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Manuale di psicologia dello sviluppo. Lavinia Barone (Riassunto libro), Sintesi del corso di Psicologia dello Sviluppo

Manuale di psicologia dello sviluppo. Lavinia Barone (Riassunto libro) Riassunto completo capitolo per capitolo, molto dettagliato

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

In vendita dal 02/07/2018

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Scarica Manuale di psicologia dello sviluppo. Lavinia Barone (Riassunto libro) e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! MANUALE DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Capitolo 1 LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO: PRESUPPOSTI TEORICI E TENDENZE ATTUALI DEFINIRE LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO La psicologia dello sviluppo si occupa dello studio dei cambiamenti sistematici che caratterizzano l’evoluzione psicologica di ciascun individuo nel corso dell’intera esistenza. Si nota perciò che si occupa dei processi di sviluppo piuttosto che dei prodotti: cioè considera le modalità di funzionamento psicologico tipiche dei diversi periodi della vita non come eventi conclusi, come fatti a sé stanti ma come esiti temporanei di un percorso storico, avviato prima che l’evento emerga e che continua dopo, in modo dipendente da come l’evento si è realizzato. Si tratta quindi di una visione: - dinamica: perché tiene conto del tempo in cui il fenomeno si è manifestato. - situata: perché il tempo preso in considerazione è quello della vita individuale, qualificato dalle esperienze che modulano il funzionamento psicologico di ciascun soggetto e che danno il senso ultimo al suo comportamento. - probabilistica: perché fa dipendere l’esito dei processi evolutivi dal modo in cui essi si realizzano nel qui ed ora dell’esperienza personale invece che da un piano fissato in anticipo. Questa definizione allarga l’orizzonte di studio della disciplina rispetto ai confini classici dell’età evolutiva, per comprendere sia i periodi avanzati della vita (invecchiamento) e i periodi iniziali (età neonatale). LO STUDIO DELLA PRIMA INFANZIA Già dagli anni ’70 del secolo scorso è stata data importanza alle fasi iniziali della vita umana e sono state effettuate le prime scoperte in tale campo (grazie anche allo sviluppo di tecnologie osservative di nuova generazione, come telecamere e videoregistratori) Lo studio dei processi precoci suggerisce che l’essere umano appena nato, per quanto organismo biologico più che psicologico, “sa” sul proprio ambiente fisico e sociale molto più di quanto si credeva possibile e che pertanto lo studio sulle prime fasi della vita può fornire materiale necessario non solo per ampliare il repertorio conoscitivo della disciplina ma anche per rispondere ad alcune delle domande fondamentali: come nasce lo sviluppo e come agiscono natura e cultura per assicurarne lo svolgimento? ESEMPIO: LO SVILUPPO SOCIO-COGNITIVO Le abilità socio-cognitive sono quell’insieme di abilità che ci permettono di riconoscere le altre persone come esseri dotati di qualità speciali rispetto agli oggetti del mondo fisico, tra cui quella di possedere stati mentali (intenzioni, desideri, credenze e false credenze). Lo studio dello sviluppo socio-cognitivo nelle prime fasi della vita ha permesso sia di rivisitare sotto altri paradigmi aspetti già studiati (es. abilità di base della comprensione/percezione sociale; comunicazione preverbale) sia di individuare aspetti nuovi come l’intersoggettività. Lo studio sulle abilità di base di comprensione sociale (es. preferenza per volti e voci umane; sensibilità alle contingenze interattive nei primi scambi faccia-a-faccia; abilità di seguire la direzione dello sguardo altrui nelle interazioni sociali che coinvolgono un oggetto) ha l’obiettivo ambizioso di vedere quanto comportamenti apparentemente elementari segnalino la presenza di capacità avanzate: es. seguire lo sguardo altrui potrebbe essere un precursore di capacità di condivisione della referenza, mostrata dai bambini più grandi. Un altro obiettivo è quello di valutare quanto si possa retrodatare l’origine di capacità più avanzate. Lo studio dell’intersoggettività riguarda un costrutto molto più generale del funzionamento psicologico, riferito ad una funzione ritenuta distintiva della specie umana che, nella sua forma piena, consiste nella condivisione interpersonale di un’esperienza interna. Lo studio in quest’ambito nelle fasi più precoci della vita è più rischioso in quanto i termini stessi della definizione “persona”, “esperienza interna”, “condivisione”, possono essere assenti in età così precoce. La scommessa è quella di studiare quest’abilità in termini di processo e non di comportamento e quindi considerare se la rilevazione dei primi comportamenti viene utilizzata come base per osservarne il cambiamento a età successive anziché come evidenze tout court delle forme mature. In quest’ambito, la ricerca sull’interazione madre-bambino nei primi mesi di vita ha individuato nelle prime forme dell’interazione diadica un gioco reciproco di espressioni facciali, atti motori e sguardi mutui che nel loro insieme segnalano la possibile esistenza di un’esperienza intersoggettiva. Secondo gli autori, si tratta di una forma iniziale di intersoggettività, detta “intersoggettività primaria”, che precorre la forma più avanzata detta “intersoggettività secondaria” dove adulto e bambino si relazionano fra loro non direttamente come nella relazione diadica, ma attraverso il riferimento a un oggetto esterno, agendo e commentando su di esso. Entrambe le forme manifestano la condivisione di uno scopo e quindi sono espressioni della medesima capacità umana di essere connessi l’uno all’altro. Quanto la seconda forma derivi dalla prima è ancora un interrogativo. NATURA E CULTURA: UN’ANNOSA QUESTIONE Andare sempre più a ritroso nello studio dello sviluppo implica tenere in massima considerazione il ruolo della dotazione innata dell’essere umano, il repertorio di caratteristiche comportamentali e modalità di funzionamento che ci portiamo alla nascita. Non è possibile stabilire il “quanto” ma è necessario tenere presente il “come”, vale a dire pensare allo sviluppo come a un fenomeno inevitabilmente costruito dalla compresenza di natura e cultura, di dotazione innata e ed esperienza di caratteristiche dell’organismo e caratteristiche dell’ambiente. All’interno di questa visione definitivamente interattiva dello sviluppo, lo studio delle prime fasi della vita riveste un particolare interesse. Come può la biologia concorrere a sviluppare le caratteristiche psicologiche più tipiche dell’essere umano e che attengono alla storia culturale più che alla natura della specie? Prendendo l’esempio dell’intersoggettività , una visione psicobiologica propone che: il repertorio biologico di cui è dotato l’organismo umano produce in modo automatico, nelle condizioni tipiche di allevamento, un’esperienza relazionale che alimenta la crescita psicologica in una direzione specie-specifica, vale a dire verso lo sviluppo dell’intersoggettività. Inoltre, proseguendo secondo questa visione, il passaggio da un’intersoggettività primaria ad una secondaria può essere letto come esito dell’intervento combinato di componenti biologiche e psicologiche. Una versione recente dell’intersoggettività, originata dalle neuroscienze, ha enfatizzato ancora di più l’origine biologica di questo fenomeno, collocandola nel funzionamento del sistema dei neuroni a specchio, che si attiva quando l’individuo esegue un’azione e quando la vede eseguire sull’altro. L’intersoggettività, quindi, prima di essere pensata in modo esplicito nel ragionamento proposizionale invocata dai cognitivisti, è agita a livello motorio e quindi è presente molto prima, in modo implicito. NUOVI CONTRIBUTI DISCIPLINARI L’interesse per le prime fasi dello sviluppo sta trovando ragioni di convergenza sempre più strette con gli approcci e i metodi di indagine di questi due ambiti di conoscenza: • Le neuroscienze evolutive: l’interesse si focalizza sulle basi neurali del comportamento e della mente; si è iniziato ad associare ai tradizionali dati comportamentali o fisiologici, quelli provenienti da misure più dirette dell’attività cerebrale (EEG, potenziali evento-correlati, risonanza magnetica funzionale). Uno degli ambiti di ricerca è lo studio del riconoscimento delle facce nel neonato. Visto che tali abilità non possono essere attribuite all’utilizzo di un sistema cognitivo avanzato, la spiegazione va ricercata nel sistema neurobiologico. funzioni psicologiche e quindi la maggiore possibilità di trovare variazioni nel modo in cui i fattori esterni e interni si combinano, sono scarsi i lavori diretti a esplorarle. Si è preferito, come in generale è avvenuto per le età più avanzate, identificare l'età in cui è possibile attribuire il possesso di una determinata capacità anziché analizzare il modo in cui la capacità si manifesta nei diversi individui alla stessa età. Forse la tendenza è ancora più accentuata nell'ambito della prima infanzia, dato l'attuale orientamento a retrodatare le capacità del bambino e quindi a trovare l'età (e i mesi in questo caso) della loro emergenza. In tal modo si riesce a dire qual è l'età in cui la capacità misurata è presente nella maggior parte dei bambini, e quindi qual è la sua norma evolutiva, ma non si dice come diversamente i singoli bambini esprimono quella capacità; in altre parole, sappiamo che alcuni bambini ce l'hanno e altri no, trovando quindi differenze tra un gruppo è un altro, ma non possiamo sapere che cosa se ne fanno quelli che la possiedono. La conseguenza è che tendiamo ad eliminare le differenze che pure esistono tra i bambini, trattandoli erroneamente come se fossero tutti uguali. Certamente, una concezione dinamica dello sviluppo psicologico fondata sul l'idea dell'auto-organizzazione del sistema, in dipendenza dei continui scambi organismo ambiente e di una corrispondente concezione dello sviluppo cerebrale in termini di plasticità e progressiva specializzazione, ha risvolti applicativi di grande interesse in ambito clinico: permette di affrontare le problematiche mentali in termini di rischio, anziché di fissità, di necessità e di evoluzione del rischio stesso. Il che significa Innanzitutto lavorare in un'ottica di prevenzione e non solo di cura, e di popolazione invece che di gruppi già selezionati. Significa Inoltre pensare che lo sviluppo “conti” e che quindi sia possibile sfruttare il processo di progressiva espressione dell'organismo per intervenire con speranza di successo nei casi a rischio o atipici e favorire il loro adattamento ottimale. Capitolo 2 I METODI DI RICERCA Le ricerche sullo sviluppo si propongono di identificare, descrivere e spiegare il cambiamento nelle funzioni psicologiche e nel comportamento dell'individuo. Poiché è difficile che uno stesso studio riesca a perseguire contemporaneamente queste tre finalità, esse vanno considerate come 3 tappe, distinte ma di uguale importanza, del percorso conoscitivo che porta alla comprensione del fenomeno indagato. - Alcune ricerche si proporranno di dimostrare che un particolare fenomeno è soggetto a sviluppo (identificazione): si tratterà, cioè, di identificare aspetti del comportamento o dell'attività mentale che presentano cambiamenti regolari e universali al procedere dell'età. - Altre si dedicheranno alla descrizione delle manifestazioni del fenomeno legate alla crescita dell'individuo. - In altri casi l'attenzione sarà focalizzata su di individuazione dei processi sottostanti ai cambiamenti osservati (spiegazione del fenomeno). Per raggiungere tali obiettivi, il ricercatore procede attraverso la formulazione di ipotesi sulla realtà che intende studiare, che saranno confermate o meno dai raccolti per verificarle. Porsi le domande giuste e verificare le ipotesi in maniera corretta costituisce, quindi, uno dei compiti principali che il ricercatore si trova ad affrontare. COME NASCE UNA RICERCA Il principale argomento di ricerca della psicologia dello sviluppo e lo studio delle trasformazioni a cui, nel corso del tempo, vanno incontro le capacità e i comportamenti degli individui. Un comportamento, ad esempio, può aumentare o diminuire nella frequenza di comparsa o nella sua quantità, o può essere sostituito da un altro nel corso dello sviluppo (si può assistere perciò a un cambiamento di tipo quantitativo o qualitativo). Un altro aspetto del cambiamento esaminato dalla psicologia dello sviluppo riguarda l'esistenza di differenze nelle modificazioni osservabili nei diversi individui: se in alcuni casi si è più interessati ad individuare le leggi generali che accomunano i percorsi di sviluppo delle persone, In altri casi il focus dell'attenzione può essere rivolto alle differenze osservabili negli individui di pari età cronologica. Altro aspetto del cambiamento interessante da studiare e la stabilità relativa di determinati aspetti del funzionamento individuale, ovvero il mantenimento della stessa posizione, all'interno del campione a cui il soggetto appartiene, al variare delle situazioni e nel corso del tempo. DISEGNI DI RICERCA PER STUDIARE IL CAMBIAMENTO Per studiare il cambiamento dei comportamenti nel corso del tempo, è necessario tener conto della variabile “età cronologica” intesa come indice del trascorrere del tempo. Due sono le opzioni possibili tra cui il ricercatore è chiamato a scegliere: - sviluppare un disegno di ricerca trasversale (confrontando le prestazioni di gruppi di soggetti di età media diversa) - sviluppare un disegno di ricerca longitudinale (esamina lo stesso gruppo di bambini con cadenza mensile) IL DISEGNO TRASVERSALE La ricerca trasversale ricorre al confronto fra le diverse prestazioni tra i diversi comportamenti di soggetti con differente età cronologica per evidenziare i cambiamenti che intervengono con il passare del tempo. Ciascun bambino viene sottoposto alle stesse prove con le stesse tecniche di valutazione. Considerando il comportamento di ciascun gruppo come rappresentativo di quella particolare età, si costruisce il percorso evolutivo del comportamento esaminato entro la gamma di età considerata. La scelta dei livelli di età da prendere in considerazione è strettamente legata alla natura del comportamento indagato. Se si prevede un cambiamento di tipo continuo, è opportuno utilizzare gruppi di soggetti caratterizzati da metà media poco diversa tra un gruppo e l'altro. Nel caso in cui, invece, il cambiamento sia di tipo discontinuo, la decisione relativa ai livelli di età e numero di gruppi da utilizzare sarà condizionata dalle caratteristiche del fenomeno studiato. I limiti del disegno trasversale: - Composizione dei gruppi: i gruppi confrontati devono essere il più possibile simili fra loro rispetto alle caratteristiche che potrebbero incidere sul comportamento studiato. - Impossibilità di ottenere informazioni, tramite il suo utilizzo, sui percorsi individuali di sviluppo (appiattimento delle differenze individuali). IL DISEGNO LONGITUDINALE Le ricerche longitudinali prevedono l'osservazione ripetuta delle modalità con cui un dato fenomeno si manifesta, negli stessi individui, col passare del tempo, al fine di evidenziarne gli aspetti costanti e i cambiamenti, e/o di fornire una spiegazione di quanto rilevato. Uno stesso gruppo di soggetti viene osservato a età diverse. Il numero di osservazioni necessarie per cogliere il cambiamento del comportamento studiato e la distanza temporale che deve intercorrere tra le diverse rilevazioni sono legate alle caratteristiche del fenomeno indagato e all'età dei soggetti. Perché si possa parlare di ricerca longitudinale è necessario disporre di almeno due rilevazioni distanziate nel tempo, e scegliere un arco temporale adatto a cogliere i cambiamenti che si verificano nel fenomeno indagato. Obiettivo del disegno di ricerca longitudinale e quello di studiare il cambiamento intraindividuale che si verifica con l'età. Tale disegno consente infatti di ottenere informazioni sui cambiamenti individuali nella frequenza e nell'intensità di particolari comportamenti e offre informazioni su quali comportamenti o tratti dell'individuo si mantengono costanti nel tempo. Offre Inoltre l'opportunità di studiare, allo stesso tempo, i pattern di sviluppo comuni ad una fascia di età, così come i percorsi individuali di sviluppo lungo un arco più o meno ampio di tempo. I limiti del disegno longitudinale sono: costi, in termini di tempo, energie e risorse; perdita di soggetti nel corso della stessa ricerca; effetto apprendimento che si verifica nei partecipanti qualora vengono sottoposti a prove ripetute in una stessa situazione; invecchiamento dell'apparato teorico e metodologico della ricerca; confusione tra il ruolo dell'età e quello del momento storico in cui la ricerca si sta svolgendo. IL DISEGNO RETROSPETTIVO Le ricerche longitudinali possono essere di due tipi: prospettiche e retrospettive. - Ricerche prospettiche: vengono misurate, a un’età precoce, le variabili che si presume giochino un ruolo importante per la comparsa di determinati comportamenti nelle età successive. Trascorso il tempo previsto per il comportamento della raccolta dei dati, si verificheranno le relazioni esistenti tra i valori assunti dalle variabili misurate in età precoce e la comparsa successiva dei comportamenti previsti (es. attaccamento madre bambino nel primo anno di vita predice tale abilità sociali del piccolo in età scolare). - Ricerche retrospettive: prevedono la possibilità di risalire a ritroso nel tempo per raccogliere informazioni sulle condizioni che hanno preceduto una situazione presente. un'analisi retrospettiva della tematica affrontata nell'esempio precedente partirà dalle analisi delle abilità sociali dei bambini che frequentano la prima classe delle elementari, confrontando i gruppi di bambini con livelli rispettivamente alti e bassi di abilità, rispetto alla variabile della sicurezza da attaccamento alla madre del primo anno di vita. Non bisogna confondere la strategia di tipo retrospettivo con il dato retrospettivo: i dati sono retrospettivi quando esiste una discrepanza tra il momento a cui si riferisce il dato raccolto è quello in cui il dato viene rilevato e codificato. DISEGNI DI RICERCA PER STUDIARE LE RELAZIONI TRA VARIABILI Una volta definita l’ipotesi di una ricerca, è necessario fare delle scelte per costruire una situazione concreta attraverso cui verificare le relazioni tra variabili previste dalle ipotesi. Le variabili sono gli aspetti concreti e misurabili dei costrutti che si intendono studiare. Per affrontare l’analisi di un fenomeno, infatti, è necessario che il ricercatore lo traduca in operazioni concrete che ne rappresentino gli aspetti ritenuti essenziali sul piano teorico. Ciò porterà inevitabilmente una riduzione della complessità dell’oggetto di studio. Il ricercatore cioè, concentrerà la propria attenzione su alcuni dei molti eventi legati al fenomeno, decidendo di ignorare tutti gli altri. Le variabili che il ricercatore considera rilevanti per una determinata ricerca, possono essere trattate, all’interno dello studio, in tre modi diversi: • Mantenendole costanti per tutte le osservazioni • Controllandole in modo da far assumere loro un determinato valore in un gruppo di osservazioni e un valore diverso in un gruppo differente • Lasciandole libere di assumere un qualsiasi valore e registrando tali valori Vengono, di norma, mantenute costanti per tutte le rilevazioni le variabili di cui si ipotizzano possibili effetti sul fenomeno studiato, che non sono, però, oggetto specifico della ricerca. Volendo, ad esempio, studiare l’effetto dello stile interattivo materno sulle capacità comunicative del bambino, si potranno mantenere costanti variabili quali: il livello di scolarità materna, lo status socio-economico della famiglia e l’età materna. Si ricorre al controllo dei valori delle variabili per quelle caratteristiche degli eventi che il ricercatore suppone influenzino direttamente il fenomeno osservato. In questo caso si può parlare di variabili di disegno. Può succedere che sia il ricercatore stesso a manipolare le variabili per fare in modo che esse assumano particolari valori (ad esempio, si può offrire ai bambini un certo tipo di feedback e uno diverso a un altro gruppo); in altri casi, invece possono essere utilizzate le caratteristiche intrinseche dei soggetti, così come sono presenti in natura, essendo impossibile cambiarli o manipolarli (sesso, età, stato di salute fisica). Può anche essere che l’impossibilità di manipolare le variabili sia dovuta a motivi di tipo giuridico o etico (es. per studiare il maltrattamento non posso maltrattare i bambini). Nei disegni di ricerca sperimentali, le variabili trattate secondo questa modalità sono anche definite come “indipendenti” e costituiscono la “causa” della relazione ipotizzata tra le variabili studiate. infine, le variabili i cui valori vengono semplicemente registrati dal ricercatore per verificare o falsificare la propria ipotesi di ricerca sono denominate variabili osservate (o dipendenti). IL DISEGNO SPERIMENTALE Mentre la validità ecologica si preoccupa della possibilità di generalizzare i risultati della ricerca contesti diversi da quello in cui sono stati ottenuti, la validità esterna riguarda la generalizzabilità dei risultati del campione ad un'altra situazione caratterizzata da soggetti diversi, luoghi diversi e tempi diversi. Perché ciò sia possibile è necessario, innanzitutto, che i campioni sui quali sono stati raccolti i dati siano rappresentativi della popolazione alla quale si intendono estendere i risultati. LE DIVERSE FONTI DEI DATI EMPIRICI Lo studio del comportamento può avvalersi di tre modalità di raccolta dei dati: è possibile ricorrere all'uso di domande da rivolgere ai soggetti, sottoporre partecipanti a particolari prove o, infine, l’osservazione come questi si comportano in determinate situazioni. LE INTERVISTE Consistono in uno scambio verbale tra il soggetto intervistato e intervistatore, attorno in particolare tema. Quando l'intervista viene impiegata in campo clinico ed è centrata sulla conoscenza delle dinamiche psicologiche del soggetto, essa viene più propriamente definita come un colloquio. In questo caso, poiché il clinico la utilizza soprattutto con finalità diagnostiche, l'interesse è rivolto prevalentemente all'esperienza soggettiva dell'intervistato, il quale viene lasciato libero di esprimere il proprio punto di vista sugli argomenti affrontati e di scegliere le parole frasi ritenute più capaci di esprimere la sua visione del mondo. Studi condotti sui bambini tramite l'utilizzo di interviste hanno dimostrato come sia inopportuno, prima dei 4 anni, utilizzare efficacemente tale strumento; in questi casi è preferibile, invece, ricorrere ad alcune adattamenti prevedendo l'uso di figure, di bambole o di oggetti inanimati, che il bambino può scegliere o su cui si può agire in risposta alle domande rivolte dall'alto. Non va dimenticato inoltre che l'età dei soggetti può influenzare la loro reattività alle risposte. Le domande possono essere più o meno esplicite. Si usano domande indirette per avere informazioni sui sentimenti/pensieri che, per motivi culturali e personali, riesce difficile esprimere. Per mascherare ancora di più lo scopo della domanda, si può ricorrere infine, alle domande proiettive, chiedendo al soggetto di rispondere su sentimenti e pensieri di un altro ipotetico soggetto (gioco simbolico). I QUESTIONARI I questionari sono costituiti da una lista di domande cui il soggetto è invitato a rispondere, scegliendo solitamente all’interno di una serie di alternative prefissate. In alcuni casi si tratterà di scegliere tra vero/ falso, in altri tra diverse opzioni di frequenza o di intensità. Alcuni questionari propongono affermazioni rispetto alle quali il soggetto deve dichiararsi d’accordo o meno. È possibile prevedere, all’interno del questionario, anche delle domande aperte, lasciando l’intervistato libero di esprimere ciò che pensa rispetto all’argomento affrontato. L’uso di domande aperte però comporta alcuni svantaggi: si raccolgono anche informazioni irrilevanti, richiesto un livello di istruzione alto, sono più difficili da codificare. I questionari si usano principalmente in quelle ricerche che prevedono un campione molto ampio da esaminare in tempi brevi. I TEST I test sono strumenti somministrabili sia a singoli individui che a gruppi di soggetti. Sono costituiti da stimoli rigorosamente standardizzati, ai quali viene attribuito il nome di item. Le risposte agli item non prevedono interpretazione soggettiva da parte dell’esaminatore. Perché i test siano veramente obiettivi devono essere in grado di fornire misure affidabili e attendibili. L’affidabilità o attendibilità fa riferimento a quanto accuratamente sia rilevata la quantità precisa della caratteristica in esame: è garantita solo dalla standardizzazione degli item e delle modalità di somministrazione del test, le quali assicurano la sua ripetibilità in tempi e luoghi diversi. L’OSSERVAZIONE DEI COMPORTAMENTI Soprattutto nei bambini della prima infanzia, il ricorso all’osservazione si rivela la strategia più efficace: l’immaturità cognitiva e linguistica rende difficile l’uso di interviste e colloqui, mentre la scarsa capacità di mantenere l’attenzione per tempi prolungati e di rispettare i vincoli posti da una situazione standardizzata rendono difficile l’uso dei test. Le osservazioni possono essere raccolte dal vivo o essere videoregistrate. Per codificare i dati raccolti, l’utilizzo di una griglia di osservazione rende esplicita la scelta di ciò che dovrà essere considerato rilevante. Esistono 3 tipologie di griglie di osservazione: - Schemi di codifica: lista predeterminata di comportamenti che si desiderano rilevare; obbliga l’osservatore a rilevare solo quelli - Checklist: griglie osservative composte da comportamenti osservabili riferiti alla stessa dimensione sottostante e organizzati in maniera gerarchica, secondo un livello di complessità crescente. Compito dell’osservatore è quello di rilevare la presenza/assenza di ciascuno dei comportamenti previsti dalla checklist. - Scale di valutazione: sono griglie che consentono di ottenere la valutazione di una specifica competenza sulla base di un giudizio quantitativo globale dei comportamenti osservati, piuttosto che sulla loro puntuale registrazione. Quando le persone sanno di essere osservate sono solite accentuare i comportamenti ritenuti positivi agli occhi degli altri e ridurre quelli negativi (“Effetto Hawthorne”). La conseguenza di tale tendenza è un’alterazione del loro comportamento spontaneo (principalmente negli adulti). Per ridurre l’impatto della reattività, si è soliti far precedere la fase di raccolta vera e propria dei dati da un periodo di familiarizzazione all’osservazione, grazie al quale si ha la possibilità di abituarsi all’osservatore. Rispetto agli errori legati al comportamento dell’osservatore, il rischio maggiore è costituito dall’“effetto Rosenthal”: l’osservatore si crea delle aspettative su quanto osservato, che generano una distorsione delle capacità dell’osservatore, portandolo a rilevare atteggiamenti o comportamenti che in realtà non esistono. In genere l’accuratezza delle rilevazioni effettuate da un osservatore viene valutata calcolando il grado di accordo con cui due osservatori, in modo indipendente l’uno dall’altro, rilevano e giudicano i medesimi eventi e/o comportamenti. Solitamente si fa uso di questa formula: Accordi x 100 Accordi + disaccordi Essa esprime in che misura i due osservatori concordano nel rilevare gli stessi comportamenti. L’osservazione scientifica ha queste caratteristiche: - E’ conforme allo scopo formulato per la ricerca, ovvero è selettiva - E’ programmata, ovvero è pianificata in modo non casuale, rispetto a chi, quando, come e dove osservare - Viene registrata in maniera puntuale, ossia deve essere documentabile - E’ passibile di verifica, ossia è controllabile ASPETTI ETICI NELLA RICERCA IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO La progettazione e la realizzazione di una ricerca sullo sviluppo non possono prescindere dal rispetto di alcune condizioni che salvaguardano i diritti dei partecipanti allo studio: - informare i partecipanti sulla natura della ricerca - informare i partecipanti sul modo in cui verranno usati i dati - consenso informato (l’unico caso che non richiede il consenso informato è l’osservazione in luoghi pubblici non intrusiva) - libertà di scelta di prendere parte allo studio o meno - garanzia della privacy e dell’anonimato - la ricerca non deve creare danni momentanei (dolore, stato di disagio, invasione della vita privata) né permanenti Capitolo 3 LO SVILUPPO FISICO E CEREBRALE LO SVILUPPO TIPICO LO SVILUPPO EMBRIOFETALE Nel feto, le modifiche cerebrali che riguardano il peso, la grandezza e l'aspetto esterno hanno una cronologia ben precisa e diventano quindi un indice inconfutabile dell'età gestazionale. Rispetto agli altri tessuti, quello nervoso ha la crescita più rapida durante la maturazione del feto, anche se le singole aree cerebrali si sviluppano con velocità differenti. Il cervello subisce modificazioni e si accresce anche dopo la nascita, per terminare intorno ai 6 anni, epoca in cui raggiunge il peso dell'organo adulto. Già nella fase embrionale il cervello inizia la sua crescita, quando una parte del foglietto embrionale comincia a diventare progressivamente più spessa per dare luogo a quella che viene chiamata placca neurale e che, successivamente, formerà il tubo neurale, struttura che darà vita all'intero sistema nervoso. Internamente il tubo neurale è suddiviso in settori che daranno luogo nel corso delle settimane alle diverse parti del SNC: emisferi, tronco cerebrale, cervelletto, diencefalo, gangli della base, midollo spinale. Gli eventi più importanti di questo periodo sono la proliferazione e la migrazione neuronale. I singoli neuroni originano da distretti specifici del tubo neurale, detti zone germinali. La moltiplicazione che darà luogo alle popolazioni neuronali ha inizio intorno al 5° mese gestazionale e prosegue anche dopo la nascita. Nel momento in cui all'interno delle zone germinali si sono formate le cellule, queste iniziano un processo di migrazione durante il quale raggiungono la corteccia o altre strutture encefaliche. A questi fenomeni segue una seconda fase molto complessa, di organizzazione, che ha inizio intorno al 5° mese di gestazione e prosegue fino alla pubertà. In questa fase i neuroni si orientano nel modo in cui è costituita la corteccia. Lentamente si differenziano gli uni dagli altri in base alla morfologia, alle proteine alla cui produzione sono addetti e ai neurotrasmettitori che utilizzano per comunicare con gli altri neuroni. Si formano poi assoni e dendriti e si moltiplicano le sinapsi. La sinaptogenesi continua dopo la nascita e l’83% di essa prosegue fino ai 20 anni (per i maschi di più). Durante la sinaptogenesi inizia la sensibilità verso il mondo esterno. In ultimo si assiste a una proliferazione che riguarda le cellule gliali. Alcune di queste cellule sono addette alla produzione di mielina, una sostanza che ricopre le fibre nervose e funge da catalizzatore degli impulsi nervosi. Il processo durante il quale la melina avvolgere fibre è molto lungo e si concluderà solo nell'età adulta. Da circa il 6° mese abbiamo un abbozzo di coscienza: il feto reagisce a suoni e a rumori forti e si ripara la faccia se si invia un fascio di luce dentro l’utero. FONDAMENTI GENETICI Il corredo genetico in dotazione ogni individuo, che ne controlla quello sviluppo, è contenuto nei cromosomi, il cui insieme costituisce il cariotipo. Quello umano è composto da 23 coppie di cromosomi e viene definito diploide, in quanto è il risultato dell'unione di due cellule aventi ciascuna 23 cromosomi singoli. L'unione di queste due cellule aploidi avviene nel momento della fecondazione. Il risultato della fecondazione, la cellula diploide, è composta da 22 coppie di cromosomi, chiamati autosomi e addetti alla trasmissione dei tratti somatici, e da una coppia, la ventitreesima, costituita da cromosomi sessuali, che trasmette, determinandolo, il sesso. La struttura dei cromosomi è abbastanza semplice. Ciascun cromosoma è formato da una catena lineare di molecole di DNA che contiene tutte le informazioni necessarie alla trasmissione del messaggio genetico, di generazione in generazione. Segmenti del DNA sono parte costituente dei geni, i quali contengono le istruzioni riguardanti le caratteristiche fisiche della persona che nascerà. I membri di una coppia di cromosomi omologhi possiedono dei geni sostanzialmente equivalenti, nel senso che hanno la caratteristica di definire lo stesso tipo di carattere in Loci corrispondenti. Ne consegue che ciascun individuo sarà dotato di due geni che specificano qualsiasi carattere ereditabile; se due geni sono occhi un oggetto che si muove lentamente davanti a lui. In conclusione si deve considerare il sistema nervoso non come un sistema adulto immaturo, ma come dotato di specificità in funzione dell'età. LO SVILUPPO PERCETTIVO L'ambiente che circonda l'individuo ricchissimo di stimoli fisici che lo bersagliano di continuo e attivano i differenti apparati percettivi. Ogni stimolo attiva un determinato organo recettore, il quale invia messaggi nervosi ad una ben precisa area della corteccia, dove verranno poi codificati ed elaborati. Nel corso dell'infanzia le abilità percettive del bambino subiscono un incremento progressivo, grazie agli stimoli cui è costantemente esposto. Tramite l'esperienza, il bambino affina le proprie abilità sensoriali parallelamente ad una maturazione neurofisiologica degli apparati. Il concetto di periodo critico dello sviluppo illustra bene il rapporto tra i contributi relativi alla ereditarietà e all'esperienza nello sviluppo delle funzioni cerebrali; tale periodo è costituito da un intervallo di tempo durante il quale la comunicazione intercellulare può alterare il destino di una cellula. Questa comunicazione che modifica il fenotipo, cioè le caratteristiche fisiche della cellula, viene mediata sia dal contatto che dai segnali chimici ma può avvenire soltanto in determinati periodi dello sviluppo. SISTEMA OLFATTIVO E GUSTATIVO: nel feto si possono evidenziare il nervo olfattivo e bulbi olfattivi già tra la 7° e l'8° settimana di età gestazionale. Oltre all’organo olfattivo primario, che si trova nel naso, è presente un’invaginazione dell'epitelio nasale anche un organo olfattivo secondario che è particolarmente adatto a reagire agli stimoli odorosi dispersi in ambiente liquido, questo andrà incontro a regressione entro il termine della vita prenatale. Già nei primi giorni di vita il piccolo è in grado di distinguere una certa varietà di odori sgradevoli, e a riconoscere l'odore della madre differenziandolo da altri odori. (reazione diversa banana vs. uova) Per quanto riguarda il gusto, le papille della lingua compaiono verso la fine dell'ottava settimana. I neonati nascono con preferenze gustative ben definite. La somministrazione di soluzioni dal gusto differente consentono di rilevare del neonato diverse espressioni facciali e modelli di risposta. IL TATTO: inizia a svilupparsi intorno alla 4 settimana SISTEMA UDITIVO: il senso più sviluppato alla nascita e quello dell'udito. I neonati imparano in fretta a volgere il capo verso un rumore, soprattutto se è una voce femminile. Già dai primi giorni di vita il bambino reagisce agli stimoli ambientali ed è in grado di distinguere la voce della mamma tra altre voci femminili, come se avesse una reminescenza di quando la mamma comunicava con lui prima della nascita. LA VISTA: la vista si sviluppa in un periodo relativamente tardivo rispetto alle altre modalità sensoriali. Inizia a svilupparsi sotto forma di vescicola ottica intorno dopo le prime 4 settimane di gestazione. Il sistema visivo va costituendosi dalle prime settimane di vita extrauterina. La visione neonatale è caratterizzata da una percezione sostanzialmente indistinta degli stimoli ed ha un'attività visiva grossolana, dominata da riflessi posturali e motori primitivi, con saccadi localizzatorie riflesse (movimenti rapidi dell'occhio di spostamento della fissazione, in risposta a movimenti registrati della retina periferica). La capacità di mettere a fuoco e stimoli visivi a distanze variabili è molto limitata nel neonato, da qui vista a una focalità praticamente fissa (20-50 cm) a causa dell'immaturità funzionale della muscolatura che regola il diametro del cristallino (infatti la preferenza è quella verso stimoli presentati non oltre i 50 cm). LO SVILUPPO DELLE BASI NEURALI DELLA MEMORIA E DELL’APPRENDIMENTO Durante l'arco del primo anno di vita la memoria del bambino subisce un importante miglioramento. Verso i 12 mesi i bambini sono in grado di conservare informazioni per periodi molto più lunghi, senza che lo stimolo sia stato loro presentato per tempi prolungati come invece accade per bambini più piccoli. Cresce contemporaneamente anche la capacità di codificare un numero maggiore di informazioni, facendo sì che il bambino diventi più sensibile anche agli aspetti più complessi dell'universo che lo circonda. PLASTICITA’ CEREBRALE DURANTE IL PRIMO ANNO DI VITA La plasticità cerebrale, che rappresenta il potenziale dinamico cerebrale di riorganizzazione durante lo sviluppo individuale, i processi di apprendimento o in seguito a una lesione, è stata ampiamente studiata negli ultimi anni grazie allo sviluppo del neuroimaging funzionale. Le ipotesi più accreditate sui meccanismi patofisiologici sottostanti la plasticità cerebrale si riferiscono, a livello microscopico, principalmente a modulazioni dell'efficacia sinaptica, cioè del trasferimento di informazioni da un neurone all'altro tramite siti di contatto specializzati ea meccanismi di rigenerazione neuronale o neurogenesi. Ad un livello macroscopico, invece, sono stati descritti i cambiamenti morfologici, sostituzioni sensoriali e fenomeni della diaschisi e della ridondanza funzionale, cioè la rilevazione di disfunzioni in aree distanti da quella che ha subito il danno anatomico e viceversa, l'osservazione di funzioni preservate grazie a network neuronali latenti. Tali processi, se meglio compresi anche per quanto riguarda le loro cadute sul comportamento, offrono importanti implicazioni dal punto di vista terapeutico in ambito riabilitativo. Il potenziale della plasticità cerebrale potrebbe essere quindi guidato in alcuni disturbi neurologici tramite la riabilitazione, i farmaci e le tecniche per esempio di stimolazione magnetica transcranica. La plasticità cerebrale è intesa come un processo continuo che determina un rimodellamento delle mappe neuronali e sinaptiche a breve, medio e lungo termine durante l'intero ciclo di vita, se pure con modalità differenti. La plasticità naturale durante lo sviluppo è stata una scoperta molto importante: durante le diverse fasi dello sviluppo tale plasticità si manifesta nella citogenesi e nelle istogenesi, cioè durante l'origine e lo sviluppo della cellula e durante il processo di formazione e differenziamento dei tessuti, che si verificano lo sviluppo embrionale avanzato o, in certi casi, nell'organismo adulto. In questa fase sia la proliferazione ed elaborazione dei rami a sonagli e dendritici, formazione di sinapsi, differenziazione cellulare durante i periodi di migrazione neuronale e l'organizzazione di circuiti specifici attraverso il fenomeno della apoptosi o morte cellulare delle cellule in eccesso, della regressione assonale e dell'eliminazione di cellule e sinapsi. Questo rimodellamento consentirebbe la rimozione di circuiti superflui e ne incrementerebbe la specificità In seguito a processi di apprendimento basati sulla ripetizione di compiti, aumentando così la plasticità potenziale del sistema. Al di là di modificazioni strutturali, quali un aumento delle dimensioni e del numero delle sinapsi durante i processi di apprendimento, la sinapsi stessa non deve essere considerata una connessione statica, ma dotata di proprietà plastiche che supportano a livello più generale un rimodellamento delle mappe funzionali attività-dipendente. Esisterebbe quindi un controllo dinamico del flusso continuo di informazioni all'interno dei sistemi neuronali. alcune sinapsi inoltre possiederebbero un’intrinseca capacità di autoregolazione che viene definita metaplasticità. LO SVILUPPO ATIPICO Numerose sono le anomalie e le patologie che possono alterare lo sviluppo fisico e cerebrale durante l’età evolutiva. Di seguito vengono riportate alcune possibili alterazioni. PREMATURITA’ E RISCHI NEUROPSICHICI L'incidenza dei parti prematuri è stimata tra il 6 e il 15% del totale dei parti e ha una frequenza progressivamente più alta con l'aumentare dell'età gestazionale. Il neonato viene definito pretermine se nasce prima di aver compiuto le 37 settimane di gestazione. Viene inoltre solitamente considerato il peso alla nascita, per cui si parla di neonato a basso peso (LBW, low Birth Weight) se ha un peso inferiore ai 2500 grammi, ma superiore ai 1500 grammi. Se invece il peso si considera in rapporto all'età gestazionale, si parla di neonato appropriato all'età gestazionale (AGA, Appropriate For Gestational Age) quando il peso si colloca tra il 10° e il 90° percentile, mentre se il peso è inferiore al 10° percentile il neonato viene definito piccolo per l'età gestazionale (SGA) o grosso per l'età gestazionale (LGA) quando supera il 90° percentile rispetto alla media. Complicanze della prematurità: il neonato pretermine, soprattutto se nato della 33a-32a settimana di età gestazionale, a causa dell'immaturità polmonare e della massa muscolare respiratoria, può avere difficoltà respiratorie I neonati pretermine, piccoli per l'età gestazionale, sono a rischio di complicanze nel periodo perinatale ed incidenza di patologie alla nascita si avvicina al 40% nei neonati con evidente stato di malnutrizione. Settimana di nascita Probabilità di sopravvivenza 22° settimana Fino al 10% 23° settimana Fino al 40% 24° settimana Fino all’80% 27° settimana >90% 30° settimana >95% 34° settimana 98% Lo Sviluppo neurocomportamentale: nei neonati SGA pretermine vi è una maggiore incidenza di deficit e disturbi dell'apprendimento; sono segnalati anche disturbi della crescita postnatale, ritardo nell'eruzione dei denti e lieve aumento dell'incidenza di infezioni nei primi due anni di vita. Se si escludono i prematuri con danni di tipo neurologico, nel follow-up a medio termine non vengono riscontrate differenze significative di sviluppo quando le condizioni psicosociali sono adeguate. I progressi nello sviluppo motorio sono in funzione del grado di prematurità e, in genere, il ritardo viene recuperato nel corso del secondo anno, anche se possono residuare alterazioni del tono e disprassia anche nei periodi successivi, diventando indicatori prognostici negativi. Un minore quoziente intellettivo e il disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività vengono riscontrati prevalentemente nei soggetti con danno neurologico e sono maggiormente correlati all’encefalopatia che alla prematurità di per sé. MENINGITI E ENCEFALITI La meningite è un’infiammazione delle meningi, membrane che avvolgono il cervello e midollo spinale. La causa può essere batterica, virale oppure un fungo. Tra queste tipologie, quella che si riscontra con maggior frequenza è quella virale, chiamata anche asettica. Nella stragrande maggioranza dei casi non ha conseguenze gravi e si risolve in una decina di giorni. La forma batterica (per esempio da meningococco) invece è più rara ma molto più seria e può anche portare alla morte del paziente. I sintomi più tipici comprendono: rigidità nucale, febbre alta, cefalea, nausea o vomito, livello di coscienza alterato, convulsioni. Nei bambini piccoli un esame fisico può evidenziare i segni di Kernig (dolore e resistenza nel momento in cui si cerca di effettuare un estensione del ginocchio con una flessione dell'anca di 90°) e Brudzinski (una flessione passiva del collo produce una rotazione involontaria dell'anca) I fattori di rischio per lo sviluppo della meningite batterica comprendono l'età (soprattutto i bambini al di sotto dei 5 anni), la vita di comunità, fumo e fumo passivo, esposizione delle prime vie respiratorie. Questa malattia può avere complicazioni anche gravi, comprendenti danni neurologici permanenti, perdita dell'udito, della vista, problemi comportamentali e danni cerebrali che possono arrivare alla paralisi. Le encefaliti sono un processo infiammatorio del sistema nervoso centrale conseguente ad un'infezione virale o, più raramente, batterica. Esistono alcune forme a patogenesi autoimmunitaria che spesso risultano indistinguibili da quelle infettive. Sono caratterizzati da una sintomatologia eterogenea, legata alla sede della lesione, associata ad un’alterazione del livello di coscienza, crisi epilettiche, febbre e cefalea. Sono solitamente causate da una risposta immunitaria che fa seguito a infezioni, tumori o anche vaccinazioni. I virus che più di altri sono responsabili di infezioni virali nel periodo pre e perinatale del sistema nervoso centrale sono il citomegalovirus, l'herpes Simplex di tipo 2, il virus della rosolia e l’HIV. Queste infezioni causano tutte calcificazioni cerebrali, la cui sede dipende dal periodo in cui il virus va ad attaccare il SNC. Vengono di conseguenza danneggiate quelle strutture che al momento hanno un'attività metabolica maggiore. L’encefalite da citomegalovirus è in assoluto quella che si riscontra con maggiore frequenza, soprattutto nei neonati. Se l'infezione avviene prima della 17esima settimana, quindi nel periodo in cui si formano i neuroni, la conseguenza è un quadro di lissencefalia, cioè con emisferi cerebrali a superficie liscia. Se invece l'infezione sia in epoca successiva, quindi tra la 18esima e la 24esima settimana di gestazione, la migrazione neuronale è quasi completamente terminata, si ha come conseguenza una displasia corticale. Infezioni da Herpes sono spesso causa delle encefaliti in qualsiasi fascia di età e colpiscono frequentemente il lobo temporale. Esordiscono con febbre, irritabilità e alterazione dello stato mentale, cui può sopraggiungere il coma. COMUNI TERATOGENI E EFFETTI PATOGENI informazioni percettive guidano l'azione, tracciando una mappa continuamente aggiornata circa la posizione del corpo nello spazio, e ciò consente di calibrare le azioni in funzione di ciò che accade nell'ambiente. Egualmente l'azione guida la percezione. Come avremo modo di descrivere più dettagliatamente, l'ampliarsi delle possibilità di azione sull'ambiente fornisce nuove opportunità di contatto con le diverse informazioni percettive, basti pensare a come l'emergere di sempre più raffinate abilità manipolatorie consenta un esplorazione sempre più accurata delle informazioni percettive veicolate da un oggetto o a come il cammino autonomo ampli il raggio d'azione consentendo al bambino di percepire gli oggetti e le persone da punti di vista differenti. Ultimamente il rapporto tra lo sviluppo percettivo e quello motorio è testimoniato dall’identificazione, nella specie umana e nei primati non umani, di un sistema di neuroni, denominati i neuroni a specchio, che si attivano sia nel caso in cui l'individuo compie un'azione, sia nell'eventualità in cui osservi un altro individuo svolgere la medesima azione. Un recente studio sembra indicare che il sistema di neuroni a specchio sia presente anche nei bambini di 5-9 anni, e risulti deficitario nei bambini con sviluppo atipico. LO SVILUPPO TIPICO LO SVILUPPO PERCETTIVO L'origine lo sviluppo della conoscenza della realtà che ci circonda ha come punto di partenza la percezione del mondo. Percepire la realtà non significa semplicemente selezionare le informazioni che in essa sono contenute. Infatti il nostro sistema percettivo non si comporta come una macchina fotografica che registra fedelmente la realtà fisica, ma al contrario opera attraverso una serie di processi attivi e dinamici di elaborazione degli stimoli sensoriali il cui fine è un'organizzazione coerente e significativa dei dati della realtà. La percezione della realtà, la realtà fenomenica, non va Intesa quindi come una copia immediata e diretta dell'ambiente, quanto piuttosto come il risultato di mediazioni e di attività svolte dall' individuo. (Es. figure illusorie) Gli esempi delle figure illusorie ci aiutano a mettere in evidenza l'importante distinzione tra sensazione (quali informazioni i nostri sensi sono in grado di rilevare) e percezione (come elaboriamo e interpretiamo le informazioni selezionate). La sensazione è diversa dalla percezione. La prima interessa primariamente gli organi sensoriali e le vie nervose fino al cervello e riguarda le impressioni soggettive e immediate corrispondenti a stimoli fisici di una data intensità. La percezione, invece, integra e interpreta le nostre sensazioni e coinvolge primariamente le aree della corteccia cerebrale. Nei prossimi paragrafi viene descritto in che modo neonati/infanti recepiscono la realtà attraverso una serie di processi che hanno inizio con la selezione dell’informazione (pattern detection), procedono attraverso l'analisi e l'elaborazione dell'informazione selezionata (pattern discrimination/pattern preference) e si concludono con l'organizzazione e l'immagazzinamento in memoria dell'informazione elaborata (novelty/ preference). Di conseguenza, non solo le nuove informazioni selezionate esercitano un impatto sull'organizzazione del mondo percettivo del bambino, ma anche le informazioni contenute in memoria costituiscono elementi cruciali nel guidare l'esplorazione dell'ambiente percettivo. LA PRIMA INFANZIA Alcune ricerche hanno indagato quali informazioni l'occhio del neonato è in grado di selezionare, come queste informazioni vengono trasmesse alla corteccia visiva e quali cambiamenti si verificano nei primi tre mesi di vita come conseguenza della maturazione del sistema visivo (pattern detection). I risultati di questi lavori hanno dimostrato che, benché l'informazione che il neonato può selezionare attraverso la vista sia assai impoverita se confrontata con quella dell'adulto, il neonato possiede discrete capacità funzionali che gli consentono di esplorare l'ambiente visivo. Il neonato, diversamente dall'adulto, seleziona con maggiore facilità gli stimoli che compaiono alla periferia piuttosto che al centro del campo visivo. Anche la sensibilità al colore è estremamente ridotta alla nascita poiché i recettori dell'occhio sensibile al colore, funzionano solo a partire dai 2 mesi di vita. Per questo motivo gli studi sulle abilità percettive precoci utilizzano prevalentemente stimoli in bianco e nero. Inoltre il potere di risoluzione del sistema visivo, ovvero la sua acuità visiva, è di circa 30 volte inferiore rispetto a quella dell'adulto (0,5 decimi), così come la sensibilità al contrasto è 10 volte inferiore a quella dell'adulto. Discreta la capacità di percepire i colori primari (dai 2 mesi) e i cambiamenti di luminosità. Il neonato seleziona gli stimoli biologicamente e psicologicamente rilevanti: pensiamo per esempio al volto umano. Egli discrimina il volto in mezzo ad altri stimoli meno rilevanti presenti nell'ambiente. Pur con i limiti descritti, fin dai primi giorni di vita il bambino mette in atto dei comportamenti che testimoniano la sua capacità di prestare attenzione alla stimolazione, di discriminare gli stimoli e di preferirne alcuni ad altri (pattern discrimination/pattern preference). Per esempio, le ricerche hanno indagato la sensibilità olfattiva e gustativa e dimostrano che fino dalle prime ore di vita i neonati manifestano configurazioni facciali ben differenziate ad odori e sapori piacevoli o sgradevoli. Inoltre i bambini alla nascita localizzano una fonte sonora, cioè ne individuano l'origine orientando verso di essa gli occhi e la testa e sono in grado di discriminare i suoni. Il neonato inoltre preferisce i suoni linguistici piuttosto che i suoni non linguistici ed è in grado di discriminare suoni linguistici sonori e sordi già a partire dal primo mese di vita, ossia molto tempo prima di utilizzare un linguaggio verbale, o anche di aver usufruito di un esperienza prolungata con i suoni linguistici. Un dato rilevante, è quello che dimostra come, fino ai 6 mesi, i bambini siano in grado di discriminare contrasti fonetici che non sono presenti nella loro lingua madre. Questa capacità non è più presente a 10-12 mesi, quando i bambini sono in grado di discriminare esclusivamente variazioni fonetiche presenti nel linguaggio della loro cultura di appartenenza. Per quanto riguarda la preferenza visiva, alcuni studi indicano che fin dalla nascita il bambino presta attenzione all'ambiente in modo selettivo è tutt'altro che casuale. Sono state proposte numerose spiegazioni relativamente a quali, tra le caratteristiche di uno stimolo, siano quelle che catturano l'attenzione del neonato. Sinteticamente possiamo dire che vengono preferiti gli stimoli che determinano la massima attività neurale del sistema visivo. Tra diversi stimoli che risultano spontaneamente preferiti e fin dalla nascita ve ne sono alcuni che testimoniano la predisposizione del bambino a prestare attenzione agli stimoli di natura sociale: la preferenza per il movimento biologico e quella per il volto umano, gli stimoli strutturati, le figure curvilinee, gli oggetti tridimensionali, gli stimoli presentati lungo il piano fronto/parallelo. LA FANCIULLEZZA Lo sviluppo percettivo avviene in stretta relazione con lo sviluppo di altre funzioni cognitive e in particolare con lo sviluppo delle capacità attentive. Numerosi studi hanno dimostrato che all'aumentare dell'età i bambini diventano sempre più capaci di: - focalizzare l’attenzione su un compito per periodi di tempo più prolungati - selezionare gli stimoli ambientali in modo più sistematico e selettivo ignorando gli stimoli potenzialmente distraenti - pianificare la ricerca delle informazioni al fine di identificare gli aspetti distintivi che differenziano gli oggetti e gli eventi. La stretta relazione tra abilità attentive e abilità percettive risulta particolarmente evidente nel fenomeno del sincretismo infantile, che si manifesta come una carenza di organizzazione flessibile e articolata del campo percettivo. (categorie percettive globali e poco differenziate). In età prescolare i bambini non riescono facilmente a svincolarsi percettivamente dalla struttura di insieme in cui è inserito l'elemento da trovare, perché l'organizzazione della struttura globale si impone alla loro attenzione, richiedendo in tal senso molto più tempo per esaminare analiticamente i singoli elementi che compongono la struttura di insieme. Un'altra abilità percettiva che migliora sensibilmente all'aumentare dell'età, riguarda la capacità di riconoscere forme visive comuni, dal contorno frammentato o discontinuo. I bambini diventano progressivamente più abili a riconoscere forme incomplete fra l'età della scuola materna e la tarda adolescenza. All'aumentare dell'età essi Infatti necessitano di un sempre minor numero di informazioni per superare questo tipo di compito. Riassumendo, questi studi evidenziano la stretta relazione tra sviluppo percettivo e attentivo e dimostrano che i cambiamenti che si verificano al variare dell'età nelle abilità percettive riflettono principalmente cambiamenti nella sensibilità del bambino a selezionare determinate informazioni visive rilevanti per il compito. LO SVILUPPO MOTORIO La psicologia dello sviluppo motorio studia modificarsi dei comportamenti motori, ponendosi non solo di descrivere riportare comportamentale del bambino nelle differenti fasce d'età ma anche di comprendere quali siano i processi i fattori che contribuiscono a determinare cambiamenti osservati. Nelle visioni classiche, lo sviluppo del comportamento motorio veniva considerato una diretta conseguenza dell’esplicitarsi del patrimonio genetico della specie umana (maturazionismo) oppure come risultato dell'attività di pianificazione cognitiva che, programmando le azioni future e generando comandi motori su sollecitazioni di input ambientali avrebbero così messo in atto i piani elaborati (cognitivismo). Secondo la prospettiva teorica più recente, il comportamento motorio non deve essere considerato né come la conseguenza di manifestarsi i processi di natura maturativa, né come la mera esecuzione di un piano cognitivo. Un comportamento adattativo può essere compreso solo nel contesto della biomeccanica dell'intero corpo, della struttura dell'ambiente in cui un organismo vive, e dei continui feedback tra sistema nervoso centrale, corpo e ambiente. Sistema nervoso, corpo e ambiente sono sistemi dinamici complessi e altamente strutturati, che si sviluppano in maniera coordinata. Il comportamento adattivo emerge dalla loro continua interazione. MOTRICITA’ NEONATALE Il repertorio motorio del neonato viene classicamente descritto in termini di riflessi, comportamenti più o meno complessi che vengono prodotti in modo automatico in risposta a specifici stimoli. Alcuni dei riflessi presenti alla nascita permarranno per tutta la vita (Es. riflesso pupillare o quello patellare), altri comportamenti riflessi possono essere osservati nel neonato, ma vanno progressivamente scomparendo nel corso dei primi mesi di vita (es. riflesso di Moro, il riflesso dei punti cardinali rooting, il riflesso palmare grasping, il riflesso di babinski, il riflesso della marcia automatica Stepping). Riflesso congenito Riflesso di Moro Reazione di soprassalto accompagnata da improvvisa apertura delle braccia al verificarsi di stimoli come un rumore improvviso o quando si appoggia il neonato supino in modo un po' brusco o rapido. Dalla 28esima settimana gestazionale fino al max al 6 mese di vita. Rooting Riflesso di suzione su sollecitazione della cute della guancia. Scompare attorno ai 4 mesi. Grasping Riflesso di prensione. Scompare a circa 2-3 mesi di vita (max 1 anno) Babinsky Riflesso cutaneo plantare. Si estingue attorno ai 2 anni di vita. Marcia automatica (stepping) Scompare intorno al 4° mese di vita. Tradizionalmente, si riteneva che i riflessi neonatali costituissero il lascito di forme di comportamento che possedevano un valore adattivo in ambienti tipici di fasi passate dell'evoluzione della nostra specie. Più recentemente sono state avanzate alcune interpretazioni alternative dei comportamenti riflessi presenti alla nascita, secondo cui essi devono essere considerati come forme di adattamento del feto all’ambiente uterino; in questo senso esse non cessano di manifestarsi in maniera subitanea immediatamente dopo la nascita, ma si estinguono progressivamente nei primi mesi di vita man mano che il bambino si adatta all’ambiente extrauterino. In questa accezione, i comportamenti motori del feto nell’ambiente uterino contribuiscono a plasmare l’attività motoria che avrà luogo dopo la nascita, che non può essere quindi arrestarsi bruscamente o di cambiare facilmente direzione. Tra 3 e 6 anni le diverse abilità motorie diventano sempre più stabili, coordinate e accurate consentendo al bambino di acquisire una crescente padronanza nelle abilità di pre-scrittura (disegnare, usare le forbici…) Tappe delle abilità motorie A 2 anni A 4 anni A 5 anni A 6 anni Mangiare da soli col cucchiaio Tagliare la carta con le forbici Scrivere il proprio nome in stampatello Copiare brevi parole Afferrare con pollice e indice Disegnare linee approssimativamente circolari Camminare in equilibrio su un parapetto Saltare su un piede solo tenendosi a un corrimano Camminare senza bisogno di aiuto Scendere le scale alternando i piedi Lanciare la palla da sopra la testa tenendo i gomiti piegati Afferrare e controllare con entrambe le mani una palla di 30 cm tenendo le braccia davanti al corpo Far rotolare o lanciare una palla Afferrare al rimbalzo una palla LO SVILUPPO ATIPICO Una deviazione delle capacità motorie dalla corretta traiettoria di sviluppo ha una ricaduta sullo sviluppo delle abilità percettive e viceversa. Ad esempio, la presenza di alcuni deficit percettivi può influenzare il normale decorso dello sviluppo motorio: in assenza dell'abilità di integrare informazioni visive, cinestesiche e uditivi rilevanti per la produzione del movimento, i bambini hanno difficoltà nella coordinazione dei movimenti e nella sincronizzazione degli atti motori con gli eventi percettivi. Un altro aspetto particolarmente evidente in quei casi in cui lo sviluppo percettivo/motorio risulta compromesso, riguarda lo stretto rapporto tra sviluppo percettivo/motorio e sviluppo cognitivo. Per esempio alcuni importanti mutamenti percettivi hanno luogo come conseguenza di un incremento delle capacità attentive e che consentono al bambino di concentrarsi su un compito per prolungati periodi di tempo, di pianificare la ricerca delle informazioni, di selezionare le informazioni ambientali in modo sistematico e selettivo, ignorando informazioni rilevanti. LO SVILUPPO PERCETTIVO ATIPICO Lo sviluppo atipico può dipendere da un lato ad alcuni danni a carico del sistema nervoso e, dall'altro, dalla deprivazione di alcune esperienze. L'identificazione di un oggetto o luogo al termine di una serie di processi che hanno inizio con la selezione dell'informazione e si concludono con una rappresentazione interna dello stimolo selezionato, ne consegue che risposte inadeguate alla capacità di identificare un oggetto possono dipendere da perturbazioni che avvengono a diversi livelli del processo conoscitivo. Il disturbo percettivo può dipendere quindi da una difficoltà nella raccolta periferica e nella trasmissione dei dati, dovuta a una lesione sia a livello di deficit sensoriale elementare sia a livello corticale, oppure essere la conseguenza di un problema legato alla rielaborazione dei dati e al loro riconoscimento (agnosia). Il primo modello cognitivo sul riconoscimento degli oggetti è stato proposto da Lissauer (1988) il quale ha ipotizzato che il riconoscimento di un oggetto avvenga in due livelli consequenziali di analisi (percettiva e associativa), a ognuno dei quali è associato un tipo di agnosia. Tale modello ancora considerato oggi valido sebbene siano state proposte teorie più approfondite riguardo ai vari livelli di elaborazione degli stimoli, soprattutto per la percezione visiva. Agnosia percettiva: è un disturbo nella elaborazione delle caratteristiche sensoriali di uno stimolo e nella loro integrazione in unità percettiva strutturata, che consenta di ricostruire la forma dello stimolo per poi riconoscerlo. Un bambino affetto da agnosia percettiva della modalità visiva non è in grado di eseguire un disegno su copia, di descriverlo accuratamente nei suoi particolari e di distinguerlo da oggetti visivamente simili. Agnosia associativa: la percezione sembra intatta, anche se il riconoscimento risulta compromesso. i pazienti non sono in grado di confrontare la rappresentazione percettiva strutturata di uno stimolo con le conoscenze presenti nel magazzino semantico e quindi non attivano le conoscenze relative all'oggetto. In questo caso il deficit è relativo solamente a ciò che riguarda la categorizzazione semantica di un oggetto. (es. riconoscere una forchetta ma non saper dire a cosa serve). Il deficit riguarda, in particolare, l'accesso al magazzino semantico su stimolazione visiva, viene perciò anche definita agnosia semantica di accesso. (Infatti se si richiede verbalmente alla persona di descrivere lo stesso oggetto questi è in grado di descrivere correttamente cos'è e come si usa). Fra i pazienti associativi vi sono coloro il cui deficit è limitato a specifiche categorie di stimolo visivo: facce (prosopagnosia), luoghi o parole stampate. Se da un lato molti disturbi percettivi sono riconducibili a danni congeniti o acquisiti del sistema nervoso centrale, dall'altro è ormai ampiamente dimostrato che normale sviluppo percettivo necessità di almeno una quantità minima di stimolazione organizzata in un particolare periodo di sviluppo. Non avviene, ad esempio, nei bambini strabici i quali, non ricevendo una corretta stimolazione ad entrambi gli occhi nei primi anni di vita, non sviluppano una normale percezione binoculare della profondità. LO SVILUPPO MOTORIO ATIPICO I disordini motori più importanti derivano da lesioni a carico del sistema nervoso e fanno riferimento alle paralisi cerebrali infantili congenite o acquisite. Le manifestazioni cliniche dipendono non solo dalla sede e dal grado della lesione, ma anche dal periodo in cui la lesione è avvenuta; la lesione, infatti, interferisce con lo sviluppo di tutte le abilità motorie che emergono successivamente e, più in generale, con lo sviluppo del bambino nel suo complesso. La tipologia più conosciuta di paralisi cerebrale infantile e quella spastica (emiplegia, displegia, tetraplegia), ma esistono altre forme di paralisi cerebrale infantile in cui sono presenti o predominano sintomi diversi dalla spasticità, quali il tremore o i movimenti coreici. tuttavia, vi sono bambini che, pur presentando segni lesionali a carico del sistema nervoso, non sono in grado di organizzare sequenze di movimenti ordinate ed efficienti. I disturbi della coordinazione motoria sono stati descritti e denominati con etichette diverse, che sottintendono un'ampia varietà del disturbo: sindrome del bambino goffo, instabilità psicomotoria, disordine percettivo motori, scarsa consapevolezza corporea, disprassia evolutiva, disfunzione neurologica minima. Il DSM IV esplicita quattro diversi criteri diagnostici: - prestazioni nelle attività quotidiane che richiedono coordinazione motoria sostanzialmente inferiori rispetto a quanto previsto sulla base dell'età cronologica del bambino e del livello intellettivo - il disturbo interferisce con l'apprendimento scolastico e con le attività della vita di tutti i giorni - il disturbo non è dovuto a una condizione medica generale (es. paralisi cerebrale infantile), né ad un disturbo generalizzato dello sviluppo - se ritardo mentale è presente, le difficoltà motorie sono significativamente superiori a quelle generalmente associate ad esso. Ritardo mentale Una difficoltà nello sviluppo delle abilità motorie può essere riscontrata anche in bambini con ritardo mentale o con problemi relazionali ed è secondaria all'incapacità di interagire con l'ambiente circostante, alla povertà di motivazioni e iniziative, alla difficoltà nel formulare piani d'azione organizzati. Ad esempio i bambini affetti da sindrome di Down non sono solo più lenti nel portare a termine movimenti di presa, ma la dinamica del movimento appare diversa è più variabile rispetto a quella di bambini di età. Difficoltà analoghe possono essere riscontrate anche in bambini che vivono in ambienti deprivati, i cui problemi nello sviluppo motorio devono essere attribuiti alla mancanza di occasione utile a sperimentare e mettere in atto diversi comportamenti motori. La diagnosi dei disturbi dello sviluppo motorio prevede l'integrazione di informazioni quali: anamnesi familiare del periodo perinatale e postnatale, osservazione del comportamento spontaneo, esame clinico, esami strumentali. L'osservazione motoria spontanea del bambino può venire fin dalla nascita attraverso l'analisi dei General movements: essi sono poveri, la sequenza di movimenti sequenziali e monotonona e stereotipata, i movimenti appaiono rigidi e mancano dell'attuale armonia influenza, gli arti e il tronco si contraggono simultaneamente e si rilasciano bruscamente. Nel primo anno di vita, i bambini con disturbo motorio possono manifestare un tono muscolare anomalo, sia in senso ipotonico, sia in senso ipertonico. L'attività motoria del bambino è povera e la postura può essere stereotipata. Le classiche tappe dello sviluppo motorio vengono raggiunte con marcato ritardo. Nel secondo anno di vita, i bambini che presentano difficoltà motorie possono non essere in grado di afferrare piccoli oggetti opponendo pollice e indice da una superficie piana, persistendo nel tentativo di utilizzare la presa palmare. Attorno ai 3 anni l'incapacità di saltare, dapprima sollevando entrambe le gambe poi su una gamba sola, possono costituire un segnale cui prestare attenzione diagnostica. a 4,5 anni un segnale da osservare è invece quello relativo alla capacità di afferrare e utilizzare adeguatamente una matita. Capitolo 5 LO SVILUPPO COGNITIVO PREMESSA Lo sviluppo cognitivo, considerato nella sua interezza, comprende anche aspetti quali: lo sviluppo della percezione, del linguaggio, della memoria, dell’apprendimento e dell’azione. QUADRI DI RIFERIMENTO TEORICO L’APPROCCIO EMPIRISTA Secondo questa teoria, la conoscenza è principalmente induttiva e derivata dall'esperienza attraverso associazioni o catene associative. La psicologia comportamentista e neo comportamentista è la più vicina ai principi dell’empirismo filosofico. Il comportamentismo spiega il formarsi di abilità complesse in termini di associazioni tra stimoli e risposte (eventualmente risposto implicite) o fra stimoli e altri stimoli. I concetti si formerebbero mediante l'apprendimento a discriminare percettivamente le caratteristiche di ciascun tipo di oggetti; le generalizzazioni sarebbero il frutto di abitudini e associazioni di idee, attraverso somiglianze, prossimità nello spazio e nel tempo. le differenze tra gli individui, di solito, sarebbero dovute a differenze ambientali e di esperienza. Secondo questo approccio, sviluppo e apprendimento sono difficilmente distinguibili poiché lo sviluppo cognitivo non sarebbe altro che l'accumularsi di successivi apprendimenti nel corso dei mesi e degli anni. Questa teoria ha prodotto anche qualche risultato interessante, ma poi trovava difficoltà a spiegarlo. Per spiegare differenze qualitative nei modi di apprendere, infatti, bisogna avere una buona teoria del sistema umano di elaborazione delle informazioni e del suo sviluppo con l'età, ma teorizzare un sistema di elaborazione delle informazioni andava oltre l'orizzonte del comportamentismo. APPROCCIO RAZIONALISTA Se il motto della filosofia empirista è “Nell'intelletto non vi è nulla che non sia stato, prima, nei sensi” la risposta del filosofo razionalista è “Nell'intelletto non vi è nulla che non sia stato prima nei sensi, tranne l'intelletto stesso”. Il pensiero di Descartes, Spinoza, Leibniz e infine di Kant, pur con molteplici differenze fra questi autori, rivaluta il pensiero deduttivo ed esamina le forme della conoscenza, forme che si suppongono imposte dall'intelletto, a priori rispetto all'esperienza sensibile. In questo contesto è ripresa dalla filosofia classica anche la nozione di idee innate. Alcune correnti psicologiche della prima metà del novecento, soprattutto la scuola della Gestalt, si sono distinte soprattutto per la critica ai presupposti dell'empirismo, dimostrando che i fenomeni psicologici, dalla percezione al ragionamento, non sono riconducibili ad associazioni fra elementi semplici, ma comportano sempre strutture mentali più complesse, in cui vi sono relazioni sistematiche fra una totalità e le sue diverse parti. Per quanto riguarda la psicologia dello sviluppo cognitivo, il più importante ricercatore che ha attribuito grande importanza alle strutture della mente è Piaget. Egli ritiene che buona parte dell'attività mentale consiste nell’assimilazione delle informazioni disponibili di eseguire l'azione. Ma soprattutto, in questo periodo, emerge la funzione simbolica. questa si manifesta in vari modi, come l’imitazione differita e il gioco di finzione. In questo contesto, anche il linguaggio acquista un valore di rappresentazione simbolica e può essere usato, talvolta, in modo decontestualizzato, e le parole possono perfino essere combinate sia tra loro, sia con altri simboli. Una delle critiche a Piaget è stata quella dell’errore “A-non-B”. Secondo l'autore, se si nasconde un giocattolo interessante sotto una copertina, i bambini del terzo sottostadio riescono a ritrovarlo e prenderlo solo sesso rimane parzialmente in vista, mentre quelli nel quarto sotto stadio lo cercano anche se è totalmente coperto. Tuttavia, se si nasconde ripetutamente l'oggetto in un luogo A (e il bambino lo ritrova), e quindi lo si mette in un altro luogo B (mentre il bambino osserva dove viene posto), sorprendentemente, il bambino nel quarto sottostadio tende a cercare l'oggetto nel luogo a dove ha appreso a ritrovarlo, e non nel luogo B dove appena stato collocato. questo è stato chiamato “Errore A-non-B” e secondo Piaget viene superato nel quinto sottostadio perché solo allora il bambino avrebbe sviluppato il concetto di permanenza dell'oggetto, cioè comprende che gli oggetti hanno una continuità nel tempo e nello spazio per cui, ad ogni spostamento successivo, restano dove sono stati collocati. Le ricerche specifiche su questo errore evidenziano però che in realtà esso è fortemente variabile e non dipende in modo cruciale dalla permanenza degli oggetti nello spazio e nel tempo. L’ETA’ PRESCOLARE La funzione simbolica emerge intorno all'età di un anno e mezzo, specialmente attraverso l’imitazione differita, il gioco di finzione, linguaggio. Nel periodo dai 2 ai 5 anni queste forme di rappresentazione simbolica continuano a svilupparsi, diventando sempre più ricche e complesse. ma ora compaiono anche nuove forme di simbolizzazione, fra cui è particolarmente importante il disegno. Il disegno deriva dallo scarabocchio, un'attività percettivo-motoria abbastanza complessa che di solito si manifesta tra il quinto e il sesto stadio senso motorio. sono intorno ai due anni e mezzo comincia a emergere un'intenzione rappresentativa. A volte il suo significato non è neppure veicolato dal segno sulla carta, ma piuttosto dall'azione stessa di disegnare: il bambino può scarabocchiare emettendo suoni che costituiscono un gioco di finzione o compiendo movimenti ritmici che imitano qualcosa. Vi è insomma una fase transitoria in cui è presente un embrionale intenzione rappresentativa, che però si manifesta in modo fluttuante nel corso dell'attività grafica e comunque non si traduce in forme ben riconoscibili dell'oggetto rappresentato. Le prime semplici forme schematiche appaiono di solito fra i 3 e i 4 anni. Per ciò che riguarda invece la rappresentazione del mondo fisico, i fenomeni naturali, le relazioni tra cause ed effetti sono stati dedicati ampi studi, fin dai primi lavori di Piaget, che introdusse i concetti di animismo, artificialismo, finalismo. Animismo: consiste nell'attribuire vita, coscienza o intenzioni a ciò che inanimato ( il muro mi ha colpito) artificialismo: Consiste nel credere che piante, animali o corpi celesti siano prodotti dall'uomo ( Chi ha costruito il sole?) Finalismo: confonde la causa con il fine (Perché le ruote della bicicletta girano?) In generale, secondo Piaget, il pensiero infantile sarebbe caratterizzato da egocentrismo, cioè dalla difficoltà di adottare un punto di vista diverso dal proprio. Ricerche più recenti evidenziano però che i bambini, già in età prescolare, comprendono in modo corretto molti aspetti del mondo fisico e naturale. Per esempio, sanno distinguere abbastanza bene quali cose crescono e quali no, sanno le preferenze alimentari degli animali e sono in grado perfino di fare inferenze. Fra i 3 e i 4 anni i bambini sviluppano anche la comprensione di importanti proprietà della mente umana (un abbozzo di teoria della mente). Il bambino di 3 anni ha già qualche conoscenza della mente: fa riferimento a intenzioni e desideri delle persone, ma la comprensione delle rappresentazioni mentali e delle credenze altrui emerge solo verso i 4 anni. Questo è evidenziato da vari esperimenti sulle false credenze (Sally e Anna): i bambini di 3 anni rispondono in modo scorretto mentre quelli di 4 in modo corretto. In questo periodo il bambino acquisisce anche un ampio repertorio di Script (Copioni), cioè schemi mentali di sequenze di eventi tipiche (es. cosa succede appena ci si alza). In questi casi i bambini sanno prevedere cosa accadrà dopo e si stupiscono se accade qualcosa di diverso dalla sequenza tipica. Per quanto riguarda la conoscenza dei numeri, nella prima infanzia (vedi prima) il bambino era già sensibile alla quantità e discriminava almeno sul piano percettivo insiemi di oggetti di diversa numerosità (con numeri molto piccoli o differenze molto grandi). Ora però inizia una conoscenza dei numeri come tali: di solito a 3 anni i bambini danno risposte corrette alla richiesta di uno o due oggetti ma non distinguono i numeri maggiori di 2, a 3 anni e mezzo danno risposte corrette per i numeri fino a 3, e a 4 anni di solito hanno acquisito l'abilità di contare almeno fino a un certo punto, per cui non si limitano a discriminare le numerosità corrispondenti ai numeri 1, 2, 3 ma contano fino a dove sono capaci. Abbiamo visto l'evolversi di acquisizioni e competenze che dipendono necessariamente da esperienze specifiche. tuttavia, via anche qualcosa in comune fra tali acquisizioni pure così diverse: il passaggio da rappresentazioni o simboli elementari a rappresentazioni molteplici da integrare tra loro, o fra cui bisogna scegliere quali siano pertinenti e quali no. Queste considerazioni ci inducono a porre in rilievo quelle ricerche che mettono in evidenza non solo l'acquisizione di conoscenze o abilità specifiche, ma anche lo sviluppo di risorse cognitive “dominio-generali” cioè funzionali a elaborare informazioni di qualsiasi tipo, indipendentemente dal contenuto specifico a cui si riferiscono. Importanti in questo aspetto sono le funzioni esecutive tra cui la memoria di lavoro, l’inibizione delle risposte immediate e la programmazione del comportamento. L’ETA’ SCOLARE Il termine età scolare, naturalmente, è differente per contesto geografico e socio-culturale. Le attività scolastiche hanno un impatto considerevole sullo sviluppo cognitivo, non solo per ragioni ovvie (Es. letto scrittura) ma per motivi più sottili: la scuola promuove il pensiero decontestualizzato, l'astrazione, abilità metacognitive e processi di controllo. Esperienze diverse dalla scolarizzazione fanno sì che il bambino acquisisca abilità differenti da quelle dei pari scolarizzati (es. abilità di calcolo adeguate alle esigenze pratiche della vita che svolgono, diverse da quelle standard che si imparano a scuola). Per ciò che riguarda le competenze logiche e osservazione comune che il pensiero del bambino in età scolare sia assai più razionale è logico che in età prescolare. Uno degli aspetti più studiati riguarda le operazioni di classificazione, presenti già in età prescolare ma non ancora presenti per esempio le classificazioni delle classificazioni (gerarchia di classi e sottoclassi). Solo dopo i 7 anni i bambini sanno rispondere correttamente a questo quesito di fronte a blocchi logici: “Tutti i quadrati sono rossi? Tutti i cerchi sono blu? Tutte le figure rosse sono quadrati? Tutte le figure blu sono cerchi?”. Anche la capacità di riferirsi correttamente a una classe complementare (es. tutti tranne) emerge intorno ai 7 anni. Solo a partire dagli 8 anni i bambini riescono a fare un confronto fra una classe una sua sottoclasse (ci sono più fiori o più primule? ci sono più quadrati o figure rosse?). In breve, per la maggior parte delle operazioni logiche di classificazione sia una svolta intorno ai 7 anni, ma la difficoltà di ragionare secondo una gerarchia di classi e sottoclassi dipende anche da caratteristiche del compito, del materiale e da fattori facilitanti o fuorvianti. Che oggetto riteneva che le operazioni logiche di classificazione e seriazione, che almeno per materiali concreti e familiari emergono intorno ai 7 anni, fossero alla base delle abilità cognitive acquisite in questo periodo; perciò, stadio delle operazioni concrete. Questa posizione teorica è stata però criticata: infatti, come abbiamo accennato, ricerche successive evidenziano che il successo dei bambini nella classificazione varia in funzione di molteplici caratteristiche del materiale utilizzato e del compito proposto. Pertanto, l'idea di uno stadio delle operazioni concrete è stata progressivamente abbandonata dagli psicologi dello sviluppo e oggi si considera che l'acquisizione di abilità logiche, pur essendo un aspetto importante dello sviluppo cognitivo in età scolare, in effetti sia solo una posizione fra le altre e non un'acquisizione più fondamentale, che spiega le altre. Per quanto riguarda lo sviluppo dei concetti numerici e quantitativi, imparare a contare rientra nello sviluppo tipico in età prescolare; bene prima di andare a scuola, inoltre, i bambini sanno confrontare su base percettiva due grandezze o due numerosità. Solo intorno ai 5 o sei anni, però, il numero Inizia a diventare la base del ragionamento quantitativo. A quest'età inizia a formarsi una rappresentazione mentale dei numeri come una linea, una successione ordinata, in cui ogni numero rappresenta una precisa quantità e quanto più due numeri sono distanti, tanto più è diversa la grandezza che rappresentano. Per gli adulti l'uso di una linea mentale dei numeri è ormai automatizzato e costituisce una rappresentazione mentale analogica e facilmente accessibile dei numeri interi. Nei bambini di 5-6 anni tale rappresentazione non è ancora automatizzata, ma anzi la stanno costruendo con un certo sforzo cognitivo. In età scolare si sviluppa anche la comprensione dell'invarianza delle quantità fisiche e numeriche rispetto a trasformazioni che possono essere anche molto salienti sul piano percettivo. Piaget descrive un esempio: si mostrano al bambino due palline di plastilina e questi conviene che c'è un uguale quantità di plastilina nell'una e nell'altra. quindi, di fronte al bambino che osserva, si deforma una delle palline. A questo punto si chiede se vi sia ancora la stessa quantità di plastilina In entrambe o se una ne contenga più di un'altra. l'idea della conservazione si applica anche al numero (es. Numero di pedine uguali ma lunghezza diversa). Tipicamente, la conservazione del numero viene acquisita intorno ai 6-7 anni, quella della sostanza a 7-8 anni, quella del peso a 9-10 anni e quella del volume a 11-12 anni. I sistemi simbolici costituiti in età prescolare, come il linguaggio e il disegno, continuano a svilupparsi. Per il disegno, in particolare, cambia radicalmente l'organizzazione spaziale. In età prescolare il bambino colloca le figure in modo disordinato nel foglio e le allinea lungo il margine inferiore del foglio o su una linea di terra. ha circa 7 anni, però, la composizione del disegno muta organizzandosi secondo due dimensioni; l'asse verticale del foglio viene usato per rappresentare la distanza, cioè le figure più in alto rappresentano oggetti più lontani. Un simile cambiamento strutturale può essere osservato anche nel pensiero narrativo. I bambini in età prescolare spesso amano ascoltare storie e ne imparano molto i dettagli ma se si chiede loro di raccontare o inventare una storia nuova è probabile che questa si riduca il racconto di un singolo episodio o di Uno script. A 6 anni la struttura prevalente è quella costituita da due diversi episodi o situazioni, spesso caratterizzate da un diverso tono emotivo (inizio tragico, fine risolutiva). A 8 anni una tipica struttura narrativa è tripartita: situazione iniziale problematica, uno o più episodi caratterizzati da tentativi di risolvere il problema, situazione conclusiva in cui il problema è finalmente risolto. A 10 anni si possono già trovare storie in cui uno dei tentativi di soluzione a maggior rilievo narrativo, generando complicazioni collaterali o dando luogo a una specie di seconda linea che si inserisce nella prima. Anche la conoscenza della mente compie notevoli progressi rispetto all'età prescolare. Il bambino in età scolare comincia ad avere un certo grado di conoscenza metacognitiva. Mentre i bambini di 4 anni tendono a sopravvalutare le proprie capacità di memoria e si aspettano di riuscire a ricordare tutto quello che viene loro presentato, intorno agli 8 anni sia una certa abilità nel prevedere almeno approssimativamente quanti elementi si riusciranno a ricordare. Il bambino in età scolare spesso è anche in grado di rendersi conto che certi compiti cognitivi sono più difficili di altri. Soprattutto, verso i 7-8 anni comincia a emergere l'uso di strategie di memoria, quali ripetersi mentalmente le parole da ricordare, organizzare e raggruppare il materiale presentato, o addirittura ricorrere al l'immaginazione o alle collaborazioni semantica. Non solo i bambini iniziano a usare spontaneamente queste strategie, ma sono anche, in grado di descriverle, evidenziando così che si tratta di un uso consapevole e strategico nel vero senso della parola. Abbiamo visto che i concetti e le rappresentazioni diventano sempre più complessi e l'abilità di risolvere problemi cresce con la capacità di tenere più informazioni, di selezionare quelle pertinenti ed inibire quelle poiché le esperienze tendono a differenziarsi sempre più tra individuo e individuo, ma lo sviluppo della memoria di lavoro e dei processi di controllo prosegue anche in questo periodo. ETA’ ADULTA E INVECCHIAMENTO Anche durante l'età adulta si può parlare di sviluppo cognitivo: la maturazione è ormai terminata, ma l'esperienza prosegue e con essa si acquisiscono nuove conoscenze e abilità in molti domini, ci si specializza in alcuni campi e ci si differenzia gli uni dagli altri. Per quanto riguarda l'invecchiamento è idea comune che sia una parabola discendente, un percorso di declino cognitivo. In parte lo è. Ma è importante distinguere con cura quali funzioni del sistema cognitivo subiscono un inevitabile deterioramento e quali no. Iniziamo dalla distinzione fra intelligenza fluida e intelligenza cristallizzata. La prima si riferisce alle abilità di risolvere problemi, ragionare per analogia, elaborare informazioni nuove o produrre buone risposte in contesti in cui non è possibile fare ricorso alle conoscenze precedentemente acquisite. La seconda invece riguarda la disponibilità di conoscenze e la capacità di utilizzarle per risolvere i problemi non del tutto nuovi, ma assimilabili a tipi di problemi già noti a chi risponde. Intelligenza fluida e cristallizzata non sono completamente separate, anzi sono correlate tra loro e si ritiene che le abilità fluide siano coinvolte nella costruzione di quelle cristallizzate. l'intelligenza fluida raggiunge il suo massimo grado di sviluppo nell'adolescenza e negli anni giovanili, per poi declinare a partire dalla mezza età. L'intelligenza cristallizzata, invece, rimane sostanzialmente stabile durante l'età adulta e anche durante l'invecchiamento. In sintesi, possiamo dire che con l'età si riduce l'efficienza di alcune funzioni di base del sistema cognitivo, provocando la diminuzione dell’abilità di risolvere problemi nuovi. Questo declino è di solito meno marcato se l'anziano conduce una vita ricca di interessi e di attività mentali diverse e inoltre può essere almeno ha rallentato con interventi di training che mantengono in esercizio le funzioni esecutive e potenziano le abilità metacognitive e l'uso di strategie. LO SVILUPPO ATIPICO PER CAPIRE LO SVILUPPO COGNITIVO ATIPICO Per capire lo sviluppo cognitivo atipico Occorre tenere presente questi aspetti: - la molteplicità di disturbi che implicano deficit cognitivi di varia natura - la difficoltà nel distinguere il ruolo degli aspetti biologici e di quelli ambientali nello sviluppo atipico - l'esistenza di un dibattito in corso relativo alla presenza di aree di normalità residua in Domini specifici dello sviluppo. Le popolazioni atipiche che vengono studiate sotto il profilo dello sviluppo cognitivo sono attualmente numerosissime e composite al loro interno. Studi attuali sostengono come bisogna studiare i deficit cognitivi non come classificatori di singole patologie da ricondurre a spiegazioni univoche e semplificatoria ma piuttosto di una molteplicità di condizioni, diverse per causa, per decorso, per esiti. Un secondo problema riguarda il rapporto tra natura e cultura nei deficit cognitivi. La tendenza attuale è quella di convergere sul l'idea che la presenza di vincoli biologici e genetici non impedisca di ipotizzare una forte influenza dell'ambiente sullo sviluppo. Per esemplificare, sappiamo che la plasticità cerebrale, ossia la capacità del cervello di riorganizzarsi e ristrutturarsi in funzione delle mutevoli condizioni ambientali e la disposizione di alcune aree dell’SNC a vicariare funzioni svolte normalmente da aree danneggiate, consente, soprattutto in età evolutiva, compensazioni e recuperi di competenze talvolta eccezionali. In questa prospettiva è evidente come gli aspetti biologici ambientali interagiscono in modo dinamico nel orientare le traiettorie evolutive e come la comprensione dei disturbi dello sviluppo, anche di origine genetica, debba tenere conto di questa interazione. In stretto collegamento con queste considerazioni, si introduce un terzo problema di particolare rilevanza: lo sviluppo è specifico per domini o regolato da leggi sovraordinate di carattere generale? Il dibattito è ancora aperto (Es. disturbi specifici di linguaggio e dell'apprendimento che escludono la presenza di problemi cognitivi generali) IL RITARDO MENTALE L'approccio evolutivo allo studio delle disabilità intellettive ha da tempo dimostrato come le anomalie genetiche e cromosomiche implicate in diversi disturbi predispongano i bambini a diverse traiettorie evolutive e a esiti disomogenei in varie aree dello sviluppo cognitivo. Il confronto più utilizzato e quello tra sindrome di Down ( anomalia del cromosoma 21) e sindrome di Williams ( anomalia): nelle persone con Trisomia 21 si evidenzierebbe una carenza specifica delle competenze verbali, a fronte di competenze visuo-spaziali meno compromesse, mentre nella sindrome di Williams e la competenza linguistica sarebbe in genere migliore in rapporto al quoziente intellettivo e particolari carenze riguarderebbero invece le competenze visuo spaziali ad eccezione del riconoscimento dei volti. Dal punto di vista cognitivo Molti bambini con Sindrome di Down oscillano tra un grado medio ha un grado Severo di disabilità intellettiva. Lo sviluppo cognitivo sembra subire ritardi importanti soprattutto dopo il secondo anno, in concomitanza con rallentati processi di mielinizzazione. Due caratteristiche, presenti sin dalla prima infanzia, sembrano essere la difficoltà nel mantenere le abilità acquisite e la tendenza a utilizzare strategie non funzionali alla soluzione di problemi nuovi. Concludendo: - nelle situazioni di disabilità intellettiva, anche quando si parla di area riservata, molto raramente si fa riferimento a un livello di sviluppo normale - alcune caratteristiche sono soggette a cambiamenti del tempo e quindi non solo in assoluto tipiche di una sindrome, ma legate a una determinata tappa evolutiva; le differenze riscontrate non vanno quindi interpretate in modo statico è definitivo - l'influenza degli aspetti genetici sullo sviluppo degli individui non è lineare, i singoli geni non codificano direttamente le specifiche abilità cognitive e quindi il profilo cognitivo degli adulti è spiegabile solo esaminando il processo evolutivo nella sua complessità. AUTISMO Prima ancora di descrivere le abilità cognitive considerate più deficitaria nella persona con autismo è importante chiedersi in che misura sia possibile effettuare una valutazione globale dell'intelligenza con un testo standard. I deficit linguistici, sia pure di entità variabile, pongono In molti casi ostacoli insormontabili al superamento di prove che richiedono alla verbalizzazione. anche le prove non verbali richiedono solitamente abilità relazionali pragmatiche che sono per definizione deficitari nelle persone con autismo. attualmente si stima che livello di funzionamento cognitivo degli individui con disturbi generalizzati dello sviluppo, categoria di cui l'autismo fa parte, copra tutta la gamma del funzionamento intellettivo, dal ritardo mentale profondo a livelli di intelligenza sopra la media. LA MALATTIA DI ALZHEIMER La malattia di Alzheimer è una patologia degenerativa del cervello, la cui forma più comuni insorge nel corso dell'invecchiamento. È caratterizzata da morte dei neuroni, perdita di sinapsi, formazione di ammassi neurofibrillari (fasci anomali di filamenti aggrovigliati nel corpo cellulare del neurone) e di placche amiloidi (cioè aggregati di cellule gliali, neuroni o pezzi di neuroni morti, proteine amiloidi); a livello più macroscopico si registra un progressivo assottigliamento e atrofia di diverse aree della corteccia cerebrale. Il processo colpisce anzitutto la corteccia entorinale, l'ippocampo e poi si diffonde al lobo temporale, quello frontale e spesso a quello parietale. Sebbene sia chiaro quali siano le degenerazioni del tessuto cerebrale che caratterizzano la malattia, non sono ancora chiare Le cause di tale processo. Vi sono ipotesi relative a fattori genetici ea diverse possibili altre cause di alterazioni della fisiologia. È probabile che la malattia possa essere scatenata da una pluralità di fattori, in cui anche le variabili socio culturali giocano un ruolo. I primi sintomi della malattia di solito non sono invalidanti: consistono in genere in occasione di manifestazioni di amnesia anterograda (difficoltà di codificare nuove informazioni in memoria a lungo termine) è una diminuita abilità spaziale; ciò non può sorprenderci, dato il ruolo dell'ippocampo nella memoria spaziale e nella codifica e consolidamento in memoria episodica di nuove informazioni. Col progredire del processo degenerativo tuttavia si manifestano sintomi più gravi: amnesia, anomia, agnosia, incapacità di pianificazione, deficit di attenzione selettiva e di memoria di lavoro, aprassie, disgrafia e discalculia, deficit intellettivi generali, disorientamento nello spazio e nel tempo. Come abbiamo visto, nel corso del processo degenerativo alcune funzioni decadono prima di altre e certi processi molti elementari Rimangono intatti fino alla fine. Pertanto Moscovitch e Umiltà (1990) propongono che l'architettura del sistema cognitivo sia costituita da 4 tipi di componenti: - moduli di tipo 1, o moduli di base, innati e specializzati ciascuno per analizzare un input molto specifico ( colori, frequenze acustiche, provenienza del suono, posizione nel campo visivo, profondità, movimento, percezione dei volti umani) - moduli di tipo 2, assemblati su base innata, che si costituiscono nel corso della prima infanzia; ognuno di essi è costituito da uno specifico processore predisposto a ricevere integrare l'input di diversi moduli di tipo 1. l'apprendimento di abilità come riconoscimento visivo degli oggetti, deambulazione, la pensione, linguaggio darebbe luogo al costituirsi di moduli di tipo due per ciascuna di queste funzioni, che vengono apprese in età precoce e, nel giro di alcuni anni, acquistare un concerto grado di automaticità. - moduli di tipo 3, assemblati su base esperienziale, che si costituiscono senza una specifica predisposizione innata in fasi successive dello sviluppo e ricevono l'input di vari moduli di tipo 1 e 2. questi riguardano attività più complesse, come la lettura o andare in bicicletta, che pure vengono in buona parte automatizzate Dopo anni di esperienza. chi diventa esperto in un campo probabilmente costituisce moduli di tipo 3 che contengono rappresentazioni e operazioni specifiche al suo campo specialistico. - moduli di tipo 4, non modulari: integrare le informazioni fornite dai moduli con le conoscenze più generali, pianificare le sequenze di azioni o di operazioni mentali in relazione agli scopi del momento, selezionare le informazioni rilevanti, mettere a disposizione dei processi in corso le risorse attentive o di memoria di lavoro. Nella malattia di Alzheimer inizierebbero a deteriorarsi le funzioni modulari dell'ippocampo e quelle centrali non modulari; quindi i moduli di tipo 3 e solo a uno stadio avanzato della malattia i moduli di tipo 2, mentre i moduli di tipo 1 resisterebbero al processo degenerativo. Capitolo 6 LO SVILUPPO DELLA MEMORIA PROCESSI E MODELLI DELLA MEMORIA La memoria non è un processo unitario, ma è costituita da molteplici processi. L'idea che essa potesse essere costituita da due o più componenti non è nuova, ma è stata dimostrata sperimentalmente a partire dagli anni 50, grazie allo sviluppo di rigorosa e tecniche di indagine. In particolare Brown dimostrò che anche una piccola quantità di informazione viene presto dimenticata se non è seguita da una reiterazione attiva. Nello stesso anno Broadbent presentò un importante modello di memoria a breve termine costituito da due sotto componenti: il sistema S, un magazzino contenente informazioni sensoriali provenienti da diverse fonti, che fornisce informazioni al sistema P. Il sistema è caratterizzato da una capacità di elaborazione limitata, determinata dall'incapacità di prestare attenzione a più punti contemporaneamente. Alcuni studi misero in luce che la capienza della memoria a breve termine è limitata. Nel 1956 Miller pubblico il famoso lavoro sul magico numero 7, in cui si dimostra che nel magazzino di memoria è possibile mantenere 7 unità di informazione (più o meno 2). La quantità di elementi che si possono ritenere può per aumentare se si adottano strategie adeguate, fra le quali quelle di raggruppamento delle informazioni (chunking). Verso gli anni 70 il modello classico è più noto di memoria a breve termine è quello modale di Atkinson e Shiffrin, che si ispira a quello di Broadbent. Il modello è costituito da tre componenti: la comprende i magazzini sensoriali tampone (buffer), che conservano per un breve lasso di tempo l'informazione proveniente dai diversi canali sensoriali; successivamente l'informazione sensoriale passa ad una seconda componente, il magazzino a breve termine (MBT), dove può essere riqualificata è mantenuta attraverso la reiterazione (reharsal); infine una parte del Alcune strategie per migliorare il ricordo sono la ripetizione, l'organizzazione del materiale, elaborazione profonda e significativa del materiale da ricordare. Si è osservato che i bambini compiono un meccanismo di ripetizione in modo spontaneo solo a partire dall'età di 7 anni. Anche la qualità della ripetizione cambia Durante l'infanzia: in un compito di rievocazione libera di una lista di parole, i bambini di 7/8 anni tendono a ripetere solo una o due parole per volta, mentre i bambini di 10/12 anni ripetono la parola nuova insieme con le precedenti (attiva e cumulativa). Per quanto riguarda il ricordo di immagini e percorsi non è chiaro fino a che punto è possibile estendere le analogie dai processi di reiterazione verbale a quelli di reiterazione visiva e spaziale. Vari studi hanno trovato che i bambini fino ai 7 barra 8 anni codificano figure di oggetti in modo prevalentemente visivo, al contrario dopo gli otto anni tendono a usare un approccio fonologico per ricordare le figure. Risultati di alcune ricerche portano queste tre importanti conclusioni: - I bambini più piccoli che nominano gli oggetti li ricordano meglio rispetto a quelli che non lo fanno - Solo i bambini di 5 anni sono influenzati dall'effetto della similarità visiva delle figure - I bambini di 10 anni sono invece Lunghezza del nome degli oggetti, ossia dall'effetto lunghezza della parola. Cambiamento nella conoscenza e nei contenuti nella MLT Col progredire dell'età aumenta diviene sempre più raffinate è organizzata la conoscenza immagazzinata della memoria a lungo termine. La conoscenza permette ad esempio di raggruppare le informazioni in modo significativo, questo consente di ridurre la quantità di informazioni da memorizzare e conseguentemente aumenta la capacità di memoria. Cambiamento nella velocità di elaborazione (Processing Speed) Un altro fattore che si ipotizza essere alla base dello sviluppo della memoria di lavoro è la velocità di elaborazione. I cambiamenti nella velocità di elaborazione sembrano essere dipendenti dalla maturazione neurologica e dalla progressiva mielinizzazione delle fibre nervose. Un più veloce processo di elaborazione permette di ridurre gli effetti del decadimento e dell'interferenza della ML in almeno due modi: il primo, in termini di un tasso di reiterazione più rapido, che permette un maggior mantenimento degli elementi da ritenere in compiti fonologici. Il secondo, in termini dell'aumento della velocità di ricerca in memoria e di recupero degli item da ricordare. Da osservazione del comportamento dei bambini si denota che chi risponde più rapidamente a compiti di memoria visuo-spaziali e verbali ha in genere un ricordo migliore. Cambiamento nella capacità attentiva Un ulteriore fattore determinante dello sviluppo della ML può essere considerato il cambiamento nella capacità attentiva. Sembra plausibile che il cambiamento nella quantità di informazione che può essere contenuta entro il fuoco dell'attenzione possa influenzare la prestazione. Come abbiamo visto i processi attentivi possono essere ipotizzati come funzioni proprie dell'esecutivo centrale, funzioni che progressivamente si sviluppano con l'età. Le capacità attentive e sono ritenute essere legate all'attività dei lobi frontali, che raggiungono la piena maturazione sono nell'adolescenza. Conseguentemente è probabile che il contributo dei processi attentivi raggiunga la massima influenza in tale fase di sviluppo. Sviluppo della metamemoria Lo sviluppo della memoria sembra in gran parte un intelligente strutturazione e immagazzinamento del ricordo, di operazioni di ricerca e di recupero di controllo intelligente e di conoscenza di queste operazioni ossia di una specie di metamemoria. Se ne possono distinguere due aspetti: la metamemoria come conoscenza dei propri processi mentali e come controllo, autoregolazione di questi processi. Molte conoscenze metamnestiche sono già presenti a partire dai 5 anni e la loro presenza è strettamente correlata con lo sviluppo del pensiero logico. LE CAPACITÀ MNESTICHE NEGLI ANZIANI La memoria degli anziani rispetto a quella degli adulti è stata studiata presentando due tipi di ipotesi: un sostanziale generale declino nelle capacità degli anziani o un peggioramento specifico solo in uno dei sistemi di memoria. Gli studi hanno confermato l'ipotesi di una prestazione carente nei compiti di memoria di lavoro negli anziani, confrontati con giovani adulti. Con l'aumento dell'età si associa un decremento della capacità della memoria di lavoro: il declino mnestico è un processo continuo e lineare lungo l'acqua della vita, senza però particolari accelerazioni nel corso della vecchiaia Una delle spiegazioni sui meccanismi del declino delle capacità mnestiche con l'aumentare dell'età è quello della capacità di elaborazione cognitiva ridotta. La quantità di risorse aggiuntive disponibili per l'elaborazione cognitiva si riduce con l'età. Poiché compiti più complessi e richiedono maggiori risorse attentive e rispetto a compiti più semplici, gli anziani hanno difficoltà a portare a termine con successo compiti che richiedono un carico cognitivo notevole. Un altro fattore è legato alla difficoltà di controllo cognitivo, l'invecchiamento si accompagna a un declino dei processi di controllo, mentre la capacità di elaborazione automatica rimane per lo più intatta. Di conseguenza, gli anziani non ho problema a giudicare un'informazione come familiare, ma hanno difficoltà a richiamare i dettagli di un’esperienza. L'invecchiamento si accompagna anche a una minore efficienza dei meccanismi di inibizione, i quali prevengono risposte predominanti ma inappropriate, eliminano le informazioni non più rilevanti dalla ML e determinano quale, tra le rappresentazioni attivate, può entrare nella ML LA MEMORIA A LUNGO TERMINE (MLT) L'espressione memoria lungo termine è usata in riferimento agli eventi barra conoscenze che sono accaduti, ore, giorni, mesi, anni or sono. Fra le varie funzioni va menzionata la distinzione fra memoria esplicita, nel caso in cui il ricordo sia di tipo Intenzionale e deliberato, e memoria implicita, nel caso in cui il ricordo sia di tipo automatico e non intenzionale. vari studi hanno dimostrato la dissociazione fra questi due sistemi di memoria, la memoria implicita si manifesta come una facilitazione, che può essere misurata mediante la verifica di un miglioramento nella prestazione in vari tipi di compiti, senza che vi sia nessun riferimento consapevole a esperienze e apprendimenti precedenti. La memoria esplicita e misurata in genere dai classici test di memoria, che richiedono l'individuo la consapevolezza di ricordare una specifica situazione un determinato materiale da memorizzare. Un’ulteriore importante distinzione tra memoria semantica e memoria episodica. La memoria semantica si riferisce alla conoscenza quasi permanente che abbiamo in relazione al mondo, ad esempio la comprensione del significato delle parole. La memoria episodica, si riferisce invece alla memoria di specifici eventi, che possono essersi verificati recentemente o più lontano nel passato, di cui manteniamo un vivido ricordo. Questo tipo di ricordi lontani nel passato di eventi specifici è denominato memoria autobiografica. Essa è riferita fortemente a se stessi e accompagnata da interpretazioni personali. Una caratteristica particolarmente rilevante della memoria autobiografica e il fenomeno conosciuto come amnesia infantile. Questo termine si riferisce al fatto che è estremamente infrequente essere in grado di ricordare eventi che hanno avuto luogo prima dei due anni di età e che ricordi del periodo fra i 2 e i 5 anni sono relativamente scarsi. In molti casi risulta Inoltre difficile verificare l'origine e la verità di ricordi estremamente lontani e che il ricordo non sia dovuto a una descrizione successiva dell'evento fatta dagli adulti. L'origine delle cause dell’amnesia infantile può avere differenti interpretazioni. Una possibilità è che il fenomeno sia semplicemente una funzione dell'oblio e che quindi i ricordi più distanti nel tempo siano memorizzati in modo minore rispetto a quelli più recenti. Un'altra possibilità, più plausibile, è che non vi sia una vera assenza dei ricordi, ma ciò che è impossibile è la loro accessibilità. Inoltre, prima della comparsa del linguaggio i bambini non presentano la medesima organizzazione dei ricordi in forma narrativa, coerente, tipica dell'età successive, gli eventi non sono quindi organizzati con il medesimo codice linguistico che permetterà in futuro una buona chiave d'accesso ai ricordi. Inoltre, affinché si formino dei ricordi autobiografici è necessario si sia sviluppato il secondo tipo, ossia sia presente la consapevolezza che l'individuo ha delle proprie specifiche capacità cognitive, che emerge solo attorno ai 18/24 mesi. LO SVILUPPO ATIPICO MEMORIA DI LAVORO E DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO Capitolo 7 LO SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO PER CAPIRE LO SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO I LIVELLI DI ANALISI DEL SISTEMA LINGUISTICO Il linguaggio è analizzabile a diversi livelli, tra i quali alcuni riguardano la sua stessa composizione, altri l'uso che se ne può fare nel contesto. Livello fonologico: riguarda il modo in cui vengono prodotti i suoni del discorso caratteristiche acustiche e articolatorie e loro reciproche influenze quando si combinano per formare le parole. Livello lessicale: riguarda l'elaborazione della parola, ossia lo studio delle diverse categorie di parole e delle rispettive proprietà (nomi, verbi, aggettivi…) Livello semantico: prende in considerazione le conoscenze concettuali, cioè i significati trasmessi dalle parole e dalle frasi Livello morfologico e sintattico: il primo si occupa delle modifiche della forma delle parole a te a mutarne significato (plurale, tempo del verbo…) e, il secondo, dell'ordine della combinazione delle parole atti a costruire unità semantiche più ampie (frasi, periodi) I diversi livelli che abbiamo menzionato non sono realmente separati tra loro, dato che nel momento in cui utilizziamo una parola non facciamo uso di etichette senza senso, bensì usiamo segni dotati di significato (si parla spesso infatti di sviluppo lessicale-semantico) Il livello testuale: si riferisce alla capacità di comprendere significati d'unità linguistiche ancora più complesse (es. testi orali o scritti) attraverso i collegamenti concettuali delle diverse parti che lo compongono, la capacità di selezionare le informazioni più rilevanti e di inferire anche so che non è espresso in maniera esplicita. Il livello pragmatico si occupa degli usi concreti del linguaggio nei diversi contesti sociali, cioè sia delle finalità comunicativa che esso persegue (es. richiesta, comando…), via degli effetti interpersonali tra parlanti rispetto alle scelte linguistiche adottate. Livello prosodico: riguarda l'accettazione di una data sillaba della parola, la segnalazione delle cesure fra le parole che compongono una frase o fra le frasi che compongono un periodo. LE PROPRIETA’ DEL LINGUAGGIO Il linguaggio possiede diverse proprietà, le principali sono: referenzialità o semanticità, arbitrarietà, trasmissione per tradizione, convenzionalità, categorizzazione, distanziamento, non direzionalità, relazionalità e prospettivismo, dualità, produttività o creatività, organizzazione e modificabilità, rapida evanescenza, oggettiva abilità, autoreferenzialità. LO SVILUPPO TIPICO IL PRIMO ANNO DI VITA: DALLA COMUNICAZIONE PRELINGUISTICA ALLE PRIME PAROLE I PRIMI MEZZI DI COMUNICAZIONE: ESPRESSIONI E GESTI comprensibili) ma anche la sistematicità e l’articolazione delle strutture, che può diventare un mezzo efficace per comunicare, perché, come abbiamo visto, sia la disposizione delle parole, sia le loro modifiche, gli consentono di esprimere significati differenti. DA 1 A 3 ANNI: DALLE PRIME PAROLE ALL’ACQUISIZIONE DELLA GRAMMATICA LE PRIME PAROLE E LA FORMAZIONE DEI SIGNIFICATI DEI NOMI Secondo Vihman e McCune (1994), per essere considerate segni convenzionali, le espressioni del bambino devono avere una certa somiglianza fonetica con la forma adulta, essere usate almeno una volta nei contesti appropriati e essere riconoscibili almeno dalle persone che conoscono il bambino. I contenuti delle prime 50 parole del bambino si riferiscono a persone, oggetti, animali, cibi ecc…altamente familiari al bambino e sono composte da nomi concreti. A 13 mesi i bambini associano una parola all’oggetto solo se l’adulto, durante la denominazione, dirige lo sguardo verso l’oggetto o lo indica. La capacità del bambino di apprendere i nomi non sembra limitarsi ai soli contesti di attenzione condivisa, ma il bambino tende a dare un senso alle azioni e alle produzioni linguistiche dell’adulto, anche quando queste non lo coinvolgono direttamente, per un’innata tendenza a considerare i comportamenti umani, e quindi anche il linguaggio, come “espressione di intenzioni”: ai suoni devono pertanto corrispondere significati. Diversi studi, sui bambini di 2 anni, dimostrano che l’apprendimento di nuove parole avviene anche in contesti non ostensivi in cui l’oggetto viene indicato tramite un gesto, ma anche in contesti in cui il bambino semplicemente assiste a interazioni fra adulti, dove un adulto propone ad un altro un nuovo nome per un nuovo oggetto (“Questo è un tico”). Questo può avvenire grazie alla non direzionalità del linguaggio, che consente la diffusione dei significati e la distribuzione di informazioni una rete ampia di individui, non necessariamente circoscritta ai soli diretti destinatari dei messaggi, ponendo in tal modo la possibilità di nuove acquisizioni. L’AMPLIAMENTO DEL VOCABOLARIO: VERBI E AGGETTIVI L'ampliamento del vocabolario, che si realizza intorno ai 18 mesi, consiste essenzialmente nell'inserimento all'interno del lessico sia di altre parole-contenuto, come i verbi e gli aggettivi, sia di parole-funzione, ovvero desinenze, articoli, pronomi, preposizioni e congiunzioni. Questo fenomeno, noto come esplosione del vocabolario riflette il considerevole incremento lessicale che si verifica, anche se non vi è accordo circa la necessaria corrispondenza con l'età dei 18 mesi e con la sua presenza in tutti i bambini. i primi verbi si riferiscono ad azioni chiaramente percepibili (dare, bere) gli aggettivi vengono usati in relazione a poche proprietà intrinseche, come il colore o la consistenza, inizialmente solo in relazione ad esemplari della stessa categoria (es. aggettivo rosso solo per le rose). La più tardiva acquisizione di verbi e aggettivi può essere spiegata con la loro natura nome-dipendente, ovvero il fatto che essi denotano, rispettivamente, azioni compiute da u con oggetti e proprietà degli oggetti stessi. Pertanto, la concettualizzazione degli oggetti espressa dai nomi e logicamente prioritaria. i verbi risultano più difficili dei nomi in quanto non vi è una necessaria coincidenza temporale tra etichetta linguistica e referente. Per quanto riguarda le parole funzione (desinenze, articoli, pronomi…) il fatto di essere prive di referenti le rende ancora più difficili, e la loro natura linguistica colloca la loro acquisizione all'interno del più generale quadro dello sviluppo morfosintattico. I PROCESSI SOTTOSTANTI L’ACQUISIZIONE DEL LESSICO Principali processi cognitivi che caratterizzano l'acquisizione del lessico, il primo è la comparsa della simbolizzazione che coincide con l'esplosione del vocabolario e che differenza il modo in cui le parole sono usate prima e dopo l'età dei 18 mesi. Le prime parole sono usate dai bambini in modo fortemente contestualizzati e hanno un ambito di applicazione ristretto. Ad esempio, vengono usate solo per un dato oggetto o in un determinato contesto o mentre si compie una data azione (uso non referenziale). Viceversa, dopo la metà del secondo anno di vita, esse vengono estese a esemplari diversi di una stessa categoria (uso referenziale) e in svariati contesti, dimostrando che il linguaggio acquista sempre più quella natura di strumento di categorizzazione della realtà di cui abbiamo parlato a proposito delle sue proprietà costitutive. Bambini sono in grado di categorizzare prima dello sviluppo linguistico, ma è solo grazie al linguaggio che le categorie concettuali costituite su base percettivo- motoria si adeguano sempre di più alle ripartizioni categoriali tipiche delle culture di appartenenza. DALLE PAROLE SINGOLE ALLE COMBINAZIONI E ALLA MORFOSINTASSI L'importanza delle prime combinazioni consiste nel fatto che, a differenza delle parole singole, che per essere comprese necessitano di riferimenti contestuali, le combinazioni veicolano con più chiarezza le relazioni semantiche e segnalano la prima tendenza ad usare la proprietà produttiva del linguaggio. Le più frequenti, e comuni a tutti i bambini, sono relazioni del tipo: agente + azione ( bimbo mangia), azione+ oggetto (mangia pappa), agente + oggetto, azione + luogo, entità + luogo, entità + attributo (bimbo bello), possessore + cosa possiede (mamma scarpa), dimostrativo + entità (questo libro) Lo sviluppo della morfosintassi è un argomento di indubbia complessità, in cui risulta importante capire come il bambino mette in atto precise strategie di analisi dell'input linguistico, dal quale ricava le regole strutturali che lo governano. STRATEGIE E PROCESSI SOTTOSTANTI L’ACQUISIZIONE DELLA GRAMMATICA È difficile dare un quadro esaustivo e coerente dello sviluppo della grammatica, poiché i dati dipendono dal tipo di rilevazione (Es. produzione o comprensione), dal tipo di compito (es. ripetizione, scelta di figure, esecuzione di azioni…) dal tipo di lingua, dall' approccio teorico di partenza ecc... è più utile cercare di esplicitare almeno alcune delle principali strategie che il bambino mette in atto per appropriarsi delle regole formali della propria lingua. Il bambino fa attenzione a come terminano le parole: per esempio agli indici internazionali (es. l'allungamento della sillaba finale segnala che l'unità linguistica è terminata). Un ulteriore principio è quello che evita le eccezioni (“ho piangiuto”). Solo questo punto si può parlare di competenza linguistica, nella misura in cui il bambino in grado sia di trasmettere contenuti di conoscenza sufficientemente differenziati articolati, sia di produrre messaggi in funzione dei suoi scopi e delle sue esigenze comunicative. nelle fasi successive dello sviluppo, quanto più la sua capacità di espressione verbale si affinerà e si renderà sensibile ai contesti sociali interpersonali, e nella misura in cui gli scopi perseguiti diventeranno più complessi, tanto più andrà perfezionandosi anche la sua competenza comunicativa. L’ETA’ PRESCOLARE E SCOLARE. LA COSTRUZIONE DELLA MENTE MEDIATA Verso i 3/4 anni l'acquisizione del linguaggio può dirsi terminata, non vi solo cioè omissioni di elementi obbligatori o usi lessicali particolari, e si hanno costruzioni frasali lunghe e articolate. questo non significa che, anche dopo 5 anni, non vi siano nuove acquisizioni o che non persistono alcune difficoltà. IL LINGUAGGIO NARRATIVO E LA COSTRUZIONE DEL SÉ In questo periodo dello sviluppo, il linguaggio viene usato soprattutto a scopo narrativo, il che vuol dire essenzialmente due cose: al bambino viene proposto un mondo raccontato ed egli stesso è in grado di raccontare ciò che ha visto, gli eventi cui ha partecipato, le emozioni che ha provato. Il raccontare degli adulti può avere diverse forme, come leggere libri, inventare storie, rievocare esperienze svolte assieme al bambino. Quando il bambino raggiunge una sufficiente articolazione linguistica, è in grado di utilizzare la forma del racconto per esprimersi; i primi racconti saranno minimi e concreti, ma progressivamente diventeranno sempre più articolati e ricchi di riferimenti. A 18/20 mesi, se l'adulto fornisce il contenuto è la struttura della narrazione, il bambino è in grado di conformarsi o ripetere le informazioni proposte; a 24/28 mesi, su richiesta dell'adulto, è in grado di fornire informazioni sugli eventi passati che lo coinvolgono, ma ancora non risulta capace di una costruzione coerente e, infine, a 28/32 mesi si mostra in grado di iniziare spontaneamente una conversazione sul passato e produrre storia organizzate. I termini psicologici esplodono nel lessico verso i 3 anni, quando conoscono un momento di forte espansione comprendendo termini emotivi, morali valutativi (bravo, cattivo…) e, dopo i 4 anni, anche termini cognitivi (pensare…). La narrazione è sempre di natura comunicativa e sociale: è un contatto frammenti che condividono l'esperienza rappresentata. Grazie alla proprietà del distanziamento si può partecipare a eventi passati e lontani e prospettare assieme scenari futuri, e grazie a quella relazionale prospettica, gli eventi possono essere presentati in modi complementari e i vissuti diversi possono essere presentati in una cornice interpretativa coerente. In sostanza, grazie alla narrazione ciò che prima veniva presentato come interpretazione del mondo precostituita, diventa progressivamente un sistema di significati autonomamente attribuiti dal bambino stesso. In generale si ha una vera e propria rappresentazione di sé e della propria storia individuale: una complessa teoria della mente, cioè una rappresentazione dei diversi stati mentali e dei conseguenti comportamenti, è una memoria autobiografica. EFFETTI COGNITIVI DEL LINGUAGGIO NARRATO Come abbiamo visto, il linguaggio come codice permette innanzitutto di riferirsi alla realtà circostante, ma anche di costruire una conoscenza di essa che va al di là del momento presente; l'evanescenza della stimolazione linguistica obbliga, per così dire, il sistema cognitivo a fissarne sia le proprietà fonologiche sia i contenuti semantici in forme stabili e permanenti; senza di essi, infatti, non sarebbero possibili nel mantenimento delle tracce dell'esperienza diretta nella partecipazione alla trasmissione culturale e alla diffusione delle conoscenze. Il ruolo evolutivo particolare che linguaggio svolge, nella sua prima funzione narrativa, è quello di permettere la formazione di unità rappresentazionali più ampie di quelle precedenti l'acquisizione del linguaggio. Esperienze che resterebbero segregate in rappresentazioni episodiche, per la loro natura isolate, e concrete possono essere unificate in un sistema operativo più ampio e potente. Il linguaggio obbliga il pensiero ad una scansione analitica dell'esperienza e ad una traduzione delle modalità di elaborazione in parallelo della stimolazione sensoriale a modalità di elaborazione seriale tipiche della linearità del linguaggio stesso: i suoni, le parole, le frasi si presentano in modo sequenziale, e la ricezione e l'elaborazione di ciascuno di essi avvengono quando i precedenti sono ormai svaniti (evanescenza del linguaggio). Ciò obbliga il sistema cognitivo a ritenere in memoria le tracce selezionate e ordinate dell'esperienza, in funzione dell'ordinamento costituito attraverso il resoconto linguistico. L’EVOLUZIONE DELLA CONOSCENZA GRAZIE AL LINGUAGGIO: VERSO IL PENSIERO PARADIGMATICO Con l'ingresso nell'età scolare la conoscenza tende ad assumere anche la forma di un pensiero paradigmatico, di per sé tipico delle teorie scientifiche, basato su criteri di interpretazione oggettiva e logici, non più solo personalistici o esperienziali. come abbiamo anticipato, un linguaggio che colga le relazioni fra i 20 solo in termini di stati mentali non può essere sufficiente a cogliere le relazioni in sé, cioè come rapporti logicamente necessari e indipendenti dalle manifestazioni empiriche: un nesso causale tra due eventi, esprimibile con relativa congiunzione, rimane tale Indipendentemente dalle motivazioni che hanno messo in atto la sequenza di tali eventi, o nessi logici quali la disgiunzione olympic azione sono validi intrinsecamente e non per i contenuti cui si riferiscono. Si tratta del passaggio al pensiero paradigmatico. La lettura è la scrittura espandendo tutte le altre proprietà costitutive del linguaggio legate all’oggettivazione, permettono In primo luogo di mantenere le informazioni, o accumulate da un individuo e da una cultura, in forme non evanescenti, accessibile a tutti e incrementali; in secondo luogo inducono un atteggiamento analitico e riflessivo verso il linguaggio stesso. in effetti la consapevolezza metalinguistica, ossia la consapevolezza sul linguaggio, si sviluppa in età scolare, quando quest'ultimo si trasforma da strumento di pensiero a oggetto di pensiero, è da mezzo di comunicazione diretto immediato a mezzo differito, stabile e generalizzato. LA COMPETENZA COMUNICATIVA In questa fase, la comunicazione non è più solo efficace è intenzionale, come era nei primi due anni di vita, ma diventa riflessa e consapevole, regolata da norme convenzionali, adattata ai diversi contesti agli interlocutori, sostenuta da capacità più analitiche di ragionamento e di argomentazione. Nel periodo delle scuole elementari si sviluppano ulteriori capacità comunicativo-interattive, che consistono per gli autistici frammentata, eccessiva e disturbante sarebbe la ragione per cui gli studi sullo sviluppo linguistico di questi bambini risultano ancora oggi non pienamente soddisfacenti e risolutive. Capitolo 8 LO SVILUPPO EMOTIVO E RELAZIONALE LO SVILUPPO TIPICO PRECURSORI DELL’EMOZIONE E SVILUPPO PRECOCE Bambino può essere considerato, sin dai primi momenti del suo sviluppo, un essere attivo è organizzato, capace di inserirsi con successo in una rete di scambi comunicativi con le persone che lo circondano. Come già visto, il cervello si sviluppa molto rapidamente nei primi due anni di vita e, in particolare, negli ultimi due mesi di gestazione e nei mesi immediatamente successivi alla nascita si assiste a una straordinaria integrazione di circuiti neuronali. Il neonato si trova Infatti corredato di tutte le caratteristiche essenziali al funzionamento emotivo, capace di orientarlo a un contatto interessato con il mondo che lo circonda. Tale naturale predisposizione allo scambio intersoggettivo fa riferimento a un insieme di precursori che preparano il terreno ad uno scambio più articolato e complesso che caratterizzerà i momenti successivi dello sviluppo. Sin dalla vita intrauterina, durante il 3° trimestre di gestazione, il feto è in grado di connettersi naturalmente alla madre sentendo e riconoscendo la sua voce. Questa prima relazione a uno stato emotivo importante per il piccolo, che impara, con questo contatto, a calmarsi riducendo il proprio battito cardiaco. Per quanto riguarda il versante espressivo i neonati mostrano, fin dalla nascita, competenze sorprendenti: già dalle prime ore di vita e si sono in grado di rispondere a determinati stimoli, come ad esempio la fame o il dolore attraverso il pianto, riescono a produrre suoni dotati di significato o contrarre il viso in configurazioni espressive che vengono riconosciute dagli adulti come tipiche delle emozioni di base (rabbia, paura, felicità, tristezza, disgusto) La comunicazione si avvale del canale, che costituisce il mezzo privilegiato dello scambio emotivo, non solo perché compare prima dal punto di vista ontogenetico, ma anche perché costituisce la modalità più spontanea e immediata di espressività comunicativa nel corso dell'esistenza. Attraverso le espressioni del volto, il tono della voce, lo sguardo, la postura o i gesti, comunichiamo infatti l'emotività in maniera più diretta, con minore potere di dissimulazione rispetto alla comunicazione verbale, generalmente più soggetta a un controllo volontario. Un esempio di precocità espressiva è costituita dalla risposta del sorriso, che compare alla nascita come segnale riflesso di cicli neurofisiologici di eccitazione o rilassamento, costituendo in tal senso una risposta di carattere endogeno. A 2 mesi si presenta già come risposta più modulata, provocata da alcuni stimoli privilegiati quali il volto dell'altro, il tono della voce e lo sguardo. Dal 3° mese il sorriso acquisisce la caratteristica di risposta strumentale: il bambino sorride per raggiungere uno come ad esempio avvicinare la madre e, a partire dal 4° mese, esso viene espresso in maniera coordinata e articolata rispetto ad altre espressioni del volto o ad altre espressioni non verbali, come il tono della voce. Un altro segnale comunicativo molto precoce è rappresentato dall’imitazione: neonati di poche ore di vita sono in grado di imitare diverse espressioni del volto di un adulto, ripetendo l'azione, e sono in grado di farlo utilizzando movimenti di parti del corpo come la bocca o la faccia cui non hanno un accesso visivo diretto. Quest'ultimo dato avvalorato dalle recenti scoperte neurobiologiche e relative all'esistenza dei neuroni specchio, a testa in maniera convincente la caratteristica di accoppiamento con l'altro insita nel gesto delimitare, in cui ciò che conta non è tanto la messa in atto di limitazione in quanto tale, bensì l'esperienza emotiva di collegamento intersoggettivo che il piccolo esprime. La precocità di sistemi di scambio intersoggettivo a testa come dai primi momenti dello sviluppo il piccolo si trova inserito in un sistema di relazioni all'interno delle quali è in grado di svolgere una funzione di agente attivo segnalando i propri stati interni, richiamando l'attenzione dell'adulto e coordinando le proprie risposte comportamentali a livello cross-modale, ad esempio accompagnando con il tono il timbro della voce uno stato di disagio segnalato anche dall'espressione del volto. Oltre alla sua precoce abilità comunicativa, neonato manifestano incipiente capacità di decodifica o di comprensione dei segnali emotivi espressi dalle altre persone, indirizzando Innanzitutto la sua attenzione per certe parti del corpo come il volto e in particolare la zona degli occhi, e, in secondo luogo, mostrando una naturale propensione per gli eventi a valenza edonica positiva, ossia per gli eventi spiacevoli. Le numerose evidenze empiriche raccolte dalla ricerca attestano come la sensibilità ai segnali espressivi inizi in maniera molto precoce, con i neonati che Immediatamente dopo la nascita mostrano una preferenza chiara per i volti, con gli occhi aperti piuttosto che chiusi, riconoscono e si orientano al suono della voce materna ed esprimono e riconoscono le emozioni di base convogliate dal volto umano. In particolare è il rapporto con la madre (relazione diadica) che costituisce, in questa fase dello sviluppo, la principale fonte di alimentazione della vita emotiva del piccolo. E’ all'interno di questa relazione diadica che il piccolo impara alcuni aspetti fondamentali per lo sviluppo della sua sfera emotiva: il significato delle emozioni, la loro rilevanza del suo benessere, il ritmo della comunicazione ossia la possibilità di entrare nell' alternanza dei turni della stessa maniera armonica è sincronizzata con la madre, il dolore del non incontro o della trascuratezza emotiva, le incipienti forme della regolazione emotiva ossia della capacità di modulare e gestire l'intensità dell’arousal o attivazione emotiva. Interessanti studi hanno messo in luce come semplice gesto quotidiano dell'allattamento, tra madre e bambino sviluppi dei micro dialoghi, ossia forme di conversazione che fungeranno da prototipo per quelle successive più avanzate. è una forma sintomi emotiva emotiva, in cui il piccolo sperimenta i suoi primi modi di condivisione dei significati emotivi “risuonando” insieme alla madre. Ma solo ciò che è condiviso, consentito e riconosciuto come adeguato all'interno dello scambio dialogo con la madre può diventare patrimonio psicologico usufruibile da parte del bambino. Ciò che non è riconosciuto passa in secondo piano e viene penalizzato a favore di altri contenuti psicologici che possono essere condivisi. INFANZIA ED ETA’ PRESCOLARE A partire dai 2 mesi, fino a 6 mesi circa, la comunicazione assume una chiara fisionomia, caratterizzandosi informi di vera e propria con partecipazione affettiva. questa modalità di comunicazione è definita intersoggettività primaria, per sottolineare come In questa prima forma di rapporto con l'altro la comunicazione sia contingente, ovvero sia reciprocamente influenzata dal comportamento dell'altro. Il bambino sorride, la madre risponde anch'essa con un sorriso. Tra i 2 e i 3 mesi lo sviluppo dell'attenzione, della percezione, della sensorialità e della memoria consentono al bambino di cominciare a costruire pattern di identificazione delle integrazioni significative, definendo in tal modo i precursori dell'attaccamento. A partire dai 6 mesi, l’accresciuta capacità del bambino di esprimere e comprendere una gamma più ampia di emozioni si coniugherà con la comparsa del gioco con gli oggetti, che viene utilizzato come elemento di mediazione nell’interazione con l’adulto. Il piccolo riesce ora a considerare oggetto di interesse l'attenzione dell'adulto per un oggetto condiviso, segneranno in tal senso una rudimentale capacità di intendere e le intenzioni e gli stati interni dell'altro per organizzare il proprio comportamento. Siamo ormai entrati nel dominio dell’intersoggettività secondaria, in cui il coordinamento tra il focus dell'attenzione rispettivamente dell'adulto e del bambino consente entrambi i partner di Sintonizzare reciprocamente i propri stati interni e al piccolo di riconoscerli nel proprio significato funzionale. Tra i 7 e i 9 mesi il cresciuto interesse per il mondo esterno si dimostra il prolungarsi del tempo di gioco con l'adulto, in cui l'occasione di attività di attenzione condivisa costituiscono l'ambiente privilegiato per lo scambio emotivo. è in questo periodo che il bambino manifesta la paura dell'estraneo, ossia risponde con disagio se una persona non conosciuta lo avvicina prendendola ad esempio in braccio. Questo atteggiamento sancisce la definitiva comparsa di un meccanismo selettivo di preferenza sociale, in cui solo alcune persone, riconosciute come affettivamente significative, rappresentano i destinatari delle emozioni, delle aspettative interpersonali e della fiducia infantile. Il periodo di sviluppo successivo, dai 9 ai 12 mesi, consoliderà questo orientamento proiettando il bambino in una crescente capacità di iniziativa nell'ambito della condivisione degli stati affettivi, della regolazione emotiva, della comprensione degli stati interni, delle intenzioni dell'adulto e della comunicazione intenzionale, fino ad arrivare alla definizione dei primi pattern di attaccamento. Al secondo anno di vita, ossia con il compimento del 1° anno d'età, l'attaccamento è ormai consolidato e il bambino acquisito un suo modo di esprimere il senso di protezione di aiuto da parte del genitore. Questa forma di apprendimento, dotata di una certa solidità e continuità lungo l'intero arco dell'esistenza, si è definita grazie alle ripetute interazioni e scambi affettivi avuti con il caregiver e ha assunto una precisa fisionomia in funzione della qualità della sensibilità e della responsività di questi ultimi, in particolare della madre. le differenze individuali tra bambini sono definite già a partire dal primo anno di vita e risultano valutabili attraverso alcuni metodi di osservazione tra cui la strange situation. 4 sono le categorie attraverso le quali i bambini esprimono il loro bisogno di vicinanza protettiva con il genitore, ossia il loro attaccamento. L'età prescolare (3-6 anni) si caratterizza per il consolidamento dei pattern di attaccamento, per la comparsa e l'affinamento delle abilità linguistiche, del gioco simbolico e di un crescente senso di controllo e padroneggiamento. I progressi compiuti consentono al bambino di sperimentare le proprie capacità di autoregolazione anche nel rapporto con i pari e di sviluppare i primi rapporti d'amicizia con i coetanei che seguiranno poi una loro sequenza specifica. In questo periodo diventano importanti anche i ruoli sessuali e l'identità di genere assume una connotazione specifica, caratterizzando in modo diverso gli interessi dei giochi per i maschi e per le femmine. È sempre in questo periodo, inoltre, che entrano nel repertorio individuale le emozioni complesse quali l'orgoglio, la colpa è la vergogna, stati emotivi che segnalano come la consapevolezza dell'altro stia assumendo un crescente importanza nell'esperienza emotiva del bambino. L’ETA’ SCOLARE L'inizio della scolarizzazione primaria sembra coincidere con un periodo in cui il bambino appare più calmo, a volte più capace di assumere atteggiamenti seri, più controllato e meno spontaneo del periodo precedente. Tra i 6 e i 10/12 anni egli comincia a vedere il mondo come luogo dotato di proprie regole e costumi, che dovrà assimilare e rendere i propri. Se prima vedeva se stesso come centro del mondo, ora inizia a realizzare le cose che sono complesse e deve trovare un suo posto tra di esse. I motivi di questo cambiamento sono 5: - autoregolazione: il bambino è ormai in grado, e diventerà sempre più capace, di utilizzare una serie di strategie cognitive per esercitare un controllo consapevole e volontario sui propri impulsi; anche l'utilizzo dello strumento linguistico, costituisce un importante supporto nel processo di autoregolazione, parlare e condividere con gli altri le proprie emozioni comincia a diventare uno dei possibili mezzi utilizzati per calmarsi e imparare a regolare le emozioni. - abilità di sostituire le azioni impulsive con i pensieri, le parole, il gioco è la fantasia: il gioco assume ora una sua connotazione specifica diventando il principale mezzo di assimilazione delle regole e del rispetto dell'altro; la sperimentazione delle prime forme di competizione, di conflitto di cooperazione e di solidarietà trovano così un loro naturale luogo di espressione e di sperimentazione. Il gioco si arricchisce della capacità di sperimentare nuove possibilità grazie alla strutturazione tramite le regole, in cui la cooperazione e il conflitto svolgono una funzione di base nel gestire le esperienze emotive e la qualità delle relazioni tra i partecipanti. - rapporto tra pari e sentimento dell'amicizia: l'autostima soggettiva e il senso di se appaiono in questo periodo sempre più legati al senso di accettazione da parte dei pari e alla valutazione attraverso il cui il bambino si confronta con gli altri per capire se e quando il proprio modo di essere e comportarsi risulti simile o diverso rispetto a quello dei coetanei. Il bisogno di accettazione del gruppo gioca così un ruolo di fondo nel incrementare la capacità di rispettare le regole e di mantenere l'autocontrollo. La capacità di assumere la prospettiva dell'altro (perspective taking) alimenta i comportamenti altruistici e prosociali e può, a volte, essere alla base dei comportamenti antisociali, in cui la violazione del rispetto e dei diritti dell'altro Ciascuna persona, infatti, sulla base di ciò che ha vissuto nei legami affettivi con i genitori, ha elaborato un proprio modo, automatico in gran parte inconsapevole, di intendere le relazioni con gli altri significativi, ossia con le persone cui è affettivamente legato; a cioè così aspettative specifiche rispetto a ciò che potrà ricevere potrà richiedere, rispetto a ciò che non potrà né richiedere né ricevere, rispetto alla qualità della sensibilità e accessibilità emotiva dell'altro e, infine, rispetto alla propria capacità di modulare la risposta emotiva. I pattern di attaccamento dell'adulto sono: - attaccamento sicuro: ha alle proprie spalle una storia relazionale con le proprie figure di attaccamento costante, affidabile ed emotivamente disponibile. ha così imparato ad esprimere in maniera diretta la propria emotività, sia essa positiva che negativa, a regolare modulare le emozioni in situazioni di disagio, senza farsi soverchiare da vissuti emotivi ingestibili e a chiedere aiuto e supporto laddove opportuno. - attaccamento insicuro, tipologia distanziante (DS): ha anch'esso una storia relazionale familiare che si è contraddistinta per essere stabile è costante, ma la natura dell'emotività in essa presente è profondamente differente. in questi casi si tratta infatti di genitori che sono stati mediamente poco sensibili e attenti talvolta anche rifiutanti in maniera attiva. la persona quindi imparato che la migliore strategia per mantenere una relazione di attaccamento è quella di non gravare l'altro con le proprie richieste, ha adottato uno stile relazionale improntato sull'autonomia e alla soppressione inconsapevole dell'emotività negativa, cercando di adottare una strategia di coping che fa conto, in situazione di disagio emotivo principalmente su se stesso e non ricorre alla richiesta di supporto sociale. Le emotività positiva può avere un suo canale di espressione diretta, in quanto viene generalmente accettata, ma lo stesso non può dirsi per le emotività negativa, che deve essere tenuta per sè attraverso una strategia di deattivazione dell'emotività. - adulto preoccupato/invischiato (E): l'insicurezza di attaccamento si esprime attraverso un iperattivazione emotiva, in cui le richieste e il bisogno dell'altro sono avvertiti in maniera accentuata, a discapito delle proprie capacità di gestione autonoma. Il disagio promuove in questo caso un ricorso automatico all'altro e alla richiesta d'aiuto, cui però non corrispondono analoga capacità di accettarlo. L'adulto insicuro preoccupato si procura così attraverso questa strategia relazionale la costante prossimità psicologica all'altro, lasciando aperto una domanda che lo espone a una dipendenza relazionale che gli inconsapevolmente contribuisce ad alimentare. - adulto disorganizzato: vedi sviluppo atipico. La domanda da cui origina l'interesse per l'ultima fase della vita, orientativamente data a partire dai 70 anni, riguarda la qualità e il livello delle eventuali compromissioni dell'esperienza emotiva. In particolare, a fronte di un deterioramento delle funzioni cognitive, i ricercatori si sono interrogati rispetto al grado di eventuali compromissione dell'esperienza emotiva. Vari studi mettono in luce come sia una caratteristica propria degli anziani quella di mostrare una propensione a mantenere le emozioni positive ea ridurre le emozioni negative. Gli anziani sembrano essere capaci di non enfatizzare le informazioni o gli stati d'animo negativi come ad esempio tendono a fare i giovani, contribuendo in tal senso a migliorare la propria capacità di regolazione emotiva e di benessere soggettivo. accanto a queste aree di buon funzionamento, altre aree risultano maggiormente compromesse. Gli studi individuano a questo proposito in maniera abbastanza concorde un declino di prestazione nella capacità di riconoscimento di alcune emozioni, come la paura e, seppur in misura minore, la rabbia. Infine, un nutrito numero di studi in ambito neuropsicologico si occupa di osservare le interazioni tra la qualità dell'esperienza emotiva e diverse forme di deterioramento cognitivo, riscontrando interessanti interazioni positive tra un buon livello di qualità dell'esperienza emotiva e l'andamento di questi disturbi. LO SVILUPPO ATIPICO PER CAPIRE LO SVILUPPO EMOZIONALE E RELAZIONALE ATIPICO Per comprendere lo sviluppo individuale dobbiamo prendere in considerazione le particolari transazioni che avvengono tra le persone e i loro ambienti e studiarne il particolare percorso di sviluppo che le contraddistingue. Dovremmo prendere in considerazione un insieme articolato di fattori, temperamentali, ambientali, individuali e osservare come ciascuno di essi, e tutti insieme nelle loro relazioni reciproche, possono svolgere una funzione di protezione oppure costituire un rischio per un determinato percorso di sviluppo. È importante prendere in considerazione la resilienza, che rappresenta la capacità di funzionare in maniera competente in condizioni avverse o di riprendersi da esperienze di natura negativa e traumatica in maniera rapida ed efficace. Si tratta di una competenza di natura individuale, spesso a base temperamentale, la cui origine è intrinsecamente relazionale, in quanto impiega specifiche transazioni tra l'individuo e l'ambiente familiare, caratterizzate da una certa intensità, frequenza e durata nel tempo. l'aspetto interessante di questo concetto è il fatto di mettere in luce come, per ciascun individuo, esistono alcune vulnerabilità che, in corrispondenza di determinate condizioni, sono passibili di manifestarsi e diventare tratti di funzionamento psicologico più o meno stabili rendendo i corrispondenti percorsi di sviluppo caratterizzati da diversi gradi di atipicità. QUANDO L’ATTACCAMENTO SI DISORGANIZZA: L’ESPERIENZA TRAUMATICA NELL’INFANZIA Il bambino con attaccamento insicuro nella Strange situation si manifesta con comportamenti di natura contraddittorio non finalizzata al rientro della madre (Es. Braccia tese all'indietro ma direzione verso la madre, correre verso la madre e poi bloccarsi) ciò che differenzia l'attaccamento disorganizzato dai tre pattern organizzati, oltre a una chiara mancanza di organizzazione della richiesta di cure conforto, è uno più o meno grave disorientamento rispetto alle mie delle azioni, tanto che questa condizione è stata inizialmente definita attaccamento disorganizzato- disorientato. Lo schema di funzionamento dell'attaccamento disorganizzato è ben rappresentato da un circuito di retroazione che rimanda un'informazione di ritorno che non può essere funzionalmente utilizzata dal piccolo per regolare la propria emotività attraverso il legame di attaccamento con il genitore. è nello stile di risposta del genitore è nello stile relazionale adesso collegato che va ricercata la radice dell'attaccamento disorganizzato del bambino. Disorganizzazione e disorientamento del comportamento di attaccamento sono da considerarsi fenomeni relazionali legati alle caratteristiche di un preciso rapporto interpersonale. Alcuni studiosi individuano l'esperienza traumatica come avvio di un percorso atipico nell'ambito dell'attaccamento infantile, laddove per trauma si intende il verificarsi di uno o più eventi che in maniera frequente è ripetuta credo nel soggetto uno stato di sopraffazione emotiva, con un vissuto di impossibilità di trovare vie di fuga o alternative a tale situazione. Si tratta di una condizione psicologica in cui la persona, invece di governare e gestire la propria emotività, ha l'impressione di esserne sopraffatta e sente di vivere uno stato di impotenza. Non tutte le esperienze traumatiche, di per sé, si rivelano capaci di orientare lo sviluppo nella direzione dell'organizzazione. Due sono le tipologie di trauma salienti per il sistema di attaccamento. - Perdita precoce di un genitore o episodi di maltrattamento e abuso - Vulnerabilità della relazione con la figura di attaccamento Un genitore che non ha risolto o elaborato una propria esperienza traumatica, un lutto o un abuso per esempio, diventa così una potenziale fonte di trasmissione intergenerazionale di tale esperienza, anche senza mettere in atto comportamenti che la richiamino in maniera diretta. La relazione che dà luogo a un attaccamento disorganizzato a porta al bambino un tipo di esperienza altamente contraddittoria e paradossale, sollecitando in lui la creazione simultanea di modelli rappresentazionali di sé con l'altro reciprocamente incompatibili e incoerenti. Nel momento in cui egli ricerca la prossimità al genitore potrebbe ad esempio avere un'immagine di sé positiva è un'aspettativa fiduciosa sull'altro, immaginandolo emotivamente disponibile. Poi però la percezione dello stato di paura del genitore gli potrebbe far identificare proprio quello stesso genitore come fonte di paura e cominciare di conseguenza elaborare una rappresentazione dell'altro come minaccioso e disse come vittima impotente. La simultanea è incompatibile presenza di rappresentazione di questo tipo nella mente del bambino è così responsabile di un collasso delle possibilità di organizzare un comportamento univoco è coerente e del conseguente manifestarsi dei segnali comportamentali contraddittori e non finalizzati. L'esperienza traumatica infantile trova dunque due modalità principali attraverso cui influenzare un decorso atipico dello sviluppo emotivo e relazionale. La prima rimanda al verificarsi puntuale del trauma, cioè a situazioni di vita in cui il bambino effettivamente subisce episodi e comportamenti di natura traumatica, che mettono a dura prova le sue vulnerabilità individuali: tipicamente casi di perdita precoce di familiari significativi oppure esperienze di natura abusiva. La seconda modalità presenta invece una qualità eminentemente psicologica e si verifica attraverso un meccanismo specifico di trasmissione tra le generazioni, in cui gli stati mentali del genitore influenzano direttamente gli stati mentali del bambino attraverso la percezione delle emozioni in essi contenuti, anche senza che si verifichi alcuna condotta esplicita di abuso. Le conseguenze dell'attaccamento disorganizzato trovano riscontro nelle condotte di attaccamento del bambino e nel vissuto soggettivo, che sarà improntato a un senso di impotenza e inefficacia rispetto alla possibilità di sedare e modulare stati emotivi dolorosi. ETA’ SCOLARE E ADOLESCENZA: DISTURBI DA ESTERNALIZZAZIONE E DISTUBO ANTISOCIALE I bambini con disturbi da esternalizzazione o esteriorizzazione, presentano una difficoltà nel controllare le manifestazioni impulsive e aggressive rivolte nei confronti degli altri. I bambini esternalizzanti sono propensi a mettere in atto comportamenti aggressivi e dirompenti nei confronti soprattutto dei pari e rispondono con rabbia e aggressività alle situazioni in cui provano disagio o frustrazione. Si tratta di un disturbo relativamente stabile nel tempo e facilitato da una base temporale che predispone a rispondere con eccessiva reattività agli stimoli ambientali e promosso da una serie di fattori di rischio: basso livello socio culturale, socio-culturale, genere maschile, genitorialità monoparentale, gravidanza precoce o non pianificata, numerosità dei membri familiari, conflittualità familiare elevata, stile educativo incostante incoerente con scarso monitoraggio e con un generale atteggiamento di tipo disimpegnato, separazioni e divorzi. L'attaccamento prevalente è quello di tipo disorganizzato, anche se i pattern insicuri sono anch'essi presenti, con prevalenza del pattern evitante distanziante. I bambini che mostrano comportamenti esternalizzanti sono soggetti al rifiuto da parte dei pari, a carriere scolastiche problematiche, hanno speciale vulnerabilità nel periodo dello sviluppo adolescenziale, in cui il disturbo può esitare in un disturbo antisociale e, talvolta nell'uso di sostanze. I bambini esternalizzanti hanno un accesso vincolato a una gamma delle possibili esperienze emotive, e possono fare esperienza in maniera pervasiva di quelle emozioni, come la rabbia, che li portano proiettare verso l'esterno il loro disagio, mentre altre emozioni, come la paura e la vergogna, vengono inibite in quanto rappresentano segni di vulnerabilità che non possono essere riconosciuti. Questi bambini hanno cioè adottato uno stile esperienziale, nei loro percorsi di sviluppo, che li preserva dal entrare in contatto con gli aspetti più fragili e vulnerabili della loro esperienza emotiva. Un altro punto rilevante, direttamente collegato al precedente, riguarda la capacità di comprendere le emozioni degli altri in maniera adeguata, riuscendo a sviluppare una risposta empatica nei confronti dei comportamenti e delle esperienze altrui. Per i bambini esternalizzanti questo compito rappresenta un ostacolo spesso non superabile. L'altro aspetto messo in evidenza riguarda le abilità di coping e le abilità di regolazione emotiva. E’ attraverso questo tipo di abilità che si affrontano le situazioni capaci di suscitare una risposta emotiva ed è proprio questa l'area maggiormente compromessa per i bambini esternalizzanti. Essi infatti incontrano grandi difficoltà a mettere in atto strategie di coping adeguate alla situazione, e la loro scarsa capacità di controllo li porta a rispondere in maniera aggressiva estremizzata alle situazioni. Un limitato ma crescente numero di ricerche mostra come alcuni deficit nell'area della regolazione emotiva possono coincidere con problemi di natura disinibita propri del disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività e possono altresì rappresentare un meccanismo chiave nell'insorgenza di particolari forme di comportamento antisociale. A partire dalla tarda adolescenza una parte di questi ragazzi, con un percorso di sviluppo contraddistinto da problematiche di tipo esternalizzanti, può presentare un vero e proprio disturbo di personalità, ossia una modalità di funzionamento mentale e comportamentale stabile tipica che accompagna il soggetto lungo l'intero ciclo di vita, con una certa stabilità nelle manifestazioni di pattern disfunzionali. Le persone con disturbo di personalità antisociale mettono in atto comportamenti che violano e non tengono in alcun conto i diritti e gli stati emotivi degli altri, spesso contravvenendo anche alle principali regole sociali che governano le comunità di riferimento. spesso le decisioni vengono prese senza tenere in considerazione Durante la fase autistica, nei primi giorni di vita, il neonato avverte indistintamente i bisogni e stati connessi al loro soddisfacimento, senza comprenderne e l'origine interna o esterna. Una prima forma di consapevolezza, se pure vaga è instabile, della Fonte esterna di tale soddisfacimento, segna il passaggio alla fase simbiotica, intorno al secondo mese: la madre svolge una funzione di io ausiliario, ma comincia ad intervenire sui ritmi fisiologici e sulle abitudini del bambino, favorendo una delimitazione tra mondo interno e mondo esterno. La vera e propria fase di separazione e individuazione ha inizio a questo punto, ma si concluderà soltanto verso la fine del secondo anno di vita: i progressi sul piano neurofisiologico, motorio e psicologico garantiranno al piccolo una sempre più complessa osservazione e manipolazione del corpo della madre è una maggiore possibilità di movimento e di esplorazione dell'ambiente. questo lungo periodo è caratterizzato dalla ambivalenza affettiva descritta anche sul piano comportamentale: da un lato il piccolo ricerca l'autonomia e la separazione virgola ma dall'altro esprime il bisogno di dipendenza, tornando alternativamente dall'adulto in cerca di rifornimento emotivo. il ruolo materno consiste nel tollerare emotivamente le esigenze di autonomia del figlio, favorendo l'acquisizione di nuove competenze e di padronanza sull'ambiente, ma nello stesso tempo mantenere una funzione, se richiesta, di rifugio affettivo; il bambino, da parte sua, deve apprendere ad accettare momenti sempre più prolungati di separazione. I primi schemi di sé sono dunque schemi relazionali, come è stato ben evidenziato dai teorici dell'attaccamento a proposito dei modelli operativi interni, e orientano l'individuo nella direzione della costruzione di nuove e più complesse relazioni con gli altri. Se, tuttavia, nella primissima infanzia, tali schemi sono connotati in modo affettivo ed emotivo, gradualmente essi verranno integrati e riorganizzati rispetto al quadro normativo proposto dalla famiglia e soprattutto dei primi contesti extrafamiliari entro cui si avvia il percorso di socializzazione. L’ETA’ PRESCOLARE: GIOCO E CAPACITA’ RAPPRESENTATIVA L'acquisizione della permanenza dell'oggetto comporta la comprensione dell'esistenza degli oggetti, sia fisici sia sociali, indipendentemente dall'esperienza contingente, e quindi la loro pensabilità anche quando sono assenti. La possibilità di sostituire un oggetto con il pensiero di questo stesso costituisce la capacità simbolica. Queste importanti conquiste di tipo cognitivo investono altre dimensioni dello sviluppo, poiché la possibilità di sostituire la figura di riferimento assente con il pensiero di essa permette al piccolo di tollerarne la separazione, di rivolgersi agli altri e di costruire nuovi legami. Tali conquiste segnano di fatto il passaggio dalla socializzazione primaria a quella secondaria, caratterizzata. da l'ampliarsi delle relazioni con i pari anche al di fuori del contesto familiare. Intorno ai 4/5 anni, il bambino inizia a pensare il pensiero, consentendo di comprendere che anche al di là dei comportamenti manifesti esistono desideri, emozioni e pensieri che li muovono, in sostanza di accedere ad una vera e propria teoria della mente. La seconda infanzia appare dunque come una fase di costante ricerca della socialità, allo scopo di sperimentare le nuove possibilità offerte dalle acquisizioni evolutive. Il confronto dei punti di vista, attraverso le conversazioni e il gioco sociale di finzione, in cui vengono alternati ruoli differenti, conduce ad esempio i bambini a negoziare i conflitti, ad affrontare in modo più maturo le diatribe connesse al possesso di oggetti o alla gestione dell'attività ludica; consente inoltre di discutere sulle regole della relazione, sia rispetto alle attività condivise, sia rispetto e comportamenti reciproci, favorendo di fatto lo sviluppo morale. Tre molteplici aspetti possibili, l'esperienza del gioco consente di affrontare lo sviluppo sociale nella sua duplice dimensione della relazione con gli altri e della costruzione dell'autonomia. In età prescolare esso costituisce l'attività prevalente dei bambini e si realizza soprattutto in condivisione con i coetanei, ma in gran parte anche in modo individuale. In entrambe le situazioni e si svolge fondamentali funzioni evolutive. Successivamente, il gioco sociale di tipo simbolico favorirà una prima forma di intimità, costituita dalla condivisione di un mondo fantastico, sulla cui base si costruiranno dapprima le relazioni di amicizia e poi quelle sentimentali. Il linguaggio svolge una funzione fondamentale in questo senso, poiché consente di sperimentare il proprio ruolo nel gioco anche grazie all'utilizzo di parole più adeguate di altre, gli schemi di discorso acquisiti nella partecipazione alla cultura degli adulti. Grazie al gioco sociale, infine, i bambini hanno l'occasione di vivere emozioni intense, connesse ad esempio al piacere di giocare insieme, alla rabbia dello scontro, alla tristezza dell’inadeguatezza provata rispetto agli altri, alla paura di non essere all'altezza: il confronto con gli altri induce tuttavia ad esercitare un controllo sulle proprie modalità espressive, adattandole alla situazione sociale e relazionale. Successivamente, il gioco solitario di tipo costruttivo, favori la concentrazione e l'attenzione in un compito, la pianificazione della sequenza di azioni per raggiungere un obiettivo, e infine, grazie al completamento del gioco, un sentimento di autoefficacia e di controllo dell'ambiente su cui costruirà progressivamente la stima di sé. grazie al gioco simbolico e alla possibilità di inventare nuovi significati da attribuire agli oggetti, il bambino potrà ulteriormente esercitare un controllo sulla realtà, adattandola ai propri bisogni e desideri, sperimentando situazioni e ruoli differenti. Anche nel contesto del gioco individuale il linguaggio svolge un'importante funzione sociale, poiché attraverso i monologhi si strutturano le prime forme di pensiero narrativo a partire dalle quali si definirà la costruzione di sé, e si sperimentano parole, espressioni e concetti tipici del proprio contesto socio culturale. LA FANCIULLEZZA: L’ETA’ DELLA AMICIZIA Il confronto con i pari in situazioni ludiche, favorito dalle acquisizioni tipiche della seconda infanzia, conduce ad una sempre più approfondita conoscenza di sé e degli altri, che si traduce progressivamente in una maggiore consapevolezza delle proprie caratteristiche, competenze, preferenze. Se dunque, le interazioni tra coetanei, in età prescolare, si esprimono soprattutto all’interno di relazioni occasionali e contestuali, in cui gli organizzatori dell’interazione stessa sono costituiti dal tipo di attività svolta e dalla specifica situazione, nella fanciullezza la consapevolezza ormai acquisita della reciprocità delle relazioni, della connotazione psicologica di sé e degli altri, della possibilità di costruire legami affettivi profondi organizza le interazioni con i compagni in funzione del criterio della preferenza sociale. In sostanza, i fanciulli privilegiano le interazioni, e quindi costruiscono relazioni, in particolare con quei compagni rispetto ai quali si sentono più simili o vicini psicologicamente. È soprattutto in questo periodo che le relazioni diventano più selettive e costituiscono il prodotto di scelte e preferenze che vanno al di là del contesto e della situazione specifica in cui si sono costruite. La più ampia libertà di movimento dei fanciulli consente di vivere tali relazioni in differenti luoghi e momenti della giornata, e tale esperienza, unitamente ai progressi che avvengono sul piano cognitivo, conduce a percepire l’amicizia come un legame specifico tra due o più partner, intimo e soprattutto sganciato da singole situazioni. Si viene a costruire una sorta di senso del “noi”, un’area di consapevolezza del legame amicale e della condivisione dei significati, finalizzata a preservare l’esclusività del rapporto stesso e lo spazio di sicurezza che da esso deriva ai singoli partner. Il criterio della selettività e della preferenza conducono addirittura a distinguere tali relazioni più strette, utilizzando ad esempio il termine “amico del cuore”, dalle altre amicizie meno profonde che i fanciulli costruiscono nel contesto sociale. Con i veri amici, non solo ci si diverte, ma si risolvono più facilmente i compiti difficili, si comunica e ci si confronta in modo più efficace, si sperimentano aiuto, intimità, sicurezza, negoziazione… La costruzione del senso del noi è importante anche per lo sviluppo morale: l’amicizia, dunque, richiede un impegno nei confronti del partner e il rispetto dei vincoli posti dalla relazione stessa. Si tratta, evidentemente, di una buona preparazione all’assunzione delle responsabilità dell’età adulta. Infine, il senso del noi delle diadi amicali consente di avviarsi verso quei processi di costruzione dell’identità che, già verso la fine della fanciullezza, tendono a ridiventare prioritari nel percorso evolutivo. Fattori familiari, di tipo temperamentale o evolutivo, fattori familiari e socio-culturali possono orientare il fanciullo verso percorsi relazionali differenti: a seconda dell’importanza attribuita ai propri spazi individuali e al confronto sociale, dell’impegno che si vuole porre nei rapporti con gli altri, del livello maturativo raggiunto, le amicizie potranno essere vissute in modo più o meno coesivo o distante, selettivo, reciproco. L’ADOLESCENZA: LA COSTRUZIONE DEL SÉ Il fondamentale compito evolutivo nell’adolescenza è quello di portare a termine il processo di costruzione dell’identità. Si tratta di un obiettivo che, pur essendo perseguito su piani diversi, possiede fondamentali implicazioni sul piano sociale, in quanto garantisce l’adattamento e il benessere sociale nell’età adulta. La costruzione di un’identità autonoma costruisce il culmine di un processo già avviato in precedenza e che si articola ora in varie direzioni, sia rispetto alla famiglia, sia rispetto ai nuovi punti di riferimento, primo fra tutti il gruppo dei pari. Uno dei principali nodi da sciogliere consiste nella possibilità di conciliare la propria appartenenza con il bisogno di non “fondersi”, nel riuscire ad emergere, a distinguersi con un’identità autonoma, pur continuando a sentirsi parte di contesti e gruppi connotati effettivamente. Nella prospettiva di Erikson (1950) che fornisce il più noto modello interpretativo di questo percorso, l’identità autonoma è raggiunta dal giovane dopo un lavoro faticoso di esplorazione e sperimentazione delle varie possibilità, durante il quale questi è chiamato continuamente ed effettuare scelte, rinunce, a confrontarsi con vissuti emotivi di smarrimento e di perdita; proprio per questo in tale fase i genitori devono continuare a costituire un punto di riferimento essenziale, affettivo e normativo, con funzione di contenimento ma anche di differenziazione. Secondo Erikson in un primo momento il giovane attua una sorta di esplorazione di tutte le identificazioni possibili, che vengono sperimentate, confrontate, messe alla prova, e che lo pongono appunto in uno stato di smarrimento, di incertezza, di sospensione. Le relazioni amicali sono tipiche dell’età preadolescenziale, ma si mantengono anche successivamente, quando vengono assorbite dal gruppo. Si instaurano più facilmente tra membri dello stesso sesso e soddisfano i bisogni di sicurezza, affiliazione, introspezione, intimità e rispecchiamento. Il gruppo viene definito come un laboratorio sociale, ossia un luogo privilegiato per una sperimentazione dei comportamenti al di fuori del controllo immediato degli adulti e per l’apprendimento e il confronto delle strategie per risolvere i problemi sociali. Le interazioni di gruppo favoriscono infatti la capacità di tenere conto delle posizioni degli altri e quindi di negoziare. Altri adolescenti, più tradizionalisti e legati ai modelli familiari, prediligono l’appartenenza a gruppi di tipo formativo che prediligono l’appartenenza a gruppi di tipo religioso, formativo, culturale che promuovono la crescita individuale nel rispetto dei valori tradizionalmente considerati positivi. All’interno di tali aggregazioni, seppur con modalità diverse, gli adolescenti hanno comunque modo di sperimentare nuove identità possibili e individuare un percorso al cui interno impegnarsi e a partire dal quale avviarsi verso l’età adulta L’ETA’ ADULTA E ANZIANA: NUOVE SFIDE E TAPPE SOCIALI Nell'età adulta è anziana, il focus dell'attenzione deve spostarsi dall'individuazione di cambiamenti di tipo maturativo alla considerazione di più specifiche tappe sociali e culturali indotte da pressioni normative, condivise in parte all'interno della società di appartenenza, anche se affrontate, ancora una volta, in modo del tutto personale. tali tappe assumono la connotazione di sfide che devono essere affrontate e, se superate, consentono una crescita. e se possiedono rilevanza sul piano sociale e relazionale e individuale: implicano infatti una ridefinizione delle relazioni significative delle fasi precedenti e la costruzione di nuovi legami; D'altra parte consentono di rielaborare, alla luce delle nuove esperienze, l'identità fino a quel momento costruita; permettono il fine di realizzare quel bisogno fondamentale di competenza, di controllo sull'ambiente che, insieme ai bisogni di relazione e di individuazione, definisce la competenza sociale. Nell'età adulta la capacità di affrontare e superare tali tappe sociali diventa un indicatore del passaggio fondamentale avvenuto da una condizione di dipendenza e contro-dipendenza, caratteristica dell'infanzia e dell'adolescenza, ad una condizione di autonomia e indipendenza, tipica dell'età adulta. A sua volta, l'acquisizione della piena autonomia comporta l'assunzione di responsabilità sia rispetto a sé sia rispetto agli altri. In questo senso, le sfide che l'adulto affronta in questo periodo sono molteplici; in particolare si prenderanno ora in considerazione quelle relative allo stato familiare e alla formazione di un legame stabile con il partner. L'età è adulta caratterizzata per la maggior parte degli individui dalla formazione di un legame di coppia di tipo stabile. Esso consente di realizzare quella condizione di intimità che Erikson (1950) aveva posto come fondamentale compito evolutivo della prima età adulta. Dal punto di vista dello sviluppo psicosociale ciò significa prevenire ad una tale condizione di piena autonomia individuale e di chiara definizione di sé, acquisita nella fase precedente, da potersi impegnare In un legame affettivo profondo con un altro individuo, senza rischiare di fondersi con l'altro, di creare cioè una pericolose per la salute fisica e psichica, spesso devianti, quali ad esempio il fumo, la guida spericolata, l'assunzione di sostanze, il sesso precoce e non protetto. Mossi dal desiderio di accedere velocemente al mondo adulto, alcuni ragazzi farebbero propri atteggiamenti convenzionalmente e simbolicamente adulti, pur di ottenere un riscontro identitario di crescita non impegnandosi tuttavia l'assunzione di nuovi ruoli. In questi casi, il passaggio all'età adulta, che si manifesta in modo del tutto superficiale, comporta di fatto la manifestazione di condotte di tipo irresponsabile, che contrastano con la vera essenza di esso, connessa invece all'assunzione di responsabilità verso di sé e gli altri. Tuttavia, anche in questi casi tali comportamenti possono essere occasionali, l'esito di un’oscillazione verso un estremo del continuum, e associati, più che un percorso caratteristico, a fasi di devianza che caratterizzano comunque il cammino di crescita dell'adolescente. Anche rispetto alla direzione evolutiva della ridefinizione delle relazioni con gli altri non è semplice individuare traiettorie tipiche o atipiche per l'adolescente. Se da un lato è ampiamente sottolineato il significato che le relazioni tra pari assumono in questa fase, anche rispetto alla costruzione dell'identità, dall'altro occorre rimarcare come anche l'esperienza della solitudine consenta all'adolescente di crescere. Molteplici sono Infatti i significati che da essa può assumere, sia rispetto al compito evolutivo dell'individuazione, sia del consolidamento dei legami sociali. Innanzitutto si individuano condizioni effettive di solitudine: l’essere, più o meno temporaneamente, senza amici, rimanere in casa da soli, ritirarsi socialmente dopo uno scontro in famiglia o con un amico giocare alla playstation, rimanere con se stessi a parlare. Adesso si accompagnano stati soggettivi diversi: un sentimento di vuoto, di perdita, di isolamento, di noia, di esclusione, oppure di benessere, di piacere, di soddisfazione di sé. Tutte queste esperienze, sia soggettiva sia oggettive, caratterizzano l'adolescenza poiché sono connesse da un lato ai normali processi evolutivi in atto e dall'altro dalle difficoltà incontrate in tali processi. Aspetti patologici della solitudine si accompagnano a processi evolutivi disfunzionali: si riferiscono al sentimento di isolamento provato nei confronti dei pari con cui si fatica ad entrare in relazione, o da cui si è rifiutati; oppure al senso di esclusione vissuto dalla scuola, poiché l'insuccesso scolastico non consente di sentirsi parte del contesto; o ancora, al sentimento di non accettazione percepito in famiglia, nelle situazioni di incapacità di ascolto o di disgregazione familiare. Gli indicatori della solitudine disfunzionale sono: un effettivo isolamento sociale, insuccesso scolastico, umore costantemente depresso, alterazione dei ritmi fisiologici (sonno/veglia), presenza di condotte aggressive e autolesionistiche, sentimento di solitudine profondo e costante. Tali oscillazioni sono il segno di processi in atto di esplorazione delle separazioni e delle nuove identità possibili, così come del tentativo, da parte del giovane, di affrontare le difficoltà della crescita. Per quanto funzionale allo sviluppo, anche questa dimensione della solitudine è spesso portatrice di sofferenza, stato affettivo che non sempre i giovani oggi sono capaci di affrontare e tollerare. Paradossalmente, per affrontare positivamente la sofferenza connessa la necessità di separarsi occorre essere capaci di stare soli, cioè di isolarsi temporaneamente dagli altri rispetto ai quali sono si sono costruite relazioni di fiducia e sicurezza. (solitudine fisiologica) Molteplici, sono le sfide che a partire dall'età adulta l'individuo deve affrontare, spesso in relazione a tappe caratteristiche di tipo normativo imposte dal periodo stesso e dal contesto socio culturale di appartenenza. Il modo in cui tali eventi si presentano, tuttavia, può a volte non essere normativo virgola richiedendo gli individui di adattarvi sì seguendo un percorso atipico, il cui esito è solo in alcuni casi fonte di crescita individuale. Uno è costituito per esempio dalla cosiddetta genitorialità difficile: un figlio, può presentarsi in modo non normativo. a volte una gravidanza si verifica in fasi della vita in cui l'individuo sta affrontando altri compiti di sviluppo, come ad esempio nell'adolescenza: essa costringe i futuri genitori, soprattutto la madre, a rivedere completamente i propri progetti di vita, ad intrecciare percorso di costruzione di un'identità adulta e autonoma con quello della definizione di maternità, inducendo spesso condizioni di diffusione e depressione che potranno ripercuotersi negativamente sullo sviluppo del bambino stesso. La gravidanza, altre volte, può non presentarsi del tutto, sebbene sia a lungo e con tutti i mezzi ricercati dalla coppia. quando tutte le tecniche di procreazione assistita falliscono, l'ultimo tentativo per realizzare la condizione di genitorialità è costituito dall'adozione. Si tratta tuttavia, di una genitorialità difficile, in quanto il loro percorso, non solo per raggiungere il loro obiettivo, ma soprattutto per sentirsi a tutti gli effetti i genitori, è pieno di difficoltà. Solo coloro che verranno a presentarsi come generatori di menti, cioè della crescita psicologica dei loro bambini, si avviavano verso un percorso adattativo di accettazione dei limiti imposti loro dalla condizione di infertilità. In altri casi ancora, a causa di fattori genetici, perinatali o prenatali, il bambino viene alla luce come una malattia, una minorazione, in generale con una condizione di svantaggio. Se in un primo momento i padri e le madri mostrano incredulità, shock, addirittura negano le difficoltà del bambino, gradatamente si fanno strada vissuti emotivi diversi, che possono prefigurare percorsi differenti di adattamento. Il disorientamento iniziale si concretizza in due tipi di sentimenti, solo in parte distinti: da un lato si manifesta un vero e proprio istinto di protezione verso un neonato così fragile e indifeso, dall'altro una sorta di repulsione, il rifiuto del pensiero della normalità. Protezione e rifiuto spesso sono compresenti, due volti diversi del sentimento ambivalente che si sviluppa nei confronti del piccolo, che testimoniano comunque le oscillazioni che si accompagnano ai primi tentativi dei genitori di affrontare l'evento negativo. Tuttavia, l'enfasi eccessiva su ciascuna di entrambe le dimensioni di tale ambivalenza può prefigurare percorsi di adattamento a rischio. Il sentimento di protezione nei confronti del piccolo conduce in genere alla sollecitudine e all'amore, ma può rendere anche molto sensibili a qualsiasi minaccia percepita dall'esterno: ad esempio ogni commento o osservazione espressi rispetto alla condizione di svantaggio potranno apparire come una critica o un giudizio sull'operato dei genitori, generando reazioni talmente intense e profonde che indurranno a proteggere insieme al bambino anche se stessi, a evitare le attività di ogni giorno necessarie a condurre una vita normale, a rinchiudersi in un mondo a sé. Anche il rifiuto può essere un modo per sfuggire alla realtà ed attutire l'impatto con ciò che la nuova condizione comporta: impedisce di riconoscere l’handicap del figlio, conduce a razionalizzare la sua infermità o a ricercare conferme cliniche che il bambino non presenta nulla di anomalo, o terapie miracolose per una guarigione definitiva. Anche nella tarda età, fase, come peraltro quella precedente, estremamente diversificata al suo interno, si potrebbero individuare molti esempi di situazioni in cui eventi normativi si presentano vengono affrontati in modo non sempre adattativo. ancora una volta il confine tra tipico e atipico appare piuttosto sfumato. Ci si limiterà in questa sede a considerare la tappa sociale e di vita del pensionamento che, pur essendo attesa, desiderata e anticipata da tutti gli individui, può attivare risorse in termini di nuove progettualità, o, al contrario, enfatizza il senso di inutilità e di vuoto avvertito al di fuori della realtà produttiva lavorativa. Hendry e Kloep (2002) forniscono un modello interessante delle diverse modalità con cui alcuni anziani da essi intervistati affrontano la loro vita dopo essere andati in pensione. I percorsi che ne derivano appaiono più o meno adattativi in funzione del fatto che essi collochino l'individuo in una fase di crescita oppure di stagnazione. Per la maggior parte degli individui, in discrete condizioni economiche di salute, il pensionamento rappresenta una fonte di crescita, poiché consente di utilizzare il tempo libero per dedicarsi a tutte le attività accantonate precedentemente, per coltivare nuove relazioni e consolidare quelle già presenti; la produttività manifestata nella vita lavorativa viene sostituita dalla presenza di nuovi progetti. altri anziani, invece, costretti ad abbandonare i ruoli lavorativi di prestigio, nei quali l'identità professionale e quella personale erano altamente identificate, di fatto non affrontano la sfida del pensionamento e non rinunciano mai al loro lavoro, svolto ora in condizioni diverse e al di fuori del contesto lavorativo precedente; gli autori ritengono che tale percorso si configura quindi come una sorta di blocco dell'identità, e comporti uno stato di stagnazione, per quanto appagante. Altri individui permangono in una condizione simile alla moratoria, esplorano cioè nuove possibilità di impegno senza tuttavia individuarne di soddisfacenti e rimpiangendo il lavoro che comunque smettono di svolgere. Infine, alcuni anziani, le cui risorse sono comunque limitate per motivi di salute o a causa delle difficoltà economiche, tendono a vedere nell’uscita dal mondo del lavoro un ulteriore indicatore del proprio declino, la conclusione inevitabile del loro ciclo produttivo e vitale, e si avviano verso la fine, rinunciando ad affrontare i cambiamenti e accettando lì con estrema sofferenza. Capitolo 10 LO SVILUPPO MORALE PER CAPIRE LO SVILUPPO MORALE Nello studio della morale in ambito psicologico in data i modi in cui gli esseri umani sentono, pensano e agiscono in rapporto a due questioni fondamentali: il benessere e la cura di altre persone da un lato, i diritti e la giustizia nelle relazioni interpersonali dall'altro. La morale è la coscienza, un insieme di processi cognitivi, affettivi e relazionali che influenzano e guidano il modo in cui gli individui agiscono in relazione a degli standard di comportamento. Descrivere questo processo non è semplice perché le controversie per gli studiosi sono numerose e molti interrogativi rimangono a tutt'oggi irrisolti. Alcune teorie enfatizzano gli aspetti cognitivi e ritengono che la coscienza morale sia fondata sulla adesione razionale a principi e valori universali; altre enfatizzano la dimensione emotiva della morale ritenendo che essa sia fondata principalmente sull'empatia e approfondiscono il ruolo svolto da alcune emozioni morali con il senso di colpa. Opinioni discordanti riguardano anche la natura universale o meno dello sviluppo morale; se, cioè, esso si svolga lungo una sequenza di sviluppo comune a tutti gli individui o se le differenze individuali, culturali e storiche siano tali da rendere impossibile rintracciare un percorso comune. Ancora ci si interroga se esiste un fondamento biologico della morale o se, piuttosto, essa sia il prodotto culturale per antonomasia della società umana, vero e proprio discrimine tra gli esseri umani e le altre specie animali. LO SVILUPPO TIPICO L’APPROCCIO COGNITIVO EVOLUTIVO AUTONOMIA ED ETERONOMIA DELLA MORALE: IL CONTRIBUTO DI PIAGET Una data simbolica è il 1932, quando Piaget pubblica il giudizio morale nel fanciullo, che rappresenta la prima riflessione sistematica sullo sviluppo morale nell'ambito della psicologia evolutiva. Secondo questo autore tutte le manifestazioni cognitive sono interdipendenti fra loro, per cui anche lo sviluppo morale rappresenta una funzione del più generale processo di organizzazione cognitiva che ha luogo nel corso dello sviluppo. Più che allo sviluppo morale, Piaget era interessato a comprendere come i bambini si rapportassero le regole in generale, di cui quelle morali non rappresentavano solo una particolare estensione. Osservando il comportamento dei bambini durante il gioco, in particolare con le biglie, Piaget analizzò la loro pratica della regola, ossia l'effettivo atteggiamento nei confronti delle regole e la loro coscienza della regola, ossia il livello di consapevolezza con cui i bambini le accettavano o erano pronti a modificarle. Per quanto attiene la pratica della regola, in una prima fase, che va fino ai 3 anni, il bambino non applica delle vere e proprie regole durante il gioco, ma si limita a mettere in atto degli schemi di condotta ritualizzati cercando di accomodare i propri schemi motori alla nuova esperienza del gioco. Giocando con le biglie, ad esempio, i bambini le lanciano, le fanno cadere, le metto in un mucchio, senza un preciso obiettivo. Successivamente, fino ai 5 anni circa, l'applicazione della regola è acritica e regolata dall'esterno, da un adulto o da un compagno più esperto, senza capacità effettiva di cooperazione. Solo nella fase del pensiero operatorio prevale l'interesse sociale nel gioco e il bambino cerca di cooperare con gli altri, impegnandosi attivamente nel trovare un accordo sulle regole da seguire per stabilire chi sia il vincitore. con il progredire dello sviluppo cognitivo, infine, i bambini non solo incrementano la loro capacità cooperativa ma si interessano alla regola in quanto tale, ingaggiando talvolta lunghe ed interminabili dispute su quali siano le vere regole del gioco, se siano state effettivamente rispettate e quali siano i criteri validi per assegnare i punti dei giocatori. La coscienza della regola segue un percorso analogo. In una prima fase, il bambino non ha alcuna coscienza né interesse per la natura delle regole, che subisce in modo inconsapevole; esse sono il prodotto di routine piuttosto che di un processo di decisione cognitiva di qualunque natura. L'origine delle regole è esterna al bambino (eteronomia) “l’ha detto la mamma!”, esse esistono di per sé, sono inviolabili e possiedono un certo alone di sacralità in relazione all'autorità (genitore, fratello maggiore) presenza di un pari che vive un disagio, il bambino potrebbe cercare di aiutarlo al fine di alleviare la sua situazione. Lo fa però con modalità poco efficaci, a causa dei limiti di natura cognitiva che lo rendono incapace di comprendere quali siano i veri bisogni dell'altro. - stadio 3: viene chiamato empatia veridica, è la risposta alla situazione di un altro ed è reso possibile da cresciute abilità cognitive, in particolare dal consolidarsi di una teoria della mente che consente al bambino di distinguere chiaramente i confini del sé da quello dell'altro rendendolo consapevole che i bisogni dell'altro possono essere diversi dal proprio. - stadio 4: l'empatia per la condizione essenziale dell'altro è lo stadio più maturo dell'empatia e implica capacità di estrarre il pensiero. Non è necessario che l'altra persona stia effettivamente sperimentando una condizione di disagio nella specifica circostanza per provare empatia, ma l'identificazione empatica viene in rapporto alle condizioni generali di vita dell'altra persona. Dall'empatia alla moralità L'esperienza empatica è il motore che dà avvio al processo per la costruzione di un pensiero di un comportamento morale. Perché ciò accada è però necessario che essa si trasformi in simpatia, ossia in un sentimento di preoccupazione per la condizione altrui che spinga a prendersi cura della persona sofferente e ad aiutarla a risolvere le sue difficoltà. Se si è vicini ad una persona che soffre, è molto probabile che chi osserva questa situazione tenderà a provare un’emozione negativa simile a quella della vittima. Questo tipo di attivazione viene chiamata da Hoffman “distress empatico” e può venire sia se si è semplici osservatori della situazione sia se si è la causa volontaria o involontaria della sofferenza altrui. Si innesca quindi una spinta motivazionale “Se allevio e la sofferenza della vittima allevierò anche la mia” per cui il distress empatico tende a trasformarsi in simpatia, una risposta emotiva caratterizzata da apprensione e dalla preoccupazione per lo stato emotivo dell'altro e che contribuisce alla promozione di più elevati livelli di sviluppo morale. La trasformazione del distress empatico in un sentimento altruistico non è tuttavia per nulla scontata. Se è troppo elevato si verifica quello che viene chiamato l'effetto paradosso dell'empatia e cioè che l’osservatore provi una sofferenza maggiore della vittima. Inoltre un eccessivo coinvolgimento personale dell'osservatore nelle vicende della vittima può costituire un ostacolo alla trasformazione del distress empatico in simpatia; se un individuo ha da poco perso un familiare a seguito di una grave malattia, potrebbe sentirsi troppo turbato da tale racconto e tendere a fuggire. L'orientamento morale-prosociale Questo approccio parte dagli stessi presupposti del modello di Hoffmann, integrandolo grazie a una maggiore enfasi posta sulla differenza tra simpatia ed empatia: la prima è una risposta affettiva che si genera dalla seconda anche se può derivare direttamente dalla capacità di assumere la prospettiva dell'altra persona, e consiste in un sentimento di dispiacere o preoccupazione per un altro in condizione di sofferenza o bisogno. Il disagio personale è valutato negativamente perché tende ad allontanare le persone dal comportamento di aiuto. Sul piano evolutivo, il comportamento prosociale si manifesta già nei primi anni di vita e tende ad aumentare durante gli anni della scuola primaria e secondaria fino all'adolescenza. INTERIORIZZAZIONE MORALE E COSCIENZA LA SOCIALIZZAZIONE MORALE L'internalizzazione dei principi morali, che rappresenta il livello più elevato dell'orientamento morale- prosociale, fa riferimento a un processo secondo il quale i principi morali ai quali il bambino esposto nel proprio ambiente, inizialmente vissuti come esterni a sé, di verranno progressivamente parte del sé, saranno percepiti dall'individuo come autogenerati e assumeranno il valore intrinseco indipendente da fattori contestuali. Questo processo è reso possibile dalla socializzazione morale, termine con il quale si denotano i processi cognitivi, affettivi e sociali attraverso i quali i bambini assimilano e rielaborano nel corso del processo di crescita i valori, i principi e le regole morali propri della comunità sociale di riferimento Obiettivo della socializzazione morale è quello di far sì che il bambino mette in pratica le regole di condotta non per paura della punizione o per convenienza, ma per una adesione convinta ai valori sottesi a un dato comportamento. Perché ciò accada è necessaria la costituzione di una coscienza morale, intesa come un meccanismo psicologico che guida le azioni dell'individuo in assenza di controllo da parte di agenti o fattori esterni. Uno degli indizi del consolidamento di una coscienza morale è dato dal passaggio dall’eterocontrollo (non buttare i giochi per terra) all'autocontrollo, per cui i comportamenti indesiderati vengono inibiti anche senza la presenza di qualcuno che controlli o minacci la situazione. I bambini più piccoli hanno bisogno di qualcuno che regole dall'esterno il loro comportamento nel qui ed ora e indichi che cosa sia lecito fare o non fare. Solo con il tempo essi acquisiscono una crescente capacità di comprendere le richieste altrui e di regolare il proprio comportamento in modo corrispondente, raggiungere una congruenza tra desideri degli adulti e proprie azioni. SOCIALIZZAZIONE MORALE E STILI DISCIPLINARI I bambini apprendono le regole e gli standard di comportamento della società e della famiglia in cui vivono; non tutti però sembrano aderirvi nello stesso modo. Per comprendere come avvenga l'interazione dei valori morali, Hoffman prende in esame l'interazione fra genitori e figli durante un incontro disciplinare, una situazione nella quale il figlio mette in atto un comportamento non desiderabile per i genitori e questi ultimi intervengono con l'obiettivo di impedire o modificare la messa in atto di quel comportamento. Secondo Hoffman, i genitori possono utilizzare tre diversi tipi di strategie disciplinari, ciascuna con un diverso impatto sul processo di interiorizzazione morale: disciplina basata sul potere, disciplina basata sul ritiro dell'amore, disciplina induttiva. LA TRASMISSIONE DEI PRINCIPI MORALI Non tutti concordano con l'idea che i meccanismi psicologici implicati nel processo di internalizzazione siano riconducibili ad un solo stile disciplinare. La socializzazione morale non dipende solo dalle strategie genitoriali ma anche dal modo in cui il figlio percepisce valuta i valori dei genitori. Durante l'adolescenza, ad esempio, i figli riconoscono l'autorità dei genitori su questioni morali ma sono in profondo disaccordo con loro. Alcuni fattori che esercitano una decisa influenza sulla trasmissione dei principi morali sono: - l'accuratezza della percezione che ha a che fare con la chiarezza con cui il figlio percepisce i valori dei propri genitori. - la ridondanza riguarda la tendenza dei genitori a ribadire in più occasioni il proprio punto di vista ai figli - la coerenza tra valori professati e concreto comportamento - il clima affettivo e relazionale positivo - la flessibilità genitoriale rispetto ai livelli di comprensione e di bisogno del bambino - il contributo diretto del bambino che, non accoglie passivamente i messaggi educativi dei genitori ma li seleziona, li elabora, li trasforma e l'influenza nei modi e nei contenuti. (effetto bambino) La socializzazione morale dunque diverse traiettorie di sviluppo e l'esito dipende soprattutto da quando i genitori saranno capaci di adeguare il proprio stile educativo alle specifiche caratteristiche del bambino e sapranno comportarsi in modo appropriato nelle diverse circostanze, dal momento che i bambini sono attenti osservatori del loro comportamento è in grado di valutare la coerenza tra i principi che si professano e l'effettivo comportamento. LE ORIGINI DELLA COSCIENZA MORALE Quando compare nel bambino una coscienza morale intesa come un insieme di processi cognitivi, affettivi, relazionali e altre ancora che influenzano il modo in cui i bambini costruiscono i propri standard interni e generalizzabili di condotta e agiscono coerentemente con essi? Sembra che la comparsa dei primi standard interni di riferimento compaia intorno al secondo anno. Un comportamento tipico di questa età, è la particolare sensibilità agli eventi dove gli oggetti non sono integri, come una macchina senza ruota un pupazzo senza un braccio. Al cospetto di questi oggetti, si attiva nei bambini una risposta ansiosa e un tentativo spontaneo di riparare l'oggetto rotto. Si tratta di una forma embrionale di coscienza morale, una sorta di propensione naturale a cercare di fare andare le cose nel verso giusto eri stabilire degli standard o norme implicite. OBBEDIENZA E COSCIENZA MORALE Un passaggio cruciale nella formazione della coscienza morale avviene quando i bambini percepiscono se stessi come agenti causali e quindi responsabili delle proprie azioni. Ciò avviene in genere intorno al secondo e terzo anno di vita. A questa età i bambini esibiscono una serie di comportamenti che denotano un modo nuovo di rappresentarsi rispetto ai mesi precedenti. Uno dei modi attraverso cui gli studiosi hanno recentemente indagato l'emergere della coscienza morale nei bambini piccoli è stato quello di osservare i comportamenti di obbedienza alle richieste dell'adulto. All'età di un anno il bambino evita di mettere in atto dei comportamenti proibiti probabilmente perché associa quel comportamento alla riprovazione dei genitori. A 2 anni si può evitare di fare qualcosa perché si è osservato qualcuno che veniva rimproverato per un certo comportamento, ma ancora non vi sono segni di interiorizzazione morale in quanto in questa fase è ancora centrale la funzione dell'adulto come riferimento sociale. E’ tra i 2 e i 5 anni che sembra compiersi il percorso che conduce allo sviluppo della coscienza, che avviene in concomitanza dell'emergere di una teoria della mente. LO SVILUPPO ATIPICO IL BULLISMO TRA BAMBINI Esso si configura come un sistematico abuso di potere, nel quale un bambino, o un gruppo di bambini, esercitano il loro potere (in senso fisico, psicologico, sociale) su altri individui più deboli al fine di infliggere loro un danno che può esprimersi sia attraverso forme dirette sia indirette. Il vantaggio che ne consegue per l'aggressore può essere di tipo materiale (appropriarsi di qualcosa) o, caso più frequente, di tipo simbolico in quanto il bullo accresce, o ritiene di accrescere il proprio potere e prestigio all'interno del gruppo dei pari. Nel gruppo oltre che il bullo e la vittima sono presenti altri attori: aiutanti del bullo, sostenitori del bullo, spettatori passivi, difensori. Le ricerche hanno indagato la relazione tra bullismo e pensiero morale e hanno messo in luce come i bulli utilizzino una modalità di ragionamento morale di tipo egocentrico specie quando devono giustificare i motivi del proprio comportamento: tendono a minimizzare le conseguenze delle proprie azioni, si rifugiano dietro una responsabilità di gruppo e raramente riferiscono sentimenti di colpa o di vergogna in relazione alle condotte prevaricanti. Alcuni ricercatori, muovendo dal presupposto che l'empatia si è costituita da due componenti, una cognitiva è una affettiva, hanno sostenuto la tesi che i bulli non solo difettino di empatia cognitiva (abilità di perspective taking) ma siano addirittura più abiti dei propri compagni a comprendere gli stati mentali dell'altro. Il loro limite risiede probabilmente in una minore capacità di sintonizzarsi affettivamente con le emozioni dell'altro e questo li induce a non percepire, livello emotivo, il grado di sofferenza inflitta alla vittima. Possedendo buone capacità di perspective taking, grazie ad una più sviluppata teoria della mente, essi riescono a comprendere gli stati mentali della loro potenziale vittima, così da coglierne le debolezze e sottometterle più facilmente. ANTISOCIALITA’ E DELINQUENZA IN ADOLESCENZA Questa fase della vita costituisce un momento critico per l'insorgere di comportamenti antisociali anche in soggetti che negli anni precedenti dell'infanzia non avevano mostrato comportamenti problematici. Un generale atteggiamento positivo verso la violazione di norme sembra tipico dell'adolescenza, anche se il più delle volte si tratta di violazioni riconducibili all'ambito convenzionale e personale piuttosto che quello morale. Alcune volte però, gli adolescenti sono responsabili di veri e propri comportamenti delinquenziali che possono essere messi in relazione al loro livello di sviluppo morale. Essi presentano alcune caratteristiche tipiche: Ritardo nello sviluppo del giudizio morale, distorsione sistematica della realtà in chiave egocentrica. Alcuni fattori di moderazione possono contribuire a facilitare il passaggio da un basso livello di sviluppo
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