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Manuale di geografia, Sintesi del corso di Geografia

Riassunto di "Manuale di geografia" di De Vecchis e Boria.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 29/11/2022

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Scarica Manuale di geografia e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! Manuale di Geografia 1. Alla scoperta del sapere geografico La geografia, come disciplina oltrepassa il puro nozionismo, il quale fa parlare i media d’ignoranza geografica diffusa. Più grave però è l’incapacità di molti di avvalersi di molte competenze e abilità che la geografia può offrire: organizzare mentalmente e interpretare lo spazio in cui si vive; collocare in modo consapevole i fatti nelle loro reali dimensioni territoriali e nelle loro reciproche relazioni. Le nozioni quindi non costituiscono per la geografia un traguardo, ma mezzi per raggiungere specifici obiettivi di indagine. Esse organizzano gli elementi comunicativi di base per riferirsi alle relazioni che individui e società intrattengono con lo spazio-ambiente terrestre. In estrema sintesi possiamo definire la geografia come la scienza che studia i processi di antropizzazione del Pianeta, ovvero i rapporti che, nello spazio e nel tempo, associano tra loro esseri umani, comunità, popoli e culture. L’accelerazione dei cambiamenti fisici e biologici costituisce un’evoluzione che risulta sempre meno sostenibile, reclama un’inversione di rotta perché ha portato il Pianeta a un punto di forte criticità. Oggetto e finalità della geografia hanno ricevuto interpretazioni varie e differenziate nel corso dei secoli, per cui risulta quasi impossibile il tentativo di tratteggiarne in sintesi i percorsi. La cognizione del mondo, però, ha coinvolto nel tempo oltre alla scienza e agli studi filosofici anche tante espressioni dell’essere umano (miti e religione). Miti cosmogonici erano utilizzati per spiegare la formazione dell’universo, e in particolare la posizione della terra nello spazio cosmico, la distanza tra gli astri e la Terra, il corso regolare del Sole, l’alternanza delle stagioni ecc… Lo stesso vocabolo geografia si accosta alla geometria, all’astronomia e alla filosofia. Tra i pensatori presocratici si ricorda Anassimandro, autore della prima interpretazione grafica delle regioni abitate dalla Terra, concepita come un disco circondato dalle acque dell’Oceano, al cui interno la superficie terrestre è rappresentata. Qualche anno dopo Eratostene assertore della sfericità della Terra, è il primo ad utilizzare il termine ‘geografia’, intitolando la sua opera così. Altri due scritti riportano il vocabolo geografia: l’opera di Strabone di Amasea e quella di Claudio Tolomeo. Nella prima Strabone scrive che la geografia è materia da filosofo. In quella scritta da Tolomeo intorno al 160 d.C., l’autore tratta delle definizioni e differenze tra geografia e corografia, delle misure delle Terra e delle proiezioni, ma contiene anche lunghi elenchi di località, dandone le coordinate geografiche. Si devono in gran parte a lui le basi della cartografia scientifica. La geografia nel Medioevo scompare e i suoi saperi sono diluiti nella cosmografia. Lo stesso impulso verso la spiritualità comporta una scarsa attenzione nei confronti di ciò che il mondo rappresenta, con effetti negativi per la geografia: collocata fuori dal tempo e privata del collegamento con la realtà. Decade in particolar modo la geografia matematica. Nel Quattro - Cinquecento sono soprattutto le grandi scoperte geografiche che stimolano gli studiosi ad affrontare nuovi problemi alla ricerca di soluzioni utili per agevolare viaggi ed esplorazioni. L’opera cartografica di Tolomeo ritorna in auge già dal XV secolo, proprio per il suo proficuo impiego nella navigazione. Tra i molti studiosi del tempo si possono ricordare l’inglese Francis Bacon, Galileo Galilei e Cartesio. In questo ambiente il metodo sperimentale è usato per individuare leggi e segreti dell’ambienti. Verso la fine del Settecento gli studi geografici fanno registrare un progresso, che ha fulcro in Germania. Ricordiamo Herder e Kant. Quest’ultimo rappresenta lo spartiacque tra antica e moderna geografia scientifica. Alla disciplina dona un’opera monumentale in sei libri e un insegnamento quarantennale all’università di Kalinigrad. Poco dopo, e sempre in Germania, nascono Humboldt e Ritter i più noti geografi della prima metà dell’ottocento, accomunati per lo studio delle relazioni tra ambiente fisico e attività antropiche. Humboldt compie tra il 1799 e il1804 un lungo viaggio in America centrale e meridionale. In Kosmos, la sua principale opera in cinque volumi, dedicata alla descrizione fisica della Terra e all’influenza disposizione dei continenti sul clima, sulla diffusione delle piante, sull’andamento delle correnti marine. Ritter è discepolo di Herder: per lui la Terra è indipendente dall’Uomo e il rapporto umanità e natura è definibile come antropocentrismo guidato da un ordine divino. Nel 1830 comincia a diffondersi il Positivismo con Comte. Il nuovo quadro di riferimento è costituito da una concezione meccanicista, con il mondo diviso in quattro entità: spazio, tempo, materia e movimento. Le leggi della meccanica sarebbero in grado di offrire la spiegazione di ciascun fenomeno. Tale principio rimanda a un sistema di leggi universali per cui in natura avviene tutto secondo relazioni di causa ed effetto. Darwin dimostra l’evoluzione graduale e l’auto differenziazione delle specie mediante delle forze selettive: ereditarie ed ambientali. In questo contesto emerge Ratzel. Il determinismo di Ratzel non è di tipo meccanicistico, l’ambiente naturale risulta decisivo rispetto a caratteri, comportamenti ed azioni dell’uomo. L’opera di Vidal de la Blache e Brunhes produce negli studi un ridimensionamento dell’influenza ambientale sull’uomo. Un allievo di Vidal, Febvre definisce il possibilismo geografico come la posizione di non dipendenza assoluta delle scelte dell’uomo nei confronti della natura. Secondo tale chiave di lettura, i rapporti tra società e ambiente non sono univoci, in quanto quest’ultimo produrrebbe opportunità tra cui scegliere e non condizioni inderogabili e determinanti. Dopo il secondo conflitto mondiale la geografia attraversa un periodo di crisi, che la costringe ad adottare metodologie diverse. Un filone di studio analizza il pensiero marxiano, riconsiderandolo attraverso le relazioni. Ma è nell’innovamento dell’impianto scientifico che si diffonde una nuova geografia. Il nuovo approccio, prende ia negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nei paesi scandinavi e utilizza il ragionamento deduttivo piuttosto che induttivo tradizionale, intende circoscrivere i fatti geografici entro misurazione espressa in termini quantitativi, ricercando leggi generali. La geografia però non può conformarsi ai paradigmi delle scienze analitiche perché in questa maniera lo spazio degli esseri umani si ridurrebbe ad un insieme circoscritto di cose e di relazioni fisse che annullerebbero la variabilità umana. Sono state introdotte tuttavia tecniche di rilevazione con calcolo statistiche, con risultati positivi nella cartografia tematica computerizzata e i Sistemi Informativi Geografici (GIS) che hanno aperto strade interdisciplinari. Negli ultimi decenni nel Novecento s’impone la questione ambientale. La ricerca geografica avvia studi e analisi sugli ecosistemi e sul cambiamento globale. L’indirizzo ecologista della geografia si allaccia alla teoria del sistema generale ricollegandosi allo sviluppo sostenibile. La geografia della percezione da attenzione allo spazio vissuto, amplia gli schemi del rapporto tra società e ambiente puntando sul mondo osservato dagli esseri umani. 2. Tempo e spazio: misure e rappresentazioni 1. Tempo e spazio Ogni esperienza sulla terra si svolge necessariamente nelle due universali categorie del tempo e dello spazio, collegate da concetti geografici di mobilità e velocità. Le varie forme di movimento costituiscono parte integrante della storia dell’umanità nello spazio terrestre dal momento che le stesse trasformazioni dello spazio naturale a volte lente e graduali, a volte veloci e improvvise, hanno sempre contraddistinto il cammino delle generazioni sulla Terra. Lo spazio antropico è quindi sito e testimonianza della storia delle società che nel tempo lo hanno configurato. La geografia non può prescindere dal tempo, dato che attraverso questa essa trae capacità di leggere e interpretare molti fenomeni. Le tre determinazioni del tempo vanno integrate per un’analisi efficace: l’ambiente plasmato nel passato, attuale scenario in cui agisce, costituisce materia essenziale per proiezioni in un tempo che verrà. Non è proponibile quindi una geografia nell’immobilità e nella staticità, legata a nozioni e nomi. Essa è una disciplina crono spaziale. Si aggiunga che grazie alla costruzione di una rete informatica globale è ora possibile trasmettere notizie ovunque e in tempo reale con riscontri immediati nel modo stesso di agire nello spazio. 2. La Terra: le forme e le dimensioni Lo spazio locale, quello del riferimento quotidiano, già in tempi lontani era marginale e si guardava a spazi più estesi, riguardanti Terra, Sole e Luna e sfera celeste nel suo insieme. Oggi le moderne tecniche di misurazione e calcolo mostrano con evidenza la vera conformazione della Terra. Si ricorda Eratostene che misurò con precisione la lunghezza della circonferenza terrestre: 39.375 km invece dei 40.077 km oggi accertati, quindi con uno scarto minimo di 700km. La terra presenta un leggero schiacciamento ai poli quindi si avvicina ad un ellissoide di rotazione ottenuto dalla rotazione di una semiellisse intorno al suo asse minore, coincidente con l’asse terrestre. Questo solido (ellissoide internazionale) non si discosta molto da un altro determinato da una linea correlata alla differente distribuzione delle masse all’interno della Terra (geoide) dove la superficie è perpendicolare in ogni suo punto alla direzione della forza di gravità e corrisponde al livello marino medio. carte come queste a grande scala raffigurano idrografia, vegetazione vie di comunicazione L’Italia ha scala 1:25000 ed è composta da 3545 elementi denominati tavolette. I maggiori problemi con la carta si hanno in quanto una superficie curva come la terra non può essere riprodotta fedelmente al piano senza deformazione; le numerose violazioni al principio di riduzione; la forma degli oggetti che inevitabilmente varia con la scala. 9. Il simbolismo Una carta geografica è quindi, approssimata, ridotta e simbolica. Quest’ultimo requisito si deve a utilizzo di segni convenzionali (simboli) che sono riportati e spiegati in una legenda presente in ogni carta geografica per agevolarne la lettura. I simboli possono essere di vario tipo: puntiformi, lineari, areali, ideografici e figurati. Di grande utilità sono anche i colori e i diversi tratteggi: ma non mancano i numeri o i toponimi o nomi di luogo assenti solo in carte con fine didattico. In passato un sistema molto semplice utilizzava il disegno, utilizzando nelle aree rilevate la figura prospettica del profilo con ombreggiature sul lato destro (mucchi di talpa). Si sono poi utilizzate tecniche diverse poi superate dalle isoipse o curve di livello: linee che congiungono tutti i punti con eguale altitudine sul livello del mare. Le curve di livello subacquee sono denominate isobate. 10. Atlanti e classificazione carte geografiche L’atlante è una raccolta sistematica e organica delle carte geografiche a scala piccola o media, utilizzata per lo studio e la consultazione. Il primo vero atlante moderno è stato fatto nel 1570 da Abramo Ortelio ed è il Theatrum Orbis Terrarum oppure nel 1595 Kremer ha usato per la prima volta il termine ‘Atlante? Da personaggio mitologico al quale era imposto il compito di sorreggere il cielo. Gli atlanti di maggior impiego vanno da quelli scolastici, a quello nazionale (dettagliato di un singolo Stato) a quello internazionale (comprendente carte della Terra e delle singole regioni) a quello telematico (rivolto ad uno specifico tema: agricoltura, industria ecc…). Tanti sono i tipi di atlante in funzione delle carte geografiche in essi contenute che si distinguono per finalità e contenuto: generali (fisiche, politiche, fisico-politiche), speciali come ad esempio carte nautiche o geologiche che informano su natura ed età delle rocce, tematiche. 11. Telerilevamento e GIS Negli ultimi tempi la cartografia si è sviluppata in maniera straordinaria grazie all’informatica e al telerilevamento (rilevamento a distanza) attraverso cui è possibile acquisire, elaborare, registrare e intraprendere informazioni riguardante le proprietà spaziali di una superficie lontana. Di fondamentale importanza in questo ambito sono stati i satelliti artificiali: i primi Mercury e Gemini. I dati vengono corretti e resi disponibili per l’analisi sia sotto forma di fotografia sia di numeri su nastri magnetici leggibili da calcolatori elettronici. Il telerilevamento diventa così strumento essenziale per una gestione razionale delle risorse ambientali del Pianeta. L’utilità delle immagini dello spazio è molto evidente riguardo agli aspetti geomorfologici in chiave temporale come il cambiamento delle stagioni o le trasformazioni antropiche. In questa prospettiva operano sempre di più i visualizzatori di immagini dall’alto (Google Maps, Google Earth, Bing). Potenti capacità di innovazione si possono riscontrare nei Sistemi Informativi Geografici (GIS) che perettono di organizzare e gestire database (mole molto alta di dati) con l’obiettivo di realizzare cartografia digitale ed elaborati tridimensionali. 3. Litosfera: le fondamenta dell’abitare 1. I tempi della terra Il Pianeta si muove e si comporta come un insieme in cui le varie sfere sono interagenti tra loro e con l’ambiente naturale. le scienze della terra e quelle biologiche offrono un contributo imprescindibile per la comprensione geografica delle relazioni tra gruppi umani e Pianeta. La storia della terra è iniziata otre quattro miliardi e mezzo di anni fa: un tempo diviso in diverse unità, le più lunghe sono quattro archi temporali e sono detti eoni (Azoioco, Archeozoico, Proterozoico, Fanerozoico (da 541 milioni di anni fa ad oggi). Quest’ultimo il più corto dei quattro è suddiviso in ere, ciascuna delle quali divise in periodi, comprendenti più epoche, a loro volta ripartite in età. Questa ripartizione si basa soprattutto sulle tracce impresse sule rocce. Le tre ere geologiche del Fanerzoico sono: Paleozoica, Mesozoica, Cenozoica. Il quaternario è il periodo finale dell’epoca Cenozoica mentre l’Olocene è ultima epoca del Quaternario. L’Antropocene, secondo alcuni studiosi, definirebbe la conclusione dell’Olocene e l’ingresso in quest’epoca in cui l’ambiente risulta fortemente alterato per l’impatto antropico. 2. Formazione e struttura delle rocce Le rocce molto antiche possono contenere minerali di ferro, manganese, nichel, rame, metalli preziosi diversamente dalle rocce più giovani carenti di minerali. Scarsi giacimenti minerari presenti in Itala, la cui storia geologica risale ad appena 250 milioni di anni fa. Due aree importanti si trovano in Toscana con le Colline Metallifere, il Monte Amiata e i giacimenti dell’sola d’Elba. Nella formazione delle rocce della crosta terrestre si distinguono tre processi, costituenti un unico ciclo litogenetico: magmatico, le rocce magmatiche prodottesi in seguito al raffreddamento e al consolidamento del magma possono essere di due tipi intrusive(granite), dove il raffreddamento avviene all’interno e con lentezza che permette la completa cristallizzazione di un magma e la formazione di rocce olocristalline; estrusive dove il raffreddamento avviene in superficie in tempo rapido(basalto). A differenza delle magmatiche, le rocce sedimentarie si originano in seguito alle trasformazioni che in tempi lunghissimi avvengono sulla superficie o fondi marini. Rappresentano solo il 5% della crosta terrestre. All’interno si trovano spesso fossili e si suddividono in: clastiche (argille e arenarie) sono prodotte dal deposito e dall’accumulo di detriti successivamente compattati; le organogene accumulo di materiali derivati da organismi viventi (conchiglie, gusci ecc..); chimiche (calcare o gesso). Le rocce metamorfiche derivano da altre rocce che si trasformano completamente per incrementi enormi di temperatura e/o di pressione. Il metamorfismo regionale interessa un piccolo numero di rocce, quello regionale aree più estese. Sin dall’antichità le rocce hanno trovato ampia fortuna come materiale edilizio. Il tufo e il travertino. Pavimentazione stradale. 3. Struttura interna della Terra e tettonica delle placche Ad un primo nucleo interno solido, al centro del Pianeta, segue un esterno fluido, per un totale complessivo di 3470km composto da ferro puro con un5% di nichel; l’involucro successivo, il mantello è composto da silicio, magnesio e ferro e misura 2900 km. Completa la struttura la crosta terrestre con uno spessore di 5-70km. Essa insieme alla parte più esterna del mantello formano la litosfera. Secondo la deriva dei continenti, ipotizzata da Wegener, circa 200 milioni di anni fa un unico continente, Pangea circondato da un unico oceano Pantalassa, avrebbe avuto inizio la mobilità e la frammentazione delle masse fino ad oggi. Soltanto verso la fine degli anni Sessanta, alcuni studiosi hanno capito le cause della deriva dei continenti, nonché la spiegazione della distribuzione di terremoti, vulcani e catene montuose: tettonica delle placche. Per una spiegazione bisogna sapere che La litosfera incontra l’astenosfera, interessata da correnti convettive. Le correnti ascensionali si originano da queste correnti, e spingono verso l’alto materiale molto caldo e solido che fonde in parte e produce magma. Questo trabocca in corrispondenza di dorsali oceaniche, formando margini costruttivi o divergenti. Da qui si crea nuova crosta terrestre dal raffreddamento del magma fuoriuscito. L’Islanda fa parte di due placche: nordamericana e eurasiatica. Le placche della litosfera sono in continuo movimento si scontrano, si spingono. In alcuni casi due placche convergenti (zona di subduzione) una delle placche può sprofondare così da creare fosse oceaniche che costituiscono margini convergenti o distruttivi perché lo scontro di due placche genera forti pressioni che deformano la litosfera. Nella collisione tra placche possono formarsi catene montuose (orogenesi). I margini in cui non avviene costruzione (divergenti) o distruzione (convergenti) sono definiti conservativi. 4. Le morfostrutture È proprio dai movimenti delle placche che scaturiscono le forze endogene in grado di generare diverse forme del terreno come catene montuose, le dorsali oceaniche, la presenza di vulcani e sismicità di territori; e le forze esogene(esterne) attivate da fenomeni legati all’atmosfera, all’idrosfera e alla biosfera. Le morfostrutture (ovvero l’insieme delle forme dovute alla combinazione di forze esogene ed endogene) possono essere di tre tipi: convesse ovvero le catene montuose più o meno elevate con tutti i termini impiegati per la descrizione vetta, versante, passo; concave dipese dall’erosione delle rocce e dalla trasportazione dei detriti verso il basso per la forza di gravità, se sono provocati da cause tettoniche si parla di fosse tettoniche (Great Rift Valley dell’Africa Orientale- lunga 6.000km e larga 40/60km); forme piane possono essere di varia origine e altitudine, bassopiano e altopiano, pianeggiante o circondato da catene montuose. Le forme di rilievo sono studiate dalla geomorfologia che contiene stretti collegamenti con la geologia, idrografia, climatologia e geografia. 5. Il vulcanismo La tettonica a placche spiega il verificarsi del vulcanismo. Esso si manifesta con molteplici aspetti relativi alla genesi dell’attività, ai materiali, alle tipologie di eruzione e alla distribuzione territoriale. consiste nella fuoriuscita di materiali rocciosi allo stato fuso e ricchi di gas(magmi). La genesi del processo avviene nella parte più superficiale del mantello per cause fisico-chimiche. I magmi risalgono lungo fratture chiamate condotti o camini vulcanici, che, partendo dal serbatoio magmatico, terminano in superficie con una o più aperture: cratere centrale e crateri laterali. Il continuo accumularsi di lava forma l’edificio vulcanico. Riguardo ai profili si distinguono due tipologie principali: vulcani a scudo, con forma appiattita per la fluidità della lava e scarsa attività esplosiva; vulcani-strato con la figurazione conica. Se durante la risalita il magma perde i gas contenuti fuoriesce in superficie relativamente tranquillo sotto forma di lava (attività effusiva); se contiene gas raggiunge un’esplosione dando luogo ad un’eruzione (attività esplosiva). Le sostanze più fini vengono trasportate dal vento o rimangono nell’atmosfera per molto tempo. Durante le eruzioni si forma una nuvola di lapilli, gas, ceneri e pomici; altrimenti scorre lungo i fianchi come miscele ad alte temperature (flussi piroclastici). Collegate a questi avvenimenti, distruttive sono le colate di fango che si creano quando al materiale piroclastico si aggiunge grande quantità di acqua. Esse distruggono tutto quello che incontrano fino a 100km dal cratere. Esistono vari tipi di eruzione: - Hawaiane a scorrimento veloce ma tranquillo con lave fluide prive di gas; - Islandesi, simili alle precedenti ma la lava esce da lunghe fessure; - Stromboliane con lava più viscosa che si alterna a piccole esplosioni; - Vulcaniane fortemente esplosive; - Pliniane (da plinio il giovane dall’eruzione del Vesuvio) con intensa attività esplosiva, flussi piroclastici e grande quantità di ceneri e pomici; - Peleeane con magmi viscosi che tendono a solidificare nel cammino- emissione di gas e vapori ad altissime temperature (nubi ardenti). Un ulteriore classificazione riguarda lo stato di attività dei vulcani che si distinguono in: attivi (In Italia sono il Vesuvio, Etna, Stromboli, Vulcano), estinti (se l’ultima eruzione risale a più 10.000 anni fa- in Italia abbiamo Colli Euganei in veneto, Amiata, Roccamonfina in Campania, Volture in Basilicata); quiescenti (se hanno avuto eruzioni negli ultimi 10.000 anni- Colli Albani) Bradisismi: lenti movimenti in verticale, verso l’alto e il basso prodotti da una materia magmatica in profondità. Possiamo evidenziare allineamenti lungo le dorsali oceaniche; lungo i margini continentali o catene di isole, vulcanismo in aree isolate. Vulcanismo secondari possono essere: fumarole o solfature (sorgenti di acqua calda e vapore misti a gas, Pozzuoli), soffioni (sorgenti di vapore a forte pressione), geyser (emissioni di acqua calda zampillante ed a intermittenza, Islanda e Nuova Zelanda). Un turismo sanitario piuttosto diffuso, anche in Italia, si avvale delle acque termali (Albano, Saturnia, Tivoli Ischia). Molteplici sono gli usi nel settore energetico (geotermia) come in Islanda. Risorse dalle estrazioni minerarie e dell’utilizzazione nel settore edilizio di materiale piroclastico; mentre per l’agricoltura ricordiamo la fertilità del suolo. Tra le eruzioni più disastrose ricordiamo: vulcano Tambora, in Indonesia, 1815, provocò la morte di oltre 90.000 persone e il cambiamento delle condizioni meteorologiche per via delle ceneri. 7. Terremoti e il rischio sismico Il terremoto o sisma si avverte come uno scostamento del terreno, prodotto da onde sismiche che si propagano da un sito variabile da pochi chilometri di profondità fino a 700. Solo un minimo di essi produce danni a persone o cose, perché la maggior parte è un evento molto debole, tanto da non essere avvertito dall’uomo, ma registrato da strumenti detti sismografi. Le cause risiedono nell’energia meccanica quando le pressioni oltrepassano una soglia tale da produrre deformazioni e poi fratture con lo spostamento di margini. La forza dei terremoti venne dapprima misurata con la scala MCS articolata su 12 gradi: strumentale impercettibile (1) a catastrofica (12). Un sisma produce effetti diversi a seconda del tipo di ambiente ad esempio a seconda della costruzione degli edifici. In seguito è stata calcolata l’intensità dell’energia meccanica prodotta (magnitudo) e registrata da sismografi secondo una scala Richter. Fin ora il maggior magnitudo è stato riscontrato a 9.5 (1960 in Cile). 4. I tipi di clima Koppen, nella prima metà del Novecento, fece cinque grandi classificazioni, che procedono dall’equatore verso i poli (A, B, C, D, E). I tipi A (megatermici o tropicali umidi), collegati tra i tropici e con una temperatura meda mensile mai inferiore 18°C. nella fascia più vicina all’Equatore il clima equatoriale è contraddistinto da una temperatura costante elevata annua (25-30°) e da una piovosità abbondante che favoriscono una vegetazione rigogliosa: foresta pluviale. Esempi: Rio delle Amazzoni, Congo, isole asiatiche sudorientali e Golfo della Guinea. I monsoni, venti periodici dell’Oceano, soffiano da terra verso il mare in inverno e viceversa in estate. Il clima della savana o tropicale con inverno secco presenta meno precipitazioni. Africa, America Latina con Venezuela, Colombia, Brasile. I tipi B (aridi) son caratterizzati da precipitazioni rare e irregolari e da un’escursione termine pronunciata. Si distinguono i climi desertici e predesertici: nei primi con meno di 250mm annui di acqua, per cui non ci sono fiumi permanenti. Quando una falda acquifera è prossima alla superficie si hanno le oasi, ricche di vegetazione e spesso sedi di insediamenti. Il clima arido presenta inverni freddi come nel deserto della Patagonia e del Gobi. Sono compresi anche climi semiaridi (steppa asciutta). I tipi C (mesotermici temperati) contiene tre tipi climi: clima mediterraneo con estate asciutta, poche precipitazioni ed inverno mite (Mar Mediterraneo, California, Cile centrale, Australia meridionale); clima sinico si distingue dal precedente con maggiori precipitazioni( Cina Orientale, Giappone, Uruguay, Argentina settentrionale …); clima temperato fresco con inverni piuttosto miti e precipitazioni distribuite nel corso dell’anno (Europa occidentale, costa nordamericana dell’Oceano Pacifico, nuova Zelanda, Tasmania). I tipi D (micro termici freddi) sono contraddistinti per un inverno lungo e gelido, mentre l’estate ricca di precipitazioni è relativamente calda (la media mensile supera i 10°C). due sono le manifestazioni: freddo umido con estate calda, freddo con inverno asciutto. Europa Orientale, settore asiatico della Russia, Canada, Cina. I tipi E (nivali) sono climi senza estate, infatti il Sole non scalda la superficie per la forte obliquità dei raggi. Presentano due sottotipi: la tundra (con muschi e licheni) e gelo perenne (calotte glaciali). L’Italia ha una vasta quantità di climi: per vi della latitudine (diversa temperatura da nord a sud); altitudini (pianure e rilievi); vicinanza del mare. L’Italia è considerata un Paese dal clima favorevole perché il riscaldamento globale fa estendere verso nord la circolazione calda e umida ponendo l’Italia a rischio sia di ondate e siccità, sia di precipitazioni estreme. 5. Le relazioni tra società e clima Significativa per l’agricoltura è la realizzazione di serre. D’altra parte sole e vento consentono la produzione di energia rinnovabile e potenzialmente inesauribile, con impatto ambientale ridotto, senza gas serra e pericolosi disastri, con fuoriuscite di petrolio e di materiale radioattivo. Una complessità delle relazioni tra società e clima è dovuta a cambiamenti e alle alterazioni nelle proprietà dell’aria prodotti da attività antropiche. L’inquinamento genera sia smog, una nebbia scura di minutissime particelle derivanti dalla combustione, sia le piogge acide, risultato dell’emissione di ossidi di azoto e zolfo. 6. Crisi climatica globale Per evitare una catastrofe globale bisogna agire su due fronti: adattamento ai cambiamenti dell’atmosfera e riduzione di CO2 e gas serra. Il primo punto sarà reso possibile se si rende più resistente il territorio alle situazioni meteorologi che estreme. Il Sistema Terra si sta avvicinando ad un punto come esito di un impatto antropico incontrollato. Riscaldamento globale, periodi di lunga siccità, intensificazione di fenomeni meteorologici, acidificazione degli oceani, erosione del suolo e delle coste, salinizzazione dei terreni, fusione dei ghiacciai e conseguente innalzamento del livello marino. Esempi: in Canada, dove la temperatura non superava i 19°C, si sono raggiunti i 49,5°C. In Groenlandia a 3.216m di altitudine è caduta la pioggia per 9 ore, evento mai verificatosi prima. Per quanto riguarda gas serra e anidride carbonica, la comunità internazionale sta cercando di reagire nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite- conferenza delle parti. Un passaggio importante della riduzione dei gas serra si è registrato attraverso il protocollo di Kyoto nel 1997 e legalmente a Parigi nel 2015. L’accordo di Parigi intende aiutare coloro in difficoltà economica. il problema però è rimandato ad un futuro lontano. Lo scioglimento dei ghiacci sta avvenendo soprattutto nella regione del Circolo polare, in pericolo anche sul piano economico e politico. L’abbondanza di petrolio e gas e ricchezze emerse per il cambiamento climatico comporta intensificazione della pesca, turismo polare, apertura di nuove reti commerciali. Per il cambiamento climatico molte persone sono obbligate ad abbandonare il proprio paese per il cibo scarseggiante, soprattutto nei paesi poveri dove le popolazioni sopportano i danni maggiori. 7. Il vento e i deserti I venti esercitano una loro energia in maniera continua e su ampie estensioni dando origine a una morfologia particolare detta: eolica. Il vento con l’erosione, l trasporto, modifica il terreno generando caratteristiche visualizzabili nelle zone aride. Il Sahara si è ampliato del circa 10%, processo chiamato desertizzazione. Due sono le principali azioni del vento: la prima deflazione, si esplica quando l’azione eolica rimuove e solleva l’aria, combinando erosione e trasporto. L’altra è corrasione: avviene in seguito all’urto delle particelle tra loro e sulla roccia; è un’azione abrasiva di smerigliatura e levigatura. Essa combinata con l’erosione marina spesso da luogo a cavità dette tafoni che costituiscono un’attrazione turistica (come in Sardegna e in Corsica). Il trasporto delle particelle avviene: per sospensione quando particelle molto piccole vengono trasportate molto lontano prima di toccare il suolo; trascinamento quando i granelli di sabbia vengono trascinati e fatti rotolare sul suolo; saltazione quando compiono ripetuti salti e colpendo altri detriti per urto si alzano. Il materiale trasportato dal vento origina vari depositi come le dune, tipiche dei deserti: possono essere vive se cambiano forma continuamente, o fisse coperte da piante. La parte esposta è composta da un pendio dolce, perché il vento fa rotolare la sabbia che cade sul lato opposto. Quando il vento soffia i granelli s’innalzano, formando sulla cresta piccole nuvole di sabbia. Le dimensioni sono molto varie. 5. Idrosfera: linfa ed energia vitale 1. Gli stati dell’acqua e il bilancio idrologico La presenza dell’acqua ha giocato sempre un ruolo fondamentale nella storia dell’umanità, ma oggi il fattore antropico sta interferendo sul suo delicatissimo ciclo, alterato dal riscaldamento globale, che fa accrescere pericoli legati ad inondazioni e siccità. I disastri dovuti a inondazioni dal 2020 al 2021 sono aumentati del 134%. L’acqua si muove e si distribuisce secondo processi molto complessi che producono paesaggi continui e frequenti tra i suoi tre strati fisici. Il mondo dell’acqua, l’idrosfera, è presente nella litosfera, nell’atmosfera e nella biosfera. La grande maggioranza di acqua è salata 96% e si trova nei mari e negli oceani il restante è dolce e si trova sui continenti sotto forma liquida o solida. Nell’atmosfera la porzione è minima 0,001%. Una molecola d’acqua prima di ricadere sulla superficie terrestre sotto forma liquida o solida, trascorre circa 10 giorni nell’atmosfera. Anche l’evaporazione si manifesta con il prosciugamento di una superficie bagnata. Composito e grandioso è il ciclo dell’acqua che si sviluppa attraverso quattro componenti principali: evaporazione e evapotraspirazione, precipitazione, infiltrazione e ruscellamento. L’energia radiante del Sole costituisce la fonte maggiore dei passaggi di materia e di energia tra atmosfera e superfici. Il totale annuo dell’evaporazione globale ammonta a 517.000 km3 proveniente dalle superfici oceaniche. I restanti 62.000 km3 scaturiscono dal suolo, dalla traspirazione delle piante e ghiacciai. Quella che non evapora scorre in superficie o nel sottosuolo (falde freatiche). Il deflusso avviene generalmente in mare attraverso le foci dei fiumi: regioni esoreiche. I territori endoreici hanno corsi d’acqua che terminano in un lago chiuso o in un’area desertica o semidesertici. Bacini endoreici sono anche i salar: laghi salati presenti negli altopiani desertici delle Ande. 2. Risorse e vulnerabilità Le acque sono utilizzate per l’irrigazione e la produzione di energia. i movimenti del mare possono costituire fonti energetiche rinnovabili. Tradizionale è l’energia idroelettrica ottenuta dai salti delle acque continentali, grazie alla realizzazione di dighe. L’idrosfera è da sempre importante per la navigazione marina, fluviale e lacustre. In quest’ultimo caso si parla di Grandi laghi nordamericani: Superiore, Michigan, Huron, Erie, Ontario, i quali sono percorsi da grosse navi che possono compiere un tragitto di ben 3.770km. attività turistiche e sportive: alcuni fiumi hanno rappresentato un elemento di forte attrazione ch ha contribuito allo sviluppo di fiorenti civiltà potamiche: Nilo, Tigri; Eufrate. Sui bordi del Lago Inde(Asia) sorgono ancora numerosi villaggi su palafitte nelle quali risiede una popolazione che vive di pesca e di agricoltura. L’incremento di anidride carbonica nell’atmosfera, sta interferendo sugli equilibri degli ambienti marini, perché gli oceani assorbono un quarto circa di quella nell’atmosfera con conseguente acidificazione degli oceani. Altri danni sono causati dallo sversamento in mare di petrolio. 3. Caratteristiche del mare Le distese maggiori sono gli oceani: Pacifico, Atlantico, Indiano, Antartico e il Mar Glaciale Artico. In queste ultime due distese marine sono comprese le acque coperte da banchise: grandi lastre di ghiaccio mobili e galleggianti. Con il termine mare si intende una regione chiusa per lunghi tratti da terre emerse. La salinità si esprime calcolando i grammi di sale contenuti in un chilogrammo o in un litro di acqua. La salinità media è pari a 35kg: tra i numerosi tipi prevale il sodio. Il grado di salinità dei mari dipende: dall’intensità dell’evaporazione; le precipitazioni, il disgelo dei ghiacci. le variazioni di sale si possono calcolare mediante le isoaline: linee che uniscono tutti i punti con uguale valore di salinità. La temperatura subisce variazioni a seconda della profondità perché il sole agisce per lo più in superficie. Altro ruolo importante è svolto dalla latitudine oltre che dall’andamento stagionale. Le temperature maggiori in superficie si hanno nei mari tropicali (28°C) ma in mari come il Mar Rosso e il Golfo del Persico raggiunge i 35°C. Gli iceberg sono blocchi di ghiaccio continentale, con la parte sommersa circa 8 volte più grande di quella in superficie. Essi costituiscono sia un ostacolo per le navi che sono costrette a deviare perdendo tempo ma anche un pericolo, si pensi al Titanic. 4. I movimenti del mare Mari e oceani son soggetti a movimenti continui derivanti da cause interne come salinità, temperatura, densità oppure esterne come vento o forze gravitazionali. Il moto più evidente è quello delle onde provocate dal vento che si presentano con una cresta o dorso e un cavo o ventre. La distanza tra cresta e fondo del cavo è l’altezza dell’onda, l’intervallo di tempo compreso tra il passaggio tra due creste successive nello stesso punto è il periodo, quella tra due creste o due cavi è la lunghezza d’onda. il moto delle onde non è orizzontale perché l’acqua tende a spostarsi verticalmente. L’altezza delle onde non supera i 7-8 metri. Avvicinandosi alla costa l’onda comincia a deformarsi subendo variazioni alla velocità, nella direzione e nella forma. Sempre nei fondali quando la profondità inizia a essere pari a metà della lunghezza, abbiamo la rifrazione, con le onde che avanzano parallelamente o quasi alla costa. L’altezza del mare durante il giorno varia per la marea: movimento ritmico periodico di innalzamento o di abbassamento. A livello massimo di acqua si ha l’alta marea, a quello minimo bassa mare, la differenza è detta ampiezza di marea. I due movimenti oscillatori quotidiani si completano nell’arco di 24 ore e 50 minuti, giornata lunare più lunga di quella solare. La culminazione della Luna sul meridiano produce un accrescimento di attrazione in coincidenza dei punti localizzati sulla linea dello stesso meridiano con conseguente innalzamento delle acque. La bassa marea si ha quando la Luna si trova ad angolo retto con il meridiano stesso. Il Sole modifica le loro ampiezze che raggiungono i valori più alti quando l’attrazione lunare si somma con quella solare al momento del novilunio o plenilunio. Quando Sole e Luna sono in quadratura la forza di attrazione del Sole controbilancia quella della Luna e le ampiezze hanno valori più bassi. In Europa maree notevoli si hanno lungo le oste inglesi e francesi. Nei mari chiusi come il Mediterraneo il dislivello si aggira intorno ai 20-50 cm. Noto è il caso di Venezia dove le maree raggiungono i 60 cm (1966 - 194cm; 2019- 187cm). Le correnti marine sono spostamenti di masse d’acqua che si muovono con direzione quasi costante. A tale condizione si aggiungono l’azione dei venti e della rotazione della Terra: vanno verso destra nell’emisfero settentrionale e sinistra in quello meridionale. Le correnti si distinguono in calde e fredde: le prime dalle regioni equatoriali verso latitudini più elevate; le seconde dalle regioni polari verso latitudini più basse. 5. Il mare e le coste La principale interazione tra idrosfera e litosfera avviene lungo le coste, zone di contatto tra parti emerse e sommerse dalla superficie terrestre, dove le acque marine esercitano una continua opera di erosione, trasporto e deposito. Le acque del mare battendo sulla parete rocciosa, comprimono e decomprimono ripetutamente l’aria nelle fessure e nelle altre cavità tendendo ad ampliarle. Le coste possono essere dritte o articolate, con sporgenze e rientranze. Se il terreno scende al mare con un pendio ripido si ha la costa alta. In questo caso, a livello del mare, l’azione delle onde produce una scanalatura (solco di bottiglia). Nelle zone di pianura a contatto con il mare c’è la costa bassa. Segnaliamo la falesia, parete rocciosa a picco sul mare; la ria, insenatura lunga e stretta (Galizia, in Spagna); il vallone, parallelo alla costa; il fiordo, dovuta all’erosione dei ghiacciai, molto ramificata e chiusa da coste a picco. 2. La pedosfera La pedosfera è ambiente di forte commistione tra litosfera e biosfera. La sua evoluzione consente lo sviluppo della vegetazione spontanea e delle colture. La parte solida è formata da frammenti di rocce (ghiaia, argilla, sabbia) e da materia organica animale e vegetale (foglie, funghi, fiori, batteri); a queste sostanze si aggiungono gas (presenti nell’atmosfera) e liquidi (soprattutto acqua), generando una serie di processi fisici e reazioni chimiche che determinano le caratteristiche di ciascun suolo. La pedogenesi è il processo che porta alla formazione del suolo e scaturisce da diversi fattori: la roccia madre (dalla cui alterazione e disgregazione deriva il materiale solido inorganico), le forme del terreno, il tipo di clima, gli organismi presenti. Il suolo può mutare nel suo spessore con un profilo articolato in vari livelli, detti orizzonti. Se ne possono distinguere 3: - Il più superficiale  ricco di sostanze organiche (humus) - L’intermedio  povero di sostanze organiche - Il più profondo  composto da roccia poco alterata, fornisce la base minerale Con il trascorrere del tempo, il suolo raggiunge un completo sviluppo (suolo maturo). I suoli, interagendo con aria e acqua, ospitano grandi riserve di biodiversità, che devono essere attentamente considerate anche perché in stretta interdipendenza con la vita in superficie. Questo equilibrio può essere sconvolto a causa di impatti antropici aggressivi, soprattutto in aree con situazioni climatiche e geomorfologiche difficili. Le ragioni dei processi di impoverimento e degradazione di un terreno in precedenza coltivato, detti desertificazione, possono essere: eccessivo sfruttamento delle risorse idriche; deforestazione accompagnata da incendi distruttivi; urbanizzazione frenetica e non disciplinata; coltivazione di specie vegetali non originarie e non adattabili. 3. La vegetazione naturale La vegetazione naturale può classificarsi in base alla fisionomia: formazioni arboree (foreste, taiga), arbustive (brughiere), erbacee (praterie, steppe), desertiche (vegetazione rada in ambienti aridi). Per le esigenze termiche, le piante si possono distinguere in: megaterme (necessità di temperature medie sopra i 20°), mesoterme (necessità di temperature comprese tra i 15° e i 20°), microterme (necessità di temperature comprese tra 0° e 15°), echistoterme (al di sotto di 0°). Per la presenza di luce, si classificano in: sciafile (non necessitano dell’azione diretta dei raggi solari) e eliofile (necessitano di un’illuminazione intensa). L’acqua è imprescindibile per le piante, per questo motivo molto importante è il regime pluviometrico, ossia le precipitazioni nel corso dei mesi e la loro intensità. Se le piogge sono particolarmente forti possono essere dannose per la vegetazione. Inoltre, è necessario considerare le relazioni che vengono a crearsi tra temperatura e acqua. La vegetazione spontanea e la sua distribuzione sono molto sensibili alla combinazione dei vari elementi climatici e rappresentano una sintesi efficace di un tipo di clima. Oltre alle condizioni climatiche, lo sviluppo della vegetazione dipende da fattori geomorfologici, come la pendenza e l’esposizione dei versanti, e da fattori edafici, cioè conformazione e condizioni fisiche e chimiche del terreno. 4. La salvaguardia della biodiversità La biosfera dovrebbe ricevere la massima cura ed essere protetta, salvaguardandone la biodiversità. Nel 1971, l’UNESCO ha avviato il programma MAB per promuovere approcci innovativi allo sviluppo economico, adeguati dal punto di vista sociale e culturale e sostenibili dal punto di vista ambientale. Grazie a questa iniziativa si è ottenuto il progressivo riconoscimento delle Riserve della Biosfera, per promuovere una relazione equilibrata fra comunità umane ed ecosistemi. Nel 1992, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sullo sviluppo ha adottato la Convenzione sulla diversità biologica. Sebbene le indicazioni delle organizzazioni nazionali rappresentano uno stimolo significativo, nella pratica manca un’azione univoca da svolgere per cercare di ridurre impatti troppo aggressivi nei confronti dell’ambiente. Negli ultimi secoli, soprattutto a partire dalla Rivoluzione industriale, la pressione sulla biosfera è diventata sempre più invasiva, impattando sugli ecosistemi naturali e sui cicli della natura. Sarebbe necessaria una vasta opera preventiva per evitare di stressare l’ambiente e di superare il limite di resilienza, cioè la capacità che un sistema ecologico ha per ritornare al suo stato iniziale e autoripararsi. 5. Ecocidio e malattie I cambiamenti dell’equilibrio ecologico possono accrescere il rischio di malattie. Ad esempio, l’avvicinamento tra persone e animali agevola il passaggio di virus fra specie diverse. Le zoonosi sono infezioni animali trasmissibili agli esseri umani e rappresentano una minaccia alla salute della popolazione. La crisi climatica interferisce negativamente nelle relazioni tra ambiente e salute; l’aumento delle temperature favorisce il trasferimento di patogeni anche letali. Inoltre, l’innalzamento delle temperature sta producendo lo scioglimento del permafrost e di conseguenza la liberazione di specie congelate e potenzialmente patogene. Sono molti i casi di ecocidio, attraverso la distruzione di ecosistemi e delle varie forme di vita. Esempi sono l’Amazzonia e il Lago di Aral. La deforestazione dell’Amazzonia, fonte importante di ossigeno per tutto il sistema, è un problema ambientale e socio-culturale dalle conseguenze devastanti. Gli incendi sono aumentati considerevolmente, minacciando la sopravvivenza di centinaia di specie animali e vegetali. Il Lago d’Aral, situato tra Uzbekistan e Kazakistan, si sta prosciugando. Da sempre alimentato da due fiumi, i quali sono stati deviati per rendere produttive le regioni dell’Uzbekistan, dove si coltiva il cotone. Lo smaltimento dei rifiuti è divenuto uno dei problemi maggiori a livello internazionale e soprattutto per i Paesi altamente industrializzati e grandi produttori di scarti. Spesso l’operazione si conclude con un passaggio dell’inquinante da un ambiente ad un altro (es. riversamento di prodotti pericolosi in mari, fiumi, laghi). Quando lo smaltimento avviene in maniera non conforme alle normative i guasti alla biosfera diventano consistenti. Un esempio è la Terra dei fuochi, tra Napoli e Caserta. 6. I biomi Ciascuna porzione di biosfera è ripartita in vari biomi, cioè ampi spazi terrestri contraddistinti da condizioni climatiche simili e da specifiche comunità vegetali e animali. In ogni ambiente, vivono le varie popolazioni vegetali e animali in relazione tra loro, costituendo una comunità biologica (biocenosi), che occupa una determinata porzione di territorio (biotopo). L’insieme di un biotopo e di una biocenosi forma un sistema funzionale autosufficiente (ecosistema). I maggiori biomi terrestri sono:  Foresta pluviale (o equatoriale)  si caratterizza per il gran numero di specie arboree presenti una accanto all’altra, per la densità della vegetazione e per le dimensioni degli alberi. La massa di vegetazione densa e sempreverde spesso non consente ai raggi solari di raggiungere il suolo. La fauna è abbondante soprattutto per quanto riguarda uccelli e scimmie, mentre gli animali a terra sono pochi e di piccole dimensioni, ad eccezione di tartariche e coccodrilli. Simili alla foresta equatoriale sono la tropicale e la monsonica.  Savana  presenta una vegetazione mista di arbusti, erbe e alberi sparsi. Gli alberi più presenti sono acacie e baobab. La fauna della savana è ricca di erbivori (elefanti, giraffe, zebre, gnu) e di carnivori (leoni, ghepardi, leopardi). La colonizzazione europea ha portato profonde trasformazioni nel paesaggio delle savane (piantagioni industriali, nuovi metodi di sfruttamento agricolo, espansione dell’allevamento), che hanno provocato un impoverimento del suolo, sempre più soggetto all’erosione.  Deserto  si contraddistingue per la scarsità di precipitazioni. Sono situazioni ambientali difficili, che costringono la rada vegetazione ad adattarsi estendendo in profondità le radici per ricercare acqua nelle falde del sottosuolo. Le foglie sono piccole e dure per diminuire la superficie evaporante. Le specie animali sono poche e resistenti alla sete (dromedari, cammelli, antilopi, piccoli rettili e roditori).  Foresta decidua  caratterizzata dalla presenza di un numero ristretto di specie arboree. Spesso si riscontra solo una specie, che dà il nome all’intera formazione boschiva (faggeta, querceto). L’animale tipico è l’orso.  Prateria  la vegetazione è quasi esclusivamente erbacea, le precipitazioni sono scarse e le temperature possono variare notevolmente. La steppa è caratteristica delle praterie.  Macchia mediterranea  ha una vegetazione in prevalenza arbustiva (ginestre, cisti, ginepro, rosmarino) e arborea bassa (lecci, corbezzoli, sugheri, olivastri). Le specie animali più frequenti sono cinghiali, daini, caprioli, istrici.  Foresta di conifere  aghifoglie e sempreverdi (pino silvestre e abete) adatte a sopportare climi particolarmente rigidi. La fauna è ricca di renne, cervi, alci, orsi, ermellini, lupi.  Tundra  formazione erbacea con prevalenza di muschi e licheni e assenza totale di vegetazione: clima delle calotte glaciali. La fauna è caratterizzata dalla presenza dell’orso bianco, di molti pinnipedi e di numerosi uccelli. 7. Il paesaggio Se all’insieme di comunità vegetali e animali si associano quelle umane, si introduce il concetto di paesaggio, come sistema vivente in costante evoluzione su uno specifico spazio. Il paesaggio è un modo di vedere il mondo, ma allo stesso tempo rappresenta una sfera di valori e non soltanto un insieme di forme e di masse, di suoni e di colori, che individuano uno spazio circoscritto. La definizione proposta dalla Convenzione d’Europa a Strasburgo nel 2000 recita: «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle loro interrelazioni». Il geoturismo è una forma di turismo che sostiene il carattere geografico di un luogo (il suo ambiente, il suo patrimonio, la sua estetica, la sua cultura e il benessere dei suoi abitanti). È un ottimo strumento di valorizzazione del territorio. 7. Umanità sulla Terra: popolazione e dinamiche demografiche 1. Le persone, i luoghi e… il Pianeta Sono le persone e le società che, interagendo tra loro e con l’ambiente naturale, svolgono un ruolo centrale nel costruire e configurare luoghi e territori, nel trasformare e nell’organizzare gli spazi fisici della Terra. Le diverse manifestazioni dell’attività antropica entrano in contatto con altre discipline, ognuna delle quali evidenzia aspetti specifici. Questa interdisciplinarità s’incontra con le scienze della Terra e con quelle biologiche per indagare i fenomeni fisici e naturali del Pianeta nell’ottica antropica. La disciplina si fonda sulla prospettiva spaziale, che riguarda i modi in cui persone, luoghi e cose sono organizzati sulla superficie terrestre e il perché si trovino proprio in quel sito e siano così distribuiti. 2. L’ecumene ai tempi dell’Antropocene L’ecumene è lo spazio terrestre dove la comunità umana è in grado di risiedere stabilmente (abitare) e svolgere le sue attività. A questo termine si sono affiancati altri vocaboli, il primo dei quali, per contrapposizione, è quello di anecumene, usato per indicare le regioni disabitate, sempre più ridotte nella loro estensione per il progresso delle tecniche di intervento sull’ambiente. Tuttavia, a volte non esiste un limite netto tra abitato e disabitato, per questo è stato coniato il termine di subecumene, ossia quella fascia territoriale abitata solo periodicamente per le condizioni non proprio favorevoli. Questi tre vocaboli fanno riferimento alle terre emerse, ma lo sviluppo della navigazione ha dato origine alla nozione di ecumene marittima, che riguarda i mari navigati regolarmente e che si è ampliata nel corso dei secoli. A partire dalla prima metà del Novecento, si è sviluppato il concetto di frangia pioniera (Pioneer Fringe), a cui vengono associate l’esplorazione e la conquista di nuovi territori, che ad esempio nascondono risorse nel sottosuolo, come i giacimenti di petrolio scoperti nel deserto. Le terre anecumeniche rappresentano 1/5 della superficie terrestre e sono collocate nelle regioni polari (permanentemente ghiacciate e troppo fredde), ma il freddo è in relazione non solo con la latitudine, anche con l’altitudine, quindi vi sono aree montane elevate in cui neve e ghiaccio permangono tutto l’anno. Fanno parte dell’anecumene anche i deserti, dove le forme di vita sono ostacolate dalla mancanza di umidità, oppure le vegetazioni troppo fitte e rigogliose unite a condizioni climatiche non favorevoli impediscono il popolamento. 3. La distribuzione della popolazione La distribuzione della popolazione riguarda la disposizione sulla superficie terrestre del carico demografico. Le popolazioni non presentano una ripartizione territoriale uniforme. L’attuale quadro demografico mondiale deriva da cause di ordine fisico, soprattutto d’ordine climatico e geomorfologico, oltre che dai complessi processi storici. Nel corso degli ultimi secoli, la Rivoluzione industriale e i processi di urbanizzazione hanno 8. Mobilità e dinamiche migratorie 1. Mobilità, ipermobilità, motilità La storia della Terra è contraddistinta dal movimento, che si manifesta nelle interazioni complesse tra le sfere. Il movimento segna anche il lungo cammino delle generazioni che si sono succedute sulla Terra, sempre più sollecitate dalla globalizzazione a produrre nuove forme di mobilità. La mobilità, agevolata dai trasporti in continua trasformazione tecnologica, offre diverse opportunità di spostamenti per rispondere a esigenze di maggiore efficacia e velocità. La tendenza all’accelerazione pone alcuni interrogativi relativi ai rischi, sociali e ambientali, che transitano progressivamente verso un eccesso di mobilità, detto ipermobilità. Le persone si caratterizzano per la loro propensione al movimento nello spazio, sia fisico sia virtuale. Questi spazi possono integrarsi, creando un sistema per cui un individuo può muoversi con facilità (lavorando in rete da casa), mentre un altro può essere coinvolto in vari trasferimenti con difficoltà. La motilità testimonia una mutazione concettuale nel passaggio dal movimento fisico a quello virtuale. 2. I limiti alle mobilità La rapidità e l’efficienza della rete dei trasporti e di quella digitale costituiscono le fondamenta operative del sistema della mobilità. Le libertà di movimento e circolazione possono essere limitate, ostacolate o negate a tutta o parte della popolazione. Un caso emblematico è stato quello dell’apartheid, una forma di segregazione praticata fino agli inizi degli anni Novanta nella Repubblica Sudafricana a danno della popolazione nera, sottoposta a misure restrittive, molte delle quali legate proprio alla mobilità. L’impatto sul sistema delle mobilità si riscontra anche in situazioni di crisi economiche, come quella negli Stati Uniti nel 2008, con ripercussioni sulle mobilità dal punto di vista turistico e migratorio. La più recente limitazione sulle mobilità riguarda il 2020 con la pandemia da Covid-19, che ha svelato quanto il mondo sia interconnesso, perché è stata la stessa funzionalità del sistema a ritorcersi contro, costringendo all’immobilità centinaia di milioni di persone. 3. L’avvio del popolamento della Terra Il popolamento della Terra è dovuto a diversi percorsi che hanno portato le civiltà umane a continui mutamenti e diversificazioni culturali. Ci sono state grandiose migrazioni di popoli, che hanno preso il via dall’Africa e precisamente dal sistema della Rift Valley. Qui sarebbe iniziato il cammino dei primi esseri umani. Sempre in Africa, l’Homo sapiens si sarebbe differenziato da quello erectus e, lasciando l’Africa orientale, si sarebbe diffuso nel resto del continente e in quello euro-asiatico. Il moderno Homo sapiens sapiens intorno a 60-70mila anni fa avrebbe intrapreso l’occupazione di spazi nuovi e iniziato a stabilirsi in vari continenti. Le prime popolazioni si spostarono alla ricerca di nuove risorse alimentari, in seguito a cambiamenti ambientali o per aver raggiunto densità eccessive rispetto alla disponibilità. Il popolamento della Terra è avvenuto in maniera lentissima e ha coinvolto un arco temporale comprensivo dei periodi glaciali, durante i quali molte terre emersero, agevolando gli spostamenti tra continenti. Grazie all’attraversamento dello stretto di Bering fu popolato il continente americano. Le spinte alla mobilità derivavano da motivazioni legate alla sopravvivenza o al controllo del territorio. Parecchi secoli dopo, presero via i periodi delle scoperte (viaggi in America di Colombo e la prima circumnavigazione del globo di Magellano). Già nel 19° secolo le rivoluzioni tecnologiche avevano velocizzato gli spostamenti. 4. Il fenomeno migratorio Per migrazione si intende lo spostamento di una singola persona, di un gruppo o di un’intera popolazione dal luogo di origine per stabilirsi in un altro territorio. Quindi, si indicano quei trasferimenti – flussi di entrata (immigrazioni) e flussi di uscita (emigrazioni) - con cambio di residenza. Il saldo migratorio, cioè la differenza tra il numero di iscritti e quello dei cancellati per trasferimento di residenza, risulta positivo quando le immigrazioni sono più numerose delle emigrazioni; negativo nel caso contrario. Si fa ricorso ad indici: il tasso di emigrazione (numero medio di emigrati per 1000 abitanti) e il tasso di immigrazione (numero medio di immigrati per 1000 abitanti). La mobilità migratoria è fondamentale per la distribuzione della popolazione nel mondo. Insieme al movimento naturale di nascite e morti, segna l’evoluzione demografica di un’area geografica nella sua quantità e nel suo profilo socio-economico. Nel 2020 le persone residenti fuori dal loro Paese di origine erano 280,6 milioni: l’Europa è il continente più coinvolto nella mobilità umana, con 87 milioni di migranti. In grandi Paesi come Cina ed India, la percentuale di persone nate in un Paese diverso è praticamente pari a 0, in altri convergono flussi consistenti da vari Paesi asiatici. Negli Emirati Arabi Uniti le persone non autoctone sono l’88%. Nel 1880, Ernst Georg Ravenstein propose una teoria della migrazione umana, evidenziando alcuni punti:  La gran parte dei movimenti migratori si sviluppa a breve distanza;  Le donne sono più propense degli uomini a migrare all’interno del proprio Paese di nascita, ma meno a spostarsi all’estero;  Le persone sono disponibili a percorrere lunghe distanze per vivere in territori scarsamente popolati, mentre non lo sono nei confronti di Paesi ad alta densità demografica;  I flussi principali riguardano il trasferimento dalle campagne alle città. Fino alla metà dello scorso secolo, il fenomeno migratorio era associato a scompensi economici o demografici, a traumi bellici, a oppressioni politiche, a catastrofi naturali. Negli ultimi decenni, l’approccio geografico alla migrazione è cambiato profondamente, perché si manifesta in forme diverse e più complesse rispetto al passato. Il fenomeno migratorio non si può ridurre a un’osservazione di aspetti demografici e atti politico-economici, ci sono anche i fattori di repulsione e di attrazione. I fattori di repulsione sono determinati dalla scelta di emigrare e derivano dalle condizioni di estrema povertà o di insicurezza (guerre, persecuzioni), da situazioni climatiche o ambientali divenute proibitive per la sicurezza (profughi ambientali). I fattori di attrazione sono esercitati dalla meta da raggiungere e si impostano sul desiderio e sulle aspettative di una vita migliore, sulle informazioni ricevute, sulle reti sociali. 5. Caratteri e classificazioni delle migrazioni Esistono diverse tipologie classificatorie utilizzate per lo studio delle migrazioni. Rispetto allo spazio, ossia il raggio di spostamento, distinguiamo:  Le migrazioni interne  il cittadino conserva gli stessi diritti civili e politici e può esprimersi nella stessa lingua.  Le migrazioni internazionali  entrano in gioco altri fattori che derivano dal confronto di mondi socio- culturali ed economici a volte molto diversi. Rispetto al tempo, ossia il periodo del distacco dall’abituale luogo di residenza, distinguiamo:  Le migrazioni permanenti  i migranti cambiano residenza e si trasferiscono a tempo indeterminato.  Le migrazioni temporanee  possono essere: - Cicliche  si svolgono in un’area a breve raggio e per una durata temporale definita, solitamente quotidiana, come il pendolarismo. Quando questo movimento prevede l’attraversamento di un confine politico è detto frontaliero. - Periodiche  comportano una maggior permanenza lontano dall’abituale residenza, come i braccianti, lavoratori stagionali La temporaneità può variare perché alcuni Paesi concedono un visto limitato a pochi mesi, per cui si susseguono da parte del migrante diversi rientri nel Paese di origine. In base alla consistenza numerica, distinguiamo:  Le migrazioni di massa  gli spostamenti implicano gruppi massicci di persone o interi popoli.  Le migrazioni per infiltrazione  riguardano singoli individui, nuclei familiari e piccoli gruppi. Questo movimento sviluppa una migrazione a catena che porta la singola persona o il gruppo a raggiungere la comunità di compatrioti o familiari presente in un determinato Paese. 6. Migrazioni spontanee, organizzate, forzate Secondo il criterio motivazionale, distinguiamo altri 3 movimenti migratori: spontanei (o volontari), organizzati e forzati. Le migrazioni spontanee sono compiute per libera iniziativa dopo una valutazione di vantaggi e svantaggi derivanti dallo spostamento. Le migrazioni organizzate sono predisposte dallo Stato, ad esempio la colonizzazione o la bonifica di un territorio. L’esempio più significativo è rappresentato dai forti flussi migratori disposti nel ventennio fascista per la bonifica delle Paludi Pontine, che hanno comportato il trasferimento di 30mila immigrati provenienti dalle campagne venete, friulane e romagnole. La ricerca di una situazione economica migliore è alla base degli spostamenti di popolazione, ma quando questi significano una fuga dalla povertà estrema o dalla fame sono migrazioni forzate. La ricerca geografica dovrebbe prestare grande attenzione al viaggio migratorio per l’alto numero di decessi durante lo spostamento, per la diversificazione delle tappe (a volte numerose), per i percorsi dei migranti (durante i quali si ridefiniscono i loro progetti e si trasformano atteggiamenti, sentimenti e percezioni). La comunità internazionale non sembra in grado di affrontare in maniera efficace le migrazioni forzate, dipendenti da deportazioni, espulsioni e traffici di esseri umani, privati di ogni libertà decisionale e sfruttati in modo ignobile. Molti di questi fuggitivi chiedono asilo politico e di essere riconosciuti come rifugiati. Assimilabile alla migrazione forzata è la diaspora, ossia dispersione, di un popolo costretto a lasciale il proprio Paese di origine per disseminarsi in varie parti del mondo. Esempi sono gli Ebrei, la diaspora armena ad opera dei turchi, quella palestinese, quella tibetana. La tratta degli schiavi rappresenta l’evento più tragico di migrazione forzata, con decine di milioni di persone catturate in Africa per lavorare nelle piantagioni di cotone, di caffè e di canna da zucchero negli USA, in Brasile e in altre regioni dell’America Latina. Gli indigeni, catturati nelle zone interne proseguivano il loro viaggio verso le coste in condizioni durissime, prima di essere imbarcati per la traversata atlantica, durante la quale moriva il 15-20%. Un passo importante verso l’abolizione della schiavitù avvenne il 25 marzo 1807, quando il Parlamento inglese approvò lo Slave Trade Act. 7. Emigrazione europea nei nuovi continenti America e Australia sono stati i due continenti caratterizzati dall’emigrazione europea. All’inizio del ‘500, spagnoli e portoghesi furono i primi migranti (conquistadores) che avviarono la colonizzazione dell’America. Seguirono francesi, inglesi e tedeschi, tanto che già alla fine del 18° secolo il continente era popolato da più di 8 milioni di persone di origine europea, numero che aumentò notevolmente da metà ‘800 fino alle Seconda guerra mondiale. Molti erano i motivi che spingevano al nuovo continente:  Una popolazione eccessiva in confronto alle risorse conseguite con le pratiche agricole del tempo;  La disoccupazione di tanti artigiani dovuta alla Rivoluzione industriale;  I numerosi conflitti, anche di carattere religioso;  Le carestie. Ad esempio, quella in Irlanda tra il 1845 e il 1849 prodotta dalla peronospora delle patate, che costrinse quasi il 50% della popolazione ad emigrare, soprattutto negli Stati Uniti. Di grande importanza per il popolamento degli Stati Uniti è stato il trasferimento in apposite riserve dei nativi americani privati delle loro terre, che venivano suddivise tra i coloni immigrati dall’Europa. La colonizzazione dell’Australia iniziò nel 1788 ad opera della Gran Bretagna, che decise di trasferirvi decine di migliaia di detenuti, mutando l’assetto demografico di quest’area abitata da una popolazione indigena di 700mila cacciatori-raccoglitori, che nel 1830 erano ridotti a 80mila. Agli aborigeni venivano sottratti anche i bambini, i quali erano educati dallo Stato e perdevano i legami con i genitori, i loro nomi originari, la possibilità di parlare la loro lingua tradizionale. Solo agli inizi degli anni Novanta fu rimossa questa dottrina ignobile. 8. L’Italia e i flussi migratori Lo scoppio della prima guerra mondiale pose termine alle grandi migrazioni oltreoceano. L’Europa ha rappresentato una meta rilevante dell’emigrazione italiana rivolta soprattutto a Francia, Svizzera, Germania e Belgio. Tra gli anni ’50 e ’60, il boom economico ha convertito l’economia italiana da agricola a industriale. È stato un periodo caratterizzato da flussi migratori interni, dovuti al divario economico tra le varie regioni, che ha portato a correnti migratorie da sud a nord. Anche Roma è stata destinazione di migrazioni. Un altro flusso interno è stato lo spopolamento montano e rurale. A partire dagli anni ’70, l’Italia è passata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. La differenza socio-economica tra Italia e Paesi poveri dell’Africa costituisce un fattore di avvio dei flussi migratori; a questo da accogliere il 56% della popolazione mondiale. Le previsioni indicano che il livello di urbanizzazione proseguirà pure in futuro, tanto da raggiungere quasi il 70% nel 2050. Il cambiamento più rilevante nell’evoluzione del fenomeno urbano è stato il passaggio dalla città nucleare a varie forme di espansioni nel territorio rurale, tali da raggiungere altri insediamenti e dar luogo a un vero e proprio sistema urbano, detto città estesa. Il processo estensivo può evolversi in modi diversi:  per agglomerazione: in seguito alla dilatazione di una grande città nei territori circostanti;  per conurbazione: risultato dell’espansione di due o più centri in concomitante ampliamento. In aree già densamente abitate la crescita può avvenire attraverso la creazione di nuovi insediamenti urbani, magari collegati a vecchi villaggi, vicini alle grandi città o a importanti vie di comunicazione (periurbanizzazione). Più recenti sono le città discontinue e multicentriche (città-rete), tipiche di estensione in aree con ampia disponibilità di spazio che possono raggiungere anche una dimensione regionale (aree metropolitane). Sono nati due nuovi termini: megalopoli e megacittà. La megalopoli indica il continuum urbano esteso lungo la fascia atlantica degli Stati Uniti tra le città di Boston, New York, Philadelphia, Baltimora e Washington, talmente interconnesse da costituire un’unica super-metropoli situata su un territorio di oltre 700 km di lunghezza. La megacittà è una singola città, ma di dimensioni notevoli, tali da superare i 10 milioni di abitanti. 4. Morfologia e funzioni urbane La geografia offre chiavi interpretative della città in rapporto al territorio circostante (posizione), al luogo geografico in cui è sviluppata (sito), alla planimetria (pianta), alla serie di funzioni che esercita. La morfologia urbana si è plasmata per fattori storici, sociali, religiosi, economici e naturali. È importante mettere in relazione la planimetria con i processi di sviluppo leggendo la città attraverso la sua pianta, che può essere regolare, irregolare oppure ancora priva di un determinato disegno. Tra le morfologie regolari, i principali impianti di tipo geometrico sono:  la pianta a scacchiera  ideata da Ippodamo di Mileto (V secolo a.C.), è stata adottata dai Romani anche per l’impostazione degli accampamenti e diffusa nell’Occidente europeo.  la pianta radiocentrica  diffusa nel Medioevo e rappresentata da un nucleo centrale dal quale partono strade divergenti a raggiera. Milano ne è un esempio.  l’impianto lineare  tipico di città sorte lungo un asse rappresentato da una strada, un fiume, una dorsale montuosa, una costa. Tra le caratteristiche di una città c’è la capacità di svolgere attività a diverso raggio territoriale. Una ripartizione molto utilizzata separa la città monofunzionale (quando prevale una sola funzione) da quella plurifunzionale (quando le molteplici funzioni si integrano tra loro). La prima prevale in città piccole o medie; la seconda in quelle più ampie. Una grande città che esercita un’influenza su un territorio più o meno ampio viene definita metropoli e può essere regionale (Torino), nazionale (Milano, Amburgo) o internazionale (Boston, Ginevra). In un mondo globalizzato vi sono alcune città che rappresentano un peso consistente a scala planetaria e sono le città globali (New York, Londra, Parigi, Tokyo). Le città possono ospitare la sede centrale di banche e istituti assicurativi, assolvendo così una funzione finanziaria. In altri casi a imporsi è la funzione politica e amministrativa, come a Washington, Brasilia, Canberra. Alcune città possono avere funzioni in prevalenza culturali, come Oxford, Cambridge, o religiose, come Gerusalemme, Lourdes, La Mecca). Molti agglomerati urbani hanno vocazione turistica, grazie alla bellezza dell’ambiente o alla presenza di monumenti o opere d’arte. 5. Diversità culturali e disuguaglianze sociali Le città, soprattutto quelle più grandi e dinamiche, sono luoghi dove si elaborano conoscenze scientifiche e tecnologiche, si attivano espressioni culturali e artistiche, si generano innovazioni; per questo motivo richiamano molte persone. A coloro che vivono in città si aggiungono altre categorie di popolazione che la utilizzano senza risiedervi: i pendolari (quotidianamente per motivi lavorativi) e i city users (coloro che si recano in città per turismo o affari). La crescente consistenza numerica di city users incide nell’organizzazione complessiva della città, producendo aspetti positivi (fonti di guadagno) e negativi (problemi nella gestione delle infrastrutture e degli spazi urbani). La compresenza in città di persone molto diverse per esperienza culturale, tipo d’istruzione e reddito comporta una serie di fenomeni di forte impatto sul piano sociale. Nelle aree urbane dei Paesi economicamente più ricchi, sono numerosi i liberi professionisti, i dirigenti, gli imprenditori, che richiedono una molteplicità di servizi. Di conseguenza si riscontra un afflusso consistente di persone con impieghi provvisori e poco redditizi. Grave e triste problema per molte città in Paesi ricchi è la presenza di persone ridotte a livelli estremi di indigenza (homeless, clochard), mendicanti costretti all’aperto in uno spazio confinato da cartoni, coperte e sacchi a pelo. Ulteriori distinzioni tra gruppi e strati sociali, residenti nella stessa città, vanno a configurarsi attraverso quartieri borghesi nettamente separati da altri: si tratta di divisioni che non impediscono la mobilità da una parte all’altra, ma non agevolano la vicinanza di strati sociali diversi, non favorendo gli incontri e l’integrazione sociale. Recenti processi di mobilità urbana sono:  Gentrification: gruppi sociali a reddito medio/alto ristrutturano abitazioni in aree povere e in degrado, provocando l’allontanamento dei residenti a basso reddito, impossibilitati a sostenere i costi superiori conseguenti alla trasformazione migliorativa del territorio.  Amenity migration: spostamento di persone da aree urbane ad alta concentrazione demografica a zone periferiche o centri abitati di dimensioni ridotte perché attratte da una qualità di vita migliore. Diffuse tipologie di isolamento sono presenti in sobborghi e periferie abusive, disordinate e precarie delle grandi città. Sono spazi urbani di grande povertà (baraccopoli, favelas, bidonville, barrios), dove si affollano persone costrette a vivere in condizioni misere. Altre forme di segregazione sociale riguardano persone ad alto reddito, le quali per scelta volontaria vivono nelle cosiddette gated community: aree residenziali recintate e sorvegliate da guardie e telecamere, separate dal restante tessuto urbano e accessibili solo ai residenti o a eventuali ospiti. È uno spazio economico-sociale protetto e quasi autosufficiente, fornito di servizi esclusivi (commerciali, scolastici, ricreativi, sanitari). Sebbene i processi di urbanizzazione portino a standardizzare alcune caratteristiche delle città, le diversità culturali sedimentate nel corso della storia tendono a permanere. L’impronta medievale è palese in molte città europee, alcune delle quali conservano resti delle vecchie mura di cinta e una forte presenza nelle aree centrali di uffici e sedi istituzionali pubbliche e private. I segni del passato sono scarsi nelle città nord-americane, rapidamente cresciute e distinte da piante urbane a scacchiera, grattacieli, villette e ampi spazi verdi nelle aree periferiche. Lo stile coloniale è diffuso in parecchie città dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa. Lo stile barocco è un segno evidente del colonialismo spagnolo e portoghese esportato nell’America Latina. Elementi comuni ai centri abitati medievali dell’Europa si ritrovano in molte città islamiche: dalla moschea (nucleo religioso), alle strade piene di negozi, al reticolo stradale irregolare con l’intrecciarsi di vicoli tortuosi e stretti, spesso terminanti in piazzette interne. Altro fenomeno legato alle immigrazioni e alle diversità culturali è costituito dai quartieri etnici, che prendono nome e modelli architettonici dal Paese di provenienza della maggioranza dei suoi abitanti. Un esempio sono Chinatown e Little Italy a New York. 6. La città nella natura, la natura nella città Sebbene gli spazi urbani rappresentino la principale antropizzazione della superficie terrestre, le relazioni con l’ambiente risultano fortissime, sia quelle endogene (terremoti, tsunami, vulcani) sia quelle esogene (cicloni tropicali, eventi meteorologici). In tutti questi casi sarebbe opportuno un governo del territorio che prevenisse i danni più gravi. Geomorfologia e idrografia costituiscono i primi elementi del paesaggio urbano, testimoniando quanto la natura sia nella città. Rispetto a tali elementi le città si possono considerare: di pianura (Milano), di rilievo (Orvieto, Norimberga), di fiume (Lione, Belgrado), di estuario (Londra, Lisbona), di costa (Stoccolma, Nizza), di delta (Alessandria sul Nilo), di laguna (Venezia), di lago (Lecco, Toronto, Chicago). I waterfront, cioè fasce di territorio a contatto con le acque, possono rappresentare un’attrattiva importante. In molte città la particolare combinazione tra morfologia e idrografia assume un deciso valore simbolico, come Venezia e Roma. In aggiunta alla geomorfologia e all’idrografia, vanno considerati gli aspetti climatici. Il clima può costituire il principale motivo di sviluppo per una città, in particolare per quelle a forte vocazione turistica. Tuttavia, le aree urbanizzate sono esposte a numerosi rischi legati al clima: innalzamento del livello marino a causa del riscaldamento globale, cicloni tropicali, precipitazioni molto intense, che possono comportare conseguenze gravi per le infrastrutture. Le città possono modificare il clima del luogo attraverso la natura artificiale delle superfici cittadine, l’elevato inquinamento, il calore prodotto da scarichi dei veicoli. Si sviluppa così un’isola di calore urbano. Nelle aree urbane, sono presenti molte altre specie viventi. La vegetazione (verde urbano) occupa un posto di rilievo sia per l’aspetto estetico sia per il contributo in termini di salute fisica e mentale. In città vivono parecchie specie animali, le più frequenti sono domestiche e quindi dipendenti dagli esseri umani, ma ci sono anche animali selvatici (pipistrelli, roditori, volpi, cinghiali, scimmie). L’avifauna (insieme della specie degli uccelli) è favorita dalla presenza di discariche e mucchi di rifiuti. A numerose specie animali si aggregano parassiti e insetti, alcuni dei quali portatori di malattie. Gli aspetti sanitari preoccupano in quanto l’avvicinamento tra persone e animali selvatici agevola il passaggio di virus fra specie diverse. 7. Il futuro sostenibile delle città La città non può essere esaminata come separata dal resto della natura; essa sopravvive e si sviluppa solo grazie ai continui scambi di materia e di energia con l’ambiente esterno. In tale prospettiva, la città può essere assimilata a un ecosistema (ecosistema urbano), anche se è sempre in squilibrio energetico con l’ambiente naturale terrestre, al quale si sottraggono risorse per i suoi consumi e per smaltire i rifiuti. Per non gravare in maniera insostenibile sulla natura occorre sviluppare nuovi modi di progettare e governare le città, riducendo l’impronta ecologica urbana e procedendo verso la sostenibilità ambientale. Nella riduzione dell’impronta ecologica un ruolo importante può essere svolto dall’aumento degli spazi verdi. In alcuni Paese si sono diffusi i tetti ricoperti da vegetazione o coltivati a orto (green roof). Nell’ambito della sostenibilità si sta diffondendo la smart city (città intelligente), cioè un’area urbana che utilizza tecnologie digitali avanzate per ottimizzare infrastrutture e servizi e per salvaguardare la natura. 10. Geocultura: il contesto geografico 1. Di che cosa parliamo? È la cultura che amalgama la componente naturale e quella antropica che insieme vanno a formare l’ambiente di vita di un gruppo umano. Le modalità delle coltivazioni e dell’allevamento, le forme dell’insediamento e dell’alimentazione sono esempi di espressioni che non sono né esclusivamente antropiche né solo naturali, ma coinvolgono entrambe queste dimensioni e dipendono dalla cultura. La dimensione verticale fa riferimento al legame tra la cultura e la natura in un luogo, producendo una combinazione locale unica e irripetibile. La dimensione orizzontale riguarda invece gli scambi culturali tra luoghi, rilevando le diversità tra i contesti geografici e valutando i fattori che le generano. Correnti diverse di pensiero geografico hanno risposto in modi diversi a questo interrogativo: c’è stato chi ha attribuito le differenze culturali alla diversità del quadro naturale. Era questa l’idea di fondo del determinismo ambientale, che ha segnato l’approccio del sapere geografico nel corso dell’Ottocento. In quest’ottica esisterebbe un rapporto di causalità unidirezionale tra l’ambiente fisico e le forme d’uso del territorio (es: una comunità che vive su un’isola è indotta a dedicarsi alla pesca). Il possibilismo, invece, ha preferito rintracciare le differenze tra comunità nella storia dei popoli. La relazione tra uomo e natura diventava così un rapporto di causalità bidirezionale: il ruolo centrale spetta alla comunità umana che, nell’ambito delle opportunità offerte dalla natura, esercita scelte in base alla propria cultura e al grado di sviluppo tecnologico. Dunque, l’azione umana influisce sulla natura adattandola ai propri bisogni. La geografia culturale studia le manifestazioni della cultura sulla Terra, sia di tipo materiale come le tecniche sia di tipo immateriale come i valori. Su questi temi la geografia si interroga, domandandosi: secondo quali criteri delimitare l’estensione di una cultura? Perché alcuni confini culturali corrispondono ai confini politici mentre altri no? Tra le espressioni della cultura, etnia, lingua e religione sono significative perché strutturano in profondità il profilo culturale di una popolazione. Si distinguono i processi di omologazione culturale (rafforzano l’identità del gruppo) dai processi di frammentazione (spingono verso l’indebolimento del gruppo). Tutti i fattori possono operare in entrambe le direzioni. Il fattore linguistico può costituire sia un mezzo per superare elementi di diversità quando vi è un’unica lingua ben diffusa, sia un mezzo di frammentazione quando vige una pluralità di idiomi. Analogamente, anche la religione e l’etnia possono fungere da fattori di omologazione interna o di frammentazione. Le teorie sulla razza invece si basano su una differenza di Genotipo, ossia di Genoma o DNA, differenza che a livello scientifico è risultata essere inesistente. Di conseguenza è assolutamente condannabile il Razzismo, che attiva comportamenti discriminatori sulle basi di gerarchie razziali individuate secondo vari criteri, quali il pregresso tecnico o civile. Al contrario la Geografia riconosce le differenze tra comunità umane e fonda la propria ragion d’essere sulla promozione della conoscenza e della valorizzazione di queste peculiarità, senza stabilire gerarchie. Il tema delle etnie è tornato attuale quando alla fine dello scorso millennio si sono accentuate le dinamiche di mobilità delle popolazioni, fino a formare grandi configurazioni multiculturali nelle grandi metropoli che richiedono un ripensamento dei tradizionali modelli di convivenza (Melting Pot, USA). Abbiamo visto come un fattore fondamentale dell’etnia sia, l’autoconsapevolezza, il senso di appartenenza. Proprio a tal proposito giocano un ruolo primario tutti quei simboli, i riti, le tradizioni che favoriscono l’immedesimazione e il riconoscimento delle proprie radici. Una percezione di minaccia dell’integrità del gruppo è generalmente vissuta dalle minoranze etniche, si tratta di una condizione molto frequente dato che molti stati sono plurietnici. Questi dunque hanno due esigenze opposte da conciliare: Rispettare i diritti delle minoranze e salvaguardare la stabilità interna dell’intera società. Le minoranze allo stesso tempo devono tenere costantemente alto il livello di solidarietà tra i propri membri, ciò crea inevitabilmente delle diseguaglianze che possono produrre marginalizzazione e segregazione. Questa eventualità può manifestarsi in più modi: - incidentale, con una lenta e progressiva assimilazione da parte del gruppo maggioritario - naturale, con l’estinzione per ragioni demografiche della minoranza - provocata, con pratiche di pulizia etnica che passano dall’espulsione forzata al massacro, fino ad arrivare al genocidio. 2. La geografia delle lingue La distribuzione geografica delle lingue alle diverse scale è chiamata Geolinguistica, si tratta di un aspetto importante per gli studi dei Geografi perché la conoscenza dell’area di estensione delle lingue, di oggi e del passato, rappresenta un’utile indicatore delle relazioni tra i gruppi umani e dei loro percorsi migratori. Ad esempio i prestiti linguistici simboleggiano l’esistenza di rapporti stretti tra due culture tali da consentire l’influenza di una sull’altra. In tal proposito i linguisti hanno coniato tre concetti: - substrato, per indicare una lingua diffusa in una data area prima che un’altra si sovrapponesse su questa - superstrato, l’opposto, una lingua che si sovrappone a quella già in uso in una data area - adstrato, due lingue dall’origine ben distinta in contatto culturale fra loro ed entrambe formalmente riconosciute. Al tema della lingua come forma di contatto tra culture sono legati anche gli alfabeti, il più diffuso al mondo quello latino che in epoca moderna ha conosciuto una progressiva espansione attraverso il colonialismo e le esigenze di comunicazione per scambi commerciali. Le lingue non hanno solo funzioni di comunicazione e comprensione sono anche degli strumenti che organizzano il pensiero logico. Ad esempio in giapponese il termine forchetta è stato introdotto di recente in quanto quell’utensile non è nel costume di quel popolo. Ogni lingua trasmette anche una specifica concezione del mondo, due lingue non saranno mai perfettamente sovrapponibili in traduzioni perché ci sono delle differenze non solo a livello sintattico e semantico, ma anche per quanto riguarda le profonde connessioni con la vita sociale. Ecco quindi ben spiegato il fallimento dei tentativi di produzione delle lingue artificiali a tavolino. 3. Le lingue nel mondo Nell’approccio geografico al tema delle lingue è utile la distinzione che usa la linguistica tra famiglie, gruppi e sottogruppi, corrispondenti a tre ambiti più ridotti di diffusione degli idiomi in base a criteri di parentela genealogica. Il numero delle lingue al mondo è estremamente variabile c’è chi ne conta circa 2000, chi il doppio e chi arriva fino a 12.000. La ragione di tale divario risiede nei diversi criteri usati per definire il concetto di lingua, non si deve pensare che le differenze siano solo di natura tecnica, la classificazione infatti è condizionata anche da variabili di tipo storico e politico. E’ il caso della lingua usata da serbi e croati, alternativamente considerata come unica o come due forme dialettali dello stesso ceppo d’origine, la stessa cosa vale per il cieco e lo slovacco. Non c’è dubbio infatti che sull’individuazione dell’autonomia di una lingua pesi la circostanza di possedere o meno un’entità politica indipendente. L’unificazione statale tende sempre a favorire lo sviluppo di una cultura nazionale unitaria. Il numero indicato potrebbe far pensare a un mosaico altamente frammentato di lingue presenti al mondo, si tratta però di un’immagine che cambia se si pensa che l’85% delle lingue ha meno di 100.000 parlanti nativi e circa il 20% di queste rischia di scomparire in quanto non viene più appresa in età infantile. Ovviamente la diffusione di una lingua può interessare aree non contigue per effetto soprattutto di flussi migratori che hanno creato isole ed arcipelaghi linguistici. 4. Il destino di una lingua La sopravvivenza o l’estinzione di una lingua dipendono da molti fattori tra cui: Demografia (Diseguaglianze in campo demografico), Migrazioni (Multilinguismo), Storia politica (Conquiste e Colonialismo), Diritto (In alcuni stati la lingua minoritaria viene salvaguardata in altri no), Mezzi di comunicazione (tutela delle minoranze ad esempio con canali televisivi disponibili nelle loro lingue), Religione (A volte hanno delle lingue di riferimento), Turismo (Necessità di acquisire le lingue dei turisti), Commercio (Capacità ed esigenza di comunicazione e comprensione), Fascino (Il successo di una lingua è anche legata al suo fascino e al fascino della cultura che rappresenta). 5. Le minoranze linguistiche in Italia L’Italia offre un caso esemplare delle difficoltà di identificare il numero delle lingue parlate in un’area geografica a causa della presenza di una serie di dialetti imparentati con l’italiano. La geografia dei dialetti italiani è erede di una stagione medievale segnata dalla compresenza di una pluralità di idiomi volgari, uno dei quali è stato codificato come italiano ufficiale ed è divenuto poi idioma nazionale. Fino a quel momento meno del 10% della popolazione usava l’italiano per ragioni politiche culturali ed economiche. Dal punto di vista tecnico in Italia si distinguono 5 grandi aree dialettali: l’area Gallo-Italica, l’area Veneta, l’area Centrale, l’area Alto Meridionale e l’area Meridionale Estrema. La capacità di sopravvivenza di questi dialetti dipende dalla vitalità demografica, economica e politica delle comunità che le parlano. 6. Geografia delle religioni Lo studio delle religioni può essere utile per capire meglio le società, nonostante qualche anno fa si erano diffuse teorie secondo cui una serie di fenomeni avevano favorito una tendenza alla laicizzazione, queste previsioni si sono rivelate semplificazioni banalizzanti, visto che le religioni sono alla base del bagaglio culturale e del sistema di valori di ogni comunità umana. Gli effetti delle religioni producono specifiche segmentazioni dello spazio urbano, basta pensare alla centralità degli edifici religiosi, inoltre intrinsecamente geografiche sono quelle mobilità che vedono protagonisti i luoghi di culto: pellegrinaggi, riti e processioni verso Lourdes, Santiago de Compostela, Fatima, La Mecca e ovviamente Roma, faro della cristianità e attrattrice di turismo religioso. Il tema del pellegrinaggio ricorda che la religione non induce solo effetti materiali sul paesaggio, ma impatta anche sulla relazione emotiva con i luoghi stessi, in alcuni casi infatti il credo religioso costituisce il movente di un legame collettivo individuale con uno specifico territorio come la Palestina per gli ebrei. I Geografi nello studio delle religioni guardano i loro spazi di diffusione e i particolari legami con l’identità nazionale, torna utile quindi la distinzione in: religioni universali (Cattolicesimo Islam e Buddismo), religioni etniche che riconoscono come fondamentale il loro ancoraggio a un territorio o una cultura e le religioni tribali, culti con un numero ridotto di fedeli e strettamente legati a un sistema culturale. Un elemento che bisogna sottolineare è quello riguardante i dati dei fedeli che cambiano più rapidamente di quanto si possa immaginare, ad esempio i Cristiani nel mondo sono tantissimi, ma dall’inizio del ‘900 nel Medio Oriente, si sono ridotti drasticamente, le vicende storiche, i diversi comportamenti demografici sono due dei fattori più rilevanti nelle variazioni del numero di fedeli, oltre ovviamente alle persecuzioni religiose. 12. Geopolitica – Il potere in uno spazio 1. I segni del potere sul territorio Ogni territorio è ricco di luoghi che rappresentano delle manifestazioni di potere e a cui è riconosciuto un ruolo istituzionale (Roma ad esempio ospita le sedi più autorevoli della vota politica italiana, o anche strade, statue, monumenti sono espressioni di potere e rafforzano il senso di identificazione di alcuni cittadini alle proprie radici). Tutte queste manifestazioni di potere rendono il luogo soggetto all’appropriazione, alla gerarchizzazione e alla rappresentazione. 2. Condizionamenti reciproci tra luoghi e dinamiche politiche Le scelte politiche dunque impattano con il territorio (Piazza Venezia, potente - Mussolini). Una stessa manifestazione svolta a Roma, nella capitale, o in qualsiasi altra città ha una rilevanza diversa. Dal punto di vista politico il territorio non è isotropo (uguale in tutte le sue parti) e ha una relazione biunivoca con la vita politica: Quest’ultima influenza i luoghi, e i luoghi sono componenti attivi della vita politica. 3. L’interdipendenza tra caratteri geografici e vicende politiche Proprio da qui si ricava il postulato di un’interazione permanente tra i quadri geografici e la dinamica sociale, ad esempio la presenza di uno sbocco sul mare garantisce una posizione di vantaggio a livello politico. La politica, estera e interna, non è solo frutto della volontà umana, deve sottostare alle condizioni geografiche. Possiamo inoltre individuare tre canali attraverso i quali il territorio esercita il proprio peso sul territorio: - Dotazione di risorse naturali - Posizione relativa (mutevole, un paese soggetto a forti turbamenti = Libano in Medio Oriente) - Posizione Assoluta Nel complesso però nessun condizionamento da parte dell’ambiente geografico è eterno, possiamo però affermare che si tratti di un dato stabile, perché seppur diverso riproporrà sempre un quadro geografico generale di cui tener conto soprattutto in termini di politica internazionale. Non si può ignorare la Geografia. 4. L’immaginario geografico Oltre ad esprimersi sotto forma di territorio, rifacendosi ad un concetto prettamente concreto e visibile, lo spazio è anche prodotto cognitivo. I concetti di distanza e dimensione oggi infatti fanno riferimento anche a tutti i flussi immateriali di informazioni, idee, dati e interpretazioni. Una buona espressione riferita agli spazi immateriali è quella di ‘’Immaginari Geografici’’, con cui si intende una visione e interpretazione collettiva. Le percezioni e rappresentazioni che una popolazione ha di sé e altre comunità, costituiscono un oggetto d’interesse della geografia, soprattutto perché ogni collettività elabora proprie spazialità delle minacce esterne e quindi le reazioni non saranno in relazione al reale livello di pericolosità, ma saranno in relazione alla propria percezione. 5. I grandi ambienti della scena politica Ci sono innumerevoli spazi in cui si dispiega il divenire politico, oltre il più familiare all’essere umano, La Terra, un altro spazio classico è Il Mare, poi lo Spazio Atmosferico, quello Cosmico, e quello più recente, lo Spazio Cibernetico (dimensione della rete internet). Particolare interesse riveste quest’ultimo, che si propone come nuova e originalissima dimensione di produzione del potere, è accessibile a quasi tutti, ed è soggetto al mutamento continuo. Infine è altamente differenziato: diversa qualità, possibilità di accesso, grado di alfabetizzazione, dominio dell’inglese, ma molteplici lingue... Da questa situazione fortemente differenziata è possibile trarne una sommaria classificazione degli utenti che ne fanno utilizzo, proprio perché l’azzeramento delle distanze fisiche, non abbatte le barriere di ordine culturale, economico, sociale e politico. 11. Confini e Conflittualità I confini sono stati spesso il risultato di violenti conflitti armati, i mancati accordi tra le parti sono più diffusi di quanto si possa immaginare (Argentina e Cile). Gli Stati ad oggi controllano i confini grazie a strumenti tecnologici avanzati: telecamere, droni, raggi infrarossi... Non si presta più attenzione solo alle strutture rigide, ma anche ai flussi che attraversano i confini. Le previsioni sul futuro dei confini sono diverse, c’è chi sottolinea che i processi di globalizzazione condurranno al loro superamento (prospettiva globalista), chi ne sottolinea la varietà (prospettiva cosmopolita) e chi vede emergere nuove forme di confine (prospettiva critica). Nel complesso i confini, bisogna ricordare, hanno doppia valenza: nell’ambiente fisico, ma anche nell’ambiente mentale. Sono riconosciuti sia per l’esercizio pratico della sovranità che per valenze simboliche di potere. 12. La Geografia elettorale La geografia si occupa delle competizioni elettorali che sono la manifestazione democratica di una contesa tra soggetti politici portatori di interessi diversi. Fondamentale è analizzare la distribuzione delle scelte di voto, gli effetti di vicinato e il ritaglio delle circoscrizioni elettorali, cercando di trarne indicazioni utili alla comprensione della società o quantomeno della scena politica. Nasce così la geografia elettorale, con Sigfried che si proponeva di comprendere le diverse tendenze di voto e soprattutto l’influenza su questa dei fattori geografici. I rappresentanti del possibilismo francese in particolar modo affermano che la cultura e i sentimenti identitari provengono da una pluralità di fattori che il dato naturale (Prediletto dal francese Sigfried nelle sue teorie) impedisce di cogliere. Al giorno d’oggi l’approccio di Sigfried non è più adeguato, la diminuita omologazione sociale induce gli elettori a comportamenti individualistici e quindi un ipotetico criterio, una regolarità, non è più afferrabile nei rigidi schemi deterministici del Francese. 13. Geopolitica – La proiezione del potere all’esterno di uno spazio 1. Gli interrogativi e le prospettive di un’analisi geografica delle relazioni politiche Il potere di uno spazio può essere analizzato nella sua dimensione verticale, come fatto nel capitolo precedente (Lo studioso ne individua i caratteri peculiari: estensione, limiti, sottoaree, squilibri interni, centri, periferie, risorse materiali e immateriali, protagonisti interni e rapporti) oppure nella sua dimensione orizzontale (Di questo spazio si analizzeranno le relazioni con altri spazi e con altre scale). 2. Geografia politica e geopolitica Geografia politica Geopolitica Oggetto di attenzione L’istituzione, lo Stato, i suoi livelli, l’autorità e il territorio La relazione tra attori, la conflittualità che cambia il sistema politico Differenze Parte dalla necessità della collettività di darsi un’organizzazione, per realizzare un assetto amministrativo Parte da uno stato di tensione di conflittualità per analizzare poi l’intera situazione La conflittualità è Limitata ai singoli soggetti statali Estesa a qualsiasi soggetto, ha natura multiforme ed è endemica perché il mondo è uno spazio finito, anarchico e differenziato La violenza è Esclusiva dall’autorità Un’inevitabile forma di conflitto appartenente a tutti Lo spazio è Un quadro di riferimento da gestire Un campo di battaglia, un’arena di competizione Obiettivo Specialistico e dimostrativo: definire problemi per risolverli Umanistico ed esplicativo: comprendere come funzionano determinate situazioni e conflitti L’assetto di potere è Il punto di partenza dell’analisi L’esito dell’analisi 3. I nuovi orizzonti della Geopolitica: non più solo l’uomo La geopolitica si interroga dunque sulle condizioni nelle quali il fattore geografico agisce, i casi in cui incide e quelli in cui non incide, il suo peso rispetto ad altri fattori che incidono sulle dinamiche politiche. Ad esempio si occuperà di analizzare la disponibilità di una risorsa, la sua collocazione geografiac facendo si che le rendite geopolitiche siano stabili ed oggettive. 4. I nuovi orizzonti della Geopolitica: non più solo lo Stato-Nazione Per molto tempo la geografia ha considerato come attore dominante lo stato, più di recente però questo è stato messo in discussione. Oggi anche tanti altri raggruppamenti geopolitici esprimono comportamenti politico-spaziali: le nazioni e le etnie ad esempio. Devono esserci due requisiti affinché un soggetto venga considerato geopolitico, il primo è il riferimento a un territorio, il secondo riguarda la coesione tra i membri della comunità che rientra nelle categorie delle risorse intangibili, rappresentate da elementi immateriali propri come la coesione e la percezione, l’affidabilità e la credibilità. Dall’altra parte ci sono le risorse tangibili, fattori materiali quali un esercito, una popolazione numerosa o un territorio ricco di risorse. Piuttosto che concentrarsi però sulla forma-stato la Geopolitica ha preso gusto ad estendere quanto più possibile il campo dei soggetti nella politica, nel complesso essi possono: possedere una pluralità di forme organizzative, ricorrere a criteri diversi per conservare l’unità dei propri membri, scegliere modalità d’azione diverse ed esprimersi attraverso momenti di visibilità pubblica. 5. I nuovi orizzonti della Geopolitica: non più solo spazi discreti Così come il tempo anche lo stato ha più scale: quartiere, città, regione, stato, continente e mondo sono solo le più note. Sulla base del criterio di scala troviamo una classificazione che distingue le seguenti categorie di spazi geopolitici: scala globale, considera l’intero sistema politico internazionale; scala macro regionale, fa riferimento ad aree geografiche molto estese; scala del quadrante, riguarda un livello sovrastatale; scala statale, in riferimento allo Stato; scala substatale, interna allo stato; scala del singolo luogo, luoghi che inducono processi a distanza e ad altre scale scala; scala locale, quella dei micro conflitti in contesti specifici. L’analisi geopolitica è dunque multiscalare cioè considera più scale perché spesso l’azione dei soggetti politici impatta su molteplici scale. 6. L’idrogeopolitica Quando si pensa alla geografia vengono in mente le terre emerse ma in realtà il globo terrestre è occupato per il 71% da distese marine pertanto la geopolitica deve occuparsene. I conflitti per l’acqua si sono acuiti, le maggiori cause: aumento dei consumi, sperequazioni, commercializzazione, alterazione dei cicli chimici e biologici. Capitolo 14 Geoeconomia – Paesaggi e Risorse 1. L’approccio geografico al tema Gli studi geografici si concentrano anche sulla realtà economica questo perché le attività economiche inducono differenze tra i territori stessi e dall’altra parte territori specifici influenzano la realtà economica di un dato luogo. All’interno di una tipologia di paesaggio analizzeremo il grado di alterazione degli equilibri ambientali provocato dalle attività economiche nelle società contemporanee. Economia ambienti montani Settore più incisivo: turismo alpino. Ha ridato vitalità al luogo con nuove strutture, accanto ai vantaggi economici c’è però il rischio di uno sconvolgimento dell’ambiente naturale, deturpazione paesaggio e annullamento della quiete. Economia ambienti rurali pianeggianti Primo posto per stanziamenti, Trasformazione del paesaggio per agricoltura e allevamento, con sfruttamento dei fiumi. Modernità: la natura non detta più regole, metodi e tempistiche; I letti dei fiumi si abbassano, rischio abitanti. Economia ambienti periurbani Rivoluzioni industriali, nuove e prime fabbriche, aziende, nascita delle ferrovie. Stravolgimento del luogo naturale. Intensificazioni relazioni economiche, scambi commerciali, vie di comunicazione. Economia ambienti urbani Nascita di centri urbani, di città, concentrazione di persone nello stesso luogo. Luoghi stravolti dalle esigenze dell’uomo, costruzione di servizi ed edifici per rispondere ai bisogni degli abitati. Inquinamento aria, rifiuti, sprechi moltiplicati e concentrati. Ci si può riscattare dall’inquinamento se si riconvertono le nostre esigenze. Economia ambienti marini e litoranei Attività di pesca, inquinamento mare, esplorazioni minerate guadagno e danni, turismo, coste e litorali, l’economia del porto Economia ambienti atmosferico ed extra-atmosferico Uso militare, diffusione di informazioni, uso scientifico e turismo spaziale: suolo lunare e asteroidi Economia ambienti sotterranei Risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili; Estrazione di risorse energetiche fossili: carbone, petrolio, gas naturale; La sua distribuzione, effetti di disparità e conflitti tra stati, competizione che sfocia in guerra Le risorse fossili di cui abbiamo parlato rimangono fonti principali energetiche, ma si possono sfruttare anche risorse rinnovabili come vento, sole e acqua per migliorare l’impatto ambientale. Si è pertanto affermata l’idea di virare su fonti energetiche pulite e rinnovabili, imboccando la strada della transizione energetica valorizzando energie quali: geotermica, eolica, idroelettrica, biomasse e solare. Tuttavia il processo di abbandono dei combustibili richiede tempi lunghi per l’attuale resa energetica e per la necessità di potenziamento delle nuove relative infrastrutture. 15. Geoeconomia – La localizzazione e i nuovi scenari 1. Il taglio applicativo del sapere geografico L’attenzione sullo specifico ambito della localizzazione delle attività economiche risulta particolarmente utile a mostrare la profonda evoluzione tra attività umane e variabili geografiche ed è utile a contestualizzare nei diversi periodi storici i fattori che sono stati più importanti nella localizzazione delle attività economiche. Il presupposto implicito e lo stesso che anima lo studio geografico di ogni organizzazione è la convinzione che la configurazione spaziale non sia casuale. 2. Le teorie della localizzazione
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