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Manuale di legislazione dei beni culturali, Sintesi del corso di Legislazione Ambientale

Riassunto integrale del libro "Manuale di legislazione dei beni culturali" di Alberto Roccella.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 28/11/2020

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Scarica Manuale di legislazione dei beni culturali e più Sintesi del corso in PDF di Legislazione Ambientale solo su Docsity! Manuale di legislazione dei beni culturali – CAP I: Le orgini della tutela – La roma del rinascimento La tutela del patrimonio artistico affonda le sue radici nel rinascimento. Provvedimenti più antichi è la bolla “Cum almam nostram urben” emanata nel 1462 da papa pio II: imponeva il divieto di distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti esistenti nel sopassuolo di roma. Anni più tardi la bolla Cum provida di papa Sisto IV vietava di spogliare le chiese dei marmi e degli ornamenti. L'interesse dei pontefici per la conservazione del patrimonio monumentale si inquadrava nel disegno di conservazione delle tradizioni storiche della roma imperiale diventata cristiana. Questo interesse proseguiva e si intensificava nella prima metà del XVII sec con l'Editto sopra l'estrattioni e cave di statue, figure, intagli, gioie ecc del 1646. I primi fondamenti della legislazione di tutela: l'esportazione di beni artistici era assoggettata ad una licenza. I monumenti e le opere alimentavano un ricco mercato antiquario che spogliava la città di roma. Essi erano protetti perchè attiravano il turismo, ma anche perchè valevano a promuovere l'istruzione artistica. Lo stato pontificio rinnovava la protezione dei beni artistici con l'editto di Albani (1733) e poi con l'editto Gonzaga (1750). I pontefici erano grandi committenti per gli artisti del loro tempo. – Napoleone e il saccheggio del patrmonio artistico italiano A cavallo tra 800 e 900 molte opere d'arte conservate a roma furono oggetto di vicende che hanno costituito un tornante essenziale per il fondamento ideologico e culturale della legislazione di tutela dei beni culturali. Le campagne d'italia di napoleone investivano però anche l'italia e toccarono il patrimonio artistico itliano. In occasione di queste campagne fu costituita una Commission pour a recherche des objets des sciences et de l'art che, sotto Monge, organizzà le razzie di molte opere d'arte. Il sccheggio bellico di napoleone fu anche leggittimato giuridicamente con il trattato di Tolentino che sanc' alla francia il permesso di tenersi 100 opere a sua scelta. – Le lettres à Miranda di A.C Quatremere de Quincy Nel 1796 Antoine Chrysostome Quatremere de Quincy, uomo politico e di cultura, pubblicava a parigi in forma anonima un libretto di 74 pag, il quale comprendeva 7 lettere indirizzate al generale napoleonico Miranda. In queste lettere Quatremere de quincy poneva il fondamento ideologico sulla tutea dei beni culturali. Nella 1 lettera si rifaceva a concezioni illuministiche per sostenere una comunità cult europea, una repubblica generale delle arti. Questa comunità sarebbe stata danneggiata in conseguenza di spoliazioni di opere d'arte dai luoghi originari. Nella 2 lettera considerava l'italia una specie di museo generale, un deposito completo di tutti gli oggetti propri allo studio delle arti. Nella 3 lettera esaltava Winckelmann per il suo spirito di osservazione, la sua attitudine alla classificazione e al confronto delle opere. Questo omagggio era funzionale all'affermazione del valore dell'unità del patrimonio artistico di roma. Quatremere sosteneva per le opere dell'antichità, il valore del contesto e cioè che esse dovessero rimanere nel luogo in cui storicamente si erano consolidate. Nella 5 lettera insisteva su una concezione universale dll'arte e sul valore del complesso dei monumenti di antichità presenti a roma. Egli criticava severamente le spoliazioni di antichità aoprtate dall'inghilterra a roma e sosteneva che ogni artista di ogni nazione dovesse andare a roma a studiare. Nella 7 lettera scrive parole illuminanti: il principio stesso ogni nazione vuole accrescere le sue collezioni, per offrire ai suoi allievi il vantaggio di numoresi confronti, è proprio quesllo che deve impedire di impoverire sempre più il centro generale di tutti i termini di studio e di paragone; che la vera maniera di arricchirsi sarebbe quella di rendere anzi che prendere. L'opera di Quincy non esercitò alcuna influenza sulle vicende del tempo. – Antonio Canova a parigi nel 1815 Nel 1815 dopo la caduta di napoleone papa pio vii e Consalvi conferirono a Canova il compito di recuperare le opere d'arte sottratte dai francesi. Oltre alle resistenze politiche bisognava poi superare anche l'ostacolo giuridico del trattato di Tolentino. Canova fece quindi ristampare le Lettres a Miranda, nelle quali erano ben esposte le ragioni che egli voleva far valere. Le circostanze permisero a canova di recuperare solo una parte delle opere. – Il chirografo Chiaramonti e l'editto del cardinal Pacca Nel 1802 il cardinale Pamphilj emanò con un editto un chirografo (documento autografo) di papa pio vii sulle antichità di roma e nello stato ecclesiastico. Il chirografo Chiaramonti rinnovò il divieto di esportazione di opere d'arte, ma recò varie altre disposizioni di prtezione del patrimonio, impoverito dalle razzie napoleoniche. Il chirografo confermò il divieto della Cum almam nostra. Si spinse anche più in la, infatti stabilì il divieto di danneggiare qualsiasi tipo di opera d'arte dalla più piccola alla più grande. Richiamò anche la costituzione Quam provida di papa sisto iv per cofermare il divieto di togliere dalle chiese e dagli edifici i marmi scolpiti, le iscrizioni, i mosaici ecc. La tecnica consisteva sempre in un divieto relativo, ossia nella sottoposizione degli interventi dei proprietari a un previo provvedimento di permesso dell'autorità. La competenza per questo permesso era rimessa a organi tecnici, l'ispettore delle belle arti e il commissario delle antichità o all'autorità politica. Veniva istituto un primo e vero apparato amministrativo di tutela. Il chirografo di papa pio vii su redatto dall'abate Fea. Papa pio vii aveva conferito nel '02 l'incarico di ispettore generale delle belle arti e antichità a Canova. La disciplina contenuta nel chirografo Chiaramonti del 1802 fu sviluppata dall'editto del cardinale Pacca del 1820 il quale costituì il fondamento della legislazione italiana. – L'unità d'italia e le collezioni d'arte Dopo l'unità mancò per decenni una legge di tutela del patrimoino artistico. Nel territorio dello stato pontificio continuarono ad applicarsi il chirografo Chiaramonti del 1802 e l'editto del caridnale Pacca del 1820. La l.286 del 1871 regolò anche le collezioni d'arte per le quali vale la tesi di Quatremere che “dividere è distruggere”. Le collezioni hanno un valore culturale che trascende la somma dei valori dei singoli beni evitando la dispersione dei singoli oggetti. Il problema della tutela delle collezioni si poneva in particolare per roma dove si erano storicamente formate, per iniziativa di famiglie, raccolte di antichità d'arte. L'integrità delle raccolte era stata protetta dagli stessi proprietari mediante il fedecommesso. Consentiva mediante il testamento una pluralità di eredi in successione tra loro. Chi riceveva il bene fedecommissario aveva l'obblligo della sua trasmissione a successivi eredi gia designati nel testamento. I fedecommessi costituivano una limitazione alla circolazione dei beni e furono quindi aboliti nel regno d'italia dal codice civile del 1865. Dopo la concquista militare di roma del 1870 il codice civile del '65 fu esteso anche alla provincia romana ma le disposizioni sullo scioglimento dei fedecommessi furono sospese. elenco, per la cui salvaguardia si richiedono lavori considerevoli e per i quali è necessaria l'assitenza della convenzione. Gli stati parti della convenzione possono presentare al comitato domande di assistenza internazionale per i beni situati nel loro territorio inseriti nei due elenchi. A tal fine il comitato decide sull'utilizzazione delle risorse del Fondo del patrimonio mondiale, costituito sempre presso l'Unesco e alimentato da contributi, volontari e obbligatori, degli stati parti della convenzione. L'assistenza accordata dal comitato del patrimonio mondiale può avere varie forme, tra le quali: a) studi sui problemi artistici, scientifici e tecnici posti dalla protezione, conservazione del patrimonio. b) nomina di esperti c) formazione di specialisti d) fornitura delle attrezzture che lo stato non possiede o non può acquisire e) concessione di prestitia interessi ridotti o senza f) concessione di sovvenzioni non rimborsabili – La convenzione Unesco Prima della convenzione esaminata prima, l'unesco aveva adottato a parigi nel '70 una convenzione concernente le misure da adottare per impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. Le finalità della convenzione sono espresse nell'art 2, secondo cui gli stati rionoscono che l'importazione, esportazione e trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali costituiscono una delle cause principali di impoverimento del patrimonio culturale. L'art 3 precisa che sono considerati illeciti import, esport e trasf di proprietà di beni cult. Il valore che la convenzione intende proteggere è quello della conservazione dei beni cult nel loro contesto. Secondo l'art 5 al fine di assicurare la protezione dei propri beni cult gli stati si impegnano ad istitituire sul territorio servizi nazionali di tutela del patrimonio cult. Gli stati si impegnano a cotitutire e tenere aggiornata la lista dei beni culturali importanti pubblici e privati, la cui esport costituirebbe un impoverimento sensibile del patrimonio culr nazionale. L'art 6 prevede anche impegni specifici per il controllo dell'esportazione. L'art 7 pevede impegni per prevenire l'illecita importazione di beni cult e perrimediare a essa. Fra gli altri impegni pervisti dalla convenzione l'art 10, secondo cui gli stati si impegnano: a) ad obbligare gli antiquari a tenere un registro che menzioni la provenienza di ciascun bene, la descrizione e il prezzo di ogni bene venduto. b) creare e sviluppare nel pubblico il sentimento del valore dei beni cult – La convenzione Unidroit Il valore del mantenimento dei beni culturali nel loro paese di origine è affermato anche dalla convenzione sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma nel giugno del '95. Questa convinzione è stata promossa dall'Unidroit, l'istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato, la sua finalità è la tutela degli acquirenti in buona fede di beni cult rubati o esportati. La rilevanza della convenzione dell'unidroit è però più limitata rispetto a quella dell'unesco, dato che gli stati aderenti sono in numero soltanto di 41. La convenzione dell'unidroit comporta una significativa correzione all'art 1153c.c Effetti dell'acquisto del possesso, il quale stabilisce che “Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purchè sia in buona fede al momento della consegna”. Quest' articolo esprime la regola “possesso vale titolo”. – Il commercio internazionale: il Gatt Il valore della conservazione dei beni cult nel loro contesto è riconosciuto anche dall'accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio: Gatt, stipulato a Ginevra nel '47. E' un accordo internazionale contenente un complesso di regole fondate sulla non discriminazione e sul divieto di restrizioni quantitative agli scambi internazionali. Anche questo accordo ha riconosciuto la peculiarità dei beni cult e ha autorizzato gli stati aderenti a limitare l'esportazione di tali beni. Il Gatt ha stabilito che esso non impedisce l'adozione da qualsiasi parte contraente di misure per la protezione di tesori nazionali aventi un valore artistico. La disciplina del commercio internazionale si è evoluta con nuovi accordi internazionali e in prticolare con i negoziati dell'Uruguay Round, il cui atto finale è stato adottato a Marrakech nel '94. Hanno portato a un nuovo accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio denominato Gatt. – La Comunità europea e l'Unione europea Marzo '57 veniva firmato a Roma il trattato istitutivo della Comunità economica europea che originariamente costituita da 6 paesi (Belgio, francia, germania, italia, lussemburg, olanda) oggi ne conta 27. Il trattato di roma del '57 è stato ripetutamente modificato dall'Atto unico europeo ('86), dal trattato sull'Unione europea (Maastricht '92) e dal trattato di Amsterdam ('97). Il trattato di Maastricht ha anche sostituito l'espressione Comunità economica europea con quella di comunità europea. Ha istitutio anche l'Unione europea, la quale segna una nuova tappa nel processo di creazione di un unione sempre più stretta tra i popoli dell'europa. Da ultimo il trattato di Lisbona ('09) ha sostituito in modo definitivo e genralizzato l'espressione Comunità europea con quella di unione europea. L'Ue contribuisce al pieno viluppo delle culture degli stati membri. Il trattato di mastricht ha cosi ripreso e sviluppato il principio dell'esistenza di un patrimonio culturale comune dell'europa, secondo quanto affermato gia dalla convenzione cult europea promossa dal coniglio europeo e firmata a parigi nel '54. – Comunità europea e circolazione dei beni cult Il trattato di roma intendeva realizzare un mercato comune caratterizzato dalla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Il trattato vietava i dazi e le restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci. Il trattato riconosceva la peculiarità dei ben cult, lasciando i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati alla sola condizione che tali divieti o restrizioni non costituissero un mezzo di discriminazione aribtraria. Il trattato considerava il valore della salvaguardia del contesto per i beni culturali, anche se non spingeva fino a farlo proprio. Il trattato non poneva una definizione comunitaria dei beni culturali, cossichè ogni stato poteva stabilire quali beni dovessero essere considerati beni culturali. La l.1 '39, n 1089, vietava l'esportazione delle cose di interesse artistico storico ecc, quando presentino tale interesse che la loro esportazione costituisca un ingente danno per il patrimonio nazionale tutelato dalla presente legge. L'esportazione era gravata da una tassa progressiva sul valore delle cose. Questa tassa era stata introdotta dalle prime leggi di protezione del patrimonio culturale e trovava la sua giustificazione nel presupposto che i beni cult normalmente vengono esportati in vista della loro alienazione. La tassa sull'esportazione colpiva tale presumibile aumento, assicurando all'erario risorse finanziarie utilizzabili per compensare il depauperamento del patrimonio cult nazionale. La corte di giustizia delle comunità europee pronunciò nel '68 una sentenza circa la conformità al trattato della disciplina italiana della tassa di esportazione. I beni tutelati dalla legislazione italiana avevano in comune con questi ultimi la caratteristica di essere pecuniariamente valutabili e di poter quindi costituire oggetto di negozi commerciali. La sentenza riconobbe che l'art 36 del trattato asciava impregiudicati i divieti all'esportazione. Gli stati dunque potevano imporre divieti o restrizioni alle esportazioni di questi beni ma non potevano imporre dazi. – Sviluppi recenti dell'ordinamento europeo Le disposizioni del trattato di Roma sulla circolaione dei beni cult sono statr confermate dall'atto unico europeo. Dal 1 gennaio '93 è stato attuato il modo pieno il principio della libera circolazione delle merci all'interno della comunità. Inoltre l'applicazione dell'accordo di Schengen '85 ha comportato la soppressione dei controlli alle frontiere interne tra i paesi aderenti all'accordo. L'eliminazione dei controlli rende più difficile il controllo da parte dei singoli stati sull'osservanza delle proprie disposizioni. La comunità ha riconosciuto questo effetto e ha adottato due misure con un regolamento e una direttiva. – L'esportazione di beni cul fuori dell'unione L'esportazione di beni cult fuori dell'unione europea è stata disciplinata dal regolamento n 3911/92Cee del dicembre '92, poi modificato. A fini di chiarezza la disciplina è stata codificata nel regolamento n 116/2009Ce del dicembre 2008, che definisce un regime di protezione dei beni cult negli scambi tra i paesi dell'UE e i paesi terzi. Il regolamento riguarda i rapporti commerciali con i paesi terzi e ha soltanto la finalità di isitutire un regime di controlli uniformi alle frontiere esterne dell'unione. La particolare protezione prevista consente di mantenere traccia delle esportazioni fuori del'unione dei beni cult rientranti nelle categorie indicate dall'allegato. Il regime europeo consiste in una licenza di esportazione, rilasciata dal paese in cui il bene culturale da esportare si trovava lecitamente e definitivamente alla data del 1 gennaio '93. Dopo questa data la licenza di esportazione può essere rilasciata da un autorità competente dello stato nel cui territorio il bene cult si trova dopo essere stato spedito da un altro stato mmbro dell'unione. Questa licenza di eposrtazione, chiamata anche autorizzazione, può essere rifiutata qualora i beni culturali in questione siano contemplati da una legislazione che tutela il patrimono nazionale avente valore artistico. – La restituzione di beni cult tra i paesi dell'unione. La direttiva n 93/7/Cee del marzo '93, modificata nella direttiva 2014/60/Ue maggio 2014. Riguarda i rapporti tra gli stati membri dell'unione. Ha isitituito un diritto di ciascuno stato di ottenere la restituzione dei beni cult usciti dal proprio territorio in violazione delle disposizioni nazionali sulla protezione del patrimonio cult o di quelle del regolamento 116/20097Ce. L'azione di restituzione è promossa dallo stato richiedente contro il possessore o il detentore del bene davanti al giudice competente dello stato membro richiesto. Il giudice ordina la restituzione del bene dopo aver accertato che esso rientri tra quelli pggetto della direttiva e sia uscito illecitamente dal territorio nazionale. Lo stato richiedente è tenuto a pagare l'indennizzo al momento della restituzione. – CAP III: La disciplina interna dei beni culturali – I beni culturali. Limiti di una categoria I beni culturali di proprietà pubblica sono soggetti a un regime che trova la sua base nella disciplina del Demanio posta all'art 822, Demanio pubblico, del codice civile che distingue le due categorie del demanio necessario e demanio accidentale. Necessario è costitutito dai beni che appartengono allo stato e si articola nelle categorie del demanio marittimo, idrico e militare. Il demanio necessario non riguarda dunque i beni cult, a differenza del demanio accidentale nel quale rientrano gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico. I beni del demanio accidentale possono appartenere non solo allo stato ma anche ad altri soggetti. L'art 824cc, Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali, stabilisce che i beni del demanio accidentale, se appartengono alle province o comuni sono soggetti al regime del demanio pubblico. L'art 826cc Patrimonio dello stato delle province e dei comuni include nel patrimonio indisponibile dello stato le cose d'interesse storico da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo. Le categorie del demanio accidentale e del patrimonio indisponibile costituiscono una spetto dello speciale rilievo dei beni culturali di proprietà pubblica. Il codice dei beni culturali ha confermato la disciplina del codice civile stabilendo che i beni cult appartenenti allo stato e agli altri enti pubblici nell'art 3 della l. 364/1909, nell'art 4 della l. 1089/1939. Tuttavia i beni culturali appartenenti a soggetti di questo tipo erano comunque sottoposti a tutela, anche se non compresi negli elenchi. L'obbligo degli enti di presentare l'elenco è rimasto largamente inevaso. Il codice dei beni culturali ha ora modificato anche formalmente il sistema originario. I beni dello stato, segli altri enti pubblici ecc sono soggetti a tutela direttamente, sempre che siano opera di autore non più vivente. Questi beni però sono soggetti, su richiesta degli enti proprietari a verifica dell'interesse culturale, al fine di accertare la sussistenza nel singolo bene dell'interesse artistico, storico..; a differenza non è richiesto che l'interesse sia particolarmente importante. Gli enti proprietari hanno interesse a promuovere il procedimento di verifica al fine di sottrarre i beni alla protezione del codice e di poterne disporre liberamente. Se l'esito negativo della verifica rigarda cose appartenenti al demanio dello stato, le cose vengono sdemanializzate. Il codice precisa che la “sdemanializzazione” è disposta qualora non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse”. La verfica dell'interesse culturale è attribuita alla competenza della commissione regionale per il patrimonio culturale, la verifica con esito positivo è soggetta a pubblicità medinte trascrizione nel pubblico registro. Contro la verifica è ammesso ricorso amministrativo al direttore generale Archeologia. Il ricorso potrà essere presentato nel caso di verifica positiva, mentre nel caso di verifica negativa il proprietario i linea di principio non dovrebbe avere interesse al ricorso. – Le collezioni La disciplina stabilita nel 1871 e modificata nel 1883 per le collezioni d'arte oggetto di disposizioni testamentarie fedecommissarie. Per le altre collezioni il codice civile vigente offre una tenue tutela. Il codice dei beni culturali contiente invece una discplina di protezione più intensa di quella del codice civile. Le raccolte di musei, gallerie dello stato, regioni ecc sono beni culturali protetti direttamente per legge, senza bisogno di alcun atto amministrativo: dunque non sono soggetti al procedimento di verifica dell'interesse culturale. Le altre collezioni che per fama e particolari caratteristiche, rivestono un eccezionale interesse artistico o storico possono costitutire oggetto di dichiarazione di interesse culturale. La conseguenza legale della protezione diretta per legge è che le collezioni o raccolte non possono essere smembrate senza l'autorizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Alcune grandi collezioni d'arte romane sono state aperte al pubblico e hanno esercitato un rulo di rilievo nella formazione del gusto artistico e nella diffusione della cultura. L'interesse al godimento pubblico o alla fruizione dei beni culturali è ora protetto ancora più ampiamente dal codice. Infatti le collezioni vincolate possono essere assoggettate a visita da parte del pubblico per scopi culturali. – I beni archeologici L'interesse archeologico può essere legato anche a beni posti nel sottosuolo. In tal caso è possibile dichairare l'interesse culturale dell'area. Le limitazioni alla proprietà privata sono particolarmente intense. Gia la legislazione dello stato pontificio aveva stabilito il principio che gli scavi rcheologici non rientravano nelle normali facoltà proprietarie ma erano consentiti solo dietro permesso dell'amministrazione. Attualmente le ricerche archeologiche e le opere per il ritrovamento di beni culturali sono riservate al MIBACT. I soggetti diversi dal Ministero possono eseguire scvi archeologici soltanto a seguito di una concessione da parte dello stato, con l'osservanza delle prescrizioni imposte nell'atto di concessione e di tutte le altre prescrizioni che il ministero riteng di impartire. La convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico intende preservare il patrimonio archeologico e garantire il significato scientifico delle operazioni di ricerca; a tal fine essa impegna le parti a porre in atto procedure di autorizzazione e di controllo degli scavi. Il ministero ha supplito che le domande di concessione devono essere accompagnate dal curriculum del direttore di scavo. La concessione è rilasciata dal direttore generale archeologia, belle arti e paesaggio per un periodo massimo di 3 anni. La concessione può essere revocata. Lo scopritore di beni culturali feve fare denuncia entro 24ore al soprintendente o al sindaco e deve provvedere alla conservazione temporanea delle cose rinvenute, lsciandole nelle condizioni e nel luogo del rinvenimento. Il codice civile del 1865 regolava il tesoro definito come “qualunque oggetto mobile di pregio che sia nascosto o sotterrato e del quale nessuno possa provare di essere padrone. Il tesoro apparteneva al proprietario del fondo. Questa regola fu derogata per le cose di interersse archeologico dalla legislazione speciale. La l.185/1902 stbilì che fossero ceduti a una pubblica collezione gli oggetti rinvenuti negli scavi archeologici. In seguiti la l.364/1909 stabilì il principio di appartenenza allo stato delle cose scoperte negli scavi. Al proprietario del terreno spettava il rilascio di un quarto delle cose ritrovate oppure la corresponsione del loro prezzo. Invece i monumenti archeologici pubblici che non abbiano costituito oggetto di scavo ma iano sempre stati in luce sono considerati di proprietà comunale (eccezion per il Colosseo). Il codice civile del '42 ha stabilito che “Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario”. Oggi è al codice dei beni cult alla l. 1098/1939 “Le cose ritrovate da chiunque e in qualunque modo nel sottosuolo o nei fondali marini apaprtengono allo stato e fanno parte del demanio o del ptrimonio indisponibile”. Il codice stabilisce che il ministero corrisponda un premio non superiore a ¼ del valore delle cose ritrovate, al proprietario dell'immobile dove è avvenuto il ritrovamento. Il principio dell'appartenenza allo stato comporta che la proprietà privata di beni archeologici sia oggi ristretta a un numero limitato di casi. Possono essere di proprietà privata: a) i beni ritrovati prima dell'entrata in vigore della l. 364/1909 b) i beni rilasciati dallo stato come premio di rinvenimento in natura c) i beni rinvenuti in scavi in aree di proprietà privata e rilasciati dall'amministrazione al proprietario dell'area in sostituzione dell'indennità di occupazione in denaro d) i beni acquisiti a seguito di alienazione da parte di amministrazioni pubbliche e) i beni acquisiti all'estero e importati Il codice dei beni cult prevede il delitto di impossessamento illecito di beni cult appartenenti allo stato ai sensi dell'art 91: le pene sono la reclusione e una multa. – La protezione dei beni culturali. L'autorizzazione Le opere e i lavori di qualunque genere da eseguirsi sui beni culturali sono soggetti a preventiva autorizzazione del soprintendente. L'autorizzazione è resa su progetto o su descrizione tecnica dell'intervento presentati dal richiedente. Nei casi in cui l'autorizzazione si riferisca a interventi in materia di edilizia pubblica e privata e non si debba ricorrere a una conferenza di servizi con altre amministrazioni il codice fissa il termine per provvedere in 120gg dalla ricezione della richiesta da parte della soprintendenza. Solo nel caso di assoluta urgenza possono essere eseguiti i lavori provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato. Il sporintendente può ordinare la sospensione dei lavori iniziati contro legge ovvero condotti in difformità dall'approvazione. I soprintendenti possono in ogni tempo, procedere a ispezioni per accertare l'esistenza e lo stato di conservazione e custodia dei beni culturali. È regoalto dall'art 82 del r.d 363/1913 da ritenersi compatibile col codice. Per i beni cult le normali facoltà di godimento del proprietario sono soggette a una penetrante ingerenza a fini di protezione, di tutela. – Il vincolo indiretto L'espressione vincolo indiretto è stata creata dall'amministrazione per denominare il provvedimento di protezione dei beni culturali immobili disciplinato dall'art 21 della l. 1089/1939 e prima dall'art 14 della l. 364/1909. Queste disposizioni costituiscono gli antecedenti storici dell'art 45 del codice, Prescrizioni di tutela indiretta, secondo cui il ministero h facoltà di prescrivere le misure ad evitare che sia messo in pericolo l'integrità dei beni cuturali immobili. Si tratta di un provvedimento molto diverso dal vincolo diretto, il quale consiste nella dichiarazione dell'interesse culturale del bene che ne costituisce oggetto. Il vincolo indiretto concerne invece il caso in cui si voglia proteggere l'ambiente circostante un bene cult immobile gia soggetto a tutela: deve trattarsi quindi di un bene appartenente a un ente pubblico o a una persona giuridica privata senza fine di lucro. La dichiarazione dell'interesse culturale, o vincolo diretto, produce importanti conseguenze sul regime giuridico del bene: le facoltà proprietarie, di godimento e di disposizione del bene sono affievolite. Il vincolo indiretto invece non tocca il regime del bene culturale immobile, ma soltanto l'ambiente circostante, al fine di evitare che sia messo in pericolo l'integrità del bene. L'oggetto del vincolo indiretto è l'ambiente circostante. Inoltre le limitazioni dell facoltà proprietarie derivanti dalla dichiarazione dell'interesse culturale del bene, o vincolo diretto, sono stabilite dal codice, mentre le limitazioni all'ambiente circostante il bene sono stabilite di volta in volta come contenuto del provvedimento. Il procedimento per l'adozione del vincolo indiretto è promosso dalla soprintendenza competente per territorio anche su motivata richiesta della regione o di altri enti pubblici territoriali. L'avvio del prcediemento è comunicato al proprietario. Questa comunicazione comporta già la temporanea immodificabilità dell'immobile. La competenza dell'adozione del provvedimento di vincolo indiretto spetta non al soprintendente che ha avviato il procedimento, bensì aòòa commissione regionale per il patrimonoi cult, competente anche per la dichiarazione dell'interesse cult. Contro il provvedimento è ammesso ricorso per motivi di legittimità e di merito, al direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, che decide previo parere del comitato tecnico scientifico. Nulla vieta si adotti un atto recante contemporaneamente la dichiarazione di interesse cult per un bene e un vincolo indiretto per un'area circostante. – La circolazione dei beni culturali La circolazione dei beni culturali è disciplinata in modo differenzito a seconda della natura dei beni e dal soggetto proprietario, questa disciplina concerne soltanto i beni protetti del codice. Ne sono esclusi i beni appartenenti allo stato, a enti pubblici territoriali e a persone giuridiche private senza fine di lucro che abbiano costitutito oggetto della procedura di verifica dell'interesse culturale conclusa con esito negativo: queste cose sono liberamente alienabili. A) Beni di enti pubblici e di persone giuridiche private senza fine di lucro L'alienazione di beni culturali, di proprietà dello stato o altre amministrazioni pubbliche costituisce un problema dibattuto. L'alienazione dei beni cult di proprietà dello stato e degli enti pubblici territoriali è stata infine completamente disciplinata dal codice che ha distinto fra beni inalienabili e alienabili previa autorizzazione. L'art 54 ha stabilito le categorie di beni inalienabili comprendenti beni rientranti nel demanio culturale e dunque apprtenenti allo stato, alle regioni: gli immobili e le aree di interesse archeologico; gli immobili dichiarati monumenti nazionali; biblioteche; archivi e immobili dichiarati di interesse importante. L'art 54 ha anche stabilito l'inalienabilità delle cose di interesse artistico, storico ecc appartenenti a enti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro. Gli altri beni cult immobili dello stato e degli enti territoriali quindi del demanio culturale sono alienabili previa autorizzazione del ministero. L'autorizzazione è rilsciata su parere del soprintendente sentita la regione. L'art 56 del codice disciplina l'alienazione degli altri beni culturali divresi da quelli considerati agli artt 54 e 55: questi beni sono inalienabili fino alla conclusione del procedimento di verifica dell'interresse culturale; se il procedimento si conclude positivamente sono alienabili previa autorizzazioe del minstero. B) Beni di persone fisiche e di persone giuridiche privte con fine di lucro L'alienazione dei beni cult di persone fisiche e giuridiche private con fine di lucro non è soggetta ad Il codice prevede 3 casi in cui può essere disposta l'espropriazione la quale, a differenza dell'occupazione, incide in modo definitvo sulla proprietà del bene. L'art 95 stabilisce che i beni cult mobili ed immobili possono essere espropriati dal ministero per causa di pubblica utilità. Questo tipo di espropriazione costitusice uno sviluppo della disciplina posta dalle legge sulle espropriazioni per causa di utilità pubblica del 1865. Il presupposto del'espropriazione era più rigoroso, poiché si chiedeva il pericolo per la conservazione, mentre per il codice è sufficiente l'interesse a migliorare le condizioni di tutela. Il ministero può anche autorizzare a richiesta, ogni altro ente e istituto pubblico a effettuare l'espropriazione di questo tipo. L'art 96 prevede l'espropriazione per fini strumentali. Possono essere espropriati per causa di pubblica utilità aree e edifici. L'art 97 prevede l'epropriazione per interesse archeologico. – Interventi pubblici su beni culturali di proprietà privata Il provvedimento di vincolo diretto (o di dichiarazione dell'interesse culturale) comporta non soltanto limiti alle facoltà proprietarie ma anche la possibilità di vantaggi per il proprietario. L'art 35 stabilisce che il MIBACT ha facoltà di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario del bene per l'esecuzione degli interventi di restauro per un ammontare non superiore alla metà della spesa stessa. Se gli interventi sono di particolare rilevanza origuardano beni in uso o godimento pubblico, il minitero può conccorere all'intera somma. – Il regime fiscale Il regime fiscale dei beni di rilevante interesse cult è stato disciplinato inizialmente dalla l. 1982 n 512. Questa ha istituito per i beni culturali agevolazioni tributarie. La più importante riguarda l'IRPEF e consiste in una detrazione del 19% per le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione dei beni. Un regime fiscale di favore è stato previsto anche per un importante tributo locale, l'imposta comunale sugli immobili ICI e poi per l'IMU. Da ultimo è stato istituito un credito d'imposta “Art-Bonus” per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura. – Lavori privati e rinvenimenti archeologici Per la tutela dei beni di interesse archeologico non ancora rinvenuti il primo problema è quello della loro indiviudazione. Un'area può essere dichiarata di interesse culturale per motivi archeologici anche solo sulla base di una ragionevole probabilità di rinvenimeto di reperti. La dichiarazione comporta che tutti gli interventi sul bene sono soggetti ad autorizzazione e l'amministrazione non autorizzerà lavori nel sottosuolo fino a quando non sia effettuato lo scavo per l'accertamento dell'effettiva consistenza dei resti. È normale che resti archeologici emergano in aree di proprietà privata, non previamente dichairate di interesse culturale. Lo scopritore deve far denuncia entro 24ore e provvedere alla momentanea conservazione temporanea delle cose rinvenute. La soprintendenza interverrà per accertare la situazione. Inolre dovrebbe altresì eseguire lo scavo archeologico disponendo l'occupazione temporanea dell'area, sempr che il proprietario non la metta spontanemante a disposizione della soprintendenza. Una volta completato e documentato lo scavo l'area sarà restituita al proprietario il quale ne potrà disporre liberamente. Nel caso di lavori di carattere privato non vi sono altri poteri preventivi a disposizione dell'amministrazione. Si presenta quindi il rischio che il privato occulti il rinvenimento, si impossessi dei beni e distrugga i resti. L'unico strumento di difesa per questi casi è il costante esercizio dei poteri di vigilanza e ispezione, con l'assiuda sorveglianza dei cantieri in cui possa immaginarsi il rinvenimento di resti archeologici. – La verifica preventiva dell'interesse archeologico Nel caso di realizzazione di lavori pubblici in aree di interesse archeologico il codice attribuisce al soprintendente il potere di richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi a spese del comminttente. La verifica preventiva dell'interesse archeologico (VPIA) è distinta dalla verifica dell'interesse culturale alla quale sono soggette le cose di interesse artistico, storico ecc. la vpia ha oggetto e funzione diversi. Prescinde dalla natura del soggetto proprietario e riguarda solo l'interesse archeologico. Essa concerne soltanto aree sulle quali il progetto di fattibilità tecnica ed economica preveda la realizzazione di un'opera pubblica. La vpia è importante proprio nei casi in cui non sia già intervenuto in precedenza un provvedimento di dichiarazione o di verifica dell'interesse culturale. Per le opere pubbliche, i soggetti che stipulano i contratti trasmettono al soprintendente copia del progetto di fattibilità dell'intervento. Il soprintendente qualora ravvisi l'esistenza di un interesse archeologico nelle aree oggetto di progettazione, può richiedere motivatamente entro 30gg la sottoposizione dell'intervento alla procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico. La pvia si articola in fasi: 1) esecuzione di carotaggi 2) prospezioni geofisiche 3) saggi archeologici ed esecuzione di sondaggi Gli esiti delle indagini sono cosi: a) contesti in cui lo scavo esaurisce l'esigenza di tutela b) contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario c) complessi la cui conservazione non può essere assicurata che mediante l'integrale mantenimento del sito Nell'ipotesi a la procedura si considera chiusa con esito negativo. In b il soprintendente determina le misure necessarie ad assicurare la conservazione e protezione dei rinvenimenti. Infine c le prescrizioni sono incluse nei provvedimenti di assoggettamento a tutela dell'area interessata dai rinvenimenti e il soprintendente avvia il procedimento di dichairazione o di verifica dell'interesse culturale. – CAP IV: Il ruolo delle regioni e l'amministrazione – La riforma costituzionale del 2001 La l.c ottobre 2001 n 3 ha rinnovato il titolo quinto della parte seconda della costituzione e ha modificato la potestà legislativa dello stato e regioni. Lo stato ha ora potestà legislativa esclusiva nelle materie comprese in un elenco tassativo che comprende la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni cult. La tutela dei beni continua dunque a essere disciplinata da leggi statali. La distinzione tra tutela e valorizzazione dei beni cult è stata sviluppata dal codice agli artt 3 e 6. La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a individuare i beni costitutenti il patrimonio cult e a garntire la protezione e la conservazione al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione. Il codice ha corretto la ripartizione di potestà legislativa disposta dalla riforma costituzionale stabilisce la disciplina della valorizzazione dei beni statali, mentre la legislazione regionale di dettaglioo riguarda la valorizzazione soltanto dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cult non appartenenti allo stato. – L'amministrazione di tutela dei beni culturali In passato il ramo dell'amministrazione statale preposto alla tutela del patrimonio storico artistico è stato il ministero della pubblica istruzione, che in periodo fascista assunse il nome di ministero dell'educazione nazionale. Nel '07 seguì la creazione di una rete di uffici periferici, le soprintendenze. Solo nel '74 per iniziativa di Spadolini, è stato creato uno specifico ramo, il ministero per i beni cult e ambientali. Al nuovo ministero sono state devolute – le funzioni svolte dalla direzione delle antichità e belle arti del ministero della pubb istruzione – le funzioni relative alla discoteca di stato (beni sonori e audiovisivi) – le funzioni in materia di archivi Nel '98 il ministero per i beni cult e ambientali è stato soppresso ed è stato istituito al suo posto il ministero per i beni e le attività culturali, al quale sono state devolute anche le attribuzioni in materia di spettacolo. Nel 2013 sono state trasferite al Ministero le funzioni in materia di turismo diventando cosi Ministero dei beni e delle attività cult e del turismo. – L'organizzazione centrale del Ministero Il minsitero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La dotazione organica complessiva prevista è infatti di 19.000 unità di personale, 191 dirigenti. A livello centrale sono cosituite 11 direzioni generali. Queste sono: 1) educazione e ricerca 2) archeologia, belle arti e paesaggio 3) arte e architettura contemporanee 4) spettacolo 5) cinema 6) turismo 7) musei 8) archivi 9) biblioteche 10) organizzazione 11) bilancio La direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio deriva dall'accorpamento, nel 2016 di due distinte direzioni generali (Archeologia; belle arti e paesaggio). Essa insieme alla direzione generale archivi è la struttura più importante per le funzioni di protezione dei beni. Le funzioni più importanti del direttore generale archeologia, belle arti e paesaggio sono: l'espressione della volontà del ministero nell'ambito delle determinazioni interministeriali concernenti il pagamento delle imoste mediante la cessione di beni cult; l'irrogazione delle sanzioni; l'adozione dei provvedimenti di acquisizione di beni cult. Il direttore rilascia la concessione per l'esecuzione di ricerche archeologiche o di opere dirette al ritrovamento di beni cult. – Gli organi consultivi centrali Gli organi consultivi centrali del Ministero sono il Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici e i Comitati tecnico-scientifici. Il Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici è composto dai presidenti dei comitati tecnico scientifici e da 8 eminenti personalità della cultura nominate dal ministro. Il presidente è nominato dal ministro. Il consiglio superiore è organo consultivo a carattere tecnico-scientifico in materia di beni cult e paesaggistici. Dura in carica 3 anni ed esprime pareri obbligatori sui programmi nazionali per i beni cult. Il consiglio esprime inoltre pareri sui piani strategici di sviluppo cult e sui programmi di valorizzazione dei beni. I comitati tecnico-scientifici sono 7: 1) archeologia 2) le belle arti 3) per il paesaggio 4) per l'arte e l'architettura contemporanea 5) per i musei e l'economia della cult 6) per gli archivi 7) per le biblioteche. Ciascun comitato è composto da un rappresentante eletto. Avanzano proposte, per la meteria di prorpia competenza, per la definizione dei programmi nazionali per i beni cult e paesaggistici e dei relativi piani di spesa. – L'organizzazione periferica. Le soprintendenze L'organizzazione periferica dell'amministrazione sei beni cult si basa sulle soprintendenze, uffici di livello dirigenziale. Storicamente le soprintendenze sono state distinte in 3 tipi, ma nel 2016 sono state unificate nelle soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio. I soprintendenti curano l'istruttoria dei
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