Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

manuale di psichiatria per psicologi, Prove d'esame di Psicologia Clinica

libro di testo di psicologia clinica dei servizi territoriali di Mario Rossi Monti

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018
In offerta
40 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 12/10/2018

.28535
.28535 🇮🇹

4.4

(28)

3 documenti

1 / 68

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica manuale di psichiatria per psicologi e più Prove d'esame in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! MANUALE DI PSICHIATRIA PER PSICOLOGI INTRODUZIONE LA DIFFERENZA TRA PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA Lo psichiatra si occupa di disturbi mentali a carico del sistema fisico e richiede e valuta esami medici, prescrive farmaci generici e psicofarmaci mentre lo psicologo si centra sugli aspetti emotivi e cognitivi del disturbo mentale e utilizza come metodo di intervento il colloquio e la somministrazione di test, il sostegno empatico e se psicoterapeuta anche le tecniche di intervento psicoterapeutico. Lo psichiatra è innanzitutto un medico ed ha un rapporto con il paziente che è il classico rapporto medico paziente ossia un rapporto asimmetrico in cui il paziente è la parte dipendente in stato di necessità mentre il medico ha il ruolo del professionista competente che guida le prescrizioni. Lo psichiatra tende a curare il disagio psichico andando a riequilibrare gli scompensi chimici che vengono a crearsi nel cervello di una persona sofferente. Ad esempio è stato rilevato che in alcune forme di depressione l’attività di un neurotrasmettitore chiamato serotonina (una sorta di messaggero dell’attività psichica) è meno intensa. Lo psichiatra interviene su questo scompenso somministrando uno specifico farmaco per la psiche ovvero uno psicofarmaco che incrementa l’attività della serotonina. Lo psicologo è cosciente degli squilibri chimici ma preferisce correggerli con un’altra strategia volendo riattivare le risorse, le capacità di scelta, le emozioni positive del paziente in modo che stia meglio e sia in grado di riequilibrare da sé gli squilibri chimici del cervello. Talvolta le due professioni lavorano insieme per perseguire la salute del paziente. In questi casi il disturbo viene affrontato in parallelo sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista psichiatrico. Questo può avvenire quando un paziente presenta sintomi molto gravi che possono culminare nell’aggressione o nella distruzione di sé o di altre persone. In questi casi lo psichiatra somministra una terapia farmacologica che limita la distruttività del paziente mentre lo psicologo lavora per riattivare le risorse di crescita del paziente. Lo psicologo nel corso della sua formazione dunque si imbatte nella psichiatria. Conoscere i disturbi descritti nei Manuali di Psichiatria permette la costruzione di un codice comune concettuale linguistico in uso tra psicologi e psichiatri a partire dal quale ogni disciplina svilupperà uno specifico approccio. La psichiatria è una parte importante del campo di applicazione della psicologia clinica. A fianco dell’attenzione focalizzata sul disturbo ci deve essere un’attenzione incentrata sulla persona e sulle caratteristiche personologiche. In questa prospettiva la classificazione psichiatrica è solo una parte del sapere dello psicologo clinico. Inoltre conoscere la psichiatria aiuta a capire come lavora uno psichiatra ed è utile per capire come lavora uno psichiatra tipo. Questo aspetto è fondamentale quando ci si trova a lavorare in equipe. In conclusione l’obiettivo è di fare conoscere allo psicologo come lo psichiatra lavora ed organizza in categorie i disturbi mentali e di fare conoscere allo psicologo come funziona la mente di uno psichiatra standard e di far acquisire allo psicologo le nozioni base di psicofarmacologia in un progetto di cura integrato. SPDC Servizio di Diagnosi e Cura. CAPITOLO 1 SINTOMI E CLASSIFICAZIONI: SPECIFICITA’ DELLA PSICHIATRIA LA PSICHIATRA (CURA MEDICA) è una branca specialistica della medicina che si occupa della diagnosi, prevenzione e terapia e della riabilitazione dei disturbi mentali. L’incontro con la psichiatria è per uno psicologo parte integrante della formazione soprattutto nell’ambito della psicologia clinica. La psichiatria si occupa di patologia mentale che rappresenta il nocciolo della sofferenza mentale patologica caratterizzata da invarianti attraverso cui è possibile codificare in descrizioni e categorizzare in sistemi di classificazione e in strategie di cura la quale si differenzia dalla sofferenza mentale fisiologica come quella legata ad un insuccesso o ad una perdita. La psichiatria ha il compito di: -definire -studiare -diagnosticare -curare -prevenire Le forme cliniche della sofferenza mentale le quali non variano solo al variare della cultura o della società in cui si manifestano ma variano nella stessa società al variare del tempo. Le forme cliniche della sofferenza mentale sono variabili in continua evoluzione. DISTURBO MENTALE si intende una sindrome caratterizzata da alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono spesso associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altri ambiti importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore stressante o a una perdita come la morte di una persona cara, non è disturbo mentale. LA NOSOGRAFIA PSICHIATRICA è lo studio e la descrizione delle malattie con finalità diagnostiche e pratiche attraverso un sistema classificatorio in continua evoluzione dove quelle che prima venivano descritte come malattie oggi sono sintomi di una vasta gamma di disturbi. Ad esempio in origine le allucinazioni erano una malattia come anche il delirio. Oggi delirio e allucinazioni non sono disturbi codificati nelle moderne classificazioni, ma sono sintomi distribuiti trasversalmente in una gamma ampia di disturbi. Vengono quindi tracciati dei confini in maniera provvisoria e convenzionale allo scopo di fornire dei criteri per una diagnosi empirica. Disponiamo quindi di convenzioni diagnostiche provvisorie. IL SINTOMO (deriva da greco e significa evenienza e circostanza) è una alterazione riferita dal paziente della normale sensazione del sé e del proprio corpo in relazione ad uno stato patologico. Il sintomo non è quasi mai una entità fenomenica unica ma è l’effetto finale non standardizzato di natura soggettiva di un convergere di molteplici azioni e reazioni in grado di produrre una alterazione della normale sensazione di sé e del proprio corpo in relazione ad uno stato patologico. Il sintomo si differenzia dal SEGNO il quale nella diagnosi medica è un reperto patologico oggettivo riconosciuto dal medico all’esame obiettivo del paziente. Un segno medico può essere privo di significato per il paziente e passare inosservato ma per il clinico assume grande rilevanza nella corretta diagnosi medica responsabile del quadro sintomatologico del paziente. ICD è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati stilata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Si tratta di uno standard di classificazione per gli studi statistici ed epistemiologici nonché un valido strumento di gestione di salute e igiene pubblica. Sono contemplate le malattie quali: -malattie infettive o parassitarie -neoplasie (tumori ovvero massa abnormale che cresce in eccesso e in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali ) -malattie del sangue e del sistema immunitario -malattie endocrine, nutrizionali e metaboliche -patologie mentali e del comportamento -neuropatie (patologia che colpisce il sistema nervoso periferico ) - patologie dell’orecchio -disturbi del sistema respiratorio -dermatopatie -malattie gastroenterologiche -gravidanza, parto e puerperio -tossicologia e traumatologia DSM è uno strumento di diagnosi descrittiva dei disturbi mentali. La sua struttura segue un sistema multiassiale ovvero divide i disturbi in 5 assi Morel Benedict-Augustin fu il primo a formulare la teoria della degenerazione psichiatrica secondo cui le degenerazioni sono deviazioni della tipologia umana normale, sono trasmissibili in via ereditaria e si sviluppano in maniera progressiva fino a provocare la scomparsa di chi ne è affetto. La degenerazione obbediva alla legge della pregressività ovvero se per esempio la prima generazione era affetta da semplice nervosismo, la seconda sarà affetta da nevrosi mentre la terza sarà affetta da psicosi fino alla totale scomparsa della stirpe malata. Wilheim Griesinger secondo cui la malattia mentale è la malattia del cervello auspicando così una fusione tra psichiatria e neurologia. Secondo l’autore la malattia mentale nasce da squilibri neurochimici cerebrali che assume però forme cliniche diverse in relazione alla sinergia di differenti concause: neurologiche, relazionali, storiche. Egli si batterà per uno studio scientifico della psichiatria. Carl Wernicke dal quale prende il nome l’Afasia di Wernicke. Propone un modello naturalistico e neurofunzionale della psichiatria arrivando alla formulazione di mitologia del cervello. Dal 1800 ad oggi si possono rintracciare due correnti: -La prima definita psichiatria biologica o organicista: è quella parte della psichiatria che attribuisce un substrato organico a tutte le malattie mentali. Ad essere malato è l’organismo e i sintomi psichici scaturiscono direttamente dal danno biologico sottostante. Autori di rilievo sono : Kraeplein e Bleuler Emil Kraepelin : convinto organicista. Il suo nome è associato alla demenza precoce e alla mania depressiva. Demenza precoce oggi schizofrenia: è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero del comportamento e dell’affettività da un decorso superiore ai 6 mesi con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona. Mania depressiva oggi disturbo bipolare: sono sindromi di interesse psichiatrico caratterizzate da una alternanza delle due condizioni contro polari dell’attività psichica ovvero il suo eccitamento e la depressione. Eugen Bleuler: convinto organicista, ebbe rapporti epistolari con Frued e Jung. Formulò una ipotesi patogenetica del disturbo proponendo una teoria organico dinamica. Il modello di Bleuer si fonda sulla distinzione tra sintomi fondamentali e sintomi accessori La seconda definita fenomenologico dinamica: è quella parte della psichiatria che attribuisce delle responsabilità di tipo psicologico, ambientale, relazionale all’insorgenza delle malattie mentali. DSM5 e DSM4 Il DSM5 è nato per far fronte alla condizione di eterogeneità dei sintomi contemporanei ponendo particolare attenzione alla valutazione dimensionale del sintomo anziché categoriale multi assiale del DSM4. Come? Attraverso una più attenta focalizzazione su determinati indicatori clinici quali: -condivisione di substrati neuronali -caratteristiche familiari -fattori di rischio genetici -Specifici fattori di rischio ambientali -marker biologici -antecedenti temperamentali -decorso della malattia. -Nel quadro clinico di ogni disturbo sono presenti degli specificatori che aiutano a capire la peculiarità del disturbo su base individuale andando a specificare la gravità del disturbo che si basa sulla valutazione della compromissione della comunicazione sociale e di pattern di comportamento ristretti e ripetitivi nel tempo; specificare se il disturbo è associato o meno a deficit intellettivi o a deficit linguistici; specificare il tipo di insight associato al disturbo. -Il DSM 5 propone una documentazione delle diagnosi non assiale. Inoltre è stata abolita la divisione tra i disturbi dell’infanzia e i disturbi dell’età adulta. Il manuale inizia con i disturbi relativi a processi evolutivi che si manifestano nelle rpime fasi di vita ad esempio i disturbi del neurosviluppo e dello spettro schizofrenico seguiti dai disturbi che si manifestano più spesso nell’età adolescenziale e adulta come il disturbo bipolare, di ansia…. E termina con i disturbi caratterizzanti l’età avanzata come i disturbi neuro cognitivi. La diagnosi si estende quindi all’intero corso della vita. -Sebbene venga mantenuta una impostazione categoriale viene promosso un approccio dimensionale estendendo la possibilità di descrivere alcuni disturbi secondo un gradiente di gravità lieve moderato grave e gravissimo terminando le proposte di nuovi modelli e strumenti per la valutazione fornendo un modello dimensionale alternativo per i disturbi di personalità. -Il DSM5 ha sostituito la precedente designazione NAS (non altrimenti specificato) con 2 opzioni: 1-disturbo con altra specificazione se il disturbo manca di uno o più dei criteri diagnostici pur rientrando nel gruppo principale del disturbo 2-disturbo senza specificazione se il clinico non è in grado di specificare il disturbo. -E’ stato potenziato il concetto di spettro andando a valutare: -condivisione di substrati neuronali -specifici fattori di rischio ambientale -tratti anamnestici famigliari -fattori di rischio genetici - antecedenti temperamentali -anomalie nei processi emotivi e cognitivi - similarità sintomatica - decorso della malattia -elevata comorbilità -simile modalità di risposta al trattamento. -Tra le novità proposte dal DSM5 ci sono quelle riguardanti lo spettro dell’autismo che unifica fatta eccezione della sindrome di Rett posta tra i disturbi neurologici, che unifica i precedenti disturbi generalizzati dello sviluppo del DSM-4-TR (disturbo autistico, disturbo di Asperger, distrubo disintegrativo della fanciullezza, disturbo generalizzto dello sviluppo non altrimenti specificato) -Scompare la categoria dei disturbi dell’umore che nel DSM5 viene suddivisa in –disturbi bipolari -disturbi correlati -disturbi depressivi - disturbo da disregolazione dell’umore dirompente per i soggetti fino ai 18 anni - disturbo disforico premestruale VEDI FOTOCOPIE PER LE ALTRE DIFFERENZE DSM-4-TR è di tipo multiassiale e comprende 5 assi : ASSE 1: Disturbi clinici e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica (deliri.,disturbi di ansia, somatoformi, disturbi dissociativi, disturbi sessuali…..) ASSE 2: disturbi di personalità e ritardo mentale (disturbo psranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, ossessivo compulsivo ,ritardo menale…) ASSE 3: Condizioni mediche generali ovvero si reputa che il disturbo sia conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica generale. ASSE4: problemi psicosociali ed ambientali ASSE5: valutazione globale del funzionamento CAPITOLO 2 ANSIA OSSESSIONI E TRAUMA ANSIA L’ansia adattiva è un fenomeno normale e presente sin dalla nascita. Tali manifestazioni ci allertano nei confronti di stimoli percepiti come pericolosi consentendoci una reazione pronta e funzionale agli scopi. Le risorse cognitive si focalizzano sulla situazione problematica e sulle possibili soluzioni e il sistema nervoso autonomo provvede all’attivazione di una serie di meccanismi fisiologici come l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, alterazione della pressione arteriosa che preparano l’organismo ad affrontare lo stressor mobilitando le energie difensive (risposta biologica di attacco o fuga). Il valore adattivo dell’ansia risiede dunque nel potenziamento delle capacità operative e ad esempio in assenza di questo stato emotivo di fronte ad un esame potremmo trascurare una adeguata preparazione. Il rapporto tra attivazione psicofisiologica e prestazioni è regolata dalla legge di Yerkes-Dodson 1908 secondo cui al crescere dell’ansia la performance migliora fino ad un livello massimo che corrisponde all’attivazione funzionalmente ottimale. Superato questo punto, un suo ulteriore incremento determina lo scadimento della prestazione verso livelli sempre più disfunzionali. In questo caso si parla di ansia patologica. L’ansia patologica risulta quantitativamente eccessiva e qualitativamente disfunzionale, perde il suo valore adattivo e può rendere difficili le più semplici attività di routine inficiando anche gravemente la qualità della vita. Il giudizio clinico deve essere guidato dalla valutazione di alcune caratteristiche discriminanti importanti anche ai fini di un eventuale inquadramento diagnostico nella sintomatologia riferita: -frequenza: se il fenomeno è occasionale o ricorrente e quante volte si verifica in un arco determinato di tempo. -durata: per quanto tempo persiste, se è presentye per la maggior parte della giornata o se si manifesta in situazioni specifiche. -intensità: quantificazione della forza dello stato di apprensione esperito attraverso indici soggettivi ad esempio chiedendo al soggetto di attribuirle un punteggio da 0 a 100 e/o indicatori fisiologici come ad esempio la frequenza cardiaca e respiratoria. Il livello massimo di ansia sperimentata è rappresentato dall’attacco di panico. -ragionevolezza del pericolo previsto: l’ansia nasconde sempre una previsione di danno più o meno ben definito. La patologia interviene quando la stima della sua entità e/o della probabilità che questo si verifichi supera sensibilmente quella effettuata da individui appartenenti al medesimo contesto sociale diventando irrealistica. -interferenza nel funzionamento globale dell’individuo: è importante valutare quanto la sintomatologia espressa condizioni l’esecuzione delle attività che il paziente svolge o la non esecuzione di quelle che desidererebbe realizzare o non pratica da anni. Queta valutazione è particolarmente importante qualora il momento di esordio della sintomatologia non venga riferito di preciso ( sono sempre stato così) o sia di molto antecedente all’attuale consulenza. Anche in èpresenza di una ansia potenzialmente invalidante questa non è considerata di rilevanza clinica qualora venga percepita come non disturbante cioè nel caso in cui non comprometta la qualità della vita ad esempio la paura di volare ha poca importanza se non si ha la necessità di farlo. -grado di disagio associato: il livello di malessere soggettivo associato alla sintomatologia è variabile. In alcuni individui la presenza di forte ansia è legata allo sviluppo di un disturbo depressivo maggiore secondario o a una notevole restrizione del campo dio interessi e attività mentre nei casi di minotre severità del disturbo può non compromettere la qualità della vita del soggetto. L’inquadramento nosografico qualora siano presenti sintomi ansiosi non necessariamente si conclude con una diagnosi di un disturbo della stessa area. L’iter diagnostico prevede in primo luogo di verificare se esiste o meno una condizione medica generale concomitante e in caso affermativo se sia possibile stabilire un nesso causale tra le due. L’individuazione di tale nesso causale richiede una valutazione probabilistica di associazioni specifiche come la correlazione tra specifica condizione medica e sintomatologia espressa, esistenza di un nesso temporale tra l’andamento della malattia fisica e la psicopatologia. Una corretta diagnosi differenziale è fondamentale nella scelta del giusto approccio terapeutico rivolto al trattamento in questo caso della disfunzione fisica ritenuta eziologicamente correlata. Tra le condizioni mediche ezioloigicamente rilevate abbiamo ad esempio delle disfunzioni tiroidee. Di fronte ad un attacco di panico è necessario escludere la possibilità di un infarto al miocardio che presenta sempre una forte componente ansiosa secondaria al disturbo organico. Un altro caso è rappresentato dalla possibile correlazione tra l’assunzione di un farmaco e la sintomatologia ansiosa. In questo caso è importante valutare la distanza temporale tra l’assunzione di determinate sostanze e la sintomatologia ansiosa. Escluso attraverso esami medici opportuni che la sintomatologia ansiosa abbia una origine organica rimane il problema di una corretta diagnosi basata su un sistema nosografico di riferimento. DISTURBO DI PANICO L’attacco di panico è un periodo circoscritto e generalmente breve di ansia intensa e crescente fino al terrore raggiungendo l’apice in 2-10 minuti nel corso del quale si sviluppano specifici sintomi cognitivi (paura di morire, perdere il controllo, impazzire) de somatici (tremori, tachicardia, vampate di calore, brividi) spesso associate a specifiche strategie comportamentali ( fuga dallo stimolo minaccioso) Si definisce inaspettato qualora esordisca senza che colui che lo subisce riesca ad identificare lo stimolo scatenante oppure atteso o situazionale cioè innescato dall’esposizione reale o immaginaria a stimoli ben noti al soggetto e facilmente identificabili come nel caso delle fobie specifiche. Secondo le indicazioni del DSM5 l’attacco di panico non può essere codificato individualmente in quanto non necessariamente associato ad una diagnosi di disturbo di panico o di una diversa psicopatologia. Il fenomeno infatti è trasversalmente rintracciabile in una pluralità di altre situazioni di rilevanza organica ( disturbi correlati a condizioni PER DISTURBO DI PANICO E’ da escludere qualsiasi altra condizione medica generale o una possibile correlazione con l’assunzione di farmaci o altre sostanze la cui somministrazione preceda o avvenga in un arco temporale vicino all’esordio dell’attacco di panico o agorafobico. Sono da escludere anche fobia specifica ( l’attacco di panico può scatenarsi a seguito dell’esposizione ad un oggetto o situazione specifica piuttosto che in modo inaspettato), fobia sociale (gli eventuali attacchi di panico si verificano nel corso o nell’attesa apprensiva di situazioni sociali o prestazionali ), disturbo di ansia generalizzata ( l’attacco di panico si manifesta saltuarialmente al culmine di una escalation di ansia legata a preoccupazioni circa problematiche comunemente ritenute di scarsa rilevanza) , disturbo da stress post traumatico (l’attacco di panico è legato alla presenza di stimoli che rimandano in modo diretto o implicito all’evento traumatico subito). PER AGORAFOBIA E’ da escludere qualsiasi altra condizione medica o una possibile correlazione con l’assunzione di farmaci o altre sostanze la cui somministrazione preceda o avvenga in un arco temporale vicino all’esordio dell’attacco di panico o agorafobico. Sono da escludere anche disturbo da attacchi di panico (emergono in anamnesi attacchi inaspettati completi e ricorrenti assenti nell’agorafobia), fobia specifica (nell’agorafobia i timori riguardano una pluralità di situazioni tipiche piuttosto che a oggetti- contesti specifici), disturbo da ansia sociale ( le situazioni critiche sono interazionali e implicano un potenziale giudizio negativo) e patologia organica (lostato di tensione risulta eccessivo se paragonato con lo stato di tensione di soggetti con particolari condizioni fisiche organiche). FOBIA SPECIFICA Anche chiamata fobia semplice ed è un tipo di disturbo caratterizzato da un irrazionale e fortissima risposta di paura in coincidenza con l’esposizione a specifici oggetti o situazioni nonché una tendenza ad evitare gli oggetti e le situazioni temute. Quindi la fobia specifica comprende sia la reazione di paura in presenza o nell’attesa di particolari oggetti o situazioni sia un comportamento di evitamento del contatto diretto con le stesse. Il soggetto che ne soffre non è in grado di rappresentarsi o immaginare le cose o le situazioni temute anche se si tratta solo di niminarle. CRITERI DIAGNOSTICI DEL DSM5 -forte timore rispetto a situazione o oggetto definiti -l’esposizione allo stimolo fobico genera quasi invariabilmente marcata risposta ansiosa -evitamento o sopportazione con intensa sofferenza emotiva -la durata tipica del disturbo è di almeno 6 mesi -i timori risultano eccessivi rispetto ai pericoli realistici e non giustificati dal contesto socio culturale di appartenenza -compromissione significativa del funzionamento socio professionale -esclusione di altre psicopatologie che possono meglio spiegare la sintomatologia espressa. La fobia specifica risulta associata a tutti i disturbi psichiatrici fatta eccezione del disturbo da uso di alcool e in modo particolare può presentarsi associata ad altri disturbi di ansia. La paura non è legata all’oggetto o alla situazione in sé ma piuttosto a tutte le conseguenze dannose associate al contatto con gli stessi. Anche qui gioca un ruolo fondamentale l’ansia anticipatoria ovvero un insieme di correlati emozionali associati ad una condizione di attesa del danno in difesa dai quali vengono strutturati comportamenti protettivi . Come in tutti i disturbi fobici l’oggetto della paura è spesso evitato per evitare l’intenso disagio associato all’esposizione. La risposta ansiosa può sfociare nell’attacco di panico situazionale qualora il soggetto ritenga di non avere vie di fuga. Il disturbo è silente in assenza dello stimolo fobico. ASPETTI NEUROLOGICI La risonanza magnetica funzionale ha rilevato nei soggetti affetti un aumento dell’attività di varie strutture localizzate nell’emisfero sinistro amigdala, insula, giro angolare, corteccia prefrontale dorso mediale. La specificità dell’amigdala riguarda l’elaborazione automatica degli stimoli e la valutazione delle minacce dirette. Inoltre è stata riscontrata una riduzione dell’attività della corteccia pre frontale mediale preposta alla modulazione cognitiva della risposta ansiosa nei soggetti affetti da fobia specifica del tipo sangue- iniezioni- ferite. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Nel disturbo da attacchi da panico l’anamnesi è positiva per attacchi da panico spontanei e l’ansia non è scatenata esclusivamente da particolari oggetti o situazioni. Va differenziata da -anoressia nervosa - bulimia nervosa - disturbo ossessivo compulsivo TERAPIA Vanno utilizzate largamente le benzodiazepine in associazione con- terapie comportamentali -terapia cognitiva -terapia comportamentale -tecnica della desinsibilizzazione sistematica (una risposta di rilassamento precedentemente appresa viene utilizzata come antagonista della reazione ansiosa al fine di inibirla. Si applica in assenza del confronto diretto con l’oggetto fobico -tecnica dell’esposizione in vivo ( basata sul principio dell’abituazione dell’ansia attraverso il confronto graduale con l’oggetto fobico e protratto per un periodo di tempo sufficientemente lungo creando inevitabilmente una diminuzione dell’ansia esperita. FOBIA SOCIALE Anche chiamato disturbo di ansia sociale. E la paura intensa di trovarsi in particolari situazioni sociali o di eseguire un tipo di prestazione che comporti il sottoporsi al giudizio altrui. Questo disturbo ha solitamente un esordio precoce nell’infanzia o nell’adolescenza e raramente dopo i 30 anni. Si caratterizza per una marcata e persistente paura nell’affrontare molte situazioni sociali o prestazionali nell’interazione con gli altri o semplicemente nell’essere osservati in qualche situazione. A differenza della semplice timidezza , nella fobia sociale l’ansia tende ad essere anticipatoria manifestandosi anche molto tempo prima delle situazioni temute e innescando un circolo vizioso di mantenimento e di aggravamento del disturbo causando quindi un incremento della sintomatologia ansiosa.A causa di questo i pazienti tendono ad isolarsi socialmente e giungono ad adottare un comportamento di evitamento tipico delle sindromi fobiche. L’evitamento tende a cronicizzare il disturbo poichè riduce il livello di autostima alimentando sentimenti di inferiorità e inadeguatezza. Sono frequenti delle comorbilità con altri disturbi come: sviluppo di tossicodipendenze, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo da attacchi di panico, depressione, disturbo evitante di personalità, sindrome di Asperger. SINTOMI -Ansia generalizzata -Ansia anticipatoria -Calo di concentrazione -Tic nervosi - Insorgenza di balbuzia -Pensieri aggressivi -Evitamento CRITERI DIAGNOSTICI DSM5 -forte risposta ansiosa in reazione all’esposizione a situazioni interpersonali in cui si è potenzialmente esaminati -il soggetto teme di dimostrare sintomi di ansia o di comportarsi in modo sconveniente e ritiene che gli altri valuteranno negativamente tali manifestazioni -l’esposizione a tali situazioni crea risposte ansiose -evitamento o sopportazione con intensa sofferenza emotiva dei contesti temuti -timori eccessivi -durata del disturbo è di almeno 6 mesi -compromissione significativa del funzionamento socioprofessionale determinata dall’ansia e dagli evitamenti oppure forte disagio associato alla presenza della fobia -esclusione di cause organiche o altri disturbi mentali . TERAPIA -IMAO: inibitore non selettivo delle monoaminossidasi ad azione irreversibile -SSRI: efficacia terapeutica degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina la cui validità si estende anche alla prevenzione delle ricadute. -BENZODIAZEPINA: non largamente usata in relazione alle possibili controindicazioni come la sedazione, la dipendenza fisica e psicologica. -BETABLOCCANTI : nel trattamento dell’ansia da prestazione mentre non sono usati nel caso di altri aspetti fobici espressi dal disturbo DISTURBO DI ANSIA GENERALIZZATA Detto anche DAG. E’ un problema che interessa prevalentemente le donne e in casi estremi può sfociare nel suicidio. L’ansia che caratterizza il disturbo non è concentrata su un particolare oggetto o situazione. Nel commentare le sue difficoltà il soggetto è di solito preciso e appropriato nel riconoscere per primo la discrepanza tra dimensione reale delle difficoltà e quota di ansia che queste evocano ma non riesce a fare a meno di preoccuparsi. Il disturbo è cronico e di solito si presenta in età precoce tanto che il soggetto dice di essere ansioso da sempre. I sintomi caratteristici sono quelli degli stati di allarme contraddistinti da una condizione psichica di generale attesa apprensiva e da numerosi segni e sintomi fisici di attivazione vegetativa come ad esempio emicrania, palpitazioni, vertigini e insonnia, difficoltà a concentrarsi, tensione muscolare e irrequietezza. Oltre a questi sintomi fisici si possono accompagnare anche sintomi cognitivi come ad esempio la sensazione di testa vuota, derealizzazione e depersonalizzazione. Possono essere associati disturbi del sonno come interruzioni o risvegli precoci CRITERI DIAGNOSTICI DSM5 -eccessiva ansia e preoccupazione che si verificano nella maggioranza dei giorni per almeno 6 mesi riguardo a numerosi eventi lavoro, scuola e vita sociale. -eccessive e pervasive ansia e preoccupazione associate ad almeno 3 sintomi di tensione motoria ed esagerata vigilanza tra i seguenti: - tensione muscolare – affaticabilità – alterazione del sonno – irrequietezza – irritabilità – difficoltà di concentrazione – vuoti di memoria. -difficoltà a gestire la preoccupazione -il disturbo causa intenso disagio o interferisce significativamente con le attività socio professionali del soggetto -esclusione di cause organiche o altri disturbi mentali che possono meglio giustificare i sintomi. ASPETTI NEUROLOGICI Studi neuroimaging hanno riscontrato una iper attivazione dell’amigdala in risposta a stimoli ansiogeni. Tale fenomeno potrebbe essere determinato da anomalie a carico della corteccia prefrontale implicata nella modulazione della risposta ansiogena. A differenza di altri disturbi di ansia nei DAG non è presente asimmetria ippocampale. TERAPIA La terapia si è avvalsa per anni di benzodiazeprine ma per quanto siano farmaci sicuri e con pochi effetti collaterali il loro limite è rappresentato dall’insorgenza di tolleranza e dipendenza nell’uso a lungo termine. Per questo si utilizzano recentemente gli SSRI DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO largamente discusso in psicologia giuridica. E’ l’insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento. La terapia farmacologica su individui affetti da solo agorafobia ha presentato scarse prove di efficacia. Si utilizzano in questi casi le psicoterapie. Nel caso di disturbi da panico invece attualmente si utilizzano: -SSRI: inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina . Sono una classe di psicofarmaci che rientrano nell’ambito degli antidepressivi . Si ritiene che siano in grado di aumentare la concentrazione di neurotrasmettitori responsabili della regolazione del tono dell’umore in particolare la serotonina bloccandone il naturale processo biologico di eliminazione da vallo sinaptico. Vengono utilizzati per disturbi quali: depressione maggiore, disturbi dell’alimentazione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo post traumatico da stress. -BENZODIAZEPINE: Sono una classe di psicofarmaci che aumentano l’effetto del neurotrasmettitore GABA accrescendo le sue proprietà sedative, anestesiche e miorilassanti, ipnotiche e ansiolitiche. Vengono utilizzati nei trattamenti di breve durata per stati gravi di ansia, insonnia, agitazione, spasmi muscolari. Hanno una efficacia immediata e vengono spesso associati alle SSRI per un periodo limitato di trattamento in considerazione dei potenziali rischi di dipendenza fisiologica e psicologica. -IMAO: antidepressivo -BETABLOCCANTI: classe di farmaci ad azione bloccante dei recettori b- adrenergici. TERAPIE COMPORTAMENTALI E TERAPIE COGNITIVE -LA TERAPIA COMPORTAMENTALE: è la prima psicoterapia ad essere stata sottoposta a verifica sperimentale. Si focalizza principalmente sul comportamento del paziente in rapporto con l’ambiente. La desensibilizzazione sistematica o terapia ad esposizione graduale (esposizione in vivo) è un tipo di terapia comportamentale impiegata in psicologia per superare le fobie e altri disturbi di ansia . Si tratta di una forma di contro- condizionamento. Il processo di desensibilizzazione sistematica avviene in tre fasi: 1. viene identificato lo stimolo che provoca ansia tramite intervista al soggetto 2.il soggetto apprende i meccanismi per affrontare il disturbo quali le tecniche di rilassamento muscolare 3.il soggetto collega i meccanismi appresi con lo stimolo che provoca ansia o fobia partendo da una esposizione immaginaria allo stimolo ansioso fino ad arrivare all’esposizione in vivo ma controllata Quindi la risposta di rilassamento precedentemente appresa viene utilizzata come antagonista della reazione ansiosa al fine di inibirla attraverso una esposizione più o meno graduale basandosi sul principio dell’abituazione dell’ansia in cui il confronto con l’oggetto fobico progressivo e per un arco di tempo sufficientemente lungo crea una diminuzione dell’ansia esperita. -LA TERAPIA COGNITIVA: spesso associata a quella comportamentale . Include una combinazione di interventi verbali e di tecniche di modificazione del comportamento che aiutano il paziente a identificare le proprie cognizioni disfunzionali Il paziente viene aiutato a rielaborare queste cognizioni e i conseguenti schemi maladattivi che sono alla base dei suoi processi psicopatologici. La terapia è basata sull’identificazione e sulla messa in discussione dei pensieri disfunzionali associati all’oggetto fobico. - LA TERAPIA PSICODINAMICA tende ad arrivare ad individuare la radice del problema attraverso un’analisi dei vissuti ricostruendo la linea psicogenetica che ha portato allo sviluppo del problema CAPITOLO 3 LA DEPRESSIONE E I DISTURBI BIPOLARI La depressione o anche chiamata depressione maggiore o depressione endogena o depressione unipolare o depressione ricorrente nel caso di episodi ripetuti è una patologia psichiatrica o disturbo dell’umore caratterizzata da episodi di umore depresso accompagnati da una bassa autostima e perdita di interesse o piacere nelle attività normalmente piacevoli (anedonia). Il disturbo depressivo è una malattia invalidante che coinvolge la sfera affettiva e cognitiva influendo negativamente in modo disadattivo sulla vita familiare, lavorativa, sullo studio, sulle abitudini alimentari, sul sonno, sulla salute fisica con forte impatto sullo stile di vita individuale. La diagnosi si basa su esperienze auto riferite dal paziente e sul comportamento riferito da chi lo circonda. Per umore si intende una tonalità emotiva di fondo caratterizzata una certa durevolezza che in una certa misura influenza la percezione i pensieri e i comportamenti della persona. A differenza dell’affetto l’umore non è diretto verso qualcosa di specifico essendo uno stato emotivo fluttuante che permea l’intera vita psichica del soggetto. Il tono dell’umore può alterarsi in difetto con apatia, abbattimento, perdita di piacere o anedonia e calo delle funzioni fisiologiche ed in questo caso il tono dell’umore è di tipo depressivo oppure in eccesso con incremento dell’attività psicomotoria euforia patologica e senso di grandiosità ed in questo caso il tono dell’umore è di tipo maniacale. Depressione e mania rappresentano quindi i due poli dell’umore patologicamente alterato. Un concetto centrale è quello della polarità : Per bipolarità si intendono quelle condizioni cliniche nelle quali sono rintracciabili episodi maniacali o ipomaniacali isolatamente o in alternanza a uno o più episodi depressivi. Per unipolarità si intendono invece i disturbi caratterizzati esclusivamente da episodi di tipo depressivo. La prima sistematizzazione nosografica dei disturbi dell’umore è stata formulata da Krepelin Emil 1921 con il concetto di malattia maniaco depressiva. Si trattava di una entità nosografica che a differenza della demenza precoce non era caratterizzata da deterioramento mentale ma dalla ciclicità. Per parlare di malattia maniaco depressiva devono quindi essere presenti ricorrenti alterazioni del tono dell’umore. Kraepelin non distingueva tra unipolarità e bipolarità. Ciò significa che all’interno della malattia maniaco depressiva rientravano i pazienti con alternanza di episodi maniaco depressivi e maniacali e i pazienti con ripetuti episodi depressivi senza nessun episodio maniacale o viceversa pazienti con ripetuti episodi maniacali senza episodi depressivi. La ciclicità e la ricorrenza di episodi di alterazione dell’umore dunque erano le variabili fondamentali cliniche che indirizzavano verso una malattia maniaco depressiva e non la polarità. Questa impostazione nosografica venne messa in discussione da Karl Leonhard il quale propose un superamento del concetto unitario di malattia maniaco depressiva. Leonhard sottolineò l’importanza di distinguere i pazienti che presentavano solo episodi depressivi ( unipolari) da pazienti che presentavano episodi depressivi associati a episodi maniacali (bipolari) introducendo il concetto di polarità. Secondo Leonhard i pazienti bipolari presentavano una maggiore familiarità per il disturbo rispetto ai pazienti unipolari. Si pensi che il DSM5 dedica ai disturbi bipolari e ai disturbi depressivi due sezioni distinte accentuando ancora di più la dicotomia tra bipolarità e unipolarità. Inoltre i disturbi bipolari vengono messi i disturbi dello spettro schizofrenico seguiti dai disturbi depressivi. Questa scelta non è casuale in quanto i disturbi bipolari si collocano a metà strada tra le psicosi e i disturbi depressivi. La sintomatologia, la genetica, l’eziologia e la familiarità rendono infatti i disturbi bipolari una condizione clinica di passaggio che condivide alcuni aspetti con le psicosi e altri aspetti con le sindromi depressive. Quindi nel DSM5 i disturbi unipolari e bipolari rientrano in aree cliniche concettualmente distinte in linea con la teoria di Leonhard ponendo quindi l’accento sulla polarità e considerando i disturbi dell’umore con presenza di episodi maniacali qualitativamente distinti dagli episodi di tipo esclusivamente deprerssivo. -I soggetti con un parente di primo grado affetto da disturbo bipolare hanno una più alta probabilità di sviluppare il disturbo. Al contrario i soggetti con un parente di primo grado affetto da depressione unipolare la probabilità di sviluppare un disturbo bipolare è simile a quella presente nella popolazione generale. -I disturbi bipolari hanno un’ampia componente genetica -I disturbi bipolari esordiscono generalmente prima rispetto ai disturbi unipolari. -la depressione bipolare presenta delle caratteristiche atipiche rispetto alla depressione unipolare -Gli antidepressivi sembrano avere una minore efficacia nei disturbi bipolari mentre vengono utilizzati preferibilmente associati a psicoterapia nel trattamento dei disturbi unipolari. LA DEPRESSIONE Con il termine depressione ci si riferisce a un quadro clinico caratterizzato da un insieme di sintomi tra i quali risultano centrali l’umore depresso e l’anedonia o perdita di interessi. Il DSM5 include tra i disturbi depressivi anche il disturbo depressivo maggiore, il disturbo depressivo ricorrente o distimia e il disturbo disforico premestruale con l’aggiunta del disturbo depressivo indotto da sostanze o da altre condizioni mediche. Infine abbiamo anche i disturbi depressivi con caratteristiche che non rientrano in nessuna delle precedenti ovvero il disturbo depressivo altrimenti specificato e il disturbo depressivo non specificato. A-disturbo depressivo maggiore: Si parla di disturbo depressivo maggiore quando per un periodo di almeno due settimane il soggetto presenta almeno 5 sintomi tra i quali: 1- umore depresso per la maggior parte del giorno 2-perdita del piacere in tutte o quasi tutte le attività (anedonia) 3-significativa perdita di peso 4-alterazione del sonno (insonnia o ipersonnia) 5-agitazione o rallentamento psicomotorio 6-senso di affaticamento o perdita di energia 7- sentimenti di inutilità o colpa 8-difficoltà di concentrazione 9-ideazione suicidaria. Il DSM propone che per parlare di episodio depressivo maggiore almeno un sintomo debba essere l’umore depresso o la perdita di interessi. Questi sintomi devono inoltre causare disagio clinicamente significativo e una alterazione del normale funzionamento sociale e lavorativo del paziente. Inoltre l’episodio non deve risultare una reazione all’uso di sostanze o causato da altra condizione medica facendo in questo senso diagnosi differenziale. SOTTOTIPOLOGIE DEL DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE Il disturbo depressivo maggiore può presentarsi in varie forme ed è fondamentale a livello diagnostico riconoscere la tipologia del disturbo corrispondente al quadro clinico del paziente per una corretta pianificazione del protocollo farmacologico di trattamento e per il trattamento psicoterapico. Il DSM propone una serie di specificatori ovvero sottotipologie del disturbo depressivo maggiore nelle quali il quadro clinico è caratterizzato da sintomi che si aggiungono a quelli sopra elencati. -disturbo depressivo maggiore con manifestazioni melanconiche: Si tratta di una forma particolarmente grave ed invalidante caratterizzata da una totale perdita del piacere e degli interessi o da una marcata perdita della reattività a stimoli solitamente piacevoli per il paziente. Inoltre devono essere presenti tre o più sintomi tra i quali: umore depresso caratterizzato da -forti sentimenti di disperazione -abbattimento o senso di vuoto -peggioramento dell’umore al mattino -insonnia tardiva -agitazione o rallentamento psicomotorio -senso di colpa eccessivo o inappropriato -anoressia o perdita di peso. -disturbo depressivo maggiore con ansia: Oltre ai sintomi dell’episodio depressivo maggiore sono presenti almeno due sintomi tra i quali: -irrequietezza -difficoltà di concentrazione a causa delle intense preoccupazioni -sensazione di catastrofe imminente -sensazione di perdere il controllo. ASPETTI BIOLOGICI DEL DISTURBO DEPRESSIVO Il disturbo come tutti gli altri disturbi psichiatrici hanno una base biologica consistente nella produzione da parte di aree cerebrali specifiche di neurotrasmettitori che vanno ad inibire le normali funzionalità individuali. In questo caso un ruolo centrale lo hanno: -la norepinefrina o noredrenalina -la dopamina -la serotonina. PSICONEUROENDOCRINOLOGIA NEL DISTURBO DEPRESSIVO La ricerca individua la stretta connessione tra eventi di vita stressanti e scompenso depressivo. Allo stesso tempo viene rilevata una anomalia nell’asse ipotalamo ipofisi surrene con una più alta concentrazione di cortisolo nel sangue. Queste osservazioni aprirono la strada per l’ipotesi del legame tra stress e depressione. Inoltre è stata riscontrata una riduzione del volume dell’ippocampo e della corteccia cingolata anteriore. Inoltre è stata riscontrata una alterazione dei circuiti cerebrali in cui sono implicati l’amigdala, il sistema limbico e corteccia prefrontale mediale. DIFFERENZA TRA UMORE DEPRESSO E TRISTEZZA L’umore depresso si riferisce ad una alterazione qualitativa e quantitativa del tono dell’umore che rende il soggetto pessimista, vuoto e scoraggiato. La perdita dell’interesse o anedonia è spesso associata a all’umore depresso. Tende a persistere a prescindere dagli accadimenti della vita e pervade la vita psichica e fisica influenzandone il suo funzionamento relazionale e lavorativo. L’umore depresso si associa a contenuti del pensiero qualitativamente differenti rispetto a quelli della tristezza e sono legati a tematiche di fallimento, colpa, indegnità personale e mancanza di speranza per il futuro. La tristezza è un emozione meno intensa dell’umore depresso e di meno durata. La tristezza rappresenta una normale reazione a vicende di vita problematiche e dolorose. Da questo punto di vista si tratta di un’emozione costruttiva che scompare dopo un certo periodo essendo sensibile agli eventi della vita e non impedisce al soggetto che la prova di svolgere le sue abituali attività e di provare piacere nel farle. Soltanto nei casi in cui il soggetto presenti dei casi di tristezza duratura soprattutto se associata ad altri sintomi quali ansia, insonnia e labilità emotiva il clinico può sospettare uno stato potenzialmente podromico e quindi proporre un trattamento. DIFFERENZA TRA UMORE DEPRESSO E LUTTO Un’altra differenza è tra disturbo depressivo maggiore e lutto. Il lutto normalmente compare nei primi 2 mesi successivi alla scomparsa della persona e si risolve entro 6 mesi. Il vissuto predominante del lutto è il senso di vuoto e i contenuti del depresso sono centrati sulla persona deceduta. Nel lutto l’autostima non viene alterata. Eventuali ideazioni suicidarie hanno come fine il ricongiungimento con la persona cara. La presenza di una sintomatologia tipica dell’episodio depressivo maggiore come rallentamento psicomotorio, inappropriati sentimenti di colpa, senso di inutilità, indicano un lutto non risolto. Nella depressione maggiore i contenuti del pensiero sono più autocritici e l’autostima è alterata. Eventuali ideazioni suicidarie hanno come scopo la fine della propria sofferenza e mancanza di speranza. MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLA DEPRESSIONE -Depressione melanconica: E’ spesso definita depressione endogena o malattia depressiva a causa dell’eziologia del disturbo spesso ritenuta di tipo prevalentemente biologico a differenza delle depressioni reattive scatenate da un evento o circostanza di vita in qualche modo riconducibili allo scompenso depressivo. E’ un sottotipo del disturbo depressivo maggiore le cui caratteristiche sono: a-sintomi affettivi: umore depresso con quasi totale perdita dell’interesse o del piacere o reattività assente tale per cui anche stimoli solitamente piacevoli non hanno il potere di influenzare positivamente il tono dell’umore. Profondo abbattimento, disperazione, senso di vuoto, senso di colpa eccessivo o inappropriato. L’umore presenta una particolare qualità denominata tristezza vitale: si tratta di un profondo vissuto di tristezza immotivata e immobilizzante vissuto dal paziente come un senso di peso opprimente localizzato sul torace. b-sintomi psicomotori: agitazione o rallentamento psicomotorio sono sintomi tipici della depressione melanconica. Agitazione, irrequietezza motoria, movimenti e linguaggio stereotipati, rallentamento del flusso del pensiero, del movimento del linguaggio e assenza di energia. c-sintomi cognitivi: ridotta capacità di concentrazione e della memoria a breve termine. d-sintomi neurovegetativi: disfunzioni neurovegetative quali perdita di appetito e della libido, insonnia tardiva, variazione diurna dei sintomi depressivi con peggioramento la mattina. e-sintomi psicotici: sono presenti sintomi psicotici con tematiche di rovina e colpa. -Depressione psicotica: Caratterizzata da allucinazioni uditive semplici e non elaborate come sentire bussare alla porta o sentire una voce chiamare, talvolta accompagnata da allucinazioni visive anch’esse semplici. I deliri sono generalmente congrui con il tono dell’umore con tematiche di colpa rovina e indegnità. -Depressione agitata: Rappresenta una varietà clinica dello stato misto. Il paziente appare irrequieto e incapace di restare seduto e talvolta può sfogarsi lamentandosi o gridando. In altri casi lo stato di agitazione può essere assente e può invece insorgere agitazione interna con affollamento di pensieri, manifestazioni di rabbia non scatenate da eventi esterni, umore disforico( alterazione dell’umore depressivo accompagnato da irritabilità e nervosismo). La grande energia e l’impulsività aumentano il rischio di suicidio. -Depressione atipica: Rappresenta un 16%-23% dei pazienti depressi unipolari percentuale che sale nei casi di depressione bipolare. Nei quadri atipici l’umore presenta una marcata reattività agli eventi per cui circostanze positive sono in grado di infondere al paziente gioia mentre circostanze negative hanno il potere di farlo tornare in uno stato profondo depressivo. A livello interpersonale può essere presente una marcata sensibilità all’approvazione o disapprovazione da parte degli altri con scarsa tolleranza del rifiuto e reazioni estreme alle delusioni. A differenza delle forme melanconiche i sintomi vegetativi sono invertiti essendo caratterizzati da ipersonnia, iperfagia (aumento della sensazione di fame), aumento di peso e non dall’insonnia e perdita di appetito. In alcuni casi si possono associare anche a sintomi ansiosi quali attacchi di panico e fobie. La depressione atipica è più frequentemente associata a forme bipolari di tipo II. -Depressione minore: Oltre all’umore depresso sono presenti uno o più sintomi tipici dell’episodio depressivo maggiore per almeno 2 settimane in un soggetto che non ha mai presentato i criteri per un altro disturbo depressivo o bipolare. I sintomi tipici sono di tipo affettivo e cognitivo mentre i sintomi vegetativi sono prevalentemente assenti. Spesso i pazienti lamentano difficoltà di concentrazione, pessimismo, ansia, poco entusiasmo nel lavoro. -Depressione post partum: Depressione che insorge dopo il parto. Esistono 3 quadri clinici differenti: a-Post partum blues: Si tratta di uno stato ansioso depressivo che si verifica nei giorni successivi al parto e generalmente ha una remissione spontanea entro 3 settimane. I sintomi sono di entità moderata come affaticamento, pianto, umore moderatamente depresso e normalmente non necessitano di un intervento psichiatrico. Si verifica nei 50% di casi. b-Depressione post partum: Si verifica nel periodo successivo al parto con sintomi riconducibili a quelli di una depressione maggiore. c-Psicosi puerperale: Tipologia rara di depressione caratterizzata da una sintomatologia che rientra in un quadro clinico tipico delle psicosi. Ai sintomi depressivi maggiori si associano anche i deliri il cui contenuto riguarda generalmente il neonato o gravi inadeguatezze materne come ad esempio il timore di avvelenare il neonato con il proprio latte. Questi sintomi sono spesso accompagnati da disperazione, pianto, esperienze allucinatorie, ideazioni suicidarie ( fondamentale è una precoce diagnosi per evitare che l’ideazione diventi realtà). -Disturbo depressivo persistente: Circa il 20% dei pazienti va incontro a cronicizzazione ovvero il persistere della sintomatologia per almeno 2 anni. L’assenza di un ambiente sociale percepito dal paziente come supportivo sembra essere un fattore di rischio per la cronicizzazione del disturbo. Le principali caratteristiche dell’episodio depressivo maggiore sono: -L’evento scatenante - l’assenza del supporto da parte degli altri significativi -il senso di svuotamento interiore e di perdita di ciò che si era -le difficoltà cognitive -il rallentamento -anedonia -astenia -L’ideazione suicidaria appare l’unica via possibile per uscirne sebbene il rallentamento motorio impedisca spesso di passare all’azione. DECORSO DEL DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE Il decorso passa attraverso 5 stadi: -fase podromica: in genere si assiste ad un esordio graduale. In questo caso l’episodio depressivo maggiore è preceduto da un episodio podromico durante il quale iniziano sintomi sottosoglia. Questa fase è caratterizzata da irritabilità, ansia generalizzata con aumento delle preoccupazioni , affaticamento, diminuzione degli interessi, ritiro dalla vita sociale, abbassamento dell’autostima e difficoltà di concentrazione. Questo corteo di sintomi può configurarsi come una depressione minore a seconda della loro gravità. La durata della fase podromica è variabile e può andare da 1 a 20 settimane. Si tratta di sintomi che sebbene disagevoli non provocano una compromissione della vita sociale e lavorativa. Si tratta di una sintomatologia polimorfa e aspecifica che spesso viene attribuita a stress o a un particolare periodo della vita del paziente per cui spesso non viene chiesto aiuto. -periodo di stato: L’aumento della sintomatologia podromica che traghetta il paziente verso un episodio depressivo maggiore conclamato. L’umore depresso e l’anedonia diventano più profondi e invalidanti così come i sintomi vegetativi e psicomotori interferendo significativamente con la vita sociale e lavorativa del paziente. Il rallentamento psicomotorio si manifesta con lentezza dell’andatura, astenia ovvero sensazione di affaticamento fisico simile a quello provato dopo una fatica eccessiva e riduzione dell’energia fisica, difficoltà a svolgere gran parte delle azioni quotidiane e sul piano ideativo sensazioni di vuoto mentale, lentezza dell’eloquio. La durata media dell’episodio depressivo va da 6 mesi a 12 mesi per la popolazione clinica e di circa 3 mesi per la popolazione generale. Talvolta il quadro clinico può essere aggravato dall’uso di sostanze o di benzodiazepine. In circa il 60% dei pazienti si può presentare ideazione suicidaria. Nelle forme cliniche miste tra le quali la depressione agitata il rischio suicidario è più elevato in quanto l’agitazione psicomotoria e l’irrequietezza forniscono maggiori possibilità del passaggio dall’ideazione all’atto. -fase residua: Di norma dopo un trattamento farmacologico e un trattamento psicoterapico permane una sintomatologia residua. Non è sempre possibile riuscire ad ottenere una completa risoluzione della sintomatologia depressiva. Nel 57% dei casi il paziente lamenta due o più sintomi residui che benchè non clinicamente sufficienti ad effettuare una diagnosi possono continuare ad interferire in qualche modo con la qualità della sua vita. I sintomi lamentati sono generalmente insonnia, affaticamento, difficoltà di concentrazione, bassa autostima, labilità emotiva. -ricadute depressive e doppia depressione: Il rischio è che la sintomatologia depressiva maggiore si riacutizzi nei 5 anni successivi al trattamento. Alcuni casi presentano una doppia depressione caratterizzati dall’insorgenza dell’episodio depressivo maggiore su un quadro preesistente distimico. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE PER LA DEPRESSIONE MAGGIORE La diagnosi differenziale in questo caso può comportare delle difficoltà per cui uno dei compiti del clinico sarà quello di valutare se si tratta in realtà di un disturbo psicotico, di un episodio maniacale o di un disturbo depressivo maggiore non primariamente dovuto a fattori psichici. -Disturbi psicotici: Un episodio depressivo maggiore può manifestarsi con sintomi psicotici quindi allucinazioni o deliri con tematiche di colpa, di rovina e di persecuzione. Talvolta è difficile differenziare un quadro depressivo da un quadro afferente allo spettro schizofrenico. 1-Il notevole aumento dell’energia porta il paziente maniacale all’incapacità a restare fermo per cui è solito un affacendamento continuo spesso senza finalità. L’iperattività psicomotoria e l’impulsività comportano anche il coinvolgimento in attività potenzialmente rischiose. E’ tipica la riduzione del bisogno del sonno. Il paziente infatti presenta una energia irrefrenabile pur dormendo anche pochissime ore notturne. I casi più gravi sono caratterizzati da insonnia totale. Il paziente maniacale presenta eloquio continuo e concitato, parla ad alta voce e velocemente in risposta ad una accelerazione del corso del pensiero. Aumento incondizionato della fiducia nelle proprie capacità e la scarsa considerazione dei propri limiti indicano un patologico aumento dell’autostima e una scarsa consapevolezza della malattia. Possono presentarsi deliri congrui ( con tematiche deliranti corenti con il senso grandioso di sé) o incongrui ( con tematiche deliranti a sfondo persecutorio talvolta ricondotti con il senso di grandiosità del sé come ad esempio “ vogliono convincermi che sono malato per prendermi il mio posto a capo della setta degli illuminati” con il tono dell’umore. L’episodio maniacale è in genere preceduto da una fase podromica della durata di diversi giorni caratterizzata da sintomatologia aspecifica difficilmente differenziabile dal podromo schizofrenico. Durante questa fase abbiamo il ridotto bisogno di sonno e una lieve iperattività psicomotoria. Permane un buon adattamento sociale e lavorativo nella fase podromica. Gli stati maniacali presentano diverse forme cicliche a seconda della sintomatologia prevalente: -mania euforica: La sintomatologia prevalente è incentrata sulla sensazione di benessere e sulla esaltazione affettiva e senso di infaticabilità. -mania disforica: il quadro clinico è dominato da senso di irritabilità e dalla disforia per cui il paziente può apparire collerico e rabbioso soprattutto in seguito a limitazioni provenienti dall’esterno. -mania agitata: prevale un’importante agitazione psicomotoria unitamente ad un ridotto bisogno di sonno. Il paziente appare logorroico o affaccendato. -mania con manifestazioni psicotiche: sono generalmente presenti deliri derivati da alterazione del tono dell’umore ovvero deliri olotimici con tematiche di grandezza e megalomania. E’ possibile osservare anche deliri incongrui con il tono dell’umore con temi persecutori. -mania confusa: frequente negli anziani e nei pazienti che abusano di sostanze. E’ una forma clinica nella quale le alterazioni organiche a carico del sistema nervoso centrale giocano un ruolo predominante con alterazione dello stato di coscienza spesso preceduta da insonnia e irritabilità. -mania cronica: la sintomatologia si protrae con deliri megalomanici o di grandezza e un tono dell’umore nel quale gli aspetti euforici lasciano il posto all’irritabilità e alla disforia. L’iperattività psicomotoria è pressocchè assente. 2-Negli stati ipomaniacali ritroviamo la stessa elevazione dell’umore in maniera più attenuata tanto da non interferire negativamente con la vita sociale e lavorativa del paziente. Permangono l’aumento anomalo dell’autostima , euforia, incrementata attività e produttività ed instancabilità. Come nella mania, l’umore è instabile e può mutare repentinamente in irritabilità. La capacità di giudizio è compromessa in maniera parziale. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE La difficoltà principale riguarda la distinzione tra depressione unipolare e depressione bipolare. -Disturbo depressivo maggiore. -Altri disturbi bipolari -Disturbi di ansia -Disturbi borderline di personalità. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO Il litio rappresenta il farmaco di prima scelta per il trattamento di tutte le fasi del disturbo efficace sia per gli episodi maniacali che per gli episodi depressivi. L’acido valproico è un altro farmaco utile nella monoterapia nel trattamento del disturbo depressivo. INTERVENTO PSICOTERAPICO La terapia cognitivo- comportamentale deve essere associata con il trattamento farmacologico per la prevenzione delle ricadute. I trattamenti psicoeducativi permettono ala paziente di acquisire una consapevolezza maggiore del disturbo, di riconoscere per tempo i campanelli di allarme di eventuali ricadute e di aderire maggiormente al trattamento farmacologico. Gli obiettivi del trattamento ad un livello successivo sono la migliore gestione dello stress, l’assunzione di uno stile di vita regolare e la prevenzione di comportamenti suicidari, un migliore adattamento psicosociale e un aumento del senso di benessere funzionale. CAPITOLO 4 LA SCHIZOFRENIA La schizofrenia è una malattia mentale caratterizzata da dissociazione della personalità e delle altre attività psichiche fondamentali. Presenta delirio, allucinazioni, disordine percettivo, ideativo o del comportamento. La schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività per un decorso superiore a 6 mesi con un forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività della vita della persona. La schizofrenia è una sindrome devastante che intacca la sfera psichica e sociale provocando una modificazione della personalità che segna la vita dei pazienti e dei loro familiari. E’ una condizione morbosa estremamente grave che perdura nel tempo e rappresenta una delle maggiori cause di disabilità psichica nella popolazione compresa tra i 15 e i 44 anni. La schizofrenia è un disturbo psichico multiforme costituita da vari quadri clinici interconnessi tra loro. Bleuler parlava di gruppo delle schizofrenie proprio per indicare questa componente multiformale e multifattoriale. Diversi sono gli autori che hanno cercato di dare una definizione e spiegazione medica del disturbo mentale. -Krepelin: considerato il padre della psichiatria moderna ha condotto una sistematizzazione nosografica destinata ad influenzare tutti i successivi tentativi di classificazione dei disturbi mentali. Fu un convinto assertore dell’applicazione alla psichiatria del modello anatomo- clinico secondo cui il disturbo psichico era considerato come una diretta derivazione di una alterazione a livello cerebrale. Secondo l’autore bisognava porre attenzione all’evoluzione temporale del quadro clinico (criterio nosodromico) poiché solo il decorso e l’esito sono in grado di fornire informazioni certe sulla natura del disturbo mentale. Ogni disturbo psichico è un processo naturale che esordisce ed evolve in un modo caratteristico al di là della persona e del contesto in cui si presenta. Quindi la diagnosi si basa sull’individuazione di un insieme di sintomi che presentano un esordio, un decorso ed un esito caratteristici. L’entità diagnostica della schizofrenia è nata con Kraepelin e da lui denominata in un primo momento dementia praecox o demenza precoce sindrome che comprendeva l’ebefrenia ( forma di schizofrenia giovanile che può presentarsi con comportamenti confusionali e incoerenti), la catatonia ( sindrome psichiatrica caratterizzata da anomalie motorie, emotive e comportamentali e può dipendere sia da patologie organiche che da patologie psichiche) e la demenza paranoide (psicosi con delirio cronico basato su un sistema di convinzioni principalmente di tipo persecutorio non corrispondente alla realtà). Le diverse forme della demenza precoce erano caratterizzate da un esordio giovanile, un decorso rapidamente regressivo e un esito in un quadro simildemenziale. I sintomi caratteristici includevano allucinazioni soprattutto uditive, disturbi dell’attenzione, disturbi formali del pensiero, deliri, appiattimento affettivo, perdita della capacità critica, abulia (assenza di volontà. Uno dei sintomi della depressione ed impedisce di prendere decisioni in maniera autonoma, di imporre i propri desideri e di intraprendere qualsiasi iniziativa e di compiere azioni) e catatonia (sindrome di tipo psichiatrico caratterizzata da anomalie motorie, emotive e comportamentali e può dipendere sia da patologie organiche che da patologie psichiche). La demenza precoce fu distinta da Krepelin dalla sindrome maniaco depressiva ( disturbo bipolare dove gli episodi di depressione si alternano ad episodi maniacali o a episodi ipomaniacali) contraddistinta da un decorso episodico, assenza di deterioramento e esito favorevole. -Bleuler: 1911 ridefinì il concetto di demenza precoce e coniò il termine di schizofrenia. Bleuler supera il pessimismo krepleriano in quanto non era affatto vero la schizofrenia fosse incurabile. Il decorso e l’esito della schizofrenia sono variabili e quindi la diagnosi non può basarsi sull’evoluzione temporale del disturbo. Inoltre secondo Bleuler non si osserva una vera demenza in quanto le funzioni cognitive di base restano sostanzialmente integre anche se utilizzate in maniera anomala e inadeguata. Bleuler sposta l’attenzione dalla descrizione dei fenomeni manifesti ovvero dalla sintomatologia al piano strutturale sottostante in grado di spiegare i processi di formazione del disturbo. In particolare Bleuler parla di scissione per descrivere il difetto basilare della schizofrenia che funge da comune denominatore delle diverse manifestazioni cliniche del disturbo. Bleuler come Kraepelin ipotizza l’esistenza di un danno organico come primo motivo della schizofrenia ma non ritiene che vi sia un legame diretto tra alterazione cerebrale e sintomatologia manifesta. Secondo Bleuler era necessario descrivere i sintomi primari dai sintomi secondari. -sintomi primari: sono espressione diretta della patologia cerebrale sottostante di cui la scissione delle funzioni psichiche rappresenta il disturbo più importante. -sintomi secondari: sono prodotti da meccanismi di compensazione messi in atto dalla persona in seguito a perturbazioni causate dal processo morboso. In questa distinzione si intravede il tentativo di spiegare l’insorgenza della schizofrenia introducendo variabili di tipo psicologico. Sul piano diagnostico Bleuler distingue tra sintomi fondamentali da sintomi accessori. -sintomi fondamentali: sono presenti in ogni forma clinica e indispensabili per porre diagnosi di schizofrenia. Includono il disturbo delle associazioni, l’appiattimento affettivo, l’ambivalenza e l’autismo. -sintomi accessori: sono sintomi che possono o meno comparire nel corso dell’evoluzione del disturbo. Includoo le allucinazioni soprattutto uditive e altri fenomeni dispercettivi, i deliri, i disturbi del linguaggio e sintomi catatonici. -Schneider: Secondo l’autore occorre distinguere tra disturbi psichici che hanno una base organica ( gli unici a poter essere considerati malattia) e disturbi psichici in cui l’alterazione somatica è assente. Secondo l’autore la schizofrenia deve essere considerata una malattia nonostante l’impossibilità di accertare l’esistenza di un danno cerebrale. La schizofrenia deve essere considerata malattia in quanto caratterizzata da sintomi qualitativamente abnormi , l’insorgenza appare slegata dal contesto di vita in cui si produce, la schizofrenia rappresenta una interruzione della continuità dell’esperienza introducendo il concetto di sintomi dell’esperienza ovvero sintomi non osservabili nel comportamento ma che fanno parte delle esperienze interne vissute dal soggetto e parlando di sintomi di primo rango ovvero sintomi caratteristici della schizofrenia: -allucinazioni uditive -percezioni deliranti -esperienze di influenzamento SINTOMI POSITIVI E SINTOMI NEGATIVI -schizofrenia di I tipo: caratterizzata da sintomi positivi, esordio acuto, assenza di disturbi cognitivi e neurologici, assenza di anomalia della struttura cerebrale, buon adattamento premorboso, buona risposta al trattamento neurolettico, deterioramento assente, prognosi favorevole, iperattività dopaminergica (alterazione funzionale reversibile). -schizofrenia di II tipo: caratterizzata da sintomi negativi , esordio insidioso, presenza di disturbi cognitivi e neurologici, presenza di anomalie della struttura cerebrale, scarsa risposta al trattamento neurolettico, deterioramento presente, prognosi negativa, perdita neuronale (alterazione strutturale irreversibile) -sintomi positivi: riflettono un eccesso o una distorsione di funzioni psichiche normali ed includono deliri, allucinazioni, disturbi formali del pensiero, comportamento disorganizzato o catatonico e affettività inadeguata riscontrabili nella fase acuta del disturbo e similari ai sintomi di primo rango di Scheinder e sintomi accessorio di Bleuler. I sintomi positivi sono quelli che non si presentano normalmente nelle persone sane ma sono presenti nelle persone schizofreniche. -sintomi negativi: riflettono una riduzione o una perdita delle funzioni psichiche normali, includono alogia ( indica povertà di linguaggio o dell’eloquio) , appiattimento affettivo, asocialità, apatia e disturbi dell’attenzione. Sono similari ai sintomi fondamentali di Bleuler. I sintomi negativi si distinguono in sintomi negativi primari e secondari. Rispondono meno bene ai farmaci. -sintomi negativi primari: sono i sintomi tipici della schizofrenia e possono essere transitori o duraturi. -sintomi negativi secondari: dovuti a fattori legati ad esempio all’effetto collaterale dei neurolettici, lo sconvolgimento prodotto dai sintomi depressivi, la deprivazione sociale. -Carattere: Include connotazioni di valore sulla persona ( ad esempio buona cattiva o affidabile) ed è un termine utilizzato per indicare le tendenze comportamentali che fanno sì che l’individuo agisca in maniera coerente secondo i suoi costumi o valori. -Temperamento: Ha a che fare con i correlati biologici del funzionamento psichico in particolare con le caratteristiche innate. Appartengono al temperamento alcuni determinanti fattori individuali quali: sensibilità, eccitabilità, suscettibilità. L’ambiente e l’esperienza di vita si innestano su questa base. -Tratti: Sono modi di percepire, pensare e mettersi in relazione con sé e con l’ambiente che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali e che si mostrano stabili nel tempo. Sono il prodotto di una combinazione tra temperamento ed esperienza e sono determinanti per guidare il comportamento dell’individuo. Con il tempo queste costellazioni cognitivo- emotivo- affettive vanno incontro ad un processo selettivo garantendo una certa coerenza delle risposte individuali. Essi devono pur mantenendosi stabili presentare la caratteristica della flessibilità per essere funzionali all’individuo cioè per garantire il migliore adattamento possibile. Si parla di disturbo di personalità quando i tratti perdono la loro caratteristica di adattività e flessibilità facendo sì che tutta la vita del soggetto ruoti intorno a un’organizzazione stereotipata e relativamente rigida indipendentemente dalla situazione in cui si trova. Si realizza in questo caso un modello abituale di comportamento ed esperienza che devia dalle aspettative e diviene pervasivo. Questa rigidità crea gravi difficoltà sul piano lavorativo sociale e relazionale ed impedisce di rispondere in maniera adeguata agli eventi stressanti o inaspettati. Il soggetto non ne riconosce la disfunzionalità così che essa diviene la sua organizzazione costante di funzionamento. Si parla di egosintonia ovvero qualsiasi comportamento, sentimento o idea che sia in armonia con i bisogni e desideri dell’Io o coerente con l’immagine di sé del soggetto. Ad oggi è fondamentale superare il concetto di disturbo preferendo parlare piuttosto di una tipologia di personalità normale e costante per quell’individuo che per diverse motivazioni ( biologiche evolutive relazionali ambientali) si struttura su schemi e modelli disadattivi e che per un insieme di fattori ( ad esempio l’ingresso nel mondo del lavoro o l’autonomia abitativa…) emerge come modalità disfunzionale conclamata nella prima età adulta e dove è il carattere della stabilità e della lunga durata a determinarne la cronicità. Secondo il DSM5 l’inflessibilità e la pervasività di questi pattern abituali di esperienza e comportamento si manifestano in due o più delle seguenti aree: -cognitività: modalità di percezione e interpretative. -affettività: tipologia della risposta emotiva. -funzionamento interpersonale: controllo degli impulsi. Nel DSM5 i disturbi di personalità sono raggruppati in tre gruppi (cluster) ABC distinti in base alla presenza di caratteristiche descrittive simili che comunque non necessariamente abbiano uguale eziologia. I disturbi di personalità sono disturbi mentali con manifestazioni di pensiero e comportamento disadattivi che si manifestano in modo pervasivo (non limitato ad uno o pochi contesti) inflessibile e apparentemente permanente coinvolgendo la sfera cognitiva, affettiva, interpersonale ..della personalità dell’individuo. Si parla di disturbo quando la manifestazione sintomatologica causa disagio clinicamente significativo anche se non sempre riconosciuto dal paziente il quale manca di insight ossia non si rende conto del proprio impatto sugli altri essendo il disturbo di personalità egodistonico. E non tende a cercare aiuto. Il paziente viene spinto da altre persone o dal disagio causato da altre patologie in comorbilità ( ansia, depressione, isolamento sociale, disturbi ossessivo- compulsivi, schizofrenia e psicosi) a rivolgersi ad uno specialista manifestando solo in seguito un certo grado di consapevolezza. I pazienti con questi disturbi spesso possono manifestare immaturità emotiva e psicoaffettiva pur essendo intellettualmente normali e senza ritardi mentale. Possono mostrare anche più tratti di più disturbi in contemporanea ed in questo caso si parla di organizzazione borderline di personalità che non và confuso con il disturbo borderline di personalità puro. L’organizzazione borderline di personalità è un tipo di struttura di personalità considerata patologica e comune a tutti i disturbi di personalità. E’ descritta come una personalità funzionante al limite tra psicosi e nevrosi con difficoltà di interazione sociale e personale, repentini cambi di umore e empatia assente o esagerata. Il disturbo borderline di personalità è un disturbo di personalità le cui caratteristiche essenziali includono: -paura del rifiuto –instabilità nelle relazioni interpersonali – instabilità nell’immagine di sé, instabilità nell’ identità e nel comportamento. I disturbi di personalità sono disturbi mentali che si differiscono dai disturbi clinici in quanto sono generalmente egosintonici (per cui la persona difficilmente si rende conto di essere affetta da un disturbo e considera i sintomi come tratti peculiari del proprio stile di vita e alloplastici ( la persona tende a cambiare l’ambiente e non se stesso). Per una diagnosi di disturbo della personalità è fondamentale che l’individuo abbia raggiunto la maggiore età in quanto potrebbero alterare il normale funzionamento dell’individuo alterazioni ormonali o repentini cambiamenti sociali. Un disturbo di personalità è definito come un modello abituale di esperienza o comportamento che si discosta notevolmente dalla cultura a cui l’individuo appartiene e si manifesta in almeno 2 delle seguenti aree: - cognitiva – affettiva – area comportamentale o funzionamento interpersonale con controllo degli impulsi. La disadattività può insorgere nella prima metà della vita adulta me può essere visibile già nell’infanzia. Generalmente è stabile nel tempo e presenta un carattere inflessibile e pervasivo nelle diverse aree della vita e comporta conseguenze in termini di sofferenza soggettiva e limitazioni lavorative e sociali. Dal punto di vista eziopatogenetico i disturbi di personalità sembrerebbero associati a eventi potenzialmente traumatogeni subiti in età evolutiva. Il fattore genetico è stato studiato ma pare spiegare solo in parte i disturbi di personalità. CLUSTER A -Disturbo paranoide di personalità -Disturbo schizoide di personalità -Disturbo schizotipico I pazienti che presentano tali disturbi hanno in comune eccentricità e stranezza del comportamento e di alcune modalità di pensiero. Il gruppo A è caratterizzato da comportamenti considerati strani o paranoici e dalla tendenza del soggetto all’isolamento e alla diffidenza. -Il disturbo paranoide di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato da diffidenza e sospettosità che spingono a interpretare le motivazioni degli altri sempre come malevole per sé o per le persone a cui il paranoico vuole bene. Gli individui che maturano questa struttura di personalità sono dominati in maniera rigida e pervasiva da pensieri rigidi e fissi di persecuzione, timore di venire danneggiati, paura continua di subire un tradimento anche da persone amate senza che però tali pensieri raggiungano caratteri deliranti. L’esame della realtà infatti rimane intatto. Il disturbo si presenta come stabile e poco passibile di modificazioni . Può manifestarsi già nell’infanzia e nell’adolescenza sotto forma di tendenza alla solitudine , ansia sociale, scarse relazioni con i coetanei. La caratteristica principale è la sospettosità e il tentativo di proteggersi dagli attacchi altrui. Spesso risulta essere un disturbo difficile da diagnosticare in quanto in alcune specifici contesti come quelli politici o imprenditoriali in genere una tendenza al sospetto può essere contestualizzata e funzionale. Inoltre proprio perché l’esame della realtà rimane intatto nel paziente con disturbo di personalità paranoide a differenza di quanto accade nel caso della schizofrenia paranoide, i contenuti del racconto non assumono la forma del delirio e fatti obiettivi vengono interpretati come malevoli. L’esame della realtà è dunque mantenuto quindi nel lavoro possono essere altamente efficienti e coscienziosi e rispettosi della gerarchia sebbene difficilmente si affidino all’aiuto dei colleghi. In ogni individuo è presente una modalità transitoria di pensiero paranoide che in quanto appartenente alla normale gamma dei pensieri e avendo funzioni protettive per la persona, non necessariamente va interpretata come patologica. Essa può presentarsi in particolari condizioni di stress. Quello che distingue il patologico dal funzionale è la caratteristica della transitorietà e della flessibilità che vengono a mancare nel disturbo dove vi si costituiscono come certezze stabili e pervasive. Secondo la prospettiva psicodinamica queste caratteristiche di personalità sono prevalentemente attribuibili ad un uso massiccio del meccanismo di difesa della proiezione attraverso il quale le caratteristiche ritenute cattive appartenenti alla propria persona vengono attribuite e proiettate all’esterno su altre persone o sull’intero ambiente che verrà percepito come costantemente ostile e pericoloso per la sopravvivenza dell’individuo. Il meccanismo della proiezione è una strategia di difesa primitiva dell’Io utilizzata in modo massiccio nella primissima infanzia. Il disturbo non deve essere diagnosticato se si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia e se invece si manifesta prima dell’esordio della schizofrenia si può diagnosticare il disturbo paranoide di personalità con la dicitura premorboso. Inoltre non si può diagnosticare se si manifesta durante il decorso di un disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche o di un altro disturbo psicotico né se è attribuibile agli effetti fisiologici di una condizione neurologica ad esempio epilessia o di un’altra condizione medica come dice il criterio B. -disturbo schizoide di personalità: Le caratteristiche essenziali del disturbo schizoide di personalità sono una modalità pervasiva di distacco delle relazioni sociali e una gamma ristretta di esperienze e di espressioni emotive nei contesti interpersonali. Il tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni strette con altri esseri umani ed il distacco emotivo del soggetto. La sua prevalenza è bassa rispetto agli altri disturbi di personalità ed è stata valutata inferiore all’1% nella popolazione generale. Si manifesta maggiormente nel genere maschile. La personalità schizoide si manifesta con chiusura in sé o senso di lontananza e freddezza. La persona tende all’isolamento oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali, non appare interessata ad un legame profondo con altre persone ed evita il coinvolgimento in relazioni intime con altri individui con l’eventuale eccezione dei parenti di primo grado. Il soggetto schizoide tende a vivere emotivamente in un mondo proprio rigidamente separato dal mondo esterno delle relazioni sociali e la sua idea del sé è affetta da incertezze. In alcuni casi si manifesta freddezza con atteggiamenti di rifiuto, disagio, indifferenza o disprezzo o comunque altre modalità di chiusura e blocco emotivo o distacco. Le situazioni che scatenano la manifestazione dei sintomi del disturbo, sono in genere quelle di tipo intimo con altre persone come ad esempio nel caso di manifestazioni di affetto o di scontro. La persona schizoide non è in grado di esprimere la sua partecipazione emotiva coerentemente e in un contesto di relazione. Nei contesti dove sia richiesta spontaneità e simpatia appare goffa e rigida. Un altro tratto caratterizzante del disturbo è l’anedonia ovvero la ridotta o assente capacità di provare piacere o interesse per qualsiasi attività. Il DSM5 richiede di identificare almeno 4 tra le seguenti per soddisfare il criterio A: -quasi sempre sceglie attività individuali -non desidera né prova piacere nelle relazioni affettive, incluso il fare parte di una famiglia -scarso interesse sessuale -anedonia -scarso influenzamento ovvero è indifferente alle lodi e alle critiche -freddezza emotiva, distacco o affettività appiattita -introversione caratteristica Queste modalità non si devono manifestare esclusivamente durante il decorso della schizofrenia (se si manifestano prima del decorso della schizofrenia si può diagnosticare con la dicitura premorboso) di un disturbo dell’umore o depressivo con manifestazioni psicotiche, di un altro disturbo psicotico o dello spettro dell’autismo e non sono dovute agli effetti fisiologici diretti di un’altra condizione medica generale ( criterio B). La caratteristica principale del disturbo essendo il distacco nelle relazioni sociali e una ristretta gamma di espressione delle emozioni, pare essere dovuta ad alterazioni riscontrate anche nella schizofrenia ovvero alterazioni a livello della corteccia prefrontale. Il soggetto con disturbo schizoide spesso presenta una immaginazione ricca ed articolata ma un vissuto emozionale molto meno intenso coltivando un mondo interiore fantastico. Rievocando ricordi di eventi che riguardano la sua vita emotiva in qualche modo appaga alcuni bisogni senza partecipare attivamente al mondo reale. Quindi la risposta schizoide sarebbe un meccanismo difensivo profondo rivolto verso la realtà inconsciamente percepita come pericolosa e dolorosa. Ciò che colpisce del disturbo schizoide di personalità è l’incapacità di relazionarsi agli altri ed una alterazione riguardo la capacità di provare emozioni e di riconoscere quelle principali. DIAGNOSI DIFFERENZIALE -Il disturbo schizoide deve differenziarsi dalla schizofrenia, dal disturbo delirante e dal disturbo bipolare depressivo con caratteristiche psicotiche. -dispercettivi ( illusioni o distorsioni percettive arrivando a fenomeni di depersonalizzazione e derealizzazione) -anomalie di linguaggio presenti anche nella schizofrenia ( perdita del filo logico, nei casi più gravi l’incoerenza probabilmente collegata al rallentamento dei nessi associativi in situazioni di stress). Tuttavia la sintomatologia non raggiunge l’intensità tipica dello spettro schizofrenico. Ad esempio questi soggetti possono presentare idee di riferimento senza raggiungere dei deliri di riferimento. Inoltre è mantenuto il contatto con la realtà o comunque la sua perdita non è mai così netta come nel caso della schizofrenia. Dal punto di vista lavorative queste persone possono mantenere un impiego a seconda delle capacità di sostenere delle situazioni di stress. Cercheranno attività ripetitive tendenzialmente meccaniche e protette dal contatto con il pubblico e con ruoli che non implichino responsabilità ma con regole ben precise. -Il decorso nella maggior parte dei casi rimane stabile pur essendovi periodi in cui l’individuo appare più spostato sul versante psicotico e solo in piccola percentuale si verifica una evoluzione in un disturbo schizofrenico. COMORBIDITA’ In situazioni di forte stress la sintomatologia può soddisfare i criteri per un -episodio psicotico breve -disturbo schizofreniforme -disturbo delirante -schizofrenia -disturbo paranoide -disturbo schizoide -disturbo evitante -disturbo borderline di personalità. DIAGNOSI DIFFERENZIALE -Il disturbo schizotipico deve essere distinto dalla schizofrenia, dal disturbo delirante e dal disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche. Infatti sebbene questi individui presentino disturbi percettivi, idde di riferimento o convinzioni strane normalmente non compaiono veri e propri deliri. Se il disturbo schizoide era già stato riconosciuto in precedenza l’emergere di queste patologie o persiste quando i sintomi acuti sono in remissione allora è possibile apporre diagnosi aggiuntiva. -Il disturbo schizotipico deve essere distinto dal disturbo autistico sebbene presenti ritiro sociale, peculiarità nel linguaggio e nella comunicazione e stranezza del comportamento. Nel disturbo autistico l’insorgenza della sintomatologia è precoce e le difficoltà sono più relazionali ed emotive caratterizzate da stereotipie rispetto ad un soggetto con disturbo schizotipico dove la sintomatologia è meno intensa. -L’uso di sostanze come allucinogeni o oppiacei può dare origine all’insorgenza di esperienze percettive insolite, ideazione paranoide o convinzioni strane. Tuttavia queste manifetazioni sono legate all’assunzione delle sostanze mentre nel disturbo schizotipico sono caratteristiche costanti del disturbo. - La sospettosità e l’isolamento è comune con il disturbo paranoide ma in realtà a differenza del paranoide il disturbo schizotipico non presenta distorsioni percettive, cognitive e comportamentali marcate. Il soggetto schizotipico non pare essere motivato alla relazione che spesso sostituisce con fantasie. -Anche nel disturbo narcisistico possono comparire sospetto e distacco ma determinati dal timore di manifestare difetti o imperfezioni e non compaiono distorsioni percettive, convinzioni strane o insolite e comportamenti eccentrici come nel caso invece del disturbo schizotipico. -Nel disturbo borderline le esperienze dissociative sono rapide e transitorie e compaiono in relazione allo stress determinato ad esempio da forte rabbia, ansia, cambiamenti destabilizzanti mentre nel disturbo schizotipico sembrano essere più costanti e associate ad altre manifestazioni sintomatologiche come ad esempio pensiero magico, illusioni, eloquio strano. Inoltre le problematiche del disturbo borderline si caratterizzano per una tumultuosità emotiva e problematiche impulsive mentre nel disturbo schizotipico sono conseguenza di un mancato desiderio di relazione. CENNI DI TERAPIA Funzionali sono gli interventi psicoeducativi e psicosociali piuttosto che una psicoterapia vera. In realtà i migliori sono gli interventi cognitivi comportamentali associati a farmacoterapia indicata per periodi più stressanti. CLUSTER B -Disturbo antisociale di personalità -Disturbo borderline di personalità -Disturbo istrionico di personalità -Disturbo narcisistico di personalità -Disturbo antisociale di personalità: Ciò che caratterizza il disturbo è la modalità di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri. Si tratta di un pattern pervasivo di comportamento che si manifesta dai 15 anni in poi. DIANOSI Per apporre diagnosi del disturbo antisociale il DSM chiede la presenza di tre dei seguenti elementi (CRITERIO A): -incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale -disonestà come il mentire ripetutamente o truffare gli altri per profitto o piacere personale. -irritabilità e aggressività -non curanza della sicurezza propria ed altrui -irresponsabilità abituale come la ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continua o di fare fronte ad obblighi finanziari. -mancanza di rimorso Per poter diagnosticare occorre che il soggetto abbia compiuto almeno 18 anni (CRITERIO B) e che presenti in anamnesi un disturbo della condotta prima dei 15 anni (CRITERIO C). Inoltre il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o del disturbo bipolare (CRITERIO D) NOTE BIOLOGICHE Il disturbo antisociale presenta molte evidenze di un corredo genetico e biologico. I soggetti sembrano avere una predisposizione innata all’aggressività e una soglia più alta per l’eccitazione piacevole legata al bisogno di stimolazioni progressivamente crescenti per ricreare lo stesso effetto di piacevolezza. I maschi presentano un disturbo antisociale e da uso di sostanze mentre le femmine presentano il disturbo da sintomi somatici. Il contributo ambientale è altrettanto importante nella genesi del disturbo. Infatti figli adottivi di genitori con disturbo antisociale hanno una maggiore predisposizione a sviluppare tale disturbo ( se maschi un disturbo da uso di sostanze o disturbo antisociale puro e se femmine un disturbo da sintomi somatici. Quindi l’ipotesi è una ipotesi concasuale. Secondo Bowlby quando i bambini sperimentano stati di separazione dal genitore o minacce di abbandono provano una intensa collera funzionale a comunicare al genitore lo stato di paura e di disagio. Se le separazioni sono prolungate unite a minacce spaventanti la collera assume un livello disfunzionale arrivando all’odio inizialmente rivolto al genitore per poi per la paura di rompere la relazione esso verrebbe represso o indirizzato verso altri obiettivi. Il contesto risulta quindi fortemente instabile e disfunzionale alla allo sviluppo della sfera emotiva e relazionale e comportamentale del bambino in un quadro di anaffettività e freddezza. Lo stile di attaccamento sembra essere irrisolto e distanziante colorito da una valutazione sprezzante dell’attaccamento. L’esperienza relazionale è vissuta in maniera totalmente negativa fino al disprezzo non avendo sviluppato un modello relazionale corretto di relazione sicura cosicchè l’antisociale sviluppa l’impossibilità di mantenere un legame poiché l’altro è cattivo e trascurante e abbandonico. L’unica sicurezza dell’antisociale è di mantenere un controllo sulle relazioni. CLINICA DESCRITTIVA Pinel introduce il concetto di follia ragionante per descrivere una categoria di soggetti impulsivi e distruttivi che potevano mantenere intatte le loro facoltà intellettive. Il decorso si caratterizza per essere cronico possono migliorare alcuni aspetti quali la messa in atto di condotte criminali e l’uso di sostanze o si può andare incontro a remissione. La personalità antisociale si sviluppa intorno ad un nucleo di inosservanza di doveri e di mancato rispetto per le regole sociali arrivando a sviluppare un sentimento impietoso nei confronti degli altri. La manipolazione e lo sfruttamento sembrano essere le modalità che guidano le relazioni con il mondo esterno ovvero l’altro se esiste viene percepito solo come mezzo per raggiungere un fine. No esiste spazio per la comprensione, empatia, preoccupazione così come non esistono rimorso o senso di colpa. Le emozioni vengono vissute in relazione a sé stessi ma non agli altri. Gli antisociali hanno bisogno di esercitare potere e controllo e questo è ciò che guida le loro azioni. Sono individui tendenzialmente cinici, aggressivi, prepotenti ed incapaci di accedere ad una dimensione affettiva (mancanza di empatia). Il locus of control è generalmente esterno ovvero attribuiscono le colpe a chi li circonda. Conseguenza di queste condotte è la pericolosità sociale. COMORBILITA’ Il disturbo può presentarsi in associazione con -disturbi da uso di sostanze -disturbi di personalità del gruppo B ( borderline, antisociale, istrionico) -depressione che può la storia dell’antisociale. Si tratta del concetto di acting out il vero nucleo definitorio della personalità antisociale precludendo il contatto sociale. Questo testimonia la profonda angoscia che questi soggetti provano. L’emergenza di tale sentimento è così forte ed ingestibile da spostarsi e sfogarsi repentinamente nell’azione. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Occorre distinguere il comportamento antisociale da: -disturbo da uso di sostanze : Può portare a diversi comportamenti criminali. Se essi non erano presenti prima dell’utilizzo della sostanza e se in anamnesi non risulta un disturbo della condotta o comunque non vi siano stati sintomi nell’infanzia e nell’adolescenza non si pone diagnosi di disturbo antisociale di personalità. La comorbilità è comunque molto alta in quanto possono essere compresenti dunque risulta difficile distinguere quale comportamento sia attribuibile all’uno o all’altro. -schizofrenia e disturbo bipolare: Comportamenti antisociali possono essere presenti in corso di schizofrenia o di disturbo bipolare. Devono essere necessariamente distinti dal disturbo antisociale. Se infatti si manifestano solo nel corso di tali patologie non è possibile porre diagnosi di personalità antisociale. -personalità patologiche: Vi sono analogie tra disturbo antisociale e altri disturbi di personalità come il disturbo paranoide: entrambi presentano una tendenza ad interpretare ciò che li circonda come qualcosa che li riguarda ed entrambi vengono spesso coinvolti in procedure giudiziarie condividendo tratti di impulsività e di manipolazione. Gli antisociali hanno problemi con la legge in quanto assumono esplicitamente un comportamento che va contro le norme sociali mentre nel paranoide i nemici sono creati dal clima di sospetto e ipervigilanza in cui questi soggetti sono immersi. -disturbo istrionico e borderline CENNI DI TERAPIA Il disturbo antisociale è uno dei più difficili da trattare. Non si intraprendono trattamenti ambulatoriali individuali ma si interviene in maniera integrata per fare fronte ad eventuali reazioni transferali e controtransferali. La terapia è una terapia multisistemica (MST) . Di norma non si effettuano cure psichiatriche. Il soggetto ha bisogno di contenimento emotivo e comportamentale quindi psicoterapia e farmacoterapia non sono utili se somministrate in ambito ambulatoriale o privato. Il trattamento più efficace risulta essere il ricovero in strutture specializzate per la cura di -disturbi di identità -modificazione della personalità dovuta ad altra condizione medica -Disturbo istrionico di personalità: Disturbo di personalità caratterizzato da una intensa emotivitàesternata con modalità teatrali e caratterizzata da costanti tentativi di ottenere attenzione mediante comportamente seduttivi. Per fare diagnosi servono 5 sintomi tra i seguenti (CRITERIO A): -la ricerca di attenzione costante -relazioni interpersonali caratterizzate da inappropriato comportamento sessuale seduttivo o provocante -utilizzo dell’aspetto fisico per attirare attenzione -autodrammatizzazione, teatralità, espressione esagerata delle emozioni -facilmente suggestionabile ovvero influenzabile -iperconsiderazione delle relazioni intime. -comportamento esibizionista -eccessiva sensibilità alle critiche o alla disapprovazione -orgoglio per la propria personalità e mancanza di desiderio di cambiare in quanto il cambiamento viene vissuto come una minaccia -utilizzo di sintomi somatici per attirare attenzione -scarsa tolleranza alla frustrazione -impulsività -seduttività -lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico ma privo di dettagli -tendenze manipolative -ricerca esterna di gratificazioni CLINICA In genere hanno buone capacità sociali anche se la percezione rimane comunque distorta; frequenti cambiamenti di lavoro in quanto tendono ad annoiarsi con una ricerca costante di eccitazione. E’ un disturbo affine all’isteria con cui ha in comune la teatralità, la labilità emotiva, l’impulsività in un continuum dove l’isteria si colloca ad un livello più intenso. COMORBILITA’ -disturbi di personalità dello spettro B -disturbi depressivi -disturbo dipendente di personalità. DIAGNOSI DIFFERENZIALE -Il disturbo istrionico deve essere differenziato da : -disturbi di personalità del cluster B -modificazioni della personalità dovuti a condizione medica -disturbi da uso di sostanze. CENNI DI TERAPIA -terapia psicodinamica e cognitiva comportamentale che vanno ad agire sulle cause della sintomatologia e sulle distorsioni percettive. -Disturbo narcisistico di personalità: Disturbo di personalità il cui sintomo principale è un notevole egocentrismo a volte unito a un deficit nella capacità di provare empatia verso altri. Questa patologia è caratterizzata da un aparticolare concezione del sé “Sé Grandioso” e comporta un sentimento esagerato della propria importanza e idealizzazione del proprio sé ovvero una forma di amore di sé fasulla unita a difficoltà di coinvolgimento emotivo. La persona manifesta egoismo profondo di cui non è consapevole e le cui conseguenze provocano sofferenza disagio sociale o significative difficoltà relazionali. Il soggetto ha bisogno di creare relazioni che gli permettono di specchiare in maniera grandiosa il proprio sé e di trovare conferme e di instaurare relazione improntate spesso al controllo e alla manipolazione affettiva comune con altri disturbi di personalità del cluster B. Per diagnosticare il disturbo occorre manifestare in almeno 5 aree (CRITERIO A): -mancanza di empatia -Sé grandioso o falso sé -assorbimento in fantasie di successo -richiesta eccessiva di ammirazione -atteggiamenti o comportamenti arroganti. -rischio suicidario NOTE BIOLOGICHE Si riscontra un ingrossamento della materia grigia significativamente minore nell’emisfero sx nella regione sinistra anteriore dell’insula correlata all’empatia COMORBILITA’ Vedi sopra DIAGNOSI DIFFERENZIALE Vedi sopra CLUSTER C -Disturbo evitante -Disturbo dipendente di personalità -Disturbo ossessivo compulsivo -Disturbo evitante di personalità: A volte detto disturbo ansioso di personalità è un disturbo caratterizzato da uno schema di comportamento penetrante e pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, estrema sensibilità a valutazioni negative nei propri o altrui confronti e la tendenza ad evitare interazioni sociali. Spesso si considerano inadeguate o socialmente incapaci o non attraenti a livello personale ed evitano interazioni sociali per paura di essere ridicolizzate umiliate o oggetto di antipatie. Tipicamente si presentano come persone che amano stare sole e riferiscono un certo senso di estraniazione dalla società provocando evitamento. Il distrurbo è di solito osservato nell’età adulta ed è associato a rigetto affettivo. Il disturbo va differenziato dallo stile evitante di personalità in relazione al grado di intaccamento del funzionamento della vita quotidiana . Per fare diagnosi sono richieste almeno 5 delle seguenti (CRITERIO A): -la tendenza alla ripetizione e alla routine -preferenza per il conosciuto rispetto all’ignoto -inibizione in relazioni interpersonali -evitamento delle attività lavorative -comportamento riservato e autorepresso COMORBILITA’ Può presentarsi in associazione con altre fobie sociali a differenza delle quali operano un controllo più rigoroso sulle relazioni sociali. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Il disturbo evitante deve essere distinto da -altri disturbi e tratti di personalità -disturbi di ansia -disturbi da uso di sostanze -modificazioni della personalità dovute a condizioni mediche CENNI DI TERAPIA -Terapia psicodinamica -Terapia cognitivo comportamentale -Farmacoterapia utilizzando gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) inibitori della monoamminossidasi (IMAO) e le benzodiazepine. -Disturbo dipendente di personalità: Disturbo caratterizzato dalla necessità continua di sviluppare e mantenere rapporti sociali e rendersi indispensabili per le persone più significative per evitare un possibile abbandono. Anche un piccolo segno di allontanamento può essere percepito come minaccioso e vissuto come situazione frustrante sperimentando una fase eccessiva di ricerca di certezze e sicurezze e conforto da parte di altre persone.in una forma a volte paragonabile alla depressione e spesso collegabile a traumi infantili o problematiche esistenziali. Si possono verificare casi di comportamento remissivo- depressivo o casi di comportamento ossessivo- aggressivo o si possono verificare nei casi più gravi entrambi i pattern comportamentali. I soggetti con questo disturbo non sono in grado di stare da sole spesso sperimentando uno stato depressivo. Per fare diagnosi e soddisfare i criterio A sono necessari. -difficoltà di esternare disapprovazione per paura di abbandono o allontanamento della persona -preferenza a delegare la gestione di alcuni aspetti della propria vita ad altri -scarse capacità decisionali -sensazioni di vuoto e di disagio e timore eccessivo di non essere capaci di provvedere a se stessi -difficoltà a fare cose in autonomia -preoccupazione eccessiva ed irrealistica di abbandono e allontanamento. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Il disturbo va differenziato da -altri disturbi mentali e condizioni mediche -altri disturbi di personalità -modificazioni della personalità dovuti a condizioni mediche -disturbi da uso di sostanze -disturbo borderline di personalità con la quale condivide la paura costante dell’abbandono e stati di vuoto tipici dei momenti depressivi ma si differenziano dal borderline dalla tipologia di relazione che nel disturbo dipendente non sono instabili e variabili. -disturbo istrionico di personalità con la quale ha in comune un apercezione di sé come persona non capace di stare bene da sola e di provvedere a se stessa in modo autonomo ma la differenza sta nel forte bisogno dell’istrionico di stare al centro dell’attenzione non presente nel disturbo dipendente dove predomina il bisogno dia accettazione. -tentativo di suicidio: atto ad esito non fatale deliberatamente pianificato e messo in azione dal soggetto con lo scopo di morire. -parasuicidio: atto a esito non fatale deliberatamente pianificato e portato a termine dal soggetto con lo scopo di provocare un danno a se stesso in diverso modo e di diversa natura. Rientrano in questa tipologia i comportamenti autolesivi e le velleità suicidarie ( tentativo appena abbozzato di suicidio come il taglio superficiale delle vene), suicidosi (stile suicidario caratterizzato da tentativi ripetuti nel tempo talvolta stereotipati tanto da condurre ad una condotta suicidaria cronica) equivalenti suicidari ( comportamenti che contengono una forte componente autolesiva seppur mascherata) Nel 1992 David Mayo conferma la validità della definizione operata dall’OMS ma aggiunge che per poter parlare di suicidio devono essere presenti necessariamente 4 particolari condizioni: 1-la fatalità del suicidio: senza la morte non si può parlare di suicidio. 2-la riflessività del suicidio: una morte per essere considerata suicidio deve essere stata programmata ed effettuata dalla persona morta. 3-l’attività o la passività del gesto suicidario: gli atti suicidi sono espressione di una azione attiva ma si parla di passività nel caso in cui il suicida si lasci morire ad esempio rifiutando le cure mediche . 4.la presenza di intenzionalità: indispensabile almeno quanto l’esito e la più difficile da individuare se si pensa ad esempio ai casi di suicidio accidentale come quei casi in cui si armeggia una pistola in cui l’intento di morire non è facilmente dimostrabile. Nel 1996 Edwin Shneidman individua 10 caratteristiche psicologiche presenti in almeno il 95% dei casi che interessano il pensiero, l’emotività ed il comportamento e che permettono di delineare un vero e proprio identikit del suicida valutando i fattori epidemiologici , ambientali, psicopatologici e personologici. 1- lo scopo: la ricerca di una soluzione. 2-l’obiettivo: la cessazione della sensazione di colpevolezza nei confronti della sofferenza e dei problemi della vita. 3-lo stimolo: l’insopportabilità della sofferenza psicologica. 4- lo stressor: la frustrazione dei bisogni psicologici 5-la sensazione emotiva: di disperazione e di abbandono ( il soggetto pensa che non ci sia nulla da fare e che non ci sia nessuno in grado di aiutarlo) 6-lo stato cognitivo:l’ambivalenza ( sono sempre presenti fantasie di salvezza) 7-lo stato percettivo: la costrizione che interessa sia l’emozione che l’intelletto ovvero la percezione di non avere altra soluzione al di fuori della morte. 8-l’azione: la fuga o l’uscita ( il tirarsi fuori dal tormento attraverso l’azione suicidaria) 9-il gesto interpersonale: la comunicazione delle intenzioni ovvero chi vuole suicidarsi invia sempre qualche segnale del proprio tormento. 10-il quadro: la coscienza dello stile di vita. Il suicidio non è un fulmine a ciel sereno ma piuttosto l’evoluzione estrema di un processo suicidario unico che va dall’ideazione all’azione. Tale processo comincia con una ideazione suicidaria ovvero con una prima fase muta comportamentale caratterizzata da idee, impulsi e progetti suicidi e prosegue con una seconda fase contraddistinta da messaggi più o meno espliciti che precedono sia il tentativo di suicidio sia il suicidio vero. Tutte queste condotte suicidarie possono essere considerate come espressioni quantitativamente differenti di una più generale tendenza suicidaria . Si parla in questo senso di spettro suicidario. EPIDEMIOLOGIA La fascia di età maggiormente coinvolta sembrerebbe quella compresa tra 15-49 anni tanto da considerare il suicidio tra le cinque principali cause di morte nella fascia di età compresa tra 30- 49 anni mentre sale tra le prime due per la fascia tra i 15-29 anni. L’incidenza maggiore è stata rilevata nell’Italia Settentrionale. Tra i metodi maggiormente utilizzati prevale l’impiccagione, le donne scelgono più frequentemente un suicidio per precipitazione, annegamento e avvelenamento da farmaci mentre gli uomini optano più spesso per l’uso di un’arma e la precipitazione da luoghi elevati. Si sta anche diffondendo la pratica dell’avvelenamento da pesticidi. Negli ultimi anni sono aumentati anche i suicidi nelle carceri soprattutto alla prima carcerazione e in modo particolare nei primi mesi di carcerazione. Effetto Werther si riferisce al fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca una serie di suicidi di massa a catena in sorta di identificazione con la situazione del suicida e di imitazione la quale secondo Durkeim può costituire un fattore di influenzamento ma non risulta essere sufficiente per determinare e modificare un tasso annuo di suicidi. Il contagio imitativo funziona solo come fattore precipitante in soggetti che avrebbero scelto il suicidio in ogni caso. Durkeim ipotizza che l’imitazione può essere un fattore importante per l’attivazione di un processo suicidario ma non l’unico. Si devono considerare le dinamiche identificatorie con il suicida. ASPETTI BIOLOGICI Si ipotizzano disturbi del sistema serotoninergico in pazienti depressi con comportamento suicidario nel senso di una riduzione della serotonina e del suo metabolita in alcune aree cerebrali. A livello della corteccia prefrontale deputata al controllo dei comportamenti impulsivi è presente una up-regulation dei recettori post sinaptici 5 HT1A e 5 HT2A ipotizzando che essa sia una risposta compensatoria alla ridotta attività dei neuroni serotoninergici. A livello del nucleo dorsale del rafe si evidenzia un aumento della densità di triptofano-idrossilasi TPH (enzima limitante la sintesi della serotonina). Anche questo potrebbe essere un tentativo di risposta omeostatica alla ridotta funzionalità del sistema serotoninergico. Vi è anche una alterazione del sistema noradrenergico nel senso di una iper attività di noradrenalina diffusa soprattutto a livello corticale. Analizzando la risposta noradrenergica allo stress di questi soggetti si nota che chi ha subito esperienze traumatiche nell’infanzia presenta una risposta esagerata allo stress in età adulta e una iper attivazione dell’asse ipotalamo -ipofisi -surrene notoriamente associata a depressione. Studi sui gemelli omozigoti hanno evidenziato il ruolo dei fattori genetici nel determinare la vulnerabilità di un soggetto alle condotte suicidarie. La triptofano- idrossilasi è l’enzima limitante la sintesi della serotonina ed il suo aumento è associato alle condotte impulsive e quindi anche al comportamento suicidario. FATTORI DI RISCHIO OGGETTIVI Tra tutti i fattori che influiscono maggiormente sono: -disturbi psichici -l’abuso di sostanze -alcolismo -disturbi fisici cronici e dolorosi come il cancro e l’HIV -problemi relazionali e familiari -violenze subite -lutti -divorzi -separazioni -eventi traumatici -solitudine -condizioni mediche -tracolli finanziari -povertà -disoccupazione In genere i soggetti a più alto rischio presentano delle caratteristiche generalmente solide: -età sopra i 45 anni -maschi -non sposati - condizione socio economica precaria -storia familiare di disturbi mentali -pregressi comportamenti suicidari. SESSO: Il suicidio tra gli uomini risulta essere 3 volte più frequente di quello tra le donne mentre le donne tentano il suicidio con una probabilità 4 volte superiore agli uomini. Si verifica rischio suicidario anche nei giovani omosessuali e bisessuali. ETA’ : In genere i tassi di suicidio tendono ad aumentare con l’età in relazione inversamente proporzionale con i tentativi. Si stima che oltre il 35% dei suicidi avvenga dopo i 65 anni e che invece i tentativi siano molto più frequenti nei ragazzi di età compresa tra i 25 e i 44 anni. Oggi il suicidio sta diventando sempre più frequente nei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. RAZZA : Tra gli individui di razza caucasica il tasso di suicidi è doppio rispetto alle altre razze. LO STATO CIVILE: Una condizione familiare stabile sembra essere utile a salvaguardare dal rischio di suicidio. Il tasso di suicidio è più basso tra le persone sposate mentre assume dei valori più rilevanti tra i vedovi e i divorziati. OCCUPAZIONE: I disoccupati sono tra le categorie a più alto rischio suicidario rispetto a coloro che godono di una occupazione stabile. Le categorie professionali in cui si registra un elevato tasso di suicidi risultano essere le classiche professioni di aiuto che facilmente e spesso vengono colpite dal fenomeno del burnout ovvero sindrome da stress lavorativo caratterizzata da esaurimento emotivo, irrequietezza, apatia, depersonalizzazione e senso di frustrazione. E’ l’esito patologico di un processo stressogeno che interessa medici, psichiatri, infermieri, anestesiti, oculisti, avvocati, musicisti, dentisti….. DISTURBI FISICI : La compromissione grave della salute fisica aumenta generalmente il rischio suicidario. Una patologia organica è presente in una percentuale che varia dal 25% al 75% dei suicidi. Patologie associate al rischio suicidario sono ad esempio: -Il Morbo di Cushing : Condizione medica causata da una eccessiva produzione di cortisoloda parte della corticale del surrene. I sintomi e segni clinici principali sono: -obesità -astenia (,debolezza della muscolatura prossimale) -iperglicemia -ipertensione arteriosa -alterazioni cutanee -modificazioni della personalità ovvero turbe psichiche -disfunzione gonadica con amenorrea nelle donne ed impotenza maschile . -la Sindrome di Klinefelter: malattia genetica caratterizzata da anomalia cromosomica in cui un individuo di sesso maschile possiede un cromosoma X in eccesso ovvero XXY -tumore cerebrale -sclerosi multipla -HIV/AIDS ANDAMENTO STAGIONALE: Il clima non sembra rivestire un ruolo di rilievo come fattore di rischio suicidario anche se si è visto un lieve aumento di suicidi in primavera e in autunno. Da segnalare sono i cosiddetti anniversary suicides ossia quei suicidi che avvengono in coincidenza di ricorrenze importanti per al vittima. DISTURBI PSICHIATRICI : Il rischio di suicidio aumenta considerevolmente in caso di -comportamento suicidario pregresso della capacità di modulare gli affetti. Disforia e vuoto sono considerate alla base dello stato affettivo “depressivo atipico” dei pazienti con disturbo borderline di personalità. Non a caso le condotte suicidarie e parasuicidarie vengono considerate specialità comportamentali dei soggetti borderline. 3-Hopelessness/ Helplessness: -Hopelessness è la mancanza di spetranza mentre si intende con Helplessness la mancanza della sensazione di poter ricevere aiuto da alcuno entrambi fattori di rischio suicidario nella schizofrenia dove il quadro psicopatologico è aggravato da allucinazioni uditive al quale il soggetto non riesce a sottrarvisi e nel quadro della depressione e nelle costellazioni di personalità che presentano tratti di perfezionismo scaturendo dalla percezione del soggetto che nonostante gli sforzi i risultati raggiunti non saranno mai adeguati all’ideale . Secondo il modello cognitivo di Back i disturbi dell’umore sono contraddistinti dalla seguente triade negativa: - visione negativa di Sé - visione negativa del presente - visione negativa del futuro. IL COMPORTAMENTO PARASUICIDARIO Per comportamento parasuicidario si intende quel comportamento messo in atto dal soggetto con l’intento di non morire ma di danneggiare in vario modo se stesso. Esistono varie forme di questo modo di agire psicopatologico: -velleità suicidarie: tentativi appena abbozzati di suicidio come tagli superficiali o ingestione di farmaci…che hanno il significato di prova generale. -suicidosi: condotta suicidaria cronica quasi uno stile di vita. -equivalenti suicidari: condotte come guida spericolata, sport estremi, dipendenze da sostanze… -comportamenti autolesivi: comportamenti ripetitivi solitamente non letali per severità né intento e diretti volontariamente a ledere parti del proprio corpo come ad esempio tagliarsi o bruciarsi. Sono difficilmente distinguibili le condotte autolesivi patologiche da quelle socialmente riconosciute e accettate come tatuaggi e piercing o branding ovvero scritture fatte sulla pelle con ferri arroventati o cutting ovvero tagli autoinferti (classificazione di Favazza). 1- AUTOLESIONISMO MAGGIORE: Comprende gesti molto frequenti ma molto gravi come ad esempio l’enucleazione di un occhio o l’autoamputazione. Sono atti improvvisi e spesso confusi e caotici che procurano gravi danni fisici alla persona dando luogo ad un notevole spargimento di sangue. La localizzazione delle ferite è in parti del corpo importanti come genitali, occhi, orecchio, arti. Spesso questi gesti sono accompagnati da cerimonie e riti riconducibili a idee deliranti che chiamano in causa tematiche religiose o sessualio comunque incomprensibili in quanto appunto deliranti e spesso guidate da allucinazioni uditive sotto forma di comandi. E’ stata rilevata una correlazione inversamente proporzionale tra gravità della ferita e la frequenza: tanto più grave è la ferita autoinflitta tanto minore sarà la frequenza con la quale il soggetto riattuerà il gesto. 2-AUTOLESIONISMO STEREOTIPATO: Comprende azioni quali battere la testa ripetutamente, percuotersi, mordersi, graffiarsi, strapparsi i capelli, lesionare la pelle…Sono gesti stereotipati e ripetitivi occasionalmente ritmici generalmente collegati ad un ritardo mentale o a sindromi autistiche, schizofrenia, sindrome di gilles de la tourrette e altre sindromi organiche alla cui base abbiamo delle malformazioni genetiche che causano scarsa crescita e ritardo psicomotorio. Hanno caratteristiche molto primitive in quanto non richiedono l’uso di uno strumento esterno e la loro frequenza tende ad essere elevata nella popolazione degli autolesionistici in generale. La loro genesi è anche collegata a condizioni ambientali particolarmente restrittive e le loro determinanti organiche sono ben indentificabili. 3-AUTOLESIONISMO SUPERFICIALE E MODERATO: E’ la forma autolesiva più diffusa. In questo ambito rientrano 2 condotte che sono : -condotte compulsive: come la tricotillomania ( strapparsi i capelli), mangiarsi le unghie fino alla carne viva, strapparsi e scorticarsi la pelle -condotte impulsive: -episodiche -ripetitive in base alla frequenza e che comprendono tagliare incidere e bruciare la pelle, conficcarsi aghi rompersi le ossa…. Compaiono solitamente in correlazione con disturbi di personalità borderline, istrionico e antisociale disturbo post traumatico da stress disturbi dell’alimentazione disturbi dissociativi ( disturbo da depersonalizzazione, disturbi dell’identità, amnesia dissociativa I disturbi dissociativi sono caratterizzati da una discontinuità della coscienza, memoria, percezione,identità, rappresentazione del corpo, comportamento. La dissociazione è un termine utilizzato per descrivere la disconnessione tra alcuni processi psichici rispetto al restante sistema psicologico dell’individuo. Con la dissociazione si crea una assenza di connessione nel pensiero, memoria, e identità della persona. Organizzatori di senso sono il complesso delle motivazioni che portano il soggetto a ferirsi: -concretizzare: Al fine di poter controllare i sentimenti intollerabili attraverso il corpo. -punire e purificare e estirpare: quando il ferirsi è un mezzo per punire ed estirpare la parte cattiva di sé al fine di purificarsi . -regolare la disforia: quando l’atto di auto riferimento aiuta a controllare sentimenti di tensione angosciosa come la disforia nel borderline ma anche di interrompere il ciclo di depersonalizzazione e derealizzazione ricercando esperienze vive e stimolanti nel dolore. comunicare senza parole: Quando il gesto autolesivo diventa comunicazione per trasmette qualcosa che le parole non riescono a dire. -costruire una memoria di sé: quando ferirsi diventa un modo per fissare una memoria di sé incidendo sulla propria mente momenti corrispondenti a significativi punti di passaggio. -cambiare pelle: quando l’autoriferimento agisce come strumento per trasformare in attive esperienze che sono vissute passivamente ribaltando un senso di impotenza di per se stesso traumatico in un trauma autoprovocato del quale ci si può sentire autori. VALUTAZIONE DEL RISCHIO SUICIDARIO Bisogna fare una distinzione tra predizione ( previsione sull’eventualità che il suicidio si verifichi in un memento futuro e ci si basa sulla presenza o assenza di precisi fattori entro il limite della probabilità statistica) del suicidio e valutazione del rischio (giudizio che viene emesso circa il rischio di suicidio nel prossimo futuro e ci si basa eclusivamente sulla valutazione di elementi clinici). La valutazione del rischio clinico si basa su elementi: 1-complessità del fenomeno: considerare i fattori che possono fare precipitare la situazione. 2-fattori di rischio e fattori protettivi: riconoscere quelli modificati e quelli immodificabili e considerare i fattori protettivi come credenze religiose , soddisfazione nella vita , esame di realtà intatto, supporto sociale e relazione terapeutica efficace. 3-indagine specifica sul suicidio: chiedere direttamente circa il suicidio. 4-livello di rischio: valutazione del livello di rischio se basso (se a lungo termine sono fattori clinici di rischio in forma lieve in assenza di comportamento suicidario)o medio (se entro la settimana esiste coesistenza di depressione, abuso di sostanze, alti livelli di ansia, precedenti tentativi di suicidio, familiarità per il suicidio)o alto ( se il paziente ha espresso la volontà di morire entro le 48 ore ed ha a disposizione mezzi letali , sentimenti di disperazione o presenta sintomi psicotici.) CENNI DI TERAPIA -programmi di prevenzione primaria : hanno lo scopo di impedire il primo gesto suicidario e consistono in strategie o iniziative rivolte a tutta la popolazione per aumentare la consapevolezza del fenomeno e fornire indicazioni sulle modalità di aiuto.( programmi di info nelle scuole, promozione del contatto con il clinico , diffusione delle info relative ai suicidi tramite i mass media attenendosi a linee guida per evitare fenomeni di contagio) Programmi di prevenzione secondaria: hanno lo scopo di intervenire nel momento della crisi ovvero quando esiste un passaggio all’atto e consistono in strategie dirette ai gruppi e che hanno più probabilità di diventare suicidi. (programmi volti a migliorare le capacità di identificare e trattare disturbi psichici che sono stati associati ad un aumento del rischio suicidario) -programmi di prevenzione terziaria: hanno come scopo di evitare le recidive e le complicanze e consistono in strategie dirette agli individui che hanno già tentato il gesto e possono ripeterlo (programmi cure dirette a pazienti psichiatrici o giovani che hanno tentato il suicidio almeno una volta nella loro anamnesi) -programmi dopo la prevenzione o post prevetion : è una prevenzione terziaria indirizzata a quelle persone che sono sopravvisute alla morte del suicida e che in qualche modo si trovano a dover gestire lo scheletro psicologico ed emozionale lasciato dal suicida colorato da sentimenti di colpa, vergogna e di smarrimento dovuto al gesto del suicida. La nuova asstenza psichiatrica territoriale ha comportato un mutamento della presa in carico e quindi un mutamento della responsabilità sul paziente che dal clinico si sposta all’equipe terapeutica che vede la collaborazione di più esperti in un lavoro interdisciplinare e operando una sorta di desoggettivizzazione metodologica che implica la capacità dei terapeuti di declinare il loro sapere specifico alla interpretazione e comprensione di chi è specializzato in un altro campo come lo psichiatra e lo psicologo e l’assistente sociale e lo psicoterapeuta.( partecipazione pluristemica ad indicare che non esiste una figura indipendente ma una collaborazione). L’equipe può avere un atteggiamento di negazione nei confronti del suicidio minimizzando il rischio suicidario e quindi sottovalutando i fattori di rischio oppure può avere continuamente paura e preoccupazione sulla possibilità suicidaria andando ad incrementare l’ansia e la tensione anche del paziente che si vede continuamente monitorato. Per evitare tale oscillazione degli estremi è fondamentale tenere in considerazione -la valutazione dei fattori di rischio -la conoscenza che il servizio può avere del paziente attraverso una serie di metodologie psicodiagnostiche nel quale comunque il colloquio rimane la tecnica principe di raccolta di info relative alla storia del paziente e al suo vissuto emotivo passato presente e compiendo delle predizioni circa la possibilità di un rischio suicidario. Eventualmente si predisporranno anche delle ripetute valutazioni in itinere senza però cadere in un accanimento terapeutico e psicodiagnostico che risulta essere controproducente innalzando i livelli di ansia e tensione emotiva del paziente ed è inoltre fondamentale creare una sorta di alleanza terapeutica con il paziente in modo che egli possa essere collaborativo con il programma evitando eventuali strategie simulatorie che il paziente può mettere in atto per eludere ai controlli e agli accertamenti che lo mettono sotto pressione. Inoltre anche il setting è di fondamentale importanza il quale deve essere confortevole e non deve assolutamente trasparire una sorta di accanimento terapeutico ma al contrario un clima familiare e fiduciario. Nei casi di trattamento farmacologico è importante il controllo in itinere che va a verificare che il dosaggio sia corretto e che il risultato sia quello sperato monitorando anche lo stato psicologico del soggetto in risposta al trattamento. Per fare emergere eventuali istanze controtrasferali è utile il controllo di un supervisore che vada a controllare la validità del progetto e a contenere eventuali transfer operati dal paziente e controtransfert in risposta al transfert. Transfert: processo di trasportazione inconsapevole nell’analista di sentimenti provati dal soggetto nei riguardi di persone significative della propria infanzia. Meccanismo mentale per il quale l’individuo tende a spostare schemi di sentimenti emozioni e pensieri da una relazione significante passata a una relazione attuale interpersonale con l’analista. Eè’ un processo largamente inconscio ed è fortemente connesso con le relazioni oggettuali della infanzia del paziente. DSM5 E NUOVE DIAGNOSI Nel DSM manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali si inserisce autolesionismo e suicidio nella sezione III ovvero tra le CONDIZIONI CHE NECESSITANO DI ULTERIORI STUDI. Per fare diagnosi di disturbo del comportamento suicidario devono essere soddisfatti specifici criteri: 1-negli ultimi 24 mesi l’individuo ha compiuto un tentativo di suicidio 2-il gesto non soddisfa i criteri per l’autolesionismo non suicidario 3-La diagnosi non viene applicata in presenza di una sola ideazione suicidaria 4-il gesto non è stato messo in atto in stato di delirio o confusione -sentimenti di rabbia e aggressività -paura della perdita del controllo. Tra i pattern cognitivi specifici sono presenti: -preoccupazione per il peso e forma corporea -controllo comportamentale sull’alimentazione -perfezionismo clinico -bassa autostima I DCA possono manifestarsi in modo trasversale e con alta comorbilità nell’ambito dellem psicosi, nevrosi, disturbi di personalità, disturbi di ansia e dell’umore. ANORESSIA NERVOSA E’ caratterizzato da un grave disturbo dell’immagine corporea con eccessiva attenzione al peso e alla forma del proprio corpo e da pensieri ricorrenti di ricerca eccessiva della magrezza. La manifestazione clinica centrale è la restrizione alimentare che comporta significativo dimagrimento e incapacità di mantenere o di raggiungere il peso necessario per il periodo della crescita. Il deperimento eccessivo può essre diagnosticato riferendosi all’indice di massa corporea BMI il quale è un dato biometrico che espresso come il rapporto tra il peso di un individuo e l’altezza al quadrato. E’ un indicatore del peso forma. L’AN è considerata un DCA che determina modificazioni a livello biologico quali amenorrea, psicologico e sociale . Ci sono vari tipi di anoressia nervosa: -AN con restrizione alimentare -condotte di eliminazione compensatorie. E’ possibile compiere diagnosi di anoressia nervosa secondo la classificazione del DSM 5 se vengono soddisfatti i seguenti criteri: -restrizione dell’assunzione di calorie rispetto al fabbisogno con significativa perdita di peso rispetto agli standard. -paura di perdere il controllo sul proprio peso SOTTOTIPI: -con restrizione : durante gli ultimi 3 mesi il soggetto non ha mai avuto episodi di abbuffate o comportamenti di eliminazione -con abbuffate e condotte di eliminazione: se negli ultimi 3 mesi il soggetto ha avuto ricorrenti episodi di abbuffate o comportamenti di eliminazione. SPECIFICARE SE: -in remissione parziale -in remissione completa NOTE BIOLOGICHE E’ importante la funzione del nervo vago una fibra nervosa che và dal cervello all’intestino e che determina l’inibizione o l’attivazione dei centri della fame dell’ipotalamo. Le strutture ponto mesencefaliche e il talamo veicolano info di tipo sensoriale relative al cibo mentre le aree del prosencefalo attivano risposte di gratificazione o avversione verso il cibo. L’ipotalamo è il centro della fame e decodifica la quantità dei principi nutritivi presenti nel sangue. Nell’ipotalamo sono presenti due centri: -feeding center : nucleo ventrolaterale la cui eliminazione causa anoressia -saziety center: nucleo ventromediale la cui eliminazione causa obesità. Rilevanti nel comportamento alimentare sono anche i neuropeptidi anorressigenici che inibiscono l’assunzione di cibo ed i neuropeptidi oressigenici che stimolano l’assunzione di cibo. I segnali di sazietà sono mediati dalla leptina ( gioca un ruolo centrale nel rapporto tra stato fisiologico e nutrizionale ovvero se aumentano i livelli di leptina viene ridotta l’assunzione di cibo.e dalla insulina (gioca un ruolo rilevante nell’integrazione tra stato emozionale e mappa cognitiva rappresentativa dello stato emotivo risultante) prodotte rispettivamente dal tessuto adiposo e dal pancreas. La serotonina ha un ruolo centrale nella normalizzazione del senso di sazietà: diminuzione della serotonina e conseguenziale alla perdita di peso ma circa dopo un anno dall’instaurarsi del disturbo il livello di serotonina si stabilizza determinando senso di sazietà favorendo il meccanismo di mantenimento del sintomo. La noredrenalina favorisce lo stimolo di appetito. L’AN a lungo termine provoca effetti organici significativi che possono riguardare il sistema polmonare, cardiovascolare, alterazioni tiroidee, il sistema endocrino metabolico, neurologico. Nella genesi del disturbo si è vista una genetica transgenerazionale nell’eziologia del disturbo. IPOTESI SULLA EZIOLOGIA DELLA AN -Secondo BRUCH 1978 alla base del disturbo abbiamo un rapporto disfunzionale tra madre e figlia. La madre non permette di costruitìre alla figlia una identità separata invadendola fin da piccola con emozioni sensazioni ed angosce proprie portando la figlia ad una patologica perdita della padronanza su di sé e del proprio corpo in una costante alternanza tra corpo ideale e corpo reale. -ROSSI MONTI parla di personalità liquida come di un tipo di personalità che non si fonda sulla funzione integratrice dell’IO attorno cui si struttura l’identità ma che prende la forma del contenitore sociale in cui si trova temporaneamente collocata rinunciando a qualsiasi definizione solida del Sé. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Molte patologie organiche possono avere una manifestazione fenomenica di dimagrimento, inappetenza, nausea, sensazione di gonfiore similare a quella riscontrata nei DCA come ad esempio -Morbo di Crohn: malattia infiammatoria cronica dell’intestino che può colpire qualsiasi tratto del tratto gastrointestinale dalla bocca all’ano provocando una vasta gamma di sintomi quali dolori addominali, vomito, diarrea. -coliti ulcerose -HIV -neoplasie o tumori. -altre forme di anoressia come il disturbo evitante restrittivo -bulimia nervosa COMORBILITA’ I DCA possono presentarsi associati a disturbi di personalità come -disturbo borderline -disturbo evitante -disturbo dipendente -disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Disturbi dell’umore: -disturbo depressivo maggiore con cui hanno in comune la depressione del tono dell’umore, perdita di peso, inappetenza, crisi di pianto, perdita di sonno, pensieri ossessivi, idee suicidarie anche se le pazienti anoressiche soffrono di una depressione minore in gravità rispetto ad una paziente con disturbo depressivo puro. Nel paziente con disturbo depressivo maggiore la perdita di appetito è legata all’anedonia mentre nel paziente anoressico esiste una volontarietà di controllo sull’assunzione di cibo. -disturbi di ansia come dimostrato da una funzione ansiolitica dei meccanismi di abbuffata e uso di lassativi legati alla sensazione di ansia correlata al controllo sul peso corporeo. -disturbi di somatizzazione possono essere caratterizzati da perdita di peso o problematiche relative al cibo -dismorfismo corporeo dove possono manifestarsi delle percezioni corporee erronee rispetto all’immagine corporea ma la diagnosi di dismorfismo viene fatta solo nei casi in cui il problema si focalizza su una parte specifica del corpo. -schizofrenia e deliri relativi al cibo BULIMIA NERVOSA Per fare diagnosi di bulimia nervosa i criteri diagnostici sono: -Ricorrenti abbuffate caratterizzate sempre da mangiate in un definito periodo di tempo di una quantità di cibo significativamente maggiore rispetto la normalità e da perdita del controllo. -ricorrenti ed inadeguate condotte compensatorie finalizzate a prevenire l’aumento di peso quali vomito autoindotto, uso di lassativi o diuretici, attività fisica eccessiva e utilizzo di farmaci che anoressizzanti e lunghi periodi di digiuno. -le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano almeno 1 volta alla settimana per 3 mesi. -l’autostima è fortemente influenzata da forma e peso corporeo -non si deve manifestarebin corso di anoressia nervosa. SPECIFICARE SE : -in remissione parziale: remissione parziale della sintomatologia. -in remissione completa: remissione completa della sintomatologia. SPECIFICARE LA GRAVITA’ -lieve: 1-3 episodi di condotte compensatorie alla settimana -moderata:4-7 episodi di condotte compensatorie alla settimana -grave:8-13 episodi di condotte compensatorie alla settimana -estrema:14 o più episodi di condotte compensatorie alla settimana. Disturbo che affligge soggetti con la caratteristica alimentare di attuare abbuffate eccessive e ripetute spesso seguite da comportamenti compensatori. Le pazienti non sanno discriminare il senso di fame fisiologica dal senso di fame patologica. A livello relazionale le pazienti sono caratterizzate da un forte sentimento di dipendenza che viene ostacolata dalla tendenza alla distruttività. I poli centrali dell’esperienza bulimica sono potenti emozioni di rabbia e distruttività, sensazione di vuoto, profonda lotta tra controllo e perdita del controllo per le quali i pazienti esprimono forte disagio e vergogna e senso di colpa. Se nell’anoressia nervosa c’è un ritorno all’indifferenziato infantile nella bulimia nervosa c’è un rituale che blocca gli individui nel presente doloroso e ripetitivo del sintomo. NOTE BIOLOGICHE L’info relativa al senso di sazietà viene veicolata dal nervo vago ed un ruolo importante sembra avere la colecistochenina che determina senso di sazietà e nella bulimia nervosa appare una diminuzione di tale ormone secreto dal duodeno. -la valutazione completa della sintomatologia del paziente che comprende l’esame della condizione mentale e fisica del soggetto -evitare l’uso di politerapia ovvero l’uso contemporaneo di farmaci tenendo conto delle interazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche. -si consiglia di iniziare la somministrazione con la più bassa dose efficace del farmaco -la modalità graduale sia di assunzione del farmaco sia di sospensione. In situazioni estreme in cui cioè non sia possibile la modalità graduale per la necessità di ottenere immediatamente risultati è necessario scegliere il farmaco che abbia la risposta clinica più appropriata. -quando si effettua il passaggio da un farmaco ad un altro si dovrebbe tenere conto di eventuali sintomi legati alla sospensione o potenziali interazioni con i residui del farmaco precedente. -la conoscenza di principi di farmaco terapia -la valutazione diagnostica finalizzata ad un inquadramento della patologia funzionale alla scelta del trattamento mirato ed individualizzato e personalizzato -l’affiancamento di terapia farmacologica con psicoterapia -monitoraggio in itinere riguardo il feedback positivo o negativo come risposta alla terapia trattamentale del paziente. ANSIOLITICI E IPNOTICI Sono largamente utilizzate le benzodiazepine le quali hanno una buona attività terapeutica nel ridurre ansia, sedazione, rilassamento, induzione del sonno ed hanno bassi livelli di effetti avversi o controindicazioni. Le benzodiazepine agiscono sul sistema nervoso centrale attraverso il potenziamento dell’azione del GABA (acido gamma amino butinico) che è il più importante neurotrasmettitore inibitorio del cervello dell’uomo. Le BDZ hanno un effetto selettivo nei confronti dell’ansia tanto che si può affermare che nel cervello del’’uomo esistono specifici recettori per le benzodiazepine. Esse sono in grado di abbassare il livello di ansia in qualsiasi contesto cioè sia quando l’ansia è il sintomo di una specifica patologia nevrotica sia quando è il sintomo di altri stati patologici anche se non psichiatrici. Presentano un profilo caratterizzato da minori effetti collaterali pericolosiper la salute ma con rischi di spiccata dipendenza se utilizzati ripetutamente per lunghi periodi e senza controllo medico. Sono particolarmente indicati per: -disturbo di ansia generalizzato -disturbo di panico (ansia parossistica episodica) -reazione a stress grave e disturbi di adattamento -disturbi del sonno non organici -sindrome da astinenza da alcool -disturbi dell’umore -disturbi fobici -disturbo ossessivo compulsivo -disturbi dissociativi o di conversione. Le BDZ oltre ai loro effetti ansiolitici hanno anche effetti ipnotici, miorilassanti e anticonvulsivanti. Le BDZ dovrebbero essere scelte per il trattamento dell’ansia come terapia sintomatica transitoria ad esempio nel caso in cui si attenda la risposta di una terapia antidepressiva, o come terapia di emergenza nel controllo delle crisi di ansia acuta o come sonnifero o miorilassante. Le BDZ hanno una tossicità molto ridotta o quasi assente e gli effetti collaterali sono minori rispetto agli altri psicofarmaci, effetti collaterali scarsi che comunque si presentano in anziani e sono direttamente proporzionali al dosaggio utilizzato. Solo in dosi molto elevate o nei casi di una particolare sensibilità individuale possono comparire astenia, sonnolenza, rallentamento psicomotorio, diminuzione delle capacità cognitive, disartria (disturbo motorio del linguaggio dell’articolazione derivato da una lesione di tipo neurologico che coinvolge la componente motoria del linguaggio. Condizione nella quale i problemi sono inerenti la muscolatura deputata alla produzione del linguaggio), sedazione a causa della sedazione del SNC. Il principale problema nell’utilizzo di tali farmaci in trattamenti prolungati è lo sviluppo di tolleranza e di dipendenza fisica con insorgenza di una vera e propria sindrome di astinenza in caso di brusca sospensione, astinenza che si manifesta con sintomi psichici quali umore depresso, disturbi di memoria, ansia, agitazione, irritabilità, stati sub confusionali e raramente confusionali. Il buspirone è un altro gruppo di farmaci largamente usato che non agiscono sul GABA. A differenza delle BDZ , il buspirone provoca una riduzione dell’ansia con maggiore progressività e gradualità per cui è inadatto al trattamento dei pazienti nei quali sia necessario ottenere un immediato contenimento della sintomatologia ansiosa. E’ anzi più adatto al trattamento a lungo termine per la sua scarsa propensione a creare fenomeni di dipendenza o a indurre comportamenti da abuso del farmaco. ANTIDEPRESSIVI L’imipramina migliora il tono dell’umore ed è alla base della composizione degli IMAO o inibitori delle monoaminossidasi. E’ importante agire sul trattamento dell’episodio depressivo per i rischi correlati a tale disturbo quali il maggiore rischio suicidario, aggravamento del quadro depressivo, alto utilizzo dei servizi sanitari, aumento dei costi sanitari, disabilità sociale e lavorativa con ripercussioni sulla economia personale e di riflesso sulla percezione di sé. Gli elementi da valutare prima di iniziare il trattamento farmacologico sono: -la gravità dei sintomi depressivi -la persistenza dei sintomi nel tempo -la compromissione relativa alle usuali attività sociali lavorative e scolastiche. Gli antidepressivi sono indicati per il trattamento di -depressione unipolare -disturbo bipolare -disturbo dell’umore organici dovuti a lesioni o disfunzioni cerebrali o altre patologie sintomatiche -demenza di Alzheimer -demenza vascolare con depressione -disturbi nevrotici -disturbi fobici -disturbi di ansia -disturbi di conversione -disturbi somatoformi -disturbo non organico del sonno -disturbo del controllo degli impulsi Secondo l’ipotesi aminergica la depressione sarebbe causata da una deplazione di neurotrasmettitori monoaminergici quali: -serotonina -noradrenalina -dopamina Con la terapia antidepressiva l’inibizione del metabolismo o del blocco della ricaptazione di serotonina e-o di noredrenalina avrebbero come conseguenza l’aumento della loro concentrazione sinaptica e il miglioramento dei sintomi della depressione. I neurotrasmettitori noradrenergici e serotoninergici agiscono in aree cerebrali coinvolte nella regolazione di umore ansia apprendimeto memoria ritmo sonno veglia appetito ricompensa motivazione ed espressione delle emozioni. La classificazione degli antidepressivi è: -triciclici: sono i largamente più utilizzati -IMAO: inibitori delle mono aminossidasi -SSRI: inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Prima scelta di trattamento per la maggior parte dei quadri depressivi ostacolata solo dal loro maggiore costo rispetto ai triciclici. -NASSA: antidepressivi noradrenergici e serotonergici specifici -NARI: inibitori della ricaptazione della noradrenalina -NDRI: inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della dopamina -SARI: antidepressivo ad azione serotoninergica mista -SSRES: aumento selettivo della ricaptazione della serotonina Il terapeuta dovrebbe iniziare il trattamento farmacologico utilizzando sempre dosaggi più bassi consentiti (dose minima efficace). Il dosaggio andrebbe sempre individualizzato in quanto esiste una notevole variabilità nella risposta clinica individuale e nella tollerabilità degli antidepressivi E’ necessario poi aumentare il dosaggio iniziale in base alla risposta clinica e se il paziente risponde al dosaggio iniziale questo andrebbe mantenuto per tutta la durata della terapia. La dose ottimale per ciascun antidepressivo deve essere raggiunta dopo 7-10 giorni dall’inizio del trattamento mantenendosi sempre nell’ambito dei dosaggi terapeutici indicati negli studi clinici e nella scheda tecnica del farmaco. Un dosaggio e una durata del trattamento inadeguati sono tra le cause più comuni di risposta subottimale o parziale al trattamento. La durata della terapia farmacologica si può suddividere in due fasi: 1-fase acuta dell’episodio depressivo con una durata mediamente variabile da 4 a 8 settimane e con un differente periodo di latenza dei sintomi depressivi tra i pazienti. 2-fase di proseguimento della durata variabile da 4 a 8 mesi in cui è possibile una ricaduta depressiva in assenza di trattamento farmacologico. Il trattamento di mantenimento ha lo scopo di prevenire le recidive e può essere prolungato da 8 mesi fino all’intero arco dell’esistenza in base alla probabilità di ricaduta dopo 36 mesi dalla risoluzione dell’episodio depressivo . Gli autori raccomandano che dopo 3 episodi depressivi ricorrenti la terapia venga mantenuta a tempo indeterminato. Ci sono fattori clinici predittori la buona riuscita del trattamento farmacologico ( storia personale di una buona risposta al trattamento farmacologico , familiari di primo grado con buona risposta al trattamento antidepressivo, sintomatologia del disturbo e disturbi correlati) e fattori psicosociali ( basso sostegno sociale, bassa autostima, difficoltà relazionali). I farmaci antidepressivi hanno effetti collaterali che variano a seconda della classe di appartenenza. ANTIPSICOTICI Vengono chiamati neurolettici in quanto inducono neurolessia ovvero rallentamento psicomotorio, tranquillità emotiva e una sorta di indifferenza affettiva. Sono una gamma di numerosi farmaci che si sono dimostrati efficaci nel trattamento di un ampio spettro di sindromi e sintomi psicotici in particolare attinenti la schizofrenia e la mania. I tradizionali farmaci antipsicotici sono anche definiti tranquillanti maggiori e sono simili tra loro per quanto concerne l’effetto terapeutico che si esplica attraverso una azione antipsicotica del tipo deliriolitica, antiallucinatoria e talvolta sedativa. La loro caratteristica chiave è la capacità di bloccare i recettori D2 della dopamina nella via dopaminergica mesolimbica. Tale blocco ha l’effetto di ridurre l’iperattività di questa via responsabile di provocare i sintomi positivi della schizofrenia (allucinazioni, deliri, disturbi formali del pensiero, sintomi catatonici). Con questi antipsicotici classici però non è possibile bloccare solo i recettori D2 della via dopaminergica mesolimbica ma il loro principio attivo si diffonde per tutto l’encefalo provocando degli effetti collaterali. Per evitare questo sono comparsi in determinanti la crisi, la valutazione psicopatologica, la capacità individuale di gestione della sofferenza che si è venuta a creare, valutazione dell’area cognitiva, emozionale e relazionale. Entrambe le condizioni richiedono una valutazione e intervento psichiatrico tempestivo EPOCA MANICOMIALE Durante l’epoca manicomiale la maggior parte degli ingressi negli ospedali psichiatrici finiva per collocarsi automaticamente in una dimensione di cronicità laddove la degenza dei singoli pazienti veniva a caratterizzarsi come lungodegenza a prescindere dall’evoluzione del disturbo psichico e a prescindere dalla sua diagnosi. Nell’assistenza psichiatrica manicomiale non esisteva prognosi ovvero giudizio di previsione sull’andamento della malattia. I mezzi di intervento erano somministrati indifferenziatamente alla luce degli intenti custodialistici creando un luogo di isolamento e detenzione. Fino alla legge Mariotti 1968 vi era una implicazione giuridica nello status del malato mentale: il paziente nelle strutture manicomiali era privato dei diritti civili ed il ricovero veniva iscritto nel casellario giudiziario. Il ricovero sanciva l’ingresso in una istituzione totale in cui il singolo individuo perdeva la propria individualità e soggettività e la sua condizione di malattia risultava omologata a quella di tutti gli altri degenti. Nel manicomio infatti non esisteva suddivisione di padiglioni in base alla patologia e alla gravità e i pazienti spesso erano spostati da un padiglione ad una ltro senza motivazione oggettiva ma l’essere cronico inteso come il perdurare della condizione di malato mentale rappresentava solo l’unico elemento che poteva accomunare chi si trovava nelle strutture manicomiali. Con questo non si sostiene che il manicomio abbia creato la malattia mentale cronica ma che abbia comunque ostacolato la sua normalizzazione e trattamento. L’organizzazione del manicomio rispecchiava una teoria del disturbo psichico che ne prevedeva un esito inevitabilmente cronico dove la malattia mentale veniva considerata come non guaribile e non curabile. L’aggettivo cronico si riferisce a una condizione che si prolunga lentamente per un tempo indeterminato differenziando dalle condizioni acute che avrebbero uno svolgimento rapido. Prognosi : giudizio di previsione sull’andamento di un processo patologico. Un altro problema delle strutture manicomiali riguardava l’etichettatura diagnostica rigidi che descrivevano il livello di funzionamento degli individui quando in realtà è fondamentale vagliare l’idea di una sorta di variabilità determinata dall’individualità sintomatologica anche in presenza dello stesso disturbo diagnosticato alla luce delle variabili che possono intervenire nella determinazione di una sintomatologia specifica come variabili individuali, disposizionali, situazionali, ambientali, relazionali, psicologiche, cognitive. Per scongiurare ogni pericolo è opportuna destrutturare il termine di cronicità: non si può parlare di cronicità in senso assoluto ma di processi cronici ovvero processi che si possono sviluppare per la coesistenza di una alterazione durevole che comporta la mancanza di competenze e la persistenza di relazioni disfunzionali tra il paziente ed il suo contesto di riferimento. Il modo in cui guardiamo alla cronicità dipende dalla teoria di riferimento che adottiamo e dalla cornice epistemologica da cui facciamo inferenze. Un ultimo aspetto della cronicità è il fenomeno dei pazienti revolving door (porta girevole). Si tratta di quei pazienti che nel corso della loro storia clinica hanno numerosi ricoveri di breve durata e che entrano ed escono dai reparti psichiatrici o dalle diverse istituzioni presenti nel territorio. Sono soggetti che hanno delle ricadute rispetto al loro funzionamento psicosociale e che non riescono ad accedere ad un trattamento terapeutico e riabilitativo durevole. Spesso sono il risultato dell’utilizzo degli soli psicofarmaci come unico trattamento al di fuori di un trattamento integrato ma potrebbero essere anche il risultato della stessa organizzazione territoriale. Il fenomeno investe diverse condizioni psicopatologiche come i disturbi di personalità, psicosi ed alcolismo il cui unico elemento in comune è rappresentato dal ricovero ripetuto e dall’impossibilità di uno spazio diverso di accoglimento . Sarebbe auspicabile la possibilità di gestire i pazienti cronici senza che il ricovero ospedaliero divenisse l’unico modo di trattamento e gestione fatta eccezione per quei momenti di crisi che richiedono una presa in carico strutturata all’interno di uno spazio ospedaliero. Una volta spostato il fulcro dell’assistenza dal manicomio al territorio ci si trovò a gestire l’utenza che si trovava nell’ospedale psichiatrico ovvero dovendo gestire un residuo manicomiale. In realtà prognosi e diagnosi hanno il diritto di essere concepite come due dimensioni distinte anche nei disturbi considerati cronici. CAPITOLO 10 PATOLOGIE ORGANICHE Non sempre una sintomatologia psichiatrica rimanda ad un disturbo mentale ma in alcuna casi la componente sintomatologica rimanda a fattori organici. 1-DISTURBI NEUROCOGNITIVI (demenze e deliri) 2-DISTURBI PSICHIATRIC CAUSATI DA CONDIZIONI MEDICHE GENERALI Epilessia Endocrinopatie Neoplasie cerebrali VEDI WIKIPEDIA FOTOCOPIE FINE CONCLUSIONI -DIAGNOSI DIFFERENZIALE: Procedimento che tende ad escludere tra le varie manifestazioni simili quelle che non comprendono l’insieme di sintomi e segni che si sono riscontrati durante gli accertamenti fino ad individuare quella corretta al fine di un inquadramento diagnostico e nosografico corretto. -NOSOLOGIA PSICHIATRICA: Scienza che si occupa della classificazione sistematica delle malattie che possono essere classificate secondo l’eziologia (causa) e la patogenesi (meccanismo di insorgenza di un processo patologico ed il suo conseguente sviluppo o secondo la tipologia di sintomo fino ad arrivare all’individuazione di sindromi ovvero insieme di segni e sintomi che definiscono la patologia. -ITER MEDICO : - diagnosi -prognosi -terapia -DIAGNOSI: La determinazione della natura o della sede di una malattia in base alla valutazione dei sintomi,Si fonda sulla semeiotica ovvero non solo sull’esame obiettivo ma anche sull’anamnesi. SEMIOTICA: -ANAMNESI PSICHIATRICA: Indagine storica che coincide con l’analisi idiografica dell’assetto biologico, psicologico e sociale relazionale del paziente. E’ la raccolta delle info relative al paziente ed alla sua storia personale che unito a degli accertamenti psichiatrici obiettivi possono aiutare il clinico a formulare una diagnosi attraverso l’analisi dell’ambiente familiare, analisi della vita psichica del soggetto con riferimento ai periodi principali dello sviluppo del ciclo vitale, aspetti centrali della personalità, struttura temperamentale premorbosa, stato fisico generale, eventi della vita significativi, contesto di appartenenza culturale e sociale. Le principali finalità dell’anamnesi sono: 1-l’inquadramento diagnostico 2-la scelta terapeutica -ipotesi prognostiche sul decorso della malattia e sulla efficacia delle terapie. -ESAME OBIETTIVO PSICHIATRICO: Caratterizzato dalla somministrazione di una batteria testistica psicometrica che consenta l’inquadramento diagnostico funzionale all’approccio terapeutico e agli schemi di riferimento teorici che influenzano le modalità di condotta dell’indagine anamnestica formulando ipotesi ed inferenze. -DIAGNOSI DIFFERENZIALE -INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO -SCELTA TERAPEUTICA -IPOTESI PROGNOSTICHE -VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO, VESTIARIO, ATTEGGIAMENTI -VALUTAZIONE DEL LINGUAGGIO VERBALE E NON VERBALE. -VALUTAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA -VALUTAZIONE DELLA PERCEZIONE -VALUTAZIONE DELLA SFERA COGNITIVA -VALUTAZIONE DELL’AREA EMOZIONALE -VALUTAZIONE DELL’AREA RELAZIONALE -VALUTAZIONE DEL TONO DELL’AFFETTIVITA’ E DELL’UMORE -VALUTAZIONE DI EVENTUALI DISTURBI DEL PENSIERO -VALUTAZIONE DELLA MEMORIA. -ALESSITIMIA: Incapacità di tradurre in parole le emozioni. Disturbo che consiste in un deficit della consapevolezza emotiva palesato dall’incapacità di mentalizzare, percepire e riconoscere e descrivere verbalmente i propri e altrui stati emotivi. E’ un possibile deficit della funzione riflessiva del Sé caratterizzato in genere da ambivalenza emotiva (sono spesso presenti sentimenti di polarità opposta), disregolazione emotiva e dissociazione emotiva. -DISREGOLAZIONE EMOTIVA: anomala variabilità delle emozioni e marcata instabilità del tono dell’umore con repentini passaggi da uno stato emozionale ad un altro. -DISSOCIAZIONE EMOTIVA: Prevede un umore incongruo ed inadeguato rispetto alla situazione che può essere anche sintomo di psicosi. -DISARTRIE: Disturbo dell’apparato fonologico dovuto a lesioni cerebrali e comporta difficoltà dell’articolazione delle sillabe che compongono una parola. E’ un disturbo motorio del linguaggio. Dal punto di vista semeiologico il clinico deve indagare gli aspetti quantitativi e qualitativi del linguaggio con particolare attenzione alla forma e articoalzione del linguaggio separatamente dal contenuto.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved