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MANUALE DI PEDAGOGIA E DIDATTICA, F. FRABBONI E F. PINTO MINERVA 2013, Sintesi del corso di Pedagogia

RIASSUNTO UNICT : MANUALE DI PEDAGOGIA E DIDATTICA, F. FRABBONI E F. PINTO MINERVA 2013

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 28/01/2022

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Scarica MANUALE DI PEDAGOGIA E DIDATTICA, F. FRABBONI E F. PINTO MINERVA 2013 e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! vMANUALE DI PEDAGOGIA E DIDATTICA PARTE PRIMA: LA PEDAGOGIA I. La Pedagogia Fra Scienza E Utopia Pedagogia E Scienza La pedagogia è una disciplina la cui funzione critica e riflessiva riguarda, oltre che le condizioni e i contesti del pensare e del sapere, anche e soprattutto il suo stesso apparato teoretico (la propria struttura concettuale, i propri linguaggi, i propri metodi). Nella seconda metà del Novecento si assiste all'avvio di un difficile percorso di ricerca di una propria identità e di scientificizzazione della pedagogia, staccandosi gradualmente dalla filosofia, alla quale per lungo tempo è stata subordinata. Riconoscendo la molteplicità delle discipline che la costituiscono, la pedagogia, si presenta come un'area di comune sconfinamento, in cui costruire e condividere conoscenze tra saperi differenti che, con metodi e tecniche differenti, osservano, riflettono e progettano attorno a dei comuni oggetti di indagine. La pedagogia quindi si presenta naturalmente disposta a lasciarsi contaminare da saperi extrapedagogici, ma interpretandoli e ri-orientandoli alla luce di quello che è l'oggetto della ricerca pedagogica, ovvero l'educabilità dell'uomo. Il complesso processo di formazione infatti, oltre al sapere pedagogico, comprende anche una sfera etica, relativa all'acquisizione di valori e comportamenti, e una sfera cognitiva ed affettiva, relativa all'acquisizione di saperi e competenze. La formazione, inoltre, si esplica in una duplice dimensione: - "dar-forma": quei processi attraverso i quali le istituzioni formative si occupano di conservare e trasmettere alle nuove generazioni la conoscenza e la cultura elaborate nel corso della storia; - "formar-si": cioè quei processi auto-costruttivi attraverso i quali il singolo soggetto elabora e trasfigura tale cultura. Gli anni '50 e '60 del Novecento, sono anni cruciali per la pedagogia, che inizia un lento e difficile percorso di riflessione e di ricerca di una propria autonomia,ridefinendo i rapporti con la filosofia e le altre scienze. Nel tentativo di cercare una propria autonomia,la pedagogia orienta nella scienza il suo statuto teorico e prassico, incontrando le diverse correnti di pensiero sviluppatesi nel corso della storia, quali il neopositivismo che andava sviluppandosi in Europa, il pragmatismo negli Stati Uniti, la filosofia marxista e la nuova epistemologia con la sua critica al carattere "neutro" della scienza. La corrente che in un primo momento sembrò soddisfare le necessità del rinnovamento pedagogico fu l'empirismo, così la pedagogia per la prima volta entra nel campo empirico dell'osservazione, della sperimentazione e della verifica. Per quanto concerne i problemi educativi invece, adotta in questa fase storica, il modello del pragmatismo deweyano. Il metodo del pedagogista americano infatti è il cosiddetto "metodo investigativo dell'intelligenza", che pone al centro il concetto di esperienza (intesa come punto d'incontro, ma anche di scontro, tra organismo e ambiente, entrambi aventi un rapporto di reciproco adattamento). Nell'ambito di tali rapporti, l'intelligenza si configura come un "momento" dell'esperienza e presenta quindi una natura pragmatica, proiettata al futuro, al cambiamento e all'intervento sulle cose. Secondo Dewey il metodo dell'intelligenza consente all'individuo di affrontare e risolvere le situazioni problematiche nell'ambito dell'esperienza. L'esperienza per Dewey include: - un elemento attivo, un tentare, quando tentiamo qualcosa, agiamo sulla cosa e interagiamo con essa; - un elemento passivo, il sottostare, quando compiamo un'azione, sottostiamo poi alle conseguenze; L'unione di queste due fasi misura il valore dell'esperienza. Il solo agire, il solo tentare, non costituisce esperienza, essa implica un cambiamento. Quindi il met. dell’intelligenza è ciò che consente all’individuo di affrontare con successo le situazioni problematiche che si presentano nell’ambito dell’esperienza. Inoltre, sostiene Dewey, l'educazione (come ed. democratica) deve avere un duplice compito: - fornire a tutti gli strumenti utili a fronteggiare e gestire i bisogni, le esigenze e i progetti di una società che si evolve e cambia rapidamente; - educare a un pensiero capace di realizzare una società più giusta e democratica, e, al tempo stesso, evitare i rischi di nuovi conflitti bellici. Lamberto Borghi, uno dei primi sostenitori della tesi di Dewey in Italia, afferma che la scuola è il luogo in cui la trasformazione sociale diventa "cosciente". Così, all'interno di questo percorso di ricerca e di riorganizzazione scientifica, si realizza il passaggio dalla pedagogia alle cosiddette scienze dell'educazione. Gaston Mialaret, promotore di questa transizione, propose un modello di pedagogia intesa come un insieme funzionale di diverse discipline che consentono di approfondire e affrontare i problemi educativi con un approccio metodologico di tipo interdisciplinare. Aldo Visalberghi, che si muove in Italia all'interno di questo orientamento, nella sua enciclopedia pedagogica propone la divisione della pedagogia in quattro grandi settori: settore psicologico, settore sociologico, settore metodologico-didattico e settore dei contenuti culturali. In questa divisione emerge la centralità della pedagogia che si presenta come una struttura regolativa a cui spetta il compito di coordinare le diverse articolazioni disciplinari. Il modello empirista e neopositivista che assunse la pedagogia tra gli anni 60 e 70 per avviarsi alla sua autonomia scientifica, subì delle critiche in particolare da autori come Popper, Kuhn e Feyerabend. Popper sosteneva che ogni verità scientifica fosse solo una verità parziale, in quanto essa è sempre in attesa che una nuova verità venga a correggerla e a falsificarla(insufficienza del metodo induttivo, ovvero da asserzioni particolari ad asserzioni universali). Così il metodo della falsificazione nella teoria di Popper, sostituisce il metodo induttivo, ritenendolo insufficiente. Popper afferma che le proposizioni scientifiche non possono essere sottoposte a verifica empirica bensì solo a falsificazione, ossia a forme negative di controllo empirico. Dalla proposizione universale verrà dedotta una proposizione singolare e quest’ultima verrà poi sottoposta al vaglio dell’esperienza, se quest’ultima conferma la proposizione dedotta l’ipotesi sarà rafforzata(ma non verificata), se l’esperienza non conferma la proposizione dedotta anche la proposizione universale risulterà falsificata. Una proposizione è scientifica solo quando può essere confutata dall’esperienza. Il criterio in base al quale una teoria scientifica può essere preferita ad un’altra è la sua maggiore o minore corrispondenza ai fatti (verosimiglianza piuttosto che verità). Toulmin mette in evidenza come l’adozione di una nuova teoria comporti sempre una ridefinizione concettuale e linguistica. Khun approfondisce il rapporto tra continuità e discontinuità nel processo scientifico, sostenendo che l'andamento reale del processo scientifico non è lineare e cumulativo,esso si muove in modo piuttosto irregolare, alternando lunghi periodi di stasi a improvvise crisi e trasformazioni, inoltre ciascun paradigma implica una particolare visione del mondo e la scelta dell’uno o dell’altro è una questione di fede. Feyerabend, in linea con Kuhn, sottolineava l'incommensurabilità delle teorie scientifiche. Secondo lui, infatti, la scienza è governata da un "anarchismo epistemologico". Uno scienziato che desideri massimizzare il contenuto empirico delle sue opinioni deve adottare una metodologia pluralistica, ovvero mettere a confronto le proprie idee con altre idee, anziché con l'esperienza e deve cercare di migliorare anziché rifiutare le opinioni che in questo contrasto hanno avuto la peggio. La conoscenza così è un oceano di alternative reciprocamente incompatibili: ogni singola teoria, costringe le altre ad una maggiore articolazione, e tutte contribuiscono, attraverso questo processo di competizione, allo sviluppo della nostra coscienza. Anche in ambito francese si sviluppa un ampio dibattito critico nei confronti dell'epistemologia tradizionale. Gaston Bachelard sosteneva che tra tutti gli ostacoli che rendono difficoltoso il percorso della scienza, i più gravosi siano di natura non teorica. Si tratta di residui irrazionali del nostro inconscio (abitudini, ideologie, istinti, passioni) che permangono all'interno dell'attività scientifica inducendo la scienza in errore. Egli intende liberare lo spirito scientifico dalle limitazioni impostegli dallo spirito non scientifico. Con questo intento studia il mondo dell’attività fantastica (rêverie), scienza e rêverie sono mondi opposti ma immaginazione e affettività devono poter avere un proprio spazio di libera esplicazione. Da Popper in poi l'attenzione si sposta su fattori di natura non razionale, legati all'intuizione, alla motivazione, all'immaginazione e alla narrazione, in campo scientifico. Questo perché, nella nascita di una teoria, operano prima di tutto le intuizioni, le suggestioni e le tecniche escluse dalla pratica ufficiale e tradizionale della scienza. Mary Hesse sosteneva come il lavoro scientifico sia debitore del pensiero metaforico, che consente di abbattere barriere, di costruire nuove teorie o interpretazioni della realtà, nuove direzioni di ricerca. In Francia autori come Foucault, Derrida, Lévy recuperano la necessità di superare antiche separazioni fra sfera del razionale (politica) e sfera del desiderio (quale dimensione costitutiva del soggetto). Il personalismo pedagogico di questi ultimi anni, accetta di confrontarsi con la complessità della società contemporanea, profondamente inquieta e lacerata, ma anche ricca di tensioni positive, e cerca di farlo senza rinunciare alla dimensione trascendentale, ma ancorandola alla concretezza della storia. Si tratta di un personalismo che, pur mantenendo religiosità e trascendenza, valorizza in particolare l'esperienza dell'uomo e si mostra attento al nesso teoria-prassi. In questo modo la "pedagogia critica" mostra il suo volto teoretico (di filosofia dell'educazione) ma anche il suo risvolto pratico (di pedagogia empirica). Inoltre, la pedagogia sviluppa una critica nei confronti di tutte le istituzioni sociali, denunciando le rigidità ideologiche, quando queste si rivelano funzionali solo per riprodurre l'ordine sociale e per stabilire la gerarchia delle forme di potere. In questo senso, la pedagogia, riconosciuta come un sapere permeato di ideologia. L'ideologia è una componente costitutiva e irrinunciabile del modo in cui l'uomo "pensa e conosce" la realtà. L'ideologia esprime sempre una particolare presa di posizione rispetto al mondo e la presenza sotto forma di verità sul mondo stesso. Il problema è quello di saper riconoscere l'esistenza di una pluralità di punti di vista (cioè una pluralità di ideologie) evitando che uno solo di questi ritenga di essere l'unica visione attendibile del mondo. Il dibattito in corso L'orizzonte della riflessione pedagogica è ricco di prospettive: - La pedagogia personalista: Giuseppe Flores d'Arcais accentua la dimensione esistenziale, soggettiva e problematica della persona. La progettualità della pedagogia colloca questi ultimi all'interno della storicità dell'agire umano e, quindi, si pone su un piano di intervento più operativo. Egli ribadisce, però, che la persona è anche corporeità, storicità, progetto terreno che si fa nel divenire della propria esistenza. Quella di d'Arcais è una pedagogia che cerca di eliminare qualsiasi presupposto a-priori precostituito. - La pedagogia critica: Alberto Granese, rifacendosi allo strumentalismo deweyano e alla filosofia analitica, giunse alla formulazione di una metateoria del sapere pedagogico, in cui si intrecciano ragione teorico- filosofiche e ragioni storiche e antropologiche. Egli propose l'idea di una "pedagogia critica". La sua opzione è quella di una pedagogia come destinazione: come obiettivo non ancora raggiunto. Per esprimere la pedagogia critica egli sceglie la metafora del labirinto: chi è dentro il labirinto deve "fare esperienza", provare e riprovare i percorsi e sforzarsi di trovare l'uscita. E’ nella problematicità della sua incompiutezza , nella difficoltà di confrontarsi con la “porta stretta” (il passaggio difficile che è l’educazione) che risiede la possibilità , per la pedagogia, di approfondire l’avventura della conoscenza accedendo a qualcosa che sia accertato o quanto mento non eccessivamente mutevole. - La clinica della formazione: Riccardo Massa parte dall'indissolubile legame tra dimensione soggettiva e dimensione oggettiva della formazione. E' proprio rispetto alla connessione tra mondo della vita & mondo della formazione che egli formula la proposta di una clinica della formazione (utilizza la parola clinica come metafora che gli consente di delineare i caratteri della razionalità pedagogica che anima la sua teoria della formazione). La clinica della formazione apre un'azione di scoperta e poi di comprensione e rielaborazione dei significati impliciti che intervengono nel corso del lavoro formativo sia da parte dei soggetti in formazione sia da parte dei formatori. Un lavoro clinico comporta il ritorno continuo sull'enigma osservato. Anche Duccio Demetrio sviluppò un modello pedagogico centrato sull'utilizzo della narrazione come via privilegiata dei processi di formazione e autoformazione. La narrazione sollecita la tensione creativa all'apprendimento continuo e ad una costante apertura al cambiamento. - La metateoria ermeneutica: Il modello pedagogico proposto da Franco Cambi è, appunto, la metateoria ermeneutica. Si tratta di un approccio volto ad indagare gli aspetti logico-formali, gli aspetti trascendentali, strutturali e relativi della pedagogia. L'obiettivo è quello di comprendere il congegno del discorso pedagogico, ovvero l'insieme delle sue dimensioni costitutive. La finalità della metateoria ermeneutica è quella di sviluppare un'analisi del discorso del sapere pedagogico che, sulla base dell'uso di una pluralità di modelli di indagine, sappia "articolare i suoi stessi presupposti". Una metateoria ermeneutica si rivolge alle strutture costitutive e regolative di una disciplina. Le strutture a cui si rivolge sono strutture di senso, capaci di caratterizzare il sapere in una data epoca storica. La pedagogia, per Cambi, si configura (allo stesso modo del suo concetto limite: la formazione) come il luogo di incontro di discorsi eterogenei e interconnessi; una scienza in continua ridefinizione. - L'approccio fenomenologico: Piero Bertolini affronta i temi classici della filosofia husserliana: l'esperienza pre-categoriale, l'intenzionalità della coscienza, l'apertura al possibile. Tali temi gli consentono di ridefinire l'aspetto teorico di una pedagogia scientificamente fondata e di ridefinire la progettualità educativa ancorandola alla concretezza del mondo della vita. A tal fine, egli, elabora un modello di pedagogia dai caratteri di una scienza di tipo empirica, eidetica e pratica: empirica (in quanto deve partire da un'analisi dell'esperienza); eidetica (in quanto, non accontentandosi di registrare e descrivere quell'esperienza, va alla ricerca delle costanti che la percorrono); pratica (in quanto la sua stessa giustificazione epistemologica fa riferimento alla sua costitutiva apertura al futuro e alla sua funzione trasformatrice). - L'approccio biopedagogico: Elisa Frauenfelder, la sua ricerca, tesa ad analizzare e problematizzare i raporti tra bios e logos (tra vincoli genetici e input culturali), ha un preciso obiettivo pedagogico, ovvero la "salvaguardia" della centralità del soggetto-persona. Il paradigma biopedagogico mette in campo i concetti di plasticità funzionale, di apprendimento come processo autocostruttivo del soggetto, di formazione come dispositivo di mediazione tra genoma e ambiente. Alla condizione della "plasticità" dell'encefalo, si affianca il momento esperenziale; sono la quantità e la qualità dell'informazione che, innestando un processo di connessione tra le cellule neuronali, inducono un sistema interpretativo e combinatorio regolatore, in ultima analisi, dell'esperienza stessa. Un analogo interesse è presente in Raffaele Laporta che elaborò degli studi relativi alla paidetica , la “scienza empirica della paideia”, ove la condizione assoluta della riflessione paidetica è la libertà, “condizione di ogni ricerca che assuma a proprio oggetto l’educazione”. Il problematicismo pedagogico Analizziamo un importante paradigma della pedagogia: il problematicismo pedagogico (allude a un modello interpretativo e operativo dei processi educativi rivolto alle teorie e prassi educative). Il pedagogista veneziano, Giovanni Bertin, suggerisce alla pedagogia 4 "vesti": 1. La veste TEORETICA: ha una funzione antidogmatica -> mira a denunciare la parzialità dei modelli pedagogici espressi dalla storia dell'educazione. Dunque ha lo scopo di recuperare e valorizzare ciascuna delle polarità caratterizzanti le contraddizioni dell'esperienza educativa (io-mondo, natura-cultura, individualità- socialità) 2. La veste DIALETTICA: il problematicismo pedagogico utilizza gli strumenti dell'analisi teoretica e delle scienze applicate al fine di creare un sistema educativo aderente ai problemi quotidiani di un contesto storico-sociale. La scelta problematici sta implica fedeltà alla ragione e aderenza alla realtà. L'aderenza alla realtà postula una teoria della conoscenza aperta alla molteplicità degli approcci interpretativi. Il Pp (problematicismo pedagogico) si rivolge alla costruzione di una donna e un uomo pluridimensionali, creativi e attivi. Ha l'obiettivo di creare un'umanità capace di partecipare all'uso e al controllo sociale. Un'umanità libera di testimoniare la propria energia inventiva, la propria disponibilità socio-affettiva, la propria sensibilità estetica. 3. La veste FENOMENOLOGICA: La tensione fenomenica assicura apertura e plurilateralità al modello pedagogico. La sua prospettiva è rivolta a considerare gli aspetti soggettivi e oggettivi, psicologico e sociali, storici e culturali dell'esperienza educativa. Questo obiettivo è perseguibile attraverso la coscienza critica dell’universalità delle idee. 4. La veste del POSSIBILE: questa dà luce e prospettiva al concetto stesso di progetto educativo, inteso come modello concettuale entro il quale vanno connessi i molteplici aspetti della vita. Paradigma ideale di organizzazione della vita educativa : aperto ai molteplici sentieri del possibile, ma anche costruito su coordinate aderenti alla realtà. Aderenza alla realtà e fedeltà alla ragione suppongono coscienza storica e consapevolezza dell'unità profonda che deve legare passato, presente e futuro. La categoria del possibile converte il modello pedagogico in un paradigma aperto alla sua continua trasformazione in direzione di ragione: all'interno di un contesto storico sociale che gli assicura identità e riconoscimento culturale. Al centro del dibattito sul binomio educazione-istruzione troneggia il progetto di una alfabetizzazione compiuta che prende il nome di “formazione lungo l’intero arco della vita” (lifelong education). La teoria dell’educazione del Pp è rivolta a un’umanità testimone di mondi plurali, popolati da culture complesse e diverse, per questo il Pp dispone di ali giganti. La singolariità e la progettazione esistenziale permettono al Pp di volare. La singolarità sembra essere l’ultimo baluardo di difesa contro l’istigazione all’identificazione della società odierna, la singolarità come tensione alla libertà. La progettazione esistenziale (copernicano e mai tolemaico) in quanto il Pp tiene gli occhi aperti sull’orizzonte dell’universalità. Una paideia che persegue sia l’ideale della coscienza individuale che collettiva. Il Pp teorizza la dialettica realtà-idealità, i modelli educativi devono sfidare l’esperienza quotidiana della complessità e della problematicità. Le 4 piume che fungono da bussole lungo il volo del Pp sono: dissenso, impegno, scelta e utopia. Il dissenso come sguardo critico sulla società, scienza del dissenso legittimata a dire no ai modelli che mirano a impoverire lo sviluppo integrale del soggetto (no alle discriminazioni, conformismo, omologazione intellettuale, dogmatismo, stereotipia, alienazione); l’impegno (engagement) grazie al quale si può modificare la realtà nella direzione del possibile all’interno del binomio possibilità-fattibilità; la scelta di un modello formativo dalla più alta densità scientifica e storica, l’educazione deve essere capace sia di rispondere all’esigenza trascendentale sia di tenere conto del quadro socio-culturale; infine l’utopia, possibile solo se il domani non replica il presente ma ne rappresenta un arricchimento. La nostra idea sulla pedagogia, è di un sapere generale, critico ed emancipativo della formazione. Un sapere in grado di rispondere alle molteplicità dei contesti, delle istanze, e delle emergenze che la natura dell'uomo pone in quanto "vivente in continua trasformazione". La definizione dell'identità formale della pedagogia risponde al bisogno di autonomia scientifica che si è potuta realizzare grazie alla sua costante tensione autocritica, decostruttiva e ricostruttiva insieme. Una tensione che investe le 2 dimensioni della ricerca pedagogica: la dimensione teorica e quella prassica. L'alfabeto teorico della pedagogia Le categorie formali che permettono di creare la "cornice" epistemica (=che riguarda la conoscenza scientifica) della pedagogia trattano dell'oggetto, del linguaggio, della logica ermeneutica, del dispositivo investigativo, del principio euristico, del paradigma di legittimazione della pedagogia intesa come scienza della formazione. 1. L'oggetto della pedagogia: il campo di riflessione scientifica della pedagogia riguarda la formazione dell'uomo e della donna nella loro collocazione storica, culturale e sociale. Si tratta di una formazione che si struttura in direzione di crescita intellettuale, di autonomia cognitiva e affettiva, di emancipazione e liberazione etico-sociale. 2. Il linguaggio della pedagogia: E' un alfabeto plurale, che si "nutre" del linguaggio della filosofia e di quello delle scienze applicate, della storia, dell'ideologia, del "senso comune". La pedagogia riorganizza questo vasto repertorio di codici, rendendoli raccordabili e di volta inmvolta funzionali alle diverse necessita. Essi sono: a. Linguaggio analitico-descrittivo: è un linguaggio di tipo esplicativo, caratterizzato da termini di natura scientifica e volto a fornire chiarezza sul soggetto della formazione,sulla sua struttura biologica, sugli stadi del suo sviluppo mentale, sui condizion. sociali e culturali che influenzano e determinano la sua identità; b. Linguaggio narrativo: per ricostruire i processi di apprendimento dei soggetti in formazione, le loro differenti realtà di vita e le storie della loro costruzione affettiva e cognitiva; c. Linguaggio retorico-persuasivo: è argomentativo, critico-dialettico, e mira ad individuare direzione teologiche attorno alle quali raccogliere consenso; d. Linguaggio della quotidianità e del "senso comune": vede la compresenza di formule diversificate e anche antinomiche, elementi di natura scientifica ed elementi di natura filosofica, frasi, concetti e approcci tipici del senso comune. Questo insieme mostra come il "parlare di educazione" sia una pratica che investe e coinvolge tutti i soggetti della realtà comunitaria; e. Linguaggio dell'analogia e della metafora: consente all'immaginazione di proporre logiche e soluzioni originali e creative, di prefigurare l'esistenza di una realtà differente. 3. La logica ermeneutica: E' il criterio descrittivo della pedagogia. Si formalizza nella dialettica teoria- prassi- teoria. Questa triplice esigenza di fondazione teorica (sistema di ipotesi), di traduzione (e di verifica) empirica e di riformulazione teorica fa della pedagogia una scienza attenta alle istanze della filosofia e della storia naturale e culturale, della biologia e dell'antropologia, delle scienze e dell'arte. Il riconoscimento della non definitività di qualunque teoria si pone come condizione di una ricerca criticamente orientata, impegnata a ridefinire costantemente il processo di avvicinamento all'ideale utopico dell'emancipazione e dell'autonomia. 4. Il dispositivo investigativo: la complessità dell'oggetto della pedagogia richiede vari metodi di ricerca = dalla ricerca teorica alla ricerca comparata, dalla ricerca storica alla ricerca sperimentale alla ricerca clinica. Durante lo svolgersi del percorso evolutivo, alcune possibilità si smarriscono, altre vengono eliminate e altre ancora producono nuove possibilità in un percorso sempre mutevole e spesso imprevedibile. Questo percorso non deriva da un insieme di leggi a-priori, ma dipende dal particolare contesto di appartenenza del soggetto e dalle scelte effettuate sulle possibilità date e su quelle nuove, aperte dai nuovi vincoli. Un ultimo elemento, infine, il caso, accentua la complessità sempre presente degli eventi reali. In questa prospettiva probabilistica, l'insieme delle possibilità non è dato una volta per tutte, ma cambia in relazione all'effettivo evolversi spazio-temporale degli eventi, alla storia. Viene meno la visione meccanicistica e finalistica dei processi naturali con i suoi valori di onniscienza, regolarità, completezza. Il "caos" ci dimostra che il futuro è realmente e fondamentalmente aperto. In tale nuova prospettiva, le leggi sono più simili alle regole di un gioco, che offrono ai giocatori (i sistemi che interagiscono fra loro) l'insieme di possibilità di azione nell'ambito delle quali i giocatori stessi realizzeranno le proprie effettive mosse. Il gioco è sempre più vario, sempre più ricco, complesso e organizzatore. La molteplicità dei punti di vista con cui è possibile conoscere il mondo hanno come obiettivo il raggiungimento di un punto di vista scientifico unico. La conoscenza, al contrario, si propone nei termini di una costruttività mai conclusa, che si sviluppa nella rete dei molteplici, opposti e complementari punti di vista. Secondo la teoria dei sistemi, un sistema (sia esso l'organismo dotato di un sistema nervoso oppure un paradigma scientifico) è caratterizzato da un dominio cognitivo. E' sulla base di tale dominio che il sistema seleziona gli stimoli dell'ambiente, scegliendo quelli significativi e determinandone il significato stesso. I processi cognitivi vanno interpretati come frutto costruttivo, unico e personale, del modo in cui il sistema cognitivo usa gli stimoli ambientali in un determinato spazio e tempo. Viene meno l'idea di poter giudicare teorie o concezioni scientifiche in relazione ad un punto di vista assoluto. E' necessario considerare le molteplici e contraddittorie visioni del mondo come irriducibili e non gerarchizzabili. Pensiero complesso e multidimensionalità della conoscenza e della formazione L’irriducibile complessità e costruttività della conoscenza spiazza lì aspirazione a un criterio assoluto in base al quale stabilire la validità o meno delle teorie scientifiche (il metodo) e determina la necessità di un approccio storico e plurale ala conoscenza e alla razionalità. Negli anni '80 Morin afferma la sua capacità di rispettare la multidimensionalità della conoscenza, il suo essere articolata in una molteplicità di punti di vista differenti, ognuno dei quali decisivo e al tempo stesso insufficiente. Ciascuna visione del mondo è decisiva in quanto espressione di una precisa istanza di conoscenza ma è insufficiente in quanto frutto di un punto di vista limitato. Bisogna considerare i diversi ambiti di sapere come tasselli del mosaico della conoscenza. Il decollo verso un pensiero multidimensionale richiede di superare "l'errore" commesso dal pensiero formalizzante e quantificatore, che è quello di aver creduto che ciò che non fosse quantificabile e formalizzabile non esistesse. Il pensiero formalizzante deve sapersi interconnettere con altri approcci conoscitivi. Il pensiero acquisisce un'importante capacità dialogica, ovvero la capacità di connettere logiche e principi diversi in un'unità. La conquista di un pensiero multidimensionale e dialogico diventa obiettivo irrinunciabile per lo stesso sviluppo futuro della convivenza democratica nel nostro pianeta. Decentramento e ragione plurale La frantumazione dei metodi di indagine tradizionale portano ad un dibattito nel '900. Viene meno la gerarchizzazione tra ragione e non ragione e si afferma l'utilità degli scambi interdisciplinari. A questo proposito Cives ci fa notare che non entra in crisi il concetto di ragione in se per se, quanto piuttosto l'idea dell'assolutezza della verità scientifica e della ragione unica e assiomatica. La ragione sceglie come procedura per risolvere i suoi conflitti, la ragione stessa. Tutto questo porta ad una rivisitazione dell'Illuminismo, dell'empirismo. Scrive Habermas che solo un supplemento dell'Illuminismo può combattere le devastazioni provocate dallo stesso Illuminismo. La ragione afferma la forza della sua complessità, che come dice Morin, permette di associare nozioni disgiunte come quelle di esistenza e di essere. Ricadute Pedagogiche. Ragione Problematica, Educazione Alla Complessità Ragione ed educazione alla complessità L'acquisizione di più modelli di ragione porta la pedagogia a rivedere le sue strutture razionali: ilsu o statuto disciplinare e la sua progettualità operativa. a) Lo statuto formale. La morfologia epistemica della pedagogia (la sua logica, il suo linguaggio, il suo criterio metodologico) si rifonda radicalmente. La pedagogia acquisisce la consapevolezza del suo statuto complesso e problematico. La pluralità è il contrassegno più appropriato a definire il carattere di una pedagogia della complessità: - pluralità di paradigmi e di interpretazioni, di modelli di ricerca con cui il discorso pedagogico legge se stesso; - pluralità di scienze con cui la pedagogia sente la necessità di intrecciarsi, per riformulare la propria progettualità, il proprio ambito investigativo e le proprie metodologie procedurali; -pluralità di emergenze, richieste, bisogni con cui la pedagogia sente l'urgenza di confrontarsi: i problemi dell'infanzia, il disagio giovanile, le nuove povertà e le nuove forme di analfabetismo. b) La progettualità operativa. Cioè educare al pensiero complesso. La pedagogia orienta il suo telos (svolta decisiva) in direzione dell'educazione alla ragione. Educare alla ragione problematica vuol dire educare a pensare in maniera complessa, avere una conoscenza della conoscenza. Il soggetto che conosce riflettendo sul proprio agire conoscitivo, opera un'azione di auto riflessività. L'educazione alla complessità porta a pensare il soggetto come interconnesso alle conoscenze che produce. Questa rivalutazione della pedagogia vede saldare elementi come contingenza e utopia, cognitività e affettività, singolarità e differenze, ragione e creatività. É un'educazione che mira all'allargamento dei vincoli di reciprocità e alla negoziazione delle regole di convivenza, all'opposizione contro i rischi autodistruttivi dell'evoluzione tecnologica e al riconoscimento e alla ricerca di nuovi valori basati sul rispetto delle differenze, sulla solidarietà e la pace. Un progetto complesso per un obiettivo complesso che per essere attuato deve dispiegarsi in: educazione alle scienze e filosofia (valorizzando lo spirito investigativo ed esplorativo), educazione alle arti (valorizzando la capacità trasformativa), educazione alla democrazia ( valorizzando l’istanza di parità nella diversità) ed educazione alla creatività (quale dimensione costitutiva dell’intelligenza nella capacità di affrontare e risolvere con originalità i problemi di adattamento). La formazione per tutti e per tutta la vita La formazione è intesa come processo attraverso il quale promuovere la costruzione della singolarità. La formazione si muove su due piani: • "L'essere formati" : rinvia a un intervento esterno = alle istituzioni della formazione, alla figura del "formatore", ai contenuti della cultura; • "Formarsi" : rinvia al soggetto stesso che, appropriandosi della cultura, rielaborandola e trasformandola, si fa protagonista della propria autoformazione e autodeterminazione. L'intreccio dell'essere formati e del formarsi si realizza attraverso la mediazione di libertà e autorità, razionalità e relazionalità, ragione e creatività, di sforzo, sofferenza e piacere. La formazione è, dunque, una categoria complessa e proprio per la sua complessità può essere assunta oggi come regolatrice del sapere pedagogico e dell'agire educativo. Il concetto di formazione viene a sua volta arricchito e completato dal termine processo, intendendo la formazione come processo formativo. "Processo", infatti, implica e significa divenire, mutamento e autoregolazione, indica qualcosa che si evolve nel corso del tempo. La formazione è un processo di crescita individuale e sociale. La formazione, per concludere, va pensata come un processo in cui si alternano, in maniera personale e anche imprevedibile, progressione e regressione, continuità e discontinuità, costruzione e decostruzione. Va pensata, infine, come diritto inalienabile di tutti i cittadini, senza distinzione di genere, lingua, cultura, fede e valori. Dalla ragione gerarchica alla ragione plurale La pedagogia è coinvolta dalla struttura autoritaria della ragione, e nel suo sviluppo di ragione plurale, flessibile, multiculturale. La pedagogia intende recuperare le antinomie che la complessità ha prodotto. Questa ricerca e questa ricostruzione della logica gerarchica della ragione si avvale di sei punti fondamentali che sono: - L'antropocentrismo. Esso da una parte pone l'uomo al centro dell'universo, dall'altra, la natura da dominare e sfruttare. Obiettivo è quello di riportare l'uomo alla sua più equilibrata e coerente condizione di essere vivente; - Il glottocentrismo. Che fa del linguaggio strumento privilegiato della comunicazione umana, tralasciando altri aspetti, il linguaggio del corpo deve avere piena dignità; - Il logocentrismo. Centralità del logos che esclude ogni modello divergente dalla logica normativa ed esclude sfere come quella affettiva e dell'inconscio. - L'etnocentrismo. Cioè trasformare il diritto alla differenza in educazione alla differenza al fine di liberare le culture sottomesse. - L'adultocentrismo e la scuolacentrismo. Che mira ad una progettazione formativa rispettosa di tutte le età della vita e attenta alla pluralità dei luoghi della formazione. In conclusione gli esiti del dibattito filosofico e scientifico, ci hanno permesso di cogliere i collegamenti con i temi e i problemi della pedagogia della ragione, che si radica nella storia ed è capace di fare i conti con l’instabilità,la probabilità, l’incertezza, la provvisorietà, la relatività e la differenza. Una pedagogia che utilizza creativamente queste categorie per creare nuovi linguaggi e nuove teorie per leggere, interpretare e trasformare il mondo. PARTE QUARTA: TEMPI E LUOGHI DELLA FORMAZIONE - LA SCUOLA NON BASTA I.VERSO UN SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO I LUOGHI SEPARATI DELLA FORMAZIONE Dal 2013 si può annunciare un futuro dell'educazione verso un sistema formativo policentrico. La città contemporanea è cosparsa di radici identitarie e storico-sociali (il lavoro, le architetture abitative, i beni monumentali e artistici). La città continua a rappresentare il gruppo umano di maggiore estensione. Essa richiede l'accordo sui tempi, sui valori, sulle norme di comportamento pubblico, sui sistemi sanitari ed educativi. Tale sintonia non si ottiene rapidamente, ma una volta raggiunta, riflette le idee in cui tutti possono riconoscersi. La repubblica-città è un mondo multiculturale dove le principali culture e religioni accettano di convivere nella tolleranza. Le città occidentali appaiono colpite da una profonda mutazione genetica. I nuovi paesaggi (resi cupi dalla mondializzazione dell'informazione e della comunicazione-> mass media & personal media) soffrono un'alterazione profonda dei loro segni di riconoscimento. Il tutto a partire dai luoghi deputati alla formazione: la famiglia, la scuola, le chiese. I 3 ATTORI di questo sistema formativo polisistemico sono: 1. IL SISTEMA FORMALE: La Scuola. L'immagine che ci appare è quella di un sistema di istruzione (dell'obbligo e del post-obbligo) che si espone a una lunga lista di punti di "malattia" mai curati. La scuola si presenta ancora oggi colma di pesanti ritardi riguardo la qualità delle conoscenze. 2. IL SISTEMA NON FORMALE: La Città. L'immagine che ci appare è quella di una disinteressata risorsa formativa delle agenzie del fuori scuola (la famiglia, gli enti locali, l'associazionismo, le chiese, il mondo del lavoro). Questa macchina formativa è stata raramente valorizzata come risorsa culturale. Il sistema non formale ha mantenuto egualmente un'elevata credibilità educativa potendo fruire della straordinaria risorsa di volontariato giovanile, adulto e senile. Questa voglia di volontariato (di fare e di cooperare nel sociale) si è sviluppata dall'impegno a tenere in vita i valori universali della disponibilità solidarietà verso chi appartiene alla nostra comunità sociale, ma anche verso chi viene da lontano: da altre culture, etnie. PARTE QUINTA: LE AGENZIE FORMATIVE. DA SALVAGUARDARE E DA INTERCONNETTERE I. LA SCUOLA UN CHECK-UP IMPIETOSO La scuola (del pre-obbligo, dell'obbligo e del post-obbligo), ogni anno, dovrebbe essere sottoposta a un'accurata verifica che accerti il suo "complessivo stato di salute": istituzionale & culturale. La scuola italiana (unica in Europa!) non è mai stata certificata da un'attendibile pagella ministeriale, mai è stata giudicata sulla qualità dei suoi esiti curricolari. Vi è un diffuso sentimento di delusione nei confronti della scuola, essa è da bocciare! I killer sono due I due antagonisti irriducibili di una scuola democratica, inclusiva, pluralista e solidaristica sono: • il Neoliberismo ,"più Società, meno Stato". Ciò significa teorizzare presunte libertà e parità culturali presenti nella società a capitalismo avanzato. Questa risulta tuttora in ostaggio a vecchie e nuove divisioni sociali (di natura anagrafica, etnica, di genere, ecc.) che creano crescenti diseguaglianze, oltre che negli status economici, anche nella qualità dei beni culturali di cui dispone. La scelta ideologica liberista nelle politiche scolastiche porta a impedire l'intervento dello Stato: al quale si nega il compito di dirigere e di gestire le linee di sviluppo istituzionale e culturale del sistema formativo. • il Neointegralismo "no al pluralismo nell'istituzione scolastica (pubblica), Sì al pluralismo delle istituzioni scolastiche (private). Il neointegralismo sta nell'inaccettabile logica del separatismo culturale e ideologico della popolazione scolastica. Il suo obiettivo è di avere tante scuole autonome quanti sono i gruppi sociali e culturali presenti nelle singole comunità nazionali. Ciò porta allo smantellamento della scuola pubblica. Mine vaganti nel mare della scuola - La forbice nord-sud La prima mina vagante si chiama “forbice” tra scuola del Settentrione e scuola del Mezzogiorno. Alle politiche formative dello Stato vanno trasmesse 5 gravi imputazioni: 1. L'assenza di un progetto infanzia rivolto al triennio dell'asilo nido; 2. La mancanza di un'efficace politica meridionalista a favore della scuola dell'infanzia, che resta molto al di sotto delle medie nazionali; 3. il ritardo nella lotta alla dispersione-evasione scolastica; 4. La rinuncia ad uno sviluppo programmato dell'edilizia scolastica. L'asilo nido non ha casa, mentre la scuola dell'infanzia è alloggiata in sedi fatiscenti e in luoghi di fortuna, oppure viene costretta a chiedere ospitalità alla scuola primaria; 5. La precarietà dei servizi di sostegno ai plessi scolastici. Parliamo della carenza di minibus e di mense, che costringe gli allievi del tempo pieno a rifugiarsi nel "pasto secco" (il panino portato da casa). -I saperi di Nonna Speranza Una seconda mina vagante risiede nell’evidente continua rinuncia a una cultura di modernizzazione dei saperi scolastici a cui stiamo assistendo. Ciò prende il nome di senescenza e improduttività delle conoscenze. La scuola "spaccia" l'istruzione in un modo non utilizzabile negli spazi sociali che dispongono di alfabeti e di saperi molto più avanzati rispetto a quelli che si trasmettono nelle aule. La rimozione della scuola La terza mina vagante risiede nella progressiva "emarginazione" del problema scuola dai poli di maggiore attenzione e impegno politico delle nostre compagini governative. Le emergenze di spazi-alloggio, ad esempio, vengono risolte sequestrando le aule scolastiche. Ciò dimostra il continuo disimpegno dello Stato italiano a scommettere sulla scuola e sulla cultura come risorse pubbliche intoccabili e insostituibili: sacre per la crescita e il benessere economico, sociale ed esistenziale dell'Italia. LA SCUOLA CHE VERRA' Le architravi di sostegno Sono 4 i pilastri di sostegno del patto di stabilità del sistema formativo che il vecchio continente ha deciso di stipulare con i Parlamenti dei suoi 27 paesi. Si tratta di un patto di stabilità dei sistemi di istruzione europei al quale assegnare il compito di combattere (con le armi della pedagogia e della didattica) il neoliberismo e il neointegralismo della meritocrazia (che ripudia la democrazia), dell'esclusione (che ripudia l'integrazione), del pensiero signorsì (che ripudia il pensiero plurale) e della competitività (che ripudia la convivialità). • PILASTRO 1 : Opzione democratica. La scuola ha il compito di farsi scudo di difesa del diritto di accesso e di successo delle giovani generazioni. Un traguardo perseguibile se le politiche dell'istruzione affronteranno con determinazione la dispersione scolastica: sia materiale (generata dalle bocciature- ripetenze-abbandoni), sia intellettuale (generata dall'abuso di conoscenze enciclopediche che "atrofizzano" la mente). La dispersione materiale si può evitare con l'ingresso nella scuola di strategie di insegnamento "individualizzato" a misura del capitale di conoscenze di cui dispone l’allievo; mentre la dispersione intellettuale si può evitare a patto che la scuola non veicoli conoscenze assunte passivamente e acriticamente. Ciò può accadere se i curricoli ministeriali sapranno inoltrarsi lungo sentieri cognitivi ricchi di competenza, di interdisciplinarità, di ricerca e creatività. • PILASTRO 2 : Opzione inclusiva. La scuola italiana ha un pregio nazionale. Nell'ultimo ventennio del 900 ha avuto il merito di non accettare le proposte dei governi europei sostenitori dell' esclusione dei disabili dalla scuola di tutti. Il nostro sistema non ha più abbassato la guardiafino a quest'ultimo quinquennio. Non è stato più possibile respingere la paleopedagogia dell'ex ministro Mariastella Gelmini. Simpatizzante per l'avvento di classi speciali (per i disabili), di classi etniche (per gli extracomunitari) e di classi monogenere (i maschi con i maschi, le femmine con le femmine). • PILASTRO 3 : Opzione culturale. Soltanto in una scuola delle competenze e del pensiero plurale gli allievi saranno in grado di "allacciare i fili di una gigantesca matassa" cognitiva al fine di comprendere i nessi che legano insieme i tanti anelli sparsi delle conoscenze. • PILASTRO 4 : Opzione conviviale. Mai va rimossa nella scuola la centralità formativa della relazione interpersonale: il dialogo, l'ascolto, l'amicizia, la disponibilità, la cooperazione. I docenti sono chiamati a liberare un clima socio-affettivo positivo: tollerante, gratificante, identitario. Nella scuola, quindi, va azzerata ogni cifra di incomunicabilità e di inibizione al fine di porre gli allievi nelle condizioni migliori per esercitare il loro bisogno di incontrare e di dialogo. Occorre introdurre nei luoghi dell'insegnamento e dell'apprendimento un forte solidarismo, allo scopo di alimentare tra gli allievi dinamiche interpersonali che diano senso e significati allo stare insieme per conoscersi e imparare. Bisogna creare un sistema di istruzione dallo stile cooperativo. Il grattacielo della scuola La scuola che verrà dovrà assomigliare ad un grattacielo articolato lungo sei piani, in ognuno dei quali vi sono le figure identitarie del suo ruolo formativo. - PIANO 1. Dà dimora alla "bussola" di un sistema formativo dotato di un asse longitudinale di un asse trasversale. La linea verticale mira alla formazione lungo l'intero arco della vita; la linea orizzontale mira alla costruzione di un sistema integrato tra la scuola e le agenzie territoriali intenzionalmente formative (famiglia, enti locali, associazionismo...). - PIANO 2. Dà dimora democratica alla scuola pubblica. Parliamo di una scuola dell'autonomia aperta alla pluralità delle culture, dei linguaggi e delle idee. - PIANO 3. Dà dimora pedagogica al binomio mente-cuore. La scuola ha il compito sia di formare allievi che pensano con la propria testa, sia di dare centralità al loro cuore perché tra i banchi raramente ricevono ascolto e dialogo i linguaggi affettivi, emotivi e relazionali delle giovani generazioni. - PIANO 4. Dà dimora culturale alle competenze. Queste, richiedono una duplice padronanza cognitiva. La prima (monocognitiva) è la capacità di riprodurre gli alfabeti delle discipline scolastiche. La seconda (metacognitiva) è la capacità di creare e costruire conoscenze. - PIANO 5. Dà dimora didattica all'inclusione. Possibile in una scuola disponibile all'inserimento e all'integrazione delle diversità. Aperta quindi alla molteplicità delle culture e dei valori dell'ambiente. - PIANO 6. L'ATTICO. Dà dimora valutativa al merito degli allievi. Il profitto degli alunni, però, deve essere raggiungibile soltanto salendo i precedenti 5 piani del grattacielo. II. LA FAMIGLIA IN DIFESA DELLA SINGOLARITÀ Per arginare l'irruenza e l'invadenza del mercato formativo a pagamento è necessario perseguire l'alleanza tra il sistema formale e il sistema non formale, tra la scuola e le agenzie extrascolastiche intenzionalmente educative. Un patto chiamato a promuovere un rapporto di scambio tra la scuola e i beni/opportunità formative del territorio. In particolare, non più scuola e famiglia separare in casa. La famiglia ha il compito di fungere da prima guida verso la formazione integrale di una persona che sappia contrastare i processi di massificazione generati dalla società dei consumi e dalla cultura mediatica. Queste ultime tendono a eliminare la singolarità individuale, creando un'umanità dimezzata. Contro i pericoli della manipolazione e dell'asservimento collettivo, la singolarità (alla cui guida vi è la famiglia) sembra essere l'ultima difesa dalla globalizzazione. La singolarità deve essere intesa come tensione alla libertà. La famiglia non può sottrarsi al ruolo di motore di un'educazione come costruzione di una singolarità filiale: equipaggiata sia di valori culturali (COLTA), sia di valori civili (RESPONSABILE), sia di valori esistenziali (SOLIDALE). SEI IDEE PER MAMMA E PAPÀ Sono state elaborate sei idee pedagogiche per la famiglia: • IDEA 1: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo sulla qualità della vita comunitaria (convivialità e valori civili) e culturale (servizi scolastici e offerte formative) di cui deve farsi carico la città contemporanea se intende progettare il futuro delle giovani generazioni (territorio urbano a misura di chi lo abita). • IDEA 2: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo che fornisce conoscenze relative ai parti cesarei, alle depressioni postpartum, all'importanza del latte materno, agli psicofarmaci, alla bulimia e all'anoressia, alla disabilità, ecc.(definire livelli di conoscenze/competenze minime di cui devono disporre i genitori). • IDEA 3: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo intitolato ai diritti esistenziali delle bambine e dei bambini. La crescita esponenziale dei degradi urbani va fronteggiata con diffusi interventi di sostegno psicopedagogici. • IDEA 4: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo intitolato alla "mens sana in corpore sano". Tra i compiti formativi di mamma e papà non è prioritaria soltanto la maturazione intellettuale e socio-affettiva dei piccoli,ma anche un armonico sviluppo della loro corporeità. • IDEA 5: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo intitolato alla dignità della vita infantile. Per questo, i genitori devono chiedere con forza agli enti locali che venga allestita un'efficiente rete di osservatori regionali che documenti sia lo stato di disseminazione dei primi servizi educativi (asilo nido e scuola dell'infanzia), sia l'antica malattia del lavoro minorile e della dispersione scolastica. • IDEA 6: La famiglia non può sottrarsi al ruolo di protagonista nella recita del copione educativo intitolato ai mass media e ai personal media. Si deve prendere coscienza dei pericoli devastanti provocati dai media per le nuove generazioni. LA FAMIGLIA SOGGETTO DI PARTECIPAZIONE La presenza della famiglia nelle sedi formative dell'infanzia e dell'adolescenza ha il pregio non solo di concorrere a ridurre l'antico fossato esistente tra la comunità civile e i contesti scolastici, ma anche di accelerare la democratizzazione dei luoghi dell'istruzione e la socializzazione dei ferri del mestiere dell'insegnante. culturali, valoriali. Tutto ciò, nel 20º secolo, ha causato la progressiva scomparsa dell'infanzia commettendo, nei confronti dei bambini, una duplice violenza: da una parte l'infanzia viene gettata troppo presto nel mondo degli adulti; dall'altra, l'infanzia, viene gettata troppo presto tra le onde del mare mediatico (l'omologazione nella cultura diffusa). L'infanzia coca-cola A fine secolo è stata posta al centro dell'impegno politico del nostro paese l'idea di una città amica dell'infanzia. Per realizzare tale progetto, però, occorreva redigere urgentemente un manifesto pedagogico che fungesse da bussola di orientamento per i genitori, per gli insegnanti, per gli amministratori, per i sindacati e per il mondo del lavoro la finalità era quella di aprire alle nuove generazioni una strada vivibile, caratterizzata da dialogo, socialità, appartenenza e multiculturalità. L’infanzia sta scomparendo nelle città dei consumi, le metropoli vengono ritagliate a misura dell’età generazionale che lavora e produce (stagione adulta) mentre sono sempre più povere le offerte di convivialità comunitaria rivolte alle età della vita non ancora inserite o già uscite dal mondo del lavoro. Merito della città di Barcellona fu quello di convocare le 50 metropoli più popolose del pianeta per discutere del presente e del futuro della vita infantile e adolescenziale degli odierni contesti urbani. IL RISULTATO POLITICO. La capitale catalana diede il primo giro di manovella alla carovana delle città educative. Infatti a Barcellona fu preso l'impegno di incontrarsi biennalmente nei paesi più significativi della terra raddoppiando ogni volta di numero (nel 1992 le città ed. si ritrovarono in 100, nel 1994 in 200) fino al 2001, quando la carovana concluso il suo viaggio di fronte alla strage terroristica delle Torri Gemelle. IL RISULTATO PEDAGOGICO. Il merito dell'incontro Barcellona quello di scuotere la coscienza collettiva del pianeta sulle condizioni dell'infanzia. I bambini, infatti, vivono in "gabbia" (in famiglia, a scuola, nei compiti pomeridiani,video, corsi a pagamento ecc.), per questo l'infanzia gradualmente scompare. Si parla dunque di un'infanzia in scatola e/o il lattina (infanzia coca-cola). No ai bambini del sabato La celebrazione del dio della razionalità economica, che caratterizza la nostra società, porta a idolatrare la stagione adulta come l'età regina, che conta di più perché contribuisce al mercato del lavoro. Così le precedenti età generazionali (infanzia, adolescenza e giovinezza) vengono anticipate e velocizzate in modo da raggiungere al più presto quelle successive, fino ad entrare precocemente nella stagione dell'adulto- lavoratore. In una società che idolatra il totem dell'economia, la stagione adulta simboleggia dunque l'uomo "utile", che produce e che consuma. L'anticipazione dei tempi della vita preoccupo molto perché concorre alla scomparsa dell'infanzia, costretta a entrare precocemente nel mondo adulto senza avere il tempo di interiorizzare le conoscenze e i modelli di vita sociale e comunitaria (bambini = minicopie del mondo dei grandi). Il prezzo salatissimo che i bambini pagheranno è l'infelicità, perché saranno costretti a percepire tutto in modo confuso, annebbiato, sdoppiato e saranno quindi impossibilitati a cogliere gli aspetti emotivi, cognitivi e sociali. Si vuole imporre ai genitori di far indossare ai loro figli l'abito del sabato, e non più la veste della domenica (il penultimo giorno della settimana simboleggia, infatti, l'anticipazione e forse la cancellazione della giornata della festa). IL CIELO STELLATO DEL SECONDO NOVECENTO La pedagogia popolare Nell'ultima metà del novecento, le nazioni europee guidate dall'Italia, scesero in campo aiutando i comuni e il privato sociale (parrocchie, volontariato, associazioni profit, genitori,ecc.) con l'obiettivo di incoronare la scuola tre-sei ad agenzia di socializzazione e di alfabetizzazione per la seconda infanzia. Modello riconosciuto e apprezzato per l'originalità e l'aristocraticità di un sistema pedagogico didattico costruito su misura per la seconda infanzia. Sulla collina di Spoon River La pedagogia popolare italiana ha fruito nella seconda metà del novecento di tante straordinarie teorie educative. Le figure più autorevoli che hanno contribuito a delineare le quattro identità esistenziali della stagione dell'infanzia sotto i sei anni sono state: - Rosa Agazzi: l'Infanzia del cuore (della convivialità); - Maria Montessori: L'infanzia della mente (dell'autonomia); - Loris Malaguzzi: L'infanzia della fantasia (della creatività); - Bruno Ciari: L'infanzia scout (dei perchè). Queste figure hanno contribuito ad un forte rinnovamento della pedagogia italiana, rendendola ca pace di costruire pazientemente la capanna della scuola dell'infanzia, dove convivono e si confrontano diverse teorie educative e diversi modelli didattici. È un fecondo patrimonioeducativo che ha fatto sì che, nella seconda metà del novecento, si potesse dare il via al cambiamento del pre-obbligo del vecchio continente. Il nuovo indirizzo didattico Nella seconda metà del secolo scorso, la presenza molto diffusa in Italia della pedagogia popolare, democratica e progressista, ha avuto il merito di elaborare e di sperimentare una valida teoria-prassi dell'educazione scolastica. Una strada formativa italiana che ha il compito di abilitare i bambini a pensare con la propria testa e a sognare con il proprio cuore. Questa pedagogia "endogena" rivolta alle prime età evolutiva (e alimentata dalle illustri figure prima menzionate) è stata in grado di contrapporsi alla crescente esterofilia (sopravvalutazione e simpatia verso tutto ciò che è straniero). La pedagogia popolare, infatti, scommette su un'infanzia storica, antropologica, in carne e ossa: che vuole conoscere ma anche sognare. Una politica grande per i più piccoli La scuola dell'infanzia del nostro paese è stata in più occasioni considerata in Europa (e oltreoceano) come il servizio scolastico più denso di valori pedagogici e didattici. Nelle sue sezioni di "nido" e di "materna" è cresciuta un'infanzia seria e concentrata. Sono bambini che assaporano, giorno dopo giorno, una scoperta dopo l'altra, che osservano il mondo che li circonda e che scrutano mondi lontani. Purtroppo, le controriforme scolastiche dei nostri governi populisti, hanno costretto l'infanzia e la scuola al silenzio. Ma le famiglie chiedono, con crescente consapevolezza pedagogica, i loro figli abbiano a disposizione, nel loro futuro, un solido pensiero plurale; una mente scout che sia scomoda, piena di dubbi e di domande. Un manifesto nel nome dell'infanzia alleghiamo un manifesto pedagogico di 10 tesi per l'infanzia e per la scuola (asilo nido e scuola materna). - Tesi 1. È necessario promuovere una conferenza nazionale dell'infanzia (formata da genitori, insegnanti, enti locali,ecc.) alle quali assegnare il compito di elaborare un progetto zero-sei a raggio nazionale. - Tesi 2. Occorre redigere una carta di cittadinanza dei bambini e delle bambine corredata dei diritti e dei doveri propri di una comunità che formi le nuove generazioni sui principi della democrazia, giustizia, pluralismo, solidarietà. - Tesi 3. È necessario dar vita ad un osservatorio nazionale sui problemi dell'infanzia. - Tesi 4. Occorre varare dei piani regolatori rivolti all'infanzia e alle altre età generazionali Questo significa trasformare le odierne città-mercato e dei consumi in comunità con elevati standard di aggregazione, cooperazione, convivialità e solidarietà. - Tesi 5. Occorre chiedere al mediatico di impegnare risorse per qualificare i palinsesti rivolti ai bambini. Lo scopo è far sì che l'infanzia possa arricchire, e non impoverire, le sue conoscenze, la sua fantasia, immaginazione, creatività. - Tesi 6. Bisogna varare una legge che avvii un piano poliennale di sviluppo della scuola dell'infanzia. - Tesi 7. Occorre moltiplicare, nel nostro paese, il modello istituzionale delle nuove tipologie dei servizi educativi per l'infanzia. È un modello che pone al centro gli asili nido e le scuole tre-sei, e alla periferia le offerte educative del territorio (i campi gioco, le ludoteche, gli spazi infanzia, gli spazi famiglia, ecc.). - Tesi 8. Nella scuola della prima e della seconda infanzia va diffuso il modello didattico"spe rimentale". Un modello che è contro i metodi prefabbricati e rigidi, e che è invece a favore di soluzioni didattiche flessibili e modulari, aderenti ai bisogni reali dell'infanzia e alle variabili economiche, sociali e culturali che costellano questa stagione della vita. - Tesi 9. Occorre avviare una formazione universitaria per gli insegnanti della scuola dell'infanzia: asilo nido e scuola materna. - Tesi 10. Occorre assicurare alle scuole zero-tre e tre-sei dei curricoli propri. II. I GIOVANI LA STAGIONE FABBRICA DI FUTURO La condizione sociale, il vissuto culturale, l'habitat territoriale, il modello comunitario e il profilo psicologico dei giovani sono elementi che contribuiscono a disegnare diverse immagini giovanili. Inoltre, le politiche delle destre europee, che rubano il futuro ai giovani inondandolo di lavoro precario, costringono la quinta infanzia ad "arruolarsi" in un esercito professionale "di riserva" in attesa della riapertura di un mercato del lavoro stabile e sicuro. Analizzando la percezione che hanno i giovani del mondo, emergono due importanti caratteristiche: l'estraneazione istituzionale, sociale e intellettuale che produce un senso acuto di smarrimento, e la defuturizzazione. Due Sguardi Sul Pianeta Giovani I giovani avvertono sempre di più sulla loro pelle i segni dell' estraneazione, della marginalità e dell'incomunicabilità, generate da un mondo avvolto nel silenzio. Si sentono incompresi dalle formazioni politiche (conservatori e progressisti) presenti in Europa: - I conservatori guardano al mondo con occhi colmi di pregiudizi, sentenziano identità giovanili fannullone e/o ribelliste – mammone e/o eversive. Stampano e divulgano due false identità giovanili: una grottesca (tipica dei giovani edonisti) e una demonica (giovani che disseminano insicurezze e pure nel mondo). - I progressisti invece, guardando al mondo giovanile documentando che l'età pre-adulta e affollata da disagio e marginalità, alimentati da una società neoliberista indifferente. UN CITTADINO DIMEZZATO Tutto questo genera l'incubo di un'età giovanile senza cittadinanza. L'esclusione, infatti, dilaga nei punti nevralgici del continente giovanile e, l'industria massmediatica contribuisce all'estraneazione perché fornisce alla sua utenza una falsa immagine pubblica dei giovani, divulgata, per ragioni di mercato, dall'industria dei consumi di massa: commerciale (abbigliamento, alimentazione, ecc.) e culturale (cd e fotoromanzi), dunque un quadro giovanile mercificato. Il pianeta della quinta infanzia, pertanto, è costretto ad accumulare toni di disimpegno e di rinuncia nei confronti dei valori della disponibilità e della responsabilità. Nel percorso formativo della scuola, inoltre, i giovani sono posti di fronte a un doppio blackout, dove la responsabilità va imputata alla scuola-no. Il primo disco rosso impedisce loro la comprensione della cultura antropologica e scientifica, questo perché la scuola fornisce un'istruzione depositaria, inattuale e calcificata. Il secondo disco rosso sbarra loro il passaggio all'impegno nelle istituzioni del proprio territorio. Anche in questo caso le responsabilità vanno imputate alla scuola-no, che si presenta come un corpo separato dal territorio di vita dei giovani, blindato nelle pareti della classe. Le reazioni del mondo giovanile di fronte al protagonismo artificiale sono disimpegno personale e collettivo. UN'ETÀ SENZA DOMANI? Essere giovani oggi significa avvertire sulla propria pelle il brivido di una società senza futuro. Si genera così un nuovo incubo, quello di un'età giovanile senza domani. La defuturizzazione genera un mondo privo di utopie, le quali, come abbiamo già detto in precedenza, sono indispensabili e irrinunciabili per poter scrivere e progettare una vita e una società di giustizia, solidarietà, rispetto delle diversità, della convivenza e della cooperazione sociale. La consapevolezza di questo processo degenerativo di cui è responsabile la società della globalizzazione dei mercati e delle conoscenze, sta provocando una drammatica caduta della tensione morale delle nuove generazioni. Le risposte dei giovani alla presa di coscienza della loro "marginalità" sono tendenzialmente differenti tra loro, ma certamente sono tutte risposte di contestazione. ALI AI SOGNI GIOVANILI Un'infanzia all'adolescenza costrette tutte nei banchi di scuola, la marginalità e l'incomunicabilità, generate da un mondo avvolto nel silenzio, portano all'incubo già denunciato nelle righe precedenti: un'età giovanile senza cittadinanza e senza domani. Si è detto, inoltre, che l'industria culturale di massa è responsabile della generazione di estraneazione e defuturizzazione del giovane, in quanto fornisce alla propria utenza una quoziente intellettivo resta stabile, il pensiero astratto non viene modificato, la creatività può perdurare a lungo. Da qui l'importanza di contrastare l'invecchiamento del cervello, mantenendo vivo un interesse o un hobby, stimolare la mente per tenere attiva la memoria a breve, ecc. In età senile l'uomo e la donna non sono più maggiorenni in quanto non possono più esprimere liberamente le loro opinioni: la vecchiaia è succube, deve ascoltare e basta! Per questo, occorre fornire agli anziani dei progetti di vita e di cultura, senza escluderlo dal mondo della politica, della cultura, dell'arte. Gli enti locali, le province e i comuni, negli ultimi decenni hanno avviato diversi programmi, destinati alla terza età, per garantire loro i valori esistenziali dell'autonomia, della salute e della conoscenza. Il tutto allo scopo di tenere viva nel mondo anziano una cittadinanza attiva impegnata, collaborativa e responsabile. I governi locali non si sono sottratti dall'utilizzare le risorse (materiali, sociali e culturali) necessarie a soddisfare i bisogni della propria cittadinanza anziana (per garantire alla terza età, per esempio, di vivere nel proprio appartamento anche quando non dispone di una piena autosufficienza, attraverso la presenza part-time di figure assistenziali che permettono all'anziano di continuare a sentirsi autonomo; quando invece vi è l'impossibilità materiale continuare a vivere nella propria casa, occorre garantire opportune risorse per mettere a disposizione della terza età delle case di riposo confortevoli). A questo proposito, sono da apprezzare le università per la terza età, impegnate a tenere in vita nella popolazione senile interessi e stimoli culturali (musica, danza, lettura, pittura, poesia, teatro, cinema). PIÙ CONOSCE PIÙ RESTA GIOVANE Abbiamo segnalato la prima garanzia, di natura sociale, a cui ha diritto la terza età: l'assistenza e la cura (domiciliare o in strutture apposite). La seconda garanzia, di natura normativa, a cui ha diritto l'età senile si chiama conoscenza (ovvero la manutenzione della sua mente). L'età senile, infatti, se lasciata deperire, provoca depressioni e smarrimenti, apparendo come un inarrestabile viale del tramonto lastricato di mortificazioni, esclusioni e rifiuti. Quindi la vecchiaia, non solo ha il diritto alla tutela della salute e dei bisogni primari (autonomia, cibo, cure, movimento), ma anche e soprattutto il diritto ad una mente allenata (capace di cogliere l'evoluzione dei processi di invecchiamento) e ad un cuore che sogna (capace di accendersi se viene scosso da sentimenti forti, emozioni, affetti e illusioni). Questa finalità diventa perseguibile solo quando gli enti locali, non solo promuovono e gestiscono un' efficace assistenza domiciliare, ma offrono anche luoghi attrezzati e iniziative sociali volte a promuovere attività di natura conviviale, ricreativa, formativa e culturale per gli anziani. UNA CITTÀ A MISURA DI ANZIANO Le politiche sociali del territorio investono le risorse finanziarie necessarie per potenziare e qualificare sia i settori della ricerca scientifica (pediatria e geriatria, neuroscienze, medicina preventiva e curativa), sia la rete delle strutture educative, dei servizi sociali e culturali (asili nido, scuole dell'infanzia, servizi alla persona, centri per anziani e case di riposo), lanciando il messaggio che la terza età non va lasciata sola. Ma non è sufficiente, perché, all'interno di un modello così radicalmente "adulto-centrico", l'età senile si sente destinataria di segnali di ostilità, di marginalizzazione e di rifiuto. Pertanto è necessario sia alfabetizzare le cinque età della vita (lifelong education), sia fornire alla stagione dell'invecchiamento le conoscenze necessarie per contrastare il potere dell' l'influenza degli stereotipi socio-culturali: a partire dalla messa in fuori gioco dell'immagine irreversibilmente degenerativa della senilità. A questa concezione della vecchiaia va sostituito un sillabario psicopedagogico, per fare in modo che alle perdite e ai deficit che si verificano nei processi di invecchiamento, si accompagnino delle nuove abilità. Il processo di invecchiamento è l'esito di un complesso intreccio componenti biologiche,neurobiologiche, socio-culturali e ambientali. Nella terza età, di là delle modificazioni di organi e di funzioni, esistono dei processi permanenti di ristrutturazione delle abilità compromesse; queste, se sostenute e valorizzate, permettono di prevenire e compensare quei deficit ritenuti erroneamente irreversibili. In particolare, è il cervello l'organo che più di tutti rivela una grande capacità di adattamento, tanto da rendere permanente nel tempo l'efficienza delle funzioni cognitive. La tesi è che la funzionalità mentale è solo in parte legata all'età o al numero dei neuroni, essa è legata anche alla ricchezza delle connessioni tra le sue cellule. In questa prospettiva, la formazione, intesa come intreccio tra mente e cuore, rappresenta il principale antidoto ai processi di decadimento mentale (e anche fisico). In sostanza la vecchiaia, anziché essere intesa come un periodo di declino, va trasformata in una stagione di cambiamento: dall'inverno della subcultura anagrafica alla primavera della controcultura. PARTE SETTIMA: LE EMEGENZE EDUCATIVE. MONDI DA DIFENDERE SEMPRE I. IL GIOCO GUAI A CENSURARE IL GIOCO Nella Repubblica Federale Tedesca, nei taxi, nei metro, nei market, troviamo uno slogan con la scritta "più tempo per i bambini". A tal proposito ci siamo posti due interrogativi: - Primo interrogativo. "Più tempo per i bambini" significa più tempo da dedicare ai bambini da parte dell'adulto? Purtroppo, il tempo da investire a favore dei figli o degli scolari non si presenta come uno spazio "neutro" anzi, al contrario, è intriso da modelli educativi differenti dei genitori e degli insegnanti. Sono il controllo e il dominio dell'infanzia a far sì che i genitori e i docenti possano condurre i figli-scolari verso una vita di subalternità o di autonomia, di oppressione o di liberazione, di indottrinamento o di emancipazione intellettuale ed etico sociale. - Secondo interrogativo. "Più tempo per i bambini" significa più tempo per restare (essere) bambino o bambina? Ma di quale infanzia? Quella dei figli-scolari liberi di consumare il proprio tempo più per soddisfare i propri interessi, oppure i bambini mediatici, costretti a consumare il tempo più lontani dal loro mondo e ad esistere come altro da se? Purtroppo siamo al cospetto di un'infanzia superstar: attrice di sfilate, festival, serial e short pubblicitari. Un quadro mercificato e fittizio di umanità, sempre più immagine e spettacolo e sempre meno parola, impegno, fantasia. APPRENDERE GIOCANDO. I curricoli ministeriali si presentano vecchi e poveri di contenuti culturali, e per questo motivo non sorprende la totale assenza nell'alfabetizzazione di base di due "stelle" formative che hanno sempre illuminato il cielo della scuola del novecento: creatività e gioco. - La creatività. I curricoli del vecchio continente insistono sulla rimozione e sulla censura delle conoscenze passate sulla creatività. Pertanto, la creatività a cui viene data ospitalità nella didattica, è la controfigura dell'immaginario e della fantasia. I linguaggi grafico-pittorico, musicale, teatrale e manipolativo, anziché farsi veicolo di competenze logico-immaginative, vengono relegati durante i break degli allievi con il semplice scopo di intrattenimento. - Il gioco. I curricoli del vecchio continente esprimono, inoltre, rimozione e censura anche nei confronti del gioco, che viene ridotto alla povertà pedagogica in quanto relegato ad alleviare l'immobilità-sedentarietà accumulata in classe (durante i 10 minuti dell'intervallo). NON SI IMBAVAGLIA LA FANTASIA SE CITTÀ E SCUOLA NEGANO IL GIOCO. In una società dalla cultura preconfezionata, il compito delle famiglie e della scuola è quello di mettere a disposizione dei propri figli e dei propri alunni molteplici linguaggi ludico- creativi, a partire dalla pratica dei codici di comunicazione (musica, pittura, danza, scultura e immagine) che soffrono invece abitualmente di marginalità ed esclusione. Ma quali sono le cause? - La prima causa è di natura economica: la produzione e la messa in circolazione di luoghi e vissuti ludici ad elevato tasso di fantasia e creatività non trovano investimenti in una città mercato interessata soltanto al profitto. Per questo motivo le strade, le piazze, i cinema e i centri commerciali sono invasi da forme ludiche del tutto funzionali al consumo commerciale e mai connessi alla fantasia (ma soltanto al guadagno). - La seconda causa è di natura pedagogica: la responsabilità, infatti, non è soltanto della città basata sul mercato e sul profitto, ma anche della scuola. Questa è responsabile di tenere in vita un modello di istruzione nozionistico ed enciclopedico che relega in soffitta i linguaggi ludico creativi. Al gioco, quindi, viene fatta indossare la veste del clown con l'obiettivo antipedagogico di distrarre per qualche attimo gli allievi dai saperi ufficiali e prescrittivi. CON LA VESTE DI ARLECCHINO Porre il gioco in stretta relazione con il mondo infantile, soprattutto al giorno d'oggi, caratterizzato da innovazioni tecnologiche e scientifiche, significa mettere in evidenza due aspetti fondamentali dell'attività ludica: un' ambigua simbologia e una sfaccettata fenomenologia. - Una simbologia ambigua. Il mondo ludico dell'infanzia è ricoperto da sempre di simboli e di che svolgono una funzione transizionale. Sono infatti utilizzati dagli adulti per alludere a qualcos'altro: per questo il gioco è una maschera pedagogica, ma anche una maschera ambigua in quanto sotto le sue sembianze nasconde un volto adultistico (viene utilizzato dai genitori e degli insegnanti come strumento di controllo psicologico, di dominio culturale e di colonizzazione ideologica). Da qui la nube simbolica che da sempre avvolge in il gioco infantile, una macchia grigia che allude a meccanismi psicologici e culturali pilotati dall'adulto. La tendenza adulta a disseminare i luoghi e le occasioni ludiche dell'infanzia di giocattoli, è di natura psicologica e sembra svolgere una duplice funzione: da una parte, di fare il gioco prendendo il posto del bambino e rendendolo spettatore passivo (alludiamo per esempio all'invasione, in casa come a scuola, i giochi elettronici e automatici); dall'altra parte, di compensare o soddisfare desideri inconsci e lontani dell'adulto (tendenzialmente negati o solo parzialmente rimossi). È invece di natura culturale la tendenza dell'adulto a invadere, controllare e gestire luoghi e occasioni ludiche dell'infanzia attraverso modelli di comportamento predeterminati (questo è quello che accade quando il gioco viene rinchiuso in spazi, tempi e tipologie decisi dal genitore o dell'insegnante). - Una sfaccettata fenomenologia. Il gioco in età infantile veste abitualmente i panni di Arlecchino, è come un pianeta dalle cento facce e dalle cento sfaccettature, pertanto cercare di dargli una interpretazione crea soltanto delle superficiali e indebite generalizzazioni. L'effettiva identità del gioco, si può cogliere soltanto ad una condizione: quella di tener conto dei contesti in cui il gioco esprime la sua complessa e variegata fenomenologia (i contesti antropologici, le forme ludiche del meridione per esempio sono differenti da quelle presenti nei territori settentrionali; l'eterogeneità di chi gioca, bambini hanno infatti bisogni ludici differenti a seconda del sesso, dell'età, dell'habitat). Quindi la fenomenologia del gioco non è riducibile ad un'unica e totalizzante interpretazione, dal momento che l'identità ludica va decifrata tramite microanalisi e tramite letture separate delle sue cento facce. Questa consapevolezza ci porta quindi a rivolgerle la nostra attenzione pedagogica su due aspetti del gioco che meglio documentano la complessità, la contraddittorietà e la paradossalità (in una sola parola l'ambiguità) del mondo ludico infantile. Si tratta della sua identità genetica e della sua identità storica. La prima, è riconducibile al romanticismo educativo del gioco, che si presenta come strumento autentico e sicuro per giungere ad una formazione integrale della personalità infantile. L'identità storica, a sua volta, è riconducibile alla funzionalità quotidiana del gioco, al suo "tradimento" in quanto viene utilizzato dall'adulto come strumento per tenere occupati i bambini e come strumento di corruzione funzionale alle sue volontà manipolatorie. DIAMO ABITI NUOVI AL GIOCATTOLO Oltre la disputa sulla ludomatica Nell'odierna stagione industriale e tecnologica, un aspetto pedagogico molto chiacchierato è senza dubbio la ludomatica, ovvero il mercato dei giocattoli automatici: giochi elettronici, videogame, ecc. La novità, sulla fronte pedagogico, risveglia antichi conflitti tra tradizionalisti e modernisti. Da una parte vi sono i tradizionalisti o gli "apocalittici" che profetizzano, con l'avvento di giocattoli elettronici e computerizzati, una sorta di robotizzazione planetaria dell'infanzia, trasformata in un manichino senza vita, capace soltanto di premere pulsanti. Dall'altra parte troviamo i modernisti o "integrati" che invece apprezzano il mercato ludomatico perché ha il pregio di porre i bambini nelle condizioni di diventare cittadini della loro epoca. Secondo loro, infatti, il computer è il più potente efficace mezzo di conoscenza di creatività messo nelle mani dei bambini per dar loro la possibilità di capire e padroneggiare i segni della nostra complessa epoca storica. La pedagogia è con i modernisti, perché se l'infanzia è costretta a vivere al di fuori del mondo dell'informatica, della telematica e della robotica viene emarginata. I guadagni didattici Da un punto di vista didattico, l'interdipendenza scuola-ambiente, porta tre guadagni: Guadagno 1: le teche. La città offre alla scuola una variata tipologia di teche e un esteso repertorio di botteghe di informazione e di produzione culturale. Sono botteghe che si configurano come delle vere e proprie aule multidisciplinari. Guadagno 2: i parchi. L'ecosistema naturale gode di risorse cognitive e anche di copiose e robuste cifre etiche (rappresenta infatti un' eccellente palestra di educazione alla responsabilità civile ed etico-sociale). Guadagno 3: le aule didattiche decentrate. Da diversi anni ormai, le città educative del vecchio continente hanno avviato un sistema formativo integrato scuola-territorio che richiede la messa a disposizione, da parte del sistema di istruzione, di opportunità formative quali le aule decentrate. Queste hanno il pregio didattico di: a) favorire la pratica del laboratorio, ridimensionando l'egemonia della classe come unico luogo di apprendimento delle conoscenze; b) promuovere la motivazione (la curiosità) e la partecipazione attiva (il fare) degli allievi; c) rispettare le capacità cognitive di ciascun allievo favorendo un apprendimento su misura; d) garantire un'istruzione fondata sulla ricerca, quindi sull'imparare da soli; e)contribuire ad una effettiva integrazione degli allievi con "difficoltà" di socializzazione e apprendimento. Le botteghe della ricerca Soltanto una scuola aperta al territorio sociale e naturale è nelle condizioni di promuovere la ricerca, dal momento che può avvalersi sia di risorse socio-culturali (le teche dei contesti urbani), sia di risorse ecologiche (i parchi dei contesti naturali). La ricerca, dunque, fa parte dell'innovazione curriculare in quanto è la sola in grado di fungere da "lente" per interpretare e per risolvere i diversi problemi culturali che sono presenti nei processi di alfabetizzazione e di socializzazione scolastica. Sotto l'albero della ricerca didattica si raccolgono molteplici postazioni epistemiche e metodologiche. Rivolgiamo la nostra attenzione su due teorie della ricerca didattica che appartengono al dibattito degli ultimi decenni circa l'innovazione e la modernizzazione scolastica: - La ricerca sperimentale, di natura quantitativa e rivolta a documentare e a valutare i risultati finali di una innovazione formativa. Il suo compito principale è quello di dare luce alla ricerca sul campo mediante l'uso di strumenti di indagine altamente formalizzato; - La ricerca azione, di natura qualitativa e rivolta al processo investigativo. Le botteghe della creatività Tra le possibili botteghe urbane in grado di fornire un prezioso impulso alla creatività dei processi di istruzione scolastica citiamo: - le aule territoriali di liberazione della corporeità e della motricità (ludoteche, campi gioco, polisportive); -gli atelier e i laboratori extrascolastici di produzione teatrale e musicale che si propongono come occasione per produrre nuovi linguaggi e inediti oggetti culturali. Tra le possibili botteghe naturali in grado di fornire un prezioso impulso alla creatività dei processi di istruzione scolastica citiamo l'ambiente naturale, in quanto alfabetiere ecologico che concorre a far sì che il sistema di istruzione progressivamente scioperi le logiche cognitive monodisciplinari. Il che significa prendere consapevolezza dell'improduttività cognitiva di una scuola che perpetua un insegnamento rinchiuso dentro conoscenze separate e incomunicanti. L'ambiente naturale, inoltre, è un'occasione irrinunciabile per giocare con il linguaggio e con il pensiero che si producono durante l'osservazione- interpretazione del mondo della natura (giochi sulle relazioni lessicali e sui contenuti semantici della nomenclatura di flora e fauna nonché sulle strutture sintattiche ricavate dai giochi logico-linguistici). L'AVVENTURA Due ombre nemiche - Cenerentola o regina? Una terza, ma non meno importante, emergenza pedagogica è l'avventura. Essa rappresenta un bisogno vitale dell'infanzia e dell'adolescenza perché l'azzardo e il rischio sono interconnessi con il bisogno di esplorazione e di conoscenza delle giovani generazioni. L'inedito è sinonimo di straordinarietà, di fuga in posti lontani, di rottura con il proprio lessico quotidiano di cose e di valori. Tramite l'avventura, il piano della realtà si arricchisce di cifre fantastiche e mitiche. Il rischio, l'azzardo, condisce l'avventura di imprevisti e di sorprese che esaltano il successo raggiunto in condizioni sfavorevoli e avverse, protette dal carattere ludico. La trasgressione è sinonimo di proibito. Fa capolino in contesti d'avventura che l'adulto nega ai bambini e agli adolescenti per colpa di particolari tabù sociali. Dunque l'inedito, il rischio e la trasgressione sono gli ingredienti costitutivi dell'avventura. La sorellastra indifferente: la famiglia - La sorellastra invidiosa: la scuola La famiglia rappresenta uno dei principali nemici dell'avventura per l'infanzia e per l'adolescenza. Spesso la famiglia presenta un'ingiustificata e colpevole indifferenza nei confronti delle nuove generazioni e sterilizza il profumo dell'avventura. Oggi essa è chiamata a ribaltare di segno la propria indisponibilità, refrattarietà e impermeabilità nei confronti dell'avventura. Altrimenti, rischia di perdere per sempre la propria "centralità" educativa finendo risucchiata nei vortici di alienazione e di incomunicabilità. Anche la scuola presenta comportamenti antipedagogici nei confronti dell'avventura in età infantile e adolescenziale. La sua colpa, infatti, è quella di praticare un modello didattico "isolante" e "trasmissivo",che esclude dalle sue pareti l'avventura. A tale proposito, sono due i comportamenti da censurare con forza. - Prima censura: quando la scuola respinge le offerte formative presenti nell'ambiente sociale e naturale (del fuori scuola) costellate di copiose cifre di avventurosità. - Secondo censura: quando la scuola impone un curricolo formativo e didattico consumato esclusivamente in classe tramite la lezione dell'insegnante. In altre parole anche la scuola, come la famiglia, sterilizza senza ripensamenti il profumo dell'avventura. Inoltre agisce alle sue spalle come un killer spietato e la giustizia ogni qualvolta essa si presenta dentro le sue pareti, con l'esito antipedagogico di recitare nei confronti dell'avventura il ruolo della sorellastra "invidiosa". L'AMBIENTE ABBECEDARIO DI AVVENTURA Nell'ambiente si impara Abbiamo analizzato le due minacce che ostacolano l'avventura (la famiglia e la scuola). L'unico controveleno pedagogico per l'avventura, che sembra essere efficace contro la scuola e la famiglia, è l'ambiente. Esso, infatti, è destinato all'avventura perché dispone di dispositivi culturali abilitati a fronteggiare e respingere l'isolamento e la solitudine. Dunque, l'ambiente si presenta come un'occasione di conoscenza e di fantasia, e deve essere posto come baricentro dei processi formativi (scolastici e extrascolastici). Saper vedere l'ambiente come una fonte di avventura è possibile a patto che la scuola ponga gli allievi in condizioni cognitive ottimali per percepire e selezionare le forme e le grandezze, le profondità e i colori, le tessiture e le consistenze, le velocità e le posizioni che corredano sia il territorio in cui vivono, sia l'altrove e il lontano, perché ho sparsi di potenti richiami avventurosi rispetto a ciò che è vicino. L'ambiente inteso quindi come banca delle conoscenze: la città e il paesaggio mi offrono dei libri di lettura. Per un laboratorio ambiente Abbiamo detto che va e il paesaggio si offrono, se percepiti e compresi nella ricchezza delle loro qualità, da possibile enciclopedia di un'avventura. In quanto bottega della fantasia, l'ambiente si offre da avventurosa e divertente caccia al tesoro nel corso della quale gli allievi fanno scattare frammenti intuitivi (indizi, tracce, segnali) e saranno pori mentalmente collegati e raggruppati con altri segni/segnali. Lo scopo quello di poter ricostruire il proprio palcoscenico quotidiano, ma anche gli scenari dell'altrove. L’ambiente dunque deve impegnare il suo giovane fruitore a conquistare un ambizioso traguardo: la salvaguardia-protezione- difesa del proprio territorio sociale e naturale in quanto tempio di valori storico-artistici e paesaggistici. Questo significa educare alla responsabilizzazione collettiva. III. L'INTERCULTURA TRA LE CULTURE, OLTRE LE CULTURE Pregiudizio e alterità Identità, alterità e pregiudizio sono categorie il cui approfondimento appare irrinunciabile all’interno di un’analisi pedagogica volta a individuare i meccanismi e i processi della discriminazione della differenza culturale. L'attitudine a discriminare tra la propria appartenenza al gruppo interno e il gruppo esterno trova spiegazione nel processo legato al bisogno tipico di ogni cultura (ma anche di ogni individuo) di assegnarsi un immaginario posto centrale nell'universo, determinato dall'ansia dello spaesamento e dal timore di disperdersi nell'indifferenziazione di territori minacciosi e sconosciuti ed è un bisogno vitale. Con l'accentuarsi di tale disorientamento, in seguito alla diffusione delle società multiculturali, l'individuazione di una propria identità si traduce spesso in forme di chiusura. Tale chiusura contraddice chiaramente l'apertura all'altro necessaria nei processi di identificazione. L'identità, singola e dei gruppi, è un evento intersoggettivo e interculturale, che si costruisce proprio nell'interazione con l'alterità perché l'altro ci aiuta a riconoscerci nella nostra unicità e nelle nostre differenze. Accade invece il contrario: l'estraneità e la differenza dei "gruppi esterni" generano paura e insicurezza che si traducono poi in rifiuto ed esclusione, aggressività e intolleranza. Accade così che al proprio gruppo vengano riconosciute tutte le caratteristiche positive (verità, superiorità, sviluppo, civiltà), mentre ai gruppi esterni, cioè agli altri, vengano riconosciute, sulla base di pregiudizi, tutte le caratteristiche negative (falsità, pericolosità, sottosviluppo, arretratezza), e il pregiudizio nei confronti della diversità diventa quasi una strategia per difendere la propria identità attraverso l'esclusione e la segregazione dell'altro. La paura della differenza, infatti, producendo "attribuzioni di identità" svalutative e negative, finisce col generare giudizi di inferiorità e pratiche di intolleranza e di dominio. E in questo modo accade che gruppi marginali e deboli vivano una doppia esclusione: quella legata all'abbandono del paese d'origine e quella vissuta nel paese ospitante. Alcuni studi riconoscono che il pregiudizio si struttura e viene appreso nei luoghi di socializzazione e di formazione, a cominciare dalla famiglia. L'identificazione quasi totale tra bambino e genitori, infatti, rende inevitabile l'interiorizzazione da parte del bambino dei loro valori, delle loro convinzioni e dei loro atteggiamenti di simpatia e ostilità, di accettazione o di rifiuto nei confronti degli altri. Il pregiudizio appreso in famiglia, tuttavia, viene spesso rinforzato e amplificato anche nell'ambito della comunicazione massmediale e multimediale. Le attuali reti di telecomunicazioni infatti, essendo presenti nella vita quotidiana di ogni famiglia, costituiscono un rilevante sistema di potere: i media della comunicazione partecipano attivamente al controllo dell'immaginario collettivo, ed è proprio attorno all' immaginario che si struttura l'identità culturale e sociale di un gruppo. Nell'incontro fra culture diverse, l'immaginario di ciascuno dovrebbe trasformarsi in una interdefinizione reciproca, ma questa trasformazione diventa violenta quando, invece di uno scambio equilibrato, avviene la "colonizzazione" dell'immaginario di una cultura da parte dell'altra. Ed è proprio questo il caso della comunicazione mediale che domina l'immaginario della collettività occidentale e, sulla base di pregiudizi sulla differenza, diffondono e impongono un'immagine negativa e svalutativa dei popoli minoritari espropriandoli della propria cultura. L'esercizio antidogmatico Per combattere stereotipi e pregiudizi occorre realizzare una cittadinanza multiculturale, ospitale e aperta, ed occorre avviare un vasto progetto di de-condizionamento culturale articolato sul doppio versante: quello di una riforma della cultura e quello di una riforma del pensiero. Per quanto riguarda la riforma culturale, si tratta di mettere in discussione il processo di "occidentalizzazione del mondo" che si è trasformato nel corso del tempo in genocidi, violenze ed espropriazione della cultura dei popoli conquistati. In seguito a queste sopraffazioni, infatti, i popoli invasi e conquistati sono stati costretti a ridefinire se stessi sulla base della cultura dei popoli occidentali. Contro questo annientamento dell'identità (di un individuo o di un popolo) bisogna realizzare uno spazio di comunicazione per promuovere il confronto tra informazioni, conoscenze ed esperienze differenti libere da stereotipi e pregiudizi. In altre parole è necessario promuovere la diffusione e lo scambio di conoscenze di forme artistiche, lingua, allievi e il loro relativo precoce analfabetismo; l'aspetto relazionale, macchiato dalla competitività, dall'aggressività e dalla violenza dei giovani interiorizzano nella vita sociale. Egli optava per una scuola che sia teatro di “inclusione", aperta alla molteplicità delle culture e dei valori, con la partecipazione dei genitori e forze sociali, progettata e condotta collegialmente dall'insegnanti, disponibile all’integrazione delle “diversità. - Idea pedagogica 2: un'elevata qualità dell'istruzione. Consapevole del ruolo della scuola in una società del cambiamento, Don Milani colse la consapevolezza del secondo compito educativo del sistema d'istruzione. Egli sosteneva che l'insieme di conoscenze (stock di conoscenze) di cui disponeva il capitale umano sia un fattore determinante per la crescita sociale, culturale e civile di una nazione. Di conseguenza, l'istruzione scolastica deve,a suo dire, garantire eccellenza ed equità alla propria proposta formativa. Traguardo possibile soltanto se le famiglie, gli enti locali, il sociale, il mondo del lavoro, le chiese sapranno costruire una persona dotata di: - saperi colti (apripista per l'autonomia del pensiero); - valori civili (la cittadinanza e la coesione sociale); - bussole assiologiche (le stelle polari per dare luce a un mondo nuovo). In questa direzione, Don Milani, afferma come i valori che danno umanità siano da porre alla base dei principi educativi universali. UNA SCUOLA A MISURA DELL'ALLIEVO. Come profeta di una scuola nuova, Don Milani, vuole creare un'offerta formativa basata sulla personalizzazione e sull' individualizzazione dell'insegnamento-apprendimento. La personalizzazione dei processi di apprendimento è possibile solo alle seguenti condizioni: - conoscere gli allievi attraverso procedure osservative in grado di documentare i loro bisogni/interessi e la sensibilità della loro sfera emotivo-affettiva; - saperli orientare tramite tecniche specifiche, da identificare negli anni di passaggio da un ciclo scolastico all'altro; - renderli attivi e responsabili mediante la didattica dei crediti formativi e le libere iniziative di progettazione e di ricerca. Solo così si potrà affermare di trovarsi di fronte una scuola a misura della propria utenza. Personalizzare significa predisporre nelle sue classi i percorsi formativi basati sulla socializzazione e sull'alfabetizzazione degli allievi, offrire all'interno della scuola un'istruzione che sia in sintonia con le sfere affettive, emotive, etico-sociali di ciascun allievo, e che sia al passo cognitivo dei suoi registri linguistici e delle sue strutture logico-formali. L 'individualizzazione dell'insegnamento-apprendimento è invece possibile solo a patto che la scuola scelga di essere rispettosa degli stili cognitivi degli allievi, predisponendo un lavoro didattico per gruppi di studio progettato contenuti di conoscenza "differenziati", assicurando flessibilità ai tempi-ritmi dell'apprendimento al fine di renderli aderenti alla velocità cognitiva dei singoli scolari, e ricche e copiose attività relazionali e interattive (scomposizione e ricomposizione dei gruppi: gli allievi devono poter passare con grande permeabilità da un gruppo all'altro).Bisogna instradare l’istruzione pubblica su percorsi multiculturali più carichi di senso e di significato educativo: in quanto più coinvolgenti, motivanti e autentici. Dispositivi educativi che mirano all’obiettivo del rispetto e della valorizzazione delle “diversità”. DAL DISAGIO ALLA DISABILITÀ DIECI PIÙ IN INTEGRAZIONE. Gli allievi disabili rappresentano circa il 2% della popolazione infantile e adolescenziale. Siamo pieni di orgoglio per la medaglia d’oro del nostro sistema di istruzione, primo in Europa quanto a inclusione/integrazione dei disabili nella scuola di tutti: pubblica e gratuita. Sul versante della "disabilità" il nostro paese dispone di ben tre bollini blu: 1) Primo sentimento di orgoglio. Nel 2013 il nostro sistema formativo ha festeggiato quasi mezzo secolo di scolarizzazione (integrazione) nella scuola di tutti per gli allievi disabili, con la relativa svalutazione delle scuole speciali che in passato hanno negato la co-costruzione dei processi di socializzazione e di apprendimento tra "diversità" fisiche, mentali, sociali, culturali. 2) Secondo sentimento di orgoglio. La qualità pedagogica dell'inclusione/integrazione del nostro paese è stata riconosciuta da autorevoli riviste internazionali, considerando i nostri modelli di istruzione tra i più avanzati perché a misura dell'utenza scolastica. Nella nostra penisola l'inclusione/integrazione nel sistema pubblico di istruzione è stata possibile soprattutto grazie alla presenza di impianti di sostegno: una straordinaria risorsa didattica per elevare la qualità dei percorsi formativi nelle classi e nei laboratori. 3) Terzo sentimento di orgoglio. Nel Ventunesimo secolo, la scuola italiana ha avuto il merito di non essersi mai fatta influenzare dai governi europei neoliberisti (meritocratici, selettivi e antidemocratici) che ancora praticano forme di discriminazione e di esclusione nei confronti degli allievi disabili. La loro tesi antipedagogica è questa: trattenere i disabili nella scuola di tutti significa per loro perdere del tempo prezioso. Meglio far nascere all'interno della scuola pubblica classi di serie A (per gli allievi dai buoni voti) e classi di serie B (per gli allievi dei brutti voti). Tutto questo potrà assicurare, agli scolari di serie B, un precoce inserimento nei corsi di addestramento per imparare i lavori di manovalanza che potrebbero dare loro ricompense psicologiche ed economiche. UNA DIDATTICA AMICA Una scuola pubblica dalle classi eterogenee potrà costruire le architravi sociali e culturali dell' inclusione, a patto che sappia aprire le sue porte a pratiche didattiche più qualitative, legittimate dalla scuola a tempo pieno e dalla ricerca didattica più avanzata. L'inclusione, comunque, non postula dalla didattica differenziata e da pratiche specifiche per i soggetti disabili o di altre etnie. Vogliamo ricordare, per concludere, le principali caratteristiche della scuola che vorremmo: a) La classe-interclasse. La classe va elevata ad aula/teatro di dinamiche interpersonali, di disciplinarità, di unità didattiche, di insegnamento/apprendimento individualizzato (mastery learning). L'interclasse, invece, va elevata al laboratorio-teatro di socializzazione, di interdisciplinarità, i progetti didattici, di ricerca di gruppo (cooperative learning). b) L'ambiente sociale (la città) e l'ambiente naturale (il paesaggio) vanno elevati ad aule decentrate. c) Il laboratorio deve essere elevato ad aula specializzata per liberare i linguaggi della ricerca e della creatività. d) il team docente deve essere caratterizzato dai valori del cuore (relazione, amicizia, dialogo, ascolto) e della cooperazione (cura, disponibilità, impegno, solidarietà). Il che vuol dire dichiarare con fermezza che la scuola dell'inclusione non potrà mai essere amica di docenti narcisisti e presentano nei confronti degli allievi autosufficienza e autarchia professionale (apartheid professionale).
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