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Manuale di psicopatologia dell'infanzia Massimo Ammaniti, Appunti di Psicologia Clinica

Riassunto di quasi tutti i capitoli completi del Manuale di psicopatologia dell'infanzia di Massimo Ammaniti per l'esame di Psicologia Clinica e Dinamica della Prof. Guarino

Tipologia: Appunti

2015/2016

In vendita dal 02/09/2016

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Scarica Manuale di psicopatologia dell'infanzia Massimo Ammaniti e più Appunti in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! MANUALE DI PSICOPATOLOGIA DELL’INFANZIA A cura di Massimo Ammaniti 1) Quesiti e modelli nella psicologia infantile 2) La diagnosi in età infantile 3) L’osservazione del bambino nel contesto di sviluppo 4) Genitorialità: situazioni a rischio e psicopatologie 5) Disturbi della regolazione 6) Disturbi affettivi 8) Disturbi dell’alimentazione 9) Disturbi del sonno 10) Disturbi dell’attaccamento 11) Disturbi da deficit di attenzione/iperattività e disturbi della condotta 14) Disturbi multisistemici dello sviluppo CAPITOLO 1_ QUESITI E MODELLI DELLA PSICOPATOLOGIA INFANTILE •Introduzione alla psicopatologia dell'infanzia significativi che avvengono nel corso del ciclo vitale. I contributi psicoanalitici più significativi in questa prospettiva sono stati quelli di Bowlby, che ha evidenziato l'importanza della deprivazione materna durante l'infanzia nell'insorgere della psicopatologia. Importanti contributi per concettualizzare l'approccio evolutivo sono i principi di equifinalità (possibilità che diversi percorsi conducano allo stesso risultato in termini evolutivi) e quello di multifinalità (un evento traumatico non conduce necessariamente sempre allo stesso esito psicopatologico). Anders sottolinea la limitata autonomia psicologica dei bambini prima dei 3 anni, per cui una psicopatologia focalizzata sul bambino sarebbe quanto mai problematica, come ugualmente improbabile sarebbe concettualizzare il disturbo del bambino come unicamente il riflesso del disturbo dell'adulto: la conclusione non può che essere quella di inserire le sindromi comportamentali e psicologiche dell'infanzia nell'ambito delle dinamiche delle relazioni familiari. Le relazioni possono essere: iperegolate (il bambino ha scarse possibilità di prendere iniziativa, si verificherà un attaccamento ambivalente o evitamento attivo), iporegolate (il coinvolgimento è reciproco) e inappropriate (i cui tempi di risposta sono asincroni rispetto i segnali). I disturbi relazionali possono essere classificati come: 1) turbe relazionali (perturbation): provocano preoccupazioni quotidiane all'interno della famiglia ma sono di durata limitata e si verificano di solito nei momenti di passaggio in cui avvengono nuove acquisizioni evolutive, oppure in risposta a difficoltà dell'ambiente. Hanno un'evoluzione spesso favorevole e possono rappresentare anche uno stimolo allo sviluppo; 2) perturbazioni relazionali (distubance): indicano una condizione evolutiva a rischio, in cui si verificano in modo ripetitivo interazioni incoerenti che, nel caso perdurassero, potrebbero evolvere verso una psicopatologia individuale o relazionale; 3) disturbi relazionali (disorder): caratterizzati da modelli interattivi rigidi che comportano un fallimento evolutivo. In questo caso il disturbo dura più di 3 mesi e i sintomi riguardano diversi contesti. CAPITOLO 2_ LA DIAGNOSI IN ETÀ INFANTILE •Evoluzione dei sistemi diagnostici La classificazione consente di raggruppare i fenomeni e di organizzarli in modo da rendere possibile generalizzazioni in rapporto alle osservazioni. Solo a partire dagli anni '50 si è cercato di costruire un sistema diagnostico condiviso, basato sull'esperienza e sulle osservazioni cliniche in modo sistematico. In questo campo, si parla di “sindromi psicopatologiche”: raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla frequente co-occorrenza, che può far supporre una patogenesi sottostante, un decorso, un quadro familiare ed una scelta del trattamento comuni. E quindi: a)Segni: manifestazioni oggettive, osservabili e riconoscibili da un osservatore esterno. b)Sintomi: manifestazioni soggettive, avvertite e vissute direttamente dalla persona interessata. Il DSM I e II presentavano limiti evidenti: ogni quadro clinico veniva definito in termini piuttosto generali, senza specificare, in termini operazionali, quali siano i criteri da utilizzare per giungere ad una diagnosi. Presentavano una bassa attendibilità, e quindi bassi livelli di concordanza fra clinici diversi rispetto allo stesso quadro clinico. Inoltre il decorso clinico non può essere previsto in maniera puntuale. Gli studi di attendibilità diagnostica del DSM III hanno invece dimostrato un notevole miglioramento dell'attendibilità e della validità rispetto ai sistemi precedenti. Tuttavia anch'esso presentava dei limiti: molti disturbi di personalità, pur essendo clinicamente rilevanti, non soddisfano i criteri del DSM, per cui ci si trova di fronte al fenomeno della falsa negatività: le maglie del sistema diagnostico sono troppo larghe. Il DSM IV costituisce la classificazione più recente basata su un sistema diagnostico multiassiale: per la valutazione tiene conto di vari assi, ciascuno rivolto ad uno specifico campo di informazione. Ogni Asse ha uno specifico campo di informazione: Asse I: disturbi e sindromi cliniche; Asse II: disturbi di personalità e ritardo mentale; Asse III: condizioni mediche generali; Asse IV: problemi psicosociali e ambientali; Asse V: valutazione globale del funzionamento Le diagnosi sono di tipo categoriale. In presenza del disturbo le somiglianze con altre situazioni già diagnosticate sono superiori alle differenze. Una critica importante al DSM IV riguarda la diagnosi di disturbo di personalità prima dei 18 anni: esso mantiene una concezione tradizionale, ignorando quanto è emerso negli ultimi anni nel campo della Infant research e della Developmental psychopatology, e cioè che, fin dai primi anni di vita dell'individuo, vi è una complessa strutturazione del funzionamento mentale e l'attivazione e modulazione dei sistemi motivazionali di base. Già al termine del primo anno di vita, il bambino raggiunge alcune capacità di regolare le proprie emozioni secondo una specifica e personale configurazione emotiva, e di stabilire legami di attaccamento stabili con le figure significative che rimarranno fondamentalmente stabili nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza. Pertanto il DSM IV appare particolarmente inadeguato durante il periodo dello sviluppo infantile e adolescenziale. L’identificazione clinica deve implicare non soltanto la presenza di sintomi ma anche la limitazione del funzionamento personale. •Critiche Ai Sistemi Diagnostici Il primo obiettivo della diagnosi è quello di comprendere le dinamiche e le circostanze delle persone in difficoltà e di trattarle nel migliore dei modi. Tra le critiche più rilevanti: 1. La mancanza di una teoria coerente 2. La demarcazione tra normale e anormale 3. Eccessiva attenzione al piano dei segni e sintomi 4. Uso di distinzioni categoriali invece di quelle dimensionali 5. Soglie arbitrarie per definire le categorie diagnostiche 6. La mancanza della dimensione dell’intensità nel considerare la presenza di altri sintomi 7. Altro grado di sovrapposizioni e di comorbilità fra disturbi distinti 8. Considerare le categorie diagnostiche come entità separate e indipendenti 9. Trattamento delle varie categorie come equivalenti senza stabilire una gerarchia di disturbi 10. Eccessiva attenzione all’attendibilità a spese della validità. In primo luogo si critica l'eccessiva attenzione al piano dei segni e dei sintomi: lo stesso sintomo può avere funzioni e significati multipli, per cui basarsi sui sintomi manifesti può comportare diagnosi falsamente positive o falsamente negative; lo stesso insieme di criteri comportamentali possono essere presenti in disturbi diversi. Altra critica è al tentativo di eliminare i pregiudizi teorici: la teoria non è soltanto inevitabile, ma è essenziale per lo sviluppo di una tassonomia; senza di essa è impossibile valutare la validità di costrutto, centrale in ogni sistema diagnostico. Ancora, vi è un'eccessiva attenzione all'attendibilità, a spese della validità, cosa che ha prodotto un sistema tassonomico altamente frammentato. L'uso di distinzioni categoriali invece di quelle dimensionali sembra invece rispondere più al bisogno di creare un senso di apparente semplicità, che a riconoscere la complessità dei fenomeni clinici. Un'ulteriore problema è quello della comorbilità: essa non è una caratteristica della psicopatologia o della sua organizzazione, bensì una conseguenza dei rigidi confini dati alle categorie diagnostiche. Per quanto riguarda i sistemi diagnostici relativi all'infanzia ed all'adolescenza, previsti sia nel DSM IV che nell'ICD10, ci si può chiedere se un sistema diagnostico relativo alla psicopatologia dell'adulto possa essere applicabile ai bambini ed agli adolescenti. Già A. Freud riteneva che i criteri relativi agli adulti non potessero essere applicati ai bambini in quanto i livelli funzionali spesso vanno incontro a fluttuazioni. Per lei, solo l'arresto dei processi evolutivi costituirebbero un disturbo. Un paradigma teorico di grande utilità in tal senso potrebbe essere quello evoluzionistico: l'utilità di tale approccio risiederebbe nella possibilità di integrare gli sviluppi delle neuroscienze e di organizzare un'interazione fra fattori biologici, psicologici e sociali ai fini dei processi di adattamento all'ambiente. Alcuni postulati di tale approccio sono: 1) gli strumenti mentali, emotivi e cognitivi di cui siamo dotati servono all'adattamento ed alla sopravvivenza; 2) l'ambiente di adattamento evoluzionistico dei nostri antenati è completamento diverso da quello degli ultimi 10000 anni, ed un breve lasso di tempo come quest'ultimo è insufficiente a determinare importanti cambiamenti genetici e adattamenti che consentano di adattarsi a questi cambiamenti della vita sociale, per cui la maggior parte delle funzioni mentali sono state costruite per garantire la sopravvivenza nelle antiche società dei cacciatori e raccoglitori; 3) alcune forme di psicopatologia possono derivare da esperienze precoci durante i periodi di neuroplasticità che garantivano la sintonia fra individuo ed ambiente precoce, ma sono disadattivi in altri contesti, in fasi successive dello sviluppo. In tale prospettiva, Emde ha ipotizzato che schemi diagnostici alternativi possano includere “disturbi della relazione”, specie nei primi anni di vita: il disturbo può essere concettualizzato come una difficoltà che riguarda fondamentalmente la transazioni fra l'individuo e l'ambiente. •Il Contributo Psicoanalitico alla Classificazione dei Disturbi Infantili Un consistente gruppo di psichiatri infantili e psicoanalisti francesi ha proposto un sistema di classificazione diverso. Tale classificazione, che ripropone la distinzione psicoanalitica classica fra psicosi, nevrosi e disturbi della personalità, non ha trovato grande diffusione al di fuori della Francia, tuttavia, presenta aspetti di indubbio interesse in quanto non si limita a fornire criteri di tipo sintomatico ma considera anche la struttura evolutiva del bambino in cui possono manifestarsi segni di malessere più sfumati. Gli autori mettono in luce che, quando si devono affrontare scelte terapeutiche, non è sufficiente il criterio sintomatologico, ma occorre tenere presente gli aspetti patogenetici e la struttura della personalità. •Sistemi Diagnostici basati su Evidenze empiriche Recentemente, vari ricercatori si sono mossi cercando di costruire una classificazione basata su evidenze empiriche della psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza. Detto che l'identificazione empirica delle sindromi non implica alcun assunto sulle cause o sul decorso clinico delle sindromi, tale classificazione è di tipo multiassiale: nell'asse I vengono considerati i resoconti dei genitori, nell'asse II quelli degli insegnanti, nell'asse III la valutazione cognitiva, nel IV la valutazione fisica, e infine nel V la valutazione diretta del bambino. Dall'incrocio delle varie informazioni vengono valutate scale diverse delle sindromi internalizzanti (isolamento, manifestazioni ansioso-depressive, lamentele somatiche), esternalizzanti (comportamento delinquenziale, aggressivo), e in posizione intermedia fra le prime due (problemi sociali, del pensiero, dell'attenzione). •La classificazione diagnostica: 0-3 All'unità operativa che ha costruito tale classificazione hanno partecipato psicoanalisti e ricercatori che in questi ultimi anni hanno dato un contributo decisivo allo sviluppo della Infant research. Fra le aree rilevanti nella diagnosi infantile occorre considerare i sintomi e i comportamenti manifesti, il percorse dello sviluppo, il funzionamento del sistema familiare, le caratteristiche individuali dei genitori, della relazione adulto-bambino e i pattern di interazione, caratteristiche del bambino, aspetti di affettività, linguaggio, nelle attività cognitive, motorie e sensoriali del bambino. Essa propone un sistema di classificazione multiassiale: Asse I, classificazione primaria, dovrebbe riflettere la caratteristica più saliente del disturbo; Asse II, classificazione della relazione; Asse III, condizioni o disturbi fisici, neurologici, evolutivi e mentali; Asse IV, agenti stressanti di natura psicosociale; Asse V, livello di sviluppo del funzionamento emotivo. La vera novità è rappresentata dall'Asse II che si focalizza specificamente sulla qualità della relazione genitore-bambino. In tale ambito vengono distinti i seguenti quadri: 1. Ipercoinvolgimento: il genitore tende a interferire con le finalità e le intenzioni del bambino controllandolo eccessivamente, facendo richieste inappropriate. Il bambino può apparire confuso, sottomesso, manifestare un livello di sviluppo inadeguato. Il genitore può essere ansioso, oppure depresso o arrabbiato e il bambino può rispondere passivamente oppure con rabbia ed ostinazione. Il genitore percepisce il bambino come parte di sé oppure come un proprio compagno; La valutazione della qualità della relazione prende in esame anche la funzione riflessiva del caregiver, ossia la capacità di riconoscere gli stati mentali del bambino con i suoi bisogni, intenzioni, aspettative e desideri. Esistono fattori che possono impedire lo sviluppo della responsività, sia da parte del caregiver che da parte del bambino, e vanno considerati: parliamo di fattori genetici, difficoltà nella vita fetale e perinatale, condizioni di prematurità e malattie fisiche. I comportamenti responsivi dei genitori possono controbilanciare una vulnerabilità di questo tipo. È opportuno inoltre indagare su eventuali condizioni sfavorevoli, come separazioni precoci, psicopatologia del genitore, svantaggio socioeconomico, che possono determinare condizioni di rischio ambientale e incidere in modo negativo sullo sviluppo del bambino e sul legame bambino-caregiver. Durante l'osservazione della relazione bambino-caregiver, devono essere valutati sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi: a. La valutazione clinica: il tono affettivo della risposta del bambino al compito di sviluppo richiesto è importante quanto l'appropriatezza della sua risposta all'età di sviluppo. È importane osservare quanto il bambino è capace di segnalare alla madre l'efficacia dell'interazione in atto, o la necessità di una correzione. b. La valutazione diagnostica: All'interno della “matrice clinica relazionale” (clinico-bambino- caregiver) emergono narrazioni ricche di molteplici significati. Il clinico deve riuscire ad accogliere ed elaborare contemporaneamente due livelli di informazione: i dati “oggettivi”, ovvero tutto ciò che è osservabile, disturbi evolutivi, precocità, temperamento, stili interpersonali di comportamento del bambino e del caregiver, disturbi psichiatrici del caregiver; e i dati “soggettivi”, che comprendono gli stati emotivi ed affettivi dei genitori, le rappresentazioni mentali del Sé, del partner e del figlio. La capacità del clinico di coinvolgere i genitori per ottenere la loro collaborazione è fondamentale. Per ottenere una buona alleanza occorre far perno sulle competenze e sui punti di forza sia del bambino sia dei genitori. Il processo valutativo si rivela particolarmente utile se viene impostato come opportunità di riflettere sul bambino e come stimolo a confrontare le proprie ansie e aspettative e a rielaborarle. La valutazione clinica comprende anche l'indagine sulle caratteristiche personali e sulle risposte di cui dispongono i genitori, sul sostegno che ricevono dalla famiglia allargata e dal contesto socioeconomico in cui vivono. È necessario anche avere informazioni sul funzionamento del sistema familiare, sui suoi valori culturali e sul sistema di credenze. • Adult Attachment Interview All'interno della prospettiva teorica dell'attaccamento, Mary Main e collaboratori hanno costruito un'intervista semistrutturata, la AAI, x valutare e classificare le rappresentazioni mentali degli adulti relative alle relazioni di attaccamento. Essa ha la durata di circa un'ora, ed è composta da 18 domande che indagano sui ricordi e sulle esperienze dell'infanzia. Ciò che assume importanza rilevante ai fini della classificazione è il grado di organizzazione della propria storia sul piano cognitivo e affettivo, piuttosto che i contenuti o la veridicità dei ricordi e sulle esperienze dell’infanzia a due livelli: uno generale, dove vengono esplorate le qualità delle prime relazioni con il caregiver, tra cui malattia, disagio emozionale, esperienze di separazione; e uno specifico nel quale viene chiesto all’intervistato di fornire ricordi autobiografici come esempi per spiegare le affermazioni. La classificazione dello stato mentale dell’individuo rispetto all’attaccamento si fonda sull’analisi della narrazione in base alla coerenza del pensiero. La codifica dell’intervista è basata su un’analisi del modo in cui tali esperienze e i loro effetti sono considerati e valutati dagli intervistati. Le interviste vengono audioregistrate e trascritte verbatim; la valutazione e quindi la codifica sono condotte da due osservatori indipendenti: l’esaminatore assegna un punteggio su ciascuna delle cinque scale (affetto, rifiuto, trascuratezza, pressione a riuscire, inversione di ruolo) per valutare l’intero trascritto su una scala a nove punti la “probabile esperienza con le figure di attaccamento durante l’infanzia “ o “scales for experience”. In seguito, il trascritto viene riletto per valutare lo “stato attuale della mente” rispetto all’attaccamento o “scals for states of mind” sempre su una scala a nove punti. Le scale in questo caso sono: idealizzazione, rabbia, insistenza sull’incapacità di ricordare l’infanzia, processi metacognitivi, passività dei processi di pensiero, paura della perdita, mancata risoluzione di lutti, coerenza del trascritto e della mente. La valutazione finale prevede l'inclusione del soggetto in una delle tre principali categorie che permettono di distinguere differenti modelli di attaccamento: 1. modello sicuro/libero-autonomo (F) , caratterizzato dalla capacità dell'individuo di presentare un quadro coerente e ben integrato delle relazioni d'attaccamento, nonché dal riconoscimento dell'influenza delle prime relazioni sullo sviluppo della personalità; 2. modello distanziante (Ds), caratterizzato dal distanziamento e svalutazione delle relazioni d'attaccamento oppure da idealizzazione dei genitori e mancanza di ricordi specifici relativi alle esperienze infantili con i caregiver; 3. modello preoccupato/invischiato (E), indica un attuale coinvolgimento nelle passate relazioni d'attaccamento di tipo passivo o conflittuale. Ai tre modelli di attaccamento principali, sono state aggiunte successivamente altre 2 categorie di classificazione: 4. mancata elaborazione del lutto/trauma (U), evidenzia la presenza di processi mentali non risolti relativamente ad un evento traumatico o ad un lutto; 5. non classificabile (CC), quando emergono stati mentali contraddittori ed incompatibili, o una combinazione di stati mentali scissi e non integrati rispetto all'attaccamento. •Intervista sulle Rappresentazioni Materne in Gravidanza e Dopo la Nascita Nasce dal presupposto teorico che le rappresentazioni mentali materne possono essere fortemente predittive delle future strategie interattive col nascituro, influenzando, fin dalla gravidanza, le successive modalità di attaccamento fra caregiver e bambino. L'obiettivo dell'IRMAG è, pertanto, l'esplorazione delle rappresentazioni mentali della donna concernenti se stessa come donna, se stessa come madre, il partner, e la propria famiglia d'origine. Essa è un'intervista semistrutturata, composta da 41 domande principali ed ha la durata media di un’ora. Viene somministrata al settimo mese di gravidanza, in quanto si ritiene che il figlio abbia ormai avuto la possibilità di definirsi all'interno dello spazio psichico materno, non ancora invaso dalle ansie connesse all'imminenza del parto. Si prefissa inoltre di approfondire: il desiderio di maternità della coppia, le emozioni personali e di coppia i cambiamenti che ha portato la gravidanza nella vita di coppia, le percezioni del bambino “interno”, le aspettative riguardanti le caratteristiche del bambino, la prospettiva storica della madre, nel suo ruolo attuale e passato di figlia. Nella valutazione viene analizzata l'organizzazione narrativa delle risposte in modo relativamente indipendente dai contenuti. In base ai punteggi ottenuti, si attribuisce una delle seguenti 3 categorie rappresentazionali generali: 1. Rappresentazioni materne integrate/equilibrate: l'esperienza della gravidanza appare dal punto di vista affettivo, percettivo e cognitivo relativamente ricca; il modello narrativo fornito di sé, così come del bambino, è coerente, flessibile e autonomo; 2. Rappresentazioni ristrette/disinvestite: la donna tende a razionalizzare l'esperienza della gravidanza, trasmettendo scarso coinvolgimento emotivo, attraverso la piattezza del racconto. Le fantasie sono poco presenti e, quando emergono, sono dominate da timori di perdita e di morte del bambino; 3. Rappresentazioni non integrate/ambivalenti: la donna mostra tendenze opposte nei confronti della gravidanza come pure del nascituro, fornendo un modello narrativo oscillante, confuso e incoerente, denso di contenuti fantasmatici di inadeguatezza, malattia, perdita, morte e colpa, relativi a sé ed al bambino. Una variante dell'IRMAG è l'intervista somministrata alla madre dopo la nascita del bambino (IRMAN) che ricalca in gran parte la struttura, la codifica e le finalità dell'IRMAG, ma viene somministrata alla donna al 4° mese di vita del bambino. Il suo obiettivo è esplorare i cambiamenti nelle rappresentazioni materne che la nascita del figlio e le interazioni con il bambino reale possono suscitare, relativamente alla percezione di sé come caregiver, ed alla rappresentazione mentale del proprio bambino. •Working model of the Child Interview La WMCI è un'intervista semistrutturata videoregistrata, utilizzabile in ambito clinico e di ricerca per esplorare le rappresentazioni genitoriali del bambino, valutando il modo in cui il caregiver vive l'esperienza soggettiva con il figlio e le percezioni che ha della relazione con lui. Richiede circa un'ora per la sua somministrazione: l'intervistatore lascia fluire la descrizione del caregiver mentre racconta la storia del bambino ed esprime pensieri e sentimenti su di lui. L'intervista videoregistrata viene poi rivista con il genitore ed in questa occasione si possono riprendere alcuni aspetti della sua narrazione per chiedere delucidazioni. L'intervista inizia chiedendo notizie sulla storia del bambino e sulla relazione con lui: a differenza di un'anamnesi tradizionale, in cui si focalizza l'attenzione sullo sviluppo del bambino, qui l'enfasi è posta sull'esperienza soggettiva del caregiver nella sua relazione col figlio; l'esplorazione verte anche sui pensieri del caregiver nel periodo immediatamente precedente la gravidanza. Si chiede inoltre ai genitori se, a loro avviso, il bambino possiede caratteristiche che essi si attribuiscono e se abbia somiglianze con loro. I genitori sono invitati a descrivere gli aspetti più positivi e quelli meno piacevoli della relazione con il figlio, e ciò che desidererebbero cambiare se lo potessero. La valutazione genitore-bambino viene formulata considerando soprattutto l'organizzazione narrativa e la tonalità affettiva delle rappresentazioni genitoriali rispetto a ciò che viene comunicato sul bambino. Le dimensioni narrative del caregiver sono otto: ricchezza delle percezioni, apertura al cambiamento, coerenza, intensità del coinvolgimento, accettazione/rifiuto, sensibilità, risposte soggettive alle difficoltà del figlio e paura della perdita del figlio. L’intensità del coinvolgimento si valuta a partire dal modo in cui il genitore è psicologicamente immerso nella relazione con figlio e include sentimenti che vanno dall’essere eccessivamente preoccupato al non esserlo affatto. La sensibilità del caregiver rimanda alle capacità genitoriali di mettersi nella prospettiva del bambino e di rispondergli riconoscendo i suoi bisogni e le sue esperienze emotive ed affettive. La tonalità affettiva delle rappresentazioni genitoriali viene valutata riesaminando l’intera intervista. La valutazione poi complessiva delle otto dimensioni narrative consente di individuare differenti tipologie di organizzazione narrativa., Le organizzazioni narrative identificate consentono di classificare 3 tipi di rappresentazioni: 1. Rappresentazioni equilibrate: narrazioni che si presentano chiare, ricche di dettagli, in cui si è coinvolti positivamente nella relazione con il bambino, che è rispettato come individuo. Il tono emotivo prevalente è di gioia o di orgoglio; 2. Rappresentazioni disinvestite: descrizioni distaccate e fredde in cui il bambino è descritto in termini vaghi e i genitori non sembrano molto coinvolti da lui. Il tono emotivo prevalente è di indifferenza. I genitori mostrano una certa rigidità nel rispondere ai cambiamenti; 3. Rappresentazioni distorte: descrizioni confuse, incoerenti, irrealistiche. Il coinvolgimento eccessivamente preoccupato con il bambino impedisce una serena focalizzazione su di lui come individuo. •Parent Development Interview PDI è un'intervista finalizzata a valutare la relazione del caregiver con il proprio bambino. È composta da 45 domande, dura circa un'ora e mezza. La prima parte indaga la descrizione che i genitori danno del loro bambino: ad essi viene chiesto di fornire 5 aggettivi che descrivano la loro relazione con il figlio; quindi, viene chiesto loro ciò che piace e non piace del loro bambino; inoltre si chiede una descrizione della relazione con il figlio in termini di momenti piacevoli e di difficoltà, di armonia e contrasto. In seguito, i genitori descrivono se stessi come caregiver, includendo ciò che considerano i propri punti di forza e di debolezza. Infine, riferiscono le reazioni del bambino alle normali separazioni, ai momenti di crisi e di non disponibilità del genitore. I trascritti vengono analizzati lungo 3 dimensioni: 1) la rappresentazione genitoriale della propria esperienza affettiva; 2) la rappresentazione genitoriale dell'esperienza affettiva del bambino; 3) lo stato della mente genitoriale rispetto al bambino. I punteggi includono: intensità, riconoscimento e modulazione della rabbia; stato di bisogno del genitore; intensità, riconoscimento e modulazione dell’ansia di separazione; intensità e riconoscimento della colpa; esperienza di gioia e di piacere; senso di competenza ed efficacia. la maggioranza dei punteggi sono valutati a scale di nove punti: i punteggi più bassi indicano il tentativo di evitare, negare e minimizzare l‘esperienza emotiva, quelli più alti denotano livelli emotivi pieni e intensi. La scelta di utilizzare scale dimensionali permette di descrivere le caratteristiche affettive delle rappresentazioni del bambino che non sono per forza sinonimo della categorizzazione dell’adulto. •Brazelton Neonatal Behavioral Assessment Scale La scala Brazelton di valutazione del comportamento neonatale (NBAS) è stata costruita per essere applicata a bambini nati dopo una gravidanza di 36-44 settimane fino al compimento di un mese di età e richiede circa 20-30 minuti per la sua somministrazione. Brazelton raccomanda di somministrare la scala più di una volta al fine di ottenere un profilo del cambiamento dei pattern comportamentali del neonato durante le prime settimane di vita. Tale scala è stata ideata per valutare la disponibilità delle risposte del bambino al suo ambiente, e quindi, indirettamente, l'influenza del bambino sull'ambiente. La scala è infatti concepita come un assessment interattivo, in cui l'adulto, stimolando i comportamenti e le abilità auto-organizzative del bambino, permette la valutazione dell'emergente capacità di socializzazione in via di sviluppo. In particolare, la NBAS registra il modello dinamico dei cambiamenti dello stato di coscienza del neonato durante tutto lo svolgimento dell'esame e valuta pertanto la capacità del bambino 2. Alcuni bambini non sembrano mostrare alcun disagio nel corso della separazione e ignorano ed evitano il genitore, indirizzando l'attenzione sull'ambiente circostante. Questi bambini sono classificati come insicuri-evitanti (A); 3. In un altro modello di attaccamento, i bambini protestano energicamente nel corso della separazione ma mostrano una combinazione di ricerca della vicinanza e resistenza al contatto durante la riunione, risultando inconsolabili ed incapaci di giocare ed esplorare l'ambiente per tutta la durata della procedura. Tale modello di relazione viene definito insicuro-ambivalente (C). 4. Main e Solomon hanno identificato un 4° modello che emergerebbe dalla Strange Situation: il modello disorganizzato/disorientato (D). Esso è caratterizzato da un gruppo eterogeneo di comportamenti che può comprendere le caratteristiche di qualunque altro modello, ma con un maggior grado di distorsione a causa del sovrapporsi di uno o più episodi, caratterizzati da comportamenti contraddittori e inesplicabili da parte dei bambini che possono mostrare anche sottili indici di apprensione riguardanti il genitore e una mancanza di orientamento rispetto all'ambiente circostante. La ricerca ha evidenziato che i bambini con attaccamento D hanno una maggiore probabilità di sviluppare una problematica clinica giacché non hanno potuto sviluppare una strategia appropriata e coerente per affrontare lo stress. È stato inoltre messo in evidenza che lo stile di attaccamento del bambino è correlato allo stile di attaccamento del genitore, valutato tramite la AAI (bambino sicuro-genitore sicuro/libero autonomo; bambino insicuro/evitante-genitore distanziante; bambino insicuro/ambivalente-genitore preoccupato/ invischiato; bambino disorganizzato/disorientato-genitore irrisolto per lutto o trauma). •Infant and Toddler Mental Status Exam ITMSE è un sistema di osservazione clinica del bambino dalla nascita a 5 anni. Focalizza l'attenzione sui comportamenti individuali e interattivi in varie aree del funzionamento adattivo ed emozionale in un contesto naturale o clinico. Questa metodologia comprende situazioni osservative del bambino a casa e/o a scuola quando interagisce con i genitori, i fratelli e i pari e con altre figure significative. L'ITMSE è uno schema di registrazione di dati e di osservazioni che provengono da molti contatti con il bambino, in tempi e contesti diversi, per rilevare le caratteristiche costanti e quelle che variano, ma, poiché non è un test standardizzato, non prevede né scale di punteggi, né un sistema di codifica dei comportamenti. L'osservazione del bambino converge su 4 aspetti del suo funzionamento: sviluppo, emozioni, comportamento, relazioni. Nell'ambito di questi aspetti, vengono valutate le capacità che ci si aspetta il bambino possieda in una data fascia d'età, eventuali precocità, deficit o deviazioni dalla norma. La valutazione ha inizio con un’intervista ai genitori per conoscere la storia del bambino e prosegue con osservazioni su altri versanti. Dieci sono le aree che riguardano: le impressioni (aspetto fisico, stato di nutrizione, livello d’igiene- che l’osservatore ha di un bambino), le reazioni del bambino (al contesto valutativo, all’estraneo, comportamenti esplorativi) autoregolazioni (capacità di essere calmato, calmarsi da solo e di mantenere la condizione di quieta vigilanza, regolazione sensoriale, attività, span attentivo, aggressività), motricità (coordinazione motoria), parola e linguaggio (vocalizzazione e produzione, comprensione, espressione), pensiero (paure specifiche, sogni e incubi, stati dissociativi), affetti e umore (espressioni emozionali, risposte emozionali alle situazioni, durata dello stato emozionale, intensità della risposta affettiva), gioco (struttura e contenuto del gioco, gioco simbolico), cognizione (funzionamento simbolico e verbale, problem solving), relazione (con i genitori, con l’esaminatore e il comportamento di attaccamento: ricerca conforto, aiuto dei genitori, comportamenti di esplorazione, cooperazione). •Child Behavior Check List Per la fascia di età tra due-tre anni. E' uno strumento per valutare comportamenti ed emozioni dei bambini piccoli in varie aree del loro funzionamento. I dati di valutazione sono forniti dai genitori e da altre persone significative, che sono chiamati a esprimere una loro valutazione, separatamente gli uni dagli altri, sulle affermazioni della Check List. L'utilizzazione di più fonti informative ed il numero di aree indagate garantisce maggiormente dal rischio di inferenze nella valutazione e nella diagnosi. Inoltre, la Check List, tramite i dati che provengono da valutazioni multiple, può fornire un ampio e rappresentativo campione dei comportamenti del bambino, altrimenti non rilevabile, nei diversi contesti di vita. Per la compilazione della Check List sono sufficienti circa 10 minuti per gli item e non meno tempo per le descrizioni richieste. I comportamenti contrassegnati da chi compila la Check List devono riferirsi ad osservazioni avvenute non oltre i 2 mesi precedenti, poiché i bambini piccoli sono soggetti a rapidi mutamenti insiti nel processo evolutivo. Si raccomanda molta prudenza nella formulazione di una diagnosi perché una valutazione complessiva deve tener conto anche della famiglia del bambino, e deve derivare dall'integrazione dei dati multipli a disposizione sui diversi assi esplorati. Sono 99 item che riguardano: l’attività, l’interesse, la paura, il gioco, l’interazione con i pari, con gli adulti, lo stato d’ansia, condizioni e problemi somatici, stato dell’umore, aggressività, responsività affettiva, la risposta ai cambiamenti. Una seconda parte della Check list è destinata a raccogliere notizie su specifiche condizioni fisiche del bambino, malattie, handicap, maggiori preoccupazioni riguardo al suo stato e questa parte non ha punteggio. Sebbene alti, i punteggi sulle singole scale possono orientare verso una diagnosi di normalità, al limite o clinica, non sono sufficienti per determinarla. CAPITOLO 4_GENITORIALITà La genitorialità è connessa ad un lungo processo di elaborazione delle proprie relazioni affettive primarie: l'arrivo di un figlio può aiutare a visualizzare ed a riorganizzare meglio le passate esperienze, ma può anche determinare un crollo psicologico proprio per il riattivarsi di sottostanti conflitti non elaborati. Per entrambi i genitori la nascita del figlio rappresenta un evento nuovo e intenso che evoca fantasie cosce e inconsce riguardanti la propria relazione infantile sperimentata con la madre, il adre e le altre figure di accudimento significative. Occorre anche tenere presente che la nascita di un figlio determina un'alterazione dell'equilibrio della coppia, che si trova ad affrontare il delicato passaggio da una relazione a 2 ad una relazione a 3, passaggio che comporta una serie di profonde modificazioni strutturali e d'investimento: occorre adesso confrontarsi con la realtà del bambino e con le nuove funzioni genitoriali, all'interno di una configurazione che ormai ha assunto una nuove struttura di tipo familiare. È all'interno di questa struttura che potrà costituirsi una condizione di nuovo equilibrio in cui si determinerà una relazione armoniosa bambino-genitore, oppure potrà manifestarsi una situazione di disagio psichico che troverà espressione in disturbate interazioni, causa di profonda sofferenza per il bambino. •Fattori di rischio connessi alla genitorialità Fanno riferimento a tutte quelle condizioni in cui la funzione genitoriale, nelle sue componenti fondamentali di cura e protezione dei figli, è fortemente disturbata e influisce profondamente sulla qualità della relazione genitore-bambino. Quest'ultima rappresenta un'esperienza importante che influenza la personalità del bambino, la struttura delle sue difese e anche le rappresentazioni che il bambino si costruisce riguardo a ciò che è possibile aspettarsi dalle relazioni con gli altri. Se poniamo l‘accento sullo sviluppo del bambino, il ruolo della famiglia appare centrale in quanto essa costituisce l’intero mondo affettivo e sociale del bambino. Condizioni di rischio provenienti da ambiti diversi possono verificarsi contemporaneamente ed essere esacerbate o mitigate dal sistema familiare. In questa prospettiva, la famiglia rappresenta il contesto all'interno del quale i fattori protettivi e di rischio interagiscono tra loro e influenzano lo sviluppo successivo del bambino. A questo riguardo, può essere utile effettuare un confronto fra i 3 sistemi di classificazione attualmente più accreditati: l'ICD-10, il DSM IV, la Classificazione diagnostica: 0-3. • La Classificazione diagnostica 0-3 colloca sull'Asse II i disturbi della relazione bambino-genitore. Per ogni categoria vengono prese in considerazione l'intensità, la frequenza e la durata del disturbo, nonché i seguenti aspetti: 1) le caratteristiche dell'interazione; 2) il tono affettivo; Anche le caratteristiche del temperamento del bambino possono avere un ruolo importante in queste situazioni stressanti, sia per quanto riguarda le sue reazioni agli eventi, sia nel modellare il comportamento dei genitori. Se si era instaurata precedentemente una buona relazione tra genitori e figli, in presenza d’una strutturazione del carattere del bambino, gli effetti sfavorevoli della separazione e del divorzio, possono mitigarsi anche entro pochi anni. Si possono osservare lievi disturbi comportamentali oppure angoscia, episodi anoressici, insonnia, depressione. In alcun casi il divorzio è il “male minore”, soprattutto quando l’evento è preceduto da lunghi periodi di contrasti e conflitti tra i genitori. La comparsa di disturbi, sembra strettamente correlata con l’esistenza di una discordia parentale piuttosto che con l’evento specifico della separazione in sé. •Tossicodipendenza e maternità La tossicodipendenza espone le future madri a condizioni di vita difficili, a problemi fisici che mettono in pericolo la vita ed a una quantità di problemi psicologici e comportamentali. Tale situazione è aggravata dal fatto che spesso queste donne appartengono alle classi sociali più svantaggiate; il loro stile di vita inoltre, è frequentemente associato con una malnutrizione che può incidere sulla crescita fetale. Se messe a confronto con madri non tossicomani, le donne che assumono droghe sembrano aver sperimentato in modo significativamente più frequente storie di trauma o abuso; inoltre, l'ambiente di accudimento dei bambini di donne tossicodipendenti appare frequentemente caratterizzato dalla confusione e dalla presenza di caregiver multipli: l'interazione fra questi fattori permette di spiegare l'elevata frequenza di attaccamento insicuri e disorganizzati riscontrati nei bambini colpiti dall'esposizione a droghe. ♦ Effetti delle droghe sullo sviluppo del bambino L'assunzione di droghe nel corso della gravidanza può avere effetti diretti sullo sviluppo del feto, tuttavia un danno specifico a carico del S.N.C. non è stato documentato. L'abuso di sostanze sembra essere correlato con uno scarso accrescimento fetale: questo ritardo di crescita è considerato un fattore di rischio associato a conseguenze di tipo neuromotorio e socioemotivo. Questi bambini presentano alcune disfunzioni neurocomportamentali come tremori e sobbalzi, diminuzione dei comportamenti interattivi, un'aumentata irritabilità, una difficile consolabilità, minore responsività agli stimoli visivi. Tali disfunzioni, tuttavia, sono tipicamente non severe, e gli effetti di molte droghe spesso transitori: l'ambiente sociale di appartenenza sembra assumere un ruolo centrale nel predire gli esiti a lungo termine, al punto che questi appaiono notevolmente ridotti in condizioni ambientali favorevoli. All'opposto, interazioni disfunzionali possono interferire con la capacità di recupero del bambino da una situazione di vulnerabilità biologica ed esporlo ad un rischio multiplo. Da considerare anche che il comportamento di ricerca della droga, gli effetti delle droghe e l'astinenza conducono spesso la madre ad essere meno sensibile ai segnali del bambino riguardanti il suo bisogno di essere stimolato e nutrito. •Psicopatologia In generale si è riscontrato che i bambini che vivono accanto a genitori che presentano quadri psicopatologici lievi o severi presentano numerosi problemi: i bambini di genitori con marcati disturbi affettivi presentano disregolazione emotiva, disturbi somatici, difficoltà di apprendimento e sintomi depressivi in misura significativamente maggiore rispetto a bambini cresciuti in famiglie dove non sono presenti disturbi mentali. Va detto comunque che, più che la diagnosi specifica riguardante il genitore, sono la severità e la cronicità di un disturbo ad avere l'impatto maggiore sul bambino; inoltre, la psicopatologia genitoriale deve essere considerata nella sua relazione con altri fattori di vulnerabilità quali, ad esempio, la povertà e la presenza di livelli di conflittualità familiare elevata. Sono 2 i quadri psicopatologici più approfonditamente studiati: la depressione materna e la psicosi. 1. Depressione Materna Gli esiti evolutivi avversi nel bambino includono: disturbi del comportamento, attaccamenti insicuri e sintomi e disturbi depressivi. Circa il 50-80% delle nuove mamme sperimenta disforia in seguito alla nascita del bambino; di queste, quasi il 15% presenterà una depressione post partum; tale periodo può dunque essere considerato come particolarmente a rischio per la formazione della relazione madre-bambino. Tale periodo coincide con quella condizione che Winnicott ha definito “preoccupazione materna primaria”, riferendosi a quello stato psicologico caratterizzato dalla profonda, assorbente partecipazione della madre alle fantasie ed alle esperienze del figlio negli ultimi 3 mesi di gravidanza e nei primi 3 mesi di vita del bambino. Va inoltre preso in considerazione che questa nuova condizione implica una riorganizzazione di ruoli e di compiti all'interno della coppia; inoltre ciascun genitore deve confrontarsi con la necessità di comprendere lo stile unico di quel particolare bambino, con i suoi bisogni, le sue vulnerabilità e risorse: la depressione si inserisce pertanto in un periodo di per sé difficile, e può rendere la transizione alla genitorialità un'esperienza sopraffacente. 2. Psicosi E' evidente che l'impatto del disturbo sul bambino sarà diverso a seconda del tipo di psicosi da cui è affetto il genitore. I disturbi psicotici possono manifestarsi in forme cliniche di diversa durata ed intensità, dalla cronicità della schizofrenia al carattere acuto delle psicosi più reattive, quali le forme schizoaffettive e schizofraniformi. Le perturbazioni sui bambini appaiono maggiori in quei bambini che risultano inglobati nelle preoccupazioni patologiche del genitore, come avviene nel caso dei deliri, delle allucinazioni e delle aggressioni. Altra condizione che pone fortemente il problema dell'influsso della psicosi del genitore sul bambino, è quella in cui la patologia è stata diagnosticata prima della gravidanza e presenta caratteristiche di cronicità. Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche, è stata evidenziata una iper-rappresentazione di patologie di tipo “esternalizzante” nel bambino, nella forma di disturbi comportamentali, labilità dell'attenzione, instabilità, rispetto ai disturbi cosiddetti “internalizzanti”, quali inibizioni e fobie. In alcuni casi, i bambini possono presentare delle condotte simili a quelle del genitore: si osservano così brevi episodi micropsicotici della durata di alcuni giorni o settimane. Ricerche su bambini più grandi hanno evidenziato che i figli di genitori schizofrenici mostrano di avere maggiore difficoltà nel mantenere l'attenzione, oltre a manifestare un funzionamento autonomo iperlabile ed ipersensibile. Altre indagini hanno messo l'accento sulle caratteristiche dell'interazione e sulle relazioni di attaccamento dei bambini di madri schizofreniche, utilizzando la procedura della Strange Situation: questi studi hanno evidenziato che tali bambini mantengono uno stile di attaccamento insicuro; essi non mostrano alcuna paura dell'estraneo, reazione normalmente presente nei bambini di età compresa fra gli 8 e i 12 mesi. Per la madre psicotica, che è immersa in una relazione narcisistica, il riconoscimento dell'esistenza del bambino come individuo separato può essere vissuto come molto pericoloso e sarà possibile solo rinunciando all'illusione della fusione. Clinicamente tale difficoltà si evidenzia nelle madri proprio nei periodi particolarmente critici della relazione madre-bambino, ossia in quei momenti che rappresentano le grandi tappe del processo di individuazione e di separazione del bambino: si notano, ad es., comportamenti di ipostimolazione e di contenimento che ostacolano la motricità del bambino. Osservando le interazioni fra madri psicotiche e i loro bambini, emerge una tendenza significativa da parte di queste madri a rispondere lentamente ed in modo inadeguato ai segnali dei loro bambini, stimolandoli meno sul piano sociale ed interattivo di quanto non facciano le madri prive di patologia psichiatrica; le madri psicotiche inoltre, appaiono più tese ed incerte nel rapporto con i loro bambini, con i quali interagiscono poco sia a livello vocale che del sorriso. L'ambiente quotidiano del bambino appare spesso caotico e non prevedibile, caratterizzato da momenti di avvicinamento intenso da parte della madre, alternati a lunghi momenti di presa di distanza e di abbandono: in questa situazione, il bambino sperimenta difficoltà di anticipazione che disturbano lo stabilirsi dei ritmi dei pasti e del sonno. La relazione madre-bambino appare come invertita: non è la madre che si adatta al bambino, bensì il bambino che si adatta alla madre, nell'ambito di interazioni organizzate in funzione dei bisogni materni e non di quelli del bambino. In condizioni del genere, un ruolo di mediazione importante può essere svolto dal padre che, se privo di psicopatologia grave, può dare un importante contributo allo sviluppo della relazione. •Maltrattamento e abuso Il maltrattamento può essere espresso sotto forma di trascuratezza, abuso psicologico e sessuale. Spesso l'abuso viene perpetrato all'interno della famiglia e coinvolge entrambi i membri della coppia genitoriale: è raro che le sevizie siano ignorate da uno dei genitori, di solito uno di essi è abusante e l'altro accetta tacitamente. La maggior parte delle ricerche indicano che i bambini maltrattati provengono da ambienti sociali svantaggiati. Altri fattori correlati riguardano la numerosità della famiglia e lo scarso distanziamento delle nascite, nonché un atteggiamento negativo da parte della madre nei confronti della gravidanza, spesso non pianificata e non desiderata. ♦ Forme di maltrattamento e sviluppo del bambino La grave trascuratezza da parte dei genitori fa si che il bambino sia spesso oggetto di omissioni e carenze rispetto ai suoi bisogni fisici e psichici. La trascuratezza può riguardare la sfera igienico-sanitaria o alimentare, fino ai casi di denutrizione che comportano, in situazioni estreme, difficoltà di accrescimento del bambino. Una forma di maltrattamento psicologico è rappresentata anche dalla presenza di reiterate violenze verbali. Per quel che riguarda l'abuso, la forma che sembra presentare maggiormente livelli di gravità è l'abuso fisico, ossia quella condizione in cui il minore è oggetto di aggressioni con conseguenze fisiche a volte letali. Circa un terzo dei casi di abuso riguardano invece l'abuso sessuale, che coinvolge prevalentemente bambini di età inferiore ai 6 anni. L'età del bambino sembra essere una variabile di grande importanza in quanto connessa ai diversi compiti maturativi ed evolutivi di ciascuna fase di sviluppo. Tanto più il bambino è piccolo, tanto maggiore sarà l'impatto di una grave trascuratezza o di aggressioni fisiche. Per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, è stato ipotizzato che il maltrattamento, determinando la diminuzione di concentrazione di serotonina nel cervello, contribuirebbe ad aumentare la secrezione di sostanze che aumentano l'aggressività, quali la dopamina ed il testosterone. Nei bambini più vulnerabili, l'impatto biologico del maltrattamento può dar luogo non solo ad un'apparente mancanza di empatia, comunemente osservata in questi bambini, ma anche a irritabilità ed impulsività. È stata riscontrata una buona frequenza di attaccamenti insicuri da parte di questi bambini, in risposta al paradigma della Strange Situation. tali pattern influenza infatti lo sviluppo dei percorsi neurali nel cervello, sostenendo l'elaborazione di quei circuiti che sono attivati ripetutamente nell'infanzia. I disturbi della regolazione possono rappresentare l'estremo atipico delle normali variazioni nel temperamento o nella reattività del Sistema Nervoso Centrale. Differenti relazioni di caregiving avranno un impatto forte sulla capacità del bambino di modulare l’input sensorial, di mantenere uno stato affettivo e positivo e di sviluppare la capacità di regolare gli affetti e il comportamento. Si presume, comunque, che pattern di irritabilità e reattività elevata siano modificabili, almeno in parte, da una relazione di caregiving sensibile e che esperienze positive di regolazione reciproca influenzino lo sviluppo del cervello e la personalità. La psicodinamica dei disturbi della regolazione deve essere inquadrata mettendo in luce la presenza diffusa, fin dalla nascita, delle predisposizioni del neonato all'autoregolazione ed ai processi di regolazione reciproca con il caregiver. Nel sistema neonato-caregiver sano, un'organizzazione è già consolidata dal 4°-6° giorno, il che significa che il neonato apprende dalla notte al giorno. La predisposizione all'autoregolazione si può osservare nella strutturazione relativamente rapida dei cicli sonno-veglia e nel raggiungimento dell'omeostasi fisiologica fin dai primi mesi. Lo sviluppo di una coerenza sempre più complessa sarà in seguito il risultato di un sistema di cure contingente allo stato, che crea il contesto perché il neonato sia un'agente della propria autoregolazione. L'interazione madre-bambino può essere equiparata, in questo senso, ad un sistema biologico, che si struttura in accordo con il principio dell'organizzazione e della regolazione, secondo il quale un sistema vivente è una struttura organizzata e finalizzata a che tende a mantenersi attraverso meccanismi di autoregolazione contemporaneamente orientati alla conservazione di un equilibrio dinamico ed alla progressione verso un'organizzazione di complessità crescente. A partire da tali presupposti, l'elasticità della regolazione si caratterizza come il parametro fondamentale su cui valutare sia lo sviluppo normale che la patologia. Seguendo questa prospettiva, alcuni autori hanno proposto di valutare i disturbi relazionali della prima infanzia facendo riferimento ai modelli di regolazione osservabili nella diade madre-bambino. Si può parlare così di iper-regolazione, quando risposte intrusive ed insensibili non permettono al bambino di segnalare il suo stato, di dare inizio all'interazione o di esservi attivamente partecipe; di iporegolazione, quando si osserva una mancanza di risposte adeguate e sincroniche che non permettono al bambino di modulare i suoi stati affettivi basandosi sulla regolazione reciproca; di regolazione inappropriata o irregolare, quando i tempi della risposta non sono in sincronia con i segnali del bambino o si osserva un'oscillazione dall'iporegolazione all'iper-regolazione, e questo produce interazioni negative ed esiti disforici per il bambino. Va detto che il bambino possiede, fin dai primi mesi, una serie di comportamenti precoci che hanno una funzione difensiva rispetto all'eccesso o alla carenza di un'adeguata regolazione reciproca: tali comportamenti hanno in comune la funzione di mascherare e regolare gli affetti negativi e di evitare le esperienze dolorose che sono state prodotte dal fallimento del ruolo protettivo del caregiver primario. Essi sono: l'evitamento, il freezing, il fighting, la trasformazione dell'affetto, il reversal. Una delle formulazioni più esaustive sui comportamenti auto ed eteroregolativi tra madre e bambino è quella formulata da Tronick. Secondo il “modello della regolazione reciproca”, il bambino ha il doppio compito di regolare il suo stato emozionale ed il suo impegno nell'interazione diadica con il caregiver in tutti quei momenti che rappresentano delle rotture o dei cambiamenti dello stato interno, come, ad es., l'emergere della fame o l'eccessiva stimolazione esterna. Per affrontare queste difficoltà il bambino può usufruire di una serie di comportamenti che hanno la funzione di regolare lo stato emozionale riducendo il suo impegno con l'ambiente esterno, cioè diminuendo la sua recettività percettiva come, ad es., con il ritiro o l'evitamento, e sostituendolo con comportamenti di autostimolazione ed autoconsolazione, come succhiare il pollice, toccarsi il viso o dondolarsi. Tali capacità all'inizio sono immature e limitate, e il bambino ha bisogno di capacità regolative aggiuntive che gli vengono fornite dalla madre. Contemporaneamente, il bambino è in grado di utilizzare comportamenti di regolazione diretti all'altro, come il sorriso per segnalare alla madre di continuare un'interazione o il pianto per interrompere un comportamento inappropriato, che hanno lo scopo ultimo di raggiungere uno stato emozionale positivo condiviso. Quando la madre risponde appropriatamente a queste espressioni regolative del bambino, il bambino è in grado di mantenere una regolazione di sé e dell'interazione e vengono così generate emozioni positive. Il sistema di regolazione del bambino è quindi un sistema diadico che dipende sia dal bambino che dalla madre. Esistono differenze di genere nei processi di autoregolazione: i maschi sono più reattivi dal punto di vista emozionale, esprimendo affetto negativi più frequentemente; le femmine sono più orientate sugli oggetti, meno reattive e sono più portate a esplorare ed esprimere interesse per ciò che le circonda. L’uso meno frequente nei maschi delle capacità autoregolative suggerisce che contino più sulla regolazione diadica, per cui diventa una conseguenza importante nel caso in cui, per esempio, una madre soffra di depressione per cui i figli maschi sono più predisposti alla rabbia o al rifiuto affettivo della madre e creare così un circolo vizioso di negatività reciproca. CAPITOLO 6_ DISTURBI AFFETTIVI I disturbi affettivi derivano da un’alterazione delle proprie esperienze emozionali e/o dalla distorsione dei processi dello sviluppo affettivo e sono caratterizzati dalle modalità espressive comportamentali utilizzate dal bambino alle diverse età. •CLASSIFICAZIONI • Classificazione diagnostica: 0-3 Secondo questa classificazione comprendono: disturbi d'ansia, dell'umore, il disturbo nella componente espressiva dell'emotività, il disturbo dell'identità sessuale, il disturbo di attaccamento. La diagnosi di disturbo affettivo va posta sull'Asse I, vale a dire che i pattern interattivi e relazionali specifici di ogni disturbo risultano dominanti nel caratterizzare la relazione con i genitori, ma è necessario che non siano osservati in un solo contesto o nell'ambito di una singola relazione, al contrario devono rappresentare difficoltà emotive e comportamentali più stabili. Durante lo sviluppo, la relazione bambino-ambiente va incontro a continui cambiamenti legati ai bisogni emozionali specifici di ogni fase evolutiva del bambino, ai cambiamenti delle sue caratteristiche temperamentali. • DSM-IV Disturbi affettivi tipici dell'infanzia e dell'adolescenza sono: disturbo d'ansia di separazione, mutismo selettivo, disturbo reattivo dell'attaccamento dell'infanzia o della prima fanciullezza. Il manuale considera i bambini compatibili con disturbo iperansioso nella categoria degli adulti del disturbo d’ansia generalizzato. Gli altri disturbi affettivi che il DSM non considera separatamente dagli adulti nei bambini sono la fobia specifica, disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo e post-traumatico da stress. • ICD-10 Disturbi della sfera emozionale con esordio caratteristico per l'infanzia, comprendono: sindrome ansiosa da separazione dell'infanzia, sindrome fobica dell'infanzia, sindrome di ansia sociale dell'infanzia, disturbo da rivalità fra fratelli, sindrome o disturbo emozionale di altro tipo (disturbo d'identità, disturbo iperansioso, rivalità con coetanei non fratelli), sindrome o disturbo emozionale non altrimenti specificato. Analogamente al DSM IV, l'ICD-10 non considera i disturbi dell'umore come disturbi ad esordio infantile. Caratteristica distintiva essenziale nella classificazione dell'ICD-10 rispetto al DSM IV è invece la distinzione fra disturbi episodici (episodio maniacale, depressivo) e disturbi sindromici (sindrome affettiva bipolare, depressiva ricorrente, sindromi affettive persistenti, quali la ciclotimia e la distimia). •Disturbi d'ansia Per essere qualificati come disturbi i sintomi del bambino piccolo devono perdurare per più di 2 settimane. La diagnosi differenziale deve essere effettuata con: 1) il disturbo post-traumatico da stress che si delinea quando la sintomatologia ansiosa insorge in seguito ad un trauma noto; 2) il disturbo multisistemico dello sviluppo; 3) il disturbo di regolazione quando esistono difficoltà importanti nel processamento sensoriale e acustico, nella comprensione del linguaggio e nel controllo e nella programmazione motoria; 4) un disturbo di relazione, se l'ansia caratterizza esclusivamente una relazione particolare. ♦ Disturbo d'ansia di separazione Nel bambino fino ad un anno di età l'angoscia di fronte all'estraneo in assenza della madre è riconosciuta una tappa importante del normale sviluppo sociale, come pure normale è considerata la reazione d'ansia in coincidenza del primo inserimento scolastico. Si considera possibile la diagnosi di disturbo d'ansia di separazione quando l'ansia è inappropriata rispetto all'età e incongrua rispetto ai tempi e ai modi in cui avviene la separazione dalla figura di maggiore attaccamento. Secondo il DSM IV, tale diagnosi richiede la presenza di almeno 3 sintomi correlati all'eccessiva preoccupazione per la separazione dalle figure principali di riferimento: rifiuto di andare a scuola, paura e angoscia per la separazione, ripetute lamentele di sintomi fisici come cefalea e mal di stomaco in prossimità di una separazione, disturbi del sonno con incubi correlati alla separazione. La durata dei sintomi deve essere maggiore di 4 settimane e l'esordio deve avvenire prima dei 18 anni. Eziopatogenesi: 1. Interazione fra fattori genetici e psicosociali Alcuni autori considerano determinanti, fattori psicosociali quali l'immaturità e lo scarso sviluppo che rendono il bambino dipendente dalla madre, e quindi particolarmente soggetto all'ansia di separazione. Aspetti temperamentali del bambino, come una reattività generale alle emozioni, sono stati considerati fattori di rischio importanti. Esperienze precoci avverse come l'indifferenza genitoriale e l'abuso o la perdita precoce della madre predisporrebbero ai disturbi ansiosi soprattutto se altre circostanze avverse accompagnano la perdita. I fattori genetici accrescono la sensibilità ai fattori di stress ambientale, e la loro combinazione può dare origine al disturbo ansioso o depressivo. Il quadro caratteriale del bambino con ansia di separazione è la condiscendenza verso l'adulto, l'ansia di piacere, il conformismo. I bambini sembrano spesso viziati e oggetto di iperprotezione familiare. 2. Psicodinamica L'origine dell'ansia, secondo la teoria psicodinamica classica, deriva da situazioni traumatiche precoci, intese come situazioni di stimolo frustranti contro cui il bambino non riesce a opporsi e dalle quali viene sopraffatto. Con lo sviluppo dell'Io, di fronte alla minaccia di situazioni traumatiche, il bambino è in grado di mobilitare in anticipo reazioni emotive appropriate a un trauma reale, che gli consentono di rinunciare ai suoi impulsi pericolosi ed evitare così la situazione traumatica. Quando il bambino può rappresentarsi la madre come fonte di soddisfazione alle sue necessità affettive oltre che fisiche, la presenza di lei diventa necessaria per evitare situazioni traumatiche. La sua ansia, definita da Freud ansia da allarme, si trasforma in ansia di separazione e si verifica ogni volta in cui il bambino non si sente rassicurato dalla presenza della madre. Successivamente, il bambino apprende che gli è necessaria non solo la presenza della madre, ma anche la sua benevolenza; in questo caso, l'ansia inizia a manifestarsi come paura di perdere il suo affetto. Ancora più tardi si sviluppano le diverse forme di ansia legate ai rapporti sociali ed alla necessità di mantenere il giusto equilibrio con la parte di sé che si identifica con gli aspetti autoritari dei genitori (Super- Io): quest'ultima forma d'ansia connessa ai conflitti con i genitori interiorizzati, e quindi con la coscienza, prende la forma di senso di colpa. 3. Fattori psicobiologici La disfunzione cerebrale è attualmente considerata un fattore significativo nello sviluppo psicopatologico. L'approccio psicobiologico attuale considera l'importanza dei processi di regolazione precoci come precursori dell'attaccamento psicologico e degli stati emozionali associati. La sintonizzazione affettiva tra bambino e caregiver avviene grazie alla condivisione delle emozioni positive e alla minimizzazione di quelle negative. ■ Diagnosi e quadro clinico d'ansia infantile Per effettuare la diagnosi di disturbo d’ansia di separazione in base al DSM-IV devono essere presenti almeno tre sintomi per quattro settimane. La caratteristica essenziale è l'ansia molto intensa che si scatena alla separazione dai genitori, dall'abitazione o da altri ambienti familiari, ansia che assume le caratteristiche del terrore e del panico. In tutti i casi il disturbo è superiore a quello atteso in base al livello di sviluppo. Quando il bambino è piccolo prevalgono comportamenti di pianto disperato con componenti di panico, inseguimento delle figure di attaccamento, agitazione psicomotoria, sintomi somatici come vomito o enuresi, comportamento catatonico quando prevale una componente depressiva. In molti casi il disturbo assume le caratteristiche di una vera fobia. I bambini con sufficiente capacità linguistica esprimono preoccupazioni morbose e rimuginamenti. Nei ragazzi più grandi ci può essere inibizione ad esprimere direttamente la preoccupazione ansiosa sulla separazione dalle figure genitoriali, ma i comportamenti sono condizionati dalla preoccupazione ansiosa: hanno difficoltà ad uscire di casa, a impegnarsi in attività individuali esterne, continuano a coinvolgere la madre come mediatore in tutti i contatti con l'esterno. dello sviluppo o con crisi evolutive normali e quindi possono non essere riconosciute come disturbo dell'umore. Secondo la Classificazione diagnostica: 0-3, la diagnosi di depressione è possibile quando i bambini piccoli manifestano un pattern di umore depresso o irritabile con una importante diminuzione dell'interesse o del piacere espressi per attività tipiche del loro livello di sviluppo. I bambini piccoli depressi hanno una diminuita capacità di protestare e reagire di fronte alle frustrazioni, utilizzano in modo eccessivo il pianto e, al contrario, hanno un repertorio ridotto di interazioni ed iniziative sociali. I sintomi possono essere accompagnati da disturbi del sonno o dell'alimentazione e da perdita di peso. Viene richiesto che i sintomi perdurino per almeno 2 settimane. Viene indicata la diagnosi differenziale con il disturbo di attaccamento reattivo a maltrattamento-carenza di cure affettive. Altra diagnosi differenziale in età precoce è il disturbo di adattamento quando sintomi depressivi non gravi vengono osservati in un contesto di adattamento ad un cambiamento ambientale. Storici sono gli studi di Spitz: è stato osservato che condizioni di deprivazione affettiva parziale nei primi 6 mesi di vita determinavano nel secondo semestre l'emergenza di una sintomatologia caratterizzata da: tendenza al pianto con comportamento di ritiro ed indifferenza verso l'ambiente della durata di 2 o 3 mesi; perdita di peso al posto dell'aumento ponderale previsto; aumento della suscettibilità a contrarre infezioni ricorrenti; rallentamento nello sviluppo psicologico ed intellettivo, seguito da una effettiva regressione; progressiva assunzione di un'espressione distaccata al posto di quella lamentosa, tendenza all'inattività con atteggiamento freddo e lontano ed espressione del volto come congelata, come se i soggetti non si accorgano di quello che avviene attorno a loro; contatto umano progressivamente più difficile. Quando la carenza affettiva è totale e dura per più di 5 mesi, come nell'ospitalismo, il quadro clinico della depressione anaclitica cambia verso un quadro molto più grave caratterizzato da: significativo rallentamento motorio; inespressività completa del volto; difetto di coordinazione dei movimenti dello sguardo; spasticità muscolare; progressiva riduzione del quoziente di sviluppo con ritardo dal medio al grave; altissima mortalità. I bambini con depressione nel primo anno all'inizio piangono, in seguito il pianto si trasforma in rabbia e irritazione; successivamente smettono del tutto di piangere, lo sguardo da impaurito e triste si trasforma in apatico e vuoto, fino ad essere evitante. Sul piano del linguaggio ha difficoltà a mantenere l'alternanza nello scambio comunicativo con la madre, rallentando lo sviluppo della lallazione e dei primi suoni a significato, e ci può addirittura essere una perdita di abilità linguistiche precedentemente acquisite. Il sorriso sociale e di riconoscimento scompaiono. Si evidenzia un rallentamento dello sviluppo motorio. Si presentano problemi alimentari che vanno dal rifiuto del cibo al vomito a momenti di bulimia, che si accompagnano ad arresto dell'accrescimento corporeo. Tende all'ipersonnia ma il sonno è interrotto da frequenti risvegli con pianto. Il comportamento è privo di curiosità ed intraprendenza. Tra 1 e 3 anni è significativa la perdita di tappe di sviluppo acquisite da poco. È inoltre compromesso lo sviluppo del pensiero simbolico. Si evidenziano comportamenti di autostimolazione, come la masturbazione, o di autoaggressività, come colpirsi il capo o graffiarsi. Possono essere presenti enuresi o encopresi. Tra i 3 e i 5 anni vi sono cambiamenti nell'appetito, disturbi del sonno, facile affaticabilità, riduzione dell'attività spontanea, disperazione e ideazione suicidaria, irritabilità e apatia. Il mondo del bambino è improntato all'assenza di allegria, disperazione, paura di essere punito. Contenuti di fallimento, dolore, distruzione e morte pervadono i giochi ed il mondo immaginario. Nelle forme più durature, il mondo della fantasia si impoverisce e prevalgono solitudine e indifferenza, legate all'impossibilità a condividere le proprie angosce di morte. Si riduce il gioco con i coetanei, con attribuzione agli altri del rifiuto. Possono manifestarsi ansia di separazione, fobia della scuola, sintomi psicosomatici. ■ Decorso e prognosi della depressione in età infantile Dipendono dall'età d'esordio, dalla gravità dell'episodio e dalla presenza di disturbi concomitanti; l'età di esordio e la presenza di disturbi multipli sono prognosticamente sfavorevoli. I disturbi depressivi, se non trattati correttamente, possono recidivare e provocare gravi difficoltà e complicazioni a breve e lungo termine, come arresto o ritardo dello sviluppo, importanti difficoltà scolastiche, suicidio, abuso di sostanze, disturbi della condotta. ■ Terapia E' indispensabile un sostegno alla famiglia mirato alla migliore comprensione dei disturbi e dei bisogni profondi del bambino depresso di essere sostenuto a lungo durante la giornata. La psicoterapia al bambino deve includere un approccio cognitivo e uno più strutturato e diretto all'espansione delle funzioni sociali. CAPITOLO 8_ DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE Comprendono una varietà di problemi specifici con eziologie ed esiti diversi ed il lungo elenco di sintomi associati. Alcuni di questi sintomi si riferiscono direttamente alle abilità e ai comportamenti alimentari, mentre altri sintomi sono vaghi e specifici. Problematiche col cibo sono comuni nei bambini, specialmente in periodi di transizione come lo svezzamento intorno ai 9 mesi (in concomitanza con la comparsa dell'angoscia dell'estraneo) e fra il secondo e terzo anno di vita con l'inizio dell'alimentazione autonoma. In questi periodi il rifiuto del cibo è piuttosto comune. Per eseguire quindi una diagnosi è importante determinare quando un problema diventa un disturbo. Le figure di accudimento possono reagire a questi cambiamenti in modo differenti in base alle loro esperienze evolutive nel processo di separazione-individuazione: alcuni genitori possono incoraggiare l’autonomia del bambino, altri invece si sentono a disagio e diventano iperprotettivi. •Quadri clinici e Criteri Diagnostici I bambini mostrano sin dalla nascita evidenti differenze individuali nei cicli di fame-sazietà; alcuni neonati si svegliano e richiedono con intensità l’alimentazione, altri accettano passivamente di essere nutriti. Alcuni bambini sono ipersensibili nell’area orale e orofaringea e hanno difficoltà ad accettare il contatto con il cibo sulle labbra o nella bocca o ingerirlo. Questi bambini possono essere particolarmente sensibili alla consistenza del cibo e alla sua temperatura, può addirittura verificarsi una iposensibilità al sapore, al volume e alla consistenza degli alimenti. L’espressione diagnostica “disturbo delle abilità alimentari” (feeding skills disorder) definisce i patter alimentari di disabilità nell’assunzione di cibo. Nella valutazione clinica è fondamentale tenere conto in ogni situazione che l’alimentazione rappresenta un aspetto essenziale nell’accudimento e nella cura dei bambini e riveste un’importanza particolare per i genitori sa come fonte di soddisfazione e rassicurazione, sia di intensa preoccupazione. Può avere un esordio precoce in neonati che presentano una difficile regolazione di stato: durante l’alimentazione sono ipereccitabili, irritabili o si stancano facilmente. Il diniego del bambino che rifiuta di aprire la bocca, si allontana dal cibo inarcandosi, rovescia il piatto, esprime collera intensa, si osservano unitamente ai comportamenti del caregiver di forzare l’alimentazione del bambino. I bambini descritti col termine “spizzicatori” (Picky eaters), mostrano uno scarso appetito e rifiuto selettivo per alcuni alimenti. È comunque possibile l’evoluzione verso un disturbo alimentare persistente con perdita di peso e incapacità di aumentare di peso e pattern conflittuali della relazione bambino-caregiver. L'osservazione delle relazioni bambino-caregiver in questi disturbi precoci di regolazione alimentare ha permesso di riconoscere pattern interattivi disfunzionali nell'organizzazione di regolazione emotivo-affettiva e dell’attaccamento durante le fasi più precoci dello sviluppo. Ovviamente, l’irregolarità dei pattern alimentari, causa un rallentamento della crescita psicofisica. In accordo tra vari clinici, il considerare la difficoltà di accrescimento (failure to thrive) attraverso tre sintomi specifici della durata di almeno un mese: 1. Peso corporeo al di sotto del quinto percentile rispetto ai valori normativi per l’età del bambino 2. Rallentamento dell’acquisizione del peso corporeo dalla nascita al momento attuale che si colloca ad almeno due percentili al di sotto dei valori normativi di crescita 3. Rapporto peso corporeo/altezza per l’età al di sotto del 90% L’obesità esogena in cui è presente un eccesso di nutrizione, viene differenziata dall’obesità endogena, causata da sindromi genetiche, endocrinologiche e neurologiche. Nel DSM-IV sono distinti alcuni disturbi rispetto quelli della nutrizione: la pica (il bambino ingerisce capelli, insetti, fogli, ciottoli, associata di solito al ritardo mentale) e il disturbo di ruminazione (soggetti irritabili, affamati tra gli episodi di rigurgitosi mostrano in posizione di stiramento o inarcamento con la testa tenuta indietro, fanno movimenti di suzione con la lingua, movimento dal quale sembrano trarre soddisfazione. Nei primi tre anni di vita, le difficoltà di alimentazione sono piuttosto comuni, sotto forma di comportamento capriccioso per esempio. Il disturbo, può essere anche associati ad altri disturbi come il post traumatico da stress, ansia, umore. Nella Classificazione Diagnostica 0-3 si suggerisce, n caso sia accertato il disturbo dell’alimentazione, a considerare anche i disturbi affettivi, d’ansia e di attaccamento. •Epidemiologia e decorso Circa il 25% dei bambini con normale sviluppo psicofisico, possono presentare un problema alimentare, mentre una percentuale più elevata, circa il 35%, si riscontra in bambini con difficoltà di sviluppo. Il disturbo si stabilizza nel tempo soprattutto quando c’è la persistenza del rifiuto del cibo da parte del bambino. •Psicodinamica e Psicopatologia Il modello psicoanalitico ha concettualizzato le dinamiche dell’alimentazione nel bambino secondo una prospettiva pulsionale. Sarebbero le pulsioni orali a organizzare i comportamenti alimentari nel corso dell’infanzia, sia che assumano il carattere di rappresentanti psichici delle posizioni sotto forma di fantasie inconsce, sia che si collochino fra la sfera biologica e quella psicologica. Anna Freud fu la prima a proporre una classificazione teorica sulla psicopatologia dei disturbi alimentari nell’infanzia suddividendoli in: 1. Disturbi organici dell’alimentazione 2. Disturbi del processo pulsionale legati a discrepanze fra programma alimentare imposto e desideri del bambino 3. Disturbi nevrotici dell’alimentazione legati a emozioni conflittuali nei confronti della madre. L’autrice considera le tendenze orali come il primo veicolo dell’attaccamento libidico alla madre, e quindi gli atteggiamenti orali come decisivi nella formazione della relazione madre-bambino. L’atto dell’alimentazione durante l’infanzia richiede pertanto la competenza comunicativa di ambedue i partener e coinvolge la vita emotiva del bambino. Brunch ha evidenziato nelle adolescenti anoressiche, una relazione disfunzionale precoce con le figure di accudimento. La mancanza di un’appropriata condivisione degli affetti su cui il bambino costruisce le proprie esperienze di efficacia e di autoconsapevolezza determina che “il bambino cresca pieno di perplessità e confusione ogni qualvolta tenti di distinguere i suoi fabbisogni che siano fisiologici o emotivi”. CAPITOLO 9_ DISTURBI DEL SONNO Il sonno nella prima infanzia rappresenta un aspetto essenziale dell’accudimento e della cura dei bambini. Le regolazioni degli stati di sonno e di veglia nei primi tre anni di vita dipendono ampiamente dal sistema di caregiving, in quanto, le transizioni tra il sonno e la veglia dei bambini piccoli, si connettono sia a meccanismi omeostatici fisiologici (fame, sete, temperatura) sia a processi emotivi, affettivi e sociali. Sander nella teoria della regolazione del Sé durante l’infanzia, mette in evidenza i ritmi biologici fra cui i cicli di fame-sazietà e di sonno-veglia, regolati in senso diadico attraverso il ruolo decisivo della madre. Gli scambi interattivi regolari tra caregiver primario e bambino costituiscono per il bambino un sistema dinamico di aspettative condivise. Nei primi mesi di vita il caregiver da risposta ai bisogni fisiologici e i desideri del neonato, aiuta il bambino a sviluppare meccanismi autoregolativi in risposta ai suoi segnali interni biologici. La regolazione dei cicli sonno-veglia e la loro organizzazione temporale, include sin dalla nascita: ritmicità, regolazione di stato, attività, aurosal, irritabilità, capacità di calmarsi da solo. Negli ultimi mesi del primo anno di vita, il caregiver assume il ruolo di base sicura e l’andare a dormire attiva il sistema diadico di attaccamento. In questi mesi, il desiderio di esplorare l’ambiente può creare difficoltà a staccarsi da tutto ciò per andare a dormire. I fenomeni transizionali (accarezzare un orsacchiotto o un oggetto morbido) servono al bambino per mantenere un contatto con la madre e assumono una grandissima importanza al momento di andare a dormire. L’oggetto transizionale rappresenta un’area intermedia di esperienza tra la realtà esterna e quella interna, ovvero uno spazio potenziale che si sviluppa nella relazione fisica e mentale tra caregiver e bambino. Anche gli stati d’ansia dei bambini di due anni, che provocano spesso incubi notturni, possono essere processi normali della maturazione mentale. Per la valutazione clinica dei problemi del sonno nella prima infanzia, è necessario porre l’attenzione su una varietà di fattori che possono contribuire alla regolazione e all’organizzazione temporale del sonno, includendo gli aspett maturativi biopsicosociali e il temperamento del bambino e i pattern di sviluppo della relazione bambino-caregiver. •Aspetti Evolutivi L’attività elettrica massima di un individuo sveglio e vigile è caratterizzato da un insieme di onde desincronizzate di frequenza relativamente alta e di ampiezza ridotta. Quando la persona è rilassata e chiude gli occhi il ritmo assume un andamento tipico con oscillazione della frequenza, detto ritmo alfa. Stadio 1 del sonno: Il ritmo riduce la sua ampiezza fino a scomparire e a essere sostituito da un tracciato di ampiezza minore e frequenza irregolare. Stadio 2 del sonno: brevi treni d’onda ad alta frequenza detti complessi k. In questa fase l’individuo non è in grado di rispondere agli stimoli ambientali . Stadio 3 del sonno: in cui sono regolarmente presenti due fusi su un tracciato di onde lente e ampie. Nel momento in cui le onde ampie e lente diventano continue il soggetto si trova nello stadio 4 del sonno. Quando una persona adulta si addormenta, queste fase si attraversano in un’ora, poi si ritorna allo stadio 2 per poi comparire un nuovo tracciato. Questa fase del sonno viene chiamata sonno paradossale perché a uno stato della muscolatura profondamente rilassato, che impedisce ogni capacità di risposta, si contrappone un’attività cerebrale apparentemente vigile. In tale periodo sono presenti movimenti coniugati degli occhi. Nel sonno REM che dura circa 20 minuti, si manifestano in prevalenza i sogni. Nei bambini si ricorre alla suddivisione tra sonno quieto (simile alle onde lente dell’adulto), Sonno attivo (simile a quello REM) e sonno di transizione (con caratteristiche intermedie). Le fasi del sonno attivo possono accompagnarsi ai comportamenti più vari ed essere presenti nella sonnolenza, durante l’allattamento, quando il bambino piange o è eccitato. I bambini nati a termine dormono 16 ore al giorno. A sei mesi la quantità del sonno diminuisce a 15 ore per ridursi a 13. Il sonno notturno aumenta dalle 8 ore sino alle 11 nel primo anno di vita. Dopo circa 16 settimane dalla nascita si stabilisce un ritmo chiaro di 24 ore. Appena nati i bambini passano dallo stato di veglia a quello di sonno per 15-20 minuti per entrare nel sonno quieto in 8-10 minuti. Intorno a 6-9 mesi apprende il ciclo notte-giorno e riconosce la presenza dei pasti e di altri tipi di socializzazione. La regolazione e l’organizzazione temporale dei cicli sonno-veglia nell’infanzia sono legate alla maturazione del sistema nervoso del bambino. •Prevalenza I problemi del sonno dei bambini possono essere definiti come difficoltà nell’iniziare il sonno, come continuità del sonno (risvegli durante la notte con difficoltà di nel riaddormentarsi. I bambini possono anche manifestare un’eccessiva sonnolenza, oppure disfunzioni legate ad alcuni stadi del sonno o del risveglio. Anche molti fattori fisici e ambientali comuni nell’infanzia (coliche infantile, problemi di dentizione, raffreddori, febbri) possono influenzare l’andamento del sonno, pertanto spesso le popolazioni di bambini normali e con problemi del sonno si sovrappongono. A partire dai 12 mesi di età, il 50% dei bambini “calmi” inizia ad avere risvegli notturni. Il risveglio notturno è un “problema” se il bambino si sveglia e piange una o più volte tra mezzanotte e le cinque, almeno quattro notti su sette durante 4 settimane consecutive. Durante il periodo in cui i bambini cominciano a muovere i primi passi, la frequenza dei problemi del sonno aumenta. La International Classification of Sleep Disorder: Diagnostic and Coding Manual (ICSD:DCM) definisce tre maggiori categorie di disturbi del sonno: A. DISSONNIE o RISVEGLIO NOTTURNO Nei primi mesi di vita i risvegli sono frequenti per le poppate. Quando raggiungono gli otto mesi, è in grado di calmarsi da solo dopo un risveglio notturno, in base a quanto riferiscono i genitori. Generalmente si svegliano più spesso sono le bambine, tra i 6 e i 12 mesi. La maggior parte dei bambini si sveglia una o più volte durante la notte per brevi periodi di 1-5 minuti, un risveglio “silenzioso”, non piange, non invia segnali. I risvegli notturni dei bambini sono differenziati in “problematici” e “non problematici”, a seconda della capacità o meno del bambino di riaddormentarsi dopo un risveglio; ciò non definisce il risveglio un problema è il fatto che esso si associ a una risposta di segnale, pianto o richiesta dell’intervento del caregiver, oppure di “autoconsolazione”. B. PARASONNIE Disturbi del sonno in cui alcuni comportamenti che implicano l’attivazione motoria e/o automatica, interferiscono con il sonno. Tra le più comuni vi sono: ▲ Pavor nocturnus: attacchi di terrore notturno della durata di 10-15 minuti in cui il bambino si sveglia, anche se realmente si trova nello stadio 4 del sonno, nelle prime ore delle dormita , mostrandosi terrorizzato e agitato, siede di scatto nel sul letto gridando o in preda al pianto con segni di ansia (tachicardia, tachipnea, vampate cutanee). I tentativi di calmarlo da parte del caregiver possono peggiorare la situazione conducendolo d uno stato di paura più intensa. Si supera spontaneamente con l’età. ▲ Incubi: emergono nelle ultime ore della notte in corrispondenza del sonno REM. Se il pavor difficilmente viene ricordato, l’incubo invece rimane impresso nella memoria. L’incubo di solito termina con un brusco risveglio associato ad un rapido ritorno della vigilanza. Se l’autocullarsi o il battere la testa sono intensi e persistenti, ed il bambino può ferirsi, diviene necessario programmare un intervento clinico rivolto alla relazione bambino-caregiver ▲ Sonnambulismo: è uno stato di coscienza alterata in cui sono presenti, allo stesso tempo, fenomeni caratteristici del sonno e della veglia. Al risveglio dopo l’episodio, non si ricorda l’evento. In prevalenza si verifica intorno ai 4-6 anni e 12-16 anni. C. SINDROMI DA APNEA NOTTURNA ▲ Apnoica Centrale: si manifesta con un arresto della respirazione quando il bambino sta dormendo. La respirazione viene controllata nell’uomo tramite due meccanismi regolati dal sistema nervoso centrale. Un meccanismo corticale volontario funziona durante lo stato di veglia; durante la notte è attivo quello involontario che mantiene la saturazione dell’ossigeno. Se nel corso del sonno, questo sistema neurofisiologico non riesce a funzionare, la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue e nel cervello si riduce a causa del mancato ingresso di aria nei polmoni. La sequenza apnea-microaurosal-ritorno a dormire, può verificarsi 5-10 volte ogni ora senza che il bambino se ne accorga. ▲ Apnoica Ostruttiva:è presente l’ostruzione meccanica delle vie respiratorie superiori, causate da tonsilli o adenoidi ingrossate, obesità. Può essere associata al russare e/o alla respirazione a bocca aperta. Le apnee miste sono la combinazione delle due sindromi apnoiche. •Avvio del Sonno Nella prima infanzia esistono due problemi nell’ avvio del sonno, quello di andare a letto e quello di addormentamento. Il bambino con difficoltà nell’inizio del sonno sembra che non voglia dormire, rifiuta di andare a letto se non dopo aver messo in atto alcuni comportamenti ritualizzati. Il bambino più piccolo spesso si addormenta tra le braccia del genitore e l’essere alimentato, cullato e tenuto in braccio sono associati a prendere sonno, sebbene neonati possano addormentarsi da soli e non necessitino di questi interventi di conforto e di aiuto. Ritardare il momento di andare a letto o in rifiuto di andare a letto si verifica nel 5% dei bambini intorno al primo anno di età. Il momento di andare a dormire può suscitare la preoccupazione di separarsi dal genitore. Le difficoltà di addormentamento spesso si ripetono quando il bambino non riesce a riprendere sonno dopo il risveglio notturni. Nei bambini più grandi, l’ansia di separazione che emerge nel momento del sonno può manifestarsi con paure specifiche come il buio o lo stare da soli. In tali casi può essere utile l’accensione di una lampadina durante la notte. Poiché i problemi di separazione sono di origine diadica, anche il genitore può provare sentimenti di ansia di separazione. Altri stile di accudimento genitoriale, ad esempio, cullare il bambino fino a farlo addormentare tra le braccia il genitore, o lasciare che si addormenti in luoghi diversi dal proprio letto, come il divano, rappresentano modalità che se abituali, non agevolano lo sviluppo di meccanismi autoregolativi del bambino. Quando il caregiver aiuta il figlio ad addormentarsi tra le proprie braccia, diviene parte integrante dei rituali messi in atto dal bambino per controllare l'ansia. Alcune pratiche, regolari e prevedibili, possono aiutarlo a creare una prospettiva del tempo e associare la transizione veglia-sonno. •Classificazione e valutazione diagnostica • Nella multiaxial classification of child and adolescent discorder (MCCAD) viene specificato che l’insonnia è un sintomo comune di altre patologie psichiatriche come quella fettine. Se l’insonnia si manifesta come uno dei molteplici sintomi di un’altra patologia mentale o somatica la diagnosi è solo quella del quadro mentale o somatico di base.In caso di ipersonnia è essenziale differenziarla dalla narcolessia, in quanto la sonnolenza diurna e spesso il primo sindrome sintomo di questa sindrome. • Nella classificazione diagnostica 0-3 osserviamo che nell’asse I, prevista per la diagnosi primaria, vengono presentate numerose possibilità di classificare i problemi che sono infantili come il disturbo post traumatico da stress, il disturbo di regolazione e di adattamento. Previsti nell’asse II la classificazione del disturbo della relazione che permette di classificare le caratteristiche le qualità del bambino e della sua relazione con il Caregiver . L’asse IV poi focalizza agenti psicosociali stressanti, acuti o duraturi di durata inferiore o superiore ad un mese. Infine l'asse III considera i disturbi e condizioni fisiche relativi ai vari studi di sviluppo emotivo nella prima infanzia. Nei primi tre anni di vita allo sviluppo di pattern è regolare e stabili del ciclo sonno-veglia si organizza attraverso sistema dinamico di mutua regolazione tra il bambino e il suo Caregiver e i disturbi del sonno che insorgono precocemente si associano spesso ad un disturbo della regolazione che può trovare le sue cause in una relazione di attaccamento insicuro o in un disturbo della relazione. I bambini iper-reattivi Che hanno difficoltà nel modulare gli affetti e nel far fronte ai mutamenti dei propri stati interni dell’ambiente circostante sono bambini che hanno anche difficoltà nell’addormentarsi e nel momento in cui si svegliano iniziano a piangere manifestando difficoltà a tollerare la transizione dal sonno alla veglia. Questo significa che il caregiver non ha permesso al figlio di apprendere ad addormentarsi da solo e ogni qualvolta è sveglio richiede la presenza del genitore per potersi addormentare. Un problema del sonno nel bambino può variare nell’intensità e nella frequenza ed è possibile distinguere: le turbe evolutive transitorie di breve durata inferiore ad un mese, le perturbazioni della durata da uno a tre mesi o il vero e proprio disturbo per 5-7 notti o persistente per più di tre mesi. Un modello transazionale di sviluppo è alla base di valutazioni quali: contesto emotivo e affetto, contesto familiare e contesto ambientale. Aspetti psicodinamica ed eziopatogenetici Il primo anno di vita si caratterizza per importanti cambiamenti nell’adattamento fisiologico nel funzionamento delle relazioni sociali finalizzate alla regolazione primaria. C. Tipo U/A – atipico instabile/evitante: Si caratterizza per una diminuzione sostanziale del comportamento di evitamento tra il primo ed il secondo episodio di riunione della Strange Situation. Nella seconda riunione il comportamento di evitamento è minimo o non presente. La rilevanza di questo pattern risiede nell'osservazione che la maggior parte dei bambini classificati come U/A a 12 mesi, a 18 erano classificati D. •Classificazione diagnostica dei disturbi dell'attaccamento Al contrario dei modelli principali e atipici descritti, i disturbi dell'attaccamento rappresentano un disturbo più profondo e generalizzato del sentimento di protezione e sicurezza del bambino. Il DSM IV e l'ICD 10 delineano fondamentalmente 2 quadri principali: il DSM IV parla di disturbo reattivo dell'attaccamento suddividendolo in 2 sottotipi, il tipi inibito, caratterizzato da risposte inibite, ambivalenti o ipervigili verso uno o più adulti, e il tipo disinibito, caratterizzato da un'eccessiva ed indiscriminata socievolezza e da un'incapacità a sviluppare un attaccamento selettivo; l'ICD 10 invece parla di disturbo reattivo dell'attaccamento, che corrisponde al tipo inibito del DSM, e il disturbo disinibito dell'attaccamento (tipo disinibito DSM). Un quadro clinico analogo, ma senza distinzioni in sottotipi, viene descritto nella Classificazione diagnostica: 0-3. I quadri clinici descritti nei diversi manuali si riferiscono alla presenza di un disturbo persistente nella vita relazionale del bambino con inizio prima dei 5 anni, riscontrabile in diverse situazioni sociali e distinto dai disturbi generalizzati dello sviluppo. In tutte le descrizioni viene inclusa la presenza di un accudimento gravemente patologico, nella forma di una marcata trascuratezza o di un maltrattamento oppure nella forma di ripetuti cambiamenti della figura di accudimento. È importante distinguere questo quadro dai disturbi generalizzati dello sviluppo in cui i legami selettivi non riescono a svilupparsi o sono altamente devianti. Il decorso del disturbo sembra variare in funzione dei fattori individuali del bambino e di chi se ne prende cura, della gravità e della durata della deprivazione che hanno determinato il quadro clinico. Si ritiene che possa avvenire un notevole miglioramento o la remissione, qualora venga fornito un ambiente capace di adeguato supporto, altrimenti il disturbo segue un decorso continuativo. •Critiche alla nosologia corrente e proposta di criteri alternativi Alcuni autori propongono criteri alternativi per i disturbi dell'attaccamento, rilevando che si possono distinguere 3 ampie categorie dei disturbi dell'attaccamento: 1) i disturbi da assenza di attaccamento, simili ai quadri clinici descritti dal DSM IV e dall'ICD-10; 2) le distorsioni della base sicura, in cui il bambino ha relazioni di attaccamento gravemente patologiche; 3) i disturbi dell'attaccamento interrotto, in cui il bambino reagisce alla perdita di una relazione di attaccamento. In questa classificazione, tali disturbi sono visti in senso dimensionale, invece che categoriale. ■ II “disturbi da assenza di attaccamento o da assenza di una figura di attaccamento discriminata” vengono suddivisi in 2 sottotipi: 1) Assenza di attaccamento con ritiro emozionale, in cui il bambino è emotivamente ritirato ed inibito nei comportamenti di ricerca di conforto, manifestazione degli affetti, ricerca di aiuto, cooperazione, esplorazione. Tale quadro clinico è stato spesso descritto in bambini istituzionalizzati e trascurati. È necessario distinguere questo quadro dalla sintomatologia depressiva. 2) Assenza di attaccamento con socievolezza indiscriminata, in cui il bambino cerca conforto ed interazione sociale con persone relativamente estranee. Questo quadro clinico è stato osservato in contesti in cui il bambino aveva sperimentato numerosi affidamenti. ■ I “disturbi della base sicura” si differenziano dai primi perché il bambino mostra di avere una figura di attaccamento preferenziale, ma la relazione con questa figura è gravemente disturbata. Vengono distinti 4 quadri: 1) Disturbo dell'attaccamento con comportamenti che mettono in pericolo il bambino: l'esplorazione non è controbilanciata da dalla ricerca di vicinanza della figura di attaccamento. Il bambino può mostrare una serie di comportamenti pericolosi in presenza del caregiver, oppure comportamenti aggressivi verso se stesso o verso la figura di attaccamento. Tale quadro è stato riscontrato con più frequenza nelle famiglie in cui era presente una manifesta violenza, abuso fisico o violenza fra i coniugi. 2) Disturbo dell'attaccamento con esplorazione inibita ed eccessivo aggrapparsi: la funzione di base sicura del caregiver non è in grado di permettere al bambino un'esplorazione adeguata all'età. L'inibizione si manifesta in presenza della figura di attaccamento in contesti fisici o relazionali non familiari. Questo quadro è piuttosto raro. 3) Disturbo dell'attaccamento con vigilanza o compiacenza eccessive: inibizione dell'esplorazione, ma senza la ricerca di vicinanza eccessiva del quadro precedente. Al contrario, il bambino è estremamente vigile ed eccessivamente compiacente nei confronti della figura di attaccamento, come se fosse spaventato dal caregiver o avesse paura di dispiacerlo. Pattern frequentemente descritto nel pattern dell'abuso. 4) Disturbo dell'attaccamento con inversione di ruolo: il bambino mostra una eccessiva preoccupazione per il benessere emotivo del caregiver, per cui è osservabile un'inversione di ruolo nella funzione dell'attaccamento. Possono essere associati comportamenti di controllo da parte del bambino. ■ Infine, il “disturbo da attaccamento interrotto” individua la reazione del bambino alla perdita improvvisa della figura di attaccamento, in cui il bambino ha un comportamento che segue la sequenza individuata da Spitz, con protesta, disperazione, distacco. CAPITOLO 11_DISTURBI DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITà E DISTURBI DELLA CONDOTTA Si tratta di una serie di disturbi altamente correlati fra loro e caratterizzati dalla presenza di sintomi nella sfera dell'attenzione e dell'attaccamento. Il DSM IV e l'ICD-10 raggruppano insieme questi quadri clinici sotto le diciture di “disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente” e “disturbo da condotta ipertrofica”. •Disturbo da deficit di attenzione-iperattività Possono essere osservati comportamenti iperattivi scarsamente modulati, associati ad una marcata disattenzione e ad una mancanza di perseveranza nell'esecuzione di un compito. Le caratteristiche principali sono la mancanza di perseveranza nelle attività che richiedono un impegno cognitivo e la tendenza a passare da un compito all'altro senza completarne alcuno, insieme ad un'attività disorganizzata, mal regolata ed eccessiva. Tale modalità causa compromissione in almeno due contesti significativi per lo sviluppo del bambino. È più presente fra i maschi che fra le femmine. Le manifestazioni del disturbo spesso persistono nell'adolescenza e nell'età adulta. I bambini con tale disturbo sono ad alto rischio per esiti negativi come la delinquenza, abbandoni scolastici precoci e difficoltà relazionali. Solo una minoranza di casi mostra una remissione della sintomatologia. ■ Psicodinamica e psicopatologia I bambini caratterizzati da questa diagnosi incontrano spesso degli ostacoli in aree importanti dello sviluppo, come apprendimento, controllo dell’aggressività, relazioni sociali: sono antisociali, raggiungono bassi risultati scolastici e mostrano comportamenti distruttivi in classe, vengono rifiutati dai pari, si trovano in situazioni di disfunzione familiare. Vengono individuate delle componenti genetiche e storie di maltrattamento e abbandono tra le caratteristiche del disturbo. Lo sviluppo ha quindi componenti intraindividuali, familiari e ambientali. •Disturbo oppositivo provocatorio Si caratterizza come una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio nei confronti delle figure che si prendono cura del bambino e delle autorità in genere. Tale modalità deve essere presente per almeno 6 mesi e deve costituire una compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico o familiare. Tra i comportamenti riscontrati vi sono perdita di controllo, litigi con adulti, opposizione attiva o rifiuto di rispettare le richieste o le regole, azioni deliberate che causano fastidio ad altri, essere collerici, dispettosi e vendicativi. È osservato più frequentemente nei maschi. Spesso sono osservati scarsa autostima, labilità dell'umore e scarsa tolleranza alla frustrazione. Nelle famiglie, è stata riscontrata una maggiore frequenza di disturbi dell'umore, disturbi oppositivi provocatori, disturbi della condotta, disturbi da deficit di attenzione, disturbi antisociali di personalità o disturbi correlati a sostanze. Sembrerebbe inoltre che un disturbo depressivo nella madre possa favorire lo sviluppo di un quadro clinico del genere. •Disturbo della condotta Si caratterizza per una modalità ripetitiva e persistente di comportamento antisociale, aggressivo e provocatorio. I comportamenti specifici possono essere: una condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone o animali, una condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o furto, gravi violazioni di regole. Tali comportamenti devono rappresentare una modalità persistente, osservata nei 12 mesi precedenti, e devono causare una compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo. Il DSM IV stabilisce l'esistenza di 2 sottogruppi in base al periodo d'esordio (nella fanciullezza, nell'adolescenza) perché l'esordio precoce si associa in genere ad una prognosi più negativa. L'ICD-10 introduce delle sottocategorie diagnostiche: 1) Disturbo della condotta limitato al contesto familiare: questo quadro sembrerebbe non avere una prognosi estremamente negativa; 2) Disturbo della condotta con ridotta socializzazione; 3) Disturbo della condotta con socializzazione normale; 4) Disturbo oppositivo provocatorio: viene distinto in base all'assenza di un comportamento che violi le leggi e i diritti fondamentali degli altri. Si riscontra con maggiore prevalenza nei maschi sotto i 18 anni. La frequenza del disturbo è maggiore nelle famiglie con un genitore che presenta un disturbo antisociale ed è più comune nei figli di genitori biologici con dipendenza da alcol, disturbi dell'umore o schizofrenia, o di genitori con una storia di disturbo da deficit di attenzione iperattività o di disturbo della condotta. •Psicodinamica e psicopatologia Le ricerche indicano l'importanza di diagnosticare precocemente i comportamenti aggressivi e i disturbi della condotta, in quanto questi disturbi si sono dimostrati estremamente resistenti al trattamento in adolescenza. La qualità della genitorialità sembra essere uno dei fattori più importanti, sia sul versante dell'educazione, che risulta essere spesso caratterizzata da una disciplina dura, a volte abusiva, e comunque inefficace, sia sul versante della qualità delle interazioni che sono spesso caratterizzate da mancanza di responsività e scarsa contingenza ai segnali del bambino e più in generale da relazioni di attaccamento insicure o disorganizzate. Manca un ambiente che possa contenere l'impulsività del bambino: si sviluppano in questo modo attaccamenti ansiosi o disorganizzati e diventano più frequenti episodi di rabbia e reazioni negative. Dal secondo anno di vita la diade mostra uno stile coercitivo di interazione che lentamente si estenderà ad altri contesti relazionali, come quello con i pari o con la scuola. CAPITOLO 14_ DISTURBI MULTISISTEMICI DELLO SVILUPPO I DMSS si collocano a cavallo tra i disturbi della regolazione e i disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS) e sono proposti come continui con i disturbi della regolazione (DR) per quanto riguarda gli aspetti fisiopatogenetici. In essi il disturbo della regolazione dei processi fisiologici (sensoriali, attentivi, motori, cognitivi, somatici, affettivi) viene posto come primario rispetto al disturbo della relazione e della comunicazione. Il disturbo relazionale è primario nei DPS mentre è secondario a deficit dell’elaborazione dell’informazione sensoriale, motoria e affettiva nei DMSS. Rispetto ai DR la differenziazione è basata sull’assenza in questi ultimi del disturbo della relazione e della comunicazione. Le basi biologiche del disturbo sarebbero collocate a livello dei sistemi addetti alla regolazione (sistema limbico, ipotalamo, amigdala, corteccia orbitofrontale), per cui li troviamo ai livelli dei sistemi deputati alla regolazione degli stati affettivi e cognitivi del sé.
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