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La Mobilitazione di Gruppi Sociali: Caratteristiche e Tipologie, Dispense di Scienza Politica

Il concetto di gruppi di interesse e di pressione, sintetizzando le idee di charles tilly e altre teorie sociologiche. La relazione tra la struttura sociale e la mobilitazione politica, con un focus sulle differenze tra gruppi economici forti e deboli. Il testo include una breve storia della organizzazione di gruppi in diverse epoche e culture, e una discussione sulle tipologie e obiettivi di gruppi, oltre alle risorse e alle interazioni tra gruppi, partiti e istituzioni.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 22/10/2019

hermes2509
hermes2509 🇮🇹

4.2

(27)

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Scarica La Mobilitazione di Gruppi Sociali: Caratteristiche e Tipologie e più Dispense in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! CAPITOLO 7 - PARTECIPAZIONE POLITICA E MOVIMENTI SOCIALI Il tema della partecipazione è centrale per la politica e la democrazia. Il concetto stesso di politica, riferendosi nella sua radice etimologica, richiama a un immagine di partecipazione: nella polis si interveniva attraverso l'espressione delle proprie opinioni alla elaborazione delle decisioni. Se è vero che nelle attuali forme di democrazia, la partecipazione è in tensione con il principio della rappresentanza, un certo livello di partecipazione è comunque necessario a legittimare i rappresentanti. La stessa sovranità popolare presuppone la partecipazione, che si è infatti sviluppata in Europa nel 18 secolo insieme ad uno spazio pubblico che ha permesso l'interazione tra cittadini e i rappresentanti delle istituzioni e si è quindi estesa attraverso l'ampliamento del suffragio elettorale, principale strumento di partecipazione dei cittadini. La partecipazione politica è stata definita come il coinvolgimento dell'individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteresse totale alla titolarità di una carica politica. In una concezione più limitata, essa comprende quei comportamenti dei cittadini orientati ad influenzare il processo politico. Numerose sono le ricerche empiriche sulla estensione delle diverse forme di partecipazione. Per lungo tempo F 0 A Egli studiosi si sono concentrati sulle forme convenzionali di partecipazione che sono: esporsi a F 0 A E F 0 A E F 0 A E F 0 A Esollecitazioni politiche votare avviare una discussione politica portare un distintivo politico F 0 A E F 0 A Eassistere a un comizio diventare membro di un partito sollecitare contributi in denaro per le cause F 0 A E F 0 A Epolitiche candidarsi a una carica elettiva occupare cariche politiche, ecc 1. LA SELETTIVITÀ DELLA PARTECIPAZIONE Se la partecipazione è espressione di democrazia, numerose ricerche empiriche hanno comunque rilevato che nelle democrazie occidentali, la partecipazione è selettiva: non solo il numero dei cittadini che partecipano politicamente è limitato, ma per di più alcuni gruppi partecipano meno di altri. In diverse ricerche si è così cercato di rilevare e poi spiegare, il quanto e il chi della partecipazione. 1.1. QUANTA PARTECIPAZIONE? Come già accennato, sebbene le teorie normative hanno affermato che la partecipazione legittima la democrazia, gli studi sui comportamenti individuali hanno presentato un'immagine differente delle democrazie contemporanee. Ricerche condotte a partire dalla metà degli anni 60 35 hanno rilevato che la democrazia convive con tassi molto bassi di partecipazione. Teoricamente, una democrazia funzionante ha bisogno di cittadini informati sulle tematiche politiche, attivamente impegnati rispetto ad esse e capaci di esercitare influenza sulle decisioni pubbliche. Purtroppo però gli studi sul comportamento politico mettono in dubbio questo modello attivista e razionale. Altre ricerche dello stesso periodo hanno confermato che le democrazie funzionano ad un tasso di partecipazione che è molto più basso di quello ipotizzato nelle teorie normative come condizione necessaria di buon governo. Nel suo famoso studio del 1965, Milbrath ha ad es osservato che negli USA i “gladiatori” spesso attivi in politica erano appena il 7% dei cittadini, gli “spettatori” impegnati ad un livello minimo il 60% e gli “apatici” completamente disinteressati alla politica il 30% . La quantità di persone coinvolte si riduce, inoltre, man mano che si sale nel grado di impegno: ad esempio, da andare a votare a interessarsi di politica, a partecipare ad attività di partito, a iscriversi ad una organizzazione politica e ricoprire cariche pubbliche. Aumenta quindi, ad ogni passaggio, il grado di selettività della partecipazione. 1.2. PARTECIPAZIONE E INEGUAGLIANZA Il problema della selettività viene accentuato dal fatto che la percentuale di coloro che partecipano tende a non essere rappresentativo della popolazione nel suo complesso. Ci sono cioè disuguaglianze nella misura della partecipazione. A parità di altre condizioni, secondo Milbrath i livelli più alti di partecipazione F 0 A E F 0 A Eriguardano: coloro che hanno livelli più alti di istruzione chi proviene da ceti medi piuttosto che operai F 0 A E F 0 A E F 0 A E gli uomini rispetto alle donne chi vive da lungo tempo in un luogo coloro che appartengono a maggioranze etniche In generale, tanto più alto è lo status sociale di un individuo, tanto più egli tende a partecipare. Nonostante i sistemi democratici siano in linea di principio egualitari (una testa, un voto), in pratica però l'influenza politica esercitata dai cittadini varia in misura considerevole. Infatti le disuguaglianze sociali ed economiche si riflettono in disuguaglianza politica. Chi ha più alto status ha, infatti, sia risorse materiali (denaro) sia risorse simboliche (prestigio) da investire nella partecipazione. Per quanto riguarda le prime, chi ha maggiore denaro e tempo libero può utilizzarlo, con minori costi marginali, in attività politica. Inoltre, chi ha prestigio ha anche maggiore influenza e la sua partecipazione ha quindi maggiore possibilità di successo. E ancora, chi ha alto status sa anche come si fa a partecipare, dato che con lo status aumenta l'istruzione e chi è più istruito sa meglio cosa fare quando vuole affermare i suoi interessi. Chi non ha queste risorse accetta la sua incompetenza, delegando ad altri l'intervento politico. É questo sentimento di incompetenza dunque, e non l'assenza di opinioni, ad allontanare questi ultimi dalla politica. Coloro che si collocano in una posizione centrale dal punto di vista sociale hanno così anche un vantaggio psicologico: istruzione e prestigio danno fiducia in se stessi, quindi nella propria capacità di cambiare le cose e fanno crescere la convinzione di aver “diritto alla parola”. 36 L'eguaglianza politica è dunque, ameno in parte, un'utopia, proprio perché le uguali opportunità formali di accesso sono disegualmente impiegate dai vari grupp sociali. 2. LE NUOVE FORME DI PARTECIPAZIONE Sebbene la partecipazione nelle sue forme convenzionali sia, come abbiamo visto, un fenomeno molto selettivo, a partire dagli anni ‘70 si comincerà ad osservare una rapida crescita di nuove forme di F 0 B 7 F 0 B 7 F 0 B 7partecipazione politica, quali: aderire a un boicottaggio scrivere a un giornale autoridurre le tasse F 0 B 7 F 0 B 7 F 0 B 7 F 0 B 7occupare edifici bloccare il traffico firmare una petizione partecipare ad uno sciopero selvaggio F 0 B 7 usare violenza contro cose o èersone Specie nelle democrazie occidentali, gruppi sempre più ampi di cittadini sono disponibili a fare ricorso a forme non convenzionali per presentare le loro domande al sistema politico. Va aggiunto inoltre che le azioni convenzionali e le azioni non convenzionali non sono mutualmente esclusive, ma piuttosto operano insieme, costituendo così quello che possiamo chiamare un repertorio dell'azione collettiva. Se vi sono individui che preferiscono l'uno o l'altro tipo di strategie, ve ne sono cmq molti che combinano i due tipi. Incrociando la partecipazione ad attività convenzionali e quella di attività non convenzionali si possono distinguere cinque categorie di cittadini: 1. inattivi, che al massimo leggono di politica o firmano una petizione 2. conformisti, che si impegnano un po' nelle attività convenzionali 3. riformisti, che partecipano in modo convenzionale, ma a volte ampliano il repertorio politico fino ad abbracciare forme legali di protesta. 4. attivisti, che ampliano il repertorio al massimo livello, fino a includere forme non legali di protesta 5. protestatari, che adoperano tutte le forme non convenzionali, rifiutando quelle convenzionali. Una ricerca comparata di grandi dimensioni, ha confermato che se la partecipazione politica di tipo tradizionale è rimasta stabile, quella non-istituzionale è cresciuta invece enormemente e si è ridotta la differenza nei tassi di partecipazione legata a genere, età e livelli educativi. Così da far parlare di “rivoluzione partecipativa”. 3. I MOVIMENTI SOCIALI Possiamo quindi dire che se la costruzione dell'identità è una precondizione dell'azione collettiva, essa ne è al contempo un prodotto. Infatti, se l'organizzazione è importante soprattutto nelle fasi iniziali della creazione di una identità comune, è la stessa partecipazione che poi rafforza il senso di appartenenza, in una sorta di circolo virtuoso. Va infine detto che la costruzione dell'identità comporta una definizione in positivo di chi fa parte di un certo gruppo, ma anche necessariamente una definizione in negativo di chi ne è escluso e che tali identità vengano riconosciute dall'esterno. 6. VALORI POST-MATERIALISTI E PARTECIPAZIONE Lo sviluppo delle nuove forme di partecipazione è stato collegato da diversi studiosi anche alle caratteristiche della cultura politica, intesa come insieme di valori, atteggiamenti e conoscenze relative alla politica. All'inizio degli anni 70, se nei paesi in via di sviluppo si osservava che la maggiore occupazione, istruzione ed esposizione ai mezzi di informazione (modernizzazione sociale) aveva portato ad una maggiore fiducia nelle capacità di influenzare l'ambiente attraverso scelte politiche sempre più basate sull'interesse personale (valori materiali); nel mondo occidentale, si è assistito ad un profondo mutamento nel sistema di valori, caratterizzato dall'emergere di valori post-materialisti (individui che si allontanano dai bisogni materiali). La spiegazione che viene data è che la generazione che è arrivata all'età adulta tra la fine degli anni ‘60 e l'inizio degli anni ‘70 si differenzia molto dalla generazione precedente per il benessere economico raggiunto, l'accesso all'istruzione superiore, la maggiore sicurezza individuale e collettiva (no guerre) e questo ha spinto ad un indebolimento dei valori di tipo materialistico (che appunto riflettono preoccupazioni relative al benessere e alla sicurezza) e all'emergere invece di valori post-materialisti orientati verso bisogni di natura espressiva (autorealizzazione nella sfera privata, espansione della libertà di opinione, della democrazia partecipativa) finalizzati a dare maggior peso ai cittadini nelle scelte politiche e garantire maggiore libertà di parola. Inoltre la lunga fase di crescita economica ha spostato l'attenzione dai temi materiali a quelli relativi allo stile di vita ed ha portato ad un cambiamento nel modo di concepire la società e la politica. 7. FORME DI PARTECIPAZIONE E OPPORTUNITÀ POLITICHE Se variabili culturali, come il post-materialismo, sono state individuate come cause dello sviluppo di nuove forme di partecipazione, lo stesso fenomeno è stato spiegato anche a partire da variabili socio-economiche e politiche. Nello studio dei movimenti sociali, il concetto più utilizzato per definire le proprietà dell’ambiente esterno, rilevanti per lo sviluppo dei movimenti sociali, è stato quello di struttura delle opportunità politiche. L'assunto di fondo è che la partecipazione si intensifica quando si aprono canali di accesso alle istituzioni, che portano a sperare in un successo dell'azione collettiva. Nel guardare alle caratteristiche dei sistemi democratici che possono influenzare la partecipazione politica, un primo insieme di variabili appare rilevante: le istituzioni politiche. 1) Il decentramento territoriale: maggiore è il grado di distribuzione dei poteri alla periferia, maggiore sarà la possibilità dei movimenti sociali di trovare un punto di accesso al processo decisionale. Così, ad es, il decentramento dei poteri dallo stato nazionale alle regioni, dalle regioni 40 alle città e dalle città ai quartieri viene considerato, a parità di condizioni, come un'apertura del sistema istituzionale alle spinte provenienti dal basso. 2) La separazione funzionale del potere: maggiore è la divisione dei 3 poteri e indipendente è il sistema giudiziario, tanto più aperto sarà il sistema. 3) Abbiamo poi le strategie prevalenti, cioè le procedure che i membri di un sistema adoperano quando hanno a che fare con gli sfidanti. Nei Paesi mediterranei, ma anche in Germania e Francia, le esperienze autoritarie e la ritardata introduzione del suffragio universale, hanno portato ad una prevalenza di strategie eslcusive, cioè volte a reprimere i movimenti sociali, che hanno prodotto una divisione e radicalizzazione del movimento operaio. Invece, nei paesi con mercati aperti, in GB e nei Paesi Scandinavi, le strategie sono state inclusive, cioè volte a una cooptazione delle niove domande, e hanno prodotto movimenti operai uniti e moderati. 4) Sia le istituzioni che le strategie prevalenti sono variabili statiche, che cambiano cioè lentamente. Ci sono però anche variabili dinamiche. Tra queste molto importante è la configurazione del potere, cioè la distribuzione del potere tra gli attori rilevanti, che operano sia nel sistema dei partiti che in quello delle organizzazioni di interessi. La configurazione del potere è data dal rapporto fra il sistema di alleanze (attori che sostengono i movimenti) e il sistema di conflitto (attori che si oppongono ai movimenti), che crea o distrugge opportunità di partecipazione. 8. LA PARTECIPAZIONE FA BENE ALLA DEMOCRAZIA? Se alcune forme di partecipazione sembrano crescere, contrastanti sono comunque i pareri sulle loro conseguenze nei regimi democratici. Il giudizio sulla partecipazione cambia, in generale, a seconda del valore attribuito al carattere rappresentativo – ovvero di delega agli eletti – delle democrazie contemporanee. 8.1. DEMOCRAZIA E APATIA In uno studio del 1960, intitolato Political Man, Seymur Lipset aveva sostenuto che un certo livello di apatia fa bene alla democrazia, poiché la non partecipazione può essere un segno positivo di consenso a chi governa, mentre una crescita della partecipazione può indicare scontento politico e disgregazione sociale. Questo perché la crescita della partecipazione aumenta il numero delle domande al sistema, creando rischi di sovraccarico, con una conseguente riduzione della capacità di risposta e credibilità dei governanti. Secondo Huntington, ciò può addirittura portare, come successo negli anni 70, ad una crisi della democrazia caratterizzata da distruzione dell'ordine civile, indebolimento dei governi e alienazione dei cittadini. 8.2. “EXIT” O “VOICE”? Se la protesta è stata quindi vista come possibile causa di delegittimazione delle democrazie, alcuni hanno cmq sottolineato i suoi aspetti positivi. Paragonando le reazioni dei cittadini di un sistema politico a quelle dei consumatori in un mercato, Albert Hirchman ha distinto diverse 41 strategie per esprimere uno scontento. Un cittadino, così come un consumatore, può reagire F 0 A Eall'insoddisfazione utilizzzando strategie di uscita (exit) o di protesta (voice). L'uscita si riferisce all'abbandono di un prodotto per un altro. Si tratta di una strategia per salvaguardare il proprio benessere o migliorare la propria posizione, che è inequivocabile (o si esce o si resta) e impersonale (si evita ogni F 0 A Econfronto diretto tra cliente e impresa) La voce è invece la reazione di chi preferisce cambiare ciò che non va piuttosto che eluderlo e comprende quei comportamenti che vanno dalla timida lagnanza ad una violenta protesta. É diretta e schietta. Sia la voce che l'uscita, in dosi eccessive, sono deleterie e per questo occorre anche una cera dose di attaccamento affettivo, o lealtà nei confronti delle istituzione, perché favorisce l'opzione voce rispetto all'opzione uscita, che è più deleteria. Ne deriva che i sistemi politici che facilitano la protesta, stimolando la partecipazione, funzioneranno meglio di quelli dove lo scontento non può sfociare che nell'uscita. 8.3. ASSOCIAZIONISMO E DEMOCRAZIA La partecipazione, come capacità della società civile di organizzarsi e realizzare direttamente alcuni obiettivi è stata vista anche come particolarmente favorevole alla democrazia, poiché le si attribuisce la valenza positiva di favorire l'autogoverno, contro l'alienazione del cittadino quando si rapporti allo stato sulla base di diritti e obblighi puramente politici. Secondo Alexis De Toqueville, la forza della democrazia americana stava proprio nel decentramento ai comuni e alle associazioni dei poteri, in Europa concentrati invece nello Stato nazionale. “Nel comune il cittadino si socializza alla politica perché è alla sua portata. Nelle associazioni si sviluppa il piacere di stare insieme e si impara ad interagire con gli altri.” Di recente le teorie di Tocqueville sono state riprese dalla letteratura sul capitale sociale, definito in riferimento alle caratteristiche della organizzazione sociale – reticoli di relazioni, norme di reciprocità, fiducia negli altri – che facilitano la cooperazione per il raggiungimento di di comuni benefici. Sono in particolare le associazioni di cittadini a diffondere tra i partecipanti il sentimento della cooperazione, della solidarietà e dell'impegno sociale, e quindi lo stesso capitale sociale. La presenza di capitale sociale creato dalle associazioni favorirebbe il buon governo. Non a caso, come ha spiegato Robert Putman, le regioni con più alti tassi di associazionismo (e quindi di civismo) sono caratterizzate da benessere economico e buon governo.3 Il capitale sociale migliora l'azione del governo nella misura in cui esso genera fiducia negli altri, inclusa la p. amministrazione, oltre ad aumentare le capacità di autogoverno dei cittadini, In queste società, esperienze positive di cooperazione spingono a continuare a cooperare: il capitale sociale cresce, cioè, su se stesso. Va precisato però che non sempre la presenza di capitale sociale porta a buon governo. Il capitale sociale è infatti composto da tutte quelle risorse che aiutano a fare le cose e gli interessi che si organizzano per cooperare possono essere ad es quelli di una minoranza contraria alla democrazia. Si è cominciato quindi a parlare di cattivo capitale sociale, come ad es quello dei nazisti, dei gruppi terroristi o dei mafiosi. Un altra precisazione da fare è che il capitale sociale non è monopolio esclusivo delle 3 L'associazionismo in Italia è più diffuso nel centro nord. Nel sud l'amm. pubblica si intende gestita dagli “altri” (capi, notabli), mentre il cittadino non partecipa alle decisioni riguardanti il bene pubblico. 42 associazioni: può essere infatti prodotto da altre istituzioni dal basso, come la famiglia, o dall'alto, come la scuola, le chiese, partiti e governo. Va detto che il ruolo delle istituzioni pubbliche è centrale nello stimolare e nel creare le condizioni nelle quali il capitale sociale può aiutare a raggiungere beni collettivi. 43 CAPITOLO 8 - I GRUPPI DI PRESSIONE Lo studio dei gruppi di interesse è sempre stato oggetto di considerazioni e sentimenti contrastanti. Sono stati, infatti, ritenuti di volta in volta espressione della libertà democratica di associazione e unione, ma anche espressione dei poteri economici (e religiosi) più forti; espressione delle capacità di classi deboli di accrescere le proprie possibilità di influenza attraverso l'organizzazione e la pressione, ad es sindacale, ma anche dimostrazione dell'ulteriore spazio dato agli interessi dominanti di mantenere o accrescere le disuguaglianze esistenti. 1. CENNI STORICI L'esistenza o anche l'emergere di gruppi di interesse non è un fenomeno europeo-occidentale e neppure proprio del mondo moderno. - Già durante l'impero romano esistevano corporazioni, cioè organizzazioni composte da individui che esercitavano la stessa professione. Modalità d'azione e obiettivi condizionano e sono condizionati dalle risorse a disposizione dei gruppi. Se ne distinguono almeno 6 tipi. 1) economico-finanziarie (possedute soprattutto da i gruppi associativi imprenditoriali). 2) numeriche (proprie di quei gruppi che mobilitano l'opinione pubblica e fanno propaganda) 3) di influenza (che dipendono dallo status sociale e dalla facilità di accesso alle sedi decisionali) 4) conoscitive (cioè dovute al monopolio o controllo di conoscenze tecniche) 5) organizzative (derivanti dall'esistenza di strutture efficienti nel gruppo nell'esprimere e articolare le proprie domande secondo le modalità, i tempi e nelle sedi più opportune) 6) simboliche (che hanno i gruppi in grado di convogliare consenso sulle proprie 46 domande facendo ricorso a simboli e valori rilevanti per i cittadini in certi momenti ad es in passato, i gruppi religiosi, le associazioni patriottiche, di reduci, ecc.) 4. GRUPPI E PARTITI Le strategie dei gruppi sono influenzate dalle caratteristiche dei sistemi politici nazionali. A questo proposito uno degli aspetti più interessanti riguarda il rapporto tra partiti e gruppi. L'aspetto essenziale da considerare è se, come e in che misura i partiti diventino e rimangano dei gatekeepers, cioè “controllori d’accesso” rispetto agli interessi sostenuti dai gruppi. I partiti sono considerati gatekeepers se con una propria organizzazione, un elettorato identificato, propri interessi autonomi, propri esponenti, riescono ad essere presenti in ogni arena decisionale, centrale o locale e a determinare sia l’accesso, sia l’agenda e i risultati decisionali che toccano gli interessi sostenuti dai gruppi. In altri termini i partiti diventano e restano efficaci gatekeepers se riescono a far prevalere il circuito elettorale rappresentativo rispetto a quello definito come funzionale, proprio degli interessi, Dal punto di vista dei gruppi, l'aspetto centrale è che, in questa situazione, essi non possono perseguire i propri interessi se non passando attraverso i partiti e le elites partitiche. I gruppi cioè non hanno accesso diretto alle arene decisionali, specie in sede governativa e parlamentare centrale. In particolare, l'intervento F 0 A E F 0 A Esul partito può avvenire: a livello elettorale (ad es nel momento delle candidature) a livello interno del F 0 A Epartito (ad es con la presenza di propri esponenti nel partito) a livello delle dichiarazioni programmatiche F 0 A E(ad es attraverso info e posizioni suggerite dal gruppo) a livello decisionale (as ed con interventi diretti del gruppo su parlamentari e ministri) Fra gruppi e partiti si instaura un rapporto che può essere di 4 tipi: 1. Occupazione: situazione in cui gli interessi del gruppo sono subordinati a quelli del partito che ha la preminenza assoluta in termini di reclutamento, nomina, attività organizzative e decisionali interne al gruppo. 2. Simbiosi: si ha invece in quella situazione in cui partito e gruppo sono in una posizione di parità, hanno bisogno l'uno dell'altro e si rinforzano a vicenda nelle rispettive sfere di attività. (es partiti socialisti e sindacati). Tale relazione simbiotica è più probabile quando il partito si lega ad una organizzazione di massa rispetto alla quale avvengono sovrapposizione di membership e reciproco sostegno finanziario. La rel. cmq non è necessariamente perfettamente simmetrica, con un dominio condizionato del partito. Aggiungendo alla interazione gruppi-partiti quella tra gruppi e p. amm., proprio a proposito del caso italiano, in una famosa ricerca Joseph la Palombara ha utilizzato i termini rapporto di clientela (quando ad un gruppo viene riconosciuto un accesso privilegiato con la p.a.) e rapporto di parentela (quando un gruppo ha un rapporto privilegiato con un partito, ad es la CGIL e il partito comunista) In queste situazioni, i rapporti fra sindacati e partiti sono influenzati dalle caratteristiche che i primi hanno assunto nei diversi paesi. In particolare, i sindacati in alcuni casi si sono limitati a 47 rappresentare i propri iscritti, in altri hanno assunto invece un ruolo politico di difesa dell'intera classe operaia. Questo è appunto il caso italiano, dove è emerso il modello di sindacato di classe che ha creato l'illusione della rappresentanza universale del sindacalismo di classe e la gestione politica più che sociale dei movimenti di protesta, con un'azione surrogata rispetto ai partiti e ad un ampliamento dei temi a cui i sindacati si sono interessati (casa, fisco, sanità, ecc) 3. Egemonizzazione: è una situazione opposta all'occupazione, dove il gruppo ha egemonizzato completamente un partito o addirittura ne ha creato uno ad hoc. Il gruppo condiziona il partito a livello di nomina e organizzazione, a livello elettorale e in sede decisionale. In sostanza, il partito è espressione del gruppo e gli offre un accesso indiretto alle decisioni pubbliche. 4. Neutralità: è infine la situazione i partiti restano autonomi nel ruolo di gatekeepers, e i gruppi trovano più conveniente non stabilire rapporti privilegiati con alcun partito, ma solo rapporti limitati nel tempo e ad una tematica specifica anche con più partiti contemporaneamente (appello multipartitico). Un esempio è Confindustria che mantiene un'autonomia completa e stabilisce rapporti nelle sedi decisionali quando vengono in discussione aspetti rilevanti per il gruppo. Un caso estremo è quello in cui il gruppo può contare su un accesso diretto alla burocrazia e alle sedi decisionali , non avendo più bisogno di interagire con un partito (è secondario), fino all'annullamento di questi. Il gruppo si trasforma così da controllato a controllore e “autodispensatore” di risorse. 5. LA TEORIA PLURALISTA DEI GRUPPI Lo studio dei gruppi è effettivamente un passo obbligato per analizzare la politica al di là delle norme giuridiche. Già nel 1908, Bentley, in contrasto con gli approcci formali-legali, che guardavano alla politica soprattutto a partire dalle norme scritte, sviluppa un approccio realistico alla politica partendo dalla constatazione che i gruppi sono gli attori più rilevanti e che sono importanti le azioni, piuttosto che credenze, così come l'analisi di come funziona il sistema, piuttosto di come dovrebbe funzionare. Questo obiettivo è centrale nell'approccio classico ai gruppi, noto come teoria pluralista. Secondo questa teoria la presenza dei gruppi è vista come fonte di equilibrio, socializzazione e autonomia della società dallo stato. 5.1. RUOLO DEI GRUPPI SECONDO LA TEORIA PLURALISTA Nella teoria pluralista, la presenza dei gruppi è vista come fonte di equilibrio, socializzazione e autonomia F 0 A Edella società dallo stato. In primo luogo la pluralità dei gruppi garantisce un certo equilibrio tra spinte contrastanti. La competizione tra diversi gruppi porta ad una mediazione tra di essi, permettendo così di avvicinarsi ad una sorta di bene comune ed è quindi benefica per la democrazia, perché come in un mercato la concorrenza eviterebbe il monopolio. Secondo David Truman, la sfida proveniente dai gruppi attivi porta alla mobilitazione di gruppi latenti, cioè di gruppi che pur condividendo un interesse non si sono ancora organizzati per difenderlo. Questa possibile mobilitazione di gruppi latenti spinge i gruppi attivi a moderare le proprie rivendicazioni. La possibilità di mobilitazione dei gruppi latenti spiegherebbe inoltre la disponibilità dei politici a farsi carico della difesa dei loro interessi. Se temporaneamente alcuni interessi possono prevalere su altri, questo dominio sarà transitorio: durerà solo iltempo necessario ai gruppi per organizzarsi. La mobilitazione 48 produce contro-mobilitazione, e la pressione degli uni indebolisce quella degli altri, permettendo così al governo di bilanciare fra le varie richieste e mirare al benessere collettivo. F 0 A E In secondo luogo, gli effetti della partecipazione sono visti come particolarmente socializzanti: la vita nelle associazioni educa il cittadino all'interazione con gli altri, ad allontanarsi dai propri interessi egoistici, a comunicare e collaborare, portando coesione sociale e fiducia reciproca. In particolare la tolleranza reciproca è favorita dalle appartenenze multiple e trasversali: interessi diversi portano a lealtà divise fra gruppi diversi e dunque ad una rete di rapporti tra gli individui evitando la loro radicalizzazione in organizzazioni totalizzanti, come un partito ideologico di massa. F 0 A E In terzo luogo, i gruppi esprimono la capacità di organizzarsi dal basso, rendendo i cittadini meno dipendenti dalle istituzioni pubbliche. L'approccio pluralista ha definito i gruppi come la normale forma di aggregazione degli individui e lo Stato come arbitro tra essi. Di conseguenza da questa teoria dei gruppi emerge una concezione della politica come mediazione, piuttosto che esercizio di autorità. 5.2. CRITICHE ALLA TEORIA PLURALISTA La teoria pluralista è stata criticata sotto svariati aspetti, e accusata di difendere un mondo in cui pochi hanno potere su molti, dato che la mobilitazione era limitata e fonte di ineguaglianza. I gruppi con maggiori risorse hanno infatti maggiori capacità di mobilitarsi e di influenzare il governo a danno di altri. É stato osservato che l'esistenza di un interesse comune non porta automaticamente ad una azione collettiva. Visto che tutti, anche coloro che non hanno investito alcuna risorsa, possono godere di un bene collettivo, la razionalità individuale porterebbe ad agire da free-rider, cioè a non pagare il costo dell'azione collettiva, aspettando che altri si mobilitino. Ad es, sebbene tutti apprezzino un'aria pulita pochi sono disposti ad investire tempo e risorse per un azione ambientalista. Perché ci sia azione collettiva occorre allora che le organizzazioni siano in grado o di esercitare coercizione sui loro membri o distribuire incentivi selettivi (materiali come il denaro o simbolici come il prestigio) cioè premi o punizioni che beneficiano o colpiscano singoli individui. Perché un gruppo si organizzi è dunque necessario che vi siano, innanzitutto, degli imprenditori capaci di offrire risorse ai loro potenziali membri. Nell’ambito di una teoria dello scambio nei gruppi di interesse, Salisbury si concentra sulle interazioni tra promotori di gruppi di interesse e coloro che vi aderiscono. Possiamo dire che i primi sono imprenditori che investono risorse per offrire servizi che gli aderenti, come consumatori, possono comprare. La mobilitazione di risorse e l'emergere di imprenditori dell'azione collettiva sono più facili tra individui ricchi di risorse materiali, che sono quindi disponibili a utilizzare parte di esse a un organizzazione di interessi. Ciò spiega la forte presenza di organizzazioni di ceti sociali abbienti: organizzazioni di professionisti, di imprenditori ecc. La teoria pluralista è stata poi criticata dal punto di vista normativo, perché essa considera come equivalenti tutti gli interessi in gioco, rendendo il governo incapace di resistere alle pressioni; ricercare il bene comune è poi reso impossibile dall'aggressività dei gruppi di pressione, 49 concentrati nella difesa di interessi parziali in una situazione del tutti contro tutti che termina con il piegarsi del governo agli interessi forti. I risultati empirici hanno comunque rilevato una maggiore capacità organizzativa dei “gruppi deboli” (come gruppi per i diritti civili, gruppi ambientalisti ecc) e ha ridimensionato il potere dei gruppi in generale, rilevando che in realtà i gruppi sono più capaci di porre alcuni temi sull'agenda politica che di determinarne le soluzioni e che l'attività di lobbying è più orientata a offrire info più che esercitare ricatti. 6. PLURALISMO E NEOCORPORATIVISMO
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