esperienza ovvero a massime di esperienza. Il giudice deve considerare gli effetti nel nesso di causalità alla luce di tutte le conoscenze presenti al momento del giudizio, perché il giudizio di causalità è sempre ex post. Viceversa nel valutare la colpevolezza , la prevedibilità ed evitabilità dell’evento è sempre valutata ex ante , facendo riferimento alle conoscenze scientifiche disponibili al momento della condotta. Rimane una questione: quale probabilità deve possedere la legge scientifica di copertura per poter essere utilizzata? La causalità omissiva desta maggiori problemi al fine di verificare il rapporto di causalità. Come abbiamo visto l’art. 40 cp prevede che “non impedire un evento che si aveva l obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. La causalità omissiva ha natura ipotetico-normativa: in primis è la legge a considerare equivalente alla condotta attiva quella di omesso impedimento dell’evento da parte di chi aveva l obbligo giuridico di impedirlo. La natura ipotetica (piu precisamente doppiamente ipotetica) impone di individuare quale azione doverosa il titolare della posizione di garanzia avrebbe dovuto tenere, e cosa sarebbe accaduto se la condotta doverosa fosse stata tenuta (se l’evento sarebbe venuto meno, allora sussiste rapporto di causalità). talvolta si considerano omissive condotte che in realtà non lo sono: es del medico che somministra un farmaco sbagliato, omettendo di adottare la terapia corretta. In questo caso la 21 condotta del medico ha natura comminavi, in quanto introduce un nuovo fattore di rischio. Nelle condotte omissive invece non si introduce mai un nuovo fattore di rischio. Vari orientamenti giurisprudenziali in merito all’accertamento della responsabilità penale in relazione a condotte omissive: - In un primo momento, il fatto che la causalità omissiva abbia carattere ipotetico, e che si traduca in un nihil tacere ha condotto la giurisprudenza ad accontentarsi di un minor rigore nell' accertamento della causalità omissiva: si ritenevano sufficienti serie e apprezzabili probabilità di successo” che l’azione doverosa omessa avrebbe impedito il verificarsi dell’evento (percentuali anche inferiori al 50%). In una sentenza in materia di responsabilità per colpa professionale sanitaria la Cassazione giunge a fissare soglie percentuali del 30%. Questo orientamento trasforma un illecito di evento in illecito di condotta rischiosa, perché il disvalore del reato non è incentrato sulla cassazione dell’evento ma sul disvalore della condotta. - Nel Settembre del 2000 si assiste ad un mutamento della giurisprudenza della Cassazione in seguito alle sentenze Battisti, nuovamente in tema di responsabilità medica. Si richiede che l’accertamento della causalità omissiva abbia lo stesso grado di quella attiva e che le leggi di copertura utilizzate possiedano un coefficiente percentualistico vicino a cento. Queste pronunce hanno avuto l’effetto di restringere la responsabilità penale. - Visto il contrasto giurisprudenziale in materia intervengono le Sezioni Unite della Cassazione (cd. Sentenza Franzese, 10 luglio 2002), nuovamente in relazione alla responsabilità medica. Le sezioni unite criticano entrambi gli orientamenti giurisprudenziali: il primo, in quanto finisce per neutralizzare i nesso eziologico accontentandosi di una condotta che abbia aumentando il rischio di verificazione dell’evento; il secondo perché limita troppo drasticamente l’accertamento della causalità e non definisce quale sia la percentuale statisticamente accettabile per poter utilizzare la legge di copertura. Al fine di accertare il rapporto di causalità la Cassazione distingue due nozioni di probabilità: probabilità statistica —> stabilisce una successione tra eventi in una certa percentuale di casi (ad un fattore A seguono eventi del tipo B, in X% casi) e probabilità logica—> indica il grado di attendibilità della spiegazione del rapporto di causalità nel singolo caso concreto. Secondo il giudizio di probabilità logica sussiste il rapporto di causalità, se si può affermare che, al di la di ogni ragionevole dubbio, quell’evento è stato causato dalla condotta. Al di la di ogni ragionevole dubbio = esclude l’intervento di fattori causali alternativi. (Es. Contagio di Aids per un rapporto sessuale, probabilità di contagio molto bassa 1% circa, tutta via si se si possono escludere fattori causali alternativi come trasfusioni, o altri rapporti sessuali, si può ritenere provato al di la di ogni ragionevole dubbio il nesso di causalità, sebbene le probabilità di contagio fossero basse.) Una volta chiara la distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica , possono fondare il rapporto di causalità anche leggi statistiche che esprimono basse probabilità in termini %, a condizione che il giudici accerti che, oltre ogni ragionevole dubbio, il caso concreto rientri nella percentuale fissa dalla legge scientifica. Le questioni aperte dopo la Sentenza Franzese La giurisprudenza successiva si è uniformata ai principi dettati dalla sentenza Franzese, tuttavia nella prassi rimangono ancora aperti molti interrogativi: - L’accertamento del nesso causale rimane più problematico quando l’evento può essere spiegato attraverso diversi fattori (es. patologie multifattoriali; tumore che può svilupparsi sia per il fumo, che per l’inalazione di una sostanza cancerogena)—> si applica la disciplina 22 se “risulta la tenuità del fatto l’occasionalità del comportamento.. e quando l’ulteriore procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne” 2) reati attribuiti alla competenza del giudice di pace= l’art. 34 del d.lgs 274/2000 prevede che, in relazione ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, si debba escludere la procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto—> ovvero quando “ rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato , nonché la sua occasionalità non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenendo conto del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può arrecare alle esigenze di lavoro , studio, famiglia o si salute dell’imputato”. Per ovviare al limite di queste due norme, ovvero la loro settorialità, fu necessario un intervento del legislatore, che introdusse l’art. 131-bis—> disciplina l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Il comma 1 di questa norma prevede che “ nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per la modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo , valutate ai sensi dell’art. 133, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Questa norma limita la discrezionalità del giudice, in quanto non si applica a tutti i reati ma solo a quelli per i quali sia prevista una pena non superiore nel massimo a 5 anni; ai reati che già ad una valutazione astratta si collocano in una fascia di gravità più elevata, va escluso il giudizio di particolare tenuità. Il giudizio di particolare tenuità si fonda su due indici: - la particolare tenuità dell’offesa: intesa in relazione alle modalità della condotta ed all’esiguità del danno/pericolo. La norma prevede che gli elementi della particolare tenuità siano valutati ai sensi dell’art. 133—> elemento soggettivo: intensità del dolo o della colpa. Inoltre 131-bis c. 2—> esclude la particolare tenuità dell’offesa “quando l’autore del reato ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà anche in danno di animali o ha adoperato servizi o ha approfittato della condizione di minorata difesa della vittima, anche con riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime della persona”. - la non abitualità del comportamento: il c. 3 dell’art. 131-bis prevede che “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto isolatamente sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate” (il legislatore ha dato una definizione tassativa di abitualità del comportamento). Sul piano della successione di leggi penali nel tempo,l’art. 131-bis costituisce una norma di favore e per questo si applica retroattivamente con il limite del giudicato. Inoltre non si applica in relazione ai reati commessi dai minori o di competenza del giudice di pace in quando a queste ipotesi si applicano gli istituiti speciali sopra menzionati. Reati di danno—> il bene giudico tutelato è in tutto o in parte pregiudicato (es. omicidio c’è una lesione del bene vita). Reati di pericolo—> è presente solo una probabilità di lesione del bene tutelato (es. nel delitto di strage art.422 cp, sono sufficienti atti diretti a mettere in pericolo l’incolumità pubblica, senza la necessità che la condotta abbia pregiudicato l’integrità fisica di qualcuno). Rientra in questa categoria anche il delitto tentato (il bene vita che è leso nell’omicidio consumato, è messo in pericolo nell’omicidio tentato). 25 La distinzione tra i reati di danno e i reati di pericolo è agevole in presenza di beni tangibili (vita, patrimonio, integrità fisica), è più difficile invece per quei beni dotati di maggior astrazione: ad esempio è dubbio se rispetto al bene dell’ordine pubblico, il delitto di associazione per delinquere costituisca un reato di danno o di pericolo. Sono presenti beni strumentali rispetto ai beni giuridici finali—> la sicurezza sul lavoro è strumentale rispetto al bene finale dell’incolumità fisica e salute dei lavoratori. Una fattispecie può essere considerata di danno rispetto al bene giuridico strumentale, e di pericolo rispetto al bene giuridico finale. Anticipazione della tutela penale —> Oggigiorno sono aumentate considerevolmente le situazioni di pericolo (si pensi alla circolazione stradale, o alle attività produttive rischiose), per questa ragione il legislatore è intervenuto anticipando la tutela penale: non si attende che il bene giuridico sia leso, ma si anticipa la soglia di punibilità già alla sola messa in pericolo del bene, al fine di prevenirne la lesione. Alla moltiplicazione dei rischi che gravano sui consociati, il legislatore risponde con fattispecie di pericolo—>riconducibili a due categorie: 1) i reati di pericolo concreto: il pericolo è elemento costitutivo della fattispecie (nella strage sono necessari atti diretti a porre in pericolo l’incolumità pubblica, così come nell’incendio). Spetta al giudice accertare in concreto questo elemento. Sicuramente è rispettato il principio di offensività, maggiori dubbi si hanno invece in relazione al rispetto del principi di determinatezza, in quanto il concetto di “pericolo” è vago. Si richiede che vi sia una più consistente probabilità che l’evento si realizzi. L’accertamento in concreto del pericolo deve sempre essere effettuato ex ante, una valutazione ex post finirebbe per rendere impossibile il ricorso a questa tecnica di anticipazione della tutela. La base del giudizio indica gli elementi della situazione concreta di cui il giudice deve tener conto, il giudizio può essere: - a base parziale: si considerano le condizioni conoscibili da una persona avveduta, integrate da eventuali conoscenze specifiche. - a base totale: prende in considerazione la totalità delle circostanze del caso concreto presenti al momento del giudizio. La giurisprudenza utilizza una base parziale. Il metro del giudizio indica i parametri che il giudice deve utilizzare nell’accertamento del pericolo: si tratta delle leggi scientifiche e delle massime di esperienza impiegate per accertare il nesso di causalità (il giudice utilizza le leggi disponibili al momento del giudizio). 2) i reati di pericolo astratto: in questi reati il pericolo non compare come elemento costitutivo di fattispecie, ma fonda la ratio della norma; il legislatore descrive un fatto che, ad una valutazione astratta mette in pericolo il bene giuridico tutelato. Il giudice deve accertare che il fatto sia conforme alla fattispecie astratta, senza accertare che lo stesso abbia messo in pericolo il bene tutelato. (Es. contravvenzione di guida in stato di ebbrezza che punisce chi guida con un tasso alcolemico che supera una certa soglia fissata dal legislatore, o contravvenzioni relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro.) Queste fattispecie sono più precise rispetto a quelle di reato di pericolo concreto. Parte della dottrina ritiene che siano in contrasto con il principio di offensività e incostituzionali x violazione degli art. 25 e 27 cost. Per ovviare al problema si è proposto di ricorrere all’art 49 cp (reato impossibile per inidoneità dell’offesa)—> escludendo la punibilità quando il fatto risulti in concreto non offensivo dell’interesse tutelato. Tuttavia la dottrina prevalente riconosce 26 l’importanza dei reati di pericolo astratto in quando alcuni beni giuridici non potrebbero essere tutelati adeguatamente da reati di pericolo in concreto, ciò vale in particolare per: - le cd attività seriali: nelle quali il bene giuridico è tendenzialmente offeso da una pluralità di condotte (si pensi alla salubrità delle acque, la salubrità dell ambiente è garantita solo fissando delle soglie di tolleranza du immissione di sostanze inquinanti) - violazione di regole a contenuto precauzionale: contravvenzioni che consistono nella violazione di norme cautelari in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro o di regole sulla circolazione stradale. Si tratta di fattispecie di pericolo astratto. - l’esercizio di attività in assenza dell’autorizzazione necessaria: reato edilizio di costruzione d’opera senza permesso, o abuso esercizio di attività bancaria (necessaria autorizzazione della Banca d’Italia) - in ipotesi di incertezza scientifica: in ordina alla nocività di certe sostanze o di certe situazioni, il reato di evento non assicura adeguata tutela in quanto mancano leggi scientifiche di copertura in grado di garantire, al di la di ogni ragionevole dubbio,l’accertamento del nesso di causalità. Il principio di precauzione può giustificare il divieto o la limitazione di certe attività o l’uso di certe sostanze. La Corte Costituzionale ha legittimato il ricorso ai reati di pericolo in astratto, in quanto spetta al legislatore prevedere fattispecie di pericolo astratto nelle quali siano descritti fatti che appaiono, sulla base di regole di esperienza, pericolosi per gli interessi da salvaguardare. I reati di pericolo astratto possono essere dichiarati illegittimi solo quando risultino manifestamente irragionevoli (art. 3 cost). Inoltre anche nei reati di pericolo astratto è necessario che il giudice verifichi l’offensività in concreto, come ha più volte ribadito la Corte costituzionale: ad esempio in relazione alla contravvenzione di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli che punisce un fatto astrattamente pericoloso per gli interessi patrimoniali, impone al giudice di applicare la norma solo a quei casi che, in relazione alle circostanze spazio-temporali del caso concreto ed al tipo di oggetto impiegato, denotino una concreta pericolosità per il bene tutelato, ossia quando “univoca ed esclusiva risulti la destinazione dello strumento allo scasso”. Vi sono dei settori dell’ordinamento refrattari alla tecnica da pericolo astratto: si tratta dei casi in cui la fattispecie penale entra in contrasto con libertà e diritti di rilevanza costituzionale—> possono essere sacrificati solo a condizione che vi sia un pericolo concreto. In tal senso è stata suggerita una nuova lettura dell’art. 414 cp “delitto di apologia di delitti” che punisce chi fa appoggia di uno o più delitti. Per non contrastare con l’art. 21 cost., che riconosce la libertà di manifestare il pensiero, “l’apologia punibile non è la manifestazione del pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri un comportamento idoneo a provocare la commissione di delitti” CAPITOLO XV Cause di giustificazione Secondo la teoria bipartita le cause di giustificazione costituiscono elementi negativi del fatto, e la loro presenza fa si che il fatto, pur integrando gli elementi di una fattispecie incriminatrice, non possa essere considerato tale. Questa tesi tuttavia è stata superata; per i sostenitori della teoria tripartita, le cause di giustificazione sono cause di esclusione dell’antigiuridicità. E’ bene tener distinte le scriminanti—> basate su criteri sostanziali imperniati sul bilanciamento di interessi contrapposti , dalle mere cause di non punibilità—> il legislatore stabilisce la non punibilità per ragioni di opportunità. Es. la non punibilità per lesioni del soggetto che abbia agito 27 Il consenso—> non deve essere viziato da violenza o da errore e può essere sottoposto a condizioni. E’ necessario che il soggetto abbia la capacità di consentire alla lesione del bene: talvolta limite d’età (14 anni libertà sessuale, 18 beni patrimoniali), laddove la legge non dispone, spetterà al giudice valutare caso per caso. Se i soggetti non sono in grado di intendere e di volere—> genitori/tutori, salvo si tratti di beni personalissimi (tema di rifiuto di cure). Il consenso può essere espresso, o tacito (comportamenti concludenti). consenso putativo—> quando il consenso non è stato dato ma chi lede ritiene che il consenso sia stato prestato; rientriamo nel campo di applicazione dell’art. 59 “errore sull’esistenza di una causa di giustificazione”, esclude la punibilità del soggetto per assenza di dolo, a meno che non residui responsabilità colposa e il fatto non sia previsto dalla legge come delitto colposo. consenso presunto—> chi ha offeso il bene sa che il consenso non è stato dato ma presume che lo avrebbe ottenuto, qualora lo avesse chiesto al titolare del bene. (la situazione non è regolata dal codice). Consenso informato e intervento medico: in questo caso il consenso non opera come scriminante, vista l’importanza sociale dell’attività svolta dai medici si parla di esercizio di una facoltà legittima (art. 51 cp); il consenso costituisce condizione di liceità dell’intervento medico: senza di esso il medico non può intervenire. Al paziente devono essere date tutte le informazioni sul tipo di trattamento e sugli effetti dello stesso (consenso deve essere libero e informato)—> ciò è stato espresso nella Convenzione di Oviedo 1997 ratificata nel 2001 dall’Italia. La giurisprudenza ha valorizzato la libertà all’autodeterminazione del paziente in ordine alle cure e interventi medici (art. 13 e 32 Cost)—> inviolabilità libertà personale + divieto di trattamenti sanitari obbligatori. Su queste premesse si può comprende il riconoscimento del diritto di rifiutare le cure—> non possono essere imposti al soggetto trattamenti sanitari obbligatori anche se il rifiuto espone a rischio la vita del soggetto, in questo modo per altro il bene vita diviene parzialmente disponibile. Nel momento in cui il paziente rifiuta le cure cessa la posizione di garanzia del medico, la cui condotta omissiva non rileva penalmente. Es. Caso Welby (viene staccato il respiratore su richiesta del paziente malato, che essendo paralizzato non poteva farlo, è stato aperto un procedimento a carico del medico per omicidio del consenziente, il giudice riconoscendo la condotta attiva ha applicato la scriminante dell’adempimento di un dovere—> volontà del malato) e caso Englaro (da 17 anni in stato vegetativo permanente). Auspicabile un intervento del parlamento al fine di disciplinare le direttive anticipate (cd. testamento biologico) Adempimento di un dovere—> previsto dall’art. 51 cp, sulla base del principio di non contraddizione, chi adempie ad un dovere non è punito. In questo contesto vi è sempre un rapporto gerarchico tra due soggetti. L’ordine può promanare : - Da una norma giuridica: se l’attività è espressamente imposta, la norma che delinea il reato soccombe di fronte alla disposizione che stabilisce l’attività doverosa in quanto norma generale che è derogata dalla disciplina speciale. es. art. 382 impone agli ufficiali e agenti di polizia di arrestare in flagranza chi commette determinati reati, sarebbe illogico addebitare a tali soggetti il sequestro di persona di cui all’art. 605 cp. - Dall’autorità: rilevano solo gli ordini di una “pubblica autorità”; mai quelli di un autorità privata. L’ordine della pubblica autorità è legittimo se l’ordinamento consente al soggetto di imporre comportamenti astrattamente configurabili come reato a soggetti gerarchicamente 30 subordinati. Ordine legittimo—> chi lo esegue non risponde del fatto commesso. Ordine illegittimo—> risponde sia chi ha impartito l’ordine, che l’esecutore. Il subordinato infatti è tenuto a non eseguire l’ordine illegittimo che sfocia in un reato. Tuttavia, ex art. 51 c. 3 se il subordinato ritiene di eseguire un ordine legittimo incorre in errore sull’esistenza delle cause di giustificazione che esclude il dolo; deve trattarsi di errore di fatto, e non di errore di diritto (sulla legittimità dell’ordine), a meno che non si tratti di errore scusabile di interpretazione delle norme che disciplinano i poteri del soggetto che ha impartito l’ordine. Inoltre l’ultimo comma dell’art. 51 prevede che non è punibile chi ha eseguito l’ordine illegittimo se non gli è consentito alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine—> (risponde allora solo il soggetto che ha impartito l’ordine). Anche in questo caso vi è un eccezione: va sempre rifiutata l’esecuzione di un ordine manifestamente criminoso. Esercizio di un diritto—> anch’esso opera in relazione al principio di non contraddizione. Art. 51 cp, non si riferisce solo ai diritti soggettivi in senso stretto ma a qualsiasi posizione giuridica soggettiva. Se ad esempio la legge riconosce una servitù di passaggio, il soggetto a ciò legittimato non potrà essere punito per il reato di violazione di domicilio (614 cp). In molti casi è però necessario effettuare un bilanciamento, in quanto emergono più interessi contrapposti: libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost) e diritto all’onore di una persona, le offese recate a questo ultima sono giustificabili entro limiti individuati per l’esercizio della cronaca (verità dei fatti, interesse pubblico alla conoscenza, correttezza formale). Legittima difesa—> causa di giustificazione storicamente più collaudata; realizza un bilanciamento tra interessi con una prevalenza per l’interesse dell’aggredito, su quello dell’aggressore. L’art. 52 c. 1 delinea le legittima difesa classica: “ non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” Il pericolo deve essere: - attuale: l’offesa deve essere in corso di attuazione o almeno imminente. Se il pericolo fosse ormai superato si finirebbe per legittimare la vendetta. Se invece il pericolo è proiettato nel futuro è necessario rivolgersi agli organi pubblici preposti alla tutela dei consociati. - deve investire un diritto proprio o altrui L ’offesa deve essere : - ingiusta, non deve essere autorizzata o addirittura imposta dall’ordinamento (es. non ci si può opporre alla limitazione della libertà personale posta in essere da un soggetto che procede all’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza di reato—> sulla base di quant previsto dal c.p.p.). L’ingiustizia va valutata in termini obiettivi, a prescindere dalla buona fede dell’aggressore, irrilevante è l’incapacità di intendere e di volere del soggetto che crea il pericolo (si può reagire anche vs il malato di mente). - necessaria: se è possibile sottrarsi al pericolo senza alcun rischio con modalità diverse dalla commissione di un reato nei confronti dell’aggressore deve essere privilegiata tale scelta. - Se possibile—> fuga. Ma se la fuga è pericolosa l’aggredito è legittimato a colpire l’aggressore per neutralizzarlo. Infine è necessario che vi sia proporzione tra bene aggredito e bene pregiudicato dalla reazione: non è possibile tutelare un bene patrimoniale cagionando la morte dell’autore dell’aggressione. (la proporzione è un rapporto che deve essere effettuato nel momento in cui l’aggredito 31 percepisce il pericolo: non è lecito lasciar crescere il pericolo per reagire con modalità più aggressive. L. 13 febbraio 2006—> legittima difesa domiciliare: il legislatore ha aggiunto due commi all’art. 52, al fine di allargare il campo operativo della legittima difesa. Non solo chi si è difeso nella propria abitazione ma ogni luogo di privata dimora, nonché ove venga esercitata un attività commerciale, professionale o imprenditoriale. L’ampliamento di operatività della causa di giustificazione viene realizzato attraverso una sorta di “presunzione” della sussistenza del requisito della proporzione. Non si tratta di una mera presunzione semplice che ammette prova contraria e che sortisce l’effetto di inversione dell’onere della prova: infatti la scriminante viene riconosciuta automaticamente se il PM non assume un iniziativa diretta a provare l’inesistenza di essa. Ulteriori requisiti: chi reagisce all’offesa deve essere legittimamente presente nel domicilio e se fa uso di un arma deve esserne legittimo detentore. Non è ammessa un indiscriminate reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma si presuppone un attacco, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione. Stato di necessità—> valutato con maggior rigore rispetto alla legittima difesa, e visto con maggior diffidenza in quanto in questo contesto, il reato che resta impunito è commesso nei confronti di un terzo estraneo, e non nei confronti dell’aggressore come accade invece nella legittima difesa. Art. 54 cp “ non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né prevedibile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. coincidenze e differenze rispetto alla legittima difesa: sotto il profilo dell’attualità vi è coincidenza con quanto sancito dall’art. 52 cp, la valutazione deve essere ancora più rigorosa. Si assiste invece ad una forte limitazione dei beni tutelabili; mentre nella legittima difesa si può proteggere qualsiasi diritto (quindi anche beni patrimoniali) nello stato di necessità il pericolo deve investire con elevato livello di intensità, beni inerenti la persona (incolumità fisica, libertà personale). Il requisito della proporzione coincide con quanto previsto dall’art. 52, ma l’accertamento deve essere ancora più rigoroso. Limite all’operatività dell'art. 54: causazione volontaria del pericolo a cui si pretende di sottrarsi a danno di terzi. Secondo parte della dottrina lo stesso vale in caso di causazione colposa del pericolo. Infine l’art. 54, a differenza del 52, fa espressamente richiamo all’inevitabilità del pericolo: se vi sono alternative per sfuggire al pericolo, non si deve coinvolgere il terzo, anche a costo di subire un pregiudizio. Lo stato di necessità non può essere invocato da chi ha un particolare obbligo giuridico di esporsi al pericolo (il limite vale per il pericolo che specificatamente deve essere affrontato) es: del pompiere, che non può sottrarsi a spese di terzi dal pericolo derivato da un incendio, ma in caso di naufragio durante una crociera è un passeggero come gli altri. Infine, mentre un fatto commesso per legittima difesa non solo non è punibile ,ma neppure da luogo a conseguenze sul piano civilistico, un comportamento scriminato dallo stato di necessità obbliga a corrispondere un equo indennizzo secondo quanto stabilito dall’Art. 2045 cc. (il che evidenzia di non essere dinanzi ad un comportamento pienamente lecito) L’uso legittimo delle armi: Art. 53:“Ferme le disposizioni contenute nei due art. precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di 32 è personale”= esclude la responsabilità penale per fatto altrui, tuttavia questa lettura di per se non basta; il predicato personale, va inteso come “fatto proprio e colpevole”—> proclamazione del principio di colpevolezza. Ci si rende conto che a nulla varrebbe, in sede penale, garantire la riserva di legge, il principio di tassatività delle leggi ecc, quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti che non può in alcun modo impedire. In questo senso il principio di colpevolezza costituisce il secondo aspetto del principio di legalità. I commi 1 e 3 devono essere letti insieme: non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa non ha bisogno di essere rieducato. 2) nella sentenza 1085 si trattava invece di valutare la legittimità costituzionale dell’art. 626 che punisce il furto d’uso, nella parte in cui non attribuisce rilievo all’impossibilità da parte del colpevole, dovuta a forza maggiore, di restituire la cosa sottratta immediatamente dopo l’uso. La questione è stata ritenuta fondata in quanto “ per garantire il pieno rispetto dell’art. 27 Cost, è indispensabile che tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (investiti da dolo o colpa), e siano allo stesso agente rimproverabili” Elementi positivi e negativi della colpevolezza Sicuramente rientrano nella struttura della colpevolezza dolo, colpa e conoscibilità della legge penale. Controverso è il ruolo dell’imputabilità—> considerata il primo momento di valutazione della colpevolezza, in quanto sicuramente un soggetto non imputabile (per minor età, per vizio di mente cc) è per definizione non rimproverabile. Altri autori considerano l’imputabilità come una condizione personale del reo, intesa come capacità di essere sottoposto a pena. Le scusanti invece sono un elemento negativo della colpevolezza, fondate sull’inesigibilità di una condotta conforme al precetto penale. es: la madre che mente al giudice, confermando il falso alibi del figlio, al fine di evitargli la condanna all’ergastolo per omicidio, si trova in uno stato di perturbamento psicologico tale da rendere assolutamente inesigibile il rispetto della norma che punisce la falsa testimonianza (ipotesi riscontrabile nell’art. 384). Altrettanto si può dire in ipotesi di provocazione ex art. 599, non è punibile chi abbia commesso un delitto di diffamazione nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto dell’offeso, e subito dopo di esso. Nella più generale categoria delle cause di non punibilità si possono racchiudere sia le cause di giustificazione, che le scusanti; con le differenza che le scusanti si applicano solo se conosciute dal soggetto agente, non si estendono ai concorrenti. CAPITOLO XVII Dolo—> si tratta della più grave forma di imputazione soggettiva, in quanto compiere un fatto volontariamente rende più pesante la responsabilità, rispetto a chi invece ha agito per negligenza o scarsa attenzione. Il dolo è la forma ordinaria di responsabilità colpevole per i delitti, infatti l’art. 42 cp comma 2 prevede che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”. I delitti colposi sono previsti in materia di integrità fisica e vita (omicidio, lesioni personali..) e nei delitti contro l’incolumità pubblica ( incendio, disastro..) ; sono esclusi invece in ambito di tutela del patrimonio. 35 Puniti a tiotolo preterintenzionale: omicidio preterintenzionale art. 584, e interruzione della gravidanza l. 22 maggio 1978. Delle contravvenzioni invece, ai sensi dell’art. 42 c. 4 ciascuno risponde della propria condotta cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Il giudice dovrà comunque accertare dolo o colpa (la commissione dolosa giustifica sempre ai sensi dell’art. 133 una pena più severa), ma di regola è indifferente se il fatto è stato commesso con dolo o colpa. Comunque se la legge fa discendere qualche effetto giuridico dalla distinzione tra reato doloso o colposo, allora la distinzione varrà anche per le contravvenzioni ( es. provvedimento di indulto esclude le contravvenzioni dolose, il giudice applicherà l’indulto solo dopo aver accertato la colpa). Alcune contravvenzioni sono compatibili solo con un comportamento doloso: art. 2621 cc—> contravvenzione di false comunicazioni sociali, altre con un solo comportamento colposo—> art. 676 rovina di edificio. Oggetto del dolo—> ai sensi dell’art. 43 c. 1 “il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o dell’omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Questa definizione pone alcuni problemi, infatti il riferimento’ all’intenzione’, fa rientrare nell’imputazione dolosa solo i casi in cui l’agente agisce proprio con il fine di realizzare l’evento descritto dalla fattispecie incriminatrice (sicuramente omicidio doloso per il killer che uccide proprio il soggetto designato, e chi invece dopo aver commesso una rapina spara nella folla per non essere catturato? è evidente che anche nel secondo caso il soggetto deve rispondere di omicidio doloso, anche se non conosceva la vittima e non aveva nulla contro di lei—> dolo diretto o eventuale.) Inoltre la definizione dell’art. 43 è incompleta, in quanto include solo i reati ad evento naturalistico, escludendo quelli di mera condotta. L’oggetto del dolo può essere identificato leggendo insieme all’art. 43, anche gli art. 47 e 59 del cp (norme in materia di errore, che prevedono l’erronea rappresentazione di uno degli elementi della fattispecie incriminatrice o di una causa di giustificazione), escludono la punibilità dell’agente, per la mancanza di dolo. Alla luce di questi tre articoli, oggetto del dolo sono tutti gli elementi che ne definiscono la fattispecie. Tuttavia l’errore sull’identità della persona ai sensi dell’art. 60 cp, non esclude il dolo. Quindi oggetto del dolo= fatto tipico conforme ad una fattispecie astratta. Quali elementi del fatto tipico devono essere rappresentati e voluti? Sia gli elementi descrittivi che normativi: le qualifiche naturalistiche (uomo, cosa, atto sessuale), quelle giuridiche (altruità della cosa nel furto) attenzione: non è necessaria la piena conoscenza della norma giuridica ma è richiesta una percezione, diffusa nel comune sentire, di cosa appartiene ad un altro e non a me. Nelle condotte omissive proprie, l’agente deve rappresentarsi: la situazione tipica descritta dalla norma (es. aver ricevuto una richiesta da un privato di compiere un certo atto, nell’omissione di atti d’ufficio), il termine per adempiere (espresso o implicito che sia), la possibilità di agire. Nelle condotte omissive improprie, oggetto di rappresentazione: la possibilità di agire, la posizione di garanzia, l’azione impeditiva dell’evento. Elemento volitivo del dolo—>si sono susseguite nel tempo due diverse opinioni. La più datata e ormai superata riteneva che, oggetto del dolo potesse essere solo la condotta, perche ciascuno può volere solo i propri movimento corporei. Oggi è prevalente la “teoria della volontà”, secondo la quale anche le conseguenze dei comportamenti umani sono accettate dalla volontà, e quindi volute. Rientrano allora nell’oggetto della volizione tutti gli elementi del fatto tipico 36 eccetto i presupposti della condotta e le qualifiche personali (che possono solo essere oggetto di conoscenza, cioè di rappresentazione). Il dolo deve essere concomitante alla condotta. Non rileva il dolo antecedente (es. Tizio vuole uccidere Caia, ma Caia muore mentre erano in macchina in seguito ad un incidente a causa dell’eccesso di velocità: omicidio colposo.), ne quello susseguente (es dell’ombrello). Non rileva nemmeno il cd. “Dolus generalis”, in cui l’agente si rappresenta e vuole l’evento, ma in termini generici, senza che l’elemento psicologico sia specificatamente rivolto a tutti gli elementi del fatto storico. Nei reati a forma libera il momento volitivo del dolo deve investire l’ultimo atto; nei reati a forma vincolata invece occorre che l’agente voglia proprio le particolare modalità descritta dalla fattispecie, così nella violenza sessuale è necessario anche l’abuso di violenza, la minaccia o abuso di potere. Nei reati omissivi la volontà dell’agente attiene alla decisione consapevole di non compiere l’azione doverosa. Forme del dolo: - Dolo generico: è bene premettere che la finalità perseguita dall’agente è del tutto irrilevante sotto il profilo soggettivo: il dolo è integrato quale che sia l’obiettivo che muove il colpevole —> il che può invece incidere sulla commisurazione della pena nella scelta che il giudice effettuerà tra minimo e massimo edittale. Nel dolo generico vi è rappresentazione e volontà di commettere un fatto, che coincide in tutti i suoi elementi con una fattispecie incriminatrice. - Dolo specifico: nella fattispecie incriminatrice compare una particolare finalità che muove l’agente, senza che sia necessaria la consumazione del delitto. Sono ipotesi in cui compaiono formule del tipo “al fine di” oppure “con lo scopo di”, è perché sia integrato l’elemento soggettivo doloso, occorre dare prova che il soggetto era mosso dalla finalità descritta dalla norma. (es delitto di furto art. 624 cp—> sottrazione e impossessamento “al fine di trarne profitto”, per altro la Corte ha precisato che il profitto può consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale; è sufficiente che il soggetto abbia agito per qualsiasi interesse anche psichico). Le fattispecie incriminatrici a dolo specifico consentono una notevole anticipazione della tutela penale—> ad esempio nei reati contro il patrimonio, il medesimo elemento costitutivo (profitto) talora è evento naturalistico del delitto (truffa e estorsione), altre volte è elemento della fattispecie come dolo specifico (furto o rapina), si tratta cioè della finalità che deve muovere il reo. Ebbene il reato è perfetto in tutti i suoi elementi anche se il profitto non si realizza in concreto—> furto e rapina sono ritenuti dal legislatore più gravi rispetto a truffa ed estorsione e si anticipa la punibilità del fatto, così come nella strage (art. 422)—>”al fine di uccidere”, la norma punisce chi mette in pericolo l’incolumità pubblica, a prescindere dalla morte di chicchessia (aggravante). Inoltre il dolo specifico consente di punire un fatto che altrimenti sarebbe lecito (associazione finalizzata al compimento di delitti art 416 o allo spaccio di stupefacenti art. 734 dpr 309/1990—> vs art. 18 Cost. e 11 CEDU). - Dolo intenzionale: quando il soggetto agisce perché intende realizzare la condotta o causare l’evento. L’intenzionalità non deve essere confusa con il movente, il movente è la ragione interiore che spinge il reo ad agire. Il dolo è invece uno degli elementi costituivi del reato che riguarda la sfera della rappresentazione e volizione. Nel dolo intenzionale, il fatto realizzato costituisce il fine per il quale il soggetto si era determinato di agire e costituisce la forma più grave ed intensa di dolo., in riferimento all’elemento volitivo. 37 Maggiori sono le conoscenze, tanto più severamente il giudice valuterà il requisito della prevedibilità. - Colpa specifica: violazione di regole cautelari individuate una volta per tutte, x es. in relazione alla circolazione stradale limiti di velocità, l’indicazione del datore di lavoro ai suoi dipendenti di non recarsi in un determinato luogo.. Nella colpa specifica il giudizio sulla prevedibilità dell’evento è compiuto dalla fonte che pone la regola cautelare. - Colpa per assunzione: soggetto si assume un compito che non è in grado di portare a termine (es. operaio in pensione che si offre di aggiustare l’impianto elettrico della vicina senza averne le competenze risponderà della morte di uno dei condomini dovuto da una scarica elettrica) Talvolta al soggetto agente di potrà muovere un rimprovero in quanto non si sia adeguatamente informato (obbligo di informazione), oppure ancora in contesti caratterizzati da rapporti gerarchici—> culpa in eligendo o in vigilando Colpa specifica—> violazione di regole cautelari scritte, le quali possono avere un contenuto esplicito (rigide): es. non esporre i lavoratori a limiti di rumore superiori a 87Db, oppure il contenuto può essere generico (elastiche): se art. 2087 cc impone al datore di lavoro di prendere le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Il rapporto tra accertamento della violazione della regola cautelare scritta e responsabilità a titolo di colpa specifica non è privo di eccezioni: da un lato il giudice dovrà sempre accertare se il rispetto della regola scritta ha esaurito la misura della diligenza nel caso concreto: es regola che impone ai il datori di lavoro di non esporre a oltre a certe soglie, a certi fattori di rischio i propri lavoratori—>lavoratrice in stato di gravidanza, il datore di lavoro potrà essere in colpa pur avendo rispettato quelle soglie. Inoltre occorre valutare se nel caso concreto, il rispetto di quella regola cautelare non avrebbe aumentano il rischio di realizzazione del fatto (es. rispetto del limite di velocità con un ambulanza che sopraggiunge). principio dell’ affidamento: la prevedibilità del fatto può avere ad oggetto anche il comportamento altrui (in particolare nelle forme di colpa in vigilando). Con quali limiti si può rimproverare un soggetto per il comportamento altrui? La questione è controversa specie in relazione alle ipotesi di colpa generica. In virtù del principio dell’affidamento,non ci si può aspettare che ciascun consociato possa impedire tutti i fatti colposi altrui. Ad esempio in relazione alla circolazione stradale, se non si potesse far affidamento sul corretto comportamento altrui, la circolazione sarebbe paralizzata. Tuttavia questo principio incontra due limiti: - non può essere invocato di chi ha un potere di garanzia sul terzo - se ci sono elementi che inducono a ritenere che il terzo non rispetterà le regole cautelare. Quest’ultimo punto pone dei problemi in particolare in relazione alla responsabilità medica di equipe: settore in cui questo principio ricopre uno spazio ridotto, vista la rilevanza degli interessi da tutelare. La corte in una pronuncia ha affermato che “i componenti di un’equipe sono tenuti a programmare non solo la fase di intervento, ma anche quella post operatoria, in modo da fronteggiare i rischi delle operazioni effettuate; quando si tratti di rischi gravi ed evidenti, tutti i sanitari ne sono responsabili, a predicente dalle specifiche mansioni di ognuno”. Colpa nelle attività pericolose: il richiamo ai criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento deve essere precisato, con riferimento all’esercizio di attività pericolose. In relazione all’utilità sociale di attività come quella industriale, medica, o ancora la circolazione stradale, il criterio della previsione dell’evento deve essere rapportato al cd. rischio consentito. Il giudice non dovrà 40 accertare il rischio di morte di un paziente in seguito ad una complessa operazione, bensì che il medico abbia rispettato tutte le regole della buona pratica (leges artis): si deve effettuare un bilanciamento tra risultato atteso e pericolo corso (percentuale di esito infausto dell’operazione). In particolare nell’attività medica, il rischio è in tutto o in parte ineliminabile, tuttavia il rischio non può essere evitato.—> si impone però al soggetto di attenersi con ancora maggior rigore alle regole cautelari del caso. Qualora il rischio connesso a determinate produzioni non possa essere mantenuto entro limiti accettabili, si impone ai soggetti di astenersi da quell’attività. (es. disastro di Sarno) Evitabilità del danno: nel delitto colposo occorre che il fatto si sia verificato a causa della violazione della regola cautelare (causalità della colpa= nesso tra violazione del dovere di diligenza e colpa—> accertato secondo le teorie condizionalistiche). La violazione della regola cautelare non sempre è di per sé sufficiente a determinare la responsabilità colposa: es caso del Petrolchimico di Porto Marghera—> obbligo x il datore di lavoro di fornire il casco ai propri lavoratori, uno di questi viene punto da un insetto velenoso sulla nuca. La ratio delle norma che impone di portare il casco è quella di prevenire eventuali cadute di oggetti dall’alto; l’evento verificatosi non costituisce la concretizzazione del rischio che la norma vuole evitare. Il fatto rispetto al quale verificare la causalità della colpa deve essere inteso in concreto. Ulteriore problema nelle vicende in cui l’evento in concreto sia una conseguenza dell’esposizione ad un fattore di rischio del quale, al momento della condotta, si conosceva la pericolosità solo con riferimento a malattie diverse da quella poi manifestatasi—> si ritiene sufficiente che, al momento della condotta fosse nota la pericolosità della sostanza, per ritenere che la malattia, all’epoca sconosciuta, sia deriva dalla violazione della regola cautelare che imponeva di proteggere i lavoratori da tale fattore di rischio Esigibilità del comportamento rispettoso delle regole di diligenza: l’ultimo elemento strutturale della colpa consiste in una dimensione soggettiva, che consiste nella possibilità di esigere nel caso concreto che l’agente rispetti le regole cautelari che avrebbero evitato il realizzarsi dell’evento. Talvolta, pur accertata la violazione di una regola cautelare secondo il riferimento all agente modello, il fatto concreto non è rimproverabile. Si tratta di deficit fisici o psichici o di socializzazione, che rendono non esigibile il rispetto della regola di diligenza. (es della donna di campagna) grado della colpa: l’art. 133, negli indici che il giudice deve tenere in considerazione per scegliere la pena tra min. e max, oltre all’intensità del dolo fa riferimento anche all’intensità della colpa: - Si deve valutare il divario tra condotta imposta dalla regola cautelare e comportamento tenuto in concreto. - Si guardano le cause personali che possono aver influito sul deficit di diligenza. - Maggiore o minore evitabilità dell’evento. Diversamente l’art. 61 c.3 prevede una circostanza aggravante comune—> la pena è aumentata quando il soggetto ha agito con la previsione dell’evento (colpa cosciente). Il decreto Balduzzi, dispone che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività, si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. Colpa e caso fortuito: ai sensi dell’art. 45 cp non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito (si pensi all’incidente in macchina causato da un malore improvviso). Si ritiene che il 41 caso fortuito sia una causa di esclusione della colpevolezza, in quanto l’evento che si verifica non era prevedibile ne evitabile, neppure alla stregua dell’agente modello. CAPITLO IXI Disciplina dell’errore Errore sul fatto—> cioè su uno degli elementi costituitivi della fattispecie criminosa. Può essere a sua volta di fatto (es. del cappotto ) o di diritto (es. dell'automobile, erronea interpretazione della disciplina del c.c. in materie di acquisto della proprietà). In entrambi i casi l’errore verte su uno dei requisiti della fattispecie incriminatrice: l’altruità della cosa. Errore sul diritto—> verte sulla fattispecie penale (es. straniero che proviene da una cultura diversa picchia la figlia perché si rifiuta di indossare il burka; nel suo paese non costituisce reato ma è anzi doveroso). All’errore è equiparata l’ignoranza sulla legge penale. Il dubbio non esclude la punibilità del soggetto. Errore di fatto sul fatto—> siamo nel campo di applicazione dell’art. 47 c.1 in virtù del quale “l’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità”. L’errore consiste in una falsa rappresentazione della realtà, che incide sul processo di formazione della volontà, e esclude il dolo. Tuttavia la norma prosegue precisando che “se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo”. (esempio del cacciatore). L’errore colpevole non determina la non punibilità dell’agente, ma la degradazione della sua responsabilità da dolosa a colposa. Errore sul fatto dovuto ad errore su legge extra penale Art. 47 c.3; questo tipo di errore esclude la punibilità, se ha causato un errore sul fatto di reato. L’errore sulla legge extra- penale può riguardare tanto gli elementi normativi della fattispecie (l altruità della cosa), quanto gli elementi di natura normativa etico-sociale—> esempio genitrice nordica che lascia spesso sola la figlia contando sul suo vicino di casa.. Confine tra errore sul fatto dovuto da errore su legge extra penale e ignoranza della legge penale (che ai sensi dell’art. 5 cp non scusa, se non eccezionalmente in casi di inevitabilità di ignoranza). La corte costituzionale prende una posizione molto dura: qualsiasi norma giuridica non penale, che sia richiamata dalla fattispecie incriminatrice, viene da questa incorporata e per tanto l’errore su di essa non scusa mai, risolvendosi in un errore sulla legge penale. (es. in tema di peculato, pubblico ufficiale ritiene di avere facoltà di disporre del bene—> ignoranza legge penale). Tuttavia questo tipo di interpretazione dell’art. 47 c. 3 finisce per abrogare la norma in questione, qualunque errore sulla legge extra penale diviene irrilevante, in virtù dell’incorporazione anche implicita. L’unica ipotesi rilevante è quella dell’errore inevitabile sulla legge extra-penale richiamata nel precetto, la norme extra- penale incorporata diviene anch’essa penale ai fini della disciplina dell’ignorantia legis: dunque l’errore, se scusabile esclude la colpevolezza. Il c. 3 dell’art. 47 p contempla una responsabilità per colpa, sempre che l’errore sia dovuto a colpa e che il fatto sia punito dalla legge come delitto colposo. Parte della dottrina da peso alla distinzione tra errore sulla legge extra penale, e ipotesi di norme penali in bianco. Sostanzialmente si ritiene che, l’errore sulla legge extra-penale possa escludere la punibilità solo se il precetto penale è sufficientemente dettagliato. Viceversa, dinanzi ad una legge penale in bianco, che rinvia la descrizione del comando o del divieto quasi interamente alla norma extra penale richiamata, la violazione di quest’ultima determina un irrilevante errore sul precetto. 42 Il cp, nel delineare l’elemento soggettivo del reato prevede, oltre a dolo, colpa e preterintenzionale un ulteriore forma di responsabilità ai sensi dell’art.42 c. 3 “ la legge determina i casi nei quali l’evento è posto a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione”. Si ritiene che questa espressione faccia riferimento a ipotesi di responsabilità oggettiva: codice del 1930 prevede—> responsabilità del direttore della stampa periodica, due figure di aberratio (art 83 e 586), evento preterintenzionale (art 584 cp), responsabilità del concorrente per evento diverso da quello voluto (art.116 cp). Tutte queste ipotesi sono accomunate da una volontà criminosa di partenza, alla quale segue un reato più grave di quello voluto. Trova applicazione il principio “qui in re illicita versatur,etiam tenetur pro casu”. Tuttavia questo meccanismo di imputazione oggettiva è stato criticato dalla dottrina, per poi complicarsi con l’entrata in vigore della Costituzione: problema di compatibilità con l’art. 27 c.1 “la responsabilità penale è personale”—> in primis si esclude la responsabilità penale per fatto altrui (memoria delle vicende avvenute con Mussolini, i familiari degli attentatori alla sua vita furono perseguitati). Inoltre l’intervento penale è giustificato solo se vi è un coefficiente psicologico nella condotta (colpevolezza). Nella sentenza 364/1988 la corte riconosce che la responsabilità oggettiva è incostituzionale quando riveste elementi significativi della fattispecie. la preterintenzione: delitto preterintenzionale art. 42 e 43 “quando dall’azione o omissione deriva un evento dannoso più grave di quello voluto dall’agente”. Si tratta dell’omicidio preterintenzionale (art. 584) e dell’aborto preterintenzionale (l. 22 maggio 1978 n 194). L’omicidio preterintenzionale è una figura autonoma che si inserisce nell’ambito delle ipotesi di omicidio (collocandosi per gravità tra quello doloso e quello colposo) e non costituisce una circostanza aggravante del delitto di lesioni dolose di cui all’art. 582. L’evento verificatosi non deve essere né voluto, né rappresentato come probabile/possibile conseguenza del fatto doloso, in caso di dolo eventuale rispetto all’evento morte non si applica il 584, ma il 575 cp. Si ritiene che, per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale sia sufficiente che “sussista un rapporto causa-effetto tra l’azione volontaria delle lesioni o delle percosse e la morte del soggetto passivo”. Onde evitare una declaratoria di incostituzionalità di ipotesi criminose come quella del 584, si privilegia una lettura costituzionalmente orientata della preterintenzionale: questa si profila come uno schema di imputazione misto= dolo, per il reato meno grave, e colpa generica, per quello più grave. Aberratio delicti: si differenzia dalle ipotesi contemplate agli art. 5 e 47 (difetto di rappresentazione), in quanto si tratta di un errore che si profila durante l’esecuzione di un reato (detto errore inabilità). Si tratta di un errore che comporta la realizzazione di un evento diverso da quello voluto—> art. 83 cp. Il reato può sostituirsi a quello voluto (art. 83 c.1), oppure aggiungersi ad esso (art. 83 c.2). Affinché si possa individuare un’ aberratio delicti occorre escludere la ravvisabilità del dolo eventuale nei confronti dell’evento diverso: saremmo altrimenti dinanzi ad un normale concorso di due reati dolosi. Se l’evento non è investito da dolo, il soggetto agente risponderà per colpa, sempre che il reato sia previsto dalla legge come delitto colposo. Nell’ottica del legislatore del 1930, l’aberratio delicti rientrava tra le ipotesi di responsabilità oggettiva, in virtù del principio “qui in re illicita versatur, etiam tenetur pro casu”. Tuttavia, l’inquadramento dell’alberatio delicti tra le ipotesi di responsabilità oggettiva desta alcune perplessità, per contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. —> L’art. 83 è stato allora reinterpretato in modo da renderlo compatibile con la nuova cornice costituzionale: la 45 formula “ a titolo di colpa” non viene intesa come indicativa di un effettivo titolo di responsabilità. Non si tratta di una forma di responsabilità oggettiva, il fatto è punibile solo se in concreto sussiste la colpa. Questa interpretazione è stata convalidata dalle Sezioni Unite della Cassazione in una sentenza del 2009, concernente l’art. 589 (morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto) che contiene al suo interno un richiamo esplicito all’art. 83. Ci si può rendere conto che l’art. 83 è allora una norma inutile, perché anche in seguito ad una sua eventuale cancellazione si potrebbe agevolmente giungere alle medesime conclusioni applicando i principi generali dell’ordinamento penale. Aberratio ictus: la seconda forma di reato aberrante è contemplata dall’art. 82 cp. Si tratta di un ipotesi in cui, il reo realizza il fatto che intendeva compiere, ma “colpisce” una vittima diversa da quella designata. Quindi: il reato è quello che l’autore voleva, ma la vittima ha un identità diversa—> evidente vicinanza con la disciplina dell’error in persona di cui all’art. 60, con la differenza che nell’error in persona il soggetto agente compie un errore di rappresentazione (per esempio perché al buio), mentre invece in ipotesi di aberratio l’errore viene compiuto durante l’esecuzione del reato. Ai sensi dell’art. 82 c. 1 il reo risponde come se avesse commesso il reato nei confronti della persona che voleva offendere, ma fa salve le circostanze aggravanti e attenuanti dell’art. 60. Secondo un orientamento condiviso in dottrina , l’art. 83 c.1 avrebbe la funzione di sanzionare con pene dei reati dolosi, fatti realizzati solamente per colpa, o addirittura solo in presenza di un mero rapporto di causalità materiale. Per evitare problemi di contrasto con l’art. 27 cost., si propone in via interpretativa di individuare un coefficiente colposo. SI tratterebbe comunque di responsabilità “anomala”, in quanto il reato sarebbe sostanzialmente colposo, ma verrebbe punito con le pene del delitto doloso. Tuttavia questa tesi non persuade: l’identità della vittima infatti non è elemento costitutivo della fattispecie, e pertanto non rientra nell’oggetto del dolo(salvo ipotesi particolari come l’attentato al PdR). L’irrilevanza dell’identità della vittima è confermata dalla disciplina sull’error in persona. Secondo l’interpretazione che pare più corretta, il comma 1 dell’art.82, in relazione alla responsabilità, esprime una valutazione conforme ai principi generali: la sua funzione effettiva è quella di estendere alle ipotesi di aberratio ictus la disciplina delle circostanze delineate dall’art. 60. Il c.2 dell’art 82 contempla invece l’ipotesi di aberratio ictus bioffensiva—> l’autore del fatto realizza il reato voluto nei confronti della vittima designata, ma concretezza anche un delitto identico per titolo, nei confronti di un altro soggetto: si applicherà la pena per il delitto doloso, aumentata fino alla metà. Chiaramente, l’evento ulteriore non deve essere investito da dolo, altrimenti si tratterebbe di un concorso di due delitto dolosi. In assenza di questo secondo comma, l’agente risponderebbe per il secondo reato al massimo a titolo di colpa. In caso di aberratio plurioffensiva, gli eventi ulteriori rispetto al secondo devono essere valutati in base ai principi ordinari (cumulo giuridico). Aberratio causae: si tratta di una terza forma di aberratio che non ha rilevanza nel nostro ordinamento giuridico. Si caratterizza per una divergenza tra voluto e realizzato che emerge nella fase esecutiva: un soggetto vuole realizzare un evento, ed effettivamente lo cagiona, ma attraverso un iter causale diverso da quello immaginato. Di regola le norme incriminatrici non tipizzano l’itinerario causale che determina l’evento; per questo si ritiene che questa forma di “errore nell’esecuzione” non incida sull’elemento soggettivo e quindi la responsabilità sia dolosa. 46 La responsabilità per i reati commessi con il mezzo della stampa: la stampa è sempre stata percepita come un mezzo potenzialmente pericoloso di commissione di reati. L’art. 57 del codice penale 1930 stabiliva che ogni periodico dovesse avere un direttore—>responsabile per i reati commessi sul periodico da lui diretto. Fatta salva la possibilità di concorso doloso con l’autore dello scritto, il direttore rispondeva automaticamente per il reato commesso, e da lui non impedito. Si trattava di una forma di responsabilità oggettiva, mitigata dalla diminuzione della pena sino ad 1/3. Il legislatore interviene nel 1958 e l’art. 57 viene riscritto, con un esplicito riferimento alla colpa del direttore . Si delinea una figura di reato autonoma di agevolazione colposa di un delitto doloso commesso da altri e non impedito dal soggetto garante della conformità alla legge del contenuto del periodico. L’inapplicabilità dell’art. 57 ai periodici online: al direttore di un periodico online non è estendibile la disciplina dell’art. 57 cp, in quanto limitato alla stampa, concetto insuscettibile di interpretazione estensiva e meno che mai analogica (trattandosi di analogia in malam partem). La responsabilità penale del direttore di un periodico telematico è affidata ai principi generali: se viene commesso un reato doloso (tipicamente diffamazione) la responsabilità penale è dell’autore del messaggio; il direttore può rispondere penalmente solo se si dimostra che è l’autore del fatto o che è concorrente doloso nel medesimo ex. art 110. La responsabilità per colpa è limitata ai rari casi di reati puniti a titolo colposo. Comunque si tratta di un settore in cui è auspicabile una riforma della disciplina penale. Reati commessi col mezzo radiotelevisivo: vista l’importanza della diffusione di notizie attraverso telegiornali e radiogiornali, ci si rende conto della necessità di un intervento del legislatore. Un primo tentativo di aggiramento all’inerziaa del legislatore venne attuato sollecitando la Corte Costituzionale ad intervenire per sanare la disparità di trattamento tra direttore di un giornale e direttore di un telegiornale, con una sentenza che ampliasse l’ambito di applicazione dell’art. 57 cp. Tuttavia la questione fu dichiarata inammissibile (sentenza 42 del 1977). Un secondo tentativo venne mosso in direzione opposta tentando di ottenere un “equiparazione al ribasso” nei confronti dei direttori dei giornali: visto che i direttori dei radiogiornali e dei telegiornali non rispondo ex art. 57, si chiede di dichiarare la norma incostituzionale per violazione dell’art. 3 cost: questa volta la corte entra nel merito, e fa salva la disposizione attraverso una non molto persuasiva declaratoria di maggior pericolosità dei giornali, rispetto alle trasmissioni via etere. Successivamente, con l. 223, 6 agosto 1990 Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato—> all’art. 30 prevede che al concessionario pubblico o privato, oppure alla persona delegata al controllo della trasmissione, si applichi un modello di responsabilità analogo a quello dell’art. 57 cp. Tuttavia l’equiparazione è limitatissima, in quanto l’art. 30 è applicabile solo alle trasmissioni che abbiano carattere di oscenità (art 528 cp), e quelle idonee ad offendere il sentimento morte dei fanciulli o adolescenti, o che descrivano avvenimenti con particolari impressionanti o raccapriccianti. Al di fuori di queste ipotesi valgono i principi generali e quindi la responsabilità è per dolo, salvo i pochi casi di delitti colposi. Responsabilità per reati commessi a mezzo stampa non periodica: disciplinata dall’art. 57- bis: (si tratta di libri, manifesti, volantini) in primis si può notare che i soggetti collocati in posizione di garanzia sono ovviamente diversi: editore e stampatore. Editore—> responsabilità sussidiaria. è chiamato a rispondere se l’autore della pubblicazione rimane ignoto o risulta non imputabile 47 E’ condivisa l’idea che i bambini manchino di capacità di intendere e di volere , rilevante è determinare il momento in cui essi acquisiscono consapevolezza dei loro comportamenti e delle conseguenze che ne derivano. Si dovrebbe tener conto delle divergenze e specificità di ciascun bambino, ma ciò determinerebbe un problema legato al rispetto del principio di legalità e non è dunque accettabile. Il nostro codice ha individuato tre diverse fasce di età: 1) Sotto ai 14 anni, vige ex dell’art.97 una presunzione assoluta ed invincibile di non imputabilità, ciò in ogni caso —> anche ai sensi del d.p.r. 448/1988 (che disciplina il processo penale minorile). Sull’esempio dei paesi anglosassoni si ipotizza di scendere addirittura ai 12 anni, questo perché sempre più spesso gli adulti si avvalgono dei minori per far compiere loro azioni criminali. Tuttavia in casi di questo tipo è opportuno reprimere il comportamento degli adulti che si arricchiscono attraverso tali condotte, non certo gli esecutori materiali del reato, che sono a loro volta vittime. 2) Sopra i 18 anni al contrario, presunzione assoluta di imputabilità. Il maggiorenne è sempre imputabile con riferimento all’età, si potrà giungere ad una declaratoria di non imputabilità solo in presenza di un altra causa. 3) Fascia tra i 14 e i 18 anni, periodo più delicato che coincide con l’adolescenza—> il conseguimento della capacità di int. e volere potrà essere influenzata da molteplici fattori di carattere sociale, culturale, economico ecc.. L’art. 98 impone al giudice di valutare caso per caso. Per fare ciò potrà avvalersi del parere di esperti . Inoltre , per i minori più che per i maggiorenni, il giudizio deve essere svolto con stretto riferimento al reato commesso. (giudizio più severo che difficilmente porterà ad una declaratoria di non punibilità per beni quali la vita e l’integrità fisica, rispetto ad altri reati). Se il minore non è imputabile , ovviamente non è punibile, ma potrà comunque essere sottoposto a misure di sicurezza come libertà vigilata, riformatorio giudiziario o collocamento in comunità—> art 36 del dr 448/1988. Se invece il minore tra i 14 e 18 anni viene ritenuto imputabile potrà essere sottoposto a pena, diminuita sino ad un terzo; la minore età costituisce una sorta di attenuante. Art.88 e 89—> Vizio di mente L’infermità mentale è un ulteriore causa che consente di escludere o diminuire l’imputabilità. L’art. 88 sancisce la non imputabilità di chi si trovi in uno stato di mente tale da escludere la sua capacità di intendere e di volere; la norma successiva invece fa riferimento a casi in cui la capacità di intendere e di volere è diminuita, per cui la pena verrà ridotta e non esclusa. Si parla a tal proposito di “semi - infermità mentale”—> disturbo che riguarda tutta la psiche ma che non esclude completamente la capacità di comprendere correttamente il senso della realtà esterna e la capacità di autodeterminarsi. L’infermità di mente, per escludere l’imputabilità deve essere presente al momento del fatto e deve aver influito causalmente sulla commissione del reato. La Cassazione, con una sentenza del 2012 ha sottolineato la necessità della presenza di un nesso eziologico tra il disturbo e il fatto di reato commesso. L’infermità, rilevante ai fini degli art 88 e 89, può riguardate anche uno stato patologico di tipo fisico (delirio febbrile) e non è necessario che sia permanente. Concetto di vizio di mente: 50 - Un primo orientamento (ormai datato e entrato in crisi) riconduceva il concetto di infermità, a quello di malattia. Solo le malattie mentali a base organica , riconosciute ufficialmente. (schizofrenia e delirio paranoie), con esclusione di qualsiasi altro disturbo mentale - Secondo orientamento: include anche situazioni diverse qualora abbiano escluso o diminutivo la capacità di intendere e di volere. Il conflitto tra i due orientamenti è stato messo a tacere con una Sentenza del 2005 delle Sezioni Unite della Cassazione: basandosi sul manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali , la Cassazione afferma che siano rilevanti anche i disturbi della personalità ai fini dell’esclusione dell’imputabilità, e fissa i criteri per determinare quando essi siano realmente rilevanti. “I disturbi mentali sono rilevanti se per consistenza, intensità e gravità incidono sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola gradualmente , e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa”—> si è escluso che possano rilevare il gioco d’azzardo, il mero dato anagrafico di età avanzata (80 anni), e la presenza momentanea di deficit mnemonici, la pedofilia. Quando la capacità di intendere e di volere è del tutto esclusa a causa di un vizio di mente, esso non potrà essere punito, ma se socialmente pericoloso potrà essere sottoposto a misure di sicurezza. La semi infermità di mente costituisce invece un attenuante (come per il minore tra 14 e 18 anni) Art. 90 —>Stati emotivi e passionali. Per ragioni di prevenzione generale non escludono , né diminuiscono la capacità di intendere e di volere. Si può affermare che sia una sorta di deroga all’art.85. La Gelosia, o la crisi di astinenza del tossicodipendente, non hanno alcun effetto sull’imputabilità dei soggetti. Discorso a parte per le cosiddette “reazioni a corto circuito”—> consistono in fenomeni psichici che, pur avendo natura transitoria, escludono sulla base di un profondo ed incontenibile perturbamento, la capacità di intendere o di volere. Assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti La disciplina dettata dal codice in materia di reati commessi sott’effetto di alcolici o stupefacenti costituisce una delle più importanti deroghe all’art. 85. Infatti l’imputabilita è esclusa solo in due casi marginali:ubriachezza o intossicazione inconsapevoli, intossicazione cronica da sostanze alcoliche/stupefacenti. Una così severa scelta di politica criminale è volta ad evitare che i soggetti possano agevolmente pre-costituirsi delle scuse. La prospettiva del codice del 1930 , faceva retroagire il rimprovero, al momento in cui il soggetto si poneva nello stato di incapacità di intendere e di volere, sulla base del principio “versari in re illecita”. Tuttavia , alla luce del principio di colpevolezza, sarebbe necessario rivedere tale sistema. Il codice prende in considerazione il rato commesso sotto effetto di alcool , ma si estende anche all’assunzione di stupefacenti (art.93,94 e 95) L’imputabilità del soggetto è esclusa in caso di ubriachezza dovuta a caso fortuito o a forza maggiore (si tratta di casi scolatici che difficilmente si verificheranno). E’ preclusa anche l’applicazione di misure di sicurezza. Es. farmacista somministra ad un soggetto una sostanza stupefacente mentre il cliente intendeva acquistare un qualsiasi medicinale. 51 Ubriachezza volontaria o colposa. Volontaria= l’ubriachezza di colui che assume una rilevante quantità di alcool, spinto dal desiderio di dimenticare / festeggiare. Colposa= ubriachezza di colui che negligentemente, non controlla la quantità di alcool ingerita, e sopratutto gli effetti che potrebbero derivarne. In entrambi i casi il soggetto sarà ritenuto imputabile. Importante è chiarire che il titolo di responsabilità soggettiva alla stregua della quale il reo sarà punito (dolo, colpa, preterintenzionale), non è valutato in relazione al momento in cui si è ubriacato, bensì con riferimento al reato commesso (pseudo dolo, pseudo colpa). Risponde di omicidio colposo colui che, pur essendosi ubriacato volontariamente, dimentica di allacciare la cintura di sicurezza a suo figlio che muore in un incidente stradale. Risponde di omicidio doloso colui che, pur essendosi ubriacato colposamente (ovvero quando per sua negligenza ha assunto più alcool di quello che avrebbe potuto sostenere), reagisce contro un passante che lo ha preso in giro cagionandone la morte. Il nostro sistema prevede due ulteriori ipotesi, che non solo non escludono l’imputabilità, ma costituiscono addirittura delle aggravanti: - ubriachezza preordinata (art.92) cioè finalizzata al compimento di un reato o a precostituirsi una scusa. - ubriachezza abituale (art. 93), riguarda colui che è in stato di frequente ubriachezza. Da non confondere con l’intossicazione cronica da alcool o stupefacenti che invece esclude o diminuisce l’imputabilità. In virtù della natura patologica della cronica intossicazione, il codice prevede la stessa disciplina del vizio di mente: non imputabilità e possibile sottoposizione a misura di sicurezza per il soggetto la cui capacità di intendere e di volere è esclusa / semi imputabilità se la patologia ha scemato la capacità di intendere e di volere, senza però escluderla. Art. 96 —> Sordomutismo Esclude l’imputabilità del soggetto se il sordomutismo ha escluso la capacità di intendere e di volere del soggetto, al momento del compimento del reato. Al c. 2 si precisa che, se la capacità di intendere e di volere non è venuta meno ma è scemata, allora la pena è diminuita. Ratio della norma: il sordomuto può aver subito un deficit dal punto di vista relazionale, scolastico, sociale , educativo.. pertanto il codice Rosso ha imposto al giudice di valutare caso per caso la capacità di intendere e di volere, per verificare se la disabilità abbia ostacolato un corretto sviluppo della personalità del soggetto, rilevante ai fini del giudizio sull’imputabilità. La Commissione Pisapia (commissione per la riforma del codice penale) aveva proposto l’eliminazione di questa norma. Il codice non distingue tra sordomutismo congenito, o acquisito , e pertanto entrambi potrebbero portare ad una declaratoria di non imputabilità. Al contrario, colui che sia solo sordo, o solo muto non potrà beneficiare della norma. L. 20 febbraio 2006 —> è intervenuta per per evitare l’art. 96 venga applicato anche a chi è divenuto sordo in età adulta, in quanto in tal caso non si può ravvisare alcun pregiudizio per il suo sviluppo psicofisico. L’art. 96 detta per il sordomutismo una disciplina simile a quella prevista per il vizio (totale o parziale) di mente, sia con riferimento alla pena, che alle misure di sicurezza. 52 - art. 59 c. 1 —> per le circostanze attenuanti la situazione è rimasta immutata (valutazione oggettiva): esse sono valutate a favore dell’agente, anche se da esso non conosciute o se da lui per errore ritenute inesistenti. - art. 59 c. 2—> le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute, ovvero ignorate per colpa , o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. L’art. 60 prevede una deroga alla disciplina dell’imputazione delle circostanze: Art. 60 error in persona, contempla le ipotesi in cui il soggetto agente versi in errore sull’identità della persona offesa (Tizio crede di uccidere Caio, mentre in realtà uccide Sempronio). In ipotesi come questa, non possono essere poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che derivano le condizioni o le qualità dell’offeso, o i rapporti tra offeso e colpevole. Il c. 2 precisa che sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti. Non si applica la disciplina favorevole dei primi due commi in relazione a circostanze che riguardano l’età, condizioni o qualità fisiche o psichiche dell’offeso. Le aggravanti potranno essere poste a carico dell’agente se l’errore è determinato da colpa. Per espresso richiamo nell’art.82 cp. la disciplina dell’art 60 è applicabile anche in casi di aberrato ictus (errore nella fase esecutiva del reato—> reo offende una persona diversa da quelle designata). Computo delle circostanze: - Una sola circostanza ad effetto comune—> ex art. 63 c.1 il giudice opera l’aumento sola diminuzione sulla quantità di pena che applicherebbe se non conoscesse la circostanza (pena base). La pena potrà essere aumentata (art. 64) o diminuita (art. 65) fino ad un terzo. - Circostanze indipendenti o ad effetto speciale—> ex.art. 63 c.3 l’aumento o la diminuzione non opera sul reato base, ma sulla pena stabilita per le predette circostanze. - Quando vi sono più circostanze= concorso. Può essere omogeneo—> quando operano circostanze dello stesso segno o eterogeneo—> quando le circostanze sono di segno diverso. Concorso omogeneo—> occorre preliminarmente verificare che non sussistano presupposti di cui agli art. 15 “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito” e 68 cp “salvo quanto è disposto nell'articolo 15, quando una circostanza aggravante, comprende in sé un'altra circostanza aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sé un'altra circostanza attenuante, è valutata a carico o a favore del colpevole soltanto la circostanza aggravante o la circostanza attenuante, la quale importa, rispettivamente, il maggiore aumento o la maggiore diminuzione di pena. Se le circostanze aggravanti o attenuanti importano lo stesso aumento o la stessa diminuzione di pena si applica un solo aumento o una sola diminuzione di pena.” E’ necessario distinguere tra: 1) concorso di circostanze ad effetto comune (aggravanti o attenuanti): ex art. 63 c.2 , l’aumento o la diminuzione va operata sulla quantità di essa risultante dall’aumento o diminuzione precedente. 2) concorso di circostanze ad effetto speciale : ex art. 63 c.4, si applica solo la pena stabilita dalla circostanza più grave, con la facoltà del giudice di aumentarla sino ad un terzo (la pena non può mai superare i 30 anni—> art. 64) 3) concorso di circostanze ad efficacia comune e speciale: ex. art. 63 c.3 l’aumento o la diminuzione operano sulla pena stabilita per la circostanza speciale. 55 LIMITI DEGLI AUMENTI DI PENA—> ai sensi dell’art. 66 nel caso di concorso di più circostanze aggravanti: la pena da applicare non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge, salvo le ipotesi di circostanze ad effetto speciale, e comunque non eccedere gli anni trenta se si tratta di reclusione, 5 se si tratta di arresto, 10329 euro in caso di multa, 2065 se si tratta di ammenda (fino a un max di 30987 e 6197 se il giudice si avvale della facoltà di aumento indicata nell’art. 133 bis) LIMITI DELLE DIMINUZIONI DI PENA—> l’art. 67 prevede che nel caso di concorso di circostanze attenuanti la pena non può essere inferiore a dieci anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce l’ergastolo, se non si tratta delle ipotesi di cui al secondo capoverso dell’art. 63, la pena non può essere diminuita oltre 1/4. Concorso eterogeneo—> Il codice Rocco nel suo impianto originario prevedeva la possibilità per il giudice di procedere discrezionalmente al giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee, attraverso una valutazione qualitativa del peso delle stesse, con la possibilità di dichiarare la prevalenza di quelle aggravanti (art. 69 c.1) o di quelle attenuanti (art. 69 c. 2), nonché la loro equivalenza. Erano escluse dal giudizio di bilanciamento le circostanze ad efficacia speciale e quelle inerenti la persona del colpevole (imputabilità diminuita, recidiva). Grazie ad una valutazione integrale dell’episodio criminoso, il giudizio di bilanciamento garantisce il pieno rispetto del principio di proporzione tra pena e fatto. L’esclusione dal giudizio di bilanciamento delle circostanze ad efficacia speciale e quelle inerenti la persona era a volta ad evitare che per queste, il giudice potesse operare una valutazione discrezionale (bisogna ricordare che alle circostanze speciali si applicano pene autonome). Nel 1974 il decreto legge n. 99 estende la disciplina del giudizio di bilanciamento anche alle circostanze inerenti la persona del colpevole e a quelle ad effetto speciale. La riforma è molto limitata sul piano formale in quanto consiste nella mera eliminazione della particella negativa “non”, ma ha determinato conseguenze notevoli, modificando il giudizio di prevalenza e equivalenza delle circostanze di segno opposto,e trasformandolo da giudizio sul singolo episodio criminoso, a valutazione complessiva sulla figura soggettiva del reato. Ratio di tale riforma: porre fine al rigorismo sanzionatorio che caratterizzava alcune fattispecie, in cui la pena era sproporzionata all’entità dei fatti (in particolare le aggravanti del furto art. 625, e di resistenza a pubblico ufficiale art. 339, nonostante le attenuanti, ad un soggetto recidivo doveva applicarsi la reclusione di almeno 2 anni). Critiche: molti ritenevano che l’estensione del giudizio di bilanciamento avrebbe dovuto avere carattere provvisorio, in attesa di una riforma che investisse il settore del diritto penale speciale, attraverso un ripensamento dei limiti edittali. Circostanze blindate—>si tratta di circostanze a cui il legislatore ha riconosciuto particolare privilegio nel giudizio di bilanciamento: il giudice è vincolato a dichiarare la prevalenza delle circostanze aggravanti. La blindatura può essere: a base totale—> si verifica l’esclusione della dichiarazione di prevalenza o di equivalenza delle circostanze attenuanti. A base parziale—> viene preclusa al giudice solo la dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, che possono però essere dichiarate equivalenti (esclusivamente nell’art. 99 c.4 in relazione alla recidiva reiterata, e art. 7 della l. 172/1990 relativamente agli art. 111 e 112). In relazione alla circostanze a base totale non era chiaro se residuasse o meno una possibilità di applicare le diminuzioni di pena previste dalle circostanze attenuanti; interrogativo chiarito in seguito ad una sentenza della Corte Costituzionale del 1985. 56 Il caso prendeva in esame la circostanza aggravante della finalità terroristica; in quest’occasione la corte dichiarò non fondate le questioni di legittimità dell’art. 2 l.15/1989 e dell’art. 280 cp ultimo comma, sollevate in relazione al principio di uguaglianza—> la corte offre un interpretazione correttiva finalizzata a lasciare spazio ad un eventuale applicazione delle circostanze attenuanti. Al giudice è riconosciuta un alternativa: procedere alla valutazione comparativa, il cui esito è però vincolato alla dichiarazione di prevalenza delle circostanze aggravanti, oppure non effettuare il giudizio di bilanciamento e applicare congiuntamente gli aumenti e le diminuzioni di pena (art. 63). La natura del giudizio di bilanciamento cambia: da obbligatorio a facoltativo. Circostanza blindata della minore età: la minore età rientra tra le circostanze blindate, tuttavia il privilegio non ha una portata generale ma opera solo quando l’attenuante concorra con aggravanti che comportano l’ergastolo, o con circostanze che accedono ad un reato che prevede nella forma base l’ergastolo. Questo privilegio non deriva da una disposizione di legge, ma dalla sentenza 168/1994 della corte costituzionale, nella quale viene dichiarata l’illegittimità degli art. 17 e 22 cp., nella parte in cui non escludono l’applicabilità al minore della pena dell’ergastolo, inoltre viene dichiarata l’illegittimità dell’art. 69 c.4 nella parte in cui prevede l’applicabilità del comma 1 dell’art.69 (per cui quando concorrono insieme circostanze aggravanti e attenuanti, se le prime sono ritenute prevalenti , non si tiene conto della diminuzione della pena stabilita dalle circostanze attenuanti), in caso di concorso tra art. 98 e una o più aggravanti che comportino la pena dell’ergastolo, e dell’art. 69 c.1 e 3—>(in caso di equivalenza tra circostanze aggravanti e attenuanti, si applica la pena prevista per il reato base), nel caso di concorso tra l’attenuante della minore età e una o più aggravanti, relative ad un reato per cui è prevista la pena base dell’ergastolo. Nella prima ipotesi, la circostanza aggravante per cui è prevista la pena dell’ergastolo non potrà mai essere dichiarata prevalente, ma al più solo equivalente all’attenuante di cui all’art. 98.—> conseguente applicazione del reato base. Nella seconda ipotesi, in cui l’ergastolo è previsto come reato base, la Corte non consente che le circostanze aggravanti possano essere ritenute né prevalenti né equivalenti. Su quali basi si regge questa decisione? Ai sensi dell’art. 2 Cost. rientra tra i doveri della Repubblica anche quello di salvaguardare i minori. Inoltre la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27, nel settore minorile assume connotati diversi rispetto al sistema ordinario. Circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis): il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste dall’art. 62, può prendere in considerazione circostanze diverse, qualora ritenga che possano giustificare una diminuzione della pena. Nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche riveste un ruolo primario la discrezionalità del giudice, al fine di garantire un migliore adeguamento della pena alla limitata gravità del reato.Tuttavia 2 riforme sono intervenute al fine di limitare la discrezionalità del giudice: 1) La legge ex Cirielli introduce delle limitazioni al riconoscimento delle circostanze attenuanti per alcune ipotesi di recidiva reiterata: ai sensi del c.2 dell’art. 62-bis, ai fini dell’applicazione del comma 1, non si tiene conto dei criteri di cui all’art. 133 c.1 n3, e comma 2; nei casi previsti dall’art. 99 c.4, e nemmeno in relazione ai delitti previsti dall’art. 407 c.2 lettera a) c.p.p. 57 Le circostanze, a differenza degli elementi costitutivi, non incidono sul tempus e sul locus commissi delicti. Sotto il primo profilo la distinzione rileva ai fini dell’individuazione del momento consumato del reato (ovvero per individuare il dies a quo della prescrizione del reato, e per l’individuazione della legge applicabile in caso di successione di leggi nel tempo) e sulla configurabilità del tentativo. Per i reati autonomi non sorgono problemi in relazione al tentativo, e nemmeno per il tentativo circostanziato di delitto: si verifica quando, pur non essendosi perfezionato il delitto, la circostanza si è concretamente realizzata . Si discute invece sull’ammissibilità del tentativo di delitto circostanziato: in questo caso la circostanza non è stata realizzata, ma rientra nel proposito criminoso dell’agente e gli atti compiuti sono idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto circostanziato. In virtù del principio di legalità, e dell’art. 56 (che incrimina espressamente solo il tentativo di delitto), si è esclusa la rilevanza del tentativo di un delitto circostanziato. La situazione tra elementi costitutivi e elementi circostanziali è altresì rilevante in relazione alla prescrizione, al concorso di persone nel reato e alla depenalizzazione. Reati aggravati dall’evento—> delitti che subiscono un aumento della pena quando si verifica un ulteriore evento dannoso o pericolo oltre a quello richiesto per la loro esistenza; sono riconducibili a 3 categorie: 1) Quelli in cui l’evento aggravatore è voluto, perché costituisce la realizzazione dello scopo oggetto del dolo specifico del reato base 2) Altre volte è indifferente che l’evento aggravato sia voluto o non voluto (es. nella calunnia è prevista un aumento della pena se dalla condotta deriva la condanna del soggetto agente) 3) Nell’ultima categoria l’evento aggravatore deve esse non voluto, perché altrimenti se fosse voluto troverebbe applicazione la corrispondente ipotesi dolosa: è il caso della morte o lesione derivante dalla condotta di maltrattamenti ex art. 572 c.4 cp. Quest’ultima categoria pone due ordini di problemi: il titolo di imputazione dell’evento non voluto e la natura giuridica. Si discute se possono essere considerati reati autonomi, rientranti nello schema della preterintenzionale, o se si tratta di reati circostanziati. Parte della dottrina inquadra le fattispecie nei delitti preterintenzionali: l’evento aggravassero diventa elemento costituivo di un autonomo reato e viene imputato a titolo di colpa. Altra parte della dottrina invece, ritiene che anche i delitti aggravi dall’evento siano ipotesi circostanziate di reato, con la conseguenza che saranno inclusi nel giudizio di bilanciamento (circostante aggravanti). Se si predilige questa seconda teoria, si corre il rischio di vedere dichiarata prevalente o equivalente la circostanza attenuante (si confida nel buon senso dei giudici), che non dovrebbero dichiarare, se non eccezionalmente , l’equivalenza o la soccombenza di tali eventi aggravatori). CAPITOLO XIII Delitto tentato: precedentemente sono stata contemplate ipotesi in cui l’agente porta a termine l’iter criminis, realizzando tutti gli elementi costitutivi della norma incriminatrice; si tratta del reato consumato—> la fattispecie concreta corrisponde perfettamente a quella astratta. Importante è definire quando il reato è consumato (es. per individuare il dies a quo del decorrere del termine di prescrizione, o per individuare la legge applicabile in caso di successione di leggi penali nel tempo..) e questo momento varia a seconda delle diverse categorie di reati: 60 - i reati ad evento naturalistico si consumano nel momento in cui si realizza lo stesso evento (omicidio—> giunge a realizzazione con la morte della vittima; truffa—> quando si concretizzano i due elementi che sono il danno patrimoniale e il profitto ingiusto). Tuttavia in relazione al delitto di estorsione si è espressa la giurisprudenza di legittimità : si ha consumazione, e non mero tentativo, allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nell’ipotesi in cui sia intervenuta l’autorità giudiziaria che provvede immediatamente all’arresto e alla restituzione del bene all’avente diritto, in quanto la costrizione, che deve seguire la violenza o minaccia, tiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha tentativo solo quando la condotta vessatoria non raggiunge il risultato di costringere la persona al “facere” ingiusto. - i reati di mera condotta istantanei giungono a consumazione quando si esaurisce la condotta tipica, cioè quando l’agente compie l’ultimo atto che la realizza. Nel furto, la consumazione coincide non solo con la sottrazione, ma anche con l’impossessamento (es. chi sottrae un bene, e lo nasconde, con l’intento di tornare con maggior tranquillità a riprenderlo durante la notte, ma non porta a compimento la condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice, risponde di furto tentato.) - i reati permanenti giungono a compimento quando cessa la condotta criminosa descritta dalla fattispecie (nel sequestro di persona—> quando il soggetto riacquista la libertà personale) - nei reati abituali, la consumazione coincide con il compimento dell’ultimo fatto che, unitariamente considerato con quelli che lo precedono, qualifica come criminoso il comportamento dell’agente. Quando l’attività criminosa non giunge a compimento (es. tizio spara alcuni colpi di pistola contro la vittima designata, ma per imperizia nell’usare l’arma, manca il bersaglio).—> il delitto non è portato a conclusione per una ragione che prescinde dalla volontà del colpevole. Il fatto tuttavia è rilevante, tanto da un punto di vista oggettivo , quanto da un punto di vista soggettivo (il colpevole manifesta volontà criminale). In ragione di ciò è giustificato l’intervento penale. Essendo il nostro un diritto penale del “fatto”, si deve tener conto del minor disvalore oggettivo del delitto tentato, rispetto a quello consumato (messa in pericolo del bene giuridico, anziché danno), e per tanto il tentativo è sanzionato meno pesantemente: reclusione non inferiore ai 12 anni al posto dell’ergastolo, mentre per le altre pene diminuzione da 1/3 a 2/3. Punibilità del tentativo e principio di legalità: in un ordinamento improntato al principio di legalità, quali sono i presupposti normativi che legittimano l’inflizione di una pena a colui che non ha portato a termine la condotta o non ha comunque realizzato l’evento? Le fattispecie incriminatrici descrivono sempre condotte compiute. Si potrebbe immaginare di affiancare, ad ogni fattispecie di reato, la corrispondente ipotesi tentata, ma ciò determinerebbe un insopportabile appesantimento della parte speciale del codice (questa opzione è stata adottata dal codice tedesco). Nel nostro ordinamento invece , la punibilità del tentativo è estesa a tutte le fattispecie delittuose, combinando le stesse con l’art. 56—> da questa “combinazione”, viene alla luce una nuova ed autonoma fattispecie criminosa. E’ bene sottolineare che non si tratta di un’attenuante (sebbene la pena sia ridotta), ma di un’ipotesi di reato dotata di propria autonomia. Art. 56 cp “Chi compie atti idonei in modo non equivoco a commettere un delitto risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie e l’evento non si verifica. Il colpevole del delitto tentato è punito con la reclusione non inferiore a 12 anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. 61 Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti,qualora questi costituiscano di per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà” Da quale momento è opportuno e doveroso punire il colpevole per un fatto che non è giunto a compimento? E’ necessario effettuare un bilanciamento tra il principio di offensività, e quello di prevenzione generale. Il codice Zanardelli del 1889 prediligeva un opzione liberale e distingueva tra: atti esecutivi —> con i quali l’autore inizia a tenere la condotta tipica descritta dalla fattispecie (porgere alla vittima il bicchiere con il veleno); e atti meramente preparatori—> precedenti all’inizio dell’esecuzione (acquisto del veleno, trasferimento del veleno in una bottiglia di vino..) All’art.61 prevedeva esplicitamente che fosse punito solo colui che cominciasse, con mezzi idonei, l’esecuzione del delitto. Gli atti preparatori erano penalmente irrilevanti, quindi si posticipa l’inizio dell’attività punibile. Con il codice Rocco la situazione muta significativamente; la nuova disciplina del tentativo ha anticipato la soglia della punibilità. Prevalenza delle esigenze repressive e di prevenzione generale sui principi di garanzia. Definire quando inizia l’esecuzione di un reato è più difficile per i delitti a forma libera, rispetto a quelli a forma vincolata. Elementi oggettivi del tentativo: un elemento negativo—> si risponde di delitto tentato, solo se non si verifica la consumazione del reato. Si distingue il tentativo incompiuto, in cui la condotta non giunge a termine, e tentativo compiuto, ove l’agente porta a termine la condotta tipica, ma l’evento non si realizza per qualche ragione. Mentre il tentativo incompiuto è compatibile sia con reati di mera condotta, che con reati ad evento naturalistico; il tentativo compiuto invece, presuppone una fattispecie ad evento naturalistico (Tizio esplode un colpo di pistola per uccidere Caio, ma fallisce il bersaglio). Tuttavia questa distinzione (che nella vigenza del codice Zanardelli aveva delle conseguenze sul piano sanzionatorio) oggi ha perso interesse in quanto sono previste le medesime pene per entrambe le ipotesi. Idoneità degli atti: il codice Rocco prevede che sia punibile il compimento di atti idonei, diretti in modi non equivoco. L’atto è idoneo quando è probabile che, nell’ordinario svolgimento dei fatti, porti alla consumazione del delitto. L’idoneità finisce per coincidere con la pericolosità oggettiva degli atti stessi (es. avvicinarsi ad una cassaforte con una fiamma ossidrica; atto idoneo al compimento del furto). Il tentativo è il paradigma del reato di pericolo; si ricorre alle massime di esperienza e alle conoscenze scientifiche. Tuttavia il concetto di probabilità è ambiguo; non sempre è agevole individuare la probabilità statistica di realizzazione dell’evento, e poi ci si domanda se anche percentuali basse possono integrare il requisito dell’idoneità degli atti. Tuttavia si tende a rispondere positivamente (anche percentuali bassissime—> esempi contagio Hiv), quando il bene da tutelare è la vita o l’integrità fisica; diversamente se invece viene in rilievo un bene di natura patrimoniale. [La dottrina richiede un grado di “probabilità”, mentre la giurisprudenza si accontenta della “possibilità” che l’evento si realizzi] Prognosi postuma: il giudice dovrà operare una prognosi postuma, cioè collocarsi idealmente al momento nel quale la condotta è tenuta, per domandarsi se, ex ante, gli atti compiuti potevano portare alla consumazione del delitto. 62 1) tentativo nelle fattispecie omissive proprie—> la possibilità di integrare il tentativo in relazione a reati omissivi propri non è pacifica. Parte della dottrina lo esclude, in quando il reato omissivo proprio prevede sempre un termine entro cui il soggetto deve tenere la condotta doverosa, e pertanto, fino a quel momento non si potrebbe parlare di tentativo. Invece, una volta scaduto il termine, il delitto sarebbe consumato. Altri invece sostengono che il soggetto gravato dell’obbligo di agire possa rispondere a titolo di tentativo, qualora, pur non essendo decorso interamente il termine entro cui deve adempiere, abbia tenuto una condotta idonea e diretta in modo non equivoco a porsi nell’impossibilità di adempiere (chi parte per un lungo viaggio, con rientro dopo la scadenza del termine). Discussa è la compatibilità dei reati di pericolo con il tentativo: secondo alcuni ciò determinerebbe un eccessiva anticipazione della tutela (punire il pericolo del pericolo). Si ritiene doveroso distinguere tra reati di pericolo astratto: come per esempio l’Associazione per delinquere, per cui non rileva il tentativo, e reati di pericolo concreto: come per esempio l’incendio di cosa propria art. 423 c.3, ove il pericolo è l’evento del delitto, caratterizzato da un evento intermedio.—> rileva il tentativo.—> si può punire chi appicchi il fuoco, immediatamente spento dall’intervento dei pompieri. Tentativo e circostanze: le circostanze previste per il delitto consumato, si applicano anche al delitto tentato? Occorre distinguere tra: - le circostanze che preesistono al compimento del fatto, si applicano anche al tentativo. Come per esempio il rapporto di parentela (art.577) aggrava l’omicidio doloso e determina l’applicazione dell’ergastolo, o l’attenuante comune della provocazione che consiste nell’agire nello stato d’ira cagionato dal fatto ingiusto altrui (art. 62). - le circostanze che invece vengono ad esistenza nell’ipotesi in cui il reato è già giunto compimento: es. l’aver cagionato alla vittima un danno patrimoniale di lieve entità (art. 61). Sulla base del principio del favor rei, le circostanze attenuanti vengono ugualmente applicate, a discapito del principio di legalità. Desistenza e recesso attivo: ipotesi in cui l’interruzione dell’iter criminis non è da ricondurre a circostanze ed eventi esterni, bensì alla volontà del colpevole. La desinenza volontaria è una causa personale e sopravvenuta di non punibilità : colui che intraprende un reato,ma dopo aver realizzato atti idonei e diretti in modo non equivoco, desiste volontariamente dalla sua azione, va esente da pena. In ipotesi di esistenza volontaria l’agente ha ancora un dominio sulla situazione tale da poter impedire, che il delitto giunga a consumazione. Egli potrà tutt’al più essere chiamato a rispondere per quegli atti che, di per sé abbiano consumato una diversa fattispecie incriminatrice. Ad esempio, se Tizio si introduce in una villa scardinando il cancello, al fine di impadronirsi del denaro contenuto in una cassaforte, ma poi desiste dal suo intento e si allontana, in virtù della volontaria interruzione dell’iter crimini, egli non sarà chiamato a rispondere del tentativo di furto, ma risponderà invece per il danneggiamento e per la violazione del domicilio. L’ordinamento non richiede alcuna forma di pentimento morale, pertanto la causa di non punibilità di cui all’art. 56 c.3 si applica anche se l’agente torna sui suoi passi perché ritiene più vantaggioso e agevole compiere il reato in un altro momento (es della cassaforte): ciò che conta è che l’agente non abbia portato a termine la condotta pur potendo farlo. La desinenza non sarà volontaria in presenza di fattori di pericolo o di rischio (es. allarmi antifurto, sirene dalla polizia..) 65 Recesso attivo: ultimo comma art. 56, colui che, volontariamente, impedisce l’evento, è soggetto alla pena del delitto tentato significativamente ridotta (da1/3 alla metà). Nel recesso attivo, l’azione ha esaurito i suoi effetti, è giunta a compimento e l’agente non ha più alcun dominio diretto sulla situazione. Egli si attiva positivamente per impedire che gli effetti si realizzino; la circostanza attenuante per altro, si applica solo se l’evento non si verifica. Se poi interviene anche un terzo soggetto (un medico x es) vi è recesso attivo solo se l’agente ha offerto contributo decisivo nell’azione salvifica (chiamare l’ambulanza, trasportare il ferito in ospedale.) Desistenza volontaria e recesso attivo, sono due situazioni con evidenti punti in comune, tuttavia la prima è una causa di non punibilità, la seconda prevede solo una riduzione della pena; la ragione di tale disparità di trattamento è da ricondurre al fatto che, in ipotesi di recesso attivo il pericolo corso dall’interesse tutelato è maggiore. Difficile è distinguere la prima ipotesi dalla seconda in relazione ai reati commessi mediante omissione (infatti il c. 3 dell’art. 56, parla di azione); si ha desistenza se l’infermiera che sta lasciando morire il paziente, omette per giorni di somministrargli il farmaco salvavita, ma torna sui suoi passi e pratica la cura; invece si ha recesso attivo se la stessa infermiera si allontana dall’ospedale, ma poi chiama una collega orche intervenga sul paziente. CAPITOLO XXIV Concorso di persone nel reato Il reato può essere il risultato della cooperazione di più persone; il reato commesso da più persone deve essere considerato opera di tutte. Siamo nell’ambito di “concorso di persone nel reato”, che regola la posizione di coloro che collaborano alla realizzazione del reato, ovvero concorrenti e compartecipi. La possibilità di riferire il reato ai concorrenti deve fare i conti con il principio di legalità. In un ordinamento a legalità formale, risponde del reato solo chi tiene la condotta tipica descritta dalla fattispecie di parte speciale. Per estendere la responsabilità penale ai concorrenti, potrebbe essere utilizzata una nozione estensiva di autore, ma ciò non sarebbe compatibile con il nostro ordinamento, improntato al principio di legalità. Nel nostro ordinamento è accolta una nozione restrittiva di autore, ecco perché un ruolo essenziale è svolto dalle norme sul concorso di persone (art. 110 ss. cp), che svolgono una funzione di incriminazione, rendendo penalmente rilevanti condotte che non lo sarebbero (condotte atipiche). Al contempo queste norme svolgono una funzione di disciplina, nel senso che alle condotte concorsuali, si applica la disciplina prevista dagli art. 111, 112, e 114. Codice Zanardelli 1889—> prediligeva un modello di tipizzazione differenziata, descriveva analiticamente i contributi concorsuali. Distingueva tra compartecipi primari: esecutore, cooperatore immediato, determinatore, e compartecipi secondari (soggetti a pene più basse). Codice Rocco 1930—> privilegio un modello unitario che non descrive i diversi contributi concorsuali, ma considera rilevante qualsiasi apporto dato alla realizzazione del reato. Il contributo concorsuale è tipizzato sul contributo causale dato alla commissione del reato. Il codice Rocco comunque non costituisce un modello unitario puro, nel quale tutti i contributi concorsuali sono equivalenti sul piano della risposta sanzionatoria : l’art. 110 cp prevede che a tutti i concorrenti si applichino le pene stabilite per il reato commesso “salve le disposizioni degli art. ss” che, attraverso il meccanismo delle circostanze aggravanti (art. 111-112) e attenuanti (art. 114) considerano il diverso apporto dato alla commissione del reato agli effetti della pena. In relazione a quest’ultimo punto assai è il ruolo del giudice, che ha un ampio margine di discrezione nella commisurazione della pena. 66 Fondamento dogmatico della punibilità del contributo atipico di partecipazione: come si spiga la punibilità di chi fornisce lo strumento per lo scasso di una porta? 1) Teoria dell’accessorietà: secondo la quale la punibilità del contributo atipico (fatto accessorio) si giustifica in quanto accede alla condotta dell’autore che pone in essere il fatto tipico (fatto principale). La dottrina tedesca ha impiegato la figura dell’autore per sopperire alle lacune della teoria dell’accessorietà: è autore non solo chi realizza la condotta tipica (autore immediato), ma anche colui che si serve di altri per la commissione di reato (autore mediato). Tuttavia questa teoria non è compatibile con la cd. esecuzione frazionata che si presenta nei casi in cui nessuno dei concorrenti pone in essere per intero il fatto tipico, ma ognuno ne realizza una parte: (es. nel concorso di rapina, uno minaccia con il coltello, l’altro sottrae il portafoglio). In questo caso manca un fatto principale a cui accede quello accessorio. 2) Teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale: secondo la quale la tipicità dei contributi concorsuali deve essere valutata dall’incontro tra l’art. 110 cp e le singole fattispecie incriminatrici: la combinazione di queste due norme da alla luce una nuova fattispecie—> rispetto alla quale va valutata la rilevanza penale delle condotte concorsuali. Questa teoria supera le critiche mosse alla teoria dell’accessorietà: nei casi di esecuzione frazionata le condotte parzialmente tipiche contribuiscono a comporre gli elementi della fattispecie plurisoggettiva eventuale. Analogamente nel concorso di un reato proprio, non è necessario che sia l’internerà a tenere la condotta tipica, perché è sufficiente che un concorrente contribuisca con la propria qualifica personale ed un altro con la condotta, in modo che siano realizzati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. Tuttavia rimane il problema di spiegare a quelli condizioni, quelle che sono condotte atipiche, se valutate rispetto alla fattispecie monosoggettiva, diventano contributi di partecipazione penalmente rilevanti—> problema legato all’indeterminatezza dello stesso art. 110 che non fissa i criteri di tipizzazione del contributo concorsuale, ed afferma banalmente che si ha concorso di persone “ quando più persone concorrono nel medesimo reato”. 3) Teoria delle fattispecie plurisoggettive differenziate: si ritiene che il concorso di persone da luogo ad una pluralità di reati, tanti quante sono le condotte concorsuali. L’art. 110 cp non fissa i criteri di tipizzazione del contributo concorsuale, per cui è difficile garantire il rispetto del principio di legalità, quando sarebbe necessario attribuire rilevanza penale a condotte non sussumibili nelle singole fattispecie incriminatrici. Requisiti strutturali del concorso di persone: la pluralità degli agenti, la realizzazione di una fattispecie di reato, il contributo concorsuale, un particolare elemento soggettivo. La pluralità dei concorrenti: ne sono sufficienti due. Non tutti i concorrenti devono essere anche punibili, art.112 ultimo comma prevede che “ le circostanze aggravanti si applicano anche se uno dei partecipanti al fatto non è imputabile o non è punibile”; l’art. 111 disciplina la determinazione al reato di persone non imputabile, l’art. 119 limita gli effetti delle cause soggettive di esclusione della pena al solo concorrente a cui si riferiscano. Il nostro codice disciplina alcune situazioni che la dottrina tedesca riconduce all’autore mediato: del reato commesso per induzione in errore risponde chi ha determinato l’errore (art. 48 cp), se la minaccia integra gli estremi dello stato di necessità, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo ( art. 54 c.3); se taluno mette altri nello stato di non imputabilità, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso risponde chi 67 Caio sottrae della merce e lo aiuta, senza però che Caio se ne accorga. Caio—> risponde di furto. Tizio—> di concorso in furto. Nei reati a dolo specifico non è necessario che tutti i concorrenti agiscano con quella particolare finalità, è sufficiente che un solo partecipante abbia tale scopo. Anche nei confronti del cd. “agente provocatore” si tende a ravvisare gli estremi del concorso. E’ punibile a titolo di concorso di reato il soggetto la cui condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato. L’infiltrato —> colui che realizza operazioni sotto copertura, specie nell’ambito delle indagini contro la criminalità organizzata: l’infiltrato realizza condotte conformi a fattispecie incriminatrici (acquisto di stupefacenti o di armi, ricettazione..) , tuttavia la sua non punibilità è espressamente prevista dalla legge (art. 9l.146/2006—> introduce una speciale causa di giustificazione inquadrabile come ipotesi speciale di adempimento di un dovere) Le circostanze nel concorso di persone: spetta al giudice differenziare le pene tra i concorrenti, in relazione alla tipologia del contributo di partecipazione—> attraverso circostanze aggravanti (art.111 e 112) e attenuanti (art. 114). Invece non si tiene conto del ruolo e del tipo di contributo del singolo concorrente in relazione alla circostanza aggravante ad effetto comune applicabile se il numero dei concorrenti non è inferiore a 5 (art.112 c.1 n.1)—> la circostanza è applicabile, salvo che la legge non disponga diversamente (associazione per delinquere 10 o + associati). Costituiscono circostanze aggravanti: a) determinare a commettere il reato una persona non imputabile o non punibile a causa di una condizione personale (art.111) b) determinare a commettere il reato un minore degli anni 18 o una persona in stato di infermità o deficienza psichica (art. 112) c) avvalersi di un minore degli anni 18 o di una persona in stato di infermità o deficienza psichica, ovvero di una persona non imputabile o non punibile a causa di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza, poiché avvalersi significa sfruttare il minore o il sogg. incapace d) promuovere, organizzare o dirigere la cooperazione e) determinare a commettere il reato persone sotto la propria autorità, direzione o vigilanza. Le circostanze attenuanti—> art.114 sono ad efficacia comune e facoltative. Il c.1 prevede la circostanza attenuante della minima importanza, che consente al giudice di diminuire la pena, se l’opera prestata da taluno dei concorrenti ha avuto “minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione della pena”. L’orientamento (minoritario), contrario ad impiegare la causalità condizionalistica come criterio per tipizzare il contributo concorsuale, individua proprio nell’art. 114, la base normativa della causalità agevolatrice e della prognosi postuma.—> Se una condotta, per essere rilevante come contributo concorsuale, dovesse sempre costituire condicio sine qua non del reato, allora la circostanza attenuante della minima importanza dovrebbe sempre essere disapplicata, perché una condotta, senza la quale il reato verrebbe meno, non potrebbe mai essere considerata di poca importanza. I contributi marginali possono invece essere apprezzabili in termini di mera agevolazione del reato. La giurisprudenza ha proposto un interpetatio abrogans di questa attenuante: la condotta, per essere penalmente rilevante come contributo concorsuale, deve possedere efficacia causale 70 rispetto alla realizzazione del reato. Tuttavia, l’efficacia del contributo deve essere valutato nell’ambito della interazione tra le condotte dei concorrenti, così che l’attenuante potrebbe essere applicata, in relazione alla marginalità del ruolo di un compartecipe rispetto a quello degli altri.—> in questo modo è possibile superare l’argomento che fa leva sull’art. 114 per escludere la causalità condizionalistica come criterio di tipizzazione del contributo concorsuale. La disciplina delle circostanze in ambito concorsuale: —> regole specifiche: L’art.118 prevede che ALCUNE circostanze aggravanti o attenuanti (comuni o speciali) si applichino solo al concorrente a cui si riferiscono: quelle inerenti i motivi a delinquere (es aggravante dei motivi abietti e futili), all’intensità del dolo (aggravante della premeditazione nel delitto di omicidio), al grado della colpa (aggravante della colpa cosciente) , nonché le circostanze inerenti la persona del colpevole (recidiva). Tutte le altre circostanze invece si estendono a tutti i concorrenti secondo l’impostazione dell’art. 59: le circostanze attenuanti si estendo a tutti i concorrenti, mentre le aggravanti solo al concorrente che le conosce, le ignora per colpa, o le ritiene inesistenti per errore determinato dal colpa. Concorso anomalo: spesso può accadere che il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti perché è intervenuta in corso di esecuzione, una variante individuale al piano iniziale—> Art. 116 cp reato diverso da quello voluto: “Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione” —> in ossequio del principio “versari in re illicita” per cui chi si affida ad altri per l’esecuzione di un reato corre il rischi di rispondere anche delle eventuali conseguenze non volute. Ad attenuare questa rigida disciplina—> circostanza attenuante ad effetto comune, applicabile quando il reato commesso è più grave di quello voluto (art. 116 c. 2). Affinchè il concorrente che non volle il reato ne risponda, doveva esserci un accordo per la commissione di un reato, e che il reato diverso sia stato realizzato con dolo da parte di almeno un concorrente. L’art.116 impone poi che vi sia un nesso di causalità tra la condotta del concorrente ed il reato diverso. Infine è necessaria la non volizione del reato diverso, se no si applicherebbe la disciplina dell’art. 110 cp, e non quella dell’art. 116 c. (attenuante). L’unica possibilità di escludere la responsabilità del concorrente è l’interruzione del nesso causale, per l’intervento di un fattore eccezionale. Più volte fu sollevata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 27 cost. . L’art. 116 cp sembra basare l’imputazione del reato diverso al concorrente su basi meramente oggettive. —> la Corte con la sentenza 42 del 1965 dichiarò non fondata la questione, dando un interpretazione costituzionalmente orientata della norma: accanto al nesso di causalità materiale, la corte ha chiesto l’accertamento di un nesso di causalità psichica: “il reato diverso o più grave commesso dal concorrente deve potersi rappresentare nella psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come sviluppo prevedibile di quello voluto”. E’ stato quindi introdotto il requisito della prevedibilità del reato diverso realizzato. Primo orientamento—> prevedibilità in astratto: mettendo a raffronto gli elementi costitutivi del reato voluto e di quello realizzato ; l’accordo per l’esecuzione di un reato rende prevedibili varianti individuali al piano comune. (es. da un furto può derivare una rapina, da una rapina una lesione personale in quanto sono previste violenze e minacce, ma da un furto non può derivare una violenza sessuale—> esclusa la responsabilità del concorrente che faceva da palo.) 71 Secondo orientamento—> prevedibilità in concreto: è necessario valutare se alla luce di tutti gli elementi del caso concreto (circostanze ambientali in cui si svolge l’azione, personalità dell’agente..) per il concorrente fosse prevedibile la commissione del reato diverso da parte di un altro concorrente. Se ad esempio era stata programmata una rapina solo mediante minacce, il fatto che uno dei concorrenti estragga un coltello e ferisca a morte la vittima è uno sviluppo non prevedibile del reato voluto, diversamente se il piano prevedeva una rapina a mano armata, conoscendo la particolare irascibilità del complice e la sua tendenza ad atti di violenza. Se nel rapporto tra furto e violenza sessuale non sussiste prevedibilità in astratto, potrebbe invece esserci in concreto—> l’esecutore deve entrare di notte nell’abitazione di una giovane donna sola, e in passato ha realizzato aggressioni sessuali. Solo la prevedibilità in concreto è in grado di garantire il rispetto del principio di colpevolezza, in quanto significa introdurre nell’interpretazione dell’art. 116 un imputazione colposa del reato non voluto—> si tratta di una colpa generica che verra valutata dal giudice. Così riletto l’art. 116 non costituisce più un caso di responsabilità oggettiva, bensì un ipotesi di responsabilità anomala, perché il concorrente, pur essendo il colpa rispetto al reato diverso realizzato, risponde comunque di un reato doloso (con una riduzione di pensa, se quello realizzato è più grave di quello voluto). Nei casi in cui si realizza il reato voluto, a cui si aggiunge quello non voluto: il concorrente risponde a titolo di dolo per quello voluto, e per colpa per il secondo reato non voluto. Art. 116 e 83 cp a confronto—> l’art. 83 (aberratio delicti) si applica nei casi in cui, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, sia commesso un reato diverso da quello voluto, del quale tutti i concorrenti rispondono, a condizione che siano in colpa e il purché il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo, mentre l’art. 116 richiede che il reato diverso sia voluto da almeno uno dei concorrenti. Concorso nel reato proprio e mutamento del titolo di reato Extraneus—> non possiede la qualifica personale richiesta dalla legge come elemento costitutivo del fatto tipico, può comunque concorrere in un reato proprio ex.art.110 cp, se è consapevole di concorrere con il soggetto titolare della qualifica (intraneus). Ad es. risponde di concorso in abuso d’ufficio (art.323 cp) il privato che istiga il pubblico ufficiale a rilasciargli un permesso per ottenere un vantaggio patrimoniale. Non è necessario che sia l’intraneus a tenere la condotta tipica—> es. pubblico ufficiale fornisce all’extraneus le chiavi per accedere all’ufficio ove è custodito il denaro = concorso di persone in peculato (art. 314 cp). Diversamente nei reati di mano propria, l’offesa al bene giuridico richiede che sia l’intraneus a tenere la condotta tipica (si pensi al delitti d’incesto art. 564 cp). Necessario che l’intraneus agisca con dolo? —> privato che induce in errore il pubblico ufficiale rispetto alle norme di legge, sì; il bene giuridico tutelato dall’art. 323 (il buon andamento e imparzialità delle pa) richiede una dolosa violazione dei doveri d’ufficio del pubblico ufficiale. Invece in relazione al delitto di falsità ideologica del pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479) risponde il privato che, fornendo falsi indicazioni ha indotto il pubblico ufficiale a redigere un atto pubblico falso—> in questo caso l’offesa alla fede pubblica non presuppone il dolo dell’intraneus. 72 Concorso eventuale nella maggior parte dei casi la fattispecie incriminatrice è descritta dal legislatore in forma monosoggettiva, perciò non è necessaria la pluralità di soggetti attivi. Concorso necessario la legge prevede come elemento costitutivo la pluralità dei soggetti attivi —> art. 588 rissa, associazione per delinquere almeno tre associati art. 416. Anche ai reati a concorso necessario si applicano le regole di disciplina previste per il concorso eventuale, a meno che la fattispecie non preveda regole proprie es: l’aggravante del numero di persone art.112 c.1 n.1, è applicabile al delitto di rissa,ma non aggrava l’associazione a delinquere che prevede una propria aggravante se il numero degli associati è superiore a 10. Le norme sul concorso possono svolgere una funzione di incriminazione rispetto a condotte atipiche: risponde di concorso in rissa chi fornisce ad un gruppo di persone gli strumenti per la colluttazione. Nella maggior parte dei reati a concorso necessario tutti i concorrenti necessari sono puniti; ma non sempre è cosi—> l’art. 326 cp prevede la pena solo per il pubblico ufficiale che rivela notizie coperte da segreto d’ufficio e non anche chi ottiene le notizie (ad es il giornalista), a differenza del 361 cp che punisce sia chi rivela che chi ottiene notizia coperta da segreto di stato. Reati- accordo e reati associativi Ai sensi dell’art. 115 cp uno dei requisiti di struttura del concorso di persone è costituito dalla commissione di un reato, in quanto il mero accordo non è punibile (al massimo misura di sicurezza). Tuttavia, alcune fattispecie incriminano il semplice accordo in deroga all’art. 115 (che infatti dice: salvo che la legge disponga diversamente). E’ il caso del delitto di cospirazione politica mediante accordo—> due persone si accordano per commettere un delitto contro la personalità dello Stato (art. 304). Si tratta di una tecnica di anticipazione della tutela, in relazione al particolare valore del bene giuridico tutelato. Reati associativi—> il legislatore incrimina la costituzione di una struttura associativa finalizzata a commettere delitti : associazione per delinquere—> 3 o più persone (416 cp). Si tratta di reati a concorso necessario, in cui il legislatore incrimina il solo fatto di associarsi. E’ richiesta la presenza di un organizzazione idonea a perseguire il programma criminoso. Gli associati rispondono del reato associativo indipendentemente dalla commissione dei delitti- scopo—> anticipazione della tutela dei beni finali dei delitti scopo. Realizzazione dei delitti—> non ne rispondono tutti gli associati, ma solo coloro che abbiano dato contributo concorsuale alla commissione del delitto. Delicata la questione del contributo morale—> di cui rispondo gli associati che rivestono posizione di vertice (spetta al giudice accertare che chi riveste posizione di vertice abbia istigato alla commissione del reato). Concorso esterno—> estensione delle norme sul concorso anche alle condotte di chi, pur non integrando la condotta di partecipazione, abbia comunque dato un contributo alla vita dell’associazione. Il concorso esterno è una figura che fu estremamente dibattuta, specie in relazione all’art. 416-bis (Associazioni di tipo mafioso). Che ne è del magistrato, non affiliato all’associazione, che si rende disponibile nei confronti dei capi di questa ad aggiustare i processi nei quali siano coinvolti membri dell’associazione? Le Sezioni Unite della corte di Cassazione, con una sentenza del 1994 riconoscono l’ammissibilità del concorso esterno ;e con successive pronunce ne verranno affinati gli elementi costitutivi. 75 CAPITOLO XXV Concorso apparente di norme Reato unico o pluralità di reati: Il concorso di reati disciplina i casi in cui una persona realizza più reati con più condotte o con una sola condotta (tizio commette oggi un furto e domani una rapina, Tizio spara e colpisce due persone). Non sempre è agevole comprendere se la concreta situazione dia luogo ad una pluralità di reati, o ad un solo reato—> il che implica una duplice indagine: - bisogna guardare la struttura della singola fattispecie incriminatrice: talvolta ciò che appare naturalisticamente costituito da una pluralità di condotte è da considerare unitario da un punto di vista normativo (si tratta dei casi di unificazione normativa di condotte naturalisticamente plurime) - e effettuare un indagine sul rapporto tra norme: può accadere che la complessità della vicenda concreta sia riconducibile a più fattispecie, una sola delle quali trova applicazione nel caso specifico (concorso apparente). Unificazione normativa di condotte naturalisticamente plurime: in alcuni casi il fatto tipico descrive come condotta unitaria, una pluralità naturalistica di atti: è il caso dei reati abituali e delle norme a più fattispecie. - Reato abituale: il fatto richiede la reiterazione di una pluralità di azioni, agli effetti della la legge penale sono valutati come un unica condotta (art.572 cp, maltrattamenti in famiglia) . - Norme a più fattispecie: si tratta dei casi in cui il legislatore incrimina in modo alternativo una pluralità di condotte, chi contestualmente realizza più delle condotte descritte commette un solo reato (delitto di danneggiamento art. 635 cp punisce chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui). - Fattispecie a più norme: le condotte descritte integrano fattispecie distinte: è il caso dell’art. 73 del t.u stupefacenti che incrimina chi, senza autorizzazione “coltiva, produce, fabbrica, vende, offre o mette in vendita , cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri…. per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope”. Il dato normativo non chiarisce se si tratta di una norma a più fattispecie o di una fattispecie a più norme—> spetta all’interprete stabilire se le condotte costituiscono diverse manifestazioni esteriori di una sola situazione di fatto, oppure se si tratta di situazioni distinte. Un terzo caso riguarda la reiterazione di condotte di per se tipiche: - Tizio, infierisce tre coltellate su Caio. - Tizio , ferisce con un coltello Caio e Sempronio. - Mevio si impossessa dei beni di Sempronio entrando più volte nell’arco di breve tempo nel suo appartamento. - Mevio entra furtivamente nel deposito bagagli di una stazione ferroviaria e si impossessa con ripetute condotte di valigie lasciate da diversi viaggiatori. In queste ipotesi sussiste un solo reato o una pluralità di reati? Per rispondere è necessario capire se la condotta è unica o plurima. L’unità della condotta si comprende sulla base di due elementi: il primo è la contestualità temporale; condotte temporalmente distanti danno luogo a condotte diverse e a reati distinti. Il secondo elemento di unità della condotta è costituito dalla direzione offensiva della reiterazione delle condotte; devono essere volte ad offendere lo stesso bene giuridico. 1) La giurisprudenza—> ravvisa sempre la pluralità di reati in presenza di offese 76 a soggetti passivi differenti (nei casi 1 e 3 vi è un solo reato, nei casi 2 e 4 tante lesioni personali e tanti furti quanti sono i soggetti passivi). 2) La dottrina invece—> distingue in relazione alla natura del bene giuridico offeso: in presenza di beni personali (vita, integrità fisica), vi sono tanti reati quanti sono i soggetti passivi, se l’offesa invece è arrecata a beni non personali (patrimoniali), l’unita del contesto integra un solo reato. (secondo questo orientamento solo il caso 2 da luogo a due reati diversi). Nonostante la divergenza tra dottrina e giurisprudenza sul punto 4, la divergenza sul piano sanzionatorio sarebbe di poco conto: infatti in entrambi i casi troverebbero applicazione le regole del cumulo giuridico che consente al giudice di mitigare gli effetti che deriverebbero dal cumulo materiale delle pene per i singoli reati. Concorso apparente di norme: il concorso di reati non è escluso solo nei casi in cui vi è unificazione normativa di condotte naturalisticamente plurime, ma anche in presenza del concorso apparente di norme. Si ha concorso apparente di norme quando uno stesso fatto è apparentemente sussumibile in più norme, una sola delle quali trova applicazione nel caso concreto (in virtù del principio “ ne bis in idem”, un soggetto non può rispondere più volte dello stesso fatto.) Manca una disciplina legislativa esaustiva—> il concorso apparente è un istituto essenzialmente giurisprudenziale . La convergenza di più norme in relazione alla stessa condotta implica: alternativa tra concorso apparente di norme e concorso formale di reati. Fino al 1974 per altro il concorso formale era regolato dal cumulo materiale delle pene (sommatoria delle pene per i singoli reati), oggi invece la scelta tra l’uno e l’altro ha un impatto meno forte sul piano sanzionatorio. In nel caso di concorso formale si applica la pena prevista per il reato più grave aumentata sino al triplo (art. 81 cp) Per risolvere il concorso apparente tra norme—> criterio di specialità. ex art. 15 cp “ quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale, deroga quella generale”. Una norma è speciale rispetto ad un un altra quando, oltre agli elementi della norma generale presenta uno o più elementi specializzanti, in modo che, in assenza della norma speciale, i casi da essa disciplinati rientrerebbero nella norma generale. La specialità può essere: in astratto unilaterale, quando il raffronto viene fatto considerando gli elementi costitutivi di fattispecie, a prescindere dal fatto concreto. • per specificazione, l’elemento specializzante specifica un elemento della fattispecie generale. (rapporto che intercorre tra appropriazione indebita art. 646 cp e peculato art. 314 cp; il peculato presenta gli elementi specializzanti del soggetto attivo e dell’oggetto materiale della condotta). • per aggiunta: si aggiunge agli elementi costitutivi della fattispecie. (sequestro di persona art. 605 cp, e sequestro a scopo di estorsione art. 630 c.p., oppure rapina rispetto al furto; la rapina prevede l’uso di violenza o della minaccia). La norma speciale può essere assoggettata ad una sanzione più severa, ma anche ad una meno severa. La Cassazione, partendo dal presupposto che il principio di specialità presuppone una relazione logico-strutturale tra norme, intende la locuzione “stessa materia” di cui all’art. 15 cp come “settore, aspetto dell’attività umana che la legge interviene a disciplinare”. 77 1) cumulo materiale= si procede alla somma aritmetica delle pene che il giudice ritiene di applicare ai singoli reati. Rischia di essere eccessivamente gravoso 2) criterio dell’assorbimento= applicazione della pena prevista per il reato più grave che assorbe quella degli altri. Rischia di precostituire la non punibilità dei reati meno gravi (licenza a delinquere) 3) cumulo giuridico= applicazione della pena prevista dal reato più grave aumentata di una certa quantità. Concorso materiale: si ha concorso materiale quando una stessa persona commette più reati in relazione a più azioni. La materia è regolata dal codice agli art. 73,74,75 cp—> evidente qui il rigorismo sanzionatorio: si procede con il cumulo materiale delle pene, a cui si affiancano alcune regole che valgono sia nel caso in cui con una sola sentenza si debba pronunciare la condanna per più reati, sia nel caso di pene inflitte con sentenze diverse: a) in caso di concorso di più delitti puniti con l’ergastolo , si applica la pena dell’ergastolo con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni, se invece un delitto punito con l’ergastolo concorre con uno o più delitti che comportano pene detentive temporanee, si applica l’ergastolo con isolamento diurno per un periodo da due a diciotto mesi (art. 72 cp) b) quando concorrono più delitti, che prevedono la pena della reclusione non inferiore a 24 anni, si applica la pena dell’ergastolo (art. 73 c.2) c) se i reati in concorso importano pene detentive temporanee di specie diversa (reclusione, arresto), queste si applicano tutte indistintamente e per intero e l’arresto è eseguito per ultimo. d) per la determinazione delle pene accessorie si ha riguardo al singolo reato e alle pene principali a questo afflitte. (art. 77) e) sono previsti limiti massimi agli aumenti delle pene principali e delle pene accessorie per effetto del cumulo materiale. (art. 77 e 78). Art. 78 “Nel caso di concorso di reati preveduto dall’art. 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: trenta anni per la reclusione, sei anni per l’arresto, 15493 euro per la multa ovvero 3098 per l’ammenda (salva la possibilità di aumento del giudice)……” Concorso formale: ex art. 81 cp, quando con una sola azione o omissione si violano diverse disposizioni di legge (concorso formale eterogeneo—> es con un colpo di pistola uccido un soggetto e ne ferisco un altro= omicidio+ lesioni personali) ovvero si commettono più violazioni della medesima disposizione di legge (concorso formale omogeneo—> es. giornalista che pubblicando un articolo offende più persone = + diffamazioni). La riforma del 1974 ha esteso anche al concorso formale la disciplina sanzionatoria del cumulo giuridico prevista per il reato continuato: l’art. 81 cp prevede l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo. Reato continuato: art. 81 c.2 “chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”—> non si applica la disciplina del concorso materiale; la realizzazione in esecuzione del medesimo disegno criminoso giustifica la previsione del più favorevole regime del cumulo giuridico. Requisiti del reato continuato: 1) pluralità di reati realizzati con azioni distinte; non è necessario che i reati siano omogenei (più delitti di furto), in quanto in seguito alla riforma del 1974 possono anche essere 80 eterogenei (rapina e poi un furto, a cui segue omicidio). Sono esclusi dalla continuazione i reati colposi (la colpa è incompatibile con il requisito del disegno criminoso), e non sono imposto limiti temporali tra la realizzazione dei diversi episodi criminosi. 2) medesimo disegno criminoso: non basta che i reati abbiano il medesimo movente, è necessario il requisito finalistico, si guarda allo scopo cui sono rivolti i singoli reati. Caso di Tizio che, allo scopo di ereditare, falsifica il testamento olografo e uccide il testatore. Al requisito finalistico si affianca quello rappresentativo: è richiesta una rappresentazione, seppur in termini generici, dei reati che si andranno a realizzare. Una legge del 2006 ha riformato l’art. 671 cpp, e ha stabilito che “tra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza”. E’ discusso se la sentenza di condanna interrompa la continuazione, la pronuncia del giudice non comporta di per sé l’interruzione perché il nuovo reato può comunque rientrare nella progettazione iniziale. Nel reato continuato possono essere inclusi reati giudicati con sentenza passata in giudicato. Infine ci si domanda se il reato continuato dia alla luce un unico reato, o una pluralità di reati: in seguito alla riforma del 1974 che ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 81, è prevalso l’orientamento favorevole a considerare distinti i reati in continuazione, salvo che la legge preveda la loro considerazione unitaria. La Cassazione per altro ha fissato un criterio di ordine generale: “la considerazione unitaria del reato continuato è limitata agli effetti previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre per tutti gli altri effetti non indicati, la valutazione cumulativa può essere ammessa solo a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo”. Il regime sanzionatorio del concorso formale e del reato continuato Concorso formale e reato continuato sono assoggettati alla stessa disciplina sanzionatoria del cumulo giuridico: ex art. 81 si applica “la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino al triplo”. Qual’è il reato più grave? —> gravità in concreto: spetta al giudice individuare il reato più grave, sulla base dei criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133 cp, delle circostanze aggravanti e attenuanti e dell’eventuale giudizio di bilanciamento. Ampio potere discrezionale del giudice. Gravità in astratto—> quello per cui la legge prevede un trattamento sanzionatorio più severo a prescindere dalle specificità del caso concreto: i delitti sono più gravi delle contravvenzioni, nei reati della stessa specie la pena detentiva è più grave di quella pecuniaria; in presenza di pene solo detentive/pecuniarie sono più gravi quelle con un più elevato massimo edittale, a partita di massimo edittale è più grave quella con il minimo più elevato. Questo criterio limita la discrezionalità del giudice e assicura maggiore certezza, ma c’è il rischio che venga considerato più grave il reato che in concreto è meno grave. Quantificazione dell’aumento—> nel determinare il quantum di aumento il giudice ha un ampio potere discrezionale, perché l’art. 81 cp, consente un aumento sino al triplo. Limiti: la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile secondo il cumulo materiale (favor rei). Inoltre la legge 251/2005 ha aggravato la risposta sanzionatoria in caso di recidiva reiterata per cui per questi soggetti l’aumento della quantità di pena non può essere inferiore ad 1/3 della pena stabilita per il reato più grave. Cumulo giuridico e pene eterogenee: più complesso il computo della pena in caso di reati puniti con pene eterogee; l’aumento viene effettuato sulla pena più grave con la conseguenze che 81 ai reati-satellite viene applicata una pena diversa da quella prevista dalla norma incriminatrice. Il problema è quello di evitare che,l’applicazione del cumulo giuridico si traduca in un trattamento sfavorevole per il reo; è necessario distinguere il tipo di eterogeneità tra le pene: - in caso di pene di specie diversa (multa e ammenda, reclusione e arresto), l’applicazione dell’art. 81 si traduce sicuramente in una situazione più favorevole per il soggetto. - diversamente invece, in caso di pene di genere diverso (pene detentive e pecuniarie), il cumulo giuridico implicherebbe ad aumentare la pena detentiva, con un trattamento sfavorevole rispetto a quello che deriverebbe dal cumulo materiale delle pene. La giurisprudenza ha suggerito di avvalersi del cumulo giuridico per addizione: alla pena detentiva si aggiunge un quantum di pena pecuniaria, per tener conto del reato concorrente. CAPITOLO XXVII Funzioni della pena Nel diritto penale le sanzioni sono costituite dalle pene che consentono di identificare i fatti costituenti reato, nella prospettiva formalistica accolta dal nostro ordinamento. Le pene presentano un carattere afflittivo, ossia si traducono nella privazione o limitazione di diritti. La storia del diritto penale si caratterizza per l’estrema durezza ed afflittività delle pene, che si sono progressivamente attenuate nei secoli. Al carattere afflittivo, si aggiunge il loro personalismo: ex art. 27 cot. la responsabilità penale è personale. TEORIE SULLE FUNZIONI DELLA PENA: il dibattito sulle funzioni della pena non interessa solo i giuristi, ma anche filosofi, sociologi, teologi, nonché la discussione politica—> le funzioni assolte dalla sanzione penale sono diventate elementi utili per acquisire consenso elettorale. Si possono distinguere: le teorie assolute, per cui l’inflizione della sanzione a seguito della commissione di un reato si giustifica di per sé, per il solo fatto che il reato è stato commesso e che l’autore ne risulta responsabile (teorie retributive). Secondo le teorie relative invece, la pena si giustifica in relazione allo scopo di prevenire la commissione di reati, rivolgendosi ora alla generalità dei consociati (prevenzione generale), ora all’autore del reato affinché non commetta in futuro altri reati (prevenzione speciale). La teoria retributiva—> attribuisce alla pena la funzione di compensare la colpevolezza del reo. Questa teoria richiede l’equivalenza tra reato e pena; in ragione di ciò si ritiene che sia la razionalizzazione della vendetta privata e della legge del taglione. In realtà più che razionalizzazione, le teoria retributiva ne costituisce il superamento ; attribuendo ad un terzo la potestà punitiva. Questa teoria è stata oggetto di numerose critiche, in primis perché scopo dello Stato non è retribuire alcunché, ma assicurare le condizioni di esistenza e sviluppo della convivenza associata. In particolare la versione kantiana della retribuzione morale si basa sul presupposto illiberale della coincidenza tra diritto e morale e non si concilia con i compiti di uno stato di diritto improntato al principio di laicità. Dalla teoria retributiva devono però essere evidenziati due profili positivi: il divieto di strumentalizzazione dell’autore del reato ai fini di prevenzione della criminalità valorizza la dignità della persona umana, ma soprattuto il principio di proporzione tra pena e disvalore del fatto e colpevolezza del soggetto per il fatto, svolge una essenziale funzione di argine alle istanze preventive del potere statale (come affermato anche nella sentenza 364/1988). E’ possibile concludere che: escludendo la retribuzione come scopo della pena, ma salvaguardando il principio di proporzione quale connotato di garanzia della pena nel moderno Stato di diritto. 82 Diritti dell’uomo (sentenza Torreggiani) per trattamenti inumani e degradanti (in violazione dell’art. 3 Cedu), su ricorso di alcuni detenuti che avevano a disposizione meno di tre metri quadrati di superficie (mentre il Comitato per la prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa impone che ne abbiano almeno 4). Nel nostro ordinamento permane l’illusoria equazione “più carcere = più sicurezza”; smentito tuttavia dall’evidenza dei fatti. Basti pensare che il tasso di recidiva è più alto tra i detenuti che hanno scontato tutta la pena in carcere, rispetto ai condannati che hanno usufruito delle misure alternative alla detenzione. Nelle attuali condizioni, gli istituti penitenziari non sussistono le condizioni per attuare i programmi di riduzione, ed il carcere si rivela uno strumento criminogeni che appaga solo un senso immediato di sicurezza, destinato a svanire una volta terminata l’esecuzione della pena. L’amnistia potrebbe essere uno strumento in grado di riportare condizioni di vivibilità all’interno delle carceri—> nel rispetto dei diritti umani che vanno garantiti anche a chi è detenuto. La legge 31 luglio 2006 n 341 concesse l’indulto proprio per affrontare il sovraffollamento delle carceri, il n di detenuti era rientrato nei limiti di capienza, ma nel giro di qualche anno il problema si è ripresentato. Un ulteriore grave problema è L’INCERTEZZA DELLA PENA: causato in primis dall’ampio margine di discrezione di cui gode il giudice nel commisurare la pena, e in secondo luogo dall’introduzione e l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione (l. del 1975). Flessibilità del sistema sanzionatorio—> la non prevedibilità della pena in concreto applicata compromette l’efficacia general-preventiva della legislazione astratta. Conseguenza: irrigidimenti del sistema sanzionatorio attuati con le legge ex Cirielli con la l. 251/2005—> nei confronti dei recidivi reiterati. NECESSARIO RECUPERARE L’EFFICACIA DEL SISTEMA SANZIONATORIO, bilanciandola con la funzione rieducativa della pena: la riforma della parte generale del cp elaborata dalla commissione Pagliaro, Grosso, Nordio, e Pisapia ha ritenuto che: è necessario che il sistema penale sia meno “carcerocentrico”—>la pena detentiva deve essere l’extrema ratio di intervento; è necessario promuovere misure alternative alla detenzione, potenziando laddove possibile, l’esecuzione della pena presso il domicilio o altro luogo di privata dimora. Inoltre è doveroso ripensare allo stesso sistema delle pene principali che oggi sono : le pene detentive (ergastolo, reclusione e arresto) e quelle pecuniarie (multa e ammenda). Due proposte alternative: 1) introdurre come sanzioni principali, pene che oggi costituiscono solo pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione, sospensione o decadenza del titolo necessario per svolgere una professione..) 2) revisione della disciplina della sospensione condizionale della pena. Anche la pena pecuniaria non è efficace, in quanto ineffettiva. L. 14 aprile 2014 contenente la “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”—> depenalizzazione di alcuni reati e trasformazione di altri in illeciti civili, e introduzione di pene detentive non carcerarie. D. lgs 15 gennaio 2016 n.8 ha depenalizzato alcune fattispecie nominativamente individuate. Il legislatore ha espressamente escluso dalla depenalizzazione i seguenti ambiti: edilizia e urbanistica, ambiente, territorio e paesaggio, alimenti e bevande, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro , giochi d’azzardo , armi, proprietà industriale.. 85 Più forte è stato invece l’impatto del D.lgs 15 Gennaio 2016 n.7 che ha abrogato alcuni reati ( delitti di ingiuria e di falsità in scrittura privata), introducendo figure corrispondenti di illeciti con sanzioni pecuniarie civili. Sul versante delle pene detentive non carcerarie è intervenuta la l. 67/2017 che ha introdotto come pena principale per i delitti, accanto ad ergastolo e reclusione, la reclusione domiciliare. Oggi ci troviamo di fronte ad un sistema penale ipertrofico; si ricorre eccessivamente al diritto penale—> da ciò deriva l’aumento delle dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione, soprattutto perché il legislatore ha ridotto i termini di prescrizione di alcuni reati. CAPITOLO XXVIII Pene: il principio di legalità trova applicazione anche in relazione alle pene. La riserva di legge va intesa in senso assoluto , in quanto non è ammesso a fonti subordinate determinare il trattamento sanzionatorio. Il rispetto del principio di determinatezza non ammette pene non predeterminate legalmente nella durata massima. (E’ bene ricordare che le fattispecie di parte speciale nelle quali la legge non indica il minimo o il massimo vanno integrate con le norme di parte generale, che operano in caso di mancanza di altre indicazioni—> si tratta degli art. 23 cp e ss). L’art. 23 cp prevede che la reclusione va da 15 gg a 24 anni, la pena per il delitto di omicidio , per la quale l’art. 575 cp prevede la pena della reclusione non inferiore a 21 anni, non può eccedere i 24 anni di reclusione. Non si deve tuttavia ritenere che la determinatezza della pena sia da ricondurre alla previsione fissa della stessa: la Corte ha precisato che la scelta più conforme ai principi costituzionali è quella di individuare i limiti edittali minimi e massimi, lasciando al potere discrezionale del giudice la determinazione in concreto della pena. Infatti raramente il legislatore ricorre a pene fisse: negli art. 289-bis, e 630 bis. Si può giungere ad una declaratoria di incostituzionalità in relazione alla qualità e quantità di una pena, solo in presenza di due condizioni: la manifesta irragionevolezza per violazione dell’art. 3 e un riferimento al “tertium comparationis”. Questo perché le scelte di politica sanzionatoria spettano al legislatore. Il richiamo al tertium comparationis è presente nella sentenza che ha dichiarato l’illegittimità della pena prevista per il delitto di oltraggio nella sua formulazione originaria (art. 341 cp): nonostante la plurioffensività—> prestigio pubblico e buon andamento pubblica amministrazione, risulta manifestamente irragionevole il fatto che la pena minima (sei mesi) sia dodici volte superiore a quella allora prevista per il reato di ingiuria. Il secondo comma dell’art. 567 cp puniva con la reclusione da 5 a 15 anni l’alterazione dello stato civile di un neonato mediante false certificazioni o false attestazioni: la pena è sproporzionata per eccesso, anche nelle ipotesi in cui l’obiettivo sia quello di attribuire al neonato un legame familiare—> la manifesta sproporzione viene alla luce anche dal confronto con il comma 1 del medesimo articolo: alterazione di stato mediante sostituzione di neonato. Infatti, pur trattandosi di fattispecie diverse, sono omogenee dal punto di vista del bene giuridico. La Corte ha pertanto dichiarato l’illegittimità dell’art. 567 c. 2 nella parte in cui punisce con la pena della reclusione da 5 a 15 anni, anziché con la reclusione da 3 a 10 anni prevista per il fatto di cui al comma 1. L’abolizione della pena di morte : non presente nel codice Zanardelli, fu reintrodotta dalla l. 25 maggio 1926, in relazione ad alcuni reati di natura politica, al fine di neutralizzare gli avversari 86 al regime fascista. Verrà poi impiegata nel codice Rocco nei reati contro la personalità dello Stato, contro la persona e contro l’incolumità pubblica. Con la caduta del regime fascista si limitarono i casi in cui era prevista; fu abolita per tutti i reati previsti dal codice e fu mantenuta solo per i reati di collaborazione con i nazisti e i fascisti (1944). Con l’entrata in vigore della Costituzione fu limitata ulteriormente: art. 27c.4 Cost—> “non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari e di guerra”, successivamente la l. 13 ottobre 1994 ne santi in tutti i casi la sostituzione con l’ergastolo. Si trattava pero di una legge ordinaria, solo con la legge costituzionale 2 ottobre 2007 è stato riscritto l’art. 27 c.4 cost. : “ Non è ammessa la pena di morte.” In questo modo l’Italia si è adeguata alla maggior parte degli stati che non prevedono questa pena. Nel 2007 è stata approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la moratoria universale della pena di morte, finalizzata a farne sospendere l’applicazione a tutti i membri dell’Onu. Gli studi hanno dimostrato che la pena di morte non ha alcuna efficacia general-preventiva . Limiti del sistema carcero-centrico Sistema sanzionatorio adottato dal Codice Rocco era estremamente semplificato. Pene principali: quelle previste indefinibilmente per ciascun reato—> si distinguono le pene detentive (ergastolo, reclusione e arresto) da quelle pecuniarie (multa e ammenda); pene accessorie: sanzioni che non possono essere applicate isolatamente. L’art. 17 cp indica le pene principali per i delitti : appunto ergastolo, reclusione, arresto, multa e ammenda. I reati possono essere sanzionati: esclusivamente con pena detentiva, esclusivamente con pena pecuniaria, oppure con pena congiunta (pena detentiva e pena pecuniaria), o ancora con pena alternativa (pena detentiva o pena pecuniaria). Le uniche manifestazioni di flessibilità erano la sospensione condizionale della pena o della liberazione condizionale (solo dopo aver espiato parte della pena). Il sistema rimaneva sostanzialmente carcero-centrico; il Codice Rocco attribuiva alla pena funzione retributiva e deterrente; nessuno spazio era previsto per la rieducazione. Il “ Nuovo regolamento per gli Istituti di prevenzione e pena” del 1931 imponeva l’obbligo di lavoro per i detenuti e i contatti con l’ambiente esterno erano assai limitati (solo colloqui con familiari e con il difensore). A parte l’obbligo di lavoro erano previste solo attività di istruzione e religione. Con l’entrata in vigore della Costituzione, la funzione rieducativa della pena (art. 27 c.3) impone una riflessione sulle modalità di esecuzione della pena, e sulla centralità del carcere nel sistema sanzionatorio. Il carcere di per se non svolge una funzione rieducativa—> riforma dell’ordinamento penitenziario (l.26 luglio 1975 n 354) si muove in due direzioni: 1) discliplina dell’esecuzione della pena detentiva: i detenuti sono titolari di diritti, i il trattamento penitenziario si avvale del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e garantisce opportuni contatti con le famiglie e il mondo esterno . Importante valorizzare il lavoro e la formazione professionale all’interno del carcere (con la collaborazione di imprese) e all’esterno, avviando i detenuti presso imprese disposte ad assumerli (art. 20 e 21 ord. penit.) TUTTAVIA, la realtà è ben diversa: mancanza di spazi e di risorse. 87 accessorie per i delitti: interdizione dai pubblici uffici, interdizione da una professione o da un arte,interdizione legale, incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione , decadenza o sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori. pene accessorie per le contravvenzioni: sospensione dall’esercizio di una professione o di un arte, sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridici e delle imprese). Le pene accessorie si caratterizzano per un maggior automatismo: il ruolo discrezionale del giudice è ridotto, che è tenuto ad infliggere la pena accessoria in presenza di presupposti stabiliti dalla legge. Spesso il vincolo riguarda anche la loro durata. Ai sensi dell’art 37 cp “quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, in caso di conversione per insolvibilità del condannato”. L’efficacia preventiva delle pene accessorie è stata ridotta significativamente a seguito della riforma della sospensione condizionale della pena: originariamente si potevano sospendere le pene principali, non quelle accessorie, ma dal 1990 è stata estesa la sospensione anche alle pene accessorie. Le pene accessorie, in ipotesi di reato continuato, devono essere commisurate alla durata della pena principale con riferimento alla pena inflitta per la violazione più grave, e non sulla base della pena complessiva che tiene conto dell’aumento per la continuazione. Le pene accessorie non devono essere confuse con le sanzioni amministrative—> che a volte seguono il reato. es. sospensione della patente di guida per guida in stato di ebrezza: non trattandosi di una pena accessoria, questa sanzione non è sospesa in caso di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena Mentre nella commisurazione delle pene accessorie il potere discrezionale del giudice è ridotto, in relazione a quelle principali è più ampio. Ad eccezione dell’ergastolo e di alcune rare ipotesi di pena fissa (es art. 630) , le pene sono stabilite dal legislatore entro una cornice edittale nel minimo e nel massimo. Il giudice deve rispettare questi parametri, ed è tenuto a motivare le sentenze (anche se spesso la motivazione si traduce in un mero rinvio agli art. 132 e 133 cp). L’art. 133 cp individua due criteri di cui il giudice deve tener conto : 1) la gravità del reato, sulla base di: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo ; intensità del dolo o grado della colpa 2) la capacità a delinquere, sulla base di: motivi a delinquere e carattere del reo, precedenti penali, condotta contemporanea o susseguente al reato, condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. La capacità a delinquere va intesa in chiava prognostica “come possibilità che il soggetto compia altri reati”—->possibilità. Da non confondere con la pericolosità= probabilità che il soggetto commetta reati. La risposta sanzionatoria deve rispettare il criterio di proporzionalità rispetto alla gravità del fatto ed alla colpevolezza del soggetto per il fatto commesso. Dal punto di vista della funzione preventiva speciale, il giudice non potrà mai infliggere una pena superiore, ma solo una più bassa, se ciò risulta funzionale alla funzione rieducativa della pena. Commisurazione della pena pecuniaria: multa e ammenda sono commisurate sulla base dei criteri fissati dall’art. 133 cp (gravità del reato e capacità a delinquere) , nonché sulla base dell’art. 133 bis—> il giudice deve tener conto delle condizioni economiche del reo: il che 90 giustifica un aumento sino al triplo (per garantire efficacia) o una diminuzione fino ad 1/3 (se eccessivamente gravosa) della pena. Nel nostro ordinamento non viene impiegato il cd “sistema di commisurazione per tassi giornalieri” utilizzato invece in Germania e Spagna: questo sistema consiste nell’individuazione di una singola quota, proprio tenendo conto delle condizioni economiche del reo, che verrà poi moltiplicato per il numero di quote. Italia—> problema dell’evasione fiscale. Tuttavia il sistema di commisurazione per quote è impiegato: nella determinazione della pena pecuniaria quale sostituzione della pena detentiva breve, e nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato. Sanzioni sostitutive della pena detentiva: effetti negativi della pena detentiva breve—> apprendimento dei modelli delinquenziali. Le sanzioni sostitutive sono: 1) la pena pecuniaria: multa al posto della reclusione; ammenda al post dell’arresto. 2) la libertà controllata: il soggetto è libero ma deve rispettare una serie di limiti—> divieto di allontanarsi dal comune di residenza salvo autorizzazione, obbligo di andare almeno 1 volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza, divieto di detenere armi , munizioni ed esplosivi, sospensione della patente e ritiro del passaporto 3) la semidetenzione: obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno in carcere e divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi, sospensione della patente e ritiro del passaporto. La sostituzione viene effettuata dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza dei condotta a pena detentiva. La disciplina attuale, in seguito al 2003, ha ampliato i limiti di pena detentiva concretamente irrogata dal giudice: in caso di condanna fino a sei mesi (originariamente 1 mese) il giudice può procedere con una delle tre sanzioni sostitutive, in caso di condanna da sei mesi ad un anno (prima 3 mesi), il giudice può scegliere tra libertà controllata e semidetenzione, infine per condanne da 1 a 2 anni (6 mesi), può essere sostituita solo con la semidetenzione. In ragione degli aumenti ai limiti di sostituzione,oggi è improprio parlare di sanzioni sostitutive delle pene detentive “brevi”. Nel procedere alla sostituzione si utilizzano i criteri di ragguaglio: un giorno di pena detentiva equivale ad un giorno di semidetenzione, e a due di libertà controllata (art. 57 cp). Per la pena pecuniaria, originariamente si rinviava all’art. 135 cp; in seguito alla riforma del 2003 è stata introdotta una disciplina che richiama quella di commisurazione dei tassi giornalieri. Il giudice deve individuare il valore giornaliero a cui può essere assoggettato l’imputato sulla base della sua condizione economica e moltiplicarlo per i giorni di pena detentiva da sostituire. L’art. 59 preclude la sostituzione delle pene detentive brevi in taluni casi, sulla base della pericolosità del soggetto in ragione di precedenti condanne/applicazione di misure di sicurezza. Semidetenzione e libertà controllata sono considerate per ogni effetto giuridico come pena detentiva , mentre la pena pecuniaria si considera sempre come tale—> il che ha delle conseguenze in tema di revoca: in caso di inosservanza di una delle prescrizioni concernenti la semidetenzione e la libertà controllata, la restante parte della pena si converte nella pena detentiva sostituita; invece il mancato pagamento della pena pecuniaria determina l’applicazione delle regole generali: conversione in libertà controllata/lavoro sostitutivo. Le misure alternative alla detenzione—> volte a dar attuazione alla funzione rieducativa della pena, che difficilmente viene garantita all’interno degli istituti penitenziari. L’importanza delle misure alternative alla detenzione è duplice: in primis in relazione al sovraffollamento nelle carceri, e in secondo luogo da un punto di vista di prevenzione speciale positiva—> il tasso di recidiva dei soggetti che accedono alle misure alternative è più basso. Le misure alternative alla 91 detenzione sono di competenza della magistratura di sorveglianza ed intervengono nella fase di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva. Le misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario sono: l’affidamento in prova al servizio sociale, l’affidamento in prova in casi particolari, le semilibertà e le varie forme di detenzione domiciliare. Hanno soddisfatto l’esigenza deflativa a fronte del sovraffollamento delle carceri la legge Gozzini 1983 (che ha introdotto la misura della detenzione domiciliare) , e la legge Simeone-Saraceni 1998(che ha ampliato le possibilità di accesso alle misure alternative). Nella direzione opposta si sono invece mosse due riforme: la prima nel 1991, per mezzo della quale sono state introdotte forte limitazioni alla concessione dei benefici per gli autori di reati in materia di criminalità organizzata, e la secondo nel 2005—> la cd. Legge ex Cirielli ha introdotto limiti nell’accesso alle misure alternative alla detenzione nei confronti dei recidivi reiterati. La riforma del 2005 ha contribuito pesantemente all’aumento di dei numeri di detenuti. Tuttavia, nel 2013, in seguito alla condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza Torreggiani), sono stati rimossi alcuni automatismi nei confronti dei recidivi reiterati, nella concessione della detenzione domiciliare. Ordine di esecuzione delle pene detentive: per alcune misure è previsto che il soggetto trascorra un periodo in carcere; ma in altri casi e in particolare quando la condanna rientra nei limiti di pena previsti per la concessione di una misura alternativa, il passaggio in carcere può essere evitato. Sul punto è intervenuta la disciplina dell’ordine di esecuzione delle pene detentive (art. 656 cpp). Se sussistono i presupposti per concedere le misure dell’affidamento in prova (art. 47 ord. pen), dell’affidamento in prova in casi particolari (art. 94 tu stupefacenti), della detenzione domiciliare (art. 47-ter ord pen) o della semilibertà, il pubblico ministero , se la pena detentiva non è superiore a tre anni, ne sospende l’esecuzione, notificando al condannato che entro 30 giorni può essere presentata un istanza volta ad ottenere la concessione di una delle misure indicate. Con particolare riguardo agli stranieri irregolari, l’art. 16 tu prevede l’espulsione come misura alternativa, quando debbano scontare una pena, non superiore a due anni. CAPITOLO XXIX Distinzione tra cause di estinzione del reato e cause di estinzione della pena: le prime escludono la punibilità in astratto e operano anticipatamente rispetto alla pronuncia della sentenza di condanna, le seconde invece escludono la punibilità in concreto e presuppongono la sentenza di condanna. Un altra parte della dottrina individua un altro criterio di distinzione, che consiste nella diversa ampiezza degli effetti estintivi—> Più intensi per le cause di estinzione del reato, meno per quelli della pena. Le cause di estinzioni possono essere generali (parte generale cp), o speciali—> (applicabili ad uno o più reati di parte speciale: es. art. 556 cp Bigamia); condizionate (amnistia, oblazione) o incondizionate (morte del reo); legate ad accadimenti naturali (precrizione) o volontà di soggetti terzi /del soggetto passivo (provvedimenti di clemenza/oblazione). Ai sensi dell’art. 182 cp le cause di estinzione del reato e della pena hanno un efficacia personale e operano solo nei confronti della persona a cui si riferiscono, salvo che la legge non disponga diversamente. L’art. 183 cp prevede che: “nel caso di concorso di una causa che estingue il reato, con una causa che estingue la pena, prevale la causa che estingue il reato. Quando intervengono in tempi diversi più cause di estinzione del reato o della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena, e quelle successive fanno cessare gli effetti che non siano ancora estinti in conseguenza della causa antecedente. Se più cause intervengono 92 condizionale ordinaria : la pena detentiva non deve essere superiore ai due anni , tre anni per i minori degli anni 18, 2 anni e 6 mesi per persone di età compresa tra 18 e 21 anni. Il soggetto non deve essere delinquente o contravventore abituale o professionale. La sospensione non deve essere già stata applicata in precedenza, a meno che la pena da infliggere con la nuova condanna, sommata a quella precedentemente irrogata non superi i limiti sopra menzionati. Inoltre, il giudice deve ritenere che il colpevole si asterrà dal compiere ulteriori reati (prognosi di non recidiva). Il codice penale prevede che la sospensione condizionale possa essere corredata da obblighi (art. 165 cp)—> restituzioni, risarcimento del danno, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; svolgimento di attività non retribuite a favore della collettività. Con la concessione della sospensione condizionale si apre un periodo di prova (di regola 5 anni) che si conclude con la declaratoria di estinzione del reato (art. 167 cp) oppure con la revoca (art.168 cp)—> la sospensione è revocata quando: viene commesso un nuovo reato; condanna per un delitto commesso anteriormente che prevede una pena che, sommata a quella sospesa supera i limiti indicati; oppure nell’ipotesi in cui gli obblighi imposti non siano stati adempiuti. Sospensione condizionale speciale: dal 2004—> l’art. 163 ultimo comma prevede che, se la condanna non è superiore ad un anno e vi è stata condanna riparatori, il giudice sospende l’esecuzione del reato per un periodo più breve: 1 anno, e non 5. - Sospensione del procedimento con messa alla prova: nel 2004, il legislatore ha inserito una nuova causa estintiva ad efficacia differita (art. 168-bis) . Questo istituto interviene durante il procedimento, a richiesta dell’imputato. Condizioni per l’ammissione della sospensione condizionale del procedimento: natura non grave del reato, deve trattarsi di reato punito con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni o con pena pecuniaria , non aver già fruito della sospensione, non essere delinquente abituale, professionale o per tendenza. Questo istituto comporta: la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivate dal reato, e se possibile il risarcimento del danno; l’affidamento in prova al servizio sociale con attività di volontariato, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità non retribuito. Solo all’esito del corretto svolgimento della prova il reato viene dichiarato estinto. Cause di estinzione della pena: morte dopo la sentenza di condanna, l’indulto, la grazia , la non menzione nel casellario giudiziario, la liberazione condizionale, la riabilitazione. A differenza delle cause di estinzione del reato, le cause di estinzione della pena intervengono quando la vicenda processuale si è conclusa, ed è in corso l’esecuzione della pena. 1) La morte del reo successiva al passaggio in giudicato della condanna: l’art. 171 cp prevede che “ la morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue la pena”; non è pensabile un trasferimento dell’esecuzione ad altri soggetti che non hanno commesso il reato. Lo stesso vale per le pene pecuniarie (la responsabilità penale è personale). Tuttavia, l’estinzione della pena non importa l’estinzione delle obbligazioni civili nascenti dal reato. 2) Prescrizione della pena: regole distinte per delitti e contravvenzioni: art. 172 (reclusione e multa) e 173 cp (arresto e ammenda). L’ergastolo è invece pena imprescrittibile. Ex art. 172 la reclusione si estingue dopo un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta (in ogni caso il periodo prescrizionale non può essere superiore ai 30 anni, né inferiore a 10). La multa si estingue dopo 10 anni. Ex art. 173 cp arresto e ammenda si prescrivono dopo 5 anni. I recidivi e i delinquenti abituali sono esclusi dalla prescrizione 95 delle pene previste per i delitti, mentre per le contravvenzioni il termine è raddoppiato (dieci anni). 3) L’indulto: consiste nel condono totale o parziale di una pena principale. La concessione avviene con una legge che deve essere approvata dalla maggioranza qualificata (due terzi di ciascuna camera) stabilita dall’art 79 Cost. L’art. 174 cp, rinvia agli ultimi tre capoversi dell’art. 151 cp concernente l’amnistia: l’estinzione del reato per effetto di indulto è limitato ai reati commessi il giorno prima del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa (comunque sempre precedente, mai successiva—> altrimenti violazione dell’art. 79 c. 3—> l’amnistia e indulto non possono applicarsi a reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge); così come l’amnistia, anche l’indulto può essere sottoposto a condizioni o obblighi, e non si applica a recidivi e delinquenti qualificati. L’indulto non estingue le pene accessorie, salvo che la legge disponga diversamente. 4) Grazia: si differenzia da amnistia e indulto per il carattere personale. Tale istituto è di competenza del Capo dello Stato ax art. 87 Cost. Presupposto per la concessione della grazia è una sentenza irrevocabile di condanna: ai sensi dell’art. 174 cp condona in tutto o in parte la pena principale, o la commuta in una pena di diversa specie. Può essere sottoposta a condizione e, a discrezione del Presidente delle Repubblica, può estendersi anche alle pene accessorie. (Impiegato raramente). 5) La riabilitazione: ex art. 178 cp, estingue soltanto le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna. La riabilitazione può intervenire quando sono trascorsi almeno tre anni dal giorno in cui il condannato ha finito di scontare la pena principale (8 anni per i recidivi o delinquenti abituali e professionali). Al fine della riabilitazione il condannato deve aver dato prove effettive e costanti di buon condotta. 6) La non menzione nel certificato del casellario del giudice: il giudice può ordinare la non menzione del caso di prima condanna a pena detentiva non superiore a due anni o a pena pecuniaria non superiore a 516 euro (art. 175 cp). Il comma 2 aggiunge la possibilità di non menzione nel caso in cui “ venga inflitta congiuntamente una pena detentiva non superiore a due anni , e una pena pecuniaria che, ragguagliata e cumulata a quella detentiva, priverebbe il condannato della libertà per un tempo non superiore a trenta mesi.” 7) Infine, sono cause di estinzione della pena anche la positiva conclusione della liberazione condizionale, e l’esito positivo dell affidamento in prova al servizio sociale. CAPITOLO XXX Misure di sicurezza: Il nostro codice penale prevede un sistema sanzionatorio a doppio binario, in quanto alle pene si affiancano le misure di sicurezza. Grazie alle misure di sicurezza anche i soggetti non imputabili entrano nel sistema sanzionatorio penale (nel codice Zanardelli invece erano previste esclusivamente le pene per i soggetti imputabili). Il codice Rocco distingue le seguenti situazioni: - soggetti imputabili non pericolosi—> solo pena - soggetti non imputabili pericolosi—> solo misura di sicurezza - soggetti imputabili pericolosi—> pena e misura di sicurezza - soggetti semi-imputabili pericolosi—> pena e misura di sicurezza. Il sistema a doppio binario è particolarmente severo nei confronti dei soggetti imputabili e semi- imputabili pericolosi, perché prevede una risposta sanzionatoria aggravata: alla pena, viene 96 affiancata una misura di sicurezza che svolge una funzione di controllo preventivo della pericolosità sociale del soggetto—> la cui durata è indeterminata. Il codice Rocco è aggravato ulteriormente da alcuni elementi: 1) la presunzione di pericolosità sociale: in alcuni casi le misure di sicurezza si applicano a prescindere dall’accertamento in concreto della pericolosità sociale dell’autore 2) la durata minima delle misure di sicurezza: che varia in base alla gravità del reato commesso e del destinatario della stessa 3) il rapporto tra pene e misure di sicurezza: il periodo trascorso in esecuzione di una delle due sanzioni non viene computato agli effetti dell’altra. Le misure di sicurezza hanno natura penale, in quanto sono strumenti di reazione alla commissione di un reato e sono applicate dal giudice penale. L’art. 25 Cost. prevede che “ nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza, se non nei casi previsti dalla legge”—> estensione del principio di legalità alle misure di sicurezza. Le funzioni svolte dalle pene, quelle svolte invece dalle misure di sicurezza sono diverse: le prime svolgono una funzione retributivo-punitva e deterrente, mentre le seconde assolvono uno scopo di difesa sociale; ossia di tutela della collettività dal rischio di recidiva del soggetto. Con l’entrata in vigore della Cost. imprescindibile è la funzione rieducativa della pena, riferibile anche alle misure di sicurezza: e tutti coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza è garantito il rispetto della dignità umana (art. 2 cost); per ciò ,” le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare un danno, anzi che vantaggio, alla salute del soggetto”—> così si è espressa la corte costituzionale a proposito delle misure di sicurezza imposte ad un malato di mente. Il principio di legalità in relazione alle misure di sicurezza: previsto dall’art. 199 cp “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge”, nonché dall’art. 25 Cost. “ nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. —> principio di tassatività e divieto di analogia. Di più difficile attuazione è il principio di determinatezza: visto il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto che sta alla base dell’applicazione delle misure di sicurezza, e della loro durata non determinata—> incertezza. Successioni di leggi penali nel tempo: disciplina si discosta da quella vista per le pene. Mentre per queste ultime vige il principio di irretroattività, salvo l’effetto retroattivo della legge penale più favorevole (art. 2 cp). Ai sensi dell’art. 200 cp le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, ma se dal tempo dell’applicazione della misura, a quella della sua effettiva esecuzione la legge muta, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione. La diversità di disciplina della successione di leggi penali nel tempo è da ricondurre alla diversità di funzioni svolte dalle medesime: le pene hanno carattere afflittivo e deterrente , e il principio di irretroattività opera per garantire ai consociati la possibilità di conoscere anticipatamente le conseguenze delle proprie azioni; le misure di sicurezza sono invece mezzi di prevenzione della pericolosità attuale dell’autore, e per ciò sono regolate sulla base della disciplina, anche successiva al fatto, che risulta più efficace nella prevenzione del rischio di nuovi reati. Le misure di sicurezza personali, possono essere: detentive: - assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro per i delinquenti abituali, professionali e per tendenza (art. 216 cp) 97
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